Cardiologia 2023/2024 (PDF)

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Medicina e Chirurgia, UPO

2024

AA

Simone Serati

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cardiovascular disease cardiology medical education human anatomy

Summary

This document provides an overview of cardiology, focusing on cardiovascular disease and its risk factors. It covers modifiable and non-modifiable risk factors, including demographics, lifestyle choices, and established medical conditions. The author is Simone Serati, from the Medicina e Chirurgia, UPO program, for the academic year 2023/2024.

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CARDIOLOGIA Simone Serati Medicina e Chirurgia, UPO AA 2023/2024 1 EPIDEMIOLOGIA CARDIOLOGICA La prima causa di morte al mondo è la cardiopatia ischemica, un insieme di patologie in cui al miocardio arriva un apporto insufficiente di o...

CARDIOLOGIA Simone Serati Medicina e Chirurgia, UPO AA 2023/2024 1 EPIDEMIOLOGIA CARDIOLOGICA La prima causa di morte al mondo è la cardiopatia ischemica, un insieme di patologie in cui al miocardio arriva un apporto insufficiente di ossigeno. Nel 90% dei casi l’eziologia è da ricercare nelle placche aterosclerotiche, in grado o di occludere parzialmente (quando si ha una placca stabile) o completamente (quando si ha la rottura della placca complicata) le coronarie epicardiche (diametro 2.5 – 3.5 mm). È importante sottolineare che le placche danno segno di sé prima a livello coronario, poi a livello carotideo e infine agli arti inferiori, per cui se il paziente ha un ictus o un’insufficienza arteriosa è importante effettuare una coronarografia. Avere una patologia aterosclerotica a livello coronarico riduce l’aspettativa di vita di circa 10 anni, per cui è essenziale strutturare un approccio di prevenzione, che può essere primaria (riferita a soggetti sani che non hanno mai avuto episodi cardio ischemici) o secondaria (se hanno avuto episodi). Al giorno d’oggi l’incidenza e la prevalenza di queste patologie sono in aumento ma la mortalità è in diminuzione, ciò dipende dalla precocità nella diagnosi e nel trattamento mirato. Fino al 1970 circa l’evento cardio ischemico era quasi sempre un evento fatale, non esistevano trattamenti efficaci né la capacità di prendersi cura di questa tipologia di paziente: l’avvento delle unità coronariche, della cardioaspirina, della trombolisi e degli stent ha permesso negli anni a venire di migliorare la prognosi sia da un punto di vista qualitativo sia quantitativo. Questo tipo di paziente ha però un costo alto per il SSN, la sindrome metabolica che è spesso associata comporta un costo annuo di migliaia di euro; la prevenzione rimane quindi l’unico vero strumento di cura per le patologie cardio ischemiche. I fattori di rischio si distinguono in tre categorie: 1) NON MODIFICABILI a. Età: con l’avanzare degli anni il processo fisiopatologico dell’invecchiamento fa il suo corso, per cui diminuisce l’elasticità dei connettivi e si instaura un quadro infiammatorio cronico che aumenta il rischio di rottura della placca. Con l’età inoltre aumenta il numero della comorbilità e diminuisce l’attività fisica svolta. b. Sesso: uomini e donne non hanno sempre lo stesso rischio CV. Gli estrogeni sono infatti ormoni cardioprotettori, per cui fino a circa 50 anni gli uomini hanno maggiore probabilità di avere un evento ischemico rispetto alle donne, mentre dopo le probabilità si allineano. c. Familiarità: avere un parente di primo grado con IMA (sotto i 55 aa se maschio o 65 aa se femmina) aumenta la probabilità di avere un evento cardio ischemico. d. Evento cardio ischemico: i pazienti che hanno una storia personale di ischemia miocardica hanno maggiore probabilità di recidiva. e. Patologie pro-trombotiche: 2 2) MODIFICABILI a. Ipertensione arteriosa: sono diversi i motivi per cui l’IA è un fattore di rischio: 1) la diminuita elasticità dei vasi rende le coronarie meno pronte a modificare la loro sezione in riposta a stimoli di stress 2) comporta un maggiore tendenza alla lesione dell’endotelio (in particolare nei punti di diramazione) e alla formazione della placca 3) se non curata induce un quadro di cardiomiopatia ipertrofica compensativa, per cui diminuisce da una