Chimica Inorganica Dispensa 2020-2021 PDF

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Università degli Studi di Bari Aldo Moro

2021

Giuseppe Capitanio

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inorganic chemistry general chemistry chemical reactions science

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This document is a 2020-2021 inorganic chemistry lecture from the University Aldo Moro di Bari. It discusses topics like mixtures, homogeneous and heterogeneous mixtures, pure substances, elements, and compounds. The author, Professor Capitanio, covers the scientific method and important laws in chemistry including the law of conservation of mass and the law of definite proportions.

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Sbobine di Chimica Generale ed Inorganica Prof. Giuseppe Capitanio a.a. 2020/2021 a cura del 1AK Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Chimica inorganica La chimi...

Sbobine di Chimica Generale ed Inorganica Prof. Giuseppe Capitanio a.a. 2020/2021 a cura del 1AK Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Chimica inorganica La chimica è una disciplina scientifica che riguarda la materia, le sue trasformazioni e la sua composizione. Una delle definizioni classiche di materia definisce materia qualsiasi cosa che occupa uno spazio e possiede una massa. Essa può essere suddivisa in due grandi classi: le sostanze pure e le miscele. Per definizione, una ​miscela è un campione di materia costituito da due o più sostanze. Utilizzando dei trattamenti di tipo fisico​, che non implicano dei cambiamenti di tipo chimico, è possibile ottenere dalle miscele le sostanze pure. Alcuni trattamenti sono molto comuni e semplici, come il processo di ​filtrazione tramite il quale posso separare, ad esempio, una sostanza che ha una struttura solida da un liquido tramite un piccolo imbuto e una semplice carta da filtro. Altri metodi sono la decantazione o la centrifugazione. E’ possibile effettuare un’ulteriore suddivisione in ​miscele omogenee ​ed eterogenee​; per comprendere la differenza tra le due, è necessario definire il concetto di fase. Per fase si intende una qualsiasi porzione di materia che presenta una composizione omogenea e costante senza alcuna superficie di separazione. Esistono ​sistemi monofasici​, ovvero con un’unica fase, e ne è un esempio una soluzione acquosa in cui è disciolto un sale (le soluzioni, infatti, sono un classico esempio di miscele omogenee); quando, invece, in un sistema troviamo almeno due fasi differenti si parla di miscela eterogenea o miscuglio. Per chiarire meglio il concetto è possibile fare degli esempi: miscela eterogenea liquido-liquido​, cioè le due fasi sono presenti entrambi allo stato liquido, costituita da: benzina (dalla colorazione verdastra) ed acqua. In questa miscela possiamo riconoscere una superficie di separazione che è quella che separa l’acqua e la benzina. Se prendessimo un punto della zona verde, avremo unicamente la benzina e quindi le sue proprietà e le sue caratteristiche. Se prendessimo un punto al di sotto della superficie di separazione, avremo, invece, l’acqua con le sue caratteristiche tipiche. miscela eterogenea che presenta due fasi in stati di aggregazione differenti​: l’acqua in forma liquida, il gesso (solfato di calcio idratato) in forma solida. Anche in questo caso, tra le particelle solide del gesso e l’acqua c’è un setto di separazione, quindi possiamo distinguere due fasi differenti con caratteristiche tipiche. Un campione di sangue se osservato ad occhio nudo potrà sembrare un sistema omogeneo monofasico, in realtà sottoponendolo a degli strumenti che hanno un potere di risoluzione maggiore, ad esempio un semplice microscopio, sarà possibile accorgersi che il ​sistema è ​eterogeneo perché è costituito da ​una parte liquida​, ovvero il plasma (colore giallastro), e da tutti gli elementi figurati ​del sangue (globuli bianchi, piastrine ed eritrociti). Dunque, ​qual è il criterio che mi permette di distinguere in maniera oggettiva una soluzione omogenea da una eterogenea​? ​L’omogeneità dipende dalle dimensioni del componente disperso/soluto (ovvero la sostanza presente in minore quantità rispetto al componente disperdente/solvente). I chimici hanno indicato che se il ​diametro della particella dispersa è inferiore ad ​1nm sicuramente siamo nel campo delle soluzioni, quindi si tratta di ​miscela omogenea monofasica come ad esempio una soluzione salina in cui il sale sia completamente disciolto (il reticolo cristallino del sale si è disgregato e gli ioni, che erano presenti nel reticolo, sono circondati da un opportuno numero di molecole d’acqua) perché quando c’è un intimo mescolamento tra il solvente e il soluto non è possibile riconoscere e distinguere il soluto dal solvente, dal momento che le dimensioni del soluto sono paragonabili a quelle del solvente. Le ​sostanze pure possono essere suddivise in due grandi sottoclassi: elementi e composti. 1 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari ❖ Gli ​elementi sono sostanze formate da uno stesso identico atomo, ad esempio gli atomi di rame, di ferro, di oro, ecc. L​’atomo​, dunque, è la più piccola parte di un elemento che conserva tutte le caratteristiche e le proprietà strutturali che consentono di identificare quell’elemento. Ciascun elemento presenta delle caratteristiche proprie sia per quanto riguarda gli stati di aggregazione, caratteristiche legate al colore o al modo in cui l’elemento si trova. Per esempio il mercurio, a temperatura ambiente, risulta essere liquido ed ha una colorazione biancastra; lo zolfo, invece, ha una colorazione giallastra tipica allo stato solido ed è costituito da atomi a formare una struttura a corona; il rame presenta una forma solida ed ha una colorazione rossastra; il ferro solido ha una colorazione grigio scuro; l’alluminio ha uno stato di aggregazione solido ed una colorazione argentea; idrogeno ed ossigeno (entrambi in forma gassosa) sono ottenuti per decomposizione dell’acqua, utilizzando un trattamento chimico (elettrolisi dell’acqua). ❖ I ​composti sono sostanze pure costituite da elementi differenti. Per mezzo di reazioni chimiche possono essere scomposti nei loro elementi costituenti, ad esempio dall’acqua si possono ottenere idrogeno ed ossigeno. L’intuizione di Democrito Democrito di Abdera (V secolo a. C.) fu uno dei primi che ebbe l’intuizione che la materia fosse costituita da corpuscoli/unità indivisibili, recitando: >.​ Tuttavia, questa intuizione venne sepolta nel corso dei secoli con il succedersi di filosofi più importanti, come Aristotele. Successivamente però, verso la fine del Medioevo, avvenne una trasformazione dal metodo empirico alla chimica vera e propria, utilizzando le basi del pensiero scientifico, come il metodo scientifico proposto da Galileo Galilei verso gli inizi del 1600. Il metodo scientifico Il metodo scientifico è il metodo su cui si basano tutte le scienze di tipo quantitativo. Esso si basa essenzialmente su una serie di cose che devono essere verificate. Supponiamo di avere una certa idea riguardo lo studio di un determinato oggetto, la prima cosa che viene individuata è l’oggetto di studio che viene chiamato campione​. Si prende una porzione del campione e lo si sottopone a degli ​esperimenti ​che devono convalidare o meno la nostra intuizione o osservazione iniziale sull’oggetto del nostro studio. Se i dati emersi dall’esperimento hanno una certa logicità, è possibile riconoscere un andamento regolare che può essere formalizzato in una legge da cui scaturisce una determinata ipotesi. L’​ipotesi deve essere nuovamente sottoposta a prove sperimentali. I nuovi esperimenti sono focalizzati a verificare o meno l’ipotesi, se quest’ultima non è confermata allora bisogna formulare una nuova ipotesi, se, invece, è verificata, si può formalizzare una ​teoria​ (spesso in forma matematica). Nel corso degli anni, le teorie vanno sempre verificate sperimentalmente perché una teoria può essere approvata per un certo numero di anni finché non subentrano degli esperimenti che in qualche modo le vanno contro, rendendo necessaria la formulazione di una nuova teoria che possa spiegare i nuovi dati sperimentali. 2 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari In tutto questo percorso vengono utilizzati non soltanto porzioni di materia, oggetto del nostro studio, ma anche modelli​, ovvero strutture/parti di materia che possono essere sintetizzate in laboratorio e che rappresentano delle versioni semplificate della nostra materia permettendo di isolare in maniera perfetta un dato oggetto della materia evitando la possibilità che ci siano altre componenti che possano influire sui dati sperimentali. Ad esempio, se il mio campione presenta delle contaminanti, i dati sperimentali potrebbero esserne influenzati, tuttavia, potrei evitarlo se riuscissi ad ottenere in laboratorio un modello. Legge della conservazione delle masse (Lavoisier) Con l’introduzione del metodo scientifico, si iniziano a condurre determinati esperimenti per arrivare a comprendere la vera natura della materia. Una delle leggi più importanti che vennero fuori a cavallo tra la prima e la seconda metà del ‘700, è la ​legge di conservazione delle masse di Lavoisier che dice: “​Se considero una reazione chimica, la somma delle masse delle sostanze reagenti è identica alla somma delle masse delle sostanze prodotte”​. In pratica, la massa di un determinato elemento non si perde passando da reagenti a prodotti, può essere compresa in un altro prodotto ma come massa resta invariata. Esempi:​ ❖ 2 Al (s) + 3 Br2 (l) → Al2 Br6 (s) La reazione tra bromo molecolare e l’alluminio comporta la formazione dell’esabromuro di alluminio, questa reazione ​sviluppa calore​. ​Cosa accade​? Non ci sono più atomi di alluminio, né molecole di bromo, ma si è formato un nuovo composto, però verificando la somma delle masse dell’alluminio nel prodotto questo sarà uguale alla somma delle masse dell’alluminio nei reagenti (lo stesso vale per il bromo). Posso concludere, dunque, che le masse degli elementi nei reagenti e nei prodotti si sono conservati. ❖ CO2 (g) + H 2 O (l) ⇄ H 2 CO3 (aq) L’anidride carbonica in forma gassosa reagisce con l’acqua in forma liquida a dare l’acido carbonico, si tratta di una reazione in equilibrio e reversibile (doppia freccia). Calcolando le masse dell’ossigeno nei reagenti (3) e nei prodotti (3), ci accorgiamo che la massa non è cambiata e lo stesso vale per il carbonio e l’idrogeno. Tuttavia, è importante precisare che questa legge ​non è valida per le reazioni nucleari ​(che coinvolgono il nucleo) poiché un po’ di massa viene persa in favore di energia e viceversa; come afferma Einstein, ​massa ed energia sono manifestazioni differenti di una stessa grandezza e quindi sono interconvertibili​. Legge delle proporzioni definite (Proust) Nella seconda metà del ‘700, Proust, a seguito di misurazioni sperimentali, propose la legge delle proporzioni definite che dice: “​Un particolare composto, preso da un qualsiasi campione di materia, mantiene sempre gli stessi elementi nel medesimo rapporto di massa. Il rapporto di massa è sempre lo stesso indipendentemente da come l’ho ottenuto​”. 