Capitolo 2 - Proprietà dei cristalli semiconduttori PDF
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Questo capitolo fornisce una panoramica sulle proprietà dei cristalli semiconduttori. Vengono discussi i diversi tipi di solidi (monocristallini, policristallini e amorfi), la loro struttura e le loro proprietà fisiche. Il testo offre inoltre una breve introduzione alle tecnologie di preparazione dei materiali adatti per la microelettronica.
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II - 1 Capitolo II Proprietà dei cristalli semiconduttori Introduzione La fabbricazione di dispositivi elettronici richiede...
II - 1 Capitolo II Proprietà dei cristalli semiconduttori Introduzione La fabbricazione di dispositivi elettronici richiede l’utilizzo di materiali le cui caratteristiche fisiche possano essere definite con precisione. I materiali normalmente disponibili in natura sono spesso il risultato di un mix di sostante di diversa origine, composizione e struttura. Utilizzare direttamente tali materiali non consentirebbe al progettista di definirne il comportamento e quindi renderebbe impossibile costruire componenti frutto di una precisa progettazione. Le tecnologie di preparazione dei materiali adatti per la microelettronica, da oltre 50 anni in continua evoluzione, permettono oggi di disporre di strutture perfettamente corrispondenti ai modelli teorici utilizzati dai progettisti, permettendo una precisa definizione del loro comportamento elettrico. Tali materiali sono ovviamente dei solidi, nei quali il tipo di atomi e la loro organizzazione risulta praticamente identica ai modelli teorici che troviamo nei libri didattici, ma che in assenza di evolute e raffinare tecnologie di preparazione rimarrebbero soltanto dei modelli, ben lontani dalla realtà dei solidi “naturali”. I materiali a cui ci riferiamo in questo capitolo sono dei cristalli, ovvero insiemi di atomi organizzati in strutture note, fisse e prevedibili, e sono anche semiconduttori, dotati di speciali caratteristiche elettriche utilizzabili per la costruzione di dispositivi elettronici quali diodi, transistori, LED, etc. Lo stato solido Un materiale si presenta in forma solida quando le forze di attrazione tra le molecole o gli atomi che lo costituiscono superano le forze di de-coesione di natura termica. In tale situazione, la mobilità degli atomi o molecole viene limitata a tal punto da mantenere questi in vibrazione intorno a posizioni fisse. Dove invece atomi e molecole mantengono libertà di movimento, senza una posizione media fissa, siamo in presenza di un liquido o di un gas. La distribuzione degli atomi all’interno di un solido può assumere diverse configurazioni, in funzione del maggiore o minore livello di ordine in cui gli atomi sono disposti, dando luogo a tre tipologie di solidi. - Solido monocristallino: gli atomi seguono un ordine ben preciso, con una disposizione periodica nota e prevedibile in tutto il volume del solido. Ottenere un monocristallo, detto anche cristallo singolo, richiede un notevole impegno tecnologico, che spesso viene affrontato solo per materiali per i quali a tale impegno corrisponda una forte motivazione economica. Ad esempio, si ottengono grandi monocristalli di silicio, quasi perfetti, perché il costo e lo sforzo tecnologico per crearli è giustificato dalle esigenze dell’industria microelettronica. - Solido policristallino: gli atomi seguono un ordine ben preciso, con disposizione periodica nota e prevedibile, ma soltanto in volumi limitati del solido. I materiali solidi, qualora non accuratamente preparati per formare un unico cristallo, tendono a generare una struttura ordinata e periodica solo su piccoli volumi (da pochi µm3 a qualche mm3) e l’intero materiale II - 2 risulta costituito piccoli singoli cristalli, denominati grani, strettamente affiancati ma aventi differenti orientazioni e assenza di legami chimici tra gli atomi “di confine” di ogni grano. La maggior parte dei materiali solidi si presenta spontaneamente in forma policristallina. Ne sono un esempio notevole i metalli comunemente impiegati in meccanica, le cui caratteristiche di malleabilità derivano direttamente dalla loro struttura policristallina, dove ogni grano può scorrere tra gli altri grani che lo circondano (se invece un metallo venisse trasformato in monocristallo, esso perderebbe la malleabilità e risulterebbe particolarmente rigido). - Solido amorfo: gli atomi hanno una distribuzione casuale, nella quale è difficile individuare una sequenza o un ordine prestabilito. In un solido gli atomi tendono sempre ad assumere una qualche disposizione ordinata, e il “perfetto disordine” è ben improbabile da trovare. Ottenere un buon materiale amorfo, dove non siamo presenti volumetti con struttura policristallina, può richiedere un impegno tecnologico a volte superiore a quello necessario per creare cristalli singoli. Anche in questo caso, tale impegno è giustificato dalle specifiche applicazioni, quali la costruzione di lenti per apparecchiature ottiche o di fibre per telecomunicazioni. Nota: si possono considerare buoni amorfi naturali i “vetri”, che in realtà sono dei liquidi (e quindi privi di ordine interno) che a temperatura ambiente hanno una viscosità tale da farli apparire perfettamente solidi. La figura che segue esemplifica i tre stati possibili: monocristallo amorfo policristallo (single crystal) (amorphous) (polycrystal) Strutture amorfe, monocristalline e policristalline possono essere create artificialmente, ma sono anche presenti in natura, pur se in piccoli volumi. Una roccia vulcanica solidificata dal magma liquido può assumere struttura vetrosa amorfa, un metallo estratto da una miniera è certamente policristallino, come un diamante naturale è un buon esempio di monocristallo. Un requisito che però è praticamente impossibile ritrovare in natura è la purezza del materiale. Anche il miglior diamante naturale, o qualunque altro materiale monocristallino naturale conterrà piccole o piccolissime quantità di atomi estranei. Nel caso specifico del silicio utilizzato in microelettronica, ad esempio, la presenza di un solo atomo diverso dal silicio per ogni milione di atomi di silicio renderebbe inutilizzabile il cristallo! Nel quarto capitolo di queste note vengono affrontati in modo sintetico i principali processi tecnologici per la preparazione dei materiali praticamente ideali utilizzati in microelettronica. Qui ci soffermiamo invece sulle caratteristiche fisiche mostrate da tali materiali ideali. Nota: esistono altre strutture artificiali la cui particolare complessa se pur ordinata struttura atomica non si può mai ritrovare in natura. Si tratta delle cosiddette superstrutture, costruite alternando strati atomici di diversa natura e impiegate oggi in molti dispositivi avanzati, quali ad esempio i laser utilizzati nei sistemi di comunicazione in fibra ottica. II - 3 Il legame chimico tra gli atomi di un cristallo Qualunque materiale solido è formato da atomi la cui mutua distanza risulta dall’equilibrio tra due forze: l’attrazione tra gli elettroni di un atomo e i nuclei degli atomi vicini e la repulsione tra gli stessi elettroni e gli elettroni degli atomi vicini. In una molecola biatomica, ad esempio, la distanza tra i due atomi corrisponde ad una