parte la gittata sistolica, dall’altra le coronarie non riescono più a vascolarizzare efficacemente il miocardio. Se l’ipertensione è controllata correttamente, il rischio di annulla, mentre se non lo è il rischio raddoppia. b. Obesità: è un fattore di rischio perché gli adipociti del paziente obeso producono principalmente adipochine pro-infiammatorie (resistina, TNF-α, IL6, MCP1) e angiotensinogeno, inducendo uno stato infiammatorio cronico di basso grado e un quadro ipertensivo. Per valutare il peso è necessario calcolare almeno il BMI e la circonferenza vita ❖ Uomini: normale < 94 cm, aumento del rischio > 102 cm ❖ Donne: normale < 80 cm , aumento del rischio > 88 cm c. Diabete mellito: in generale, il paziente diabetico ha un rischio di avere IMA sovrapponibile a chi ne ha già avuto uno. L’aumento della glicemia induce la formazione di LDL-glicate che vengono captate dai monociti/macrofagi presenti nella placca, aumentandone la dimensione. Aumenta il rischio di IMA di circa l’80% ma molto dipende da quanti anni il paziente convive con la malattia e da come viene controllata: il rischio di IMA si riduce del 14% per ogni riduzione dell’1% del valore di Hb glicata. d. Dislipidemia: è una condizione che aggrava enormemente la formazione della placca e si può considerare il centro su cui fare prevenzione. È importante indagare nei pazienti con livelli di colesterolo LDL >300 mg/dl, soprattutto se giovani e con uno stile di vita sano, la diagnosi di ipercolesterolemia familiare, patologia con eterogeneità allelica e di locus con la forma eterozigote ad alta prevalenza (1/200, la mutazione più frequente è per LDLR). Per 3 indagarla è essenziale l’anamnesi e seguire la Dutch lipid score. I valori target da raggiungere in pazienti con dislipidemia sono: Trigliceridi < 150 mg/dL Colesterolo totale < 180 mg/dL HDL > 40 mg/dL LDL < 100 mg/dL→ in prevenzione primaria LDL < 70 mg/dL → auspicabile in prevenzione secondaria LDL < 55 mg/dL → ottimale in prevenzione secondaria LDL < 40 mg/dL→ pazienti con eventi cardiovascolari ricorrenti Gli studi hanno dimostrato che, se si riduce il valore del colesterolo LDL di 40 mg/dL si riduce del 23% il rischio di IMA e del 20% il rischio di eventi cardiovascolari in generale. 3) STILE DI VITA a. Fumo: aumenta di circa 3 volte il rischio di IMA ma dipende da quante sigarette si fumano al giorno, c’è una correlazione lineare: chi fuma 1-5 sigarette al giorno ha un rischio aumentato del 50% rispetto ai non fumatori, chi fuma due pacchetti di sigarette al giorno ha un rischio aumentato di 8 volte. Anche per quanto riguarda il fumo passivo si ha un aumento del rischio di IMA in modo lineare rispetto al tempo di esposizione (aumento del 60% circa). b. Alcol: è un fattore di rischio in quanto aumenta lo stress ossidativo del corpo, nonché altera il quadro pressorio e metabolico, inducendo se in eccesso AFLD. c. Droghe: soprattutto le droghe eccitanti come la cocaina sono causa di grave ipertensione che può portare a IMA e, in generale, arresto cardiaco. d. Dieta ipercalorica: se ricca di acidi grassi polinsaturi e carboidrati e povera di frutta e verdura, aumenta l’evoluzione delle placche. La dieta è la benzina delle nostre cellule, per cui ogni suo cambiamento ha un effetto importante su tutto l’organismo. e. Stress psicologico: vivere uno stato di forte stress psicologico ha un effetto molto negativo dal punto di vista clinico. In primis la risposta allo stress induce il rilascio di catecolamine e quindi di cortisolo, aumentando il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa e diabete mellito di tipo 2. Lo stress psicologico spinge poi alcune persone con meccanismi di coping non adeguati, a rispondere allo stress con uno stile di vita non sano, abusando di sigarette, alcol, droghe e cibo per cercare di alleggerire la 4 tensione. Lo stress inibisce poi il rilascio di diversi ormoni e neurotrasmettitori, come dopamina e serotonina che hanno un effetto positivo (come sempre alla giusta dose) sulla salute dell’organismo. f. Sedentarietà: uno stile di vita sedentario è un forte fattore di rischio per cardiopatia ischemica. A partire dai fattori di rischio è evidente che esistano importanti fattori di protezione: - Attività fisica: soprattutto