Biologia - Lezione n° 01 PDF
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2018
Magherini
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Appunti di biologia che trattano l'organizzazione gerarchica degli esseri viventi, partendo dagli atomi e arrivando agli ecosistemi. Vengono descritti i livelli di organizzazione, le proprietà emergenti e gli approcci riduzionistico e olistico allo studio dei sistemi biologici. Inoltre, vengono presentate le caratteristiche degli esseri viventi e la classificazione in regni e domini.
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Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 Data: 30/10/2018 Materia: Biologia Professore: Magherini File audio di Biologia 30-10 riferimento: Durata...
Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 Data: 30/10/2018 Materia: Biologia Professore: Magherini File audio di Biologia 30-10 riferimento: Durata file audio: 82:11 Coppia: COPPIA N°1/Massi-Laci ORGANIZZAZIONE GERARCHICA IN BIOLOGIA Un sistema può essere descritto a partire dalle sue componenti più semplici fino ad arrivare alle strutture più complesse, osservando progressivamente le interazioni tra queste componenti. Partendo dalla base abbiamo gli atomi, che si organizzano in molecole, che a loro volta possono organizzarsi in strutture più complesse chiamate macromolecole (carboidrati, proteine, lipidi e acidi nucleici); tutte queste componenti sono alla base della funzionalità e della struttura della cellula. Le macromolecole possono poi aggregarsi tra di loro a formare aggregati molecolari, aventi funzioni ben definite, cioè i componenti della cellula (organuli, citoplasma, etc.). Andando avanti, questi organuli e il citoplasma si organizzano a formare la cellula, la più piccola unità vivente. Questa visione si può estendere ancora di più: possiamo osservare l’organizzazione di cellule in tessuti, l’organizzazione di tessuti in organi, l’organizzazione di vari tipi di organi, (come ad esempio il cuore e i vasi sanguigni) in sistemi di organi (in questo caso nel sistema cardiovascolare). I vari sistemi vanno poi a costituire gli organismi più complessi. Il discorso si amplia ancora se consideriamo anche il concetto di interazione tra i vari organismi, aspetto di cui di fatto si occupa la biologia, essendo la scienza della vita. Gli organismi di una stessa specie possono interagire fra loro andando a formare una popolazione. Negli ambienti dove ci sono più popolazioni di specie diverse si organizza una comunità biologica. E ancora, considerando sia la componente biotica che quella abiotica, possiamo parlare di ecosistema; si tratta del sistema più complesso di tutti, che comprende al suo interno tutti gli altri sistemi citati precedentemente. Quando si ha il passaggio da un determinato livello a quello superiore compaiono quelle che vengono comunemente dette proprietà emergenti, che derivano dall’interazione tra le diverse parti, che non sono presenti nella singola parte. Pag. 1 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 Questo ci riporta a due tipi di approcci che possiamo avere nei confronti di quello che studiamo: ➔ Un approccio riduzionistico, cioè andare e studiare la struttura delle singole parti; ➔ Un approccio più olistico, di insieme, in cui le caratteristiche e le funzioni del sistema non sono date dalla semplice sommatoria delle caratteristiche delle parti, ma dall’interazione delle parti che costituiscono il sistema stesso. Facciamo l’esempio del mitocondrio: si può fare un’analisi strutturale e quindi parlare ad esempio di membrana esterna e membrana mitocondriale, costituite da proteine e lipidi, e si può dire che nella membrana mitocondriale sono presenti i sistemi di trasporto degli elettroni. Quest’analisi riduzionistica dà molte informazioni, ma non permette di avere una visione di insieme della formazione della catena di trasporto degli elettroni o della creazione del potenziale di membrana. Il mitocondrio come organulo presenta nel suo complesso delle funzioni e delle caratteristiche che derivano proprio dall’interazione delle sue varie parti. Stessa cosa si può dire per la cellula: grazie all’interazione fra organuli e citoplasma compaiono delle funzioni più complesse, e quando la cellula si organizza compare la vita. Quando poi ad organizzarsi sono organismi pluricellulari, emergono proprietà come il pensiero e l’immaginazione, che derivano tutte dall’interazione fra cellule diverse; questo dimostra che è l’interazione fra le varie cellule che determina la nascita di queste proprietà emergenti. Un altro esempio, in ambito patologico, può essere l’anemia falciforme: una variazione di un amminoacido nell’emoglobina (proteina adibita al trasporto dell’ossigeno nei globuli rossi) causa una variazione della forma del globulo rosso e, quindi, una patologia molto seria. Possiamo avere un approccio di tipo riduzionistico: si analizza la proteina, si individua il tipo di mutazione, si analizza questo tipo di processo in vitro e così via; ma possiamo avere anche un approccio olistico: vedremo così che le proteine interessate a questo tipo di mutazione presentano una struttura alterata e tendono ad aggregarsi tra di loro a formare degli ammassi che precipitano nel globulo rosso. Quindi, il globulo rosso non avrà più quell’aspetto tipico a disco elastico in grado di muoversi bene attraverso i vasi ma assumerà una forma piuttosto rigida a falce e tenderà a depositarsi nei capillari causando dolore. Inoltre, invece di vivere 120 giorni, tenderà a vivere 10-15 giorni causando emolisi e danni alla milza. CARATTERISTICHE DEGLI ESSERI VIVENTI E LA LORO ORGANIZZAZIONE IN REGNI Si individuano numerose caratteristiche proprie di ogni essere vivente: - Crescere e svilupparsi; - Regolare i propri processi metabolici; - Rispondere a degli stimoli esterni e mantenere rispetto all’ambiente una propria omeostasi; - Riprodursi; - Evolversi e adattarsi all’ambiente. Queste caratteristiche non sono sempre scontate, soprattutto nel caso in cui ci si approcci a nuovi sistemi. Prendiamo ad esempio i virus: se lasciati fuori dalla cellula, non si riprodurranno mai, perché hanno un meccanismo di riproduzione che dipende interamente dalla cellula ospite; saranno così destinati a morire (questo è il meccanismo per cui funzionano le vaccinazioni). Di fatto, quindi, i virus non sono in grado di riprodursi in maniera autonoma. Li mettiamo tra i viventi o tra i non viventi? Siamo in realtà in una via di mezzo: è chiaro che non si può parlare di un non vivente, ma non hanno neanche tutte le peculiarità degli esseri viventi. Una caratteristica che nel corso dell’evoluzione ha avuto molta importanza è l’adattamento all’ambiente, che si realizza per mezzo di mutazioni spontanee. La selezione naturale sceglierà quegli organismi ritenuti più adatti alla sopravvivenza. Pag. 2 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 Gli organismi viventi sono stati suddivisi in sei regni. Questo albero non si limita a classificare gli esseri viventi, ma indica anche le relazioni evolutive tra i vari regni: per esempio, funghi e