3 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Esempio:​ l’ammoniaca N H 3 è costituita da 3 atomi di idrogeno (pesa 1,00) e da un atomo di azoto (pesa 14,00). Se considero il rapporto di massa tra idrogeno e azoto nell’ammoniaca è 3:1 perché ci sono tre atomi di H legati ad un'unica molecola di N, quindi il rapporto di massa sarà: (1,0 x 3)/14 = 0,214. Sapendo che il rapporto rimane costante​, è possibile ottenere, attraverso semplici calcoli, la massa in grammi di un elemento, conoscendone la massa di un altro. Ad esempio, se abbiamo una quantità di ammoniaca in cui H pesa 12g, sapendo che il rapporto di massa è costante possiamo calcolarci i grammi di N: 12/x = 0,214 12/0,214 = x x = 56 g di N Perciò la massa totale di quella porzione di materia sarà: 12 g + 56 g = 68 g. Al contrario, possiamo risolvere il problema opposto: data una certa quantità di composto, considerando la sua formula minima e i pesi dei singoli elementi, con questa legge possiamo facilmente ottenere le masse degli elementi di cui è formato. Legge delle proporzioni multiple (Dalton) Più o meno nello stesso periodo, Dalton enunciò la legge delle proporzioni multiple, sempre sulla base di evidenze sperimentali che lui aveva raccolto nel suo laboratorio. La legge delle proporzioni multiple afferma: “​Quando due elementi formano due diversi composti, il rapporto tra le masse in un composto rispetto al rapporto tra le masse nell’altro è un numero piccolo intero​”. Questo dà un’idea di come i composti siano costituiti da specifiche unità, altrimenti non verrebbe fuori un numero piccolo intero. Esempi:​ ❖ Se io prendo ossigeno (pesa 16,0) e carbonio (pesa 12,0) posso avere due composti differenti: anidride carbonica ( CO2 ) e monossido di carbonio (​CO​). Considero il rapporto tra gli elementi dei due composti: nel caso della CO2 : 32,0/12,0 = 2,66 nel caso della ​CO​ : 16,0/12,0 = 1,33 Metto in relazione i due rapporti: 2,66/1,33 = 2 ❖ L’azoto (pesa 14,0) e l’ossigeno (pesa 16,0) possono essere presenti in due composti differenti: il biossido di azoto ( N O2 ) e il monossido di azoto (​NO)​. Anche in questo caso, vado a fare il rapporto del peso degli elementi: N O2 : 32,0/14,0 = 2,29 NO​∶ 16,0/14,0 = 1,14 Metto in relazione i rapporti: 2,29/1,14 = 2 Teoria atomica (Dalton) Considerando la legge delle proporzioni definite e delle proporzioni multiple, Dalton enuncia la sua teoria atomica intorno al 1808. I postulati della teoria sono 4: 1. La materia è costituita da particelle indivisibili e indistruttibili: gli ​atomi​. Riprende il vecchio concetto di unità indivisibile anticipato secoli prima da Democrito. 2. Tutti gli atomi di un elemento hanno le stesse proprietà e la stessa massa; atomi di differenti elementi presentano massa e proprietà diverse. 3. I​ composti​ si formano per combinazione, con rapporti semplici, di due o più atomi differenti. 4 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari 4. Una ​reazione chimica comporta il riarrangiamento, la combinazione o la separazione di atomi, ma questi non possono essere creati o distrutti. Visione semplificata dell’atomo L’atomo presenta una zona centrale, il nucleo, costituita da ​nucleoni​, ovvero protoni e neutroni. I ​protoni presentano carica elettrica positiva (1.602 x 10−19 C) ed una massa considerevolmente piccola (1.672 x 10−24 g); il ​neutrone non presenta carica elettrica, ma ha una massa leggermente superiore a quella del protone, è pari a 1.674 x 10−24 g. Gli ​elettroni sono particelle con carica della stessa entità del protone, ma con segno negativo, e una massa 1840 volte inferiore rispetto a quella del protone o del neutrone. Un atomo, per definizione, non presenta cariche nette positive o negative, la sua carica netta è zero, quindi in un atomo il numero di protoni presenti nel nucleo deve essere uguale a quello degli elettroni che ruotano intorno al nucleo. Tuttavia, abbiamo situazioni in cui si possono perdere o acquistare elettroni ed in questo caso dobbiamo parlare di ​ioni​. Quando si perde un elettrone (persi dallo strato più esterno), avremo uno sbilancio di carica, è come se avessi una carica positiva in più, dunque, siamo in presenza di uno ione positivo o ​catione​. Se si acquista un elettrone, abbiamo una carica negativa in più, perciò siamo in presenza di uno ione negativo o ​anione​. A questo punto possiamo definire il ​numero atomico (Z) che corrisponde al ​numero dei protoni ed è importante perché ci permette di identificare l’elemento (ogni elemento ha un suo numero atomico). Il ​numero di massa (A)​, invece, rappresenta la ​somma dei nucleoni​ presenti nel nucleo (protoni + neutroni). Le proprietà chimiche di un atomo e quindi il suo comportamento dipendono dalla configurazione dello strato più esterno di elettroni, ovvero dagli elettroni di valenza. Elementi e allotropia Gli elementi sono sostanze formate da atomi dello stesso tipo. Nell’ambito degli elementi, però, possiamo riconoscere diverse situazioni: Elementi in cui c’è soltanto un atomo​ (si tratta di atomi isolati, ad esempio i gas nobili come Ar e Ne). Elementi che possono essere formati da un numero definito di atomi legati in maniera covalente come lo zolfo, l’ossigeno o l’idrogeno. Elementi possono essere costituiti da un insieme continuo di atomi (tutti uguali) legati in maniera covalente​ come il diamante o la grafite. Elementi ​formati da un insieme continuo di atomi legati da un legame metallico (es. ferro, alluminio, oro, argento, ecc). Si definiscono ​forme allotropiche quelle strutture molecolari che, pur avendo lo stesso tipo di atomo, differiscono per il numero di atomi e la disposizione nello spazio. Per esempio, per quanto riguarda l’ossigeno, abbiamo due forme allotropiche: l’​ossigeno molecolare O2 e l’​ozono O3. Un altro esempio notevole è dato dal carbonio che può esistere come grafite, diamante e fullerene. La ​grafite è formata da vari strati paralleli di atomi di carbonio e ogni atomo di C ne lega altri 3, in pratica sono strutture esagonali disposti una sotto l’altra. Tra un foglio e quelli sottostanti esistono legami deboli che fanno sì che un foglio possa scivolare sull’altro, questo giustifica la friabilità della grafite (che ritroviamo con l’argilla nelle 5 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari mine delle matite). È un conduttore di elettricità perché gli elettroni possono fluire liberamente lungo ciascun foglio, ma non tra i fogli. Nel ​diamante​, invece, ogni atomo di C ne lega altri 4 lungo i vertici di ​strutture tetraedriche​, dunque non ci sono strutture a fogli, ma strutture concatenate che conferiscono al diamante robustezza. È un buon conduttore di calore e viene utilizzato come punta per il taglio di altri oggetti. Il ​fullerene​, scoperto agli inizi degli anni ’90, proviene dalla combustione incompleta (in deficit di ossigeno) di composti organici, lo si trova nella fuliggine e nel nerofumo. Presenta caratteristiche molto simili ad un pallone da calcio, in cui le tessere sono costituite da ​strutture esagonali alternate a strutture pentagonali (in totale 60 atomi di C perciò si può parlare di nanostrutture/nanomolecole). Sono diverse le utilità del fullerene, ad esempio è in grado di “ospitare” all’interno della struttura sferica ioni o molecole e dunque un suo possibile utilizzo potrebbe essere quello di veicolare farmaci o può rappresentare dei microscopici cuscinetti a sfera. Una quarta forma allotropica del C è il ​grafene​, molto simile alla grafite ma costituito da un unico foglio di strutture esagonali in cui c’è la massima velocità degli elettroni e quindi, in questo senso, le possibilità di utilizzo sono molto importanti, come ad esempio in microelettronica può essere utilizzato come sostituto del silicio nei circuiti; può essere usato come sensore ultrasensibile; come nuovo materiale nella costruzione dei pannelli fotovoltaici; ecc. La scoperta di questa forma allotropica è avvenuta pochi anni prima del 2010, A. Geim e K. Novoselov (insigniti del Nobel per la Fisica nel 2010) riuscirono ad ottenere il grafene a partire dalla grafite, eliminandone uno strato alla volta, utilizzando degli “adesivi”, fino ad ottenere un unico strato. Successivamente, il metodo è stato perfezionato. Isotopi o nuclidi Si definiscono ​isotopi di un elemento, atomi che hanno lo ​stesso numero atomico (Z), ma differiscono per il numero di massa (A), quindi presentano una composizione a livello nucleare differente. I ​nuclidi​, invece, rappresentano le ​varie forme nucleari di tutti gli elementi senza fare distinzioni, perciò sia il numero atomico (Z) che il numero di massa (A) possono essere diversi. Rispetto ad un generico elemento (X), troviamo il numero di massa (A) in alto a sinistra, il numero atomico (Z) in basso a sinistra. Esempio isotopi del carbonio: ❖ ⁶₁₂C ​(6 protoni e 6 neutroni) ❖ ⁶₁₄C ​(6 protoni e 8 neutroni) è un radioisotopo che si decompone in elementi più stabili. 