Tradurre è il vero modo di leggere un testo PDF

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ImmenseRose8523

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Università degli Studi di Catania

Italo Calvino

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translation theory Italian literature literary criticism linguistics

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This document appears to be an excerpt from a lecture or essay by Italo Calvino, discussing the process of translation, and particularly focusing on the challenges and considerations involved in translating Italian literature. It explores how translation can influence the understanding of a text and its reception in different contexts.

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T ra d u rre è il vero m o d o di leggere u n testo Tra i romanzi come tra i vini, ci sono quelli che viaggia- no bene e quelli che viaggiano male. U na cosa è bere un vino nella località della sua p ro d u - zione e altra cosa è berlo a migliaia di chilom etri di di- stanza, Il viaggiare ben...

T ra d u rre è il vero m o d o di leggere u n testo Tra i romanzi come tra i vini, ci sono quelli che viaggia- no bene e quelli che viaggiano male. U na cosa è bere un vino nella località della sua p ro d u - zione e altra cosa è berlo a migliaia di chilom etri di di- stanza, Il viaggiare bene o male per i rom anzi pu ò dipendere da questioni di contenuto o da questioni di forma, cioè di linguaggio. D i solito di sente dire che i rom anzi italiani che gli stra- nieri leggono più volentieri sono quelli d ’am biente molto caratterizzato localm ente, specialm ente d ’am biente m e- ridionale, e com unque dove vengono descritti luoghi che si possono visitare, e dove viene celebrata la vitalità italia- na secondo l’im magine che ci se n e fa all’estero. Io credo che questo p uò darsi sia stato vero m a non lo è più oggi: prim o, perché un rom anzo locale implica un insieme di conoscenze dettagliate che il lettore straniero non sem p re p u ò cap tare, e secon d o p erch é un a certa immagine dell’Italia com e paese «esotico» è orm ai lo n - tana dalla realtà e dagli interessi del pubblico. Insom m a, perché un libro passi le fro ntiere bisogna che vi siano delle ragioni di originalità e delle ragioni di universalità, cioè p rop rio il contrario della conferm a d ’imm agini risa- pute e del particolarism o locale. Relazione a un convegno sulla traduzione (Roma, 4 giugno 1982), «Bollettino di informazioni» (Rassegna quadrimestrale della com- missione nazionale italiana per l’Unesco), XXXII (Nuova serie), 3, settembre-dicembre 1985, pp. 59-63. 1826 A l t r i d is c o r s i d i l e tte r a tu r a e s o c ie tà E il linguaggio ha u n ’im portanza massima perché per tenere sveglia l’attenzione del lettore bisogna che la voce che gli parla abbia u n certo tono, u n certo tim bro, una certa vivacità. L ’opinione corrente è che si esporti m e- glio u n o scritto re che scrive in un ton o neutro , che dà m eno problem i di traduzione. M a credo che anche que- sta sia u n ’idea superficiale, perché u n a scrittu ra grigia p u ò avere u n valore solo se il senso di grigiore che tra- sm ette ha u n valore poetico, cioè se è creazione d ’un gri- giore m olto personale, altrim enti nessuno si sente invo- gliato a leggere. L a co m u nicazio n e si deve stabilire attraverso l ’accento perso nale dello scrittore, e questo p u ò avvenire anche su un livello corrente, colloquiale, non diversa dal linguaggio del giornalism o più vivace e brillante; e p u ò essere una com unicazione p iù intensa, introversa, com plessa, com e è p ro p ria dell’espressione letteraria. Inso m m a, p e r il tra d u tto re i p ro b le m i d a risolvere no n vengono mai m eno. N ei testi dove la comunicazio- ne è di tipo più colloquiale, il trad uttore se riesce a co- gliere il tono giusto dall’inizio, pu ò continuare su questo slancio con una disinvoltura che sem bra - che deve sem- b rare - facile. M a tradu rre non è mai facile; ci sono dei casi in cui le difficoltà vengono risolte spontaneamente, quasi inconsciam en te m ettend o si in sin to nia col tono dell’autore. M a p er i testi stilisticam ente più complessi, con diversi livelli di linguaggio che si correggono a vi- cenda, le difficoltà devono essere risolte frase p er frase, segu en do il gioco di c o n tra p p u n to , le in ten zio n i co- scienti o le p u lsio n i inco nsce d ell’au to re. T ra d u rre è u n ’arte: il passaggio di u n testo letterario, qualsiasi sia il suo valore, in u n ’altra lingua richiede ogni volta un qual- che tipo di m iracolo. Sappiam o tu tti che la poesia in ver- si è intraducibile per definizione; m a la vera letteratura, anche quella in prosa, lavora pro prio sul m argine intra- ducibile di ogni lingua. Il trad u tto re letterario è colui L e g g e r e , s c r iv e r e , tr a d u r r e 1827 che m ette in gioco tu tto se stesso p er trad u rre l’in trad u - cibile. Chi scrive in una lingua m inoritaria com e l’italiano arriva p rim a o p o i all’am ara constatazione che la sua possibilità di com unicare si regge su fili sottili come ra- gnatele: b asta cam biare il suo no e l’o rd in e e il ritm o delle parole, e la com unicazione fallisce. Q u ante volte, leggendo la p rim a stesu ra della trad u zio n e d ’un m io testo che il tra d u tto re m i m ostrav a, m i p ren d e v a un senso d ’estraneità p e r quello che leggevo: era tu tto qui quello che avevo scritto? come avevo p otu to essere così piatto e insipido? P o i an dan do a rileggere il m io testo in italiano e confrontandolo con la traduzione vedevo che era m agari una traduzio ne fedelissima, m a nel m io testo una parola era usata con u n ’intenzione ironica appena accennata che la traduzione n on raccoglieva, una su bor- dinata nel m io testo era velocissima m entre nella tra d u - zione prendeva u n ’im portanza ingiustificata e u na p e - santezza sproporzionata; il significato d ’u n v erbo nel mio testo era sfum ato dalla costruzione sintattica della frase m entre nella traduzion e suonava com e u n ’affer- mazione perentoria: insom m a la traduzione comunicava qualcosa com pletam ente diverso da quello che avevo scritto io. E queste sono tutte cose di cui scrivendo non m i ero reso conto, e che scoprivo solo ora rileggendom i in fun- zione della traduzione. T rad u rre è il vero m odo di legge- re un testo; questo credo sia stato detto già m olte volte; posso aggiungere che pe r u n autore il riflettere sulla tra- duzione d ’u n p ro p rio testo, il discutere col trad utto re, è il vero m od o di leggere se stesso, di capire bene cosa ha scritto e perché. Sto parlando a un convegno che riguarda le trad uzio - ni dall’italiano all’inglese, e devo precisare d u e cose: p ri- mo, il d ram m a della trad uzio n e com e l ’h o d escritto è più forte quanto più due lingue sono vicine, m entre tra 1828 A l t r i d is c o r s i d i le tte r a tu r a e s o c ie tà italiano e inglese la distanza è tale che trad u rre vuol dire in qualche m isura ricreare ed è possibile salvare lo spiri- to d ’un testo quanto m eno si è esposti alla tentazione di farne un calco letterale. Le sofferenze di cui parlavo mi sono occorse più sovente leggendom i in francese, dove le possibilità d ’un travisam ento nascosto sono continue; p er non parlare dello spagnolo, che pu ò costruire frasi quasi identiche all’italiano e dove lo spirito è compieta- m ente l’opposto. In inglese ci possono essere dei risulta- ti talm ente diversi dall’italiano che mi accade di non ri- conoscerm i più p er niente, ma anche delle riuscite felici p ro p rio perché n ascono da risorse linguistiche dell’in- glese. Seconda cosa, i problem i non sono m inori p er le tra- duzioni dall’inglese all’italiano, insom m a non vorrei che sembrasse che solo l’italiano p orta con sé questa condan- na d ’essere una lingua com plicata e intraducibile; anche l’apparente facilità, rapidità, praticità dell’inglese richie- de il particolare dono che ha solo il vero traduttore. D a qualsiasi lingua e in qualsiasi lingua si traduca, oc- corre non solo conoscere la lingua m a sapere entrare in contatto con lo spirito della lingua, lo spirito delle due lingue, sapere com e le d ue lingue possono trasm ettersi la loro essenza segreta. Io ho la fortuna d ’essere tradotto da Bill W eaver che questo spirito della lingua lo possie- de al massimo grado. Io credo m olto nella collaborazione dell’autore con il tradutto re. Q uesta collaborazione, prim a che dalla revi- sione dell’autore alla traduzione, che p u ò avvenire solo p er il lim itato num ero d i lingue in cui l’autore pu ò dare u n ’opinione, nasce dalle dom ande del tradu tto re all’au- tore. U n trad uttore che non ha d u bb i n on p u ò essere un b u on trad uttore: il mio prim o giudizio sulla qualità d ’un trad uttore mi sento di darlo dal tipo di domande che mi fa. P o i credo m o lto nella fu nzione della casa editrice, L e g g e r e , s c riv e r e , tr a d u r r e 1829 nella collaborazione tra ed ito r e trad uttore. La traduzio- ne non è qualcosa che si p uò prendere e m andare in ti- pografia; il lavoro d e v ’ed ito r è nascosto, m a quando c’è dà i suoi frutti, e q uando n on c’è, com e oggi è la stra- grande m aggioranza dei casi in Italia ed è la regola quasi generale in Francia, è un disastro. N aturalm ente ci pos- sono essere anche casi in cui l ’ed ito r guasta il lavoro ben fatto del tra d u tto re; m a io credo che il tra d u tto re p er bravo che sia, anzi p rop rio quando è bravo, ha bisogno che il suo lavoro sia valutato frase p er frase da qualcuno che confronta testo originale e traduzione e p uò nel caso discutere con lui. Bill W eaver pu ò dirvi com e conta p er lui avere a che fare con una grande e d ito r com e H elen Wolff, un nom e che ha un p osto im portan te nell’edito- ria letteraria prim a nella G erm ania di W eim ar, poi negli Stati Uniti. D