Chemistry Notes on Solutions and Water - PDF

Summary

These notes cover chemical and physical properties of water, including its importance in biology, its ability to form hydrogen bonds, and its role as a solvent. They also discuss solution concepts like solubility, different types of solutions (saturated, unsaturated), and concentration. The summary delves into osmotic pressure and its importance in physiological processes and related medical conditions.

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tra enzima e substrato: in questo caso il complesso enzima-substrato è mantenuto da interazioni ioniche (NB non sono legami ionici ma interazioni tra cariche diverse presenN sui due elemenN soggeX al legame), legami ad idrogeno ed interazioni idrofobiche. CARATTERISTICHE CHIMICO FIS...

tra enzima e substrato: in questo caso il complesso enzima-substrato è mantenuto da interazioni ioniche (NB non sono legami ionici ma interazioni tra cariche diverse presenN sui due elemenN soggeX al legame), legami ad idrogeno ed interazioni idrofobiche. CARATTERISTICHE CHIMICO FISICHE DELL’H20 L’acqua è fondamentale per la vita: cosNtuisce il 75% del peso corporeo di un neonato, il 60% del peso di un adulto (di cui il 40% fa riferimento ad acqua intracellulare ed il 20% ad acqua extracellulare es. plasma, liquidi intersNziali). L’adulto ricambia giornalmente il 6% del contenuto idrico totale. L’importanza biologica dell’acqua è stre>amente correlata alla sua capacità di formare legami ad idrogeno. Le principali cara>erisNche sono: elevato punto di ebollizione (-80° teorici considerando solo le forze di Van Der Waals, 100° contando anche i legami ad idrogeno) elevato punto di fusione (-90° teorici e 0° effeXvi) elevata tensione superficiale importanN proprietà solven: : le molecole per sciogliersi in acqua devono essere o ioniche o polari (ndr il simile scioglie il simile, i composN apolari come ad esempio l’olio non possono essere sciolN in acqua.) La solubilità di un composto dipende dalla capacità delle sue molecole di interagire con l’acqua (devono essere circondate da un alone di idratazione). La dissoluzione dello zucchero da cucina in acqua è un esempio di interazione dipolo-dipolo (NB il saccarosio non può essere “ro>o” separando le sue parN, per cui viene solubilizzato nella sua totalità), mentre ad esempio la dissoluzione di sale da cucina è un esempio di interazione ione-dipolo. Il sale si scioglie perché l’acqua riesce a penetrare il reNcolo cristallino circondando le molecole per formare un alone di idratazione (le molecole d’acqua si dispongono in modo da mantenere la componente carica negaNvamente verso il sodio, mentre la componente più posiNva sarà rivolta verso il cloro. SOLUZIONI E SOLUBILITÀ Le soluzioni sono miscugli omogenei, tendenzialmente si tra>a di solidi disciolN in un liquido: il solido prende il nome di SOLUTO (ed è presente in quanNtà minore) mentre il liquido in cui è solubilizzato si chiama SOLVENTE (sostanza nell’ammontare maggiore). Nelle soluzioni omogenee i soluN: si diffondono uniformemente in tu>a la soluzione (dunque non sono disNnguibili) non si separano mediante filtrazione ma possono essere separaN tramite evaporazione se sono invisibili la soluzione risulta trasparente se coloraN possono dare colore alla soluzione Una soluzione è definita satura se conNene la quanNtà massima di soluto solubilizzabile ad una data temperatura. Può verificarsi la formazione di precipitato (residuo di soluto sul fondo della soluzione), in questo caso la soluzione è sovrasatura. Al contrario, definiamo una soluzione “insatura” quando il soluto è presente in quanNtà inferiore e dunque la soluzione è ancora in grado di sciogliere altri grammi di soluto. In una soluzione satura vi è un equilibrio dinamico tra il soluto sciolto e quello non sciolto. La solubilità di una soluzione dipende da diversi parametri, come: :po di soluto :po di solvente pressione (se ad esempio il soluto è un gas) temperatura La solubilità di una sostanza in un solvente indica la massima quanNtà di soluto che può essere sciolta in un solvente, senza che si formi un precipitato. Il modo più semplice per determinare la solubilità di una soluzione è valutarne la concentrazione. Per esprimere la concentrazione di un soluto in una soluzione possiamo uNlizzare varie diciture, quali: -grammi per cento peso/peso ⇒ g di soluto in 100 g di soluzione -grammi per cento peso/volume ⇒ g di soluto in 100 mL di soluzione -per cento volume/volume ⇒ mL di soluto in 100 mL di soluzione Definendo le soluzioni è uNle ricorrere alle moli come unità di concentrazione. La mole (mol) è la quan:tà di sostanza in grammi pari al peso atomico o molecolare. Le reazioni avvengono non solo in base alla quanNtà in grammi ma anche alle quanNtà in moli: ci deve essere equimolarità. Ad esempio, nella formazione di acqua, se vogliamo far reagire idrogeno molecolare ed ossigeno molecolare non possiamo uNlizzare 2 kg di H2 ed 1 kg di O2, infaX occorre considerare che una molecola di O2 pesa 32 g mentre una molecola di H2 pesa 2 g. Affinché la reazione avvenga dobbiamo far in modo di combinare quanNtà uguali di molecole: occorre dunque un valore di riferimento standard: il numero di Avogadro, che corrisponde al numero di parNcelle che in grammi pesano come l’unità di formula ed ha un valore di 6, 022 ) 1023. Vi sono delle nozioni base indispensabili per lo studio della chimica inorganica: L’unità di massa atomica (u.m.a) corrisponde alla dodicesima parte dell’isotopo 12C → equivale ad un dalton:1, 66 ) 10−24 Il peso atomico è la media ponderale di tuX i pesi atomici degli isotopi dell’elemento, cioè si riferisce alla percentuale di abbondanza naturale degli isotopi. Il peso molecolare è la somma dei pesi atomici di tuX gli atomi contenuN in una molecola. La legge della conservazione della massa, che enuncia: in una reazione chimica la massa dei reagenN è esa>amente uguale alla massa dei prodoX LA CONCENTRAZIONE DI UNA SOLUZIONE La concentrazione di un soluto in una soluzione può essere espressa in termini di: MOLARITÀ ⇒ moli di soluto per litro di soluzione MOLALITÀ ⇒ moli di soluto in 1 kg di solvente L’immagine so>ostante mostra i passaggi che consentono di passare da una modalità di espressione della concentrazione ad un’altra. Vi sono delle concentrazioni plasmaNche di alcuni soluN che devono necessariamente essere mantenute stabili in precisi valori, come mostrato nell’immagine. INTERAZIONI IDROFOBICHE: soluE apolari Nelle soluzioni apolari il soluto si dispone in modo da formare il clatrato (nucleo idrofobico) : se si me>ono delle gocce d’olio nell'acqua queste si raggrupperanno per formare un cuore idrofobico in modo da avere meno conta>o possibile con il solvente. Questo raccoglimento in un unico luogo della soluzione origina una riduzione d’entropia. LE PROPRIETÀ COLLIGATIVE DELLE SOLUZIONI Sono definite “proprietà colligaNve" quelle proprietà del solvente che vengono modificate dall’interazione dello stesso con il soluto. Esse dipendono dal rapporto del numero di par:celle di soluto sul numero di par:celle del solvente e non dalla natura chimica, dalla forma o dalla dimensione. Aggiungendo al solvente una quanNtà di soluto o>engo: abbassamento della tensione di vapore (il sale nell’acqua che bolle fa diminuire il numero di parNcelle che evaporano) innalzamento ebullioscopico (il sale nell’acqua fa alzare la temperatura a cui bolle) abbassamento crioscopico (acqua da sola e acqua e zucchero hanno diversi punN di congelamento, la seconda soluzione ha bisogno di più tempo per congelarsi) aumento della pressione osmoNca PRESSIONE OSMOTICA Nell’immagine abbiamo un becher in cui inseriamo un secondo contenitore più piccolo, non sigillato, che possa comunicare con il becher in cui è inserito, facendo passare solamente il solvente e non il soluto (ad esempio chiudendo il fondo con una garza o qualche altro materiale filtrante) Supponiamo di avere il soluto solo nel contenitore interno: noNamo che alcune molecole presenN nel contenitore più esterno tenderanno a migrare nel contenitore minore per solubizzarne il contenuto. Si raggiungerà quindi, grazie a questo flusso d’acqua, una condizione di equilibrio rispe>o alla concentrazione nei due contenitori (che ora si equivarrà). La pressione osmo:ca è la pressione esercitata dalla colonna idrosta:ca di altezza h (corrisponde alla differenza tra i livelli di liquido nei due recipienN dell’immagine) ed è dire>amente proporzionale a: molarità del soluto temperatura assoluta fa>ore di van’t Hoff ⇒ numero di parNcelle liberate in soluzione da ogni unità formula del soluto costante dei gas ⇒ 0.821 litri x atm/k/mol Da queste informazioni è possibile ricavare la formula della pressione osmoNca: Con il termine OSMOSI si intende il passaggio spontaneo di solvente a-raverso una membrana semipermeabile da una soluzione a minore osmolarità verso una soluzione a maggiore osmolarità. L'OSMOLARITÀ Ha origine dalla combinazione tra molarità e coefficiente di van’t Hoff ⇒ OSM= M x i E’ importante perché le concentrazioni molari di alcune sostanze nell’organismo sono in conNnuo cambiamento e quindi è fondamentale mantenere corre>amente le condizioni di osmosi. Il plasma sanguigno ha un valore di osmolarità pari a 0,3 ismoli/litro (300 milliosmolare), derivante dai soluN in esso disciolN. L’osmolarità fisiologica, che sia riferita al plasma o ai liquidi organici, deve essere pari a 300 mOSM. Di conseguenza, definiremo: isoosmolare o isotonica una soluzione avente la stessa osmolarità dei liquidi fisiologici ipoosmolare o ipotonica una soluzione avente un’osmolarità inferiore rispe>o a quella fisiologica iperosmolare o ipertonica una soluzione che abbia un valore di osmolarità maggiore del fisiologico. Se per qualche moNvo un paziente avesse bisogno di una flebo è fondamentale che questa sia isotonica, in modo da non variare l’equilibrio osmoNco presente nelle cellule dell’organismo. Ad esempio la flebo fisiologica si chiama così proprio perché è una soluzione di NaCl allo 0,9% : questo significa che in 100 mL di soluzione sono contenuN 0,9 grammi di NaCl. Considerando il peso molecolare del cloruro di sodio (58,44 g/mol) possiamo calcolare la molarità dividendo i grammi al litro per il peso molecolare, o>enendo 0.154 M. Dato che il fa>ore di van’t Hoff è 2, l’osmolarità sarà 0.308. E’ fondamentale evitare in ogni modo la variazione della concentrazione osmoNca a livello sanguigno, per non danneggiare le cellule del sangue. Finché il globulo rosso è in una soluzione isotonica si ha un flusso uguale di acqua dall’interno della cellula all’esterno e viceversa. Se invece il globulo fosse posto in un plasma ipertonico (e quindi ricco di soluN) ne conseguirebbe un flusso d’acqua verso l’esterno (con l’obieXvo di diluire l’ambiente circostante) che renderebbe la cellula raggrinzita,ciò implicherebbe la morte cellulare. Allo stesso modo, il globulo rosso morirebbe per lisi se fosse posto in un ambiente ipotonico (con pochi nutrienN), in quanto l’acqua entrerebbe in esso provocandone la lisi. Anche le pareN vascolari sono delle barriere semipermeabili e come tali sono sogge>e ad osmosi: a volte dopo un trauma si verifica il cosidde>o edema, ovvero un aumento di acqua nei tessuN (come l’edema cerebrale). In quesN casi è possibile riprisNnare la condizione fisiologica uNlizzando l’osmolarità: si somministra al paziente un farmaco ad elevata concentrazione e facilmente metabolizzabile , come può essere il mannitolo al 20%, in modo da far aumentare immediatamente l’osmolarità del plasma. In questo modo l’acqua contenuta nei tessuN verrà richiamata all’interno delle cellule del sangue, perme>endo il riassorbimento e la diminuzione dell’edema. Un altro esempio che dimostra quanto il mantenimento dell’osmolarità fisiologica sia importante per la salute è il diabete di :po 2 o insulino-resistente: nei soggeX affeX vi è una maggiore quanNtà di zucchero