situazione di minima energia potenziale nella somma tra le energie potenziali E1 ed E2 dei due atomi (energie riferite al potenziale di un atomo per effetto del campo di forze dell’altro): U(r) = E1 + E2 r0 0 r Umin In una struttura tridimensionale, come quella di un cristallo monoatomico (ossia formato da atomi tutti uguali) si ha una situazione analoga, pur se estesa su tre dimensioni, con una distanza media tra gli atomi legata alla minimizzazione dell’energia potenziale. La precedente semplice considerazione basata su forze di attrazione elettrostatica non indica però se e come si forma un vero legame chimico tra atomi. Ciò dipende esclusivamente dalla distribuzione degli elettroni nell’orbitale più esterno di ogni atomo, ovvero dal modo in cui si sovrappongono e ricombinano le funzioni d’onda di tali orbitali. Prima che la meccanica quantistica permettesse di definire in modo razionale modalità e tipologie di legami, i chimici utilizzavano la cosiddetta descrizione classica del legame, basata sulla classificazione del tipo di legame (ionico, covalente, metallico, etc.), l’elettronegatività, la regola dell’ottetto e altro. Nota: la regola dell’ottetto stabilisce che ogni atomo tende a creare un legame stabile se riesce a porre otto elettroni nello strato elettronico più esterno (la “shell” di valenza), con il contributo degli elettroni resi disponibili da atomi vicini. In tal modo l’atomo diventa simile ad uno dei gas nobili (neon, argon, kripton, ad esempio) e mantiene un legame stabile. Su questa base, gli elementi dei gruppi più a sinistra della tavola periodica tendono a cedere elettroni (ionizzandosi e creando un legame ionico, o condividendo gli elettroni con atomi vicini e creando un legame covalente) per raggiungere la configurazione elettronica esterna di un gas nobile. Gli elementi sul lato destro della tavola tendono invece ad acquisire elettroni, per raggiungere la configurazione dei gas nobili dell’ultima colonna. Ma la regola ha una serie di eccezioni. Prima fra tutte l’elio, gas nobile stabile con due soli elettroni esterni. Poi gli elementi con piccolo numero atomico, quali idrogeno, litio e berillio, che mostrano una configurazione stabile con solo due elettroni. E ancora i “metalli di transizione” che risultano stabili con ben 18 elettroni nello strato di valenza. La descrizione classica del legame è comunque ancora di uso molto comune in chimica. Fondamentalmente il legame chimico “classico” viene ottenuto o per condivisione degli elettroni tra due o più atomi, e in tal caso si parla di legame covalente, o per trasferimento di un elettrone tra due atomi che fanno parte del composto, creando un legame ionico. In realtà i legami hanno un carattere misto tra i due appena descritti, in funzione di quanto due atomi che formano legame sono propensi a cedere o accettare elettroni. Il legame può essere completamente ionico, con un effettivo trasferimento di carica tra due atomi (legame ionico puro), che rimangono quindi legati perché II - 4 entrambi ionizzati, o parzialmente ionico, dove il trasferimento di carica ha caratteristiche statistiche che determinano il grado di ionicità del legame. Lo stesso si può dire per il legame covalente, dove due atomi potrebbero avere uguale propensione a condividere uno o più elettroni (legame covalente puro) oppure uno dei due atomi può tendere a mantenere gli elettroni condivisi più vicini al suo nucleo (legame covalente polare): Il cloruro di sodio è un esempio di legame ionico puro: i due elementi si scambiano un elettrone, completano il proprio ottetto e rimangono insieme solo per attrazione elettrostatica tra i due atomi ionizzati. Ne è una prova la facile solubilità in acqua del NaCl, dove l’aumento della costante dielettrica relativa da εr = 1 in aria a εr ≈ 80 in acqua determina la completa separazione dei due atomi. Un esempio di legame covalente polare viene dalla molecola d’acqua, dove la maggiore propensione dell’ossigeno a trattenere gli elettroni condivisi con i due atomi di idrogeno determina una predominanza di carica negativa in prossimità dell’atomo di ossigeno e una predominanza di carica positiva in prossimità dei due atomi di idrogeno (in termini moderni, diremmo che gli elettroni più esterni formano un orbitale con una maggiore densità elettronica, ovvero maggiore probabilità, dal lato dell’ossigeno). Nel caso in cui tutti gli atomi che costituiscono una molecola siano dello stesso tipo, non può esserci alcuna predominanza e il legame risulta covalente puro, ossia formato tra atomi che per formare un ottetto condividono gli elettroni più esterni in modo uniformemente distribuito tra gli atomi. Ne è un esempio la molecola di ossigeno. Nota 1: il legame covalente, a differenza di quello ionico, proprio perché è un vero legame e non soltanto una attrazione elettrostatica, ha una “direzionalità”, ovvero è in grado di definire la direzione in cui si estende un legame verso un altro atomo, e quindi è in grado di creare molecole con una forma ben definita. Nota 2: esiste un altro tipo di legame, tipico dei metalli e pertanto denominato legame metallico. In un metallo tutti gli atomi cedono un elettrone di valenza, ma a differenza degli elementi non metallici, gli elettroni ceduti non rimangono “di valenza” formando un legame tra due atomi adiacenti, ma creano un gas di elettroni condivisi tra tutti gli atomi del metallo ma in grado di tenere coesi gli ioni metallici. Si tratta quindi di elettroni liberi, non più vincolati ai singoli atomi e quindi capaci di muoversi sotto l’azione di un campo elettrico esterno. Questo giustifica la conducibilità elettrica dei metalli. Nota 3: in chimica classica, la maggiore o minore propensione di un atomo a trattenere elettroni vicino a sé viene espressa in termini di un parametro denominato elettronegatività. Utilizzando invece la meccanica quantistica, i diversi tipi di legame discendono direttamente dalla forma e dalle modalità di sovrapposizione degli orbitali più esterni coinvolti nel legame, ovvero dalle soluzioni delle equazioni d’onda utilizzate per descrivere la distribuzione di elettroni tra due o più atomi vicini. Il nostro interesse nell’ambito della microelettronica non è però diretto a singole molecole isolate ma a quell’insieme di atomi che costituisce una struttura cristallina. In un cristallo, i legami tra gli atomi si estendono in tutte le direzioni, provvedendo così a creare una solida e robusta struttura tridimensionale. Nel tipico cristallo di cloruro di sodio, ad esempio, non è possibile individuare “la molecola” NaCl, poiché nell’intera struttura, formata dal 50% di atomi di sodio e dal 50 % di atomi di cloro, si può solo descrivere come i diversi atomi si alternano per formare la compatta struttura cristallina. Lo stesso si può dire per un materiale di interesse in microelettronica come l’arseniuro di gallio, GaAs, cristallo formato da una successione tridimensionale ordinata di atomi di arsenico e gallio fortemente interconnessi. Ricordiamo allora che identificare un cristallo specificando il nome di una molecola indica soltanto la composizione stechiometrica del solido, e non che esso sia II - 5 formato da molecole. Pertanto “GaAs” indica una composizione al 50% di gallio e arsenico, “InP” indica una composizione al 50% di