evo dire che i due paesi in cui le traduzioni dei m iei lib ri sono riusciti a m arcare la lo ro presenza nell’attualità letteraria sono gli Stati U niti e la Francia, cioè i due paesi dove ho la fortuna d ’avere degli ed ito rs d’eccezione; ho detto di H elen W olff che ha il com pito più facile, in qu anto ha da fare con un tradu tto re anche lui d ’eccezione com e Bill W eaver; m i resta da dire di Francois W ahl, che invece si è trovato a rifare da cima a fondo quasi tutte le traduzioni dei miei libri pubblicati in Francia da Seuil, finché l’ultim a sono riuscito a fargli mettere anche la sua firma, firma che sarebbe giusto fi- gurasse anche nelle traduzioni precedenti. Ci sono problem i che sono com uni all’arte del tra d u r- re da qualsiasi lingua, e problem i che sono specifici del tradurre autori italiani. Bisogna partire dal dato di fatto che gli scrittori italiani hanno sem pre un problem a con la propria lingua. Scrivere non è mai un atto naturale; non ha quasi m ai un rappo rto col parlare. G li stranieri che frequentano degli italiani avranno certo notato una particolarità della nostra conversazione: non sappiam o finire le frasi, lasciamo sem pre le frasi a metà. Forse gli 1830 A l t r i d is c o r s i d i le tte r a tu r a e s o c ie tà am ericani n on sono m olto sensibili a questo, perché an- che negli Stati U niti si parla con frasi spezzate, interrot- te, esclamazioni, m odi di dire senza un preciso contenu- to sem antico. M a se ci si con fron ta con i francesi che sono abituati a com inciare le frasi e a finirle, con i tede- schi che devono sem pre m ettere il verbo in fondo, e an- che con gli inglesi che di solito costruiscono le frasi con g ran de pro p rietà, vediam o che l ’italiano p arlato nella conversazione corrente ten d e a svanire continuamente nel nulla, e se si dovesse trascriverlo si dovrebbe fare un uso continuo di pun tin i di sospensione. O ra, p er scrive- re bisogna invece con d u rre la frase fino in fondo, per cui la scrittura richiede un uso del linguaggio compieta- m ente diverso da quello del parlato quotidiano. Bisogna scrivere delle frasi com piute che vogliono dire qualcosa: perch é a qu esto lo scrittore n o n si p u ò sottrarre: deve sem pre dire qualcosa. A nche i politici finiscono le frasi, m a loro h ann o il prob lem a o p po sto , quello di parlare p er non dire, e bisogna riconoscere che la loro arte in questo senso è straordinaria. A nche gli intellettuali spes- so riescono a finire le frasi, m a loro devono costruire dei discorsi com pletam ente astratti, che no n tocchino mai n ie n te di reale, e che p ossan o g en erare altri discorsi astratti. Ecco d un q u e qual è la posizione dello scrittore italiano: è scrittore colui che usa la lingua italiana in un m od o co m p letam en te diverso d a q uello d ei politici, com pletam ente diverso da quello degli intellettuali, ma no n p u ò fare ricorso al parlato corrente quotidiano per- ché esso tende a perdersi nell’inarticolato. P e r q u esto lo scritto re italiano vive sem pre o quasi sem pre in u n o stato di nevrosi linguistica. Deve inven- tarsi il linguaggio in cui scrivere, prim a d ’inventare le cose d a scrivere. In Italia il rap p orto con la parola è es- senziale no n solo p er il poeta, m a anche p e r lo scrittore in prosa. P iù d ’altre grandi letterature m oderne, la lette- ratura italiana ha avuto e h a il suo centro d i gravità nella L e g g e r e , s c r iv e r e , tr a d u r r e 1831 poesia. C om e il po eta, lo scrittore di prosa italiano ha un’attenzione ossessiva alla singola parola, e al «verso» contenuto nella sua prosa. Se non h a quest’attenzione a un livello cosciente, vuol dire che scrive com e in un rap- tus, com e è p ro p rio della poesia istintiva o autom atica. Q uesto senso problem atico del linguaggio è un ele- mento essenziale dello sp irito del n o stro tem p o. P e r questo la letteratura italiana è una com ponente necessa- ria della g ran d e letteratu ra m o derna e m erita d ’essere letta e tradotta. Perché lo scrittore italiano, al contrario di quel che si crede, non è m ai euforico, gioioso, solare. Nella m aggior p arte dei casi h a u n tem p eram en to d e - pressivo m a con uno spirito ironico. G li scrittori italiani possono insegnare solo questo: ad affrontare la depres- sione, m ale del n o s tro tem p o , co n d izio n e com une dell’um anità del n o stro tem po, difendendosi con l ’iro - nia, con la trasfigurazione grottesca dello spettacolo del mondo. Ci sono anche gli scrittori che sem brano trab o c- canti di vitalità, m a è una vitalità a fondo triste, cupo, dominata dal senso della m orte. È per questo che, p er quanto difficile sia trad u rre gli italiani, vale la pena di farlo: perché viviamo col massi- mo d ’allegria possibile la disperazione universale. Se il mondo è sem pre più insensato, l’unica cosa che possia- mo cercare di fare è dargli uno stile.

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