nel circolo sanguigno e l’unico modo per diminuirne le quanNtà è eliminarlo tramite l’urina. Vi è quindi un richiamo d’acqua nell’urina tramite i tubuli renali, questo flusso d’acqua deve essere stre>amente controllato, perché in caso contrario si rischia il coma iperosmolare. NB per avere glicosuria (residui di zucchero nelle urine) la quanNtà di glucosio deve essere almeno 170 mg % (peso/volume). Sullo stesso conce>o (ndr. osmolarità) si basa la conservazione gli alimen: con elevate quan:tà di zucchero o sale: i ba>eri vivono in ambiente isotonico o ipotonico, se li poniamo in una condizione di ipertonicità ne consegue necessariamente una perdita di acqua con successiva morte cellulare. Ecco perché non vi è contaminazione ba>erica negli alimenN conservaN con questa tecnica. REAZIONI CHIMICHE Nella scorsa lezione è stato visto come, a seconda delle cara>erisNche degli atomi e, conseguentemente delle molecole, si possano formare determinaN legami; in primis, tra gli atomi a formare delle molecole e poi, successivamente, legami tra queste. Il legame più importante in ambito biologico è quello covalente, sia semplice (sigma), sia doppio o dri>o, in cui i doppieX di legami coinvolN hanno una configurazione tale per cui i legami sono più forN e più difficili da rompere. Come avvengono le reazioni chimiche? Nelle reazioni chimiche ci si trova sempre di fronte ad un reagente (o reagenN) che andrà a definire, avvenuta la reazione chimica, una ro>ura o una formazione di legami, per formare il prodo-o (o prodoX) della reazione. Es. formazione dell’acqua; La prima equazione in alto, presenta i reagenN separaN dai prodoX a>raverso una freccia che indica la direzione verso cui avviene la trasformazione chimica. Se si ponesse un’equazione di questo Npo, è ovvio che non sarebbe bilanciata; contando il n. di atomi di H rispe>o a quelli di O, i conN non tornerebbero. Per questo moNvo si inseriscono i coefficien: stechiometrici che rispe>ano la legge della conservazione di massa (che giusNfica il calcolo in termini di grammi e, in questo modo, fa sì che ci sia una correlazione con il peso atomico e il peso molecolare e quindi anche con il coefficiente stechiometrico), giusNficando, dunque, la vera reazione. Cioè, saranno due molecole di H2, più una di ossigeno biatomico, a formare due molecole di H2O. Nella parte in basso dell’immagine presente a destra, è possibile osservare anche gli orbitali. La raffigurazione conferma quelle che sono le modificazioni anche a livello delle molecole, mantenendo, però, le geometrie. Tu>e le reazioni chimiche sono una cessione o acquisizione di ele-roni, perché gli ele>roni sono coloro che entrano in gioco per formare i legami, per cui se si rompe un legame e ne si formano degli altri, si ha sempre questo Npo di cessione o acquisizione. Quando la cessione/acquisizione è parziale si ha la formazione di legami covalen:, quando è totale si ha la formazione di legami ionici. Ci deve essere una corrispondenza tra il numero degli ele>roni ceduN e il numero degli ele>roni acquistaN. TuX i processi biochimici umani possono essere definiN come delle ossidazioni o delle riduzioni in base a questo scambio di ele>roni. L’immagine a destra mostra l’andamento del metabolismo in termini catabolici e anabolici, quesN sono il sunto di reazioni di ossidoriduzioni. In parNcolare, il catabolismo vede reazioni di ossidazione, mentre le reazioni anaboliche, quindi per esempio la costruzione di nuove molecole o l’uNlizzo dell’energia per compiere un lavoro, vedono delle reazioni di riduzione. Il numero degli ele>roni ceduN deve essere uguale al numero degli ele>roni acquistaN, dunque il catabolismo è accompagnato anche da una reazione di riduzione e l’anabolismo da una di ossidazione. Nell’immagine a destra è presente un esempio di ossidoriduzione: si hanno due atomi di sodio che reagiscono con una molecola di cloro (non esiste da solo, ma solo come in forma biatomica), per formare due molecole di cloruro di sodio. Nella formazione del legame sarà il sodio a cedere un ele>rone al cloro, che completerà l’o>e>o. Quando si parla di ossidazione vi è una cessazione di uno o più ele>roni. Il sodio subisce l’ossidazione, ma sarà chiamato riducente. Il riducente è colui che trasferisce gli ele>roni su colui che subisce la riduzione, ovvero il cloro, che viene chiamato ossidante. L’ossidante viene così chiamato per l’ossigeno che è un forte ossidante, e dunque per la sua ele>ronegaNvità a>rae gli ele>roni. Ciò che avviene è l’ossidazione del sodio e la riduzione del cloro, ovvero una reazione di ossidoriduzione. Dunque, il riducente cede gli ele>roni (quindi si ossida); l’ossidante riceve gli ele>roni (quindi si riduce). Un’ossidazione è sempre accoppiata ad una riduzione, si parla di ossidoriduzione. L’ossidoriduzione avviene nel metabolismo degli esseri umani: le reazioni cataboliche corrispondono a reazioni di ossidazione e determinano la liberazione di energia. Reazioni che vedono la riduzione di composN specifici che a loro volta si ossidano per trasportare gli ele>roni hanno come e fine ulNmo la produzione di adenosinatrifosfato (ATP). L’ossidazione del metano, combusNbile che viene uNlizzato per riscaldare le abitazioni o il gas della cucina, vede una reazione di ossidazione. Quello che viene prodo>o è energia come fonte di calore e la restante parte di CO2. L'ossidazione dei carboidraN e dei grassi negli organismi vivenN porta alla produzione di H2O, CO2 ed energia, in parte dispersa come calore (mantenimento temperatura corporea di 37°C), in parte conservata in legami chimici ad alta energia, quali quelli, come de>o poc'anzi, dell'adenosintrifosfato (ATP). Le reazioni di riduzione, invece, richiedono apporto di energia dall'esterno e consumo di ATP (ad esempio, la sintesi di nuove molecole nel nostro organismo). CINETICA CHIMICA Le reazioni chimiche non avvengono alla stessa velocità. La branca della chimica che si occupa di studiare il mondo delle reazioni chimiche, prende il nome di cine:ca chimica. La stessa reazione può avvenire a velocità diverse, sia spontaneamente sia a>raverso un innesco che possa favorire la reazione a una velocità superiore. Es. l’ossidazione della cellulosa nei fogli di carta può, a causa dell’ossigeno atmosferico, subire un’ossidazione molto lenta nel giro di anni, ma che produce una parziale e piccola combusNone della cellulosa, ovvero l’ingiallimento dei fogli. Quando, invece, viene innescata da una fiamma e viene bruciato il libro, l’ossidazione avviene più rapidamente. La velocità è differente, ma la reazione è la medesima. Dunque, la cineNca chimica studia la velocità a cui avvengono le reazioni chimiche e i fa>ori che la influenzano, come rallentarla o accelerarla e che possono dare anche un esito differente. Una reazione che viene portata ad una velocità eccessiva può produrre degli effeX come lo smog; la fermentazione, invece, vede una velocità di reazione molto lenta che richiede anche una tempisNca diversa. Perché interessa sapere a che velocità vanno le nostre reazioni e perché è importante mantenere un certo Npo di non variabilità con questa velocità? Perché si può stabilire la differenza tra lo stato di salute e stato di malaXa. Come si misura la velocità di una reazione? Nell’esempio si osserva una reazione come quella presente nell’immagine a destra, quindi di decomposizione del pentossido di diazoto in diossido di azoto e ossigeno. Nel diagramma si vede come se si valuta, nello trascorrere del tempo, la variazione delle concentrazioni molari sia dei reagenN che scompaiono e sia della formazione dei prodoX, si hanno degli andamenN diversi, che evidenziano nel tempo una velocità differente. Per cui, si valuta la velocità come la variazione (Δ) della concentrazione in un determinato intervallo di tempo (Δt). Per indicare la velocità di scomparsa del reagente, si valuta il rapporto tra la variazione della concentrazione del pentossido di diazoto e il Δt. Nella frazione è presente un segno meno, perché si deve pensare che la concentrazione iniziale vada a diminuire. Per indicare la velocità di formazione dei prodoX, si valuta il rapporto tra la variazione della concentrazione di biossido di azoto, più preponderante, e Δt. Si può essere più precisi abbreviando il più possibile il tempo in cui viene misurata la velocità. Scegliendo un punto della curva, si traccia una tangente ad esso, e su questa tangente si calcola la velocità in quel determinato istante, quindi la velocità istantanea. Se viene posta su un grafico la reazione precedente, partendo dalla concentrazione di pentossido di diazoto, è possibile vedere come su vari punN, tracciando le tangenN, si possa eliminare la velocità istantanea. Si può notare, inoltre, una diminuzione della velocità istantanea che è in funzione della concentrazione di reagente che si consuma. In cine:ca chimica si preferisce misurare la velocità istantanea iniziale della reazione, misurata cioè quando è virtualmente presente solo il reagente e non si è ancora accumulato del prodo>o. La velocità iniziale aumenta in funzione dire>a della concentrazione iniziale. Più reagenN si hanno e più la velocità della reazione aumenta in maniera proporzionale. Tu>o questo serve a definire l’equazione di velocità, che me>e in relazione la velocità di reazione istantanea con la concentrazione dei reagenN. L’andamento della reazione nel tempo, a>raverso una costante k, può essere semplificato. K è la costante di velocità e viene ricavata sperimentalmente, ha delle cara>erisNche che, per quella determinata reazione, ne gesNscono la velocità. K è: specifica per una data reazione; determina la pendenza della re>a; aumenta con l'aumentare della temperatura (tornando all’esempio della cellulosa, applicando un innesco, come la fiamma, si aumenta la velocità di combusNone, quindi è stata aumentata la k); indipendente dalla concentrazione dei reagenN (se si modifica la concentrazione, cambia la velocità ma non la k). SPONTANEITA’ DI UNA REAZIONE Quando si parla di spontaneità si fa riferimento ad una reazione che può avvenire senza aiu: esterni. Si suppone di avere una reazione, in cui, all’inizio, si presentano solamente due reagenN A e B. Man mano che la reazione avviene in modo spontaneo, è possibile avere una riduzione dei reagenN rispe>o alla formazione dei prodoX, C e D che aumentano. Può anche avvenire la reazione inversa, in cui C e D saranno i nuovi reagenN e la freccia sarà rivolta da destra verso sinistra; man mano inizieranno a formarsi i precedenN reagenN, che saranno i nuovi prodoX della reazione, ovvero A e B. Come si fa a definire, in una reazione, che l’andamento possa andare di più verso destra o ritornare a sinistra? Innanzitu>o, bisogna tenere conto del contributo energeNco necessario affinché determinate reazioni possano avvenire. Bisogna anche considerare due grandezze fisiche, spesso in confli>o tra loro, importanN affinché una reazione possa avvenire in modo spontaneo, definite: energia (o calore) entropia (o disordine) Dal punto di vista della spontaneità, la reazione chimica tende alla diminuzione del contenuto di energia delle sostanze coinvolte e all’aumento del disordine. Le reazioni spontanee avvengono senza aiuN esterni; inoltre, se una reazione è spontanea, non significa che debba avvenire ad una velocità rapida. È necessario un apporto di energia per compiere un lavoro o per fornire calore. È necessario, per cui, fare un bilancio energeNco delle reazioni chimiche. Quando si parla di energia, si definiscono due Npologie: energia potenziale = l'energia posseduta da un ogge>o in virtù della sua posizione (una palla posizionata all’inizio di una discesa, ha un’energia potenziale che le perme>erà di giungere a terra maggiore rispe>o a quella della palla alla fine della discesa); energia cine:ca = l'energia posseduta da un ogge>o a causa del suo moto Anche durante la formazione di interazioni ele>rostaNche o nella formazione del legame