6 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Alcuni isotopi sono stabili, altri sono instabili e tendono a disintegrarsi, trasformandosi in elementi più stabili. Durante questo processo vengono emesse radiazioni di varia natura: α, β e γ. Utilizzando la radiazione del radiocarbonio ( ⁶₁₄C ) è stato possibile conoscere l’età di ​Otzi o ​Uomo del Similaun,​ una mummia che risale a circa 5300 anni fa e che è stata ritrovata nel 1991 ai confini tra le Alpi italiane e austriache. Deviazioni delle radiazioni α, β e γ sotto l’azione di un campo elettrico Immaginiamo che un elemento radioattivo emetta radiazioni e che il raggio venga fatto passare attraverso delle fenditure per guidarlo attraverso un campo elettrico costituito da due piastre cariche di segno opposto. Per individuare il punto in cui va ad incidere il fascio, viene utilizzato una lastra fotografica o schermo fosforico. Nel caso di un ​elemento β-emittente​, la radiazione viene deviata e attirata dalla piastra con segno positivo, le particelle β sono, dunque, elettroni ad alta velocità sparata (carica negativa). Nel caso di un ​isotopo α-emittente​, si è osservato che le particelle α sono deviate e attirate maggiormente verso la piastra con carica negativa, questo ha permesso di definire le particelle α come cariche positive (infatti, sono nuclei di elio). In un elemento γ-emittente​, invece, la radiazione non viene deviata, si tratta di un fascio che non presenta, dunque, cariche elettriche (è una radiazione elettromagnetica). Le radiazioni meno penetranti sono le radiazioni α che possono essere bloccate anche da fogli di carta (infatti, le particelle α sono le più pesanti); le radiazioni β superano agevolmente i fogli di carta, ma possono essere bloccate da una lamina di piombo di circa 0,5 cm di spessore; le più penetranti, dunque le più pericolose, sono le radiazioni γ che possono essere fermate da un blocco di piombo dallo spessore minimo di 10 cm. Grafico di stabilità e decadimento degli isotopi La ​stabilità di un nucleo ​dipende dal rapporto tra il numero di protoni e il numero di neutroni. Il nucleo ha dimensioni estremamente ridotte, in questo raggio ci sono forti ​forze di repulsione elettrostatica tra i protoni che tendono a far sì che un protone si allontani dall’altro; nel nucleo sono presenti, inoltre, anche 7 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari forze nucleari a corto raggio che sono ugualmente forti e tendono a tenere insieme neutroni e protoni. È come se la presenza dei neutroni vada ad ostacolare la forte repulsione elettrostatica tra i protoni, ecco perché deve esserci un giusto rapporto neutroni-protoni che permetta una certa stabilità del nucleo. Il grafico mostra sull’asse delle ​x il numero dei protoni (Z) e sull’asse delle ordinate il numero di neutroni (N). Ci sono una serie di punti che identificano un determinato nuclide​: quelli stabili sono in nero, quelli instabili in rosso (presenti al di sopra e al di sotto dei nuclidi stabili). Tutti i radioisotopi instabili tendono, in seguito al decadimento, alla stabilità, tuttavia, le modalità di disintegrazione sono diverse e dipendono dalla loro posizione, ovvero se si trovano al di sopra o al di sotto della curva di stabilità (striscia dei puntini neri). Da questo grafico si deduce che tutti gli elementi oltre il Bismuto (numero atomico 83) sono tutti radioisotopi instabili e radioattivi, tendono pertanto alla stabilità, decadendo, disintegrandosi, emettendo radiazioni. Oltre il Bismuto abbiamo emissioni di radiazioni α, ad esempio l’Americio si disintegra, trasformandosi in un isotopo più stabile (il Nettunio) ed emettendo radiazioni α. La stabilità dipende dal rapporto tra neutroni e protoni che è 1 fino a circa Z=20. Dunque, fino al Ca abbiamo una stabilità del nucleo dovuta ad un numero molto simile tra protoni e neutroni. La linea retta rappresenta un rapporto ideale di circa 1, che non si rispetta nel momento in cui si supera il Ca, infatti ​si ha uno stacco verso l’alto poiché viene meno il rapporto di 1:1 tra protoni e neutroni. Dall’elemento Ca in poi, per avere una stabilità, il numero dei neutroni deve essere necessariamente più alto di quello dei protoni. Esaminando i ​radioisotopi che si trovano al di sopra della curva​, la reazione nucleare sarà accompagnata da emissioni β​. Il rapporto tra neutroni e protoni è troppo sbilanciato, ci sono più neutroni rispetto ai protoni che ci dovrebbero essere per dare stabilità, quindi, a livello nucleare un neutrone (n) viene convertito in un protone (p). Esempio:​ Reazione n. 1 (riquadro rosso): Il numero di massa rimane identico perché non ho fatto altro che trasformare un neutrone in protone, cambia, invece, il numero atomico (Z), infatti cambia l’elemento stesso. Se i radioisotopi si trovano al di sotto della curva di stabilità, il numero di neutroni risulta essere più basso rispetto a quello ottimale per la stabilità. In questo caso, possiamo avere 3 reazioni nucleari: ❖ Emissione di positroni β+ (elettroni che presentano carica positiva): a livello del nucleo, un protone viene convertito in neutrone e per bilanciamento delle cariche vengono emessi positroni. Il numero di massa non cambia, varia il numero atomico perché c’è un protone in meno. Ex. Riquadro blu n. 1 ❖ Cattura elettronica​: un elettrone più interno (vicino al nucleo) viene catturato e assieme ad un protone va a formare un neutrone (carica positiva + carica negativa = nessuna carica). Il numero di massa non cambia, ma varia il numero atomico. Ex. Riquadro blu n. 2 ❖ Rilascio di protoni accompagnato da un’emissione γ​: in questo caso cambia sia il numero di massa (perché un protone è stato allontanato), sia il numero atomico che diminuisce. Ex. Riquadro blu n. 3 8 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Velocità di decadimento/disintegrazione radioattivo La velocità di decadimento è determinata dall’​attività (A), ​ossia dal numero di disintegrazioni osservate per unità di tempo, in altre parole il numero di radionuclidi instabili che si disintegrano in un’unità di tempo. L’attività è proporzionale alla quantità del campione radioattivo (segue una cinetica di primo ordine), perciò se io dimezzo la concentrazione iniziale dell’isotopo, dimezzo anche l’attività o se raddoppio la concentrazione, raddoppio l’attività. Il tempo di dimezzamento è il tempo necessario a ridurre a metà la quantità iniziale del campione radioattivo ed è indipendente dalla quantità del campione radioattivo: t1/2 = 0.693/k , dove k è la costante cinetica dell’isotopo in questione. Il tempo di dimezzamento rimane costante. Per concentrazione più basse il decadimento risulta meno veloce. Sintesi e distribuzione del Carbonio-14 L'archeologia ed altre scienze umane utilizzano la datazione al carbonio-14 come metodo che consente di stimare l'etá di un reperto sfruttando la radioattivitá residua. Il radiocarbonio, o ​carbonio-14​, è un isotopo instabile del carbonio e leggermente radioattivo. Gli isotopi stabili sono il carbonio-12 e il carbonio-13. Circa il 98,8% di carbonio presente nell'atmosfera si trova sotto forma di C-12, soltanto un 1% come C-13 mentre il C-14 occupa la percentuale residua. Quest’ultimo si forma continuamente nell’​alta atmosfera​, per effetto dei raggi cosmici che,interagendo con i neutroni, convertono gli atomi di ​azoto-14​. Piante ed animali, nel corso della loro vita, assimilano carbonio-14 dall’anidride carbonica; le piante introducono infatti la CO2 durante la fotosintesi, gli animali erbivori si cibano delle piante e a loro volta i carnivori si cibano degli animali erbivori. Quando un animale o una pianta muore, l'equilibrio dinamico instaurato smette di esistere, lo scambio di carbonio con la biosfera cessa, ed il loro contenuto di carbonio-14 inizia a diminuire seguendo la legge del decadimento radioattivo. Quando l'animale muore, il C-14 decade come N-14 ed emette radiazioni 𝛃 (fasci di elettroni veloci). Il 𝛎 (ni), presente nella formula del decadimento del C-14, rappresenta un ​neutrino che serve a bilanciare energicamente la reazione. Nelle precedenti equazioni questo simbolo non è stato inserito per ragioni di semplificazione, tuttavia solitamente le radiazioni sono sempre accompagnate da particelle piccole e leggere come ad esempio neutrini e antineutrini. 9 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Supponiamo di voler conoscere, tramite il metodo della datazione con C-14, l'età di un pezzo di legno di acacia proveniente dalla tomba del faraone Zoser. In una cinetica di primo ordine, quale quella del carbonio, l'attività è direttamente proporzionale al numero dei nuclidi. La cinetica di primo ordine è rappresentata dall'equazione integrata ln AA =− k t. Nella seguente formula ​k 0 rappresenta la costante cinetica ed è caratteristica di ciascun radioisotopo, ​A ​indica l’attività odierna dell’isotopo, mentre ​A​0​ l'attività alla morte del campione da analizzare. Tale tipologia di approccio, tuttavia, deve tener conto di molteplici variabili che potrebbero condizionarne il risultato: per effettuare il calcolo si assume dunque che la quantità di C-14 presente nell’atmosfera odierna sia uguale a quella di centinaia o migliaia di anni fa. È necessario tener conto di una variazione della concentrazione attuale di carbonio-14 di circa il 10%. Posta dunque l’attività assunta all’origine come 12 dpm (disintegrazione per minuto) per grammo di carbonio e quella misurata al momento del ritrovamento come 7,04 dpm per grammo di carbonio è necessario calcolare k. La costante cinetica è pari a 0,693 diviso il tempo di dimezzamento del C-14, che corrisponde a 5730 anni. K equivale a 1.21 x 10-4 anni-1. La risoluzione dell’equazione consente di individuare ​t che nel caso del legno di acacia della tomba del faraone Zoser corrisponde a 4800 anni. Tale metodo può’ essere utilizzato soltanto per reperti che occupano un arco di tempo misurabile tra 100 e 40.000 anni. Se si presuppone che il reperto risalga ad un’era ben più lontana gli studiosi utilizzano altri isotopi con tempi di dimezzamento più lunghi come ad esempio il potassio-40. Il difetto di massa Il nucleo di un atomo di elio è costituito da 2 neutroni e 2 protoni. Se poniamo il nucleo sul piatto di una bilancia, mentre sull’altro pesiamo le medesime particelle separate, possiamo osservare che il peso di quest’ultimo sarà maggiore rispetto a quello in cui protoni e neutroni sono legati tra loro: tale fenomeno prende il nome di difetto di massa​. Secondo quanto afferma ​Einstein massa ed energia sono manifestazioni differenti di una stessa grandezza, e dunque tra loro interconvertibili per la formula ΔE=(Δm)c²​. Parte della massa del nucleo è stata infatti convertita in energia utilizzata come energia di legame nucleare e, per questo motivo, il peso del nucleo di elio sarà minore rispetto a quello delle particelle costituenti disgiunte tra loro. L’energia di legame nucleare è diversa per ciascun atomo. Per tracciare un grafico che consenta di conoscere le diverse energie è necessario calcolare l’energia di 10 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari legame per nucleone che corrisponde al difetto di massa diviso il numero di nucleoni presenti. Il grafico mostra che l’​energia di legame per nucleone è massima per il ferro con numero di massa 56. La zona gialla rappresenta la zona di massima stabilità​, la quale diminuisce quando ci si sposta a destra o a sinistra della fascia. La stabilità diminuisce per atomi con numero di massa minore di 56 o maggiore di 80 e tutti questi elementi tenderanno a raggiungerla tramite il processo di fusione o di fissione. Nel caso della fusione i ​radionuclidi​, fondendosi tra loro, tendono ad assumere un numero di massa maggiore che si avvicini a 56, mentre con la fissione nuclei più grandi tendono a raggiungere la medesima stabilità disintegrandosi. I radioisotopi vengono largamente utilizzati anche in campo medico per alcune particolari tecniche come la Scintigrafia​, una tecnica di diagnostica per immagini. Utilizzando i radioisotopi è possibile costruire l’immagine computerizzata di un determinato organo o tessuto con l’obiettivo di evidenziare l’eventuale presenza di patologie. Le tipologie di Scintigrafia variano a seconda del