fosforo e indio, e così via. In un cristallo formato da atomi tutti dello stesso tipo, il concetto di molecola perde completamente significato, non essendo neanche necessario specificare la stechiometria del cristallo. Nel cristallo di nostro maggiore interesse, il silicio (IV gruppo della tavola periodica), ogni atomo condivide i suoi quattro elettroni di valenza con quattro atomi adiacenti, ognuno dei quali fornisce all’atomo un elettrone, permettendogli di “completare l’ottetto”. Chiaramente non può essere individuata alcuna molecola, mentre risulta interessante e importante comprendere come i singoli atomi siano posizionati e organizzati nel formare il cristallo, come discusso nel paragrafo che segue. Il tipo di legame che si instaura tra gli atomi di un solido ne influenza direttamente le caratteristiche fisico-chimiche. La tabella che segue riassume le proprietà più caratteristiche relative a solidi con differente tipologia di legame. Proprietà Legame covalente Legame ionico Legame metallico Durezza elevata elevata media o elevata molto alto (> 1000 da temp. amb. a > Punto di fusione alto °C) 1000°C molto alto (> 1000 fase liquida molto Fase liquida molto Punto di ebollizione °C) estesa estesa Solubilità in acqua insolubile solubile insolubile Conducibilità nulla (ma elevata se nulla elevatissima elettrica liquido o in soluzione) Conducibilità termica media bassa elevata Opacità ottica trasparente trasparente opaco (IR, VIS,UV) Esempio C, Si, SiO2 NaCl Cu, Al, Fe, Au II - 6 La struttura cristallina del silicio e gli indici di Miller In un cristallo è sempre possibile individuare una cella elementare, detta anche cella unitaria, ossia la più piccola struttura che ripetuta uguale a sé stessa permette di costruire l’intero cristallo. La forma della cella unitaria, indipendentemente dalla posizione e dal numero degli atomi che contiene, permette di definire sette sistemi cristallini, ovvero sette tipologie di reticolo cristallino (lattice), come mostrato nelle figure che seguono. Sistema cubico, con struttura semplice, a facce centrate, a corpo centrato. Il valore del lato a è denominato costante reticolare. Sistema esagonale. Sono presenti due costanti reticolari, a e c. Sistema monoclino, definito da tre costanti reticolari e un angolo tra due dei tre assi. Sistema triclino, definito da tre costanti reticolari e tre angoli diversi fra i tre assi. Sistema ortorombico, definito da tre costanti reticolari, con struttura semplice, a base centrata, a facce centrate, a corpo centrato. Sistema tetragonale, definito da due costanti reticolari, con struttura semplice o a corpo centrato. Sistema romboedrico, con una costante reticolare e un uguale angolo tra gli assi. Per i sette tipi di reticolo cristallini sono quindi possibili 14 tipologie di celle elementari (denominate reticoli di Bravais). Ma un cristallo può anche essere formato da più celle elementari compenetrate, II - 7 come nel silicio, la cui cella elementare è di tipo cubico a facce centrate, ma il cui cristallo risulta molto più complesso perché formato da due celle compenetrate. Ne risulta la struttura mostrata nella figura che segue e denominata struttura a diamante: Da S.M. Sze: Semiconductor Devices, Physics and Technology, Wiley Il reticolo è formato da due strutture cubiche a facce centrate, dove una è spostata rispetto all’altra in direzione di una diagonale del cubo. A parte la visualizzazione della posizione dei singoli atomi, ciò che è rilevante in questa struttura a diamante è la connessione di ogni atomo con quattro degli atomi più vicini, come mostrato nel modello bidimensionale a lato. Come discusso in precedenza, ogni atomo di silicio contribuisce con i suoi quattro elettroni più esterni a completare l’ottetto degli altri atomi che lo circondano, i quali a loro volta gli forniscono i quattro elettroni che gli necessitano per completare il suo ottetto. Tra due atomi viene quindi creato un doppio legame covalente, che conferisce al cristallo una particolare resistenza meccanica e una notevole stabilità fino a temperature ben oltre 1000 °C. Essendo un cristallo formato da una sequenza di celle elementari, osservando la sequenza di atomi al suo interno è possibile individuare delle direzioni nelle quali incontrare, con periodica regolarità, atomi disposti in modo uguale, con uguale distanza reciproca e uguale orientazione dei legami nello spazio. Tali direzioni, se riferite ad un sistema cartesiano, ci dicono come è “orientato” il cristallo rispetto ad un riferimento cartesiano. L’orientazione è un parametro di particolare importanza in due campi di grande importanza applicativa: la microelettronica e l’ottica. I cristalli impiegati in microelettronica, principalmente di silicio, sono prodotti sotto forma di una sottile fetta (wafer) di forma circolare, e tutte le lavorazioni effettuate per la fabbricazione di microcircuiti avvengono su una superficie della fetta, con la cosiddetta tecnologia planare. Il taglio cristallografico della fetta decide come gli atomi e i legami della struttura cubica del cristallo si presentano sulla superficie, influenzando modalità e velocità dei processi tecnologici effettuati sul piano. Per definire i possibili piani di taglio di un cristallo si utilizzano gli indici di Miller, qui di seguito mostrati con riferimento alla struttura cubica di un cristallo di silicio, con costante reticolare a: Da S.M. Sze: Semiconductor Devices, Physics and Technology, Wiley II - 8 Gli indici di Miller vengono costruiti adagiando la cella elementare su una terna cartesiana e indicando un generico valore a per la costante reticolare. Successivamente si considerano le coordinate di intersezione del piano considerato con i tre assi. Con riferimento alla figura di sinistra, ad esempio, le tre intersezioni valgono nell’ordine a, ∞, ∞. Facendo il reciproco di queste coordinate si ottiene 1/a, 0, 0 e moltiplicando tutto per il denominatore a si ha infine 1,0,0. L’indicazione 100 (che si legge uno-zero-zero) se riportata fra parentesi tonde, ossia (100), indica il piano cristallografico a cui ci si sta riferendo. Ad esempio, dire che un wafer di silicio ha orientazione (100) significa che la sua superficie, ossia il piano su cui vengono effettuati i processi tecnologici, è parallela ai piani cristallini 100. Ovviamente sono possibili altri tagli, variando la costante reticolare sugli assi cartesiani considerati, come mostrato nella figura a lato, dove il piano ha orientazione (211). Nel silicio per la microelettronica si adottano comunemente le tre orientazioni 100, 110 e 111, in funzione del tipo di dispositivo da costruire. I difetti cristallini Il monocristallo di silicio viene ottenuto, come più ampiamente discusso nel capitolo IV, producendo delle sottili fette a partire da un grande cristallo quasi cilindrico detto carota: Si impiega il termine monocristallo assumendo implicitamente che il materiale abbia una distribuzione periodica e perfettamente regolare degli atomi nel suo intero volume. La realtà è invece ben lontana da questa perfezione teorica. Per quanto puro possa essere il silicio impiegato e preciso il processo di realizzazione della carota, il cristallo che ne risulta non è privo di difetti nel suo reticolo, e la sua struttura in alcuni punti può risultare