ionico, quando due cariche sono separate hanno un’energia potenziale maggiore, quando si a>raggono il potenziale è minore e sono anche più stabili. Questo conce>o è importante perché qualunque evento fisico o chimico procede nel senso di ridurre il contenuto energe:co di un sistema. Per questo moNvo il conce>o di ridurre il contenuto energeNco di un sistema si applichi bene sia agli atomi che alle molecole, che possono essere visN come minuscoli deposiN di energia. La formazione di legami o gli evenN di ossidoriduzione, sono finalizzaN a una riduzione del contenuto energeNco. Per questo moNvo, partendo dal conce>o di energia espressa come calore, possiamo disNnguere delle reazioni: Esotermiche: reazioni in cui l'energia E contenuta nelle molecole dei prodoX è minore rispe>o quella presente nelle molecole dei reagenN. → Rilasciano la differenza di energia so>o forma di calore. Endotermiche: reazioni in cui l'energia E contenuta nelle molecole dei prodoX è maggiore di quella presente nelle molecole dei reagenN. → Assorbono la differenza di energia dall'ambiente, so>o forma di calore. Calcolando il ΔE è possibile stabilire se una reazione è esotermica o endotermica: A destra è possibile visionare la raffigurazione del conce>o spiegato precedentemente; se è presente un masso che rotola dalla cima della collina, è ovvio che la sua energia potenziale sia maggiore (in questo caso si tra>a del reagente) rispe>o a quando arriva in basso (prodo>o). Si compie, dunque, una variazione del contenuto energeNco. In questo caso è una reazione esotermica, il reagente diminuisce di energia, formando un prodo>o con energia potenziale minore. Quando si ha, invece, la reazione inversa in termini endotermici, è necessario un apporto di energia che, nel caso dell’immagine, è rappresentata dalla persona che sta spingendo il masso verso l’alto, perme>endo il verificarsi della reazione. In questo caso si tra>a di una reazione endotermica, in quanto i reagenN, all’inizio, hanno una bassa energia potenziale, salendo si avrà un apporto di energia sempre più alto, che determinerà un prodo>o con elevata energia potenziale. VARIAZIONE DI ENTALPIA (ΔH) In realtà è più corre>o considerare queste variazioni di energia come scambio di calore. Parlando di calore, si fa riferimento alla grandezza entalpia. La variazione di entalpia (H), è indicata come ΔH. Le reazioni chimiche che si verificano negli organismi viven: avvengono in condizioni di pressione costante ed in soluzioni acquose che non variano mai significaNvamente il proprio volume. Lo scambio di energia realizzato nel corso di una reazione chimica si traduce sopra>u>o in uno scambio di calore con l'ambiente. Le reazioni esotermiche ed endotermiche possono essere disNnte anche in relazione a ΔH: VARIAZIONE DI ENTROPIA (ΔS) Lo scambio di energia tra sistema (reazione chimica) e ambiente non è il solo fa>ore che determina la spontaneità (e quindi la direzione) delle reazioni. Bisogna aggiungere una seconda grandezza, l’entropia, chiamata anche disordine è indicata con la le>era S e la sua variazione sarà ΔS. Questa variazione considera l’entropia dei prodoX a cui so>rarre quella dei reagenN. Questo scambio di energia viene visto bene in termini di numero e complessità delle molecole. Se si osserva la reazione di ossidazione del glucosio posta a destra, si vede la scomposizione di un’unica molecola. L’ossidazione richiede sei molecole di ossigeno per produrre CO2 e H2O. Partendo da una molecola di glucosio e sei di ossigeno, si arriva ad averne sei di CO2 e sei di H2O (si tra>a, inoltre, di molecole molto piccole). Si può notare come sia un sistema un po’ disordinato. Occorre, in questo caso, definire il secondo principio della termodinamica: qualunque trasformazione fisica o chimica spontanea porta ad un aumento complessivo del disordine dell'universo (= sistema + ambiente). Una reazione chimica procede sempre spontaneamente nella direzione in cui si osserva una diminuzione dell’entalpia (energia contenuta nelle molecole) dei prodoX e/o un aumento dell’entropia dell’universo. ENERGIA LIBERA DI GIBBS Gibbs idenNficò un’equazione che consenNsse di tenere conto sia di entropia che di entalpia nella stessa reazione. L’unico parametro che può far variare l’entropia è la temperatura. Gibbs ha potuto definire quella che è stata chiamata energia libera e che combina queste due grandezze. Quindi: L'energia libera (indicata con G) combina in sé entropia ed entalpia. L’energia libera ha un valore che è tanto più basso quanto più è bassa l’entalpia e quanto più è alta l’entropia. Una reazione procede sempre nel senso di una diminuzione dell’energia libera. Se si considera il principio della termodinamica, che definisce per diminuzione dell’energia libera e l’aumento dell’entropia, è possibile definire ΔG come il valore di ΔH – T x ΔS (entropia molNplicata per il valore della temperatura, qualora sia costante o variata). In questo modo il ΔG va di pari passo con il conce>o delle reazioni spontanee, si parla di reazione esoergonica (ΔG0). ΔG idenNfica, inoltre, quella che è l’energia contenuta nelle molecole, come i carboidraN e i lipidi. InfaX, vengono valutate quante kcal sono contenute nel mangiare un pezzo di torta rispe>o a una carota. Quindi, l’unità di misura della ΔG è kcal/mole, ovvero le calorie liberate per mole di prodo>o. Nell’esempio meccanico del trasporto di un ogge>o lungo una salita che richiede energia, ΔG>0, al contrario una perdita di energia corrisponde a ΔGo del termine esotermico o esoergonico. In generale si ha ΔH0, ma anche quando ΔS0, quando si ha una temperatura che aumenta ΔS rispe>o a ΔH, in questo caso avviene spontaneamente. Nelle reazioni metaboliche troviamo dei valori che tengono conto del ΔG° a: Temperatura di 25°C (298 K) Pressione di 1 Atmosfera (760 mm Hg) Concentrazione iniziale 1 M di tuX i componenN Nell’organismo umano è importante considerare anche un altro parametro, il pH: quando quest’ulNmo è neutro, quindi di 7, ci si riferisce a ΔG come ΔG’. Una delle prime vie metaboliche è la glicolisi. Come si può osservare dall’immagine a destra, ogni reazione può portare un’indicazione del ΔH. Da qui, nelle prossime lezioni, si capirà il ragionamento che considera come queste reazioni possano in parte avvenire in senso opposto e che saranno comuni alla via opposta della glicolisi che è la gluconeogenesi. In questo interviene l’ATP, uNlizzata nelle reazioni di ossidazione per fornire gli inneschi che consentono la reazione. Sono presenN delle condizioni che giusNficano l’andamento della reazione, semplificata come un Nro alla fune. Esistono delle reazioni che avvengono in una direzione che non è consenNta se non da parametri del ΔG, si creano delle reazioni a catena che si susseguono e so>rarre, ad esempio, i prodoX della reazione, fa sì che quesN non possano ritornare ad essere i reagenN di prima. TEORIA DELLE COLLISIONI MOLECOLARI È stata definita una teoria che regola la possibilità differente di interazione tra le molecole. Queste, per reagire, quindi affinché si rompano i legami e se ne formino degli altri, devono collidere. La collisione deve rispe>are gli stessi principi: affinché si formino i prodoX, in una reazione esoergonica (dove i reagenN possiedono più energia dei prodoX), l'energia disponibile deve essere sufficiente. Inoltre, è necessaria una seconda condizione, ossia l'orientamento corre>o delle molecole durante la collisione per perme>ere la reazione. Dunque, le molecole reagenN devono collidere con sufficiente energia e secondo un ben preciso orientamento, verificando quella che è una collisione efficace. Le molecole reagenN devono possedere un'energia cine:ca (E) almeno pari a un valore soglia definito energia di aBvazione (Ea):energia minima necessaria per spezzare i legami che devono essere roX affinché la reazione proceda. Nella figura a sinistra è possibile osservare due molecole, in cui l’E risulta essere minore rispe>o a l’Ea, e dunque non ha raggiunto il valore soglia: in questo caso è come se le molecole interagissero tra di loro, ma senza reagire. Al contrario, come nell’immagine a destra, quando l’E è maggiore rispe>o all’Ea, la collisione sarà efficace; quindi, avremo la possibilità di trasformare i reagenN iniziali in prodoX. Se si considera anche il conce>o della velocità, anche questo viene correlato. Se si prende come esempio la reazione A+B e C+D (immagine a destra), le frecce saranno sia verso destra e sia verso sinistra. La velocità sarà sempre dipendente dai reagenN, quindi dalla concentrazione di A per la concentrazione di B. La variabilità della velocità, influenzata dalla temperatura e dal suo effe>o sulla costante cineNca (k), implica che una collisione tra molecole potrebbe non avvenire non solo per mancanza di energia sufficiente. Ponendo una determinata temperatura, la velocità cambia e la reazione potrebbe verificarsi. Se si pone il numero di collisioni sulla valutazione dell’energia cineNca delle molecole in collisione, facendo riferimento al grafico posto a destra, in parNcolar modo alla linea blu, ci si può rendere conto che solo una modesta parte di collisioni sono efficaci nel propagare la reazione, la restante parte non raggiunge un’energia sufficiente. Questo è possibile visionarlo nella parte tra>eggiata. Se si aumenta la temperatura, è possibile garanNre un aumento di quelle che sono le collisioni, aumentando inoltre la velocità della reazione. Osservando la linea rossa del grafico, si può notare come, spostando questa curva, si vada ad aumentare la zona delle collisioni efficaci, garantendo una maggiore possibilità di avere una reazione. Un altro Npo di reazione è il diossido di azoto e il monossido di carbonio, che danno monossido di azoto e anidride carbonica. La temperatura è espressa in Kelvin, k indica la velocità, da quesN valori è possibile vedere come un aumento di 200°K facciano aumentare la velocità della reazione. Altri esempi: Il burro esposto all'aria irrancidisce: è una reazione di ossidazione degli acidi grassi in esso contenuN, che reagiscono con l'O2 dell'aria decomponendosi in prodoX più volaNli (odore pungente) e in prodoX di colore scuro (imbrunimento del burro); per ridurre l'enNtà del processo il burro viene tenuto in frigorifero (+4°C) o in congelatore (-15-20°C): così facendo si riducono le collisioni e anche la velocità di reazione. Un abbassamento della temperatura corporea (ipotermia) al di so>o di 32°C può comportare una riduzione della velocità delle reazioni che si svolgono in parNcolare nel cervello e nel cuore, tale da comprome>ere il funzionamento di quesN organi e la stessa vita. Gli animali ibernan:, cioè che vanno in letargo, abbassano durante il periodo letargico la propria temperatura corporea per ridurre l'aXvità metabolica e quindi la richiesta di cibo. Interven: chirurgici (ipotermia a cuore aperto). Si preferisce effe>uare gli intervenN in condizioni di ipotermia, in modo da fare in modo che ci sia una minore aXvità dell’organo. In passato, per abbassare la temperatura, si era soliN immergere i pazienN in vasche di ghiaccio. Collisione efficace: non basta che le molecole collidano con sufficiente energia, ma anche che esse possiedano un corre>o orientamento al momento della collisione (ro>ura e/o la formazione di legami covalenN). L’immagine a destra mostra come, nel caso A la reazione, innanzitu>o non possa avvenire in quanto E < Ea, quindi, indipendentemente dall’orientamento, la reazione non si genera. Questo avviene nel caso B, in cui si ha E ≥ Ea, inoltre l’orientamento è corre>o. Nel punto C, E ≥ Ea, tu>avia la reazione non può avvenire in quanto l’orientamento non è corre>o. Quanto più sono complesse le stru-ure delle molecole partecipanN alla reazione tanto meno facile sarà osservare una collisione con orientamento opportuno. Serve un innesco che sia in grado di far superare questa barriera di aXvazione, un qualcosa che agisca su k. Si è già visto