tipo di organo che si vuole analizzare. Uno degli esempi più completi e in uso è quello della ​Scintigrafia ossea total body,​ ma è possibile effettuare anche quella della tiroide. Per mettere in atto questa tecnica si utilizzano radioisotopi ​γ-emittenti (Tecnezio-99, Ferro-53, ecc.). Ogni radioisotopo viene utilizzato in relazione ad un particolare organo o tessuto, ad esempio per la Scintigrafia ossea total body​ viene utilizzato il Tecnezio-99. L’isotopo radioattivo viene incorporato dal paziente sotto forma di ​sale tramite vari metodi (per endovena o inalazione). Il radioisotopo tende ad accumularsi in particolari zone; lo Iodio, per esempio, si accumula nella zona tiroidea. Durante l’esame vengono inalate dal paziente ​dosi molto basse del radioisotopo per far si che questi non risulti nocivo. La pratica viene eseguita ​dopo circa due ore dall’assunzione del farmaco in modo tale che esso possa distribuirsi in tutto il corpo. A questo punto il paziente viene fatto stendere su un lettino e passa sotto un ​anello rilevatore in grado di captare le radiazioni γ emesse dall’isotopo utilizzato. Lo strumento in questione è collegato ad un computer che presenta dei particolari software capaci di rielaborare un’immagine sulla base delle radiazioni emesse; questi dati sono analizzati da un operatore esperto in grado di individuare possibili situazioni patologiche, come delle metastasi a livello osseo, fratture, oppure artrosi. Uno degli aspetti che è necessario considerare è il ​tempo di dimezzamento dei vari radioisotopi; questo infatti non deve essere molto lungo in modo tale che il farmaco possa degradarsi rapidamente. A causa dei livelli di radioattività contenuti nell’organismo è importante mantenere le distanze da bambini e donne in uno stato di gravidanza per almeno 24 h. Tuttavia la scintigrafia non è l’unica opzione, esiste infatti una tecnica molto più sofisticata che è quella della PET (tomografia ad emissione di positroni)​. In questo caso vengono utilizzati radioisotopi che emettono ​positroni e che hanno una vita estremamente breve. Come per la Scintigrafia il paziente integra il radioisotopo sottoforma di sali​. Gli isotopi utilizzati hanno generalmente un ​tempo di dimezzamento molto breve che varia da ore a addirittura pochi minuti. Come nel caso della Scintigrafia il paziente completa l’esame grazie ad un ​anello rilevatore di raggi γ​. Tuttavia in questo caso il processo cambia leggermente: i ​positroni emessi dal radiofarmaco incontrano degli ​elettroni a livello dei tessuti e ciò che accade è un vero e proprio ​annichilimento materia-antimateria​. Questa reazione emette due raggi γ a 11 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari 180 gradi di distanza l’uno dall’altro che incidono sull’anello rilevatore. Anche in questo caso lo strumento è collegato ad un sofisticatissimo computer che permette di elaborare un’immagine raffigurante una mappa dei raggi γ. La PET risulta essere una pratica anche più avanzata e costosa rispetto alla Scintigrafia. Un esempio di utilizzo di questa tecnica diagnostica è quello effettuato su un cervello affetto da Alzheimer, in questo caso è stato utilizzato l’isotopo radioattivo Carbonio-11 incorporato all’interno delle molecole di glucosio a 6 atomi di Carbonio. L’attività cerebrale è misurata proprio tramite i livelli di consumo di glucosio che sono molto alti in un cervello umano sano. Queste aree sono rappresentate da zone con colorazione rossastra (vedi foto), al contrario, nella PET di un cervello affetto da morbo di Alzheimer prevalgono zone dalla colorazione bluastra ad indicare un’attività cerebrale nettamente inferiore a causa del deperimento dei tessuti. Definizione di peso atomico, peso molecolare e mole In particolare le particelle subatomiche presenti nel nucleo sono espresse con l’ordine di grandezza di 10​-24​, essendo numeri abbastanza piccoli non possono essere utilizzati in maniera agevole. A questo proposito si prende in considerazione una grandezza come riferimento, ovvero la dodicesima parte dell’isotopo Carbonio 12 pari a 1,6605 x 10⁻²⁴ g. Si indica questo riferimento come unità di massa atomica (u.m.a.), oppure Dalton. Dunque la massa atomica ​di un qualsiasi elemento è sempre rapportata a questa misura di riferimento (​u.m.a.​); inoltre essendo risultante da un rapporto, è una ​grandezza relativa ed è adimensionale​. Un esempio può essere dato dall’idrogeno, che ha una massa di 1,673x10^⁻²⁴ g, se la rapportiamo alla grandezza di riferimento 1,66 x 10⁻²⁴ g otterremo come risultato di 1,008 u.m.a che corrisponde alla massa atomica relativa dell’elemento in questione. Tuttavia le masse atomiche per ciascun elemento scritte all’interno della tavola periodica sono il risultato di medie. Infatti i vari elementi contengono isotopi con masse differenti: bisogna dunque valutare la percentuale con cui l’isotopo è rappresentato all’interno dell’elemento e la sua massa atomica relativa. Un esempio può essere fornito dal Cloro e dai suoi isotopi: Cloro-35 e Cloro-37 che hanno rispettivamente massa di 34,96 e di 36,96 e hanno inoltre una loro abbondanza relativa 0,76 (Cloro-35) e 0,24 (Cloro-37). Moltiplicando la massa atomica relativa per l’abbondanza (ciò va fatto per ogni isotopo), si otterranno due valori che andranno sommati. Il risultato di quest’operazione corrisponde alla massa media dell’elemento. 12 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Cosa si intende per molecola?​ La molecola è la ​più piccola unità discreta (ed è importante il termine discreta, indica isolabile, che ha vita a sé e posso isolarla dal contesto generale, da tutte le altre molecole) costituita da due o più atomi che possono essere uguali o diversi, per cui, per esempio considerando l’ossigeno come elemento, O₂ è una molecola di ossigeno e O₃ è una molecola di ozono. Quindi la molecola è la più piccola unità discreta costituita da due o più atomi uguali o diversi, che ​mantiene le stesse caratteristiche chimiche del composto​. Lo stesso vale per l’ammoniaca (NH₃) o per una molecola più grande come il glucosio (C₆H₁₂O₆), sono molecole discrete, quindi, possono essere isolate da tutte le altre ed hanno una loro esistenza singolarmente. Il ​peso molecolare rappresenta la somma dei pesi atomici di tutti gli atomi che costituiscono la molecola “discreta”. Esempio: ​Nel caso dell’acqua H₂O, l’ossigeno ha un peso atomico di 16 (espressi in Dalton), l’idrogeno di circa 1, ci sono 2 atomi di H, sommandoli avremo 18. Quindi il peso atomico dell’acqua è 18 d. Con lo stesso ragionamento possiamo calcolare i pesi molecolari di tutte le molecole discrete. Per composti costituiti da un insieme continuo di atomi, si parla di ​formula empirica o unità formula​, che indica il minimo rapporto esistente tra gli atomi. Un caso molto chiaro e caratteristico è quello dei ​sali​: nel comune sale da cucina (NaCl) il reticolo cristallino è costituito da ioni sodio e ioni cloruro, ma non esiste una singola molecola di Na⁺ e Cl⁻, per “motivi termodinamici”. È chiaro che per questi composti, tipo i sali o i reticoli cristallini dei metalli, costituiti da un insieme continuo di atomi metallici (anche di diverso tipo), non si può individuare o discretizzare una molecola ben precisa. Posso indicare il minimo rapporto tra gli atomi e quindi l’unità formula, ma non esiste una molecola singola di un sale o di un metallo. In questo caso non possiamo utilizzare il termine molecola, ma si deve utilizzare, invece, il termine unità formula​. Per questi tipi di composti, metalli o sali, non possiamo parlare di peso molecolare, perché non esiste la molecola, tuttavia possiamo parlare del ​peso formula​, in riferimento all’unità costituente, all’unità formula: esso è la ​somma dei pesi atomici di tutti gli atomi che costituiscono la formula empirica​. Quindi quel rapporto minimo, ma ovviamente non possiamo dire peso molecolare, dobbiamo parlare per questi altri composti di peso formula, anche se da un punto di vista matematico non cambia niente. Ora, tutto ciò che abbiamo visto fino ad ora, il peso atomico preso come riferimento e il dalton, riguarda la situazione ponderale a livello microscopico, ma a livello macroscopico, per quantità maggiori di atomi è possibile avere una grandezza di riferimento? Il primo che ebbe l’idea, anche se non la sviluppò successivamente, ma sicuramente quello che dette avvio a questo problema, cioè il fatto di definire una grandezza di riferimento a livello macroscopico, per quanto riguarda la quantità di materia, è stato ​Avogadro​, tant’è vero che poi successivamente in onore di questi suoi primi studi, il famoso numero di Avogadro venne indicato con il suo nome. Che cosa indica il numero di Avogadro? ​Indica il numero di atomi, 6,022×10²³ che sono presenti in 12g di ₆¹²C. È questa la quantità di materia che è stata presa come riferimento ed in particolare quel numero, quella quantità di materia a cui corrisponde quel numero di Avogadro di atomi, viene indicata come ​mole​. Se misura con sofisticate strumentazioni il numero di atomi presenti in 12g di ₆¹²C , esso corrisponderà al numero di Avogadro. Lo stesso numero si ottiene se dividiamo 1 grammo per l’unita di massa atomica che abbiamo preso come riferimento, 1,6605x10-24 (u.m.a.). 13 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Possiamo definire il concetto di MOLE, che cosa rappresenta la mole in chimica? Rappresenta quell’​unità di massa​ che corrisponde ad un numero di Avogadro di particelle. Quindi si definisce MOLE la quantità di materia che contiene un numero di Avogadro di particelle (atomi, molecole o altre unità fondamentali), dipende ovviamente da quale materia stiamo trattando. Esempio​: In questi Becker vediamo tutta una serie di elementi, ognuno dei quali rappresenta una mole di quell’elemento. Nello Zolfo, che pesa 32,066 g, rappresenta una mole di Zolfo, perché in quei 32,066 g sono presenti un numero di Avogadro di atomi di Zolfo, 6,022×10²³ atomi di Zolfo. Lo stesso varrà per il Magnesio, lo Stagno e il Silicio e questi sono i relativi pesi di una mole. Quindi per il Silicio che è 28,086 g, in questa quantità sono presenti 6,022×10²³ atomi di Silicio, quindi questa quantità in grammi corrisponde ad una mole. Riassumendo​: ​possiamo dire che la quantità in grammi presente in una mole (g/mole) di un elemento o composto è chiamata MASSA o PESO MOLARE. In questo caso massa o peso molare per i chimici non fa differenza, nel senso che esiste una differenza tra la massa che è una misura della quantità di materia, mentre il peso è una forza esercitata dalla forza di gravità su una determinata massa. Per quanto ci riguarda possiamo indicare, senza commettere grossi errori, massa o peso in maniera equivalente, quindi parleremo di massa o peso molare. Quindi la massa di una mole di un determinato elemento viene chiamata, giustamente, massa o peso molare. Relazione esistente tra peso/massa molare e peso molecolare: Se vado a considerare da un punto di vista numerico, la massa di una mole, come numero che è espresso in grammi, corrisponde allo stesso del peso molecolare che è espresso invece in u.m.a. o Dalton. In altri termini, se considero una singola molecola d’acqua, questa ha un peso molecolare di 18 uma; se volessi una mole di molecole d’acqua, il che vorrebbe dire andare a prendere 6,022×10​23 molecole e considero il suo peso in grammi, esso sarà sarà 18 g. Quindi è diversa l’unità di misura, ma il numero è identico. Questa è la relazione che lega la massa molare con la massa atomica o molecolare. Se io considero x (massa in g di una mole) e la divido per il numero di Avogadro, avrò la massa in grammi di un singolo atomo (y). Se io voglio ottenere la massa di x espressa in Dalton, devo dividere la massa in grammi di un atomo (y) per l’unità di massa atomica, quello che ottengo è un valore (x) che esprime la massa atomica in Dalton, che è uguale alla massa in grammi (x) di una mole. Esempio​: ​Il saccarosio è un disaccaride che presenta una massa di una mole pari a 342,3. Per ottenere la massa in grammi di una singola molecola di saccarosio devo dividere la massa in grammi di una mole per il numero di Avogadro. 