animali condividono un antenato comune, come c’è anche un antenato comune per piante, funghi e animali. I sei regni sono a loro volta raggruppati in tre grandi domini, nonostante abbiano tutti un antenato comune: ➔ Batteri; ➔ Archea o archeobatteri; ➔ e Eucarioti. Batteri e Archea appartengono a un tipo cellulare definito “procariote”, ovvero “prima di un vero e proprio nucleo”; in essi, infatti, il materiale genetico non è circondato da un nucleo. Oggi questi due domini sono raggruppati in due regni distinti: Archeobatteri e Eubatteri. La specialità risiede nel fatto che gli Archea, pur essendo procarioti, condividono un antenato comune con gli eucarioti; sono infatti più simili agli eucarioti rispetto a quanto non lo siano agli eubatteri. Gli Eucarioti si sono invece suddivisi dando origine a quattro regni: ➔ Protisti; ➔ Funghi; ➔ Animali; ➔ Piante. Per la loro suddivisione vengono dati più parametri, che vanno da parametri morfologici a parametri metabolici. Si potrebbero trovare delle classificazioni in cui sono presenti solo 5 regni. Questo perché nei protisti ci sono organismi unicellulari e pluricellulari di vario tipo (fotosintetici, non fotosintetici, etc.), che presentano delle caratteristiche che sono spesso assimilabili a seconda dei casi ad uno degli altri tre regni (funghi, piante e animali). Le piante dal punto di vista metabolico sono le uniche a saper fare la fotosintesi (anche se a livello dei protisti ci sono degli organismi fotosintetici e anche i cianobatteri, una particolare categoria di batteri, sono in grado di effettuare la fotosintesi). I funghi non sono piante ma appartengono a una categoria a parte. Proprio per questo motivo, non sono fotosintetici e non sono quindi in grado di utilizzare la luce solare come fonte energetica, ma hanno lo stesso metabolismo degli animali: sono eterotrofi e generalmente si nutrono per assorbimento di materiale dal terreno. Nonostante la similitudine dei processi metabolici, non sono legati agli animali per due motivi: ➔ Per la modalità di nutrimento associata all’assorbimento e non all’ingestione; ➔ Per la loro semplicità strutturale: non hanno tessuti, non hanno sistemi di vasi, etc. Per quanto riguarda le relazioni metaboliche tra i vari regni, tutti gli organismi appartenenti ad essi sono in stretto contatto tra di loro negli ecosistemi. Pag. 3 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 All’interno degli ecosistemi noi distinguiamo principalmente: ➔ Gli organismi fotosintetici in grado di utilizzare l’energia solare per ottenere e formare molecole organiche. Questi organismi grazie all’energia solare sono in grado di organicare la CO2 in zuccheri. Questa è una proprietà importantissima, per cui le piante, e in generale gli organismi fotosintetici, in ogni ecosistema vengono chiamati produttori. Sono cioè quegli organismi che ci permettono di avere a disposizione una grande quantità di molecole complesse come gli zuccheri. ➔ I consumatori. Si distinguono: Consumatori primari, erbivori; Consumatori secondari, onnivori. Questi consumatori non sono in grado di utilizzare il sole per produrre energia, ma devono utilizzare materiale organico preesistente. Mentre le piante utilizzano la CO 2 dell’ambiente per produrre glucosio e quindi ATP, l’uomo deve assumere ATP da materiale organico preesistente, per l’appunto organicato dalle piante. Siamo quindi dipendenti totalmente dai produttori e anche dai consumatori primari. ➔ Un ruolo fondamentale in queste relazioni metaboliche è svolto anche da funghi e batteri, o più in generale tutti quegli organismi chiamati decompositori. Quando un organismo di grandi dimensioni muore, la degradazione di tutte le macromolecole in esso contenute, se lasciata al tempo, sarebbe lentissima. Invece intervengono questi organismi decompositori che degradano le sostanze e le macromolecole rendendole di nuovo disponibili sottoforma di molecole più piccole. SI chiamano autotrofi tutti gli organismi che, come le piante, sono in grado di ottenere energia dalla luce e molecole organiche a partire da materiale inorganico (anidride carbonica). Si dicono invece eterotrofi quegli organismi, come animali e funghi, che devono ossidare macromolecole per ottenere energia. Si possono individuare delle categorie legate alla possibilità di vivere in presenza o in assenza di ossigeno: ➔ Gli organismi che vivono in assenza di ossigeno sono detti anaerobi; ➔ Quelli che vivono in presenza di ossigeno sono chiamati aerobi. Non c’è però una linea netta di separazione: ci sono una serie di organismi detti facoltativi, ad esempio funghi e lieviti. Ci sono organismi per i quali l’ossigeno è tossico e che quindi vengono detti anaerobi obbligati; tra questi conosciamo alcune importanti categorie di batteri patologici. Pag. 4 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 TEORIA CELLULARE Fino al 1600 non era stato inventato alcun tipo di microscopio, per cui tutto ciò che si poteva vedere era in scala macroscopica ed era già stato ampiamente descritto. L’avvento dei microscopi rivelò un mondo che non si pensava potesse esistere e che lasciò persino nei suoi scopritori un grande spavento. Uno dei primi scopritori di questo strumento fu l’olandese Antoni van Leeuwenhoek, un mercante di stoffe, non uno scienziato. Gli interessava lo strumento per visualizzare meglio le trame delle stoffe che mercanteggiava. Creò questo microscopio che possedeva una sola lente, ma era tuttavia capace di ingrandire di 300 volte quello che lui vedeva. Questo gli permise di osservare numerose cellule (cellule del sangue). Osservò, inoltre, molti microrganismi risiedenti nell’acqua (popolata da protisti). Era un osservatore molto attento ed anche un disegnatore molto abile. Raccoglieva i disegni di ciò che lui vedeva e li spediva alla Royal Society di Londra, considerata allora l’accademia scientifica per eccellenza, in modo da renderli disponibili per gli altri studiosi dell’epoca. Più o meno nello stesso periodo Robert Hooke, un ricercatore inglese, costruì un microscopio con doppia lente e osservò per la prima volta le cellule. Egli fu il primo a coniare il nome di cellula. Non osservò cellule vive ma osservò la corteccia del sughero e notò delle piccole strutture quadrate che lui chiamò celle (dal latino: piccole stanze). In realtà, quelle che lui osservava erano cellule morte, quello che rimane della parete (le cellule vegetali sono infatti dotate di una parete cellulare che persiste anche dopo la morte della cellula stessa. Intorno alla metà dell’Ottocento, i due studiosi Schleiden e Schwann formularono la Teoria cellulare. Essa afferma che: - Tutti gli organismi sono costituiti da una o più cellule; - La cellula è l’unità di base di tutti gli organismi; - Tutte le cellule derivano da organismi preesistenti. L’ultimo punto non era scontato perché, fino a Pasteur, cioè fino a metà Ottocento, era in voga la teoria abiotica dell’origine della vita, secondo cui gli organismi più complessi derivavano da altri organismi (perché era chiaramente visibile), mentre dal fango, dalle acque stagnanti, dagli alimenti che andavano