come, aumentando la temperatura, si abbia un aumento di k, però, per quanto concerne le reazioni che avvengono nel nostro organismo, non è possibile autoscaldarci, dunque non è possibile aumentare queste rese in termini di collisioni. Una reazione, per quanto sia veloce, esoergonica e spontanea, ha bisogno di un innesco, fornito dall’energia di aBvazione. Es. diossido di azoto e il monossido di carbonio, che danno monossido di azoto e anidride carbonica. È necessario superare l'energia di aXvazione (Ea), che è pari a 31,6 kcal/mole, affinché i reagenN, pur avendo un'energia superiore a quella dei prodoX, possano oltrepassare la barriera energeNca. Questo è possibile, per raggiungere uno stato di transizione in cui si ha una sorta di complesso aXvato, che è una specie instabile che può ritornare verso la formazione dei reagenN inalteraN. Nelle reazioni esotermiche la barriera sarà meno elevata, rispe>o a quella endotermica. L'Ea spesa è un "invesNmento" che il sistema richiede per innescare la reazione: il sistema ricava un rilascio di energia ne>o pari a quasi il doppio dell'energia inizialmente invesNta. Inoltre, esistono delle reazioni a catena che possono (esotermica) o meno (endotermica) automantenersi. CATALIZZATORE Per poter abbassare questa barriera di aXvazione, il catalizzatore si presta bene nel fare da innesco affinché avvenga la reazione. Il conce>o di catalisi richiede una precisazione, in quanto aumenta il numero di collisioni e abbassa l’energia di aXvazione, accelerando così la velocità della reazione. Per quanto concerne i nostri catalizzatori biologici, essi sono delle sostanze che aumentano la velocità di una reazione senza essere consumaN nel corso di essa. Creano una sorta di galleria, come è possibile vedere dall’immagine a destra, abbreviando la strada. È importante considerare la velocità di una reazione, in quanto sarà più veloce, non dovendo salire fino in cima. In alcuni casi è richiesta dell’energia, ma minima rispe>o a quella che servirebbe in assenza di catalizzatori. Precedentemente è stato visto come la temperatura andasse ad aumentare la zona delle collisioni efficaci, in presenza dei catalizzatori, il numero delle collisioni aumenta drasNcamente. Introducendo il catalizzatore, si sfru>ano tu>e le collisioni possibili in modo da garanNre, per quelle che hanno anche un corre>o orientamento, la possibilità di abbassare notevolmente la barriera, rendendo efficace la nostra reazione chimica. Qual è il meccanismo d’azione? Un catalizzatore agisce legando alla sua superficie le molecole da trasformare, provocandone la distorsione e la ro>ura di determinaN legami. Le molecole che aderiscono alla superficie di un catalizzatore sono chiamate substra:. In questo, gli enzimi giocano un ruolo chiave. Migliaia di diversi Npi di proteine, ognuna delle quali catalizza solo una o poche tra le migliaia di reazioni che avvengono nei tessuN animali. Hanno una specificità molto elevata per il substrato. È necessaria un’interazione molto ravvicinata tra le molecole che si interfacciano nel meccanismo di catalisi enzimaNca, si tra>a dell’adsorbimento. Gli enzimi presentano una sorta di tasca interna, che è quella che interagisce con il substrato. Si suppone di avere due reagenN, chiamaN substrato 1 e 2, come si può vedere nell’immagine a destra, la tasca dell’enzima ospita facilmente prima il substrato 1 e poi il 2. L’enzima, quindi, non solo facilita la reazione chimica in termini energeNci, ma posiziona bene i substraN. Ci sono corrispondentemente delle variazioni conformazionali, possono essere presenN anche delle chiusure della tasca in modo da favorire l’interazione. Il corre>o posizionamento dei reagenN, che consente il raggiungimento di uno stato di transizione ideale, che verrà raggiunto e perme>erà il rilascio del prodo>o. L’enzima torna ad essere come prima, senza consumarsi. Il sito aXvo è quello dell’enzima che deve interagire con il substrato. Gli enzimi e i substraN hanno nelle loro stru>ure determinaN atomi che perme>eranno parziali depolarizzazioni, quindi la creazione di interazioni ele>rostaNche come Van Der Waals, ma anche legami idrogeno, che consentono di immobilizzare il substrato a livello del sito aXvo dell’enzima. Anche le interazioni idrofobiche contribuiscono al legame tra substrato e sito aXvo. SubstraN diversi da quello per cui l'enzima è specifico non si legano al sito aXvo. pH Le reazioni chimiche sono influenzate dal pH. Quando si parla di pH occorre considerare le variazioni di ambiente acquoso, in termini acidi e basici. Ci sono diverse teorie dal punto di vista storico, come quelle di Arrhenius, Brønsted e Lowry e Lewis. Concordano tuX nel considerare l'acido come una sostanza in grado di rilasciare ioni H+. Inizialmente, si credeva che il comportamento acido fosse determinato proprio dalla presenza di H+, e che l'aumento della loro concentrazione portasse all'acidificazione. Al contrario, le basi venivano associate al rilascio di ioni OH-, idenNficandoli come responsabili del comportamento basico Successivamente, Brønsted e Lowry sono giunN alla conclusione in cui: ACIDO: qualsiasi molecola o ione in grado di donare idrogenioni (= ioni H+ = protoni) BASE: qualsiasi molecola o ione in grado di acce>are idrogenioni La forza degli acidi e delle basi dipende dalla loro capacità di donare o acce>are protoni. Un acido o una base è considerato forte se rilascia o a>rae protoni in modo completo ed efficace. Per ogni acido di Brønsted che cede un protone sarà presente una base di Brønsted che lo acce>a, avviene una transprotonazione. Se si uNlizza un acido forte, come l’acido cloridrico HCL in un ambiente acquoso come l’acqua (sostanza anfotera, può essere sia una base che un acido) che, in questo caso, si comporta da base, rilascia H+ che andranno a legarsi alle cariche negaNve. Quando l'acido cloridrico (HCl) si dissocia in acqua, rilascia ioni H⁺ e Cl⁻. Gli ioni H⁺ si combinano con le molecole d'acqua, formando ioni idronio (H₃O⁺), mentre gli ioni Cl⁻ rimangono in soluzione, completando la dissociazione in H₃O⁺ e Cl⁻. Si andranno a formare, dunque, un nuovo acido e una nuova base. Quando si parla di basi, come l'ammoniaca (NH₃), essa reagisce con l'acqua, che si comporta come un acido. Durante questa reazione, l'ammoniaca acce>a un protone (H⁺) dall'acqua, un processo chiamato transprotonazione, formando lo ione ammonio (NH₄⁺) e lo ione idrossido (OH⁻), noto anche come ossidrilione. L'immagine a destra illustra una serie di coppie acido-base coniugate. QuesN sistemi sono fondamentali per il funzionamento dei tamponi, che possono agire sia come acidi che come basi a seconda delle necessità. Definizione di acido e di base secondo Lewis: acido: qualunque acce>ore di un doppie>o ele>ronico; base: qualunque donatore di doppie>o ele>ronico. In virtù della definizione di Lewis si definiscono: acide → specie chimiche povere di ele>roni (ele>rofile) basiche → specie ricche di ele>roni (nucleofile) FORZA DI UN ACIDO E DI UNA BASE E’ importante definire il conce>o di acido forte, in cui si oXene una completa dissociazione in acqua, e base forte, in cui tu>e sono protonate. Quelle deboli hanno ancora una parziale possibilità sia di cedere protoni che di associarli. In questo modo, si ha una triplice funzione che viene sfru>ata all’interno. Nella vita comune, quando facciamo riferimento al succo di limone, viene in mente di pensare che sia acido, mentre alcuni farmaci che presentano un gusto un po’ più amaro, sono basici. In agricoltura si parla di terreni acidi o basici, vengono consideraN in base anche alle specie di piante che possono sopportare quesN Npi di terreni. Il conce>o di acidità aumenta con l'aggiunta di acidi come HCl, mentre la basicità aumenta con sostanze come NaOH, una base forte. Il pH misura quesN cambiamenN su una scala da 0 a 14: valori più bassi indicano un'acidità maggiore, mentre valori più alN indicano una maggiore basicità. È essenziale mantenere il pH del corpo vicino alla neutralità, ad esempio, il pH del sangue deve rimanere equilibrato. Sostanze come ammoniaca e candeggina, invece, sono fortemente basiche, con valori di pH elevaN. La necessità di valutare l'acidità e la basicità è legata alla concentrazione molare di protoni (H⁺) rilasciaN e alla concentrazione di ioni idrossido (OH⁻) che si formano nella formazione della base coniugata dell'acido. soluzione neutra: [H+] = [OH ]̅ a 25°C ha una concentrazione di protoni pari a 10 alla meno 7. soluzione acida: [H+] > [OH ]̅ a 25°C ha una concentrazione di protoni maggiore a 10 alla meno 7. soluzione basica: [H+] < [OH ]̅ a 25°C abbiamo una concentrazione minore di 10 alla meno 7. Nel corpo umano le reazioni avvengono alla temperatura di 37,5°C circa, e ciò influenza il valore di [H+] corrispondente alla neutralità. Per moNvi matemaNci e di praNcità, Sørensen nel 1909 propose di esprimere la concentrazione molare dei protoni so>o forma del suo logaritmo negaNvo (cologaritmo): il pH Maggiore è la concentrazione di protoni (H⁺) in una soluzione, più basso sarà il valore del pH. Allo stesso modo, il pOH è il logaritmo negaNvo (cologaritmo) della concentrazione molare degli ossidrilioni: Nella figura a destra è presente la scala del pH, che presenta valori più comunemente misurabili vanno da 0 a 14. Neutralità: si trova al valore 7 (concentrazione di protoni è pari a 10 alla meno 7); Acidità: valori molto bassi, da 0-6,9 Basicità: valori alN, da 7,1-14 A>raverso la carNna tornasole, è stato possibile visionare le diverse concentrazioni di protoni. Il colore rosso indica un'alta acidità, mentre il colore verde rappresenta la neutralità. Infine, il colore blu indica un comportamento basico. Grazie alla presenza di altri colori, è stato possibile vedere un range di pH molto elevato da 1 a 10. Perché è importante il pH? Il pH influenza: AXvità enzima:che: gli enzimi sono influenzaN dal pH, le interazioni ele>rostaNche non sono nient'altro che cariche e se modifichiamo il pH andremo a modulare l’aXvità enzimaNca. Trasporto di ioni e molecole: ci sono dei trasportatori che possono risenNre di una variazione del pH Contrazione muscolare: produzione dell'acido laXco, la quale è un'acidificazione che contrasta la contrazione. Fecondazione dell'ovocita; Proliferazione cellulare All’interno dell’organismo vengono prodoX acidi, un uomo adulto produce: 13-20 moli di CO2 (acido carbonico): il prodo>o finale del catabolismo umano è la CO2, in ambiente acquoso diventa un acido carbonico e dobbiamo contrastarlo. 50-80 moli di acido solforico e fosforico. 