14 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Se adesso voglio esprimere la massa di una molecola di saccarosio in Dalton, devo dividerlo per l’unità di massa atomica: Come si può vedere i due numeri 324,2 e 342,3 sono uguali, approssimando. Riassumiamo​ la situazione ponendo anche gli esempi sui problemi: la MOLE esprime la quantità espressa in grammi pari alla massa della sostanza (atomo o molecola) espressa in unità di massa atomica. Quindi, se io vado a prendere il cloruro di sodio (NaCl) e vado a considerare il peso atomico del Na e il peso atomico del Cl (espressi in Dalton), il peso formula, preciso peso formula e non peso molecolare, perché l’NaCl è un sale e non possiamo parlare di molecola, sarà uguale a 58,44 uma. Quindi, questo vuol dire che una mole di NaCl avrà un peso di 58,44 g. Una mole di una qualsiasi sostanza contiene lo stesso numero di particelle, detto Numero di Avogadro: N: 6,022×10​23​. Il NUMERO DI MOLI contenuto in una certa quantità di massa, espressa in grammi, può essere calcolato da questa semplice relazione: dividendo la massa in grammi per il suo peso molecolare (o peso formula, nel caso di sale e metalli), ottengo il numero di moli presenti in una certa quantità di massa, espressa in grammi. Problema​:​ data una massa di NaCl pari a 233,76 g, quant’è il numero di moli e il numero di unità formula? Il n (moli) sarà la massa in grammi dell’NaCl, diviso il suo peso formula. Quindi, questo vuol dire che ci sono 4 moli in una massa di NaCl di 233,76 g. Per conoscere il numero di unità formula, basta moltiplicare il numero di moli per il numero di Avogadro, considerando che ogni mole presenta il numero di Avogadro di unità formula. Suddivisione e natura dei 3 stati di aggregazione della materia e i loro passaggi di stato I tre stati sono solido, liquido e gassoso anche se ne esiste un quarto, indicato come stato di plasma, in cui la materia è ionizzata, cioè sotto forma di ioni, ma che non è presente alle nostre temperature. Il plasma si può ottenere a livello delle stelle e quindi parliamo di milioni di gradi kelvin. Passaggi di stato: 15 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Differenze tra gli stati di aggregazione: Nello ​stato gassoso​, la materia si presenta sottoforma di particelle (utilizzato il termine generico di particella), che sono in continuo movimento tra di loro. In pratica, nessuna particella è vincolata alle particelle che le sono vicine. Quindi, c’è un’assenza totale dei legami e questo permette alle particelle di occupare tutto il volume a disposizione, assumendo anche la forma del volume, del contenitore che racchiude le particelle in forma gassosa. La condizione specifica dello stato di aggregazione gassoso è ​l’assenza totale di attrazioni e quindi di legami tra le varie particelle. Se in qualche modo variamo la temperatura, con una diminuzione o un aumento, avremo una situazione che porta alla condensazione, nel senso che passiamo dalla forma gassosa alla forma liquida. Lo ​stato liquido è una situazione in cui la materia è presente sotto forma di particelle, le quali, questa volta, non sono completamente libere le une rispetto alle altre, ma incominciano ad essere vincolate con forze deboli. Vi è quindi una debole attrazione e sussistono dei legami deboli tra le particelle della materia. I liquidi assumono la forma del recipiente, ma hanno un volume proprio. Ad esempio: un litro di latte è un litro sia nel caso in cui lo mettiamo in una scatola, sia in una bottiglia. Agendo nuovamente sulla temperatura e sulla pressione, cioè diminuendo ulteriormente la temperatura o aumentando la pressione sul sistema, passo dallo stato liquido allo ​stato solido attraverso un processo di solidificazione. Nello stato solido la materia è formata da particelle che sono ​fortemente vincolate le une alle altre, ci sono delle ​forze attrattive​, ​di coesione che sono molto più forti. Sono presenti dei ​legami forti tra le particelle costituenti la materia nello stato solido, per cui le particelle sono costrette ad assumere una determinata disposizione, obbligata nello spazio. Pertanto, i solidi hanno una forma e volume propri. Proprietà e caratteristiche dei gas La pressione di un gas può essere definita come la ​forza delle collisioni delle molecole del gas sulla ​superficie ​o area​. La forza delle collisioni dipende da due fattori: -dal ​numero di collisioni​, perché, se aumenta il numero delle collisioni, c’è una maggiore pressione sull’area. -dalla ​forza media per collisione​ che dipende dall’energia cinetica che le molecole posseggono. In particolare: , ​dove m ​è la ​massa della molecola gassosa e ​v è la media delle velocità al quadrato. La definizione di pressione di un gas viene fuori dalla ​teoria cinetico-molecolare​, che mostra, a livello microscopico, il comportamento di un gas. Essa può essere riassunta nel seguente modo: le molecole si muovono in tutte le direzioni, sono in continuo movimento e seguono un movimento rettilineo. Esse non sono vincolate le une alle altre da un punto di vista teorico e incidono sulle pareti del recipiente, senza però che l’energia totale media cambi. L’energia cinetica media rimane costante, anche se le molecole urtano contro le pareti del recipiente. Questi sono i capisaldi della teoria cinetico-molecolare e sulla quale noi possiamo indicare il significato della pressione di un gas, forza delle collisioni su una determinata superficie. La ​pressione parziale​ di un gas è la pressione esercitata da un gas, se questo si trova solo. Immaginiamo l’atmosfera, che è costituita da una miscela di gas, se consideriamo la pressione parziale di un gas rispetto ad un altro, questa indicherebbe la pressione esercitata da quel gas, se da solo occupasse il volume totale a disposizione. Di conseguenza, in base a questo, noi possiamo ottenere la pressione totale di una miscela di gas, che secondo la legge di Dalton delle pressioni parziali: viene fuori, facendo la sommatoria delle pressioni parziali P​Tot. = ​ P1 + P2 + P3... 16 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Legge dei gas ideali o legge dei gas perfetti:​ PV=nRT Questa legge proviene dal mettere insieme tre leggi, che sono state messe a punto sperimentalmente nel corso degli anni da ​Boyle,​ ​Charles e Avogadro​. La legge di Boyle dice che considerando la temperatura e n (numero di moli) e quindi la quantità di materia costanti, il volume è inversamente proporzionale alla pressione. Se aumento il volume, diminuisce la pressione e viceversa. La legge di Charles dice che a pressione e quantità di materia (n) costanti, il volume è direttamente proporzionale alla temperatura. Quindi, aumentando la temperatura, aumenta il volume del gas. La legge di Avogadro dice che il volume di un gas è direttamente proporzionale alla quantità di materia. Se la quantità di materia aumenta, aumenta il volume del gas, mantenendo costanti pressione e temperatura. Se io considero in condizioni standard (Pressione = 1 atm e Temperatura= 0 °C o 273,15 K) il volume di una mole di un qualsiasi gas, questo presenterà sempre lo stesso valore, 22,414 L, in virtù della legge di Avogadro. Funzionamento airbag Il funzionamento del dispositivo dell’airbag è correlato alla legge di Avogadro, cioè il volume del pallone ha una certa dimensione, perché vi sono un certo numero di moli di quel gas che viene sviluppato: se aumenta, aumenta anche il volume del pallone dell’airbag. A livello dell’airbag (che è nascosto in varie parti delle auto come il volante e il cruscotto del lato passeggero) troviamo un dispositivo che presenta un sensore altamente sensibile a delle decelerazioni improvvise e violente, come per esempio decelerazioni dovute a degli urti. Queste decelerazioni fanno sì che il sensore venga attivato e a sua volta mandi un impulso elettrico a livello di questa camera (vedere foto a lato), in cui vi è un sale (sale sodio azide, NaN₃) che si trova in forma solida in dei blocchetti, e l’impulso elettrico innesca una reazione che porta alla sublimazione, all’immediato cambiamento di stato, dallo stato solido di questo sale in azoto. Viene sviluppato azoto sotto forma gassosa e l’azoto riempie immediatamente il sacco (foto a lato), in tempi al di sotto del secondo, parliamo di millisecondi. Successivamente, in tempi sempre molto brevi, c’è un dispositivo che permette la fuoriuscita dopo circa 0,2/0,3 secondi dell’azoto. Considerando le 3 leggi (la legge di Boyle, la legge di Charles e quella di Avogadro) in modo organico si conviene che il volume, (al primo membro), è correlato linearmente al numero di moli, alla temperatura ed inversamente correlato alla pressione. Questa relazione di proporzionalità riunisce le 3 leggi, Boyle, Charles e Avogadro: Il segno di proporzionalità può essere espresso, mettendo un’uguaglianza, se viene introdotta una costante, la costante universale dei gas, R e che avrà un valore differente in relazione alle unità che sono state prese. 