a male, potevano nascere in maniera spontanea degli organismi. Questo nasceva dall’osservazione di alimenti lasciati all’esterno per qualche tempo: sopra di essi si formavano delle larve e progressivamente andava a male. Stessa cosa per il fango, dove si poteva vedere la generazione di larve o vermi. Si pensava, dunque, che questi organismi “inferiori” si generassero automaticamente per generazione spontanea. Anche Aristotele aveva formulato teorie di questo tipo e la sua influenza sul pensiero scientifico successivo è stata molto forte; l’idea che nella materia fosse contenuta una sorta di forma, intesa come spinta a diventare altro, era dunque una visione condivisa, anche da scienziati di alto calibro come Newton. Anche gli esperimenti svolti da Hooke e Leeuwenhoek negli stessi anni sembravano avvalorare quest’idea: prendendo dell’acqua e lasciandola a riposo, o ancor meglio prendendo un brodo con pesce e carne e lasciandolo fuori, osservarono che al suo interno vi crescevano degli organismi, come affermato dalla teoria della generazione spontanea. Ci furono anche studiosi che si opposero a tale teoria, come Francesco Redi. Egli aveva messo della carne in alcune provette chiuse e altra in provette aperte e aveva dimostrato che in quelle chiuse non ci cresceva nulla mentre in quelle aperte sì; da ciò aveva dedotto che non ci potesse essere stata generazione spontanea, ma il contatto con qualcosa di esterno che determinasse la generazione degli organismi. Redi non fu però molto seguito e anzi, intorno alla metà del 700, ci fu uno studioso inglese, Needham, che fece esperimenti che continuarono ad avvalorare la teoria. Egli preparò dei brodi, poi li scaldò non troppo e li coprì con una garza. Dopo un po’ vide che in questi brodi crescevano degli organismi; disse così che esisteva la generazione spontanea Pag. 5 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 perché, scaldando il brodo, lo aveva sterilizzato e aveva permesso il contatto con l’aria solo con una garza (si pensava che il contatto con l’ossigeno fosse comunque fondamentale anche per la generazione spontanea), e gli organismi erano cresciuti comunque. Successivamente, l’italiano Spallanzani fece esperimenti diversi e ipotizzò che Needham non avesse scaldato il brodo in maniera sufficiente da sterilizzarlo; quindi lui lo bollì e tappò ermeticamente solo alcune provette. Osservò che in quelle tappate contenenti brodo bollito non cresceva nulla, mentre in quelle non tappate, sebbene il brodo fosse stato bollito, crescevano microrganismi. Affermò dunque l’inesistenza della generazione spontanea, ma gli fu obiettato che il suo esperimento non andasse bene per due motivi: il primo era che, bollendo troppo il brodo, avesse distrutto la spinta che trasforma la materia in organismi, quindi i principi vitali contenuti nella natura; il secondo era che con la chiusura ermetica avesse impedito completamente il contatto con l’aria e di conseguenza avesse impedito che qualsiasi forma vivente si generasse in maniera autonoma. Pasteur confutò tutte queste obiezioni con un esperimento semplicissimo. Prese il solito brodo e lo introdusse in una struttura di vetro caratterizzata dalla presenza di un collo lungo e sottile, detto a collo di cigno; poi in parallelo, bollì entrambi i brodi. Lì lasciò raffreddare in due condizioni diverse: in una lasciò il collo di cigno tale e quale, nell’altra ruppe il collo di cigno in modo che ci fosse maggiore esposizione all’ambiente. Questa struttura sottile, pur permettendo il contatto con l’aria, impediva l’ingresso di polveri contenenti microrganismi, che venivano intrappolati nelle curvature della struttura. Egli aveva così permesso il contatto con l’aria al brodo bollito e aveva osservato che non cresceva nulla. Evitava però la chiusura ermetica. Alla critica riguardo la bollitura lui rispose che, se il brodo veniva bollito e poi lasciato all’aperto in modo tale da avere contatto diretto con i microrganismi dell’ambiente, anche se bollito vi cresceva comunque qualcosa. Dimostrò che vi era un’impossibilità nel generare la vita dal nulla. È dunque vero che la vita origina da organismi preesistenti, ma a un certo punto la vita sulla Terra deve essere comparsa: la Terra ha circa 4 miliardi e mezzo di anni e la vita è comparsa solo dopo circa un miliardo e mezzo di anni. Ci sono ipotesi su come la vita si sia potuta generare da componente interamente abiotica, affermando per esempio che nella terra primordiale ci fossero condizioni diverse rispetto ad ora che avrebbero favorito la formazione di molecole (cosa adesso impossibile). C’era atmosfera riducente grazie all’assenza di ossigeno molecolare, e fonti energetiche elevate che potevano dipendere da fonti di temperatura elevata grazie ad attività vulcanica, scariche elettriche dei temporali e così via. Nel 1953, Miller riprodusse una sorta di esperimento che mimava le condizioni della terra primordiale, mostrando come in queste condizioni si possano generare molecole organiche, a partire da molecole inorganiche. Aveva costruito un apparecchio con una sfera, all’interno della quale aveva ricostruito un’atmosfera primordiale, cioè con quelle molecole inorganiche che si pensava fossero presenti nella terra primordiale: l’acqua, l’ammoniaca, il metano e l’idrogeno; poi aveva collegato la sfera a degli Pag. 6 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 elettrodi in modo tale da poter fornire una scarica elettrica che mimava quello che poteva avvenire durante una tempesta. Questo sistema era collegato a un contenitore di acqua che veniva fatta bollire grazie ad una fonte di calore, per cui si generava vapore acqueo che entrava all’interno della struttura. All’uscita si presentava un condensatore (una struttura che raffreddava ciò che usciva dall’atmosfera) e poi in basso vi era un punto di saggio dove venivano raccolte le sostanze. Partendo da ammoniaca, acqua, metano e idrogeno, raccolse in questo punto di saggio degli amminoacidi; ciò voleva dire che era possibile ottenere da molecole di natura inorganica una molecola organica, facente parte delle proteine. Cambiando la composizione della sfera, per esempio mettendo acido cianidrico o acido solforico, sono stati ottenuti vari tipi diversi di materie organiche, come nucleotidi e zuccheri: variando la composizione di molecole si è stati in grado di ottenere una grande varietà di molecole organiche. Resta da capire come molecole organiche si siano trasformate in molecole organiche più complesse, come i nucleotidi abbiano formato polimeri di DNA o RNA, come gli amminoacidi abbiano formato polimeri di proteine. Si pensa che abbia avuto un ruolo importante in questa fase la presenza delle argille (molto diffuse), strutture cariche e dotate di metalli ad esse legati, che potevano funzionare da catalizzatori in grado di legare con interazioni elettrostatiche i monomeri e condensarli (si deve pensare che una reazione di condensazione tra due amminoacidi non è una reazione facile o che avviene spontaneamente se non viene forzata). Si ritiene poi che questi monomeri si siano aggregati