Riassunto LCP Ceravolo (PDF)
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Summary
Riassunto dell'articolo "Il fenomeno organizzativo". L'articolo analizza le organizzazioni, definendole come forme di azione collettiva basate su processi di differenziazione e integrazione intenzionali. Spiega la nozione di paradigma in ambito organizzativo e discute diversi aspetti, come le diversità e le similarità tra organizzazioni, i processi organizzativi e la distinzione tra differenziazione e integrazione.
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lOMoARcPSD|10616302 LCP Ceravolo - riassunto Laboratorio di Professioni della Comunicazione (Università degli Studi di Pavia) Scan to open on Studocu Studocu...
lOMoARcPSD|10616302 LCP Ceravolo - riassunto Laboratorio di Professioni della Comunicazione (Università degli Studi di Pavia) Scan to open on Studocu Studocu is not sponsored or endorsed by any college or university Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 IL FENOMENO ORGANIZZATIVO CAP.1 – Che cos’è un’organizzazione? Premessa I dati comuni definiscono l’organizzazione come “un insieme di persone formalmente riunite per raggiungere degli obiettivi più o meno comuni”. Anche la letteratura classica la definisce come “costrutto sociale formalmente costituito per il raggiungimento di determinati fini”. Le due definizioni offerte coincidono e ciò dovrebbe essere un segnale positivo; tuttavia, si possono nutrire forti dubbi e perplessità sia sulla correttazza che, ancor di più, sull’opportunità di concepire le organizzazioni in questo modo. Al fine di giungere alla definizione più appropriata di organizzazione, possiamo affermare che: 1) Solo gli individui e non le organizzazioni hanno fini; quelli che noi normalmente chiamiamo i fini dell’organizzazione, in realtà sono molto spesso I fini degli attori più potenti, le funzioni, I campi di attività delle singole organizzazioni 2) In ogni caso I fini non servono a capire il comportamento delle organizzazioni. Sul piano analitico è pericoloso dare tutta questa rilevanza ai fini organizzativi perchè, anche inconsapevolmente, si è indotti da un lato a derivare meccanicamente assetti strutturali e comportamentali dell’organizzazione dai suoi fini e dall’altro a ipotizzare che a fini uguali corrispondono organizzazioni uguali Tuttavia, si tratta di una definizione al contempo ambigua, imprecisa, per certi versi falsa e comunque fuoriviante: si tratta di un dato non casuale che deriva da una concezione dominante, una sorta di vero e proprio paradigma, che pensa l’organizzazione come strumento razionale per raggiungere fini prestabiliti. Secondo Kuhn, un paradigma è un insieme di idee diffuse e consolidate su cosa sia e su come debba essere correttamente studiato un qualsiasi fenomeno scientifico; è un modo di concepire la realtà ma anche il modo in cui la comunità scientifica si organizza al suo interno definendo ranghi gerarchie e assetti accademici. È proprio dalle convinzioni connesse alla definizione classica che nasce la metafora dell’organizzazione come macchina, come insieme di ingranaggi. L’organizzazione diventa allora, all’interno del paradigma, lo strumento che l’individuo razionale costruisce deliberatamente e consapevolmente per raggiungere fini dati e in questi termini dovrebbe ess ere studiata. Ma le nostre critiche alla definizione portano al rifiuto della metafora della macchina e invitano: o Da un lato a guardare alle organizzazioni per quello che sono veramente e non per quello che dovrebbero essere o Dall’altro ci inducono a ricercare modelli interpretativi capaci di fare I conti con la “complessità” dei fenomeni organizzativi Le organizzazioni sono tutte uguali? Le organizzazioni sono tutte uguali oppure tutte diverse? La domanda ha un suo fondamento come base per l’affermarsi di uno statuto disciplinare orientato allo studio delle organizzazioni proprio e autonomo. Sono moltissime le discipline che da sempre si occupano di organizzazioni: l’economia, il diritto, la psicologia, l’antropologia, la statistica… Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Ma esiste uno spazio per una disciplina autonoma che si occupi specificamente di organizzazioni? Le organizzazioni presentano sia tratti comuni che diversi tra di loro: Tratti diversi: Sono diverse per il tipo di attività che svolgono Sono diverse per le persone che la occupano Sono diverse per il tempo che richiedono all’individuo Sono diverse le forme attraverso cui l’organizzazione “controlla” gli individui Tratti comuni: tutte le organizzazioni definiscono in maniera vincolante Come si entra nell’organizzazione Come ci si rapporta con gli altri all’interno Come ci si rapporta con gli altri all’esterno Come ci si rapporta con le “tecnologie” In molte organizzazioni l’entrata implica l’indossare la divisa propria dell’organizzazione; in realtà questo, vale per tutte. Certo, in alcuni casi la divisa è obbligatoria mentre in altri è il risultato inconsapevole di processi di socializzazione. Tutte le organizzazioni definiscono poi con precisione chi può entrare e cosa deve fare per entrare. Anche qui esistono molte forme e procedure diverse ma il significato è sempre lo stesso. Chi non soddisfa queste condizioni di entrata non può far parte dell’organizzazione. Una volta entrato, l’individuo scopre che l’organizzazione definisce con grande preciione come si deve comportare con gli altri membri. In altri termini, tutte le organizzazione regolano in maniera implicita o esplicita, come si deve interagire con gli altri membri dell’organizzazione. Regole del tutto analoghe sono fissate per stabilire come ci si comporta con le macchine, le tecnologie, con le strumentazioni proprie di ciascuna organizzazione sulla base del proprio campo di attività. Infine, qualsiasi organizzazione definisce come I propri membri devono comportarsi con coloro che sono all’esterno dell’organizzazione stessa. È possibile dunque affermare che tutte le organizzazioni affrontano gli stessi “processi organizzativi”: nel governo di questi processi è possibile cogliere delle regolarità che caratterizzano organizzazioni tra loro profondamente diverse. Di nuovo: cos’è un’organizzazione? Rispetto a qualsiasi altro costrutto sociale “l’organizzaizone è una forma di azione collettiva reiterata basata su processi di differenziazione e di integrazione tendenzialmente stabili e intenzionali”. La differenziazione e l’integrazione È necessario fare una distinzione tra I due termini “differenziazione” e “integrazione”: Differrenziazione: processo antico quanto il mondo, già analizzato a fondo da economisti come Adam Smith e sociologi come Emile Durkheim. Ci riferisce alla differenziazione come divisione del lavoro facendo riferimento a quel processo attraverso il quale non tutti gli individui fanno le stesse cose ma, viceversa, si specializzano nel fare sempre meglio una parte di un compito più generale. A livello di società in generale, sono proprio la divisione del lavoro, la differenziazione e la specializzazione che indicano il grado di modernizzazione di un Paese o di una civiltà. A livello del Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 sistema produttivo, è ancora una volta la divisione del lavoro che consente di raggiungere livelli e volumi di produzione impensabili. La divisione del lavoro dunque, ha consentito all’uomo di dominare con maggior forza la natura e di sviluppare una capacità di intervento impensabile nelle popolazioni poco organizzate. La prima condizione per cominciare a parlare di organizzazione è che all’interno di un gruppo di due o più individui sia possibile verificare l’esistenza di un qualche processo di differenziazione: un’organizzazione è dunque sì caratterizza dalla presenza di più individui, ma questa dev’essere in qaulche modo ordinata. La differenziazione è il primo processo attraverso il quale il gruppo può ottenere risultati superiori alla somma algebrica degli sforzi dei singoli. Questo processo avviene in realtà solo nelle organizzazioni molto pisccole e/o molto giovani; in quelle di maggiore dimensione e più “vecchie”, il processo di attribuzione dei compiti avviene a seguito di un “disegno dell’organizzazione” ad opera dei suoi capi che progettano quel “sistema di ruoli”. Una volta progettato, il sistema di ruoli tende a stabilizzarsi e a consolidarsi nel tempo e potrà essere rimesso in discussione solo in presenza di dsfunzioni gravi o di crisi nelle capacità di prestazione dell’organizzazione stessa Integrazione: la differenziazione sa sola non basta, per ottenere risultati non è sufficiente dividere I compiti tra più individui, occore riportare a unità ciò che si è diviso. È qui che entra in gioco il processo di integrazione. Sono molteplici I meccanismi dell’integrazione; la modalità più tipica è costituita dal sistema dei capi, e più in generale dalla gerarchia. La prima funzione di un capo è proprio quella di garantire che gli sforzi dei suoi subordinati siano reciprocamente coerenti e che siano altresì coerenti con quanto stanno facendo altre parti dell’organizzazione. Il direttore di produzione, attraverso gli ordini che impartisce, garantisce che I suoi uomini facciano quello che lui vuole. Nello stesso modo sarà il direttore di produzione a coordinare l’attività del suo reparto con il responsabile del reparto vendite. In caso di conflitto tra I due, occorrerà l’intervento di una terza figura, gerarchicamente sovraordinata ai due. La catena gerarchica, la tradizionale priamide, ha come funzione essenziale proprio quella di garantirre l’unitarietà degli sforzi delle diverse articolazioni dell’organizzazione. Al di là della forma che ciascuna organizzazione può assumere, si troverà sempre al suo interno uno o più capi. Ma, anche se la gerarchia, e più in generale il capo, rappresentano la forma più evidente di integrazione sarebbe sabgliato considerarla come l’unica forma esistente; esistono infatti altre modalità di integrazione: si pensi intanto a tutto l’insieme di norme e procedure che definiscono per ciascuna posizione cosa l’individuo deve fare. Ciò non significa che più norme vogliano dire automaticamente più ordine e integrazione; significa molto più semplicemente che una funzione importante delle norme è quella di integrare I comportamenti individuali senza dover far ricorso ogni volta al capo. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Un altro importante meccanismo di integrazione è rappresentato dalle tecnologie. Non esiste al mondo alcuna gerarchia che in assenza di norme, procedure e tecnologie sia in grado di governare o integrare l’attività di centinaia di migliaia di individui. Spesso comunque capi, norme, procedure e tecnologie non bastano a garantire una sufficiente integrazione e questo avviene normalmente quando l’organizzazione oper in un ambiente fortemente mutevole. Sono allora necessari schemi e programmi d’azione anche se, nemmeno questi, a volte possono bastare. In molti casi per realizzare l’integrazione saranno necessarie “strategie”. Le strategie organizzative possono essereintese come linee di comportamento che definiscono in linea di massima obiettivi immediati e di lungo termine che inducono ciascun attore a conformarsi al meglio a quei comportamenti che dovrebbero garantire il raggiungimento dei risultati attesi. Le strategie sono importantissimi meccansimi di integrazione per molte organizzazioni. È importante ricordare che, per funzionare devono essere ben conosciuti, anche se non necessariamente condivisi dagli attori, proprio perchè presuppongono un comportamento attivo da parte dell’attore stesso. L’ultimo meccanismo di integrazione è rappresentato dai valori e dalla condivisione del sistema dei valori. La rilevanza del sistema di valori può esprimersi In due modi: >> Il primo attiene al sistema complessivo e generale dei valori che caratterizzano un’organizzazione >> Il secondo attiene ai valori che si potrebbero definire più propriamente professionali in quanto hanno a che fare con quell’insieme di conoscenze e competenze che vengono apprese attraverso l’esperienza I diversi meccanismi di integrazione analizzati non sono in alcun modo esclusivi l’uno rispetto all’altro. Ciò significa che in tutte le organizzazione, troveremo sempre una qualche combinazione di tutti L’organizzazione come meccanismo di influenza dei comportamenti individuali Dai processi di differenziazione e integrazione emerge un sistema di ruoli che influisce sui comportamenti individuali. Infatti, gli individui modificano il proprio comportamento sulla base del ruolo che sono chiamati a giocare. Non a caso I sociologici definiscono il ruolo in termini di comportamento atteso. Tutto questo significa allora che le organizzazioni, proprio in quanto sistemi di ruolo, sono sempre e comunque meccanismi di influenza dei comportamenti individuali e questo per due ragioni: 1) Perchè gli altri si aspettano comportamenti previsti da chi ricopre I vari ruoli 2) “Noi” ci comportiamo in maniera diversa da come siamo “naturalemente” a seconda dei diversi ruoli che rivestiamo all’interno delle diverse organizzazioni in cui siamo impegnati Questo porta però a chiedersi quanto è vincolante il ruolo sul comportamento degli individui e purtroppo si tratta di una domanda complessa: se è vero che l’organizzazione si basa sui processi di differenziazione e integrazione, allora è chiaro che le possibilità di esplicitare tutte le potenzialità dell’organizzazione risiedono nel fatto che ciascun individuo all’interno della stessa, modifichi il proprio comportamento “naturale” sulla base dei dettami del ruolo. Certo esistono margini di libertà, ma rispetto alle prestazioni dell’organizzazione questi margini sono comunque limitati perchè, per definizione, I singoli compiti attribuiti sulla base del principio “chi fa cosa” sono tra loro interdipendenti. L’interdipendenza è un’altra delle dimensioni fondamentali e caratterizzanti Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 qualsiasi organizzazione: essa sta a sottolineare il tipo di legame che esiste tra un ruolo e l’altro la cui azione congiunta, è la condizione di operatività dell’organizzazione. Esistono diversi tipi e gradi di interdipendenza; J. Thompson ha messo in evidenza tre tipi principali di interdipendenze: Interdipendenza generica: caratterizza le grandi strutture di vendita Interdipendenza sequenziale: caratterizza quasi tutte le attività produttive Interdipendenza reciproca: il risultato costituisce l’input, la risora iniziale, la condizione dell’altra e viceversa Considerazioni finali In conclusione, non esiste un’organizzazione ottimale in assoluto: il nodo centrale non è tanto quello di avere punti di ottimo nei diversi processi combinati tra loro, quanto quello di garantire la coerenza tra I processi CAP.2 – La struttura Che cos’è la struttura? Una struttura organizzativa è l’insieme delle specifiche modalità con cui ciascuna organizzazione gestisce e governa I processi di differenziazione e integrazione. Di assoluta rilevanza è l’opera di Max Weber sulla burocrazia: Weber parla di burocrazia sotto forma di tipo- ideale fornendoci così uno strumento interpretativo capace di guidarci nell’analisi di qualsiasi organizzazione Il tipo ideale di burocrazia per Weber Weber costruisce un tipo-ideale della burocrazia nel corso della sua analisi sull’evoluzione dello Stato moderno: la sua elaborazione è talmente utile che è stata applicata all’analisi di tutte le organizzazioni. Secondo l’autore, l’organizzazione burocratica è caratterizzata da alcune regolarità comportamentali che attengono propriamente alla sua struttura e che definiamo come le caratteristiche del tipo ideale. Queste caratteristiche vengono enumerate dallo stesso Max Weber. Il complesso dell’apparato amministrativo consiste di funzionari singoli, I quali: o Obbediscono essendo personalmente liberi, solamente a doveri oggettivi d’ufficio o In una precisa gerarchia d’ufficio o Con precise comptenze d’ufficio o Sono assunti in forza di contratto o Secondo la qualificazione specializzata-determinata mediante un esame e comprovata da un diploma o Sono ricompensati con uno stipendio stabilito in denaro con diritto alla pensione o Considerano il proprio uffiico come professione unica o principale o Vedono dinnanzi a sè una carriera o Lavorano nella più completa separazione dai mezzi amministrativi e senza appropriazione del posto d’uffiico o Sono sottoposti alla stessa rigorosa disciplina di ufficio e a determinati controlli Riprendendo la formulazione di Weber, possiamo definire la burocrazia come quell’organizzazione che è caratterizzata dal fatto di essere un insieme di uffici tra loro gerarchicamente ordinati, ai quali si accede sulla base di competenze specialistiche attraverso concorso: dove il lavoro viene remunerato economicamente e costituisce un passp di una carriera che alla fine prevede una pensione. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Va inoltre considerato che il funzionario agisce senza mettere passionein quello che fa, ma si limita appunto ad applicare le norme. Proprio perchè si tartta di un tipo-ideale, è pressochè impossibile rinvenire nella realtàun’organizzazione che risponda contemporaneamente a tutti questi requisiti. Però sono moltissime le organizzazioni che “assomigliano” a quanto previsto dal modello; tra queste per esempio, le associazioni volontarie. Ecco perchè allora il modello idealtipico weberiano è così rilevante: proprio perchè in quanto idealtipo, e non semplice descrizione statica, ci consente di ragionare su tutte le organizzazioni per differenza. Se la burocrazia rappresenta un particolare sistema di ruoli, l’identificazione delle caratteristiche dell’idealtipo burocratico, ci consente di lavorare su tutte le organizzazioni e di confrontarle tra di loro. La potenza del modello non sta soltano nella sua capacità di mettere ordine nelle e tra le diverse organizzazioni, ma anche nell’ipotesi che organizzazioni simili rispetto alle diverse caratteristiche dell’idealtipo tenderanno ad assumere assetti comportamentali simili. Un altro modo di vedere l’organizzazione è quello di seguire il pensiero di Herbert Simon; egli considera l’organizzazione. Il che vuol dire, avvicinando l’elaborazione di Simon a quella di Weber, che a ciascun livello dell’organizzazione corrispondono delle premesse di fatto e di valore che consentono a ciascun individuo che ricopre il ruolo di assumere decisioni In sè soddisfacenti, in quanto coerenti con il disegno generale dell’organizzazione. In altre parole, il compito complessivo dell’organizzazione viene scomposto in una pluralità di sottocompiti sempre più semplici e tra di loro collegati: in questo modo, possiamo concepire l’organizzazione come una modalità per semplificare I processi decisionali. Un altro importante aspetto da considerare attiene ai rischi di degenerazione che l’organizzazione gerarchico-burocratica, intesa anche come campo strutturato di premesse, può indurre. La grande forza dell’organizzazione è accompagnata da alcuni aspetti negativi la cui rilevanza prima o poi può indurre il singolo individuo a chiedersi se sia corretto quello che gli viene chiesto di fare. L’analisi delle strutture presenta molti elementi di complessità; infatti, chiunque potrebbe osservare che nel loro funzionamento reale le organizzazioni molto spesso si comportano in maniera diversa da quello che è previsto dalle leggi. Questa esperienza è talmente vera che gli studiosi hanno cominciato a parlare di “organizzazione informale” per distinguerla dall’organizzazione formale. Sappiamo tutti che molto spesso, anche se non sempre, le cose si possono aggiustare in deroga a quanto previsto. La dimostrazione è data dall’esistenza di un istituto, lo “sciopero bianco”, una forma di protesta consistente nell’applicare alla lettera le norme e le procedure. Il fatto stesso che sia una forma di protesta che porta al blocco totale o parziale dell’organizzazione, sta a significare che nella quotidianità le norme non vengono applicate o vengono applicate solo in parte Modelli e tipi di strutture Sono molte le organizzazioni che lavorando in campi diversi sembrano assomigliarsi. Mintzberg ha stabilito che le configurazioni strutturali delle organizzazioni sono cinque: La struttura semplice La burocrazia meccanica La burocrazia professionale Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 La soluzione divisionale L’adhocrazia Esistono diversi critici sulla base dei queali vengono disegnate le strutture; ciascuna organizzazione adotterà una pluralità di criteri a volte anche molto specifici. Si distinguono tre criteri principali: Primo criterio: la funzione 1) La funzione: La differenziazione dei ruoli e il relativo disegno della struttura che ne consegue, ha come criterio di riferimento quello di accorpare tutti coloro che svolgono la stessa funzione oppure che hanno le stesse conoscenze. Basandosi sullo stesso cirterio, è possibile ritrovare strutture funzionali al suo interno: la struttura funzionale è probabilmente la più “antica”, classica e diffusa tra le diverse organizzazioni anche perchè è fortemente coerente con l’idealtipo burocratico. I vantaggi della struttura funzionale sono legati soprattutto al fatto che in questo modo si induce il massimo di specializzazione nei diversi ruoli; al contrario, gli svantaggi sono invece connessi a due aspetti fondamentali: >> Il primo è che I meccanismi principali d’integrazione risiedono nella gerarchia e nelle norme; il che implica che tutte le connessioni siano progettate e che ciascuno faccia esattamente quanto gli compete >> Il secondo è la specializzazione. È stato ampiamente dimostrato da numerose ricerche che gli inidivdui tendono a identificarsi con il loro compito, la loro funzione e la loro specializzazione. Questo, se da un lato li induce a fare sempre meglio il loro lavoro, dall’altro li porta a dimenticare che quello che conta non è tanto il raggiungimento dell’ottimo, quanto il mantenimento del massimo di coerenza tra le diverse funzioni. Parliamo in questo caso di processi di subottimizzazione: ci riferiamo proprio a questi fenomeni quando parliamo di organizzazioni che funzionano a “compartimenti stagni”. Come dovrebbe essere ormai evidente, la loro possibilità di successo risiede in un corretto disegno della struttura e delle connessioni dei ruoli garantiti dalle norme. Se ambiente, compiti, concorrenza e tecnologie agiscono in modo efficiente, garantiscono l’efficienza dell’organizzazione; al contrario, se alcuni di questi elementi cambiano rapidamente, la struttura funzionale si rivela lenta. I correttivi possibili non sono moltissimi: si può cercare di ridurre la logica dei compartimenti stagni aumentando ad esempio l’informazione complessiva circolante. La soluzione strutturale più classica e diffusa, è stata quella degli staff; questo, è organo di conoscenza a supporto del ruolo titolare della decisione e funge da importante meccanismo di supporto alla gerarchia per superare, almeno in parte, I compartimenti stagni. Lo staff ha l’autorità della conoscenza, ma non quella gerarchica Secondo cirterio: il risultato 2) Il risultato: I limiti strutturali del modello funzionale vengono risolti sostanzialmente solo quando si abbandona il criterio di differenziazione e integrazione, privilegiando invece il criterio del risultato. Il “risultato” è un cirterio ampio che può comprendere uno specifico prodotto oppure un particolare mercato. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Nell’associazione imprenditoriale, si potranno avere diverse divisioni, ciascuna responsabile di un’area territoriale e che, all’interno di quell’area, svolge sia la funzione di rappresentanza, di contrattazione e di erogazione di servizi. Si parla in questo caso di struttura divisionale, vista come evoluzione storica delle strutture funzionali per superare I limiti di quest’ultime e adattarsi ad ambienti sempre più dinamici. I vantaggi attengono soprattutto al fatto che queste vengono orientate al risultato che piuttosto che all’esecuzione. Gli svantaggi, invece, attengono da un lato al fatto che le strutture divisionali moltiplicano I ruoli e le competenze; dall’altro al rischio che responsabilizzando le singole divisioni, queste diventino talmente autonome da non agire più in una logica di integrazione. I processi di integrazione delle organizzazioni divisionalizzate, attengono prinicpalmente a tre meccanismi: In primo luogo, organi di staff centrali definiscono le macro linee nelle politiche organizzative le quali garantiscno conformità e coerenza nell’organizzazione In secondo luogo, si promuovono organi collegiali, denominati “direzioni operative”, all’interno dei quali I direttori di divisione discutono insieme le strategie complessive In terzo luogo, si governano I flussi finanziari interni Terzo criterio: funzione + risultato 3) Funzione + risultato: Un terzo tipo ideale, deriva dalla combinazione dei due criteri citati sopra. Parliamo in questo caso di struttura a matrice, In quanto il processo si basa su una combinazione incorciata di differenziazione per funzione e per risultato. Il problema principale di queste strutture nasce dalla doppia dipendenza degli individui. In questo caso, il principale meccanismo di integrazione, non sta tanto nella gerarchia, quanto nei valori professionali dei singoli Le tipologie organizzative La ricerca organizzativa ha messo in evidenza tipi di organizzazioni che presentano configurazioni strutturali o dinamiche organizzative simili e non identiche. Ci riferiamo ad alcune tra le più classiche tra queste tipologie: Quella di Blau-Scott, incentrata sul principio del beneficiario principale dell’organizzazione; egli distingue: o Organizzazioni di mutuo beneficio o Organizzazioni a fine di lucro o Organizzazioni di servizio o Organizzazioni per il benessere pubblico Quella di Amitai Etzioni, basata sul controllo, individua tre tipi di organizzazione: o Organizzazioni coercitive che ricorrono alla forza o Organizzazioni utilitaristiche basate sullo scambio di risorse o Organizzazioni normativo-simboliche caratterizzate da un’adesione fideistica In anni relativamente recenti, poi, un filone di studi sotto il nome di “Population Ecology of Organisations”, si è dedicato in via pressochè esclusiva ad analizzare le dinamiche di nascita, sviluppo, sopravvivenza, decadenza e morte di popolazioni e di organizzazioni tra loro assai simili. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Sistemi meccanic vs sistemi organici La differenza tra sistemi meccanici e sistemi organici di direzione è stata messa in luce da due studiosi inglesi Burns e Stalker; I quali, riprendendo la nota dei sistemi sociali elaborata da Emile Durkheim, l’hanno adattata, al mondo delle imprese concentrando la loro attenzione sulle diverse forme di direzione rilevabili nella realtà. I due tipi contrapposti che ne risultano sono abbastanza semplici da interpretare perchè il sistema meccanico richiama molto da vicino le caratteristiche dell’idealtipo weberiano di burocrazia: infatti, gli autori sottolinenano che I sistemi meccanici sono caratterizzati da un’enfasi sulla suddivisione dei compiti. Nei sistemi organici l’accento è posto sulla conoscenza specialistica, sull’esperienza e sul contributo che ciascuno può dare al raggiungimento degli obiettivi complessivi; I compiti individuali non sono rigidi ma vengono continuamente ridefiniti; le responsabilità e gli obblighi sono definiti in modo vago. Due tipi di organizzazione molto diversi, quasi opposti. Questi due tipi di ideali ci consentono di “classificare” le diverse organizzazioni. La pubblica amministrazione si avvicina al sistema meccanico così come la Chiesa. Assumono più le caratteristiche del sistema organico invece, non solo le imprese più avanzate e moderne ma anche alcuni movimenti politici e alcune unità ospedaliere. Il problema che si pone, è quello di chiedersi quali dei due sistemi sia il migliore: è possibile affermare che, ciascuno dei due sistemi può essere in sè valido. La stabilità, la precisione, la puntualità, la rigidità che caratterizzano il sistema meccanico assumono valenze positive. In questi casi la rigidità burocratica assume una valenza positiva e costituisce un vero e proprio valore aggiunto. Al contrario, gli evidenti degli aspetti positivi connessi ai sistemi organici, se non sufficientemente integrati sul piano dei valori, rischiano di disperdersi e di perdere sia in efficienza che in efficacia. Organizzazione interna vs organizzazione esterna In letteratura spesso si associa alla dicotomia organico vs. meccanico la dicotomia burocrate vs. professionista, con riferimento soprattutto a quelle organizzazioni come le università o gli ospedali all’interno delle quali operano tanti burocrati quanti professionisti. Le tensioni che emergono tra le due figure, attengono ovviamente a una pluralità di ragioni specifiche, anche se in larga parte, possono essere ricondotte a due orientamenti professionali diversi: L’orientamento del burocrate è caratterizzato dal rispetto di norme codificate L’orientamento del professionista è caratterizzato dal ricorso a un ampio campo di conoscenze specialistiche È importante distinguere tra organizzazione interna e esterna per due ragioni: o Organizzazione interna: è la gerarchia nelle sue diverse articolazioni o Organizzazione esterna: la sua definizione è complicata, richiede una serie di conoscenze specialistiche La rilevanza di questo modo di vedere le organizzazioni attiene al riconoscimento dell’esistenza di un’organizzazione esterna accanto a quella interna e ai parametri che consentono di affermare quando conviene produrre al proprio interno (make) o quando occore comprare all’esterno (buy). All’interno della stessa impresa si distinguono tre modelli strutturali: 1. Il clan 2. La gerarchia Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 3. Il mercato Una volta riconosciuta l’esistenza di un’organizzazione esterna accanto a quella interna, è facile scoprire che questo tipo si struttura è presente non solo nelle imprese ma anche in altre organizzazioni. Sistemi a legame rigido vs sistemi a legame debole La letteratura organizzativa si è abituata a pensare all’organizzazione come a un qualcosa di razionale che, in modo meccanistico, stabilisce relazioni di causa-effetto. Questa impostazione ha dominato sino a che uno studioso americano di nome Karl Weick, non ha avanzato l’ipotesi che alcune organizzazioni per loro natura fossero qualcosa di profondamente diverso da quanto previsto dal modello burocratico. L’argomentazione di Weick stabilisce che, se è vero che qualsiasi scienza è portata a ricercare relazioni di causa-effetto tra due qualsiasi variabili, è altrettanto vero che nella realtà molte di queste variabili sono tra loro debolmente connesse (loosely coupled). Weick ci mette in guardia sul fatto che essendo le interconnessioni tra di loro debolmente connesse, allora ci troviamo di fronte a sistemi organizzativi a legame debole (loosely coupled system). Molti sistemi organizzativi, anzichè essere caratterizzati dagli schemi rigidi della struttura gerarchia, sono caratterizzati da “legami deoli”. Diciamo che un’organizzazione è un sistema organizzativo a legame debole quando le sue articolazioni sono dotate di autonomia e indipendenza. Tutti I sistemi universitari sono sistemi a legame debole e questo garantisce loro la pluralità di approcci, filoni di ricerca e di scuole di pensiero che nessun sistema a legame rigido potrebbe sopportare. Ma, di fronte a questi aspetti positivi, si possono verificare anche aspetti degenerativi: il legame tra prestazione e mantenimento del posto nei sistemi a legame debole è, appunto debole. Questo vale non solo per le università e per la scuola, ma anche per la pubblica amministrazione. Nei sistemi a legame debole prevale la certificazione rispetto all’ispezione. Si certifica cioè che, al momento dell’ingresso nell’organizzazione, l’individuo possiede dei requisti che si suppone lo rendano idoneo a svolgere il suo mestiere. Riconosciuta l’esistenza di sistemi organizzativi tra loro profondamente diversi, è importante allora sviluppare le implicazioni che da ciò discendono: La prima attiene al fatto che il termine “sistema a legame debole” non ha alcun significato valutativo. Non possiamo dire che I sistemi a legame rigido sono migliori di quelli a legame debole o viceversa. Sono due mondi diversi che hanno caratteristiche comportamentali diverse gli uni dagli altri I sistemi a legame rigido “sanno fare cose” che I sistemi a legame debole non sanno fare e viceversa La seconda attiene al fatto che la debolezza o rigidità del legame è sempre questione di grado. Non esiste un sistema assolutamente rigido; così come non esiste alcuna organizzazione a legame totalmente debole anche se, è possibile identificare sistemi a legame tendenzialmente deboli e sistemi a legame tendenzialmente rigido, costruendo così una sorta di tipologia La terza attiene al fatto che mentre alcuni legami sono naturalmente deboli e in alcun modo possono essere irrigiditi, altri legami sono deboli o perchèle nostre conoscenze ancora non ci consentono di ricostruire I nessi di causa-effetto, oppure per cattiva organizzazione Riconosciuta l’esistenza dei sistemi a legame debole, è possibile individuarne le caratteristiche comportamentali: I sistemi a legame debole sono normalmente caratterizzati da un forte localismo inteso in Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 senso ampio. Sono strumenti particolarmente sensibili per cogliere e per adattarsi alle diverse realtà e per sopravvivere ai destini più complessivi dell’organizzazione. Sistemi a legame rigido e sistemi a legame debole rappresentano realtà organizzative diverse con dinamiche e logiche di funzionamento differenti. Organizzazione vs istituzione La dicotomia organizzazione-istituzione ha valenza esplicativa; è difficile trovare nella realtà organizzazioni mentre troveremo sempre istituzioni. Il tipo ideale di istituzione è caratterizzato dai seguenti elementi: o È un’organizzazione ricca di valori o Che ha perso il suo carattere strumentale o Rispetto alla quale si sono sviluppati interessi personali al mantenimento in vita della stessa o Rispetto alla quale si sono sviluppate leatà diffuse o Che si adatta ai miti ambientali o Che rappresenta sistemi normativi e simbolici ad alta persistenza Possiamo dividere in due le caratteristiche dell’idealtipo distinguendo tra: >> A valenza interna >> A valenza esterna Dire che un’organizzazione è infusa di valori significa mettere l’accento sul fatto che