aerobica, permette all’organismo di migliorare le sue performance, il cuore si rafforza e diminuisce la FC, i polmoni si espandono maggiormente, i muscoli crescono e migliora la circolazione venosa, nonché quella arteriosa per la maggior richiesta di ossigeno dei tessuti. Aumenta poi il colesterolo HDL, essenziale per captare il colesterolo dalle LDL e riportarlo al fegato, diminuendo così la sintesi endogena e i livelli di VLDL/LDL. - Dieta equilibrata, stile di vita sano, equilibrio psicologico e meccanismi di coping efficaci Spesso il paziente con cardiopatia ischemica è complesso e presenta più fattori di rischio associati, per cui è importante calcolare il RISCHIO CARDIOVASCOLARE GLOBALE, in cui i fattori di rischio non si sommano ma si moltiplicano. Esistono delle vere e proprie carte con cui si stima il rischio di morte cardiovascolare a 10 anni, che si considera elevato quando è superiore al 20%, intermedio tra 10 e 20%, medio-basso se tra 5 e 10%, basso se inferiore al 5%. È qui rappresentata la tabella per uomini diabetici. 5 CIRCOLO CORONARICO Il circolo coronarico permette di irrorare il miocardio e ha origine da due orifizi, i seni di Valsalva (15 mm in altezza, 30 mm in larghezza), posizionato subito sopra le cuspidi destra e sinistra della valvola aortica. Quando questa si apre durante la sistole ventricolare, si ha la chiusura funzionale degli orifizi, inoltre, la contrazione del miocardio causa anche la chiusura dei vasi intramurali delle coronarie, per cui durante la sistole il cuore riceve meno ossigeno mentre durante la diastole ne riceve di più. Il calibro delle arterie coronarie misura in media 3-4 mm e nell'80% dei casi la coronaria sinistra ha un diametro leggermente superiore rispetto alla destra. Dal seno destro origina la CORONARIA DESTRA che decorre nel solco atrioventricolare destro rilasciando diversi rami, tra cui i rami atriali e l’arteria per il nodo del seno (occlusione prossimali dell’arteria possono indurre gravi aritmie e arresto). Decorrendo nel solco dà origine al ramo marginale destro per la parete libera del ventricolo destro, portandosi posteriormente raggiunge la crux cordis, rilasciando nel 55% dei casi anche l’arteria per il nodo AV. È nella crux cordis che si divide nei suoi due rami terminali: - Arteria interventricolare posteriore (IVP), che irrora la porzione inferiore del setto - Ramo postero-laterale della coronaria destra, irrora parte della parete posteriore del ventricolo sinistro. Questa condizione descritta si presenta nell’80-85% dei casi e si parla di dominanza destra, che è in relazione all’origine dell’interventricolare posteriore. Se questa origina dalla coronaria sinistra si parla di dominanza sinistra e si presenta in circa il 10% dei casi. Nel 5% dei casi si ha un circolo bilanciato. La CORONARIA DI SINISTRA ha una lunghezza brevissima, 1 cm, dopodiché si divide immediatamente nei suoi due rami terminali, l’arteria interventricolare anteriore e l’arteria circonflessa. Per questo motivo, anatomicamente si parla di due coronarie, mentre funzionalmente di tre. L’arteria interventricolare anteriore (IVA) decorre nel solco interventricolare anteriore e irrora con dei rami il setto anteriormente, con altri le pareti anteriori dei ventricoli. L’ a. 6 interventricolare anteriore è la più importante coronaria in quanto è quella che irrora maggiormente il ventricolo sinistro. L’arteria circonflessa (CFX) decorre nel solco atrioventricolare sinistro e si porta sulla faccia posteriore esaurendosi prima di raggiungere la crux cordis. Nel suo percorso rilascia il ramo marginale sinistro per la parete libera del ventricolo sinistro e nel 45% dei casi l’arteria per il nodo AV. Nel 5% dei casi in cui si ha un bilanciamento, ciò che cambia è l’irrorazione della parete posteriore: tra discendente posteriore e posterolaterale, uno dei due origina dalla coronaria destra e l’altra dalla circonflessa. A livello fisiologico, i vasi coronarici possono essere suddivisi in: - vasi di conduttanza (grossi rami epicardici e loro diramazioni) - vasi di resistenza (rami intramiocardici e arteriole). Le RESISTENZE CORONARICHE sono regolate da fattori estrinseci (azione compressiva del miocardio ventricolare) e da fattori intrinseci (di