leggermente differente dalla perfetta struttura periodica di un cristallo ideale. Questi punti di non-idealità determinano delle alterazioni locali del comportamento elettrico del cristallo, che possono pregiudicare le prestazioni dei componenti che con quel cristallo vengono realizzati. I difetti, ossia le alterazioni nella regolarità del reticolo cristallino, possono essere classificati in base alla loro estensione e quindi alla influenza che essi possono avere sul comportamento elettrico del cristallo. Si parla quindi di difetti puntuali, di linea, di area, di volume. II - 9 La figura seguente riassume le possibili cause di imperfezioni puntuali e, come tali, di estensione limitata a volumi minori di una cella cristallina elementare. impurezza interstiziale silicio interstiziale difetto Frenkel impurezza sostituzionale vacanza ▪ Impurezza sostituzionale: un atomo del reticolo viene rimosso e il suo posto viene preso da un atomo estraneo. ▪ Impurezza interstiziale: è il caso di un atomo estraneo inserito tra gli atomi del reticolo ma privo di legami. ▪ Atomo interstiziale: atomo uguale agli altri costituenti il reticolo ma in posizione anomala. ▪ Vacanza: mancanza di un atomo da una posizione regolare nel reticolo. ▪ Difetto Frenkel: un atomo interstiziale e una vacanza si trovano accoppiati, in mezzo ad altri atomi in posizione regolare. Nel silicio è il tipo di difetto meno frequente. Tipiche impurezze interstiziali sono rappresentate da contaminanti metallici quali Cu, Fe, Ni. Altri metalli, come ad esempio l'oro, possono assumere posizione sia interstiziale che sostituzionale. I difetti di linea, comunemente chiamati dislocazioni, consistono principalmente nella brusca interruzione di una sequenza lineare e regolare di atomi nel reticolo: Le dislocazioni possono modificarsi o spostarsi all'interno del cristallo, a seguito di sollecitazioni meccaniche o termiche. Esse sono particolarmente indesiderabili, poiché agiscono da centri di accumulazione di impurezze (ossigeno o metalli) e degradano le prestazioni ottenibili dai componenti. I moderni dispositivi ad alta scala di integrazione non tollerano alcuna dislocazione nel loro chip. I difetti di area sono causati da alterazioni locali della orientazione del reticolo. In questo caso il cristallo non si può più considerare tale in tutto il suo volume, ma solo entro distanze molto piccole, diventando quindi una struttura policristallina. Le aree a cui ci si riferisce sono allora le superfici di confine tra grani del policristallo, aventi diversa orientazione. I componenti elettronici di comune II - 10 impiego in microelettronica non possono venire realizzati su strutture con tale livello di difettosità. Fanno eccezione alcuni dispositivi, come ad esempio le celle solari, per i quali la semplicità strutturale e il basso costo per la loro produzione compensano le modeste prestazioni ottenibili dal materiale usato. Infine, i difetti di volume riguardano gli addensamenti di atomi estranei in zone irregolari del cristallo. Insieme ai difetti interni bisogna poi considerare la brusca interruzione della regolarità cristallina in superficie, a causa della quale gli atomi periferici hanno un comportamento chimico-fisico ben diverso da quello nel volume. Uno degli elementi che caratterizzano la superficie del semiconduttore è, ad esempio, l'esistenza di legami atomici “non saturati”, cui consegue una modifica delle proprietà elettriche. Bande di energia nei monocristalli In precedenza abbiamo studiato le diverse disposizioni degli atomi che si possono avere nei solidi, classificando questi come materiali formati da un singolo cristallo, o aventi struttura policristallina, o con struttura irregolare, amorfa, non identificabile. La struttura che consideriamo da qui in avanti è il cristallo singolo di silicio (Silicon monocrystal), di gran lunga il materiale più utilizzato in microelettronica. Possiamo chiederci a questo punto cosa avviene nel singolo atomo isolato “di Bohr” quando un altro atomo simile viene posto nelle sue vicinanze, e poi un altro ancora e così via, riducendo man mano la distanza tra gli atomi e “compattandoli” per formare un blocco unico, un cristallo. In questa situazione siamo costretti a porre più attenzione nel considerare l’elettrone che ruota intorno al nucleo come un oscillatore armonico. La frequenza di questo oscillatore, corrisponde al livello energetico dell’elettrone. Abbiamo potuto calcolarla utilizzando il modello di Bohr. Ma adesso ci interessa studiare l’interazione tra questo oscillatore ed un altro identico oscillatore posto nelle sue vicinanze. In altri termini, dobbiamo meglio studiare il comportamento di ogni atomo considerando la natura ondulatoria dell’elettrone. La fisica ci insegna cosa succede nel momento in cui avviciniamo tra loro due oscillatori armonici di uguale frequenza, ossia quando consentiamo a due oscillatori di “vedersi”. Ci possiamo riferire a qualunque coppia di oscillatori, non soltanto a due atomi posti in prossimità. Ad esempio possiamo considerare due circuiti elettronici LC (con perdite piccole o nulle) nei quali il flusso magnetico di un induttore riesca a concatenarsi con il flusso dell’altro induttore. Oppure possiamo riferisci a due corde di chitarra così vicine che le vibrazioni dell’aria generate da una corda vengano sentite dall’altra corda. O ancora due pendoli collegati tra loro da un vincolo non rigido. In ogni caso ci troviamo in presenza di due oscillatori accoppiati, per i quali la frequenza originale di oscillazione di ognuno di essi scompare in favore di altre possibilità. Notiamo l’uso della parola “possibilità” piuttosto che altre “frequenze”. Il sistema costituito da due oscillatori accoppiati presenta infatti varie alternative per modalità e frequenze di oscillazione. In un sistema “passivo”, ossia capace di risuonare in presenza di uno stimolo esterno, la possibilità più interessante riguarda la scomparsa della frequenza di risonanza originaria e la comparsa di altre due frequenze. II - 11 Un esempio semplice è costituito da una coppia di circuiti risonanti LC accordati alla stessa frequenza. Quando i due circuiti sono posti a piccola distanza, tale da permettere ad una piccola parte del flusso magnetico di un induttore di attraversare l’altro induttore, si verifica una divisione (splitting) della frequenza di risonanza originaria dei due circuiti: il sistema formato dai due circuiti accoppiati mostra due frequenze di risonanza, una un po’ più alta e una un po’ più bassa di quella originaria. Analogamente, se due corde di una chitarra vengono accordate alla stessa frequenza e si trovano molto vicine (come nelle chitarre a 12 corde), il piacevole suono emesso dalle due corde è composto da due frequenze, una leggermente più alta e una leggermente più bassa di quella originale di accordatura. Nel caso dei due oscillatori atomici, costituiti da elettroni che orbitano intorno al nucleo, i due sistemi riescono a “vedersi” perché ogni oscillatore è costituito da una carica elettrica in movimento, quella dell’elettrone. Pertanto ogni elettrone è in grado di influenzare il moto dell’altro, generando così una coppia di oscillatori accoppiati. In tale situazione, la “frequenza di Bohr” originaria scompare, insieme al livello energetico