l’organizzazione assume un valore in sè. Qualsiasi organizzazione nel tempo tende ad assumere calore in sè; questo avviene tanto in senso positivo, quanto in negativo: basti pensare ai numerosissimi enti inutili, privati ormai di qualsiasi funzione, che restano in vita perchè alcuni individui hanno sviluppato interessi personali alla sopravvivenza degli enti stessi. Il sociologo Roberto Michels aveva individuato una sorta di “legge ferrea dell’oligarchia” in base alla quale il gruppo dirigente di quel partito era più interessato al mantenimento in vita del partito in quanto tale per garantire e consolidare I propri privilegi. Tutta la letteratura vede questi fenomeni come un processo graduale, che nel tempo trasforma tutte le organizzazioni che sopravvivono e si sviluppano. L’istituzione può essere vista in due modi: 1. In termini generali le istituzioni sono quelle forme organizzative che garantiscono lo svolgimento delle funzioni necessarie alla sopravvivenza del sistema nel suo complesso 2. Un altro modo per vedere le istituzioni è quello di considerarle come quelle forme organizzative che si adattano ai miti dell’ambiente. Miti sociali intesi come sistemi di credenze largamente diffusi e condivisi. Uno dei miti della nostra epoca è che il conflitto vada gestito attraverso la negoziazione e, il fatto che le associazioni imprenditoriali o sindacali si adattino, di per sè garantisce legittimazione (scioperi) Possiamo allora parlare di istituzione quando l’organizzazione è sostenuta e legittimata dall’ambiente esterno non tanto per quello che fa o per come lo fa, ma per il semplice fatto di farlo; a meno che alcune di queste imprese non si adattino ai miti sociali, diffusi, quali quello del mercato che prevede all’interno dei suoi riti e delle sue liturgie, l’efficienza delle prestazioni. Quando poi l’efficienza non fa proprio parte del mito cui adattarsi, diventa fuoriviante leggere le istituzioni sotto l’ottica dell’efficienza. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Considerazioni finali Analizzare le organizzazioni ponendo attenzione alle diverse modalità con cui affrontiamo I processi di differenziazione e di integrazione ci consentono di costruire diversi idealtipi; tali idealtipi sono strumenti utili per l’analisi, se e in quanto: Ci avvicinano alla realtà empirica osservabile Tengono conto e spiegano I sistemi di coerenza Ci consentono di fare generalizzazioni almeno parziali sulle dinamiche comportamentali comuni Vengono utilizzati congiuntemente per cogliere aspetti diversi delle singole realtà Le diverse strutture sono infine rilevanti perchè definsicono I gradi di libertà su cui il singolo attore può contare all’interno di qualsiasi organizzazione. È proprio perchè il “chi fa cosa” è così rilevante in qualsiasi organizzazione che è necessario imparare a riconoscere la struttura. Si dovrebbe essere in grado di ricostruire per ciascuna organizzazione il sistema dei ruoli, I tipi e I gradi di interdipendenza, il sistema delle coerenze (o incoerenze) esistente CAP.3 – La cultura Cultura e organizzazione Quando entriamo in un’organizzazione, veniamo sempre colpiti da una serie di “simboli”, che ci danno una prima idea della struttura con la quale entriamo in contatto. Qualsiasi organizzazione definisce con molta precisione come ci debba vestire, parlare, come ci di debba rivolgere ai colleghi e ai superiori. In alcuni casi tutto questo è esplicito e formalizzato; in altri invece, è meno esplicito. Chiunque entri a fare parte di un’organizzazione “vede” un insieme di simboli che caratterizzano quell’ambiente e, direttamente o indirettamente, a seconda dei casi, viene invitato a conformarsi in un arco di tempo assai breve. I simboli rappresentano per lui un segnale, uno stimolo che dà una prima idea di quale sia il modo corretto di stare e di comportarsi. Ci sarà sempre qualcuno, di norma un superiore, che accoglie il nuovo venuto e che gli spiega, oltre a quale sono I suoi compiti, ache qual è la “filosofia” dell’organizzazione e gli verranno comunicati I “valori”. In un arco di tempo relativamente breve, il nuovo entrato imparerà a riconoscere le cose che “valgono” e si renderà conto che esiste una certa differenza tra I valori ufficiali e I valori effettivamente operanti nella quotidianità della vita dell’organizzazione. In altri termini, scoprirà la differenza tra la “teoria dichiarata” – l’insieme dei valori, delle credenze, dei pregiudizi e delle conoscenze che “dovrebbero” guidare I comportamenti del singolo e la “teoria in uso” – considerata come il programma d’azione che guida e orienta il comportamento dell’attore. Simboli e valori sono rilevanti per il comportamento individuale e influiscono più o meno indirettamente sugli attori organizzativi. Il neo-entrato non vede al di là dei simboli e dei valori; esistono però alcune convinzioni e valori che sono così profondamente radicati e interiorizzati nella cultura organizzativa da essere ormai del tutto inconsci, ma non per questo meno rilevanti per l’agire individuale. Schein chiama questi valori “assunti di base” e li definisce appunto invisibili. Per l’autore, I valori corrispondono prevalentemente a razionalizzazioni del comportamento in uso, a motivazioni e a intendimenti. Un assunto invece è una risposta appresa che inzialmente è stata un valore. Quando un comportamento ci permette di risolvere un problema, si tende a spiegare e a razionalizzare quel comportamento riconducendolo a un valore. Al tempo stesso, finchè funziona, quel comportamento verrà replicato. Gradualmente quel valore tende a traformarsi in un assunto implicito sullo stato delle cose. Anche gli assunti hanno una valenze contestuale e fanno riferimento a gruppi e contesti in grado di socializzare. Gli assunti impliciti, costituiscono una sorta di “patrimonio genetico” delle diverse Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 organizzazioni relativo alle convizioni radicate intorno alle interrelazioni con l’ambiente esterno. Per l’insieme di queste ragioni, I singoli membri dell’organizzazione non riescono a vedere e a esplicitare I loro assunti: è necessario un osservatore esterno. La relazione tra simboli, valori e assunti, è una relazione da interpretare; questi sono tra di loro debolmente legati. La dinamica complessa che si realizza tra valori e assunti e il legame debole che spesso li caratterizza, può aiutare a comprendere perchè a fronte di una teoria in uso, questa non è sempre e comunque degenerata. Cosa accade quando un qualunque membro dell’organizzazione si ribella ai dettami comportamentali indotti dalla cultura dell’organizzazione in cui si trova ad operare? Chi viola le norme è un eretico: gli eretici una volta venivano sulla pubblica piazza; oggi, questo accade più di rado ma le sanzioni per l’eretico, in qualsiasi organizzazione, sono comunque sempre pesanti. L’eretico non può essere tollerato perchè rompe l’armonia cognitiva e il sistema dei valori consolidati nell’organizzazione; è pericoloso e va allontanato. In altri casi, può semplicmente venire isolato in una nicchia. La cultura è una variabile organizzativa “forte” in quanto è in grado di speigare una serie di comportamenti che non derivano direttamente e meccanicamente dalla struttura, dal “chi fa cosa” La cultura come variabile organizzativa “forte” Per meglio comprendere la rilevanza della cultura è bene dare una definizione di “cultura organizzativa”; tra le tante, quella di Edagr Schein, secondo il quale essa è l’insieme coerente di assunti fondamentali che un tale gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontrare I suoi problemi di adattamento e di integrazione. L’accento posto sul “gruppo”, consente alcune precisazioni: o Il gruppo è condizione primaria per poter parlare di cultura o È facile riconoscere che le organizzazioni sono, molto spesso, insiemi omogenei di gruppi che mantengono una loro identià distinta Ciascun gruppo professionale che interagisce per un lungo periodo di tempo, svilupperà una propria subcultura più o meno coerente con la più generale cultura dell’organizzaizione. In alcuni casi potrà anche dar vita a una vera e propria controcultura. Un ruolo particolarmente rilevante è giocato dai leader e dai fondatori dell’organizzazione; essi infatti propongono un primo modo di risolvere I problemi che, considerato valido, si consoliderà come il modo corretto e giusto di operare. Chi viceversa, non ha ancora trovato la soluzione valida dovrà andare alla ricerca di essa, per prove ed errori. I problemi di adattamento esterno che determinano la sopravvivenza del gruppo dell’ambiente ci consentono importanti considerazioni. Infatti, le culture professionali, nascono al di fuori della singola organizzazione e rappresentano una delle tante modalità attraverso le quali l’ambiente esterno penetra all’interno dell’organizzazione. Tutti gli individui che operano all’interno di qualsiasi organizzazione portano con sè I valori e gli assunti propri dei vari gruppi sociali ai quali appartengono nella società. Non c’è dubbio allora che la cultura locale esercita una qualche influenza sui comportamenti dell’organizazzazione. Per moltissimo tempo, gli esperti, hanno spiegato lo straordinario successo dell’industria giapponese in termini culturali, sotenendo l’importanza decisiva dell’insieme dei valori e tradizioni etniche e religiose che consentiva di riportare all’interno di ogni singola azienda una logica di “clan” fortemente coeso e integrato. Quando I giapponesi hanno iniziato a comprare e a gestire aziende nelle più diverse parti del mondo Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 utilizzando manodopera locale, le prestazioni delle imprese non solo non sono diminuite ma, in alcuni casi, sono addirittura aumentate. La cultura “esterna” contamina continuamente quella “interna”. Le modalità che la singola organizzazione può operare per adattarsi all’ambiente sono assai numerose. I problemi di integrazione interna attengono alle soluzioni che ciascun gruppo sviluppa per poter continuare ad esistere in quanto tale. Un primo aspetto rilevante sarà quello della creazione di un linguaggio comune, specifico, che facilita la comunciazione intragruppo. Qualsiasi linguaggio proprio di ogni singola organizzazione, tende ad assumere nel tempo tanto al valenza di simbolo, quanto quella di valore e quella di assunto. Altri aspetti che ciascuna organizzazione dovrà affrontare, riguardano l’identità e la coesione del gruppo: l’organizzazione dovrà definire I criteri d’appartenenza al gruppo e I suoi confini. Altrettanto importanti saranno I criteri di allocazione di potere in che modo si ottiene, si mantiene o si perde. Connessi a questi ciriteri saranno anche I parametri che definiscono I sistemi di premio e di punizione e che sanzionano dunque I comportamenti di tutti gli attori. L’insieme di questi criteri, uniti ai valori costituisce l’ideologia dell’organizzazione. Le soluzioni apprese ai problemi di adattamento esterno e di integrazione interna saranno specifiche e proprie di ogni singola organizzazione; una volta ritenute valide, diventeranno patrimonio culturale di quell’organizzazione e verranno trasmesse ai nuovi entrati. Tutte le organizzazioni prevedono un periodo di tempo durante il quale l’individuo viene “preparato” a fare parte a pieno titolo dell’organizzazione. Sintetizzando la definizione di Schein, possiamo allora dire che al cultura organizzativa è una variabile forte in quanto definisce per ciascuna organizzazione il modo corretto di fare le cose. Inoltre, definsice