17 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari Solitamente la costante universale dei gas, R, è espressa in L x atm/K x mol, e ha questo valore: 0.082057 L x atm/K x mol. Questa costante serve a collegare tra loro le proprietà dei gas: pressione, temperatura, quantità di materia e volume. Se introduco questa costante, posso mettere l’uguale ed eliminare il segno di proporzionalità. Quindi avremo: V=R(nT/P) oppure PV=nRT (n: numero di moli, R: costante universale dei gas, T: temperatura assoluta). Questa è la legge dei gas ideali o perfetti, che correla le proprietà dei gas: è rigorosamente valida per temperature vicine a quella ambiente (intorno ai 25 °C) o a pressioni minori o uguali si 1 atm. Se le condizioni, temperatura e pressione si discostano dalle condizioni ambientali allora non possiamo più considerare la legge dei gas ideali, perché non siamo più in presenza di un gas ideale, ma di un gas reale. Comportamento non ideale: i gas reali Un gas per essere considerato ideale deve avere queste caratteristiche: 1. Il volume occupato da una singola molecola di gas deve essere molto piccolo rispetto al volume a disposizione, cioè deve avere una libertà di movimento, una possibilità di muoversi molto ampia. Quindi ​il volume di una molecola gassosa dev’essere molto piccolo rispetto al volume a disposizione. 2. ​L’urto tra le molecole deve essere elastico (non devono essere presenti forze attrattive intermolecolari) in modo tale che l’energia cinetica totale rimanga costante, cioè ​non ci devono essere delle forze di coesione tra le molecole del gas, perché altrimenti l’urto non è completamente elastico. Queste caratteristiche sono mantenute tali a temperature vicino a quella ambiente o a pressioni di 1 atm o più basse. Per pressioni più alte, ad esempio 1,5 atm o temperature molto più basse rispetto a 25 °C, abbiamo un comportamento dei gas, che non è più un comportamento ideale in quanto non vengono più rispettate le due caratteristiche (1., 2.): la legge dei gas ideali non può essere più utilizzata. Questo perché, per avere un’alta pressione, si deve ridurre il volume a disposizione di un gas e questo vuol dire che il volume occupato da una singola molecola non può più essere trascurabile, contrastando il punto 1. Diminuendo la temperatura, si può andare incontro ad una situazione che causerà la liquefazione del gas, cioè il passaggio dallo stato gassoso allo stato liquido: qui le molecole del gas iniziano a risentire di forze attrattive tra di loro. Immaginiamo di avere due contenitori, nel secondo la pressione sarà maggiore, perché ho diminuito il volume. Quindi immaginiamo di avere una serie di particelle gassose, che occuperanno un proprio volume e che hanno un certo spazio a disposizione. Se aumento la pressione, a pressioni più elevate, il volume diminuisce. Lo stesso numero di particelle gassose avrà un volume più ridotto, rispetto alla precedente situazione, per cui non posso più trascurare il volume delle singole molecole. Per cui, in questo caso, se aumento la pressione, oltre 1 atm, mi trovo nella situazione in cui non posso più trascurare il volume delle molecole, quindi mi trovo già in una situazione di non idealità per quanto riguarda i gas. Nel caso in cui ci sia una diminuzione della temperatura, mi trovo in una situazione in cui sono vicino alla liquefazione, che porterà a delle interazioni deboli tra le varie molecole; quando si formerà il liquido. Una molecola, per generare una pressione, deve incidere con un numero di urti sulla superficie del recipiente, però la pressione che questa molecola esercita non sarà quella ideale, sarà minore, perché risentirà delle interazioni attrattive delle altre molecole del gas che sono vicine e che cominciano a farsi sentire quando la temperatura diminuisce, quando siamo vicini al punto di liquefazione. A temperature ordinarie, attorno ai 25 °C, queste interazioni non ci sono, ma diventano importanti quando scendiamo al di sotto di un certo livello di temperatura. Quindi è chiaro che la pressione esercitata da una molecola sulla superficie del recipiente avrà un valore inferiore rispetto a quello ideale, perché risente dell’attrazione delle altre molecole di gas. Nel caso in cui mi trovi in queste condizioni, cioè temperature più basse e pressioni più alte, ovviamente il 18 Chimica inorganica - Prof. Giuseppe Capitanio - a.a. 2020/2021 - Università Aldo Moro di Bari comportamento sarà quello di un gas reale. In queste condizioni non è più rispettata la legge dei gas ideali, ma devono essere apportati dei correttivi ed in particolare ​Van der Waals studiò quest’effetto sui gas ideali e propose un’equazione, chiamata ​EQUAZIONE DI VAN DER WAALS​, che è apparentemente complicata, ma c’è una piccola variazione su quella che è la legge dei gas ideali. La legge dei gas ideali diceva che: PV=nRT, l’equazione di Van der Waals, applicabile ai gas reali, tiene conto di alcune correzioni: “​P​” è la pressione osservata (che è inferiore alla pressione di un gas ideale) per cui va aggiunta una correzione, infatti “​a​” è un coefficiente di correzione, che viene trovato in maniera sperimentale ed è caratteristico per ogni tipo di gas. “​n/V​” rappresenta il numero di moli sul volume a disposizione, al quadrato, che mi dà un’indicazione della concentrazione delle particelle gassose presenti nel mio sistema. Ovviamente, più particelle ci sono, più queste tra loro potrebbero esercitare pressioni alte, tramite un’interazione. Questo fattore, quindi, rappresenta la correzione per le forze intermolecolari, che vanno a incidere sulla pressione; per cui la pressione osservata in un gas reale non sarà mai uguale a quella di un gas ideale, ma sarà inferiore, per cui a questa pressione osservata devo aggiungere questo coefficiente (​a​) di correzione per​ n/V​ al quadrato. Tenendo conto che il volume delle particelle delle molecole incidere nel calcolo totale allora si apportano analoghe modifiche. “​b​” sta ad indicare la correzione per il volume molecolare, anche in questo caso, questo coefficiente di correzione si ricava sperimentalmente ed è caratteristico per ogni molecola di gas. “​n​”, invece, rappresenta il numero di moli di quel gas, quindi con quel fattore di correzione correggo il numero complessivo di moli, che occupano un certo spazio. Quindi, lo spazio effettivamente a disposizione sarà la differenza tra il volume del contenitore e lo spazio occupato da quelle molecole. Ciò che si trova al secondo membro, invece, rimane così com’è, ​nRT​. Quindi introducendo questi due fattori di correzione, uno sulle forze intermolecolare e uno sul volume molecolare, io posso utilizzare la legge universale dei gas perfetti, però per i gas reali devo utilizzare invece l’equazione di Van der Waals, con questi correttivi. Domande​: Ma quindi noi utilizzeremo questa formula solo nel caso in cui il problema specifichi che la temperatura sia diversa da quella ambiente e la pressione sia superiore ad 1 atm​? L’equazione di van derWaals va utilizzata solo nel caso in cui mi trovi a temperature più basse di 0 °C e pressioni più elevate rispetto ad 1 atm. Se non viene specificato invece utilizzo la legge del gas reale? ​Esatto. Se consideriamo la nostra situazione, a temperatura ambiente i gas reali sono molto vicini all’idealità, per cui posso utilizzare tranquillamente la legge universale dei gas perfetti. Nel caso in cui però ho temperature più basse e pressioni più alte, non posso più utilizzare la legge dei gas perfetti, ma devo utilizzare l’equazione di Van der Waals. Ma temperature basse e pressioni alte nella stessa situazione? ​No, nel senso che tutte e due incidono, per cui potremmo trovare una pressione più alta, ma la temperatura rimane la stessa, però devi considerare che la pressione più alta può dare una pressione differente rispetto a quella ideale, quindi, bisogna considerarle separatamente oppure insieme, dipende dalla situazione. Se abbiamo solo la pressione superiore a 1 atm, ma la temperatura à quella ambiente, quale dobbiamo usare? ​Bisogna incidere solo sulla pressione, quindi la correzione sul volume molecolare non bisognerebbe farla. Se abbiamo il contrario, cioè basse pressioni e alte temperature, utilizziamo sempre quella di Van der Waals? I​ n realtà le due cose vanno di pari passo, perché, se io aumento la temperatura, aumenta l’energia cinetica media delle molecole, il che vuol dire che io aumento la velocità e aumentando la velocità, aumenta la forza delle collisioni sulla superficie. Quindi i due valori, pressione e temperatura si influenzano vicendevolmente, perché un aumento di temperatura, comporta anche un aumento della pressione. Solitamente vanno di pari passo, perché se aumenta la temperatura, aumento sicuramente l’energia cinetica delle particelle che si muovono molto più velocemente e la frequenza degli urti sulle pareti dei recipienti aumenta, il che vuol dire che aumenta la pressione. 19 Velocità molecolare ed energia cinetica VELOCITÀ MOLECOLARE​: velocità con cui si spostano le molecole gassose in un determinato sistema. Sperimentalmente si osserva che le molecole di un gas qualsiasi non si muovono tutte alla stessa velocità, al contrario si nota che ad una certa temperatura: alcune molecole hanno una velocità bassa altre hanno una velocità alta la maggior parte si muove ad una velocità intermedia (situazione più probabile). Maxwell e Boltzmann hanno riassunto tali dati rappresentandoli in un grafico, ovvero la ​curva di distribuzione delle velocità molecolari​, le quali dipendono dalla temperatura del sistema. Nel grafico si considera l’ossigeno molecolare a due temperature differenti, in ascissa troviamo la velocità delle molecole in m/s, in ordinata il numero di molecole che presentano tale velocità: A 25 ℃ (curva in blu) si osserva un picco che rappresenta la velocità più probabile, quella che possiede la maggior parte delle molecole (400 m/s circa). A sinistra e a destra del picco abbiamo un numero minore di molecole che si muovono a velocità rispettivamente più basse e più alte. A 1000 ℃ (curva in rosso) le velocità molecolari sono distribuite diversamente, la curva si appiattisce e si sposta verso destra. Il picco allo stesso modo rappresenta la velocità più probabile (in questo caso circa 800 m/s). Lo spostamento della curva a destra dimostra che a 1000 ℃ le molecole di O2 possono raggiungere velocità più elevate che a 25 ℃. Alcune considerazioni: 1. le aree sottese alle due curve sono equivalenti, nonostante abbiano diversa forma, poiché rimane costante il numero di molecole di O2 , varia solo la temperatura. 2. le curve non sono delle gaussiane data l’asimmetria rispetto alla velocità più probabile. ENERGIA CINETICA​(relativa ad una singola molecola): KE = 12 mv 2 m​: massa della molecola e ​ ​ ​v​: la velocità media della molecola. 