che ad essa si accompagnava, in favore di due nuove frequenze, ossia di due livelli energetici prossimi a quello originario (per una approfondita trattazione sulla teoria degli oscillatori accoppiati si rimanda ai corsi di fisica o di elettronica). Passando dalle orbite di Bohr per l’atomo di idrogeno agli orbitali ottenibili da soluzioni dell’equazioni di Schrödinger per due atomi vicini, lo splitting dei livelli per due atomi vicini si verifica ugualmente. Inoltre, si ha la sovrapposizione delle curve di potenziale dei due atomi, risultante nella formazione di una zona tra i due nuclei con una più bassa barriera di potenziale. Le figure che seguono mostrano il passaggio tra un sistema di livelli energetici e di potenziale di un atomo isolato di germanio (NA = 32) al sistema conseguente all’avvicinamento di due atomi. orbitale di valenza, con 4 elettroni orbitali interni primo orbitale eccitato nucleo livello di ionizzazione (E = 0) r r primo livello eccitato livello di valenza Disposizione dei livelli energetici disponibili nella buca di potenziale di un atomo isolato di germanio. II - 12 primi livelli eccitati primo livello livello di due livelli eccitato valenza di valenza 0 distanza atomo isolato interatomica molecola biatomica Sdoppiamento dei livelli in un sistema costituito da due atomi vicini. La ridotta distanza tra i due atomi ha modificato la forma delle barriere di potenziale “affacciate”. Se per tali barriere modificate si ricalcolano i valori dei livelli energetici, risolvendo la relativa equazione di Schrödinger, ne risulta uno sdoppiamento di tutti i livelli. In particolare, l’abbassamento della barriera nella zona tra i due atomi ha come conseguenza la formazione di una coppia di livelli di valenza in comune tra i due atomi. In modo analogo, il primo livello “eccitato”, ossia non occupato ma “disponibile” per uno o più elettroni che dovessero ricevere energia dall’esterno (ad esempio perché colpiti da fotoni), è anch’esso in comune tra i due atomi. Nota: ci si può chiedere come sia possibile che gli elettroni rimasti confinati nelle singole buche “si accorgano” che altri atomi si trovano nelle vicinanze e sdoppiano i loro livelli. Ricordiamo allora che grazie alle piccole distanze atomiche nel cristallo, si ha un tunneling quantomeccanico tra le diverse buche, con la funzione d’onda di ogni elettrone che tiene conto della presenza delle buche vicine. Avvicinando tra loro tre, quattro o molti più atomi ne risulta per ogni livello una moltiplicazione in un numero di livelli disponibili pari alla somma dei “risonatori” accoppiati, ossia degli atomi che interagiscono tra loro, in modo analogo a quanto avverrebbe avvicinando tra loro da più risonatori meccanici o elettrici: Nota: un semplice esempio di interazione tra più di due oscillatori si ha nelle corde del pianoforte, dove l’interazione fra le tre corde di ogni nota produce il tipico suono dello strumento, ben diverso da quello che si avrebbe se il tasto del pianoforte colpisse una sola corda. Per effetto della sovrapposizione tra le buche di potenziale create dai singoli atomi, la curva di potenziale adesso tende asintoticamente a zero solo in superficie, mentre all’interno del cristallo diventa una funzione periodica costituita da una successione di buche di potenziale con i massimi localizzati nei punti medi tra due nuclei vicini. Le singole curve iperboliche di potenziale si raccordano tra loro e creano un potenziale periodico in tutto il cristallo, tranne che in superficie. La figura che segue mostra il tipo di potenziale periodico che si formerebbe in un ipotetico cristallo formato da una catena unidimensionale di cinque atomi: II - 13 All’aumentare del numero di atomi capaci di “vedersi” tra loro non soltanto aumenta il numero di livelli energetici disponibili ma diminuisce anche la loro “distanza” in termini di energia: più aumenta il numero di livelli più diminuisce il salto energetico tra un livello e il successivo. In presenza della moltitudine tridimensionale di atomi all’interno di un solido cristallino (> 1022 cm-3), è facile intuire che la densità di livelli energetici disponibili (ossia il numero di livelli per un fissato intervallo di energia) diventa così alta, e la loro distanza così piccola, che non è più possibile distinguere i singoli livelli, ma si ottiene un intervallo continuo di livelli disponibili. A tale continuum di energie disponibili si dà il nome di banda di energia: livello di banda di gap di energia banda di ionizzazione conduzione valenza I livelli energetici e le funzioni d’onda relative agli orbitali più interni si moltiplicano e creano delle bande con elettroni che rimangono vincolati ai singoli atomi. Invece negli orbitali più esterni l’accoppiamento tra le funzioni d’onda dei singoli orbitali forma una banda di valenza distribuita su tutto il cristallo, ovvero non più assegnabile ad un singolo atomo ma condivisa tra tutti gli atomi del cristallo. Gli elettroni contenuti in questa banda, tutti di valenza, provvedono a mantenere i legami tra gli atomi del reticolo cristallino. Analogamente, quello che in un atomo isolato era il primo livello oltre quello di valenza, ossia il primo livello eccitato, nel cristallo si trasforma in una banda disponibile ad accogliere elettroni ai quali venga conferita una energia almeno pari alla distanza con la sottostante banda di valenza. Questa nuova banda è denominata banda di conduzione: se un elettrone di valenza acquista energia sufficiente per rompere un legame covalente ed entrare in tale banda esso non provvede più alla coesione tra gli atomi del reticolo, ma diventa privo di vincoli e in grado di muoversi sotto l’azione di un campo elettrico, contribuendo quindi alla conduzione elettrica. Nota: un cristallo risulta pertanto molto diverso da un atomo isolato, per quanto riguarda i livelli energetici degli elettroni. Il grande insieme tridimensionale di “risonatori” interconnessi crea un numero di livelli pari al doppio degli atomi facenti parte del cristallo. Per un ipotetico cristallo unidimensionale, infatti, essendo pari a due il numero di legami tra coppie di atomi e dovendo valere il principio di esclusione, si ha un numero di livelli pari al numero di atomi, con ogni livello in grado di ospitare due elettroni. In un cristallo tridimensionale, ogni atomo è legato a quattro atomi vicini. Poiché ogni II - 14 coppia di atomi genera uno sdoppiamento di livelli, detto N il numero totale di atomi del cristallo, il numero di livelli che si formano è pari a 2N, con una spaziatura tanto più piccola quanto maggiore è N. Ogni livello può ospitare due elettroni di valenza (con spin opposto). Più in generale, le bande di energia, ossia gli intervalli pressoché continui di livelli permessi per gli elettroni, possono risultare sovrapposte o separate. Questo dipende dalla natura del solido cristallino che si sta considerando. I semiconduttori Sono denominati semiconduttori i cristalli per i quali ai valori più alti di livelli energetici disponibili per gli elettroni corrispondono due bande totalmente separate, ossia non sovrapposte neanche parzialmente. Se il semiconduttore che stiamo considerando è “puro”, ossia formato da atomi o molecole tutte dello stesso tipo e quindi privo di “impurezze”, le due bande sono