altresì il modo corretto di pensare e vedere tanto l’ambiente esterno, quanto quello interno; questo, ci porta a un altro aspetto della cultura organizzativa legato ai processi di attivazione Attivazione e apprendimento La realtà non ci influenza per quello che effettivamente è, ma per quello che noi riteniamo essa sia. Il celebre psicologo Borus Skinner ne era assolutamente convinto. Egli inventò dei contenitori che oggi sono chiamati “scatole di Skinner”: si tratta di scatole che permettono allo sperimentatore di osservare come si comporta un animale posto all’interno mentre questo può percepire solo I messaggi esterni che solo lo sperimentatore decide inviarli. Quello descritto è un processo di apprendimento. Nei processi di attivazione il termine attivazione sta a sottolineare il ruolo attivo del soggetto nel determinare le cause o le premesse a monte di eventi ed effetti che incidono sul suo comportamento. Da questo punto di vista, sosteniamo che gli individui sono pro-attivi nei confronti del loro ambiente. Riferirsi alla pro-azione non esclude l’adattamento, cioè il fatto che gli individui cercano un equilibrio tra I propri bisogni. Anche le possibilità di azione offerte dal contesto ricadono sotto la responsabilità individuale: infatti, devono essere percepite e riconosciute come tali, inoltre, deve essere attribuito loro un significato; solo a quel punto acquistano la parvenza di “oggettività” che siamo normalmente portati ad attribuire a tutto ciò che ci circonda. Jean Piaget ha sostenuto che la realtà, da un punto di vista cognitivo, sia un fluire incessante di “eventi” che assomiglia molto a quello delle onde del mare. Tali eventi in sè non significano nulla, sonon gli individui che con la loro attività cognitiva li scandiscono, dando loro la sostanza di fatti intelleggibili. Quest’attività è costante sin dalla nascita e in qualunque momento della nostra giornata; tuttavia, non ce ne rendiamo conto perchè è preconscia. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 In tal modo la nostra realtà è assai simile a quella degli altri individui che fanno parte del nostro medesimo gruppo sociale: infatti, un gruppo sociale, si distingue proprio per assegnare significato al reale sulla base delle medesime mappe cognitive. Una mappa cognitiva è una rappresentazione semplificata della realtà che discrimina gli eventi rilevanti e stabilisce tra loro nessi e relazioni causali. Le organizzazioni pertanto si adattano si all’ambiente ma solo dopo che l’hanno attivato. Sono tre le dimensioni qualificanti della cultura organizzativa: 1. È un sistema condiviso di assegnazione di significato al reale 2. È un insieme di regole di gioco 3. È un campo di fattibilità Il “come si fanno le cose” all’interno di un’organizzazione costituisce il comun denominatore di queste tre dimensioni. Il cambiamento culturale consiste in un nuovo modo di assegnare significato al reale che determini la possibilità di diverse regole del gioco e modifichi il campo di fattibilità dell’azione collettiva. Un modo nuovo di costruire la realtà contribuisce a sperimentare nuove possibili soluzioni che, se funzionano, tenderanno nel tempo ad essere interiorizzate dai membri del gruppo. È importante sottolineare due fatti: In primo luogo, una definizione tecnica di apprendimento differisce dall’uso che facciamo di questo termine nel senso comune; infatti, definiamo apprendimento la modificazione stabile di un comportamento a seguito della rilevazione di un errore In secondo luogo, l’apprendimento individuale e quello collettivo si pongono su piani non omogenei. L’apprendimento collettivo esige che si modifichi in maniera stabile il comportamento del gruppo in sè La prima considerazione, ossia che l’apprendimento richiede la rilevazione di un errore, ci consente di ricollegarci a un ragionamento già impostato: un cambiamento culturale profondo è sempre molto costoso e difficile. Per questo motivo, le organizzazioni mettono in discussione I loro assunti soltanto a fronte di crisi che ne minacciano l’esistenza. I diversi modelli di apprendimento ci permettono di mostrare come in realtà le organizzazioni non siano continuamente costrette a modificare profondamente I propri assunti. I cambiamenti e le innovazioni più frequenti sono quelli comunque compresi all’interno del campo di fattibilità già esistente e permettono di non mettere in discussione gli assunti impliciti di base: >> Questo tipo di processi può essere assimilato all’apprendimento di tipo1 Quando invece le organizzazioni sono costrette a modificare radicalmente I propri assunti, e quindi a divenire organizzazioni diverse, si parla di: >> Apprendimento di tipo2. Gli avvenimenti che fanno da forza trainante a questi processi sono spesso drammatici o comunque vincolanti Comportamento, razionalità, decisione Un condizionamento culturale cui siamo in larga parte soggetti nella nostra società, è quello della razionalità come valore in sè: o Da un lato, siamo abituati a pensare che le organizzazioni esistono proprio come strumenti di razionalità e che, gli individui, all’interno delle organizzaizoni, non possono permettersi di essere tanto contradditori o Dall’altro, le organizzazioni esercitano un potente fascino legato al fatto che sono in grado di controllare anche moltissimi uomini, che possono allocare grandi quantità di risorse Le organizzazioni sono avvolte da un alone mitico, quello della razionalità; esso si fonda sul pensare comune che le organizzazioni siano in grado di conseguire obiettivi predeterminati con un utilizzo ottimale di risorse. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 In quanto mito esso è solo una credenza diffusa, empiricamente non verificabile. Viò, non importa perchè tale mito, essenso profondamente radicato e condiviso, è anche un valore, cioè costituisce un criterio costante di comparazione e di giudizio. Il concetto di razionalità si fonda su di un altro principio, quello di coerenza: il comportamento di un individuo è razionale quando è coerente con le premesse da cui è partito o con gli obiettivi che si è posto. Herbert Simon ha sostenuto che l’uomo è caratterizzato da una razionalità limitata sottolineando con ciò la sua difficoltà nel formulare le decisioni che sarebbero per lui più convenienti: se l’uomo fosse caratterizzato da una razionalità assoluta si troverebbe in una situazione ideale per qualunque decisione. Infatti, conoscerebbe sempre tutte le alternative e le conseguenze che potrebbero derivarne. Un individuo a razionalità limitata non conosce tutte le alternative possibili ma solo alcune. Inoltre, è spesso incostante, tende a cambiare idea, desidera cose tra loro contradditorie. Per questo esistono le organizzazione dice Simon; queste, ampliano la razionalità degli individui in quanto rendono più facile decidere. In quanto “campo strutturato di premesse”, l’organizzazione delimita fortemente il numero delle alternative deve vagliare. Il comportamento dell’uomo organizzativo è corretto quando è coerente con le premesse che gli sono state fornite. Queste per lui sono sempre “premesse di fatto”, ossia, sono verificabili empiricamente: deve rispondere a quelle premesse e non ad altre perchè così gli è stato ordinato dal suo superiore. Anche I painficatori e I superiori sono caratterizzati da razionalità limitata; infatti, accanto alle “premesse di fatto”, sono sempre e comunque presenti anche delle “premesse di valore”: assunzioni arbitrarie o semplici ipotesi sul futuro senza la garanzia che le cose possano andare come sono state immaginate. il principio di coerenza è sufficiente a decretare la capacità dell’organizzazione di conseguire I suoi obiettivi? È ovvio che anche il disegno complessivo dell’organizzazione deve essere coerente con il suo obiettivo più generale. In questo modo, tutto il processo si complica perchè si producono almeno due conseguenze: 1. Da un primo punto di vista, tendono a trasformarsi in valori in sè, perchè non hanno più l’originaria valenza strumentale 2. Da un secondo punto di vista, occorre ammettere che se la cultura è una variabile organizzativa forte, che, genera le premesse e impone I criteri di coerenza, allora la razionalità del comportamento è sempre tale solo in relazione alla cultura che la convalida Se teniamo presente l’inclusione o l’esclusione della possibilità di errore nelle premesse all’azione di diverse organizzazioni, noteremo che ve ne sono: o Alcune che escludono assolutamente la possibilità di errore: rientrano quelle organizzazioni in cui la correttezza del comportamento è fondata sulla “certificazione ex ante”, ossia il comportamento è corretto quando rispetta le norme. In queste organizzazioni si sanziona la disubbidienza o Altre che vi sono costantemente preparate: rientrano le organizzazioni in cui la correttezza del comportamento è fondata sull’”ispezione ex post”. In queste, si sanziona Il fatto che gli obiettivi non vengano raggiunti Dunque, possiamo definire la razionalità come , ossia l’insieme dei parametri che a priori definiscono corretto un comportamento intenzionale. Per questo, culture diverse, possono esprimere razionalità diverse e all’interno del medesimo contesto può coesistere una pluralità di razionalità. Un pregiudizio diffuso è che la razionalità debba essere espressa esclusivamente in termini economici. Una decisione è così razionale se I ricavi sono maggiori dei costi. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Riconoscere l’esistenza di una pluralità di razionalità implica stabilire una connessione forte tra le decisioni che un contesto può produrre. La cultura definisce quali sono I corsi di azione razionali all’interno di quel contesto e a quali rischi o sanzioni si espone chi decidesse di prendere decisioni “contestualmente irrazionali”, ossia di infrangere il sistema delle premesse fatto proprio dall’organizzazione. Legare razionalità e cultura implica riconoscere che la decisione, non è solo una scelta ma anche e soprattutto un processo in cui si combinano e interagiscono I molteplici intenti con cui ciascun individuo entra all’interno del processo. Se le decisioni sono processi che possono essere caratterizzati da un’elevata ambiguità appare più promettente guardare alle decisioni in una prospettiva culturale, con l’obiettivo di mettere a fuoco quali dimensioni di volta in volta ne definiscono la funzione Considerazioni finali Il concetto di cultura è una variabile organizzativa forte; la struttura non costituisce affatto l’unica forma di condizionamento del comportamento organizzativo. La cultura è una determinante fondamentale dell’azione organizzativa perchè esprime a sua volta tanto alcune delle regole quanto le capacità e le abilità che contraddistinguono il gruppo. Il concetto di cultura ci permette di enfatizzare come debbano essere svolti I compiti derivanti dalla differenziazione e dall’integrazione delle attività, quali significati essei rivestano per l’organizzazione a ciò che essa produce. Questa componente ideale e valoriale, ci permette di comprendere due aspetti fondamentali della cultura: Il primo si riferisce alla legittimazione sociale Il secondo attiene al fatto che la cultura acquisisce un valore in sè Sul piano dei valori, la cultura non è solo una gabbia cognitiva ma un luogo dove si ritrova la storia, la tradizione, l’identità e le novità. D’altro canto, proprio in questo consiste l’apprendimento: nel rilevare non solo gli errori ma anche la visione del mondo, le premesse e I valori. Apprendere vuol dire costruire un nuovo filo