0,3-0,4 moli di acido laXco (solo eritrociN): sopra>u>o in comparNmenN in cui non sono presenN i mitocondri. È presente, inoltre, una differenza di pH tra sangue venoso e arterioso: pH nel sangue arterioso = 7,4 ± 0,04 pH del sangue venoso = 7,38± 0,04 [H+] = 40 ± 4nM INTRODUZIONE Nella lezione precedente si sono analizzate quali proprietà possono andare a modulare le reazioni chimiche, i parametri che possono influenzarle ed infine, si è accennato all'effe>o che gli acidi, le basi e il PH hanno sulle stesse reazioni. Il valore del PH può definirsi un parametro rilevante da analizzare nel momento in cui ci si trova di fronte a reazioni chimiche importanN. Un esempio può essere cosNtuito dalle reazioni metaboliche, sopra>u>o quelle enzimaNche, in cui la connessione tra l'enzima e il substrato è regolata da interazioni come legami a idrogeno o altri Npi di reazioni ele>rostaNche. Per questo moNvo, viste le interazioni, cambiando l'acidità o la basicità del mezzo circostante, quest’ulNmo va a variare anche le interazioni che vi sono tra enzima e substrato. Per far avvenire le reazioni in modo più o meno costante, dunque, l’organismo deve uNlizzare delle strategie per rimediare a queste variazioni di PH. LE SOLUZIONI TAMPONE Per questo moNvo esistono quelli che sono definiN sistemi tampone, che si basano sul principio delle soluzioni tampone. QuesN sistemi sfru>ano le proprietà degli acidi deboli, i quali possono dissociarsi e riassociarsi, comportandosi, nonostante inizialmente per esempio fosse presente un acido, come una base nella reazione inversa. I sistemi tampone, in generale, sono cosNtuiN da un acido debole in grado di rilasciare protoni, non dissociandosi completamente e di riassociarsi con essi. Queste soluzioni tampone possono anche agire con ambienN basici, contrastando anche gli ossidrilioni. Dunque, si può avere una neutralizzazione sia di quello che è un ambiente acido, sia di uno basico. La soluzione tampone può essere idenNficata come formata da un acido debole AH e la sua base coniugata A-: - Se è presente un aumento di concentrazione di protoni, la base coniugata potrà nuovamente legare i protoni, so>raendolo all’ambiente divenendo AH (acido); - Al contrario gli H+ dell’acido debole possono neutralizzare l’ambiente basico che aveva determinato un aumento del PH e un aumento della concentrazione degli OH-. Importante è la valutazione della normalità della soluzione che è determinata dagli equivalenN degli acidi o basi rilasciaN, che tu>avia non verranno tra>aN nel corso. Quando si ha un tamponamento per eccesso di cariche H+ o OH- , viene espresso in termini di neutralizzazione. Dunque, la soluzione tampone in ambiente acido viene controllata e neutralizzata a>raverso la base coniugata che lega gli H+. In questo caso, l’equilibrio della reazione verrà spostato, o>enendo in questo modo una variazione che deve mantenere l’equilibrio stesso così da o>enere di conseguenza il tamponamento. Al contrario, in ambiente fortemente basico con un eccesso di concentrazione di OH-, l’acido va a neutralizzare le concentrazioni di OH-, rilasciando un numero sufficiente di protoni per neutralizzare la soluzione, con la conseguente formazione di acqua dalla reazione tra H+ e OH-. Esiste un vero e proprio bilanciamento che accade nell’organismo e quesN sistemi tampone sono fondamentali. Esistono tu>avia anche meccanismi di bilanciamento diversi, come l’osmosi, ossia il passaggio di acqua da un comparNmento più concentrato di soluto ad uno meno concentrato. In questo caso, però, è necessario andare a tamponare gli effeX fisiologici della formazione di acidi nel metabolismo, che vanno neutralizzaN. Ci sono tre principali meccanismi che sono cosNtuiN da una coppia di acido debole e base coniugata: 1. TAMPONE FOSFATI, che possiedono comparNmenN specifici, importanN al livello del rene; 2. PROTEINE, cosNtuite da alcuni amminoacidi che si prestano bene nell’essere coppie acido-base (ad esempio l’isNdina). Tra queste proteine sono parNcolarmente importanN l’emoglobina, fondamentale nel trasporto dell’ossigeno e minormente della CO2, e l’albumina, grande ed importante nel circolo emaNco per il trasporto di piccoli acidi grassi 3. HCO3-/CO2 (o tampone bicarbonato) Tampone fosfa:: Il tampone fosfaN vede come specie acido-base il monoidrogenofosfato (fosfato dibasico). In questo processo, la base, può associare protoni, formando il diidrogenofosfato (o fosfato monobasico); allo stesso tempo il diidrogenofosfato può rilasciare protoni quando l’ambiente é basico e quindi ritrasformarsi in base. Questo é possibile perché i derivaN dell’acido fosforico sono presenN nell’organismo e queste due specie possono completare l’effe>o del tampone bicarbonato, ma solo con un potere tamponante nel sangue dell’1%. Invece, hanno maggiore efficacia nei liquidi intracellulari, dove il metabolismo cellulare può produrre acidificazioni contrastate con maggiore efficacia dal tampone fosfaN e nei tubuli renali, che verranno studiaN nella biochimica d’organo, nel mantenimento dei diversi livelli di PH, usaN come parametro anche per le analisi delle urine che possono essere più o meno acide. Proteine: Le proteine sono specialmente l’emoglobina e l’albumina. Tra tuX gli amminoacidi che cosNtuiscono le proteine, quello che meglio si presta ad esercitare un effe>o tampone è l’is:dina, inserita in una stru>ura amminoacidica, che si presenta più esternamente a conta>o con l’ambiente. Nell’immagine in figura, la proteina ha una stru>ura chiusa che giusNfica il suo ruolo nel trasporto dell’ossigeno, mentre quella che agisce nell’albumina é diversa. Quello che è possibile notare nella stru>ura ciclica e pentatomica, definita anello imidazolico, è la presenza di eteroatomi che possiedono un’ele>ronegaNvità superiore determinata dalla presenza di doppieX non condivisi (in parNcolare sull’atomo di azoto) che, come nei fosfaN, in caso di aumento degli H+ possono so>rarli all’ambiente per riprisNnare un PH neutro. L’isNdina e lo ione isNdinio cosNtuiscono il 25% del potere tampone del sangue, e l’80% del potere tamponante a livello intracellulare. L’anello imidazolico, per moNvi di risonanza, ha una grande stabilità nella stru>ura, rendendo dunque il ruolo dell’isNdina molto specifico, poiché capace di creare facilmente questa coppia acido-base isNdina e ione isNdinio. Tampone bicarbonato Il tampone bicarbonato coinvolge più comparNmenN: lo troviamo specialmente a livello del circolo emaNco, dove garanNsce il trasporto dell’anidride carbonica di modo che possa arrivare dai tessuN dove è prodo>a fino ai polmoni, dove viene poi espulsa. L’organismo ha bisogno dell’ossigeno, poiché è l’acce>ore ulNmo del catabolismo usato per la formazione dell’ATP, molecola energe:ca per eccellenza. Quando si compie la respirazione cellulare, viene prodo>a anidride carbonica, che non è possibile indirizzare come tale ai polmoni, poiché è un gas, e non può permanere a livello emaNco, dal momento che potrebbe inoltre creare degli emboli e condizioni che possono minare la sopravvivenza. Nelle cellule periferiche, il catabolismo di lipidi, carboidraN e proteine, oltre a produrre ATP produce anche la CO2, che può trovarsi: - In parte disciolta nel plasma sanguigno (10%) - In parte legata all’emoglobina in sosNtuzione del trasporto di ossigeno - Il 70% di tale trasporto converte la CO2 altrimenN tossica, in acido carbonico (H2CO3) ad opera di un enzima de>o anidrasi carbonica, che combina la CO2 con l’acqua, catalizzando la formazione di questo composto. Questo tende a dissociare protoni e si stabilizza come ione bicarbonato (HCO3-) che può viaggiare nel sangue; tu>avia, il processo porta ad una diminuzione del PH. Il tampone delle proteine emoglobina, già presente nel globulo rosso, lega quesN protoni, assieme all’albumina e ai tamponi fosfaN. In tal modo, il bicarbonato è infine trasportato a livello del circolo polmonare, dove l’aXvazione dell’anidrasi in senso inverso, mediato da un ambiente più basico, porta ad un rilascio da parte dei tamponi degli H+ che hanno impedito l’acidificazione e a questo punto l’acido carbonico è ritrasformato dall’anidrasi carbonica in acqua e CO2 che viene espirata. Questo fenomeno evidenzia l’effe-o Bohr, che afferma come in un comparNmento, dato l’aumento dei livelli di CO2 e degli H+, vi è una diminuzione della capacità di legare l’ossigeno. Il tampone bicarbonato è il principale tampone, che ha una grande efficacia determinata dal mancato consumo del tampone, conseguenza del veloce recupero determinato dall’intervento di fa>ori esterni possibile grazie ad un sistema aperto, impedendo sbilanciamenN del rapporto HCO3-/CO2. Si verificano delle duplici reazioni che collegano il sistema polmonare e renale: - A livello polmonare viene eliminata la CO2 e si risolve il problema dell’acidificazione; - Il rene interviene nell’eliminare lo ione bicarbonato, uNle per tamponare gli ioni H+ in eccesso, a>raverso le urine Per tale moNvo, tale sistema tampona l’eccesso di ioni H+, tu>avia in modo minore anche quello di OH-. A>raverso il sistema aperto, infine, questo sistema tampone è in grado di mantenere le sue funzioni a lungo grazie ad un mantenimento della concentrazione delle specie coinvolte. Importante è infine il globulo rosso: al suo interno, la CO2 entra per diffusione semplice, mentre il bicarbonato e altri ioni come il cloro vedono la necessità di avere dei trasportatori, ossia proteine che a>raversano le membrane e garanNscono un anNporto con lo ione che giusNfica un passaggio diverso se si trova nel polmone o nei tessuN. Nei confronN di alterazioni del PH: - Il corpo a>ua una prima difesa con i sistemi tampone bicarbonato, fosfaN e con le proteine; - A livello sistemico, nel giro di minuN o ore è a>uata l’eliminazione della CO2 a>raverso la respirazione, oltre che l’espulsione dell’HCO3- a>raverso le urine. Perché è importante mantenere nel sangue un PH neutro? L’organismo possiede un range normale di PH arterioso, che si può spostare di pochi decimali in termini di concentrazioni di H+ o OH-. In caso di eccesso di H+ nel sangue si ha l’acidosi, ossia che è minore di 7,45, mentre si ha l’alcalosi se il valore di PH supera i 7,45. La sopravvivenza entro cui si può avere PH acido non è inferiore a 7, mentre sono il sogge>o può resistere a valori di PH di 8 o 9. In medicina, le reazioni acido-base sono esemplificate con i farmaci an:acidi, naN per contrastare l’acidità dello stomaco: quesN farmaci sono cosNtuiN da sali basici, che tamponano l’acidità dello stomaco stesso a>raverso una reazione acido-base. Benché talvolta abusaN, quesN farmaci sono importanN, dato che un eccesso di acidità potrebbe danneggiare la mucosa dello stomaco. REATTIVITÀ DELLE MOLECOLE La reaXvità, modulata dalla temperatura, può essere compresa alla luce dei gruppi funzionali, ossia gruppi di atomi in grado di condizionare proprio la reaBvità della molecola che le conNene e le sue cara>erisNche chimiche, sulla base della propria ele>ronegaNvità e della distribuzione dei suoi ele>roni. È possibile classificare le molecole biologiche in diverse classi di composN, sulla base della presenza di uno o più di quesN gruppi. INTRODUZIONE AL CONCETTO DI CHIMICA ORGANICA Partendo dalla chimica inorganica e dallo studio di conceX come l’ele>ronegaNvità, è possibile passare alla chimica organica, ovvero quella branca della chimica che studia i composN del carbonio. Parlando dei vari legami degli elemenN ele>rofili o nucleofili, il carbonio ha cara>erisNche che ben si prestano alla costruzione di molecole biologiche che devono essere stabili il più possibile. Il carbonio: - Ha una posizione centrale nella scala di ele-ronega:vità, a metà tra gli elemenN meno ele>ronegaNvi - Ha qua-ro ele-roni nello strato di valenza e può formare 4 legami singoli usando un singolo ele>rone per legame - Può formare legami doppi o tripli Se si osservano le varie possibili interazioni del carbonio, si nota che spesso si lega all’idrogeno, come negli idrocarburi, i composN più semplici; oppure può legarsi con l’ossigeno nel gruppo funzionale C=O, ma anche con l’azoto per la formazione dei legami pepNdici; o semplicemente, il carbonio può legarsi con altri atomi di carbonio per formare lunghi scheletri carboniosi. Esistono poi i gruppi funzionali che idenNficano i diversi gruppi di atomi che il carbonio può legare. QuesN gruppi di atomi sono cara>erisNci di determinate molecole biologiche, come gli aldeidi o i chetoni. I gruppi funzionali, aiutano anche a spiegare le proprietà e i fenomeni legaN alle molecole biologiche. Un esempio potrebbe essere il perché è possibile costruire trigliceridi e demolirli, oppure perché i carboidraN possono essere usaN nella resa energeNca. Bisogna tenere conto non solo delle cara>erisNche chimiche dei gruppi funzionali, ma anche di quelle fisiche. Una di queste cara>erisNche fisiche riguarda la reaBvità. Alcuni gruppi funzionali saranno più reaXvi di altri e ciò giusNficherà la loro presenza in molecole molto reaXve. Tale reaXvità sarà garanNta da alcuni Npi di reazioni specifiche per queste classi. L’osservazione dell’ace:l-coenzima A può far capire come in una singola molecola possano essere presenN contemporaneamente più di un gruppo funzionale. All’interno di questa molecola, infaX, si può trovare: il gruppo aceNlico, ossidrilico, fosfoanidridico, Npico