separate da un intervallo di energia nel quale non possono essere ospitati elettroni e che per questo motivo è denominato banda interdetta o banda proibita o più comunemente gap (salto, intervallo). L’intervallo di energia tra la sommità della banda di valenza (Ev) e il fondo della banda di conduzione (Ec) è denominato Eg (energy gap). E (eV) Ec Eg = Ec -Ev Eg (energy gap) Ev x Il gradiente del grigio di riempimento utilizzato in figura corrisponde alla effettiva distribuzione di elettroni nei livelli disponibili all’interno delle due bande: gli elettroni tendono a disporsi più numerosi verso la sommità della banda di valenza e verso il fondo della banda di conduzione. Il significato di “banda di valenza” in un semiconduttore è immediato: essa rappresenta l’intervallo di energia nel quale sono contenuti gli elettroni di valenza, utilizzati per la coesione tra gli atomi del reticolo cristallino, ossia per formare i legami interatomici. Quando ad un solido viene fornita energia, ad esempio riscaldandolo, alcuni o molti legami (in funzione della temperatura raggiunta dal solido) di valenza si rompono. Questo significa che gli elettroni di valenza acquistano energia. In un solido semiconduttore, l’energia che gli elettroni possono acquistare non può aumentare con continuità, ma si deve conferire loro una energia almeno pari alla gap, per portarti nella banda di conduzione. È allora chiaro anche il significato di “banda di conduzione”: essa rappresenta l’intervallo di energia nel quale sono contenuti gli elettroni che non vengono utilizzati per formare legami. Tali elettroni, che non sono più legati agli atomi, sono pertanto liberi di muoversi all’interno del solido. Essi sono quindi disponibili per la conduzione elettrica, qualora siano sottoposti ad un campo II - 15 elettrico. Se questo avviene, gli elettroni si muovono seguendo le linee di forza del campo. Questo tipo di movimento degli elettroni di conduzione viene denominato drift. Occorre precisare che gli elettroni di conduzione sono effettivamente svincolati dagli atomi a cui appartenevano. In presenza di un campo elettrico applicato al semiconduttore, il moto di ogni elettrone avverrebbe in modo equivalente a quello di un elettrone libero (free electron) che si propaghi nel vuoto, accelerando in direzione delle linee di forza del campo. L’unica differenza con la propagazione nel vuoto consiste nella presenza degli ostacoli costituiti dagli atomi del reticolo, contro i quali l’elettrone è costretto a collidere. Su questa importante problematica si tornerà più avanti. I metalli Nel primo paragrafo di questo capitolo si è accennato al legame metallico, formato dal gas di elettroni condivisi che avvolge e tiene insieme tutti gli atomi. In altri termini, gli elettroni più esterni di ogni atomo risultano di valenza perché tengono uniti gli atomi e di conduzione perché sono liberi di muoversi tra gli atomi. In termini di bande elettroniche questo indica che la banda di valenza e quella di conduzione risultano parzialmente sovrapposte e quindi non esiste una banda interdetta. Gli elettroni sono contemporaneamente “di valenza” e di “conduzione” ed è possibile far scorrere corrente elettrica senza dover prima conferire energia agli elettroni, ossia senza prima trasformarli da elettroni di legame ad elettroni liberi. La particolare configurazione delle bande di energia in un metallo è quindi responsabile contemporaneamente dei legami che tengono compatto il solido e della conduzione elettrica. La delocalizzazione degli elettroni ha come conseguenza la loro disponibilità per la conduzione elettrica in ogni punto del materiale. Assumendo che nei metalli ogni atomo contribuisca con un elettrone al gas di legame e di conduzione, possiamo stimare una densità di elettroni disponibili per la conduzione pari alla densità atomica, ossia tra 1022 e 1023 cm-3. È comune esperienza che i metalli sono sempre dei buoni conduttori e che non è necessario alcun intervento fisico-tecnologico su di essi per garantirne una eccellente capacità di conduzione della corrente elettrica rispetto a materiali che altrimenti chiameremmo dielettrici oppure semiconduttori, per i quali sono ben note le proprietà isolanti. Non abbiamo infatti difficoltà a classificare come “conduttore” un cristallo di rame mentre ci appare chiaramente “non conduttore” un cristallo di carbonio (diamante) o uno di biossido di silicio (quarzo) o uno di silicio. Grazie alla assenza della gap di energia, per ottenere la conduzione in un filo metallico è sufficiente creare in esso un campo elettrico, anche estremamente piccolo, applicando una differenza di potenziale tra le estremità del filo. Uno stesso esperimento condotto su un materiale non metallico non produrrebbe conduzione elettrica. I dielettrici Nel corso dei nostri studi passati ci è stata insegnata la distinzione tra conduttori e non conduttori e adesso conosciamo il motivo alla base della conduzione elettrica (assenza di gap) e il motivo alla base della non conduzione (la presenza della gap). I materiali non conduttori ci sono stati presentati con il nome di dielettrici mentre adesso abbiamo incontrato una categoria di materiali provvisti di gap che abbiamo denominato semiconduttori. È allora opportuno a questo punto chiederci per quale motivo II - 16 distinguiamo tra semiconduttori e dielettrici, se entrambi hanno banda di valenza e di conduzione separata da una banda interdetta. Nel comune linguaggio tecnico le due tipologie di materiale vengono distinte principalmente per una polarizzazione “culturale“ legata all’ambiente nel quale noi e le nostre macchine operiamo. Un ambiente tipico ha una temperatura non superiore a 40-50 °C e normalmente ogni microcircuito elettronico che utilizziamo è racchiuso in un contenitore (package) che lo protegge dalla luce ambiente. Per comodità chiamiamo queste “condizioni standard”. Invece, condizioni non standard sono ad esempio l’utilizzo di materiali a temperature superiori a 100°C, o in presenza di radiazioni ad alta energia (nello spazio o nei pressi di un reattore nucleare), o in presenza di illuminazione a lunghezze d’onda sotto il limite inferiore dello spetto visibile. In condizioni standard, la conducibilità elettrica di un cristallo “semiconduttore” puro come il silicio e di un cristallo “dielettrico” puro come un diamante risulta di almeno 10 ordini di grandezza inferiore a quella del rame! Il motivo della distinzione tra dielettrici e semiconduttori risiede nell’ampiezza della banda interdetta, ossia nella “distanza” energetica tra la banda di valenza e quella di conduzione. In un semiconduttore il valore della gap è sufficientemente piccolo da consentirci di agire piuttosto facilmente sul materiale per rendere disponibili elettroni nella banda di conduzione. Ciò può essere fatto ad esempio riscaldando o illuminando il cristallo, o inserendo nel suo reticolo cristallino atomi in grado di rendere disponibili cariche elettriche per la conduzione. Quest’ultima possibilità, denominata drogaggio (doping) è quella di maggiore interesse per la realizzazione dei microcircuiti, perché consente di creare artificialmente dei portatori (carriers) di carica elettrica utilizzabili per la conduzione. Quando invece è difficile intervenire sul cristallo per rendere