conduttore tra la cultura del gruppo e I suoi canali di attivazione e le sue forme di razionalità in modo da dare origine ad un nuovo “sistema di idee” coerente e definito CAP.4 – Il potere L’idea di potere e l’organizzazione La gerarchia si fonda sull’esistenza di un “differenziale” di potere, cioè sulla possibilità da parte di un attore di indurre determinati comportamenti in un altro attore che non ha invece questa possibilità Il potere come autorità La gente tende ad obbedire ai comandi delle gerarchie organizzative perchè ritiene che sia giusto fare così. Questa predisposizione all’obbedienza è la risultante di un processo sociale complesso, il processo di legittimazione, che fa sì che I vari gruppi sociali riconoscano in forma qausi naturale che è giusto e opportuno che qualcuno comandi e che qualcuno obbedisca per regolare le dinamiche sociali. Max Weber sostiene che possiamo inviduare tre tipi ideali diversi di processo di legittimazione ai quali fanno capo tre tipi di autorità: 1. Autorità tradizionale: si obbedisce al superiore perchè si è sempre fatto così 2. Autorità carismatica: si obbedisce non perchè è sempre stato così ma perchè colui che emana il comando è dotato di un carisma individuale, di un fascino, di una capacità di convinzione e la gente lo ascolta seguendo I suoi ordini 3. Autorità legale-razionale: la gente si predispone all’obbedienza perchè così è previsto dalle norme Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Diciamo allora che il processo di legittimazione è quel processo attraverso il quale la gente si convince che è giusto fare in quel mondo sociale e prestare obbedienza ai superiori o comunque alle persone legittimate a emanare ordini. L’autorità dunque non è delle singole persone ma, nel caso dell’autorità tradizionale e di quella legale- razionale, compete al ruolo; possiamo allora dire che è impersonale: dire che l’autorità è impersonale significa che chiunque ricoprirà quel ruolo potrà aspettarsi obbedienza dai subordinati. Noi sappaimo per esperienza che se I comandi normalmente ottengono obbedienza, In altri casi invece non l’ottengono. Le credenze e le convinzioni sociali, I processi di legittimazione, definiscono ciò che è giusto ma anche ciò che non lo è; identificano cioè uno spazio all’interno del quale si otterrà obbedienza ma al di là del quale il singolo e I gruppi saranno liberi di non ottemperare alle indicazioni del comando. A livello individuale chiamiamo questo spazio “zona di indifferenza” o “sfera di accettazione” per sottolineare: o Da un lato la “indifferenza” rispetto al comando o Dall’altro, la “accettazione” del comando stesso La sfera di accettazione non è statica, ma è essa stessa il frutto del processo storico e sociale di legittimazione come espressione della trasformazione delle credenze. Perchè è tanto importante il concetto di autorità, così come elaborato da Max Weber? Perchè: In primo luogo spiega come mai B fa quello che vuole A: infatti crede che sia giusto conformarsi ai suoi voleri In secondo luogo perchè connettendo l’autorità al ruolo, non solo permette la sostituzione dei diversi titolari di ruolo con altri senza per questo mettere in crisi l’organizzazione ma fa sì che il comando del singolo A venga seguito da una pluralità consistente di B In terzo luogo perchè ci permette di capire come sia possibile l’azione organizzata di persone e individui con interessi e obiettivi diversi quando addiritttura non contrastanti Nei casi di conflitto di lavoro si accetta lo sciopero, anche quello duro; non si accetta la lotta armata. Queste forme di accettazione sono socialmente e storicamente condizionate anche se può avvenire che alcune minoranze non si riconoscano nei valori della società e sviluppino propri codici di comportamento. Il conflitto normale nelle società viene regolato attraverso la definizione delle procedure di espressione del dissenso ma anche attraverso la negozazione. Possiamo altresì concludere che saranno poche le organizzazioniin cui l’autorità è totalmente pervasiva. Ma quali sono le basi su cui si fonda l’autorità all’interno delle organizzazioni? Secondo Weber ancora una volta il carisma, la tradizione, la legge o una qualche combinazione di queste a seconda delle diverse contigenze storico-sociali. Non è in discussione il rigorelogico dell’argomentare weberiano, ma a fronte di numerose evidenze empiriche conviene riconoscere che l’autorità può essere legata al ruolo, oppure alla competenza, o ad entrambe quando I processi di selezione del personale e di attribuzione dei compiti funzionino a dovere. Può l’individuo singolarmente disconoscere l’autorità e rifiutare obbedienza? Certamente sì ma incorrerà comunque nelle sanzioni del gruppo. Le cose diventano diverse se la disobbedienza trova alleati: l’ammutinamento in qualsiasi organizzazione, è sempre un reato gravissimo; ma, se riesce, getta le basi per un nuovo sistema di autorità. È possibile per un singolo individuo aumetare la propria autorità? La risposta dovrebbe essere negativa, ma alcuni spazi esistono: o In primo luogo può rafforzare gli aspetti carismatici connessi al suo ruolo o In secondo luogo può rinvigorire I processi di legittimazione e ottenere un maggiore sostegno da parte di gruppi più o meno consistenti di persone Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Il potere come scambio È possibile per A fa fare a B qualcosa che è al di fuori della sfera di accettazione di B, in violazione dei processi sociali? La risposta è senz’altro positiva. Ma attenzione, secondo lo stesso schema logico ouò avvenire anche il contrario. Stando alla definizione di Dahl, siamo in presenza di manifestazioni di potere. Nella sua formulazione idealtipica più pura possiamo dire che A ma contemporaneamente A controlla una risorsa: Di cui B ha bisogno Che B non può procurarsi altrove Che B non può strappare con la forza a A In tutti questi casi A ha potere su B e riesce a fargli fare quello che vuole perchè nel contempo B dipende da A così com’è sancito dalla condizione di asimmetria nel possesso delle risorse pertinenti e mobilitabili nello scambio: l’asimmetria è il primo requisito dello scambio che crea le condizioni per l’insorgenza di una relazione di potere. Il fatto che la base di potere sia sempre una relazione ci dice anche che il potere è personale, non trasferibile e illimitato. In questo caso l’obbedienza viene garantita da una persona a un’altra persona e non da un ruolo a un altro ruolo e proprio per questa ragione non è trasferibile. Se l’autorità (il potere legittimo) è impersonale, limitata, connessa al ruolo, il potere è personale, illimitato, non trasferibile. Ma certamente è un modo attravrso il quale B fa cose che altrimenti non avrebbe mai fatto senza l’intervento di A. Abbiamo dunque un’altra forma di potere, legata allo scambio asimmetrico di risorse. L’idea del potere, proprio in quanto relazione, ci fa pensare a un individuo attivo che nello scambio ricerca la difesa e il perseguimento dei propri interessi: un vero e proprio “attore” capace di pensare proprie strategie all’interno dell’organizzazione. Questa diversa concezione dell’individuo che trova in Chester Barnard prima e in Michel Crozier poi gli autori più significativi, è fondamentale perchè porta anche a una concezione radicalmente diversa dall’organizzazione. Per Barnard l’organizzazione è un sistema cooperativo basato sullo scambio incentivi- contributi. A fronte degli incentivi ai singoli, questi daranno il loro contributo sotto forma di disponibilità all’obbedienza nell’ambito dei limiti dati. Numerose organizzazione che devono trattare con individui completamente alienati, hanno nell’uso legittimo della coercizione la risorsa principale per influenzare il comportamento di individui che altrimenti utilizzerebbero ogni mezzo per sottrarsi alla relazione. La stessa polizia e le forze dell’ordine in generale, possono in alcuni casi usare legittimamente la forza fisica per ottenere determinati comportamenti. L’uso legittimo della forza ci conduce su un piano dove il rapporto di autorità si sfoca e tende a trasformarsi in rapporto di potere. Quest’ultimo diviene evidente laddove l’uso della forza non è più legittimo. Le ragioni della diffusa insorgenza di scambi asimmetrici sono due: o In primo luogo, per poter funzionare, una qualsiasi organizzazione conferisce ai diversi ruoli facoltà che in altri termini possono essere intese come risorse di scambio. Norme, leggi e regolamenti definiscono ciò che è legittimo e ciò che non lo è. Esiste un confine assai ampio tra lecito e illecito. Nella quotidianità di qualsiasi organizzazione, lo scambio che caturisce dal fatto che I vari attori posseggono legittimamente “risorse” connesse al loro ruolo si muove in un magma contornato da un lato dalla violenza palese, e dall’altro dal comportamento ineccepibile sul piano formale e su quello morale. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 All’interno di un qualsiasi sitema di ruoli esistono spazi enormi per l’emergere di rapporti di potere sotto forma di scambio asimmetrico di risorse. Ma se tutto questo avviene in presenza di un sistema ruoli altamente formalizzato, a maggior ragione si verificherà in presenza di situazioni di incertezza o In secondo luogo, se l’incertezza è per definizione, quanto non è stato previsto, è evidente che chi controlla le risorse per superare e risolvere l’incertezza si troverà in una posizione di scambio favorevole, e dunque di potere. L’incertezza è nella natura delle cose e non può essere totalmente eliminata. Quanto più una zona d’incertezza è cruciale per il funzionamento organizzativo tanto maggiori sono le risorse di scambio che accumula chi controlla e gestisce tale incertezza e quindi le possibilità che egli ha di porre in essere relazioni di potere nei confrotni di colo che con lui sono in rapporto di interdipendenza. Un ulteriore considerazione riguarda la capacità di risolvere una situazione di incertezza, la quale non può essere considerata o legata al ruolo che uno ricopre all’interno dell’organizzazione. È difficile capire chi conta davvero al suo interno, al di là di quanto è previsto dai ruoli formali, proprio perchè I singoli attori possono detenere risorse di scambio relative al superamento dell’incertezza che li rendono molto più potenti di quanto non siano I capi ufficiali. È comprensibile che se l’incertezza è così rilevante, il massimo del potere verrà ottenuto rendendo il meno possibile prevedibile il proprio comportamento. Tutti gli attori organizzativi giocano sull’incertezza e sulla maggiore o minore prevedibilità del loro comportamento. L’adeguarsi alle norme assume una valenza “politica” come meccanismo di difesa dell’impiegato dal superiore. Dire che un’organizzazione è sempre e comunque un’arena politica significa allontanarsi dalla definizione generale di strumento in sè razionale. L’organizzazione non è strumento nè tantomeno è razionale: gli individui, tendenzialmente razionali, usano la stessa per I propri fini. L’organizzazione è sia arena cioè spazio sociale di confronto, convergenza e scontro sia arena politica perchè ciò che si scambiano sono interessi, valori e risorse. Se l’idea di organizzazione come arena politica è in sè suggestiva, perchè offre una rappresentazione di quanto avviene nelle organizzazioni, restano aperti non pochi problemi: >> Innanzittutto, se accettiamo questo modo di concepire l’organizzazione, dobbiamo riconoscere che quanto previsto dalla legge è solo una parte di come funziona davvero l’organizzazione. Tutti gli scambi che avvengono all’interno della stessa daranno vita a un sistema di ruoli concreto. Non a caso Crozier parla di : per ricostruire questo sistema, occorre muoversi attraverso l’analisa strategica >> Inoltre, gli attori organizzativi non sono mai tutti uguali: il disegno organizzativo è anche un sistema di vincoli che attribusice risorse differenziate e diverse possibilità di gioco. Certamente alcuni attori, danno vita a un processo di scambio incentivo-contributi intorno al quale nasce l’organizzazione Nessun attore di norma, per quanto potente, spingerà così a fondo l’esercizio del suo potere da mettere in pericolo la vita stessa dell’organizzazione: la sopravvivenza è per tutti gli attori condizione indispensabile per poter giocare I loro giochi; non a caso Crozier parla di “interdipendenza dei privilegi” proprio per sottolineare come I privilegi di alcuni sono legati al mantenimento, almeno parziale, di privilegi di altri. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Tutte queste considerazioni, ci permettono di sostenere che le organizzazioni sono arene intese come sistemi strutturati di azione che presentano le regole del gioco. Può esistere un’organizzazione basata solo sul potere? La risposta è negativa per alcune ragioni: 1. Essendo il potere personale e non trasferibile, un’organizzazione siffatta richiederebbe un continuo scambio con ogni singolo membro della stessa 2. In realtà, in qualsiasi organizzazione, l’esercizio del potere è costoso per definizione, proprio perchè si fonda su di uno scambio Se è dunque vero che non si da organizzazione basata solo sul potere è altrettanto vero che il potere si manifesta sempre e comunque in qualsiasi organizzazione. Qual è allora l’intreccio tra potere e autorità? All’interno delle organizzazioni, il sistema d’autorità costituisce una delle fonti principali del sistema dei vincoli. L’autorità può non essere in sè sufficiente a determinare una posizione di vantaggio nello scambio, ma difficilmente costituisce una risorsa minimale o trascurabile. Tuttavia, il concepire in questo modo il rapporto tra autorità e potere, implica non solo l’aderire pienamente al paradigma del potere come scambio asimmetrico ma anche il concepire l’organizzazione unicamente come luogo di intersezione delle varie relazioni di potere Il potere come influenza Esiste un altro modo attraverso il quale A riesce a far fare a B cose che quest’ultimo non avrebbe altrimenti fatto: diremo in questo caso che B è l’oggetto di una manipolazione cognitiva da parte di A, ossia che A ha un’influenza su B. Questi attori possono trarre vantaggi che altrimenti non otterrebbero o, nella terminologia di Dahl, possono ottenere determinati comportamenti attesi. Quando l’intrusione da parte di A nelle mappre cognitive di B è intenzionale, siamo in presenza di potere come influenza. Non a caso la pubblicità è definita come “potere occulto”, in quanto è maestra nel manipolare le mappe cognitive degli individui. Questa espressione del potere è difficoltosa e sofisticata da gestire perchè richiede la piena conoscenza dei meccanismi e delle modalità di crezione di senso dei soggetti che si vogliono influenzare. Se è relativamente facile “entrare” nelle mappe cognitive altrui e interromperne momentaneamente l’ordine, assai più complicato è pilotare il processo di creazione di un nuovo ordine nella direzione voluta. Il bluff rappresenta la quintessenza del colmportamento strategico perchè l’interazione non avviene su risorse certe ma solo su risorse presunte e la vittoria arride a chi ha la capacità di manipolare nella direzione voluta I comportamenti degli altri. Il potere di chi bluffa è riposto nel rendere del tutto certo e prevedibile per gli avversari una sua condizione di superiorità: infatti, il bluff riesce quando essi rinunciano a “vedere” perchè danno per scontata la loro sconfitta. Se la manipolazione è un modo attraverso il quale A riesce a ottenere da B determinati comportamenti, questa costituisce un’espressione del potere e può essere rintracciata nel normale funzionamento di ogni organizzazione. È un meccanismo complesso da utilizzare in maniera consapevole e lucida; inoltre, è anche un potere occulto perchè A non può rivelare il suo gioco. D’altro canto il conflitto organizzativo non può essere ricondotto esclusivamente al mero piano delle risorse materiali: al centro dell’arena stanno anzitutto I valori e le idee che condizionano anche il modo di effettuare ogni altro scambio e le priorità. Se un qualsiasi membro di un’organizzazione si fa la fama di persona attenta e onesta, molte persone lo seguiranno dandogli retta. L’appertenenza e la fiducia fanno si che qualcuno venga giudicato per quello che sembra prima ancora che per ciò che dice o che fa. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Un’organizzazione è anche una “arena di idee”, dove si scontrano le differenti visioni del mondo. Questa è anche una condizione utile ai potenti per consolidare gli assetti di autorità e di potere Considerazioni finali Quello del potere legittimo (autorità) e quello del potere come scambio rappresentano due veri e priori paradigmi. In tutti I contesti avremo delle forme miste in cui autorità, potere e manipolazione si intersecano costantemente. Anche nei processi di scambio, ritroviamo costantemente elementi di legittimazione; ma al contempo è vero anche il contrario. Nei processi di legittimazione sono sempre inseriti sia elementi di scambio che di influenza: di scambio perchè l’individuo che si conforma ai comandi dell’autorità legittima e d’influenza perchè è inevitabile una certa personalizzazione di qualsiasi rapporto anche formalmente regolato: si obbedisce sempre al capo, ma, si obbedisce più volentieri quando quel capo ci convinge della giustezza del progetto. Tre tipi ideali di potere: 1. Il potere legittimo, cioè l’autorità 2. Il potere come scambio asimmetrico di risorse 3. Il potere come influenza o manipolazione delle mappe congnitive Tutti e tre questi meccanismi spiegano perchè B modifica I propri comportamenti per conformarsi al volere di A. Laddove un unico attore sarà in grado di controllare contemporaneamente tutte e tre le dimensioni in modo assoluto, sarà difficile l’emergere di controculture e contropoteri. Questo può avvenire non solo negli Stati nazionali ma anche in molte organizzazioni di dimensioni più ridotte: in molte imprese, il “padre- padrone” incarna l’essenza dell’organizzazione nelle sue varie dimensioni e governa I suoi uomini CAP. 5 – L’ambiente La ricerca dell’efficienza Appurare I confini formali di un’organizzazione è un compito semplice, mentre, più complicato, è definire I contorni effettivi della sua attività. Distinguere il sistema dal suo ambiente non è un’operazione immediata; per risucirci sarà inevitabile passare per l’analisi dei rapporti di scambio tra organizzazionei e ambiente o, nel linguaggio di Oliver Williamson, delle transazioni. Una transazione è il passaggio di un qualche tipo di bene o attività attraverso un’interfaccia tecnologicamente separato. Gli individui accettano di impegnarsi in uno scambio quando sono soddisfatti della comparazione tra I costi e I benefici; tuttavia, non sempre è facile capire se lo scambio prevede condizioni eque. Tutta una serie di fattori ci mette in una posizione difficile: Innanzitutto dobbiamo ricordare che gli esseri umani sono caratterizzati da una razionalità limitata, ossia hanno una ridotta capacità di esaminare le aletrnative In secondo luogo, Williamson ha dell’uomo un’opinione decisamente realistica e lo definisce un attore sociale opportunista, cioè pronto anche a mentire Tutte queste limitazioni fanno sì che le transazioni abbiano dei costi: sono costi che gli individui devono sostenere per accedere allo scambio, per rilevare l’equità e per portarlo a termine. Il mercato per Williamson è una forma di organizzazione in quanto permette di effettuare transazioni. I primi problemi sorgono quando il mercato non è caratterizzato da “grandi numeri” ma da “piccoli numeri”, ossia vi è un numero ridotto di possibili interlocutori. In una situazione di piccoli numeri il mercato comincia a mostrare cedimenti. Il mercato continua ad essere il meccanismo più efficiente per gestire la transazione anche se la sua forma pura potrebbe creare costi aggiuntivi: in questo caso conviene adottare una forma di gerarchia, ossia individuare un ruolo di autorità che funga da regolatore. Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 Prendendo ora in considerazione le transazioni ad elevata frequenza, che si ripetono con regolarità a intervalli di tempo, queste, tendono a condurre il mercato a una situazione di piccoli numeri. Un’impresa che utilizzi con costanza un certo subfornitore non ha le stesse alternative di mercato che aveva avuto all’inizio del rapporto di subfornitura. Per l’azienda madre il subfornitore è diventato una risorsa altamente specifica, ossia è sostituibile solo sostenendo costi molto elevati legati all’addestramento ex novo di un altro subfornitore. Ma, in questo modo, essa si è anche fortemente esposta al suo possibile opportunismo. Secondo Williamson a queste condizioni si decreta il fallimento del mercato e la forma di gestione delle transazioni più efficiente diviene la gerarchia, intesa come produzione in proprio. Per Williamson mercato e gerarchia sono forme organizzative di minimizzazione dei costib degli scambi: tale impostazione è stata modificata da un teorico, William Ouchi. Egli argomenta che la forma organizzativa opposta al mercato non è la gerarchia bensì il clan, inteso nel senso classico di gruppo sociale che condivide una visione del mondo. Secondo Ouchi, anche il clan è un’organizzazione. Il mercato è efficiente quando siamo in presenza di un’elevata misurabilità della prestazione richiesta. L’equità dello scambio è decretata grazie al meccanismo del prezzo; al contrario, il clan è efficiente quando si è in presenza di un’elevata congruenza sui fini con cui I contraenti accedono allo scambio, ossia hanno medesimi obiettivi. Per questo il clan è tanto più efficiente quanto più elevata è la durata prevista della transazione. Se il mercato e il clan sono forme organizzative tra loro “opposte”, la gerarchia rappresenta una forma intermedia: infatti, è efficiente in presenza di una media misurabilità delle prestazioni e di una media congruenza sui fini e quando la durata della transazione è incerta. Questo caratterizza la maggior parte dei rapporti all’interno di un’organizzazione. Un quasi-mercato consiste in una forma prevalentemente gerarchica che utilizza però criteri di regolazione interna tipici dei mercati. Per la gerarchia e il clan, così come per il mercato, si possono verificare condizioni di fallimento. Il mercato, la gerarchia e il clan possono coesistere all’interno delle stesse organizzazioni formali o coinvolgere contemporaneamente una pluralità di esse; ciò che conta è il modo in cui vengono gestiti gli scambi. Questi infatti sono I reali meccanismi di influenza del comportamento e delle decisioni. La teoria dei costi di transazione presenta alcuni limiti: o In primo luogo non prende in considerazione quanto costi passare da una soluzione organizzativa all’altra o In secondo luogo non spiega come e perchè, in presenza del fallimento di una certa soluzione, certi attori all’interno degli scambi, possono indirizzarli, controllarli e determinare la nuova soluzione L’ambiente come rete di organizzazioni Lo scambio è definito come il trasferimento volontario di