in polimeri e che successivamente i vari tipi di polimeri si siano aggregati tra loro per costituire quella che viene chiamata protocellula, ovvero una struttura delimitata da membrana che nel tempo piano piano abbia acquisito la capacità di generare un ambiente interno diverso dall’ambiente esterno (permeabilità selettiva). Bisogna anche pensare che sia nata una molecola informazionale, capace di trasmettere l’informazione durante la divisione e anche qui si va un po’ nello speculativo anche se in questo ambito sono stati fatti diversi studi. In particolar modo sulla possibilità che l’RNA fosse la molecola contenente l’informazione e capace di essere trasmessa primordiale, perché negli ultimi 20 anni si sono scoperti numerosi RNA con funzioni diverse da quelle attese. Quando studiamo l’RNA, lo studiamo contenuto nei ribosomi, l’RNA di trasferimento, l’RNA messaggero e gli attribuiamo le funzioni legate a queste attività; però è stato visto che ci sono degli RNA con funzione enzimatica. Gli enzimi solitamente sono proteine e sono catalizzatori biologici che accelerano le reazioni biologiche. Invece, sono stati trovati diversi RNA con funzioni enzimatiche (ribozimi). Inoltre, sono presenti virus che hanno come materiale genetico l’RNA invece del DNA, e sono in Pag. 7 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 grado di replicarsi grazie ad enzimi che ne regolano la replicazione come esistono per il DNA, per cui è possibile ipotizzare un brodo primordiale dove queste prime cellule avessero RNA come molecola-chiave, cioè che fosse la sede dell’informazione genetica, avesse delle basilari funzioni enzimatiche e che fosse in grado di duplicarsi e trasmettere alle cellule figlie. Questo è stato reso possibile da uno studio fatto in vitro: sono state generate moltissime molecole di RNA e oltre a questo veniva introdotto un certo tasso di mutazione (si parte da poche molecole poi venivano introdotte un certo numero di mutazioni cosi che progressivamente si generasse un numero di molecole di RNA sempre proliferante). All’interno di questo pool di molecole di RNA veniva fatta una selezione di quelle che possedevano una qualche attività enzimatica, per venire nuovamente fatte moltiplicare e poi sottoposte a cicli di mutazione per mimare quello che può essere successo nei corsi dei millenni. Le mutazioni sono fondamentali perché generano delle variabili che possono permettere un maggior adattamento all’ambiente. In questo modo loro hanno arricchito di poche molecole di RNA in grado di avere diversi funzioni: catalizzare diversi tipi di reazione e anche un meccanismo di duplicazione dell’RNA. Nell’immagine si vede un ribozima in grado di copiare uno stampo di RNA, generare un filamento uguale a filamento preesistente, indispensabile per consentire a una cellula di duplicarsi. Si può ipotizzare che queste cellule primitive avessero delle molecole di RNA a singolo filamento, che poi queste cellule abbiano acquisito la capacità di duplicarsi e diventare a doppio filamento e poi di essere ridistribuite in cellule figlie, ovviamente tutta questa è un’ipotesi. Il passo successivo sarebbe stato la sostituzione del DNA all’RNA come materiale genetico, perché il DNA è più stabile e resistente, questo è importante perché è vero che le mutazioni sono il terreno su cui agisce la selezione naturale, quindi permettono di creare combinazioni vincenti, ma troppe mutazioni non vanno bene (se progressivamente nell’evoluzione vengono selezionate un insieme di organizzazioni nel genoma che funzionano bene è bene che rimangano cosi, troppe mutazioni non è che sono necessariamente vincenti). Il DNA ha sostituito l’RNA e l’RNA come ribozima (funzione enzimatica) è stato sostituito dalle proteine perché, costituite da 20 amminoacidi diversi, possono presentare una varietà di strutture molto maggiori di quanto accada per la molecola di RNA, quindi sono molecole più versatili e adattabili ai substrati e gli RNA mantengono le funzioni che noi oggi conosciamo, le funzioni di RNA come ribozimi o come sede dell’informazione genetica nei virus sarebbero il corno evolutivo della storia antica in cui l’RNA aveva invece funzioni di tipo diverso. Pag. 8 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 La terra ha 4.5 miliardi di anni, i primi organismi che compaiono sulla terra risalgono a circa 3 miliardi di anni, si hanno le prove da un punto di vista geologico della loro esistenza. Questi organismi erano anaerobi, perché l’ossigeno non c’era, e eterotrofi, perché è più semplice utilizzare sostanze organiche che mettere su un apparato complesso che serve per fare la fotosintesi; la loro diffusione è stata per molto tempo limitata, perché essendo eterotrofi si dovevano basare per il nutrimento sulle poche molecole organiche che trovavano nell’ambiente e derivavano dalla morte di altri organismi oppure da quella generazione abiotica di sostanze organiche provenienti da sostanze inorganiche (vedi esperimento di Miller). Un passo importante è stato la comparsa di organismi autotrofi, indipendenti dalle sostanze organiche presenti e che sanno utilizzare anche sostanze inorganiche (ci sono dei batteri in grado di ossidare sostanze inorganiche per ottenere energia, sono questi tipi di batteri probabilmente ad essere comparsi per primi). Successivamente compaiono i primi batteri fotosintetici, in grado di utilizzare luce solare: questo rappresenta un passo evolutivo enorme perché dalla fotosintesi deriva l’ossigeno e quindi l’ossigeno compare coi primi batteri fotosintetici, che facevano una fotosintesi più semplice di oggi, ma che era comunque in grado di generare ossigeno nell’atmosfera e quindi progressivamente inizia a accumularsi. Pag. 9 a 10 Biologia – Lezione n° 01 30/10/2018 Col passare del tempo compaiono i primi organismi aerobi, in grado di vivere in presenza di ossigeno e di sfruttarlo come ossidante nelle loro reazioni, infine intorno ai 2 miliardi di anni fa compaiono i primi eucarioti. Pag. 10 a 10 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 Data: 31/10/2018 Materia: Biologia Professore: Magherini File audio di Biologia 31-10 riferimento: Durata file audio: 76:55 Coppia: COPPIA N°2/Orioli-Mattioli MONOSACCARIDI E LIPIDI Quando noi parliamo di macromolecole di importanza biologica, parliamo di molecole che sono composti del carbonio e siamo, quindi, all’interno di quella che viene definita chimica organica. Vedremo come in tutte le macromolecole che studieremo il carbonio gioca un ruolo chiave. Prima di iniziare però è necessario porre l’attenzione su alcuni concetti importanti che possono servire per la comprensione delle funzioni delle macromolecole e di come queste interagiscono fra di loro. Il carbonio può formare quattro legami, infatti se si osserva la geometria del metano CH4, il carbonio è posizionato al centro mentre i quattro atomi di idrogeno sono disposti ai vertici di un tetraedro regolare. Inoltre, a livello dell’atomo di carbonio ci possono essere diversi tipi di sostituenti. Il carbonio, oltre che compiere legami singoli, è in grado di formare doppi e tripli legami. I composti del carbonio possono formare sia molecole di natura lineare, ne sono un esempio le strutture presenti negli acidi grassi, sia strutture di tipo circolare, che ritroveremo negli zuccheri e nelle basi azotate dove abbiamo anche altri sostituenti oltre al carbonio. Inoltre, al carbonio non si legano solo gli atomi di idrogeno ma si possono legare anche altri gruppi che definiamo gruppi funzionali. Essi hanno la caratteristica di conferire alla molecola a cui appartengono proprietà importanti, come ad esempio la reattività o la capacità di legarsi ulteriormente ad altre molecole. Pag. 1 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 I principali gruppi funzionali sono: ➔ Gruppo ossidrilico: presente negli alcool ed in tutti gli zuccheri. Conferisce polarità alla regione di molecola a cui è legato. Il legame tra l’O e l’H è un legame covalente polarizzato perché l’H è meno elettronegativo quindi c’è una differente distribuzione di carica e conseguentemente questo introduce un punto di polarità nella molecola, punto che può essere utilizzato per formare interazioni di tipo polare con altre molecole. ➔ Gruppo carbonilico: detto anche gruppo carbonile. Altro non è che un atomo di carbonio legato con un doppio legame ad un atomo di ossigeno. Anche in questo caso questo gruppo conferisce polarità alla molecola in cui si trova. Può essere situato nelle regioni terminali della molecola (in questo caso si parla di gruppo aldeidico) oppure può essere situato fra due carboni (si parla di gruppo chetonico). ➔ Gruppo ammidico: si trova generalmente in forma protonata. ➔ Gruppo carbossilico: ha comportamento basico e si può trovare anche nella forma dissociata, caso in cui però ha comportamento acido. ➔ Acido solforico: gruppo che ritroviamo negli amminoacidi, carico negativamente. ➔ Gruppo sulfidrilico: lo ritroviamo in alcuni amminoacidi e ha grande importanza per quanto riguarda la struttura tridimensionale delle proteine, in particolar modo nello stabilizzare la loro struttura terziaria. Tutti questi gruppi, siano essi polari o carichi, conferiscono alle molecole delle proprietà nuove, proprietà che permettono di interagire diversamente con l’acqua, di essere più o meno solubili, di formare legami a idrogeno, legami ionici. È proprio perché questi gruppi garantiscono una particolarità di interazioni che vengono chiamati gruppi funzionali. ISOMERIA Esistono vari tipi di isomerie: ➔ Isomeria di struttura: composti con la stessa formula bruta, ma diversa distribuzione degli atomi nello spazio. ➔ Isomeria geometrica: presente nelle due forme cis e trans. Questi tipi di isomeri si realizzano quando due atomi di carbonio sono uniti da un doppio legame (legame di tipo che impedisce la rotazione reciproca degli atomi fra di loro) e conseguentemente i sostituenti si troveranno su due piani diversi, sopra o sotto il doppio legame. Se i sostituenti sono diversi si realizza quella che viene chiamata isomeria cis-trans: se i sostituenti dello stesso tipo stanno entrambi al di sopra o al di sotto del piano individuato dal doppio legame, allora si parla di isomeria di tipo cis; se i sostituenti dello stesso tipo si trovano da parti opposte, si parla di isomeria di tipo trans. Tutto questo risulterà importante soprattutto nella struttura degli acidi grassi. ➔ Stereoisomeria: composti definiti enantiomeri, i quali sono uno l’immagine speculare dell’altro, quindi non sovrapponibili; questo perché, quando un atomo di carbonio è Pag. 2 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 legato a quattro sostituenti diversi, essi possono essere diversamente distribuiti e quindi assumere nello spazio una geometria di tipo diverso. Tutto questo assume importanza fondamentale a livello cellulare perché le nostre cellule, recettori ed enzimi sono in grado di distinguere gli stereoisomeri; per esempio i trasformatori del glucosio che ritroviamo a livello della membrana sono capaci di trasportare solo il glucosio di tipo D. Le due forme di uno stereoisomero vengono indicate e quindi distinte con le lettere D o L, dove D sta per destrogiro e L per levogiro, e questa deviazione deriva dalla rotazione a destra o a sinistra del piano di luce polarizzata, perché essa viene deviata diversamente a seconda della distribuzione dei sostituenti. Nel nostro organismo, tutti gli amminoacidi che utilizziamo per la costruzione delle proteine sono di tipo L e questo aspetto ha grande importanza anche dal punto di vista farmacologico. A tal proposito citiamo il caso della Talidomide, sostanza rilassante prodotta in Germania negli anni Cinquanta; questa sostanza veniva venduta come un farmaco da banco e ne fecero largo uso anche le donne in gravidanza perché funzionava bene contro la nausea. In realtà poi si vide che, correlate all’assunzione del farmaco, vi erano molte nascite di bambini con grandi difetti morfologici, in particolare la lunghezza degli arti. Questa sostanza viene infatti definita a tutti gli effetti teratogena, cioè che causa danni al feto. All’interno di questa sostanza sono presenti due enantiomeri, uno dei quali aveva effetti positivi, mentre l’altro era la forma che causava varie problematiche, in particolare un’inibizione dell’angiogenesi (capacità di formare nuovi vasi). Da qui, tutti i nuovi farmaci vengono testati sia sull’animale normale sia su quello in gravidanza. Un altro esempio è rappresentato dalla metanfetamina, anch’essa presente in due enantiomeri: uno presente negli spray nasali con effetto decongestionante, mentre l’altro enantiomero è una droga. CARBOIDRATI I carboidrati devono il loro nome ad una formula base di struttura in cui gli atomi di carbonio sono legati ad un gruppo aldeidico o chetonico e poi a vari gruppi ossidrilici. Quindi tutti i carboidrati hanno come gruppo funzionale un gruppo carbonilico e i gruppi ossidrilici. Sono molecole polari, solubili in acqua, che si distinguono e vengono classificate sulla base del numero degli atomi di carbonio e sulla base della presenza del gruppo chetonico (chetosi) o per la presenza del gruppo aldeidico (aldosi). L’esempio di carboidrato più semplice è la gliceraldeide, formata da tre atomi di carbonio, con gruppo aldeidico. Carboidrati leggermente più complessi possono essere rappresentati dal ribosio, zucchero a cinque atomi di carbonio presente nell’RNA, oppure il glucosio (aldoesoso) ed il fruttosio (chetoesoso). Fruttosio Pag. 3 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 Anche a livello degli zuccheri sono presenti gli enantiomeri: sia nel glucosio che nel galattosio è presente un carbonio chirale, cioè un carbonio legato a quattro sostituenti diversi. Inoltre, è importante ricordare che gli zuccheri ciclizzano in soluzione, e questo è interessante perché la forma ciclica dà origine ad una molecola caratterizzata dalla presenza di un gruppo OH posto sopra o sotto il piano dell’anello; nel caso specifico della ciclizzazione del glucosio, si ha - glucosio dove l’ossidrile è sotto al piano, o -glucosio dove l’ossidrile invece è posizionato sopra. La formazione di questi due è casuale, dipende dalla posizione del gruppo aldeidico nel momento in cui la molecola ciclizza; questi due composti sono in equilibrio in soluzione. Ribosio e desossiribosio differiscono esclusivamente per il carbonio in posizione 2, che nel desossiribosio è legato solo all’idrogeno, mentre nel ribosio è legato ad un gruppo ossidrilico. L’unione di più monosaccaridi forma oligosaccaridi e polisaccaridi; ciò avviene grazie ad una reazione di condensazione fra il carbonio in posizione 1 ed il carbonio in posizione 4, con la formazione di un legame covalente e l’eliminazione di una molecola di acqua. Due monosaccaridi danno origine ad un disaccaride: due molecole di glucosio formano il maltosio, glucosio unito a fruttosio dà il saccarosio (comune zucchero da cucina) e il lattosio è costituito da glucosio e galattosio. A seconda che una molecola di glucosio abbia l’OH in posizione o si può formare il maltosio tramite un legame di tipo 1,4 -glicosidico (fra carbonio 1 e carbonio 4) oppure il cellobiosio, ovvero due molecole di glucosio legate da un legame di tipo 1,4 -glicosidico. Questo fa sì che i due disaccaridi abbiano una geometria diversa. POLIMERI Quando più molecole di monomeri condensano per formare polimeri si ha la formazione di molecole più o meno lunghe che possono essere più o meno ramificate. Anche in questo caso si ha una reazione di condensazione con l’eliminazione di una molecola di acqua; il distacco di un monomero dal polimero avviene invece con una reazione di idrolisi (introduzione di una molecola di acqua). I polisaccaridi più interessanti dal punto di vista biologico sono: Amido e glicogeno, definiti come polisaccaridi di riserva; Cellulosa e chitina, che sono polisaccaridi con funzione strutturale. Il polisaccaride più complesso legato ad una componente amminoacidica è presente nella parete cellulare dei batteri, ovvero nel peptidoglicano. Pag. 4 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 AMIDO L’amido è un polisaccaride di riserva che si trova più comunemente nelle piante, ma anche molto abbondante nelle patate. Gli organuli presenti all’interno dell’amido sono detti amiloplasti. Questo polisaccaride di riserva è formato da due componenti: amilosio, componente lineare, e amilopectina, componente ramificata. L’amilosio è costituito da un polimero di molecole di glucosio legate fra loro con legami 1,4 -glicosidici, mentre l’amilopectina contiene anche delle ramificazioni, che si trovano tra il carbonio in posizione 6 di un glucosio e il carbonio in posizione 1 di un altro. L’amilopectina contiene quindi due tipi di legami: 1,4 -glicosidico per la parte lineare, mentre le ramificazioni avvengono con legami 1,6 -glicosidici, ogni 24-30 unità di glucosio. Queste due componenti, amilosio e amilopectina sono usate come riserva dalla pianta, perché in caso di necessità i monomeri vengono staccati dal polimero ed assimilati. GLICOGENO Esso è un polimero ramificato contenente legami 1, 4 -glicosidici nella parte lineare e legami 1,6 -glicosidici nella componente ramificata. Il glicogeno è la forma di riserva delle cellule animali; nel nostro organismo lo troviamo nel fegato, dove funge da riserva per tutte le cellule dell’organismo, e all’interno del muscolo, dove invece ha ruolo di riserva per il muscolo stesso. I livelli di glucosio nel sangue devono essere mantenuti abbastanza costanti; per questo sono presenti una serie di ormoni, tra cui insulina e glucagone prodotti dal pancreas, che ne regolano la concentrazione agendo sulla capacità delle cellule di internare o far uscire glucosio. Da questo punto di vista, Il fegato è un organo altruista, perché capace di cedere le riserve di glucosio che ha precedentemente immagazzinato, in intervalli compatibili con il metabolismo delle cellule. Ad esempio, lontano dai pasti, il glicogeno nel fegato viene scisso e poi rilasciato. Le uniche cellule che hanno un deposito di glicogeno, oltre agli epatociti (cellule del fegato), sono le cellule muscolari; quest’ultime però tengono le loro riserve solo per il proprio bisogno, per quando è richiesta un’attività muscolare intensa ( → il glucosio epatico funge da meccanismo regolatore della glicemia, mentre il glucosio muscolare serva per l’attività del muscolo). Pag. 5 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 CELLULOSA La cellulosa è invece un polisaccaride strutturale, polimero lineare del glucosio in cui i legami sono di tipo 1,4 -glicosidico. Questo fa sì che le strutture siano molto diverse perché questo tipo di legame dà la possibilità ai polimeri di disporsi parallelamente fra loro per costituire quelle che vengono chiamate le fibre della cellulosa. Nelle immagini al microscopio elettronico è possibile osservare dei veri e propri fasci fibrosi. Ritroviamo la cellulosa a livello della parete delle cellule vegetali, con funzione strutturale. La cellulosa, avendo al suo interno legami di tipo 1,4 - glicosidici, non può essere utilizzata dal nostro organismo perché non possediamo enzimi in grado di scindere quel tipo di legame, quindi non verrebbe digerita. A differenza dell’uomo, gli erbivori possiedono batteri simbionti nel loro apparato digerente che riescono a scindere i legami della cellulosa. Tuttavia, è importante sottolineare che gli erbivori, come ad esempio le termiti, non hanno enzimi nel loro corredo genetico che gli permettono di scindere questi legami ma riescono a farlo grazie alla simbiosi con questi batteri. Il nostro organismo invece utilizza come riserva energetica l’amido perché nell’apparato digerente questo grande polisaccaride viene scisso e poi assorbito. CHITINA Vi sono altri polisaccaridi modificati che ritroviamo ad esempio nella composizione dell’esoscheletro degli insetti e dei crostacei. Uno di questi è la chitina, presente nell’esoscheletro degli artropodi. Essa contiene uno zucchero modificato che è l’N- acetilglucosamina, così chiamato per la copresenza del gruppo acetile e del gruppo amminico. Vi sono altri carboidrati modificati detti ammino-zuccheri presenti nel peptidoglicano, costituente della parete cellulare. Pag. 6 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 LIPIDI I lipidi sono una classe varia di composti che hanno come principale caratteristica l'idrofobicità. Per parlare delle principali classi di lipidi dobbiamo innanzitutto introdurre gli acidi grassi, molecole composte da lunghe catene idrocarburiche e caratterizzate dal gruppo funzionale carbossilico (-COOH). Tra gli acidi grassi sono presenti molecole che vengono dette acidi grassi essenziali, in quanto il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli autonomamente ma li dobbiamo assumere con la dieta. Questi sono l’acido linoleico e l’acido linolenico. Oltre a questi ci sono anche dei derivati importanti degli acidi grassi, in particolare l’acido arachidonico, da cui derivano una serie di molecole importantissime con numerose funzioni all’interno del nostro organismo che vengono denominate prostaglandine. L’unione di una molecola di glicerolo con 3 molecole di acidi grassi dà una molecola di trigliceride. Il glicerolo è una molecola a tre atomi di carbonio contenente tre gruppi ossidrilici, (in giallo in figura), i tre gruppi ossidrilici possono formare tre legami di tipo estere con il gruppo carbossilico dell’acido grasso, composto da una lunga catena carboniosa; viene così eliminata una molecola d’acqua (processo di condensazione). Solo quando tutti e tre i gruppi ossidrilici sono esterificati la molecola viene detta trigliceride, altrimenti si parlerà di monogliceridi, se un solo acido grasso è esterificato, o di digliceridi, con 2 acidi grassi esterificati. Gli acidi grassi che formano il legame con il glicerolo possono essere saturi o insaturi e da questo dipende anche il punto di fusione e lo stato a temperatura ambiente; nel burro per esempio c’è una prevalenza di grassi saturi (catene lineari), e questo comporta che le catene dei trigliceridi possano impacchettarsi più strettamente fra di loro stabilendo delle interazioni di tipo idrofobico, comunque rilevanti anche se deboli all’interno della molecola. Questo fa sì che all’aspetto, a temperatura ambiente, siano solidi. Gli oli sono invece ricchi di grassi insaturi, ovvero grassi in cui sono presenti numerosi doppi legami, che conferiscono a queste strutture una sorta di alterazione della struttura lineare, costituendo delle pieghe che fanno sì che le interazioni di tipo idrofobico e le interazioni di Van der Waals fra le catene degli acidi grassi siano meno forti e stabili. Conseguentemente queste strutture sono liquide a temperatura ambiente (naturalmente però anche gli oli tendono a solidificare con il diminuire della temperatura esterna). Questo aspetto è molto importante da un punto di vista biologico; infatti gli acidi grassi saturi insieme al colesterolo sono considerati responsabili di alterazioni a livello del sistema cardiocircolatorio, questo perché in particolar modo tendono a Pag. 7 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 precipitare e a formare delle placche a livello dei vasi sanguigni limitando il passaggio di sangue. Fra questi vi sono anche gli acidi grassi trans, che pur contenendo un doppio legame sono considerati nocivi al pari di acidi grassi saturi; essi si ottengono per idrogenazione di acidi grassi insaturi. Negli anni è aumentata di conseguenza l’attenzione da un punto di vista clinico verso i livelli di trigliceridi e colesterolo nel sangue proprio legato a questo fatto. A livello biologico i trigliceridi presentano una varia disposizione nel nostro organismo, vengono accumulati da cellule dette adipociti che in caso di necessità mobilitano le macromolecole in questione verso i distretti che ne hanno bisogno. Gli acidi grassi infatti sono di grande utilità perché noi non ossidiamo soltanto il glucosio per produrre energia ma possiamo ossidare anche gli acidi grassi che anzi forniscono più energia a parità di peso di quanto non lo facciano gli zuccheri, per cui gli acidi grassi sono una fonte energetica importante per il nostro organismo e vengono utilizzati soprattutto quando le riserve di glucosio scarseggiano, quindi quando siamo lontani dai pasti o quando facciamo un'attività prolungata come ad esempio un’attività fisica di tipo aerobico. FOSFOLIPIDI I fosfolipidi sono una classe di lipidi che presentano, a differenza dei trigliceridi, un gruppo carico rappresentato dal gruppo fosfato. Esistono due principali categorie: ➔ I glicerofosfolipidi (detti anche fosfogliceridi); ➔ Gli sfingofosfolipidi. Entrambi questi due tipi di molecole hanno la caratteristica di essere molecole anfipatiche, cioè presentano una doppia polarità: una testa idrofila dove troviamo il fosfato ed eventuali sostituenti leganti il fosfato e poi delle catene (o code) idrofobiche che sono rappresentate dagli acidi grassi. Nei glicerofosfolipidi è sempre presente il glicerolo di base, con i suoi tre atomi di carbonio e i gruppi ossidrilici; due gruppi ossidrilici sono sempre esterificati dagli acidi grassi per cui si ha ancora una volta il legame estere con due acidi grassi, che possono essere diversi o uguali fra di loro, saturi o insaturi. Il terzo gruppo ossidrilico è invece legato ad un fosfato, che nei glicerofosfolipidi è a sua volta legato con un’ulteriore molecola che può essere di diversa natura. Generalmente, una molecola polare che va a costituire quella che viene chiamata la testa polare del fosfolipide. La macromolecola prende quindi il nome di glicerofosfolipide quando l’acido fosfatidico (glicerolo + due acidi grassi + fosfato) si lega ad un sostituente (X). Questo può essere un composto alcolico (colina, etanolammina, glicerolo, inositolo) o un amminoacido Pag. 8 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 (serina o treonina). Il glicerofosfolipide prende il nome dal proprio sostituente e quindi avremo: la fosfatidilserina, la fosfatidilcolina, etc. Per quanto riguarda la struttura tridimensionale del fosfolipide, la parte polare della testa non sta orientata parallelamente alle code apolari degli acidi grassi poiché vi è una repulsione tra la parte idrofobica, rappresentata dalla catena degli acidi grassi, e la parte polare, caratterizzata invece dal fosfato e dal suo sostituente. (Non occorre ricordarsi tutte queste formule, basta saper scrivere un trigliceride e un fosfolipide; al posto della X si può scrivere una X o attribuirgli uno dei sostituenti. Ricordarsi però che ci possono essere più sostituenti diversi). Gli sfingolipidi sono un’altra classe di fosfolipidi che però ha come struttura di base la sfingosina al posto del glicerolo. La sfingosina è un amminoalcol (in rosa nell’immagine), che presenta un gruppo idrossilico (-OH) e un gruppo amminico, più una lunga catena idrocarburica di circa 12 carboni. La catena idrocarburica quindi è molto lunga e mima nello spazio la struttura dell’acido grasso. La sfingosina si lega così ad un acido grasso per formare una molecola che viene chiamata ceramide. Possono essere inseriti anche un fosfato ed un sostituente per costituire delle molecole che sono strutturalmente molto simili alle molecole di fosfogliceridi. Pag. 9 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 Le strutture 3D degli sfingofosfolipidi e dei glicerofosfolipidi, anche se chimicamente diverse, sono molto simili; infatti le ritroviamo entrambe come componenti della membrana poiché hanno sia lo stesso ingombro sterico nello spazio sia presentano lo stesso modo di interazione fra le code. ➔ Nella fosfatidilcolina lo scheletro è rappresentato dal glicerolo a cui sono legati gli acidi grassi, il fosfato e la colina. ➔ Nella sfingomielina invece, che è appunto uno sfingofosfolipide, lo scheletro è costituito dalla sfingosina, con la catena carboniosa alifatica che mima un acido grasso. La sfingosina è presente sia come costituente dei fosfolipidi sia come costituente di un’altra classe di lipidi complessi di membrana detti glicolipidi, caratterizzati dall’assenza del gruppo fosfato. I fosfolipidi in generale e in particolare quelli derivanti dalla sfingosina sono molto abbondanti nel tessuto nervoso, dove vanno a costituire la guaina mielinica, che avvolge l’assone. La sfingomielina ne costituisce il 40%, i glicolipidi il 35% e la restante parte altri tipi di lipidi. Per cui queste strutture sono molto studiate anche in relazione a patologie degenerative importanti come la sclerosi multipla (ma ce ne sono molte altre) che si pensa siano strettamente connesse all'alterazione della guaina mielinica e dei suoi costituenti. GLICOLIPIDI I glicolipidi vengono suddivisi in due gruppi: 1. Quelli che legano un solo monosaccaride → cerebrosidi 2. Quelli che legano catene oligosaccaridiche → gangliosidi Il sostituente può essere vario; si può avere ad esempio il glucosio oppure il galattosio in quelli che vengono chiamati i galattocerebrosidi, anche detti glicolipidi neutri poiché la testa presenta un sostituente che non è carico. Vi sono però anche glicolipidi che possono presentare dei gruppi solfato, i sulfatidi, e ovviamente in questo caso non sono più neutri; anche questi li ritroviamo presenti in buone quantità a livello del tessuto nervoso. Nei gangliosidi la struttura è sempre la stessa: la sfingosina è legata ad un acido grasso e, legato al gruppo (–NH2) della sfingosina, non troviamo più un fosfato con un sostituente ma uno zucchero. Le funzioni dei glicolipidi sono numerose a livello cellulare e per questo sono anche molto studiate, infatti oltre ad essere delle componenti importanti della guaina mielinica i glicolipidi costituiscono anche dei recettori di membrana che mediano il riconoscimento tra cellule e organismi esterni alla cellula stessa. Legate a questi recettori sono presenti molte patologie chiamate patologie lisosomiali che sono dovute all’accumulo di alcuni lipidi per mancanza di enzimi in grado di degradarli. Pag. 10 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 La struttura dei glicolipidi determina anche i vari gruppi sanguigni, dovuti alla presenza di antigeni presenti sui globuli rossi. Da un punto di vista molecolare si tratta proprio di glicolipidi di membrana che caratterizzano i vari gruppi. I vari gruppi sanguigni si differenziano soltanto per l’aggiunta di uno zucchero diverso, mentre è presente una struttura comune a tutti e 4 (cioè glicolipide classico in cui la sfingosina è legata ad un acido grasso -ceramide- e ad essa è a sua volta legata una catena di oligosaccaridi): Gruppo A → presenza dell’antigene A di uno zucchero modificato; Gruppo B → presenza di un antigene B di un galattosio; Gruppo AB → presenza di entrambi Gruppo 0 → assenza dello zucchero modificato. Quindi la differenza tra questi gruppi è semplicemente data dalla presenza o assenza di un semplice zucchero e questo determina tutte le caratteristiche di compatibilità tra i gruppi sanguigni. Gli organismi che hanno un gruppo di tipo 0 (solo blocco comune), donatori universali, possono ricevere solamente dagli organismi di tipo 0 perché il nostro organismo ha la capacità di riconoscere quello che è self, ciò che è proprio, e quello che è estraneo; questo ci serve ovviamente per organizzare le difese immunitarie contro i patogeni, però vale anche per tutte quelle molecole che sono estranee ma non sono dannose. Ovviamente, se si prende un organismo che ha un gruppo B il sangue proveniente da un individuo di gruppo 0 non lo riconosce come estraneo perché questa struttura di base gli è nota poiché la possiede anche lui stesso. Il contrario non è vero: se io sono di gruppo 0 e ricevo una trasfusione di gruppo B il mio organismo viene a contatto con qualcosa di nuovo, di non conosciuto, e quindi attiva una risposta come se mi trovassi di fronte ad un organismo patogeno; lo stesso vale per l’individuo con il sangue di tipo A. Per cui il gruppo 0 viene considerato un donatore universale poiché questo blocco centrale del glicolipide si ritrova in tutti i gruppi sanguigni e quindi può essere riconosciuto da tutti. Conseguentemente, ci sono anche individui di gruppo AB che hanno entrambi i due tipi di antigene e che possono dunque ricevere sia da A, sia da B che da 0 poiché per loro è tutto noto (ricevente universale). Pag. 11 a 12 Biologia – Lezione n° 02 31/10/2018 STEROIDI L’ultimo gruppo di lipidi che è rappresentato dagli steroidi. La molecola che hanno in comune tutti i tipi di steroidi è il colesterolo. Il colesterolo è costituito da 4 anelli condensati, in cui tutti gli atomi di carbonio sono legati a idrogeni (-H) o gruppi metilici (-CH3) a caratteristica apolare, tranne quello in basso a sinistra che è l’unico carbonio legato ad un gruppo ossidrilico (-OH) e che è dunque l’unica regione polare del colesterolo. In alto è presente una lunga coda idrocarburica, anche questa regione apolare della molecola perché non sono presenti gruppi funzionali polari. Gli steroidi sono stati studiati tantissimo, sul colesterolo sono stati dati nel corso degli anni ben 13 premi Nobel, proprio perché è una molecola che nel nostro organismo ha svariate funzioni. Oltre a far parte, insieme ai fosfolipidi e ai glicolipidi, della membrana plasmatica (ruolo strutturale), il colesterolo è un precursore di tante molecole biologiche come la vitamina D, gli ormoni steroidei (sia estrogeni che il testosterone, ecc.), gli acidi biliari, aldosterone e cortisolo. Il colesterolo e i livelli di trigliceridi sono fattori importanti per le patologie del sistema cardiovascolare proprio per la loro capacità di depositarsi a livello dei vasi sotto forma di placche aterosclerotiche, per cui sono molecole nei confronti delle quali c’è molta attenzione. (Non importa sapere la formula delle molecole che derivano dal colesterolo, basta ricordarsi chi è il precursore di queste molecole importanti fra cui anche gli ormoni steroidei che sono responsabili dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come il testosterone nel maschio). CAROTENOIDI C’è un’ulteriore classe di lipidi, rappresentata dai carotenoidi. Sono strutture che derivano da una molecola di base, l’isoprene, e che hanno come caratteristiche una forte idrofobicità (come in tutti i lipidi), e un accentuato colore (si possono trovare in tutti quei frutti e ortaggi colorati, sono infatti i responsabili dei colori come il rosso, l'arancione, il giallo, etc.). Sono anche presenti nella colorazione del piumaggio degli uccelli oppure nell’esoscheletro dei crostacei. Sono lipidi importanti, soprattutto a livello nutrizionale, perché da alcuni di essi deriva la vitamina A. Pag. 12 a 12 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 Data: 06/11/2018 Materia: Biologia Professore: Magherini File audio di Biologia 06-11 riferimento: Durata file audio: 87:43 Coppia: COPPIA N°3/Renai-Peruzzi CENNI DI MICROSCOPIA La nascita dei primi microscopi, intorno al 1600, ha aperto la strada alla visione del mondo dei minimi, che prima era sconosciuto. A. van Leeuwenhoek, un commerciante di stoffe olandesi, fu uno dei primi a costruire un rudimentale microscopio disse “i miei occhi non hanno mai osservato niente di più piacevole a vedersi dell’esistenza di migliaia di creature viventi in una goccia d’acqua”. Questa frase riassume lo stupore collegato alle prime osservazioni del mondo microscopico. Adesso, con microscopi sempre più potenti, siamo in grado di