natura neuro-ormonale, miogena e metabolica). Per quanto riguarda i fattori estrinseci, come anticipato è durante la diastole che si ha il passaggio del sangue dall’aorta ai seni di Valsalva e sempre durante la diastole si ha il rilassamento del miocardio che permette al sangue di fluire più facilmente nei vasi di resistenza intramurali. È da notare, però, che anche la pressione endocavitaria data dal sangue in aggiunta nella diastole è causa di una riduzione del lume dei vasi, per cui è un sistema finemente in relazione. Proprio perché durante la diastole si ha il maggiore ingresso di sangue nelle coronarie, in caso di tachicardia diminuisce l’apporto di ossigeno al cuore, condizione che, nello scompenso cardiaco ad esempio, è molto pericolosa. Per quanto riguarda invece i fattori intriseci, questi sono - Nervosi: il SNA regola la contrazione, la frequenza e la vasomozione a livello cardiaco, per cui se c’è un aumento del tono parasimpatico si ha effetto batmotropo e inotropo negativo e vasodilatazione; se aumenta il tono ortosimpatico si ha effetti inotropo e batmotropo positivo e vasocostrizione - Miogeni e metabolici: quando aumenta il lavoro cardiaco, aumenta il consumo di ossigeno e di ATP, per cui dall’idrolisi di quest’ultimo si libera adenosina, induce una vasodilatazione (antagonizzando l'ingresso dello ione Calcio all'interno delle cellule muscolari lisce) soprattutto a livello dei vasi di resistenza, con un conseguente aumento del flusso coronarico proporzionale all'aumento delle richieste metaboliche. L'adenosina non è la sola sostanza implicata nel processo (sistema degli eicosanoidi, nitrossido, serotonina) ma è verosimilmente la principale, motivo per cui risulta essere il mediatore principale del dolore anginoso. 7 E IL SANGUE REFLUO? Il sangue refluo della circolazione coronarica e raccolto dal seno coronario, dalle vene cardiache anteriori e dalle vene minime. In particolare, il SENO CORONARIO raccoglie la maggior parte del sangue refluo: ha una lunghezza di circa 3 cm e si trova nella faccia diaframmatica del cuore, accolto nella parte sinistra del solco coronario insieme al ramo circonflesso. Il suo orifizio si trova in atrio destro in prossimità dell'orifizio della vena cava inferiore ed è fornito di una piega valvolare, la valvola di Tebesio. Tra le vene che sboccano nel seno coronario ci sono la vena cardiaca magna speculare ad IVA, la vena cardiaca media speculare ad IVP e la vena marginale sinistra. APPROFONDIMENTO → RISERVA CORONARICA La riserva coronarica corrisponde al rapporto tra il flusso massimale (flusso presente con la massima vasodilatazione possibile) e il flusso a riposo. Solitamente il rapporto vale 4:1 e viene mantenuto pressoché invariato fino ad un’occlusione del 60%. Dopo questo valore, il rapporto diminuisce nettamente: si è visto che quanto l’ostruzione del lume è di oltre il 75% è meglio intervenire con angioplastica/stent. SINDROMI CORONARICHE Le patologie legate alle coronarie sono le sindromi coronariche e hanno come esito la cardiopatia ischemica, che si instaura A causa di una riduzione del lume coronarico, Per un consumo eccessivo di ossigeno Per entrambe la cause. La causa più frequente di sindrome coronarica è L’ATEROSCLEROSI. Le coronarie sono piccoli vasi con diverse biforcazioni, per cui sono molti i punti di stress e danno endoteliale, primum movens del processo aterosclerotico. 8 A seconda della progressione nella crescita della placca aterosclerotica, è possibile distinguere le sindromi coronariche in due grosse categorie: - FORME CRONICHE E STABILI: c’è un ipoafflusso di sangue che nella maggior parte dei casi è asintomatico, mentre progredendo con l’occlusione si hanno le manifestazioni legate allo sforzo fisico. Si parla in questo caso di angina cronica stabile, in cui si ha appunto la placca aterosclerotica stabile. - FORME ACUTE E INSTABILI: la placca in questo caso è complicata, per cui si ha la sua rottura e la formazione di un trombo, che può essere occludente o embolizzare; in grado di occlude totalmente la coronaria. Le patologie che presentano quest’eziologia sono l’angina instabile, l’IMA (STEMI e NSTEMI. Qui all’ischemia segue la necrosi) e la morte cardiaca improvvisa (l’occlusione causa un aritmia