risorse tra due o più attori per il conseguimento di un reciproco vantaggio. Che cosa si scambiano le organizzazioni? Una molteplicità di risorse di ogni tipo, che sono però riconducibili a tre categorie fondamentali: 1. Denaro: Si riferisce a tutte e quante le risorse materiali e immateriali che con esso possono essere acquistate o controllate 2. Autorità: Si riferisce alla legittimazione dell’esistenza dell’organizzazione Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 3. Informazioni: Si riferisce a tutte quelle risorse di conoscenza di cui le organizzazioni hanno bisogno per definire la propria identità, gli scopi e I programmi Tutte le organizzazioni hanno bisogno di denaro, di autorità e di informazione. Inoltre, molto spesso, queste sono tra loro connesse. Non è sempre scontato che tutte le organizzazioni mirino ad aumentare il proprio potere nella relazione: spesso, tendono semplicemente a diminuire la propria dipendenza. Che la riduzione della dipendenza dalle risorse sia una strategia è ben visibile nel mondo dell’artigianato e dell’impresa minore: infatti, molti piccoli imprenditori, non desiderano affatto diventare “grandi”. La maggior parte delle relazioni di scambio di un’organizzazione si svolge con altre organizzazioni, quindi, l’ambiente di un’organizzazione, è costituito dalle altre organizzazioni con cui attiva scambi sufficientemente stabili e ricorrenti. Secondo Benson, un numero di organizzazioni distinte aventi un tasso significativo di interazione reciproca, costituisce un reticolo interorganizzativo. Il termine reticolo è dunque inteso come un insieme delle organizzazioni e degli scambi e indica il rapporto di connessione tra le organizzazioni coinvolte. Lo studio dei reticoli interorganizzativi ha assunto una grande popolarità perchè presenta alcuni elementi di novità: Innanzitutto il centro dell’analisi si sposta dall’organizzazione al reticolo In secondo luogo, il concetto di reticolo permette di definire e rappresentare in maniera più puntuale l’ambiente organizzativo In terzo luogo, il reticolo come unità di analisi presenterà proprie e specifiche logiche di funzionamento Queste considerazioni rendono ovvio che ogni reticolo sarà profondamente diverso dall’altro. Un’organizzazione sarà centrale in relazione all’autorità che le è riconosciuta e alle risorse che è in grado di mobilitare all’interno o all’esterno del reticolo. Se tutte le organizzazioni coinvolte perseguono all’interno del reticolo strategie per ridurre l’incertezza, per aumentare la propria influenza contestuale, anche il reticolo si viene a configurare come un’arena politica in cui I vincoli di ciascuna organizzazione saranno costituiti da norme e valori. Se le reti di organizzazioni possono essere considerate anche come arene politiche, non bisogna allora sopravvalutare la portata progettuale caratteristiche degli ambienti delle organizzazioni, ossia la capacità che queste hanno di predefinire le dinamiche e controllarle. Essi possono dare luogo ad assetti non intenzionali che si impongono comunque alle organizzazioni coinvolte. Ciò che si intende è che le organizzazioni si troveranno a operare in ambienti più instabili di quanto desiderino. Organizzazione e ambiente Come la dimensione degli scambi interorganizzativi può aiutarci nella comprensione delle dinamiche organizzative? Sono quattro I punti principali: 1. I rapporti di scambio che sviluppa un’organizzazione sono da ricondurre al suo processo di differenziazione: Un’organizzazione è innanzitutto un meccanismo di differenziazione dell’attività dei membri. Gia nel 1967 due studiiosi americani, Lawrence e e Lorsch, avevano affermato che parti diverse dell’organizzazione interagiscono con segmenti diversi dell’ambiente 2. Le relazioni costituiscono il luogo d’incontro tra I “ruoli di confine” di ciascuna organizzazione: Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 La riduzione dell’incertezza ambientale e la stabilizzazione dei rapporti di scambio, passano attraverso la “personalizzazione”, ossia la costituzione di reti di interlocutori privilegiati 3. Quanto più un’organizzazione è raffigurabile come un sistema a legame debole, tanto più può essere letta come un reticolo interorganizzativo: Vi sono alcune organizzioni il cui funzionamento sembra incomprensibile o irrazionale se ci si ostina a considerarle organizzazioni unitarie e compatte; si tratta di quelle a legame debole 4. Molti programmi d’azione all’interno di un contesto sociale, non sono comprensibili facendo riferimento a un’unica o a singole organizzazioni: Osservando la realtà, vediamo che esistono forme di azione organizzata che non rispondono a singole organizzazioni formali e che ci impongono di spostare la nostra attenzione sui programmi di attività in cui le organizzazioni sonoimpegnate. Hjern e Porter osservano che c’è una discrepanza tra le critiche che generalmente si rivolgono ai vari enti responsabili e I risultati anche insperati che spesso si riescono a conseguire. I due autori propongono di analizzare non tanto le singole organizzazioni quanto piuttosto quelle che loro definiscono “struttura di implementazione” La struttura di implementazione costituisce senz’altro una forma di organizzazione anche se non è giuridicamente riconosciuta. Tutto ciò dimostra con evidenza come la struttura di implemetnazione sia sempre e comunque un’organizzazione effimera: infatti, è destinata a sciogliersi una volta portato a termine il programma. Hjern e Porter suggeriscono che l’acronimo PIPSI rappresenti un buon modo per tenere a mente le dimensioni fondamentali dell’implementazione di un programma: il programma fornisce un imperativo amministrativo che indica un pool potenziale di organizzazioni che, per autoselezione, formeranno una struttura di implementazione Considerazioni finali È fuori luogo considerare le organizzazioni e l’ambiente come due entità troppo distinte: ragionare in termini di interno ed esterno semplifica le cose; tuttavia, è utile riconoscere che si tratta di criteri giuridco- amministrativo: quando vogliamo comprendere I processi dobbiamo chiederci dove stia l’organizzazione e che forma abbia CAP.6 – Come cambiano le organizzazioni Perchè le organizzazioni cambiano così poco Tre considerazioni: 1. Molti scambi rappresentano in sè una spinta al cambiamento: sia che gli scambi avvengano sul piano materiale che su quello simbolico, essi “aggiungono” o “tolgono” qualcosa rispetto alla situazione antecedente. Gli scambi che avvengono quotidianamente sono praticamente infiniti; proprio la loro molteplicità fa sì che molte di queste forze si annullino tra di loro. La combinazione dei diversi vettori spesso contrasta con altre forze e con altri sistemi di coerenza. Nelle organizzazioni è facile individuare il partito dei progressisti e quello dei conservatori: I progressisti sono pronti a cambiare tutto, ma raramente a mettere in discussione I loro priviliegi. Gli equilibri che si creano negli assetti di poterre garantiscono comunque ai singoli individui e gruppi uno spazio, un’autonomia. Più che cambiamento si parla quindi di oscillazioni continue. 2. Le organizzazioni sono costrutti sociali artificiali, reati da qualcuno in grado di mettere in campo incentivi sufficienti a ottenere il contributo e l’obbedienza di un certo numero di persone. Tuttavia, il Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 sistema dei ruoli non è un semplice disegno che ordina e colloca gli individui ma è anche la struttura portante su cui si innestano le idee e la cultura. Il momento di avvio dell’organizzazione definisce una sorta di vero e proprio imprinting che tende a perdurare nel tempo perchè identifica un sistema di coerenze all’interno del quale si intrecciano tutte le dimensioni più rilevanti dell’agire organizzativo. Per definizione gli attori sono diversi nei loro interessi, nei loro obiettivi e risorse. Certo mai nessuna di queste dimensioni sarà così rigida e vincolante da impedire scostamenti; ma, priam che si creino nuovi livelli di coerenza tra tutte queste dimensioni, è probabile che le asimmetrie iniziali vengano rafforzate e consolidate da chi ha tutto l’interesse a mantenere gli assetti propri del modello orginiario; questa, ci induce ad accettare come del tutto normale un basso grado di cambiamento nelle e delle organizzazioni 3. L’infusione dei valori uniti alla legittimazione che la società nel suo complesso rinconosce all’organizzazione, sono tutti elementi che annullano qualsiasi spinta al cambiamento. La sopravvivenza e l’esistenza dell’organizzazione in sè, sono condizioni sufficienti a impedire il cambiemnto che metterebbe in pericolo tanto gli interessi interni quanto quelli esterni garantiti dallo status quo. Perchè? Nell’istituzione, nella sua formulazione, tutti gli elementi concorrono al rafforzamento dello status quo; ma, nel frattempo, la società si muove, emergono altre forme organizzative e si affermano nuovi valori non necessariamente tra loro coerenti. Quel che è l’organizzazione, per dirla come Friedberg, è incapace e/o riluttante a riconoscere tutto questo: da un lato tutto ciò resiste al cambiamento, dall’altro, trasmette sia agli attori interni che a quelli esterni l’idea di solidità perenne. All’improvviso, un qualsiasi eventi critico porta alla luce la forza che il cambiamento sociale, culturale e tecnologico avevano diffuso intorno a sè e all’istituzione. Salta improvvisamente il sistema di coerenze Possiamo allora concludere che le organizzazioni cambiano meno di quanto ci si potrebbe attendere perchè: La pluralità degli scambi tende ad annullare I potenziali vettori di cambiamento Il modello originario tende a riprodurre nel tempo gli assetti strutturali e culturali dati nella fase di avvio dell’organizzazione I processi di istituzionalizzazione tanto interni quanto esterni tendono a rafforzare lo status quo Lo sviluppo organizzativo Le ragioni della resistenza al cambiamento e l’insieme delle analisi del crollo che periodicamente caratterizza alcune istituzioni, ci aiutano a ragionare meglio sul cambiamento organizzativo Sistema d’ordine locale Dire che un’organizzazione è un sistema d’ordine locale significa ricordare che essa è una forma d’azione collettiva e strutturata tanto sul piano delle modalità di differenziazione e integrazione, quanto su quello degli assetti culturali. L’idea di ordine ha una valenza strutturale, culturale e relazionale: perchè? Innanzitutto perchè il sistema dei ruolidefinisce con gradi maggiori o minori di formalizzazione e stabilità, a seconda delle organizzazioni. Il sistema dei ruoli e tutte le norme ad esso connesse garantiscono il governo dei processi di differenziazione e di integrazione. Intorno al sistema dei ruoli, si consolida la cultura organizzativa: struttura e cultura, concorrono a mettere ordine nell’azione e nel comportamento organizzativo. Anche la dimensione politica diventa un Downloaded by FRANCESCO MANCINO ([email protected]) lOMoARcPSD|10616302 meccanismo, un momento di ordine perchè la lotta per il potere degli individui e dei gruppi all’interno dell’organizzazione non avvenga nel vuoto. Un’idea di ordine tutt’altro che semplice. Cosa accade allora se trasponiamo l’idea di sistema d’ordine da una prospettiva statica a una dinamica? È facile ipotizzare che I cambimenti, o meglio I suoi stimoli, potranno avere impatti diversi sul sistema d’ordine. La pluralità di impatti che gli stimoli al cambiamento possono indurre ci dicono quanto sia complesso lo sviluppo organizzativo L’idea organizzativa Uno dei mod