disponibili i portatori, sia perché mancano le condizioni di temperatura o illuminazione adatte, o perché è problematico effettuare il drogaggio, diciamo di essere in presenza di un materiale dielettrico. E E E Ec Ec Ev Ec Ev Ev x x x metallo dielettrico semiconduttore È importante ricordare che nessun materiale è in assoluto un dielettrico: in opportune condizioni di temperatura, illuminazione o drogaggio qualunque materiale può essere reso in grado di condurre la corrente elettrica. Le condizioni necessarie per indurre la conduzione in un dielettrico ci possono apparire “anomale” soltanto perché non ci sono familiari, pur essendo invece piuttosto comuni in diversi campi della tecnica, diversi dalla microelettronica. Di esse comunque non ci occupiamo in questo corso. Nel seguito considereremo soltanto materiali sui quali, come prima accennato, l’ampiezza della banda proibita sia tale da consentirci di intervenire facilmente per definirne le caratteristiche elettriche e che pertanto denominiamo semiconduttori. II - 17 Il diagramma E-k Nei paragrafi precedenti abbiamo assunto lo splitting dei livelli e la formazione delle bande senza darne una giustificazione teorica. Abbiamo inoltre indicato le bande di energia in un diagramma avente in ascissa la coordinata x di un ipotetico reticolo unidimensionale e in ordinata l’energia totale dell’elettrone. Questo approccio semplificato è sufficiente per lo studio dei meccanismi di conduzione della corrente in un semiconduttore, affrontato nel prossimo capitolo, ma risulta insufficiente per altri aspetti, primo fra tutti la possibilità di emettere luce. In questo paragrafo vengono discussi, in modo comunque semplificato, i principi teorici che portano alla formazione delle bande. La formazione delle bande in un sistema formato da molti atomi trova una giustificazione teorica nel 1928 negli studi di Ernst Bloch e, due anni dopo, in un modello approssimato sviluppato da Kronig e Penney. Per semplificare la ricerca di una soluzione dell’equazione di Schrödinger per un elettrone sottoposto ad un potenziale periodico, con periodo uguale alla distanza a tra due atomi adiacenti, possiamo assumere un andamento “squadrato” del potenziale, con due soli valori: 0 e V0: V(x) V0 A A A A …. B B B …. 0.. x a Nelle barriere rappresentate dalle zone A, in presenza del potenziale V0 l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo assume la nota forma d2 ψ(x) 2m + [E − qV0 ] ψ(x) = 0 dx2 ħ2 mentre nelle zone B, con le buche di potenziale, si ha: d2 ψ(x) 2m + E ψ(x) =0 dx2 ħ2 Consideriamo adesso in dettaglio un periodo del potenziale: V(x) V0 A V(x) = 0 per 0 < x < a …. B …. V(x) = V0 per -b < x < 0 0.. x -b 0 a Per la buca di potenziale con barriere di altezza finita, nel capitolo precedente si era mostrato che la soluzione dell’equazione d’onda consiste in una funzione di forma sinusoidale ma non nulla in corrispondenza delle barriere, raccordata con due funzioni esponenziali ai lati della buca. Le due soluzioni sono quindi rispettivamente 2mE ψ(x) = A ejkx + B e−jkx sinusoidale, per 0 < x < a, con k = √ ħ2 ′ ′ 2m(V0 −E) ψ(x) = A ek x + B e−k x esponenziale, per -b < x < 0, con k’ = √ ħ2 II - 18 Notiamo che k’ è reale solo per energie minori di V0. La funzione d’onda che rappresenta l’insieme di queste due soluzioni deve avere periodo c = a + b. Bloch dimostra (teorema di Bloch) che in presenza di un potenziale periodico la funzione d’onda ψ(x) per un elettrone non molto vicino al nucleo risulta data dal prodotto tra la funzione di un’onda piana stazionaria, ovvero la funzione d’onda di un elettrone libero, e una qualunque funzione periodica u(x) avente lo stesso periodo a del potenziale, dove a è la distanza interatomica: ψ(x) = u(x) ejkx con k la costante di propagazione dell’onda associata all’elettrone libero. Dire che un elettrone non è molto vicino al nucleo significa assumere una lieve perturbazione al suo moto data dal potenziale creato dai nuclei dei singoli atomi. Questa assunzione si giustifica considerando che gli elettroni degli orbitali più interni formano una sorta di schermatura elettrostatica nei confronti del campo generato dal nucleo, consentendo agli elettroni più lontani di risentire in misura lieve del potenziale periodico. Moltiplicare la funzione ejkx per la funzione periodica u(x) indica pertanto che l’elettrone mantiene una funzione d’onda “quasi” sinusoidale e quindi “quasi” delocalizzata, ovvero che l’elettrone è “quasi” libero e “quasi” completamente delocalizzato. La presenza della periodicità equivale infatti a modulare la sinusoide con un segnale periodico, con periodo a, e quindi modulare spazialmente la densità di probabilità. Ricordiamo che in uno spazio privo di potenziale, con U(x) = 0, un elettrone libero è rappresentato solo dal termine ejkx e può quindi assumere qualunque valore di k, a cui corrisponde una energia totale (solo cinetica) proporzionale al suo quadrato. Nella soluzione indicata da Bloch si trovano invece anche dei valori di k immaginari, per i quali quindi nella funzione ψ(x) = u(x) ejkx il termine ejkx risulta reale, ossia non rappresenta più un elettrone libero. Ciò avviene quando |k| = n π/a, dove a è la distanza interatomica, ossia quando a = λ/2n, dove λ è la lunghezza d’onda di De Broglie. L’elettrone può quindi avere un momento limitato agli intervalli - π/a < k < π/a, - 2π/a < k < π/a, π/a < k < 2π/a e così via, ma non può avere un momento definito in corrispondenza di |k| = n π/a. Per avere una immagine più chiara del fenomeno consideriamo l’elettrone come onda. L’elettrone libero è un segnale sinusoidale non confinato, che si propaga nel cristallo in direzione x. Ma nel cristallo sono presenti gli atomi, ossia degli ostacoli sul percorso di propagazione dell’onda. Quando un’onda incontra un ostacolo essa viene parzialmente riflessa, ma la riflessione diventa molto forte quando λ/2 del segnale è vicina alla distanza tra due ostacoli, e diventa una riflessione totale se la lunghezza d’onda è proprio uguale a tale distanza. Si tratta cioè di una condizione di risonanza, nella quale l’onda riflessa e crea un’onda stazionaria che smette di propagarsi. Notiamo che essendo il segnale distribuito in tutta la lunghezza del nostro cristallo unidimensionale, la riflessione avviene contemporaneamente da tutti gli atomi disposti lungo x, e quando il semiperiodo del segnale è pari ad a tutte le riflessioni si sommano in fase, creando un’onda stazionaria. La condizione a = λ/2n blocca quindi l’onda e impedisce un aumento o diminuzione di k oltre il campo - π/a < k < π/a, con il corrispondente campo permesso di energia. Nota: concetti come la risonanza o la riflessione con una distanza λ/2 tra gli ostacoli sono trattati in modo rigoroso e approfondito nel corso di Campi Elettromagnetici. In corrispondenza ad ognuno dei singoli valori “non ammessi” di k, Bloch trova un intervallo di valori di energia totale che di conseguenza è “non ammesso”. Questo risultato suggerisce allora allora che II - 19 esistono intervalli di livelli energetici permessi (le bande) nel quali ogni elettrone si comporta come un elettrone libero, con energia non quantizzata, ma che tali intervalli sono separati da altrettanti intervalli di energia “proibita” (le bande interdette). salti di energia