anche dell’ATP, oltre che il gruppo ammidico. GLI IDROCARBURI Gli idrocarburi sono i composN organici più semplici, formaN da una catena di carbonio ed idrogeno, che nei composN più complessi è arricchita da uno o più gruppi funzionali. È possibile classificare gli idrocarburi secondo la natura del legame: - Se sono presenN solo legami semplici, quesN sono deX saturi; - Se si presentano legami doppi o tripli, sono deX insaturi. Anche gli idrocarburi aromaNci, una parNcolare classe di idrocarburi ciclici, sono insaturi. In quesN composN però, troviamo l’alternarsi di legami doppi, intervallaN da uno semplice. Le stru>ure idrocarburiche possono poi essere organizzate in modo lineare (saturo o insaturo), ramificato (saturo o insaturo) oppure ciclico (saturo, insaturo o aromaNco). È possibile infine individuare una dicotomia tra gli idrocarburi aromaNci e quelli non aromaNci, che vengono chiamaN alifa:ci. QuesN possono appunto essere saturi o insaturi; avere una composizione lineare, ramificata o racchiusa in forma ciclica. ALCANI A disNnguerli dagli altri idrocarburi è la desinenza, -ano, nel nome. Agli alcani appartengono alcuni gas conosciuN come il Metano e il Propano e una loro cara>erisNca è presentare solo atomi di carbonio ed idrogeno nel rapporto di CnH2n+2. Nel metano, ad esempio, è presente un atomo di carbonio e 4 di idrogeno; dunque, la formula bruta di questo gas è CH4. Gli alcani possono essere rappresentaN in due diversi modi: - Con la stru-ura di Lewis che rappresenta la disposizione degli atomi in una molecola e mostra come gli ele>roni di valenza (quelli coinvolN nei legami chimici) sono distribuiN tra gli atomi. Nella stru>ura di Lewis: - I legami covalenN tra gli atomi sono rappresentaN da linee (un legame singolo corrisponde a una linea, un doppio legame a due linee, e così via). - Gli ele>roni non condivisi (deX anche "coppie solitarie") sono mostraN come coppie di punNni a>orno agli atomi. -Con la formula bruta, che indica semplicemente il numero e il Npo di atomi presenN in una molecola, senza fornire informazioni su come quesN atomi sono legaN tra loro. È praNcamente una descrizione abbreviata della composizione atomica della molecola. PROPRIETÀ FISICHE Per la formazione di legami idrogeno con acqua, una molecola deve possedere una differenza di ele>ronegaNvità al suo interno e dunque ci deve essere formazione di dipoli. In questo caso, negli alcani, vi é una bassa differenza di ele>ronegaNvità tra gli elemenN che li compongono, dunque, essi non possono formare i dipoli necessari per la formazione di legami a idrogeno. Per questo, sono non polari e insolubili in acqua. Di conseguenza, per la regola secondo cui il simile scioglie il simile si può affermare che gli alcani saranno miscibili con composN apolari come ad esempio il benzene, l’etere o il cloroformio. Per l’incapacità di creare legami più forN (come quelli a idrogeno), queste molecole tenderanno ad aggregarsi tra di loro e ad instaurare interazioni di Npo debole, come i legami di Van-der-Waals, e ciò giusNfica i bassi pun: di fusione o ebollizione, i quali tu>avia aumentano con l’aumentare del peso molecolare, o del livello di ramificazione delle catene idrocarburiche. PROPRIETÀ CHIMICHE La somiglianza in termini di ele>ronegaNvità degli atomi che li cosNtuiscono determina una scarsa reaBvità negli alcani, ad eccezione di una reazione, quella di ossidazione, che gli alcani sono in grado di sperimentare e che li rende essenziali da un punto di vista metabolico. L’ossidazione è un passaggio di ele>roni tra specie che li acce>ano e li donano. Questo, dà vita ad una combus:one: dall’ossidazione degli alcani, infaX, si oXene calore. Ad esempio, se si osserva un gas come il butano, che ha 4 atomi di carbonio, l’ossidazione avviene con l’ossigeno. Quest’ulNmo, in presenza di un innesco, rappresentato ad esempio da un accendino, genera acqua e calore. Non a caso, il valore di entalpia è molto basso (-688 Kcal/mol), minore di zero, e questo evidenzia la produzione di calore nella reazione in maniera esotermica. Le reazioni di combusNone avvengono specialmente negli acidi grassi, cosNtuiN da lunghe catene di idrocarburi (sature o insature) legaN ad un gruppo funzionale acido. Aldilà del gruppo acido, gli acidi grassi, come l’acido palmi:co, necessitano sempre di ossigeno per produrre CO2, oltre che di acqua ed energia. I cammelli, per esempio, possiedono delle gobbe che presentano alte quanNtà di grassi che perme>ono di ricavare in condizioni estreme acqua ed energia. Un simile meccanismo è alla base della sopravvivenza del topo del deserto, che manNene, vicino alle mandibole, del grasso. DERIVATI DEGLI ALCANI: GLI ALOGENURI ALCHILICI Gli alogenuri alchilici sono molto importanN, sono derivaN degli alcani e vengono usaN anche in campo medico. QuesN Npi di composN oltre che alogenuri alchilici sono chiamaN anche alogenoalcani. Essi, legano alle catene idrocarburiche almeno un atomo di alogeno (elemento del seXmo gruppo della tavola periodica, come Fluoro-, Cloro-; Bromo- o Iodio-), che va a sosNtuire un atomo di idrogeno. Nella nomenclatura, gli alogenuri alchilici sono indicaN antecedendo il nome dell’alogeno che ha agito da sosNtuente al nome dell’alcano. I più noN sono gli alogenuri derivaN dal cloro, di cui il più celebre è il cloroformio. Questa classe di alogenuri è usata come anesteNci (alotano e fluotano), tu>avia il cloroformio non più poiché si è scoperto che se usato in dosi elevate, va ad avere un effe>o tossico, specialmente a livello epaNco. InfaX, i suoi metaboliN depositandosi andavano a danneggiare il sogge>o. Anche altri alogenuri derivaN dal cloro sono staN usaN per formare prodoX che poi in seguito sono staN dimessi dal mercato perché dannosi. Tra quesN si disNnguono: - DDT: usato come inseXcida e a base di Dicloro-Difenil-Tricloroetano; - Freon: usato come refrigerante, ma responsabile della disgregazione delle molecole di ozono (O3), e dunque responsabile del buco dell’ozono; - Fluorocarburi: in grado di legare l’ossigeno. Per questa loro cara>erisNca, sono staN protagonisN di un tentaNvo di contrasto verso le cellule tumorali. Queste infaX sono fortemente ipossiche, ossia sopravvivono con poco ossigeno: dunque, c’è stato un tentaNvo di reverNre questo ambiente, creando dunque composN in grado di legare l’ossigeno che, in presenza di variazioni ambientali, come di PH, potessero rilasciare l’ossigeno ed ostacolare la crescita tumorale. Gli scienziaN, sulla base dello stesso principio, hanno tentato di verificare se i fluorocarburi, come il perfluoroesano, potessero rilasciare l’ossigeno in modo graduale anche so>’acqua. In questo caso, gli scienziaN hanno tentato di verificare che il topo in figura potesse respirare anche so>’acqua grazie a quesN composN. Si è cercato di applicare lo stesso principio anche nell’ambito subacqueo, ma con minor successo. GLI ISOMERI Parlando di stru>ure chimiche, una stessa molecola può avere disposizioni spaziali differenN. Queste diverse disposizioni nello spazio di una stessa molecola vengono definite isomeri. A parNre dagli idrocarburi più semplici è possibile già trovare i primi isomeri che nello specifico sono composN con stessa formula molecolare ma diversa disposizione degli atomi nello spazio. Ciò è importante perché nelle vie metaboliche, gli enzimi sono molto seleXvi e spesso sono specifici solo per un parNcolare isomero di una molecola. Nella figura a destra, è possibile vedere un esempio di isomeria. L'isobutano (chiamato anche 2-meNlpropano) è un isomero del butano. Entrambi hanno la stessa formula molecolare, C4H10, ma differiscono nella stru>ura: - Il butano è un alcano lineare con qua>ro atomi di carbonio disposN in una catena conNnua; - L’isobutano è un alcano ramificato, in cui tre atomi di carbonio formano una catena lineare e il quarto atomo è legato come un gruppo meNle (CH3) al secondo carbonio della catena principale. Questa differenza nella disposizione degli atomi fa sì che isobutano e butano abbiano proprietà fisiche diverse, pur avendo la stessa formula chimica. Questo è un esempio di isomeria stru>urale. Parlando sempre di isomeria, esistono due diverse definizioni: - Isomeria conformazionale, dove le due molecole, chiamate conformeri, possono ritrasformarsi l’una nell’altra grazie ad una rotazione resa possibile, di solito, da un legame semplice C-C che rende la rotazione a>orno a sé stesso possibile; - Isomeria configurazionale, nel quale gli isomeri non possono essere riconverNN l’uno dell’altro senza la ro>ura di almeno un legame covalente. In questo caso, la rotazione è impedita dalla presenza di una nube ele>ronica intorno al legame, determinata da un legame doppio o triplo (legame ) Quando si parla di posizioni spaziali non converNbili, si parla di stereoisomeria, di cui fa parte anche l’isomeria oXca. ISOMERIA DI CONFORMAZIONE Nell’isomeria conformazionale, gli isomeri avranno una stessa formula grezza e medesima formula di stru>ura, ma una posizione spaziale diversa. Nella formazione di legami, può avvenire l’ibridazione di orbitali atomici per formare orbitali ibridi. Ad esempio, si può avere la formazione di orbitali sp, dall’ibridazione di orbitali s e p. Nel caso di condivisione di un singolo ele>rone per orbitale si o>erranno orbitali sp3. Dunque, quesN ulNmi si formeranno a>raverso un processo chiamato ibridazione degli orbitali atomici. Questo processo avviene quando un atomo centrale, come il carbonio, forma legami con altri atomi, e gli orbitali atomici si combinano per creare nuovi orbitali "ibridi" con cara>erisNche specifiche. Oltre gli orbitali sp3, si potranno formare anche quelli sp2, dove, un orbitale s e due orbitali p si mescolano per formare tre nuovi orbitali ibridi sp2, mentre l'altro orbitale p rimane non ibridato. Gli orbitali sp2 si formano per consenNre agli atomi di o>enere una configurazione ele>ronica più stabile a>raverso la formazione di doppi legami o anelli aromaNci. Infine, si può avere l'ibridazione sp che avviene quando un atomo forma legami con una geometria lineare, cioè quando ci sono due regioni di densità ele>ronica a>orno all'atomo centrale. L'ibridazione sp è Npicamente presente nei tripli legami. Quando un atomo forma un triplo legame, come nei composN alchini (ad esempio, l'aceNlene, C₂H₂), un orbitale s e un orbitale p si mescolano per formare due orbitali ibridi sp, mentre gli altri due orbitali p rimangono non ibridaN e vengono uNlizzaN per formare i legami pi-greco (π). Il carbonio può formare fino a qua>ro legami semplici: in figura, il carbonio lega 4 atomi ed è presente una spazialità planare che giusNfica la variazione dei conformeri. In caso di presenza di due atomi di carbonio, è possibile una rotazione a>orno a tale legame e la diversa spazialità assumibile dai legami a>orno al carbonio origina molecole interconver:bili. In parNcolare, gli idrogeni possono trovarsi in una stessa direzione, oppure da parN opposte: nel primo caso, avremo la forma eclissata, rispe>o alla seconda, de>a sfalsata. La maggiore vicinanza degli atomi di H nella forma eclissata destabilizza la molecola (a causa delle interazioni tra i protoni che, essendo più vicini, si respingeranno) e, dal momento che la stabilità è molto importante in ambito biologico, prevale la presenza del conformere sfalsato, ossia più stabile. Per la rappresentazione di molecole molto lunghe, come l’o>ano con 8 atomi di carbonio, si può ricorrere a modalità diverse: - Si può uNlizzare una rappresentazione spaziale che definisce con traX più spessi gli atomi di idrogeno più vicini al punto di riferimento; - Si può uNlizzare un andamento a den& di sega in cui non vengono segnaN gli atomi di idrogeno presenN o, nelle forme ancora più semplificate, anche quelli di carbonio. L’ISOMERIA DEI CICLOALCANI Anche i composN ciclici possono presentare delle isomerie. Questo è possibile a parNre da molecole contenenN almeno 3 atomi di carbonio, ossia