20 ENERGIA CINETICA MEDIA (relativa ad una mole di gas), cioè ad un numero di Avogadro (​N​) di particelle 2 gassose: KE = 12 N mv 2 Essendo ​Nm=M​ possiamo scrivere esprimere l’energia cinetica media di una mole di gas come: KE = 21 M v (1) L’energia cinetica è correlata anche alla temperatura secondo la relazione: K E = 23 RT (2) c ​ on ​R ​costante universale dei gas. 2 Eguagliando l’espressione (1) con (2) otteniamo 12 M v = 32 RT Isolando ​v2​ ​e calcolando la radice quadrata di entrambi i membri otteniamo la radice della velocità quadratica √ 2 media o ​rms (​ root mean square): √v 3RT = M La ​velocità quadratica media è direttamente correlata alla temperatura T ed è inversamente correlata con la massa molare M, quindi a parità di temperatura, particelle gassose con massa molare maggiore si muovono ad una velocità minore rispetto a particelle più leggere. Considerando ancora una volta le curve di distribuzione di Maxwell-Boltzmann, confrontiamo quattro differenti molecole. L’ossigeno ha massa molecolare maggiore, dunque ha velocità più probabile minore, gas monoatomici come l’elio, invece, hanno velocità più probabile elevata rispetto all’ossigeno, la curva di distribuzione della velocità sarà dunque appiattita e spostata verso destra. Riassumendo​: ad una data temperatura, molecole di gas con massa molare differente mostreranno una diversa distribuzione di velocità molecolare. Sperimentalmente si è visto, infine, che i gas che si trovano alla stessa temperatura, presentano la stessa energia cinetica media, pur variando le singole velocità molecolari. I modelli atomici Sappiamo che un atomo è formato da un nucleo centrale (protoni e neutroni) e da elettroni che lo circondano. Per conoscere e comprendere l’attuale visione della struttura dell’atomo, bisogna conoscere i modelli atomici precedenti. MODELLO ATOMICO DI THOMSON Dopo la teoria atomica di Dalton bisognerà attendere circa un secolo prima dell’elaborazione di un primo modello atomico. Tale rappresentazione di atomo deriva dagli studi sui ​raggi catodici condotti da Thomson. I raggi catodici sono emessi da un tubo catodico, strumento simile ad un’ampolla di vetro in cui viene fatto il vuoto d’aria, costituito da due placche metalliche, una carica negativamente (catodo) e l’altra positivamente (anodo). Applicando una differenza di potenziale al tubo catodico, un fascio di particelle cariche negativamente si muove dal catodo verso l’anodo, dato che le particelle con carica negativa sono attratte dalla carica positiva dell’anodo. Thomson denomina tali particelle “elettroni” poiché 21 rappresentano l’unità fondamentale dell’elettricità, altri studiosi determineranno in seguito la carica e la massa dell’elettrone. Secondo il modello di Thomson, gli elettroni sono contenuti negli atomi che costituiscono il catodo, l’atomo consiste quindi in una sfera compatta all’interno della quale sono “incastonati” gli elettroni (modello a plum pudding, o ​modello a panettone​). La composizione della sfera era, però, ignota, dato che al tempo non si sapeva dell’esistenza dei protoni. MODELLO DI RUTHERFORD Il modello atomico di Thomson viene superato da quello di Rutherford, il chimico che propone una visione di atomo più simile a quella odierna, considerandolo come un nucleo centrale circondato da elettroni che ruotano seguendo delle orbite circolari. Rutherford studia, inoltre, la natura delle radiazioni emesse dai radioisotopi (raggi α, β, γ ), è il primo a “dividere” un atomo e a scoprire il protone. Esperienza di Rutherford:​ L’esperimento è stato in realtà condotto dai suoi due allievi, Geiger e Marsden, i quali spararono su una lamina molto sottile di oro, o di platino (entrambi elementi che possono essere ridotti in fogli sottili) delle radiazioni α ad altissima velocità. Attorno alla lamina d’oro è posto uno schermo fluorescente di solfuro di zinco (ZnS) sul quale sono visibili dei puntini luminosi in corrispondenza dei raggi α. Si osserva che: la maggior parte delle particelle α non viene deviata o viene leggermente deviata; alcune particelle α vengono deviate; altre sembrano quasi “rimbalzare” indietro. Rutherford non aveva previsto la deviazione di raggi alpha osservata sperimentalmente. Egli interpreta i dati sperimentali e ipotizza un atomo costituito da un nucleo molto piccolo (avente volume 100000 volte più piccolo rispetto a quello dell’intero atomo) e da una zona periferica in cui si muovono gli elettroni. Quando il fascio di particelle α attraversa la lamina d’oro: la maggior parte di esse passa lontana dal nucleo, non subendo deviazioni considerevoli. I fasci di particelle α che passano in prossimità del nucleo vengono deviati in modo considerevole. Ciò è dovuto alla repulsione elettrostatica tra il nucleo carico positivamente e le particelle. Le particelle vengono respinte indietro se urtano contro il nucleo. 22 ONDE ELETTROMAGNETICHE È necessario descrivere in maniera generale le onde elettromagnetiche per comprendere le evidenze sperimentali successive a quella di Rutherford. Le radiazioni elettromagnetiche sono state studiate da J. C. Maxwell che ne ha descritto il comportamento. Le radiazioni elettromagnetiche sono costituite da un ​campo elettrico e un ​campo magnetico oscillanti perpendicolarmente tra loro, propagandosi come onde sinusoidali periodiche​ e regolari. Parametri che caratterizzano le onde: Ampiezza​: altezza dell’onda; Lunghezza d’onda ​( λ ): distanza che intercorre tra due picchi successivi; Frequenza ​( ν, "nu" ): indica il numero di picchi che passano in un certo punto in un determinato intervallo di tempo (si solito un secondo). c Frequenza e lunghezza d’onda sono tra loro correlate secondo la relazione di proporzionalità inversa: ν= λ 8 c = 3⋅10 m/s velocità della luce nel vuoto. Sulla riga superiore del grafico è rappresentata la lunghezza d’onda, mentre sulla riga inferiore è rappresentata la frequenza. Leggendo il grafico da destra verso sinistra la lunghezza d’onda diminuisce, mentre la frequenza aumenta. Da sinistra a destra troviamo: Raggi γ : radiazioni elettromagnetiche emesse durante le disintegrazioni nucleari; Raggi X: impiegati nella diagnostica medica perché in grado di penetrare attraverso i tessuti umani; Ultravioletto​: causano le scottature solari e sono utili per uccidere i batteri; Zona del visibile​: zona ridotta (da 400 nm a 760 nm); Infrarossi​: raggi percepiti come calore; Microonde:​ radiazioni per i radar, forni a microonde e telefoni cellulari; Frequenze radio​: usate nelle trasmissioni radio AM, FM, onde corte e televisive. MODELLO DI BOHR Bohr ha elaborato un ulteriore modello perfezionando quello di Rutherford sulla base di alcune evidenze sperimentali dell’epoca. Anche secondo Bohr un atomo è formato da un nucleo centrale attorno al quale ruotano degli elettroni secondo orbite circolari. Tuttavia, non tutte le orbite sono possibili, esse devono infatti rispondere a determinati requisiti. Il periodo storico in cui opera Bohr è quello compreso tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, durante il quale si fa strada la ​Teoria dei quanti​, esposta da ​Max Planck. 23 La teoria dei quanti viene formulata per risolvere il “​paradosso dell’ultravioletto​” o “​catastrofe ultravioletta​”. Sappiamo che un metallo quando viene riscaldato è in grado di emettere radiazioni elettromagnetiche e di cambiare la sua colorazione (ad es. un filamento di tungsteno con una colorazione rossa opaca, può avere un colore rosso vivo e poi bianco brillante se si aumenta la temperatura). Il ​corpo nero è un concetto fisico teorico che allude ad una qualsiasi porzione di materia che è un grado di assorbire tutte le radiazioni che arrivano su di esso e nello stesso tempo è in grado di emettere radiazioni diverse a seconda della temperatura. Il corpo nero è in tal senso la generalizzazione di un metallo che è in grado di emettere radiazioni a lunghezze d’onda differenti. Il grafico riporta sull’asse delle x la lunghezza d’onda, misurata in nm, sull’asse delle y l’intensità della luce emessa, intesa come luminosità, cioè come numero di radiazioni emesse da un determinato corpo. Sul grafico sono indicate le diverse temperature del corpo nero (8000 K, 6000 K, 4000 K). Alla temperatura di 4000 K osserviamo una curva appiattita; a 6000 K la curva tende ad aumentare, presentando un picco nella zona blu del visibile; A 8000 K il grafico presenta un picco nella zona dell’ultravioletto. Le curve ottenute da un punto di vista sperimentale erano in disaccordo con la fisica classica dell’epoca, secondo la quale un corpo nero doveva emettere radiazioni elettromagnetiche in modo continuo e crescente, senza presentare picchi. I fisici definivano questo comportamento inatteso e inspiegabile come “catastrofe dell’ultravioletto”. Per risolvere il paradosso Planck ipotizza che gli atomi che costituiscono il corpo nero oscillano sulle proprie posizioni ed oscillando sono in grado di emettere una determinata radiazione ad una determinata frequenza. Secondo Planck non tutte le oscillazioni sono possibili, ma sono possibili soltanto quelle che permettono di ottenere una certa frequenza. Energia associata ad un quanto di frequenza v : E = nhν ​con ​n:​ numero intero positivo (1,2,3,4..) che indica la −34 quantizzazione del pacchetto discreto di energia e ​h:​ costante di Planck ( 6, 6⋅10 J⋅s ) Secondo questa relazione l’energia non può assumere qualsiasi valore, ma può assumere determinati valori discreti. Ogni radiazione è emessa in ​pacchetti discreti di energia​, detti ​quanti​. Gli atomi possono oscillare a determinate frequenze a cui corrisponde un determinato quantitativo di energia. La curva nell’immagine è sovrapponibile al grafico della catastrofe dell’ultravioletto, in particolare alla curva corrispondente alla temperatura di 8000 K. Il picco corrisponde al numero massimo di ​oscillatori​, cioè di atomi che oscillano tutti alla stessa frequenza, quella più probabile. Al di sopra e al di sotto del picco il numero di atomi che oscillano con una data frequenza è inferiore rispetto al picco. Planck aveva studiato anche la curva di distribuzione di Maxwell-Boltzmann relativo alle velocità molecolari, e notò che c’era una certa somiglianza con le curve relative alle radiazioni emesse dal corpo nero. Così, grazie anche alla sua equazione, riuscì a far concordare i dati sperimentali con una curva di distribuzione. Questa quantizzazione è servita a Planck per superare il paradosso della “​catastrofe dell’ultravioletto​”. Grazie ai quanti” venne risolto un altro fenomeno che all’epoca non era risolvibile. Quest’effetto venne risolto da ​Einstein​, che capovolse i termini per quanto riguarda la natura delle radiazioni elettromagnetiche. Esse fino ad allora erano considerate esclusivamente delle onde sinusoidali che si propagano periodicamente lungo una direzione di propagazione. Tuttavia, alla luce di quello che aveva affermato Planck pochi anni prima, Albert Einstein dedusse che le radiazioni elettromagnetiche possono avere anche un comportamento 24 particellare. Ogni particella è chiamata ​fotone​, è priva di massa e ad ognuna di essa è possibile associare un pacchetto discreto di energia pari a 𝒉ʋ. Quindi in dipendenza della frequenza della radiazione io avrò dei