potenziale variazioni di momento e quindi di energia cinetica Si noti come l’andamento medio parabolico ricordi il diagramma E-k di un elettrone libero. La parte compresa tra - π/a e π/a è detta prima zona di Brillouin, le due parti tra - 2π/a e -π/a e tra π/a e 2π/a seconda zona di Brillouin e così via. Poiché nell’utilizzo del diagramma E-k non interessano i valori effettivi di k ma le sue variazioni, normalmente per comodità si riporta tutto il diagramma alla prima zona di Brillouin, ribaltando opportunamente i tratti continui: E E E x k Le due bande di energia più elevata permesse in un semiconduttore sono rispettivamente denominate, come sappiamo, di valenza e di conduzione. Con riferimento alla figura precedente, la banda per n = 2 è la banda di valenza e quella per n = 3 è la banda di conduzione. All’interno di una banda, l’elettrone è libero e la sua energia non è quantizzata. Per fornire energia “totale” all’elettrone si può incrementare la sua energia cinetica o quella potenziale. Come si vede dal diagramma E-k, un aumento di energia cinetica e quindi di momento può avvenire solo fino al valore limite costituito da k= π/a. Ad esempio, si può applicare un campo elettrico al cristallo, l’elettrone in una delle bande accelera e aumenta l’energia cinetica, ma solo entro il limite suddetto. Quando l’energia totale, che è stata incrementata dall’energia cinetica, II - 20 raggiunge uno dei punti limite indicati nel diagramma nessun ulteriore aumento di energia cinetica è possibile, in quanto si verifica la condizione di risonanza e quindi di riflessione dell’onda-elettrone da parte del reticolo periodico. Per comprendere come il digramma E-k permetta di seguire le “vicissitudini” di un elettrone, consideriamo un elettrone nella banda con n=2 in presenza di un campo elettrico nel cristallo, come mostrato in figura. - Da C a D l’elettrone accelera guadagnando momento ed energia cinetica che aumenta la sua energia totale. L’energia potenziale rimane costante. - Giunto in D, l’elettrone viene riflesso dal reticolo, il suo momento rimane inalterato ma cambia segno, a causa della riflessione e si ritrova in E. - Il campo elettrico frena l’elettrone che ha cambiato direzione, e la sua energia cinetica decresce fino al punto F. - In F si ha una nuova condizione di risonanza e una nuova riflessione che inverte il moto portando l’elettrone in C, per ripetere il ciclo. Per azione del campo elettrico l’elettrone è quindi libero di muoversi nella banda, ma la sua energia cinetica non può superare un valore prefissato, a meno che non si intervenga conferendo all’elettrone energia potenziale. Nel cristallo reale, con una distribuzione tridimensionale del potenziale periodico, il diagramma E-k risulta più complesso di quello relativo al semplice modello unidimensionale. Basti considerare che la periodicità del potenziale dipende dalla direzione considerata all’interno del cristallo e il periodo può risultare diverso per ognuna delle direzioni cristallografiche considerata. In tale situazione, è nostro primario interesse considerare due possibili configurazioni del diagramma E-k per la banda di valenza e quella di conduzione, con riferimento ai due semiconduttori di maggiore rilevanza applicativa, Si e GaAs. La figura che segue mostra i diagrammi E- k per tali due semiconduttori, riportando in uno stesso diagramma il grafico corrispondente a diverse direzioni rispetto all’orientazione del cristallo. E E II - 21 La massa efficace Per il modello “pacchetto d’onda” di un’onda particella è stata in precedenza definita una velocità di gruppo, ed è stato mostrato come questa coincida con la velocità classica, per un elettrone libero. In un cristallo, all’interno di una banda di energia, l’elettrone può assumere qualunque valore di energia, comportandosi quindi come un elettrone libero. Ma a differenza del moto nel vuoto, la presenza del potenziale periodico produce una perturbazione del moto libero. Il concetto di massa efficace nasce dal voler descrivere il moto di un elettrone in un sistema di potenziale periodico con la stessa relazione classica della dinamica (F = ma) impiegata per descrivere il moto di una particella nel vuoto. Ciò si ottiene sostituendo alla massa dell’elettrone nel vuoto una massa efficace di valore opportuno. Per determinare questo valore, possiamo adottare un approccio semiclassico, applicando la dinamica classica ad un’onda-particella. La velocità di un pacchetto d’onde che descrive la particella è data dalla velocità di gruppo del pacchetto, ossia dalla velocità del suo inviluppo. Utilizzando la relazione di Einstein si ha: dω dν 2π dE 1 dE vg = ─── = 2π ─── = ─── ─── = ─── ─── dk dk h dk ħ dk dove la velocità del pacchetto dipende dall’andamento della curva E-k. In una analisi classica dell’energia di una particella una variazione dE di energia è data dal prodotto di una forza per uno spostamento: qE dE dE = qE vgdt = ─── ─── dt ħ dk da cui ricaviamo (per utilizzarlo subito più avanti): dk qE ─── = ───. dt ħ Derivando la velocità di gruppo, l’accelerazione risulta: dvg 1 d dE 1 d2E dk 1 d2E ─── = ─── ── ( ─── ) = ─── ─── ─── = ─── ─── qE. dt ħ dt dk ħ dk2 dt ħ2 dk2 L’espressione ricavata per l’accelerazione risulta uguale a quella della meccanica classica (qE = ma) se si sostituisce la massa della particella con una massa efficace di valore ħ2 m* = ───────. d2E/dk2 Possiamo a questo punto verificare cosa accade ad un elettrone libero o vincolato in un cristallo. Per un elettrone libero di massa m, utilizzando la relazione di De Broglie, l’energia (tutta cinetica) in funzione di k risulta avere andamento parabolico, come mostrato a lato: E = ħ2 k2 / 2m II - 22 ħ2 k2 d2E ħ2 E = ───── da cui ─── = …. = ─── 2m dk2 m ħ2 m* = ────── = m. ħ2/m Per un elettrone non soggetto ad alcun potenziale elettrico, la massa efficace risulta quindi costante e coincidente con la massa “classica”. In un ipotetico cristallo unidimensionale, per n = 1 la relazione E-k ha l’andamento sotto riportato. Da questo è possibile ricavare d2E/dk2 e quindi la massa efficace. → funzione E-k ridotta alla prima zona di Brillouin dE → ∩ ─── dk 1 → ∩ ─────── d2E/dk2 La massa efficace può quindi risultare positiva o negativa. Il raggio di curvatura in prossimità dei massimi e dei minimi del diagramma E-k definisce valori di massa efficace positivi o negativi, la cui distribuzione in un sistema con più bande è mostrata nella figura che segue: massa positiva massa negativa L’apparizione di una massa negativa capace di muoversi in un sistema di potenziale periodico non deve sorprendere. Il suo significato fisico apparirà chiaro nel prossimo capitolo. II - 23 Principali costanti fisiche di interesse in elettronica La tabella che segue riporta alcune delle costanti di interesse nello studio dei semiconduttori e in generale in elettronica. È opportuno che lo studente le ricordi a memoria almeno per quelle indicate in grassetto. Carica dell’elettrone q = – 1.6 10-19 C Massa dell’elettrone nel vuoto m = 9.11 10-31 kg Costante di Boltzmann k = 1.38 10-23 J/K Energia termica a 300 K kT = 0.026 eV Costante di Plank h = 6.62 10-34 J s Permittività del vuoto ε0 = 8.85 10-12 F/m Permeabilità del vuoto µ0 = 4π 10-7 H/m Velocità della luce nel vuoto c = 3 108 m/s Numero di Avogadro N = 6.02 1023