il ciclopropano, con a seguire il ciclobutano, a forma quadrata, ciclopentano a forma di pentagono, cicloesano a forma di esagono e così via. Nella forma ciclica, si verifica una forma regolare e spazialmente planare in prevalenza. Nonostante ciò, specie alle estremità, è possibile che in parte quesN composN presenNno delle variazioni al di sopra o al so>o: è possibile, infaX, avere solo una parte planare, mentre invece alcuni atomi di carbonio possono presentarsi al di sopra e al di so>o del piano. Questa disposizione ricorda le forme sfalsate ed eclissate e assume una precisa nomenclatura. Analizzando il caso del cicloesano, in esso il carbonio 3 e 6 possono essere sullo stesso piano o su piani diversi: anche in quesN casi, la maggiore o minore vicinanza tra atomi determinerà un diverso grado di repulsione, e dunque anche di stabilità. Tali conformeri vengono chiamaN: - A barca, quando i carboni 3 e 6 si trovano sulla stessa parte rispe>o al piano centrale; - A sedia, quando i carboni 3 e 6 si trovano su parN opposte rispe>o al piano centrale, ed è la conformazione prevalente Esistono poi forme intermedie degli stessi, come quelli a treccia: analizzando però l’energia di queste forme, è possibile verificare che il conformere a sedia è il più stabile e dunque anche il più presente. ISOMERIA DI STRUTTURA Nell’isomeria stru>urale la formula bruta è la stessa, tu>avia sussistono diversi legami. In quesN composN, è possibile idenNficare due stru>ure diverse tra loro: in ogni stru>ura è possibile far avvenire delle rotazioni; tu>avia, le due stru>ure non sono tra loro interconverNbili (ciò fa capire che le isomerie non si escludono necessariamente tra loro, dato che è possibile avere contemporaneamente un'isomeria conformazionale e stru>urale). Nel caso del butano (C4H10) potremo avere: - Il n-butano che non presenta ramificazioni - Isobutano, con una stru>ura diversa dal primo A livello di nomenclatura, la stru>ura classica è preceduta da -n, ovvero “normale”. Quindi verrà n-butano. Mentre le altre stru>ure sono precedute da ulteriori prefissi come -iso o -neo. I legami all’interno degli isomeri stru>urali sono diversi: quesN presentano la stessa quanNtà di atomi, ma legaN diversamente. Aumentando il numero di atomi di carbonio, è possibile aumentare anche il numero di isomeri di stru>ura possibili: il pentano potrà avere 3 isomeri (n-pentano, isopentano e neopentano), l’esano 5, l’eptano 9 e così via. Diversi isomeri, dunque, perme>ono di avere diversi Npi di legami di Van der Vaals e diverse ramificazioni che possono ad esempio allontanare le molecole. ISOMERIA CONFIGURAZIONALE È un Npo di isomeria che dà vita a composN che non sono interconverNbili tra loro senza rompere almeno un legame covalente. Questa isomeria è definita anche “geometrica” oppure “cis/trans”, dato che gli isomeri di questo Npo sono quasi sempre solo due: l’isomero cis e trans. Prendendo ad esempio il ciclopentano, si suppone di avere due sosNtuenN, anche uguali tra loro ma diversi da H (in questo caso CH3 o meNli). In questo caso si avranno due ciclopentani; tu>avia, se entrambi i meNli sono al di sopra del piano, si o>errà l’isomero cis; quando invece si trovano su parN opposte rispe>o al legame C-C che lega i cosNtuenN, allora si chiamano trans. Tale isomeria è spesso presente in caso di doppio legame: considerando il 2butene e considerando il doppio legame come l’origine del piano, è possibile nuovamente trovare 2 configurazioni: i due meNli sullo stesso piano per la configurazione cis, su piani opposN per quella trans. Questo Npo di isomeria è fondamentale. Ciò è visibile alla luce del fa>o che due acidi che sono isomeri configurazionali, come l’acido maleico e l’acido fumarico, hanno nomenclature diverse e vengono addiri>ura riconosciuN da enzimi diversi. Essi, dunque, hanno anche cara>erisNche diverse (come diversa costante di dissociazione acida) ALCHENI E PROPRIETÀ FISICHE Sono anch’essi cosNtuiN da ossigeno e idrogeno e come gli alcani, sono insolubili in acqua ma solubili in composN apolari. La presenza di uno o più doppi legami porta poi ad un abbassamento dei punN di ebollizione, oltre che ad un impedimento della rotazione e a una maggiore reaXvità per la presenza della nube ele>ronica. Nel caso di catene lunghe e con un solo legame doppio, con un andamento a denN di sega, può esserci un’insaturazione che, nel caso di una configurazione di Npo trans, fa sì la molecola non risenta in modo pesante del doppio legame; al contrario, nella configurazione cis in cui si ritrova la parte della molecola rivolta verso la stessa parte del piano che idenNfica il doppio legame, si forma un’incurvatura che rende la molecola più rigida. Ciò è importante, perché può cambiare la vicinanza delle molecole: nel caso della presenza di acidi grassi, come i trigliceridi, quesN possono avere catene più o meno sature, e nel caso in cui ci siano catene sature o insature trans, potranno avvicinarsi più tra loro, mentre la curvatura cis perme>erà meno di impacche>arsi e porterà a un numero minore di interazioni di van der Waals. Negli acidi grassi polinsaturi, come l’acido linoleico prevale la forma cis, meno stabile. Ciò è spiegabile da un punto di vista funzionale: molN acidi grassi possono mantenere una maggiore fluidità determinata da un numero minore di interazioni. Dunque, proprio per questa ragione, se si avessero solo isomerie trans, quesN composN, si impacche>erebbero molto di più in stru>ure come membrane, rendendoli quindi troppo rigidi e compaX, poco funzionali all’organismo. E dunque proprio per la poca stabilità della forma cis, questa prevale in alcuni composN. PROPRIETÀ CHIMICHE La presenza del doppio legame fa sì che vi siano ele>roni al di so>o e al di sopra dei legami semplici. La presenza di tali ele>roni fa sì che vengano aXraN agen: ele-rofili, in grado di acquisire quesN ele>roni e spezzare il doppio legame. QuesN agenN, dunque, possono spezzare il legame + per formarne due semplici (ossia ,). QuesN Npi di reazione vengono deX di addizione ele>rofila, che può essere di diversi Npi: - Alogenazione - Idrogenazione - Idratazione ALOGENAZIONE In questo caso, una molecola di cloro diatomica (o di un altro alogeno) si addiziona contemporaneamente al doppio legame. Questo avviene perché gli ele>roni liberi derivanN dalla ro-ura del doppio legame C=C possono essere condivisi ciascuno con i due ele>roni dei due atomi di cloro con cui reagiscono, formando il dicloroetano. Questo è diverso dall’alogenazione, dove un atomo di alogeno (come Cl) prendeva il posto di un atomo di H. IDROGENAZIONE Similmente all’alogenazione, in questo caso l’alchene non reagisce con un alogeno in forma diatomica, bensì con una molecola diatomica di idrogeno, la quale spezza il doppio legame, formando l’alcano corrispondente. In passato si è tentato con la margarina di addizionare idrogeni alle catene idrocarburiche insature dei vegetali per creare un’alternaNva al burro, composta da acidi grassi animali saturi. In verità si è creato un nuovo composto formato da acidi grassi saturi, e dunque, benché vegetale, presenta delle cara>erisNche non così sane. IDRATAZIONE L’idratazione prevede l’addizione di acqua al doppio legame, che porta allo spezzamento del doppio legame e alla formazione di un legame singolo tra i carboni e l’a>acco di un gruppo OH Npico degli alcoli. REAZIONE DI OSSIDAZIONE NEGLI ALCHENI L’ossidazione si verifica in presenza di forN ossidanN, come il perossido di idrogeno (acqua ossigenata) che può rompere il legame + e al contempo a>uare un'ossidazione. In questo caso si ha una variazione di configurazione ele>roniche che giusNficano l’ossidoriduzione. In questo caso, si può parlare di glicoli, ossia composN formaNsi dall’ossidazione degli alcheni, i quali presentano due gruppi OH Npici della classe dei glicoli. INTRODUZIONE La scorsa lezione si è iniziata a vedere la classe degli idrocarburi e la tra>azione della chimica organica; si sono visN sia quegli idrocarburi che presentano solo legami semplici (so>oclasse degli idrocarburi definita degli alcani, importanN in quanto cosNtuiscono lo scheletro carbonioso delle molecole), sia la classe degli alcheni, e tra>ato le varie isomerie che possono essere presenN in una molecola con legami semplici o doppi. Gli alcheni, dato che presentano almeno un doppio legame, sono definiN insaturi; le insaturazioni possono essere più di una. Vi è un Npo di molecola che può presentare delle cara>erisNche un po’ diverse non solo nei doppi legami: quesN sono definiN polieni coniuga:. I POLIENI CONIUGATI I polieni coniugaN sono delle molecole che presentano almeno due doppi legami (non è sufficiente che ce ne sia solamente uno, per questo si usa il prefisso -poli) intervallaN da un legame singolo. La cara>erisNca dell’arma:cità che verrà affrontata maggiormente più avanN, si può già presentare in queste condizioni; si può presentare anche in altre molecole e non solo negli elemenN come C o H o legami doppi C-C. In questo Npo di molecola in posizione 1 e 3 si trova il doppio legame e poi un legame semplice (quella nell’immagine originariamente era una molecola di butano) Dal punto di vista chimico i polieni acquisiscono, in conseguenza della presenza di quesN due legami doppi molto vicini (perché c’è solo un legame semplice che li separa), delle cara>erisNche che hanno portato alla formulazione della teoria della cosidde>a delocalizzazione degli ele-roni. CARATTERISTICHE CHIMICHE DEI POLIENI minore reaXvità rispe>o agli alcheni (si trovano più legami semplici); maggiore stabilità degli alcheni con doppi legami isolaN; lunghezza di legame centrale che non ha più la lunghezza cara>erisNca del legame semplice, ma risulta accorciato. Questa lunghezza intermedia giusNfica il fa>o che la molecola sia diversa rispe>o ad un’altra che presenta doppi legami più isolaN. delocalizzazione degli ele>roni, come se non si non avessero più gli ele>roni dei doppi legami localizzaN solo in prossimità dei carboni uniN dal doppio legame, ma gli ele>roni in questo caso tendono a distribuirsi lungo il legame semplice intermedio. È come se le due nubi che si formano intorno ai doppi legami vadano ad unirsi in un’unica nube ele>ronica che va ad estendersi sul legame semplice. Ciò giusNfica la minore reaXvità di quesN composN. La delocalizzazione stabilizza la molecola perché si ha un abbassamento dell’energia che cara>erizza la reaXvità legata agli ele>roni dei doppi legami singoli, conseguenza per cui abbiamo una molecola decisamente più stabile. Questo processo si definisce stabilizzazione per risonanza. Più evenN di legami coniugaN esistono, maggiore sarà la delocalizzazione e quindi maggiore sarà anche la stabilità della molecola. Questo conce>o apre alla classe degli idrocarburi definiN aroma:ci. IDROCARBURI AROMATICI Sono degli idrocarburi ciclici, ma nel loro sistema di insaturazione vedono una delocalizzazione dovuta alla presenza di più doppi legami intervallaN da legami semplici. Una delle cara>erisNche chiave di quesN composN è proprio la delocalizzazione. Il benzene presenta 6 atomi di carbonio legaN a 6 atomi di idrogeno. L’esagono che cara>erizza la sua stru>ura è regolare e, essendoci questa delocalizzazione, i doppi legami e i legami semplici sono di lunghezza uguale. Per semplificare l’alternanza tra legami doppi e semplici si ome>e nella rappresentazione il doppio legame con l’idrogeno (come nell’andamento a denN di sega dove si da per scontato che ci sia il doppio legame con l’idrogeno). Lo studioso Kekulè definì le stru>ure in cui si è possibile idenNficare l’alternanza tra legami doppi e singoli del benzene. Si possono ipoNzzare diverse distribuzioni degli ele>roni e quindi esistono diverse rappresentazioni della molecola di benzene, in cui i doppi legami sono distribuiN differentemente come si vede nell’immagine. Sono le famose stru-ure di risonanza che giusNficano il fenomeno della stabilizzazione per la