fotoni, che portano con loro un pacchetto discreto di energia. L’effetto fotoelettrico Pensando quindi a questa doppia natura delle radiazioni elettromagnetiche, Einstein riuscì a spiegare l’​effetto fotoelettrico​ (grazie a cui nel 1921 vinse il premio Nobel per la fisica). Per spiegare l’effetto fotoelettrico, dobbiamo considerare un tubo di vetro, al cui interno ci sono due lamine metalliche: un ​catodo carico negativamente e un ​anodo carico positivamente. Quando una radiazione luminosa, e quindi un pacchetto di fotoni, incide sul catodo, accade che ci sarà la possibilità che gli elettroni vengano strappati dal catodo e attirati dall’anodo, generando corrente elettrica. Ma la possibilità di vedere passaggio di corrente c’è soltanto nel caso in cui vanno ad incidere fotoni con una determinata frequenza e quindi con una determinata energia. Quindi bisogna superare una certa soglia o frequenza critica ​(che è correlata linearmente all’energia con l’equazione di Planck), per poter avere energia sufficiente perché l’anodo possa strappare elettroni al catodo. Tuttavia se utilizzo fotoni con frequenza più alta, e quindi con energia sufficientemente alta da permettere che l’elettrone venga strappato dal catodo, ci sarà passaggio di corrente. Esso poi verrà indicato dal grafico da un salto repentino della curva che rappresenta l’intensità elettrica. Ovviamente aumentando il numero di radiazioni, (luce ad alta intensità) tutte con una frequenza che supera la soglia, ci sarà un aumento del numero di elettroni che vengono strappati dal catodo e quindi un aumento dell’intensità di corrente elettrica. ​Verso il modello atomico di Bohr Sempre in quel periodo c’erano altre evidenze sperimentali che dovevano essere spiegate. Una di queste è lo spettro di emissione discontinuo dell’atomo di idrogeno eccitato. Esso era costituito da un tubo con un gas (H​2​) che, se sottoposto a scarica elettrica, emette una radiazione che veniva fatta collimare attraverso una serie di fenditure, per poi essere separata nelle sue componenti monocromatiche attraverso un prisma. Le varie componenti andavano ad incidere su una lastra fotografica, provocando su di essa una serie di righe spettrali. Esse formano uno spettro discontinuo perché le righe erano separate spazialmente. Si chiama spettro di emissione perché è dato da radiazioni emesse da un atomo (in questo caso di idrogeno) quando viene eccitato. Questo stesso sistema venne sperimentato anche con altri elementi, e diedero risultati simili (ovviamente cambiavano leggermente le 25 posizioni delle righe spettrali, ma si visualizzarono comunque spettri discontinui). Se invece l’esperimento veniva riprovato con lo stesso elemento si ottenevano gli stessi risultati. Così dopo aver visto questi risultati che si ripetevano Balmer e poi Rydberg ottennero un’equazione che in qualche modo correlava le varie righe spettrali: Questa equazione permette di calcolare le lunghezze d’onda delle righe di emissione dell’atomo di idrogeno eccitato nella ​regione del visibile​ (serie di Balmer). Ma l’atomo in questione può emettere anche altre radiazioni oltre quelle della regione visibile, come nella zona dell’ultravioletto e nell’infrarosso. Tuttavia lo spettro è sempre quello, conserva sempre le stesse caratteristiche. A questo punto capiamo che c’è un qualcosa nell’atomo in grado di assorbire energia e poi emetterla sottoforma di radiazioni ben distinte tra di loro. Così subentra il modello atomico di Bohr, che teorizzò una sua struttura atomica. Prima di Bohr ci fu però R ​ utherford​, che immaginò l’elettrone che ruota intorno al nucleo secondo una traiettoria circolare. Tuttavia questa visione contrasta le leggi della fisica classica, perché se una carica negativa gira intorno ad un nucleo positivo, essa tenderà pian piano ad avvicinarsi al centro seguendo una traiettoria elicoidale, fino a piombare sul nucleo. Quindi in questo caso non esisterebbe la materia. Bohr propone un nuovo modello, tentando di superare questo problema: lui presuppone che gli elettroni ruotino intorno al nucleo con traiettorie precise e si trovano in uno stato in cui non possono né assorbire né irradiare energia. Si tratta del cosiddetto stato fondamentale. Nel momento in cui sono in grado di assorbire energia radiante, e questa è pari ad un quantitativo ben preciso tale da fargli fare un salto da un livello al successivo, ecco che avremo l’atomo in uno stato eccitato. Ma ci sarà un ritorno allo stato fondamentale riemettendo la stessa quantità di energia sottoforma di radiazioni ad una certa lunghezza d’onda. Bohr fu anche in grado di calcolare l’energia che presenta un elettrone ad un certo livello, mettendo insieme l’equazione di Balmer-Rydberg e Planck: Il calcolo porterà sempre ad un valore negativo dell’energia dell’elettrone. Più ci allontaniamo dal nucleo e più sarà meno negativo. Quando l’energia sarà nulla vorrà dire che teoricamente l’elettrone si trova a distanza infinita dal nucleo e quindi è come se l’atomo ha perso l’elettrone stesso. 26 Man mano che ci allontaniamo dal nucleo, i livelli energetici sono sempre più vicini tra di loro. Questo è dato dal fatto che il numero quantico 𝑛 si trova al denominatore nell’equazione di Bohr. Quindi i​ postulati di Bohr​ sono: 1. L’atomo si trova di norma in uno stato stazionario ad orbita circolare che non irradia energia. 2. Le orbite permesse all’elettrone, di massa m e velocità v, in ogni stato stazionario sono determinate dal suo momento angolare mvr pari ad un multiplo intero del quanto del momento angolare ​ℏ ​(dove ℏ =h/2 π). 3. L’atomo può assorbire o irradiare energia solo quando passa da uno stato stazionario ad un altro. Per cui se consideriamo le orbite più interne, queste presenteranno un’energia inferiore: 𝑚𝑣𝑟 = 𝑛​1​ℏ < 𝑚𝑣𝑟 = 𝑛​2​ℏ < 𝑚𝑣𝑟 = 𝑛​3​ℏ. Possiamo avere un singolo salto (da un livello n1 ad un altro n2), oppure, se la radiazione elettromagnetica incidente lo permette un doppio salto (da un livello n1 ad uno n3). Per cui la differenza tra le due energie sarà: 𝐸​3 − ​ 𝐸​1 = ​ 𝑛​3​ℎʋ − 𝑛​1​ℎʋ. L’energia che deve essere assorbita o emessa deve essere precisamente pari a quella necessaria per il salto, non deve essere né maggiore né minore, altrimenti il salto non si verificherà. Il dualismo onda particella di De Broglie Il modello di Bohr tiene conto del concetto di orbita, cioè di una traiettoria ben precisa intorno al nucleo. Ma le cose non stanno così e ci furono altri studi su questo. In particolare ci fu De Broglie che introduce il concetto di onda-particella. Egli considerò le equazioni già conosciute: Avremo: 𝐸 = 𝑛ℎ𝑐/λ Ricordando l’equazione di Einstein: 𝐸 = 𝑚𝑐​2 ed eguagliando: da cui semplificando e mettendo in evidenza otteniamo l​’equazione di De Broglie​: 27 Il significato è che ad ogni corpo in moto di massa m è possibile associare una definita ​lunghezza d’onda​ ​𝛌.​ Ovviamente se la massa è grande, la lunghezza d’onda sarà così piccola da non comportarsi come un’onda elettromagnetica, proprio perché non esistono onde con lunghezza così piccola. Tuttavia siccome l’elettrone ha una massa estremamente ridotta può comportarsi anche come un’onda elettromagnetica. Ci sono delle evidenze che possono mostrare questo comportamento dell’elettrone. Per esempio, consideriamo i profili di diffrazione di un foglio di alluminio. I ​profili di diffrazione si ottengono con la tecnica della diffrattometria a raggi X, che avviene attraverso una sorgente di raggi X che vengono collimati e inviati su un campione (in questo caso un foglio di alluminio). In base alla disposizione degli atomi di questo campione, i raggi X verranno deviati e vanno ad incidere sulla pellicola fotografica. Questo mi darà il profilo di diffrazione, che rappresenta la traccia dei raggi X arrivati, e che è in relazione alla composizione del campione che sto analizzando. Si è fatto lo stesso esperimento utilizzando però un fascio di elettroni​, anziché i raggi X. Si è notato che il profilo ottenuto era molto simile a quello ottenuto con i raggi X. Questo significa che in queste condizioni gli elettroni si comportano in maniera molto simile ai raggi X, come se fossero radiazioni elettromagnetiche aventi lunghezza d’onda molto simile a quella dei raggi X. Quindi con questo approccio è possibile svelare la natura ondulatoria degli elettroni. Con altri approcci si può analizzare la natura corpuscolare. Tuttavia non possono essere analizzati contemporaneamente in una stessa situazione. N.B. ​Il fotone viene indicato come privo di massa, quindi non è esattamente la stessa cosa. Il fotone è un modo di immaginare la quantizzazione dell’energia che viaggia per pacchetti discreti. Il positrone, invece, avendo una massa propria può avere una doppia natura. Considerando l’equazione d’onda di De Broglie, cioè λ=​nh/mv​, e applicandola ad alcuni corpi (elettone, palla da tennis, automobile) possiamo calcolare la loro lunghezza d’onda. Solamente nel caso dell’​elettrone​, grazie alla sua massa molto piccola 9,11 x 10​-31​, notiamo che la lunghezza d’onda è dell’ordine di 10​-10 ​ed è possibile associarla ad un’onda elettromagnetica. Negli altri due casi invece, date le ​masse elevate​, i corpi si comporteranno solo come particelle, dato l’ordine di grandezza della loro lunghezza d’onda. N.B. Utilizziamo la velocità dell’oggetto (​v​) al posto della velocità della luce (​c​). 28 De Broglie ​suggerisce un suo modello che ricalca quello di ​Bohr aggiungendo anche la natura ondulatoria dell’elettrone. Il suo moto può essere scritto come un’​onda elettromagnetica stazionaria (vincolato tra due estremità) ​bidimensionale e considerando il modello atomico di Bohr, gli stati stazionari sarebbero permessi solo quando l’elettrone si muove lungo orbite circolari tali da contenere un multiplo intero della lunghezza d’onda associata all’elettrone, in caso contrario l’onda si annullerebbe per interferenza distruttiva e l’elettrone non potrebbe esistere (perché ad un picco corrisponderebbe un minimo). Questo però venne corretto da ​Heisenberg ​il quale dimostrò che per un oggetto estremamente piccolo, quale l’elettrone, è impossibile determinare con accuratezza, allo stesso tempo, sia la posizione che l’energia. Infatti il tentativo di determinare accuratamente la posizione o l’energia dell’elettrone porta all’incertezza del valore dell’altro parametro questo è conosciuto oggi come principio di indeterminazione di Heisenberg. Da un punto di vista matematico si traduce nella formula: e ciò vuol dire che l’incertezza della posizione moltiplicata per l’incertezza della quantità di moto deve essere maggiore o uguale di ħ ( che a sua volta è uguale a h/2π). Da un punto di vista sperimentale il fotone che colpisce l'elettrone conferisce a quest’ultimo quantità

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