immediatamente fatale, come una FV precoce). CARATTERISTICHE DEL DOLORE ANGINOSO Dolore retrosternale oppressivo e costrittivo. A volte è anche urente. Dolore precordiale oppressivo Ci sono anche diverse irradiazioni (per convergenza verso il ganglio di T1), che possono anche essere l’unica manifestazione di angina, come spalla sx, braccio sx e zona ulnare sx, collo Sedi meno frequenti di irradiazione sono: emitorace dx, epigastrio, spalla e braccio dx, regione interscapolare posteriore, mandibola e mascella. Spesso associato ad altri sintomi: stanchezza, malessere generale o ansia, dispnea, diaforesi. Angina silente: i pazienti diabetici per via della neuropatia possono non sentire dolore, ma presentare solo i sintomi sistemici, soprattutto la dispnea. Non si modifica con i movimenti, postura, o respiro Non si modifica o si esacerba con l’assunzione di cibi o liquidi Non aumento alla digitopressione, 9 LA PLACCA STABILE e l’ANGINA STABILE Caratteristiche della placca dell’angina stabile: 1. Stenosi > 70%: l’ostruzione provocata dalla placca deve essere tale da provocare un'ischemia da insufficiente ossigenazione sotto sforzo, per cui l'ostruzione coronarica per essere emodinamicamente significativa deve essere pari ad almeno il 70%. Per definizione, una stenosi del lume coronarico maggiore del 70% provoca ischemia durante sforzo e quindi dolore. Una placca che ostruisce il 50% del lume è da tenere in considerazione ma di per sé non è ischemizzante, cioè non da ischemia in situazioni che aumentano il consumo di ossigeno. 2. Concentrica: la placca di un paziente con angina cronica stabile è una placca concentrica. 3. Cappuccio fibroso spesso: il cappuccio fibroso è la parte rivolta verso il lume ed è molto spesso e ricco di sali di calcio, evidenziabili anche con RX. 4. Zona sottointimale: la parte sottostante il cappuccio fibroso della placca è una zona relativamente poco ricca di lipidi e cellule schiumose con un numero più abbondante di cellule in proliferazione, quindi cellule muscolari lisce e fibroblasti, ma anche sali di calcio. 5. Neoangiogenesi: il processo di neoangiogenesi è presente anche in questa placca ma non moltissimo. La dimensione della placca non è ancora estesa, per cui il core necrotico non è così abbondante da attivare molto il processo. 6. Superficie endoteliale: la superficie endoteliale che separa la placca dal lume vascolare è strutturalmente integra, ma può non esserlo funzionalmente, per cui manca ad esempio la sintesi di NO. Questo tipo di placca è causa di angina stabile, che si classifica in QUATTRO CLASSI individuate dalla CSS (Canadian Cardiovascular Society): Classe 1: l’attività fisica abituale, come camminare o salire le scale non causa angina. L’angina si manifesta tipicamente durante esercizio strenuo, rapido o prolungato durante attività lavorative o ricreative. L’angina si manifesta quindi per sforzi molto intensi. Classe 2: lieve limitazione delle attività abituali. L’angina si manifesta tipicamente per sforzi severi: 10 (1) Camminando, salendo le scale rapidamente, oppure camminando in pianura per più di 200m, o salendo più di due piani di scale ad andatura normale ed in condizioni ambientali normali. (2) Camminando o salendo le scale dopo i pasti in ambiente freddo o ventoso. (3) Camminando in salita. (4) durante stress emotivo. Classe 3: marcata limitazione dell’attività fisica abituale. L’angina si manifesta camminando per meno di 100-200m, oppure salendo 1 o 2 piani di scale ad andatura normale ed in condizioni ambientali normali. Il dolore si manifesta durante sforzo moderato. Classe 4: incapacità ad eseguire qualsiasi attività fisica senza angina. L’angina può essere presente anche a riposo. Il dolore si manifesta durante sforzi lievi o molto lievi. Questa è la situazione più grave e solitamente precede una situazione di angina instabile. Dunque, nell’angina stabile l’angina pectoris si manifesta quando si ha una maggior richiesta di ossigeno dal parte del miocardio, richiesta che non può essere soddisfatta per via della stenosi >70%, causando la tipica ISCHEMIA SUBENDOCARDICA. Condizioni in cui si ha un aumento della performance cardiaca sono: - Aumento frequenza cardiaca - Ipertrofia ventricolare sinistra - Aumento della contrattilità - Stress di parete per sovraccarico Quali sono dunque i fattori di rischio che causano angina?  Attività fisica e stress emotivo→ aumentano frequenza e contrattilità del ventricolo sinistro.  Post prandium ed esposizione al freddo→ per ridistribuzione del sangue verso i distretti viscerali, quindi riduzione relativa del sangue nel circolo coronarico che può essere insufficiente al miocardio in caso di angina instabile. Si associano anche aumento della FC e della PA  Anemia, Tireotossicosi e febbre→ per aumento della frequenza cardiaca L'ischemia miocardica in un paziente con angina cronica stabile è transitoria poiché quando insorge il dolore sotto sforzo, il paziente smette di compierlo. A questo punto, venendo meno la situazione che costringe ulteriormente il lume coronarico, i tessuti vengono immediatamente riperfusi, cessa la condizione ischemica e cessa il dolore (il miocardio entro qualche minuto non avrà più bisogno di tale surplus). In pochi minuti si torna quindi ad una condizione di base normale in cui, anche se la coronaria è ostruita per il 70% e il lume residuo è del 30%, si riesce a garantire e mantenere un adeguato apporto di ossigeno. Ma perché è un’ischemia subendocardica? questi vasi sono terminali delle coronarie, per cui l’ossigeno nel vaso viene captato prima dai vasi epicardici, per cui a livello subendocardico si ha già di base una riduzione dell’ossigeno 11 I rami coronarici subendocardici hanno minor distensibilità. Durante la diastole risentono della pressione endocavitaria che il sangue esercita sulla parere ventricolare, per cui faticano a distendersi. Nella sistole risultano invece schiacciate, per cui nuovamente è più complesso irrorare il cuore. Quadro clinico Per la diagnosi di angina cronica stabile e molto importante l'anamnesi, perché la probabilità che tali sintomi siano dovuti ad una cardiopatia ischemica per sindrome coronarica stabile e tanto maggiore quanto più il paziente ha fattori di rischio per aterosclerosi coronarica. Oltre alla ricerca dei sintomi anginosi (dolore retrosternale oppressivo, irradiazione alla mandibola, …) con l’anamnesi si esegue anche l’esame obiettivo, che non risulta comunque risolutivo per la diagnosi, infatti: - EO generale: si possono cercare segni di dislipidemia e si misura la PA - Esame obiettivo cardiaco: è quasi sempre normale. È raro avere toni aggiunti (S3 o S4), che - possono essere soffi da disfunzione del muscolo papillare (da insufficienza mitralica). Si esegue quindi un ECG, che a riposo è normale in almeno 1/3 dei casi, in tutte le altre condizioni ci sono alterazioni aspecifiche del tratto ST o dell’onda T, che però non è detto essere riferite a quel dolore specifico e possono essere attribuibili ad altre patologie (come un ipertrofia ventricolare). LA PLACCA e L’ANGINA INSTABILE La placca instabile è invece molto infiammata, è più ampia e diffuso nel vaso e ha un sottile cap fibroso con tendenza alla rottura. Si ha un grosso core necrotico, per cui i processi di neoangiogenesi sono molto attivi, con una certa tendenza della placca al sanguinamento e alla rottura. La zona sottointimale è ricchissima di lipidi e foam cells, mentre minori sono le cellule muscolari e i fibroblasti. La stenosi presente è sempre severa e >70%, ma al contrario della placca stabile questa presenta una tendenza alla rottura, con conseguente formazione del trombo e occlusione del vaso. La formazione del trombo avviene in primis per attivazione piastrinica (perché c’è il danno endoteliale), per cui queste rilasciano diversi mediatori, tra cui la serotonina, che è vasocostrittrice, aumentando così l’occlusione. La ROTTURA DELLA PLACCA presenta tre diverse eziologie: Rottura o ulcerazione della placca (in 2/3 dei soggetti): il cap fibroso è così sottile che si ha la sua rottura con esposizione diretta del subendotelio con il sangue e quindi attivazione piastrinica → trombo. Causa più frequentemente STEMI 12 Erosione della placca (nel 30% o poco meno) → si forma un trombo sulla superficie erosa endoteliale: il cappuccio fibroso è intatto, è la lesione dell’endotelio che causa trombosi. Causa più frequentemente NSTEMI e angina instabile. Nodulo calcifico (

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