delocalizzazione degli ele>roni La delocalizzazione avviene su tu>o il perimetro dell’anello. Inoltre, una molecola di questo Npo sarà rigida perché non sarà possibile su quei legami singoli avere evenN di isomeria come per le stru>ure a sedia o a barca. Ciò è dovuto sopra>u>o alla rigidità del legame semplice che fa sì che non si possano avere rotazioni. È possibile quindi pensare ad una nube al di sopra e al di so>o del piano che si sta considerando, che vede un ulteriore conferma di quanto la molecola sia stabile. Quindi difficilmente l’anello può subire delle aggressioni da parte di reagenN, cioè è molto stabile. Molto spesso al posto che usare le stru>ure di Kekulè che sono un ampliamento del conce>o della risonanza, si fa una rappresentazione più semplice: un esagono con all’interno un cerchio che rappresenta la delocalizzazione (talvolta lo si trova anche tra>eggiato). Questo sistema di molecole che presentano una delocalizzazione come conce>o di idrocarburo aromaNco, si trova in molte molecole biologiche e in alcuni composN che si ritrovano anche a livello ambientale. MolN di quesN possono entrare in conta>o con l’organismo umano ed essere fortemente dannosi. Uno di quesN è il naàalene, che fa parte degli idrocarburi aromaNci policiclici (IAP). Sono dunque formaN da più cicli che mantengono l’aromaNcità, cioè la delocalizzazione degli ele>roni. Si nota come il naàalene nasca da una sorta di unione di due benzeni, in cui c’è effeXvamente una planarità di tu>a la molecola. Di nuovo è possibile rappresentare questa delocalizzazione a>raverso le stru>ure di Kekulè. Si possono così ipoNzzare le varie forme di risonanza che possono essere presenN. Questo conce>o definisce anche una proprietà: quesN composN sono derivaN del carbon-fossile, moNvo per il quale si cerca di abbandonare questo Npo di uNlizzo. Inoltre molN di essi si sono dimostraN cancerogeni. Esistono delle cara>erisNche Npiche legate alla presenza di queste nubi ele>roniche delocalizzate: stabilità evidenziata a>raverso la solidità di quesN composN. Le molecole sono più stabili e planari quindi risultano maggiormente a loro volta stabilizzaN dalle forze di Van Der Waals sono colora:: la nube ele>ronica fa si che le radiazioni ele>romagneNche siano assorbite dalla nube, quindi la resa nel visibile è di una colorazione. Per esempio, il carbone ha una colorazione molto scura, quasi nera; la melanina presente nell’organismo, è invece responsabile della colorazione di pelle/abbronzatura quando sNmolata dai raggi ultravioleX. Questa possiede una stru>ura molto complessa e ciò giusNfica la colorazione scura della melanina. Perché molN idrocarburi aromaNci policiclici sono cancerogeni? È possibile considerare l’esempio del benzopirene, uno dei componenN conseguenN all’uso della sigare>a. Questo viene metabolizzato a livello del fegato e trasformato; si ha una variazione di uno degli anelli che perde la delocalizzazione e la sua stabilità. Risulta quindi essere molto più reaXvo perché l’ossidazione porta alla formazione di diolo, che possiede due gruppi -OH. Essi rendono la molecola più reaXva e fanno si che, in virtù della presenza di tuX gli ele>roni sull’ossigeno e i sui 2 gruppi -OH (agenN ele>rofili), la molecola vada a interagire con altre molecole con ele>roni liberi. In parNcolare diventano capaci di andare a “strappare” gli ele>roni dei gruppi amminici che cosNtuiscono le basi azotate del DNA. Il DNA viene danneggiato e avvengono delle mutazioni geniche che, in correlazione all’effe>o tossico che danno, instaurano un inizio di trasformazione anche a livello tumorale. IDROCARBURI AROMATICI ETEROCICLICI Gli idrocarburi aromaNci eterociclici sono molto presenN nelle molecole biologiche. Sono cara>erizzaN dalla presenza di un eteroatomo, ovvero un atomo diverso da quello del carbonio, tra cui sopra>u>o azoto (N) e ossigeno (O), oltre che la presenza dello zolfo nel Nazolo. L’aroma:cità anche in quesN composN è garanNta dalla presenza di doppieX ele>ronici non condivisi, presenN sia sull’azoto (esempio del pirrolo che ha 5 atomi di cui uno è l’azoto). Nel caso dell’imidazolo in cui l’azoto si trova in posizione 1 e 3, i doppieX ele>ronici oltre che a garanNre l’aromaNcità, conferiscono un ulteriore reaXvità della molecola che giusNfica l’inserimento dell’imidazolo in determinate molecole. L’ossigeno, invece, ha due doppieX ele>ronici non condivisi e lo si trova nel furano. Lo zolfo anche è nella stessa situazione dell’ossigeno e si trova sopra>u>o in composN come il Nazolo (in posizione 1). Sono importanN altri due esempi di eterocicli esatomici, che possono derivare dal benzene o dal pirrolo: La piridina: essa può essere modificata ulteriormente a pirimidina; le basi pirimidiniche avranno quindi per nomenclatura questo Npo di stru>ura. Nell’immagine si nota che la piridina ha un azoto in posizione 1 come eteroatomo, un secondo azoto in posizione 5 a garanNre aromaNcità, stabilità e la possibilità di interazione. L’indolo: si ha sia una sorta di benzene policiclico legato a una stru>ura pentatomica, che presenta un atomo di azoto come eteroatomo. Si presenta poi, per l’inserimento di altri eteroatomi, come se unissimo una pirimidina con la parte dell’indolo in cui è presente l’azoto, la formazione della purina. QuesN Npi di stru>ure si trovano nelle basi azotate che nel caso delle purine (adenina e guanina) si differenziano per la presenza di parNcolari sosNtuenN come gruppi amminici o doppio legame di atomi di carbonio con l’ossigeno che conferiscono una funzione stru>urale che consenta l’appaiamento e la giusta alternanza delle coppie di basi. Inoltre, le pirimidine sono tre: nel DNA Nmina, nell’RNA uracile e per entrambi è presente la citosina. Compaiono sulle basi azotate anche gruppi aldeidici e chetonici che garanNscono un certo Npo di stru>ura e di interazioni in modo tale che venga costruita corre>amente la doppia elica del DNA. Alcune di queste stru>ure eteroatomiche come l’indolo, si ritrovano ad esempio negli amminoacidi come il triptofano o nei neurotrasmeXtori come la serotonina. Inoltre, alcuni effeX cara>erisNci di sostanze come la caffeina sono dovuN anche all’avere una stru>ura simile a quella dei neurotrasmeXtori: si vede nell’immagine come essa abbia una stru>ura simile alla serotonina. GLI ALCOLI Gli alcoli sono composN in cui viene ripresa la stru>ura di base degli alcani, a cui viene aggiunto almeno un gruppo ossidrilico (-OH). Generalmente si indicano come una lunga catena che può essere chiamata R, l’importante è che ci sia almeno un -OH. Bisogna ricordare le cara>erisNche dell’ossigeno, in quanto quest’ulNmo modifica le proprietà dell’alcano di partenza. La desinenza nella nomenclatura è -OLO rispe>o all’alcano corrispondente. Inoltre, si possono avere i cosiddeX alcoli semplici, cioè derivaN da catene di idrocarburi, o si può avere l’inserimento di un gruppo -OH su un idrocarburo aromaNco (in questo caso si parla di fenoli); oppure ancora il gruppo ossidrilico può essere legato a uno dei due carboni impegnaN nel doppio legame (in questo caso si parla di enolo). Gli alcoli si possono disNnguere in tre modi: alcol primario se presenta un gruppo -OH su un carbonio legato a due atomi di idrogeno e a una catena idrocarburica alifaNca o aromaNca alcol secondario se il carbonio a cui è legato il gruppo ossidrile è legato a due catene idrocarburiche e un atomo di idrogeno alcol terziario se il carbonio è legato solo a catene idrocarburiche Questa disNnzione è importante perché nelle varie reazioni la presenza o meno degli atomi di idrogeno definisce la possibilità dell’alcol in quesNone di compiere le reazioni stesse o meno. POLIALCOLI/ALCOLI POLIVALENTI Presentano due o più gruppi ossidrilici. In parNcolare, se i gruppi -OH si trovano su carboni adiacenN, si parla di GLICOLI. Sono nomenclature che si ritrovano in molecole a livello metabolico: Glicerolo/glicerina (1,2,3-propantriolo): composto che presenta tre gruppi ossidrilici legaN ad uno scheletro carbonioso composto da tre atomi di C. Il glicerolo è la base per cosNtuire i trigliceridi, che sfru>ano la presenza degli -OH per legare su ciascuno un acido grasso. Sorbitolo (1,2,3,4,5,6-esanesaolo): composto formato da una catena di esano a cui vengono legaN sei gruppi ossidrilici. È una stru>ura che è stata usata come dolcificante. Dal punto di vista patologico, lo si può ritrovare in malaXe come il diabete: vi è una variazione del glucosio originario in sorbitolo. Mioinositolo (cicloesanesolo): cara>erisNco delle membrane lipidiche e sopra>u>o a livello muscolare (da qui il prefisso -mio). È un composto ciclico e ciascun atomo di carbonio presenta un ossidrile. EFFETTI DEGLI ALCOLI Gli alcoli possiedono un cara>erisNco effe>o inebriante. Considerando gli alcoli più piccoli, a parNre dal metanolo (metano in cui un atomo di H è sosNtuito con un gruppo ossidrile), la cui presenza è stata registrata all’interno dei vini. Un eccesso di metanolo può avere un effe>o fortemente tossico sopra>u>o in alcuni siN specifici come la reNna: induce cecità. L’ingesNone di una quanNtà minima (si parla di 50 mL) di metanolo puro può addiri>ura essere letale. L’etanolo invece presente nelle bevande, oltre che fornire un grande apporto calorico, agisce sulla trasmissione nervosa, perciò ci si sente come anesteNzzaN, e viene indo>a una vasodilatazione che genera il senso di calore che si sente dopo aver bevuto. Bisogna sempre considerare che tali effeX sono proporzionaN alla quanNtà di alcol ingerita e dalla soggeXvità. Gli alcolici, conosciuN in anNchità come aqua ardens (acqua che brucia) e aqua vitae (acqua di vita) si o>engono concentrando l'alcol eNlico derivato dalla fermentazione naturale partendo da etanolo. PROPRIETÀ FISICHE DEGLI ALCOLI - Punto di ebollizione/fusione: più alN degli alcani omologhi. Per esempio il metanolo avrà un punto di ebollizione maggiore del metano. Ciò è dovuto alla presenza di legami a idrogeno. - Solubilità: il gruppo ossidrile cambia le proprietà di solubilità perché la presenza dell’ossigeno fa sì che ci siano interazioni con l’ambiente acquoso e rende maggiormente solubili gli alcoli rispe>o agli alcani. Tu>avia, queste molecole per garanNre la polarità devono essere piccole: fino a 5 atomi di C sono solubili, poi prevale la componente apolare delle catene carboniose. Prevarranno dunque i legami idrofobici e diventeranno composN immiscibili. PROPRIETÀ CHIMICHE DEGLI ALCOLI La presenza dell’ossigeno è quella che varia la reaXvità rispe>o all’alcano corrispondente. L’ossigeno stabilisce legami polari poichè questo elemento a>rae verso di sé, in virtù della maggiore ele>ronegaNvità, quegli ele>roni di legame condivisi con l’idrogeno e il carbonio, che hanno un’ele>ronegaNvità più bassa. Da qui si può notare una polarizzazione che giusNfica anche la miscibilità o meno: una parziale carica negaNva sull’ossigeno e una parziale posiNva su C e H. Si tra>a tu>avia, di acidi debolissimi che difficilmente rilasciano protoni in soluzione. Le reazioni degli alcoli possono essere: - Dissociazione acida Avviene solo in presenza di basi for: che siano in grado di strappare il protone dell’alcol, formando lo ione idrossido con rilascio di H+. Si nota però nell’immagine come la freccia sia fortemente direzionata verso sinistra per giusNficare il fa>o che difficilmente l’etanolo può dissociarsi. - Disidratazione È una reazione molto importante che avviene nelle cellule ed è molto frequente nell’ambito metabolico; in parNcolare, questo Npo di interazione viene sfru>ata dagli enzimi per legare a sé il substrato e garanNre poi il meccanismo di reazione. Quello che avviene è l’eliminazione di una molecola d’acqua dovuta alla vicinanza tra il gruppo -OH e l’idrogeno; gli ele>roni liberi che rimangono si uniscono formando un doppio legame: si forma così un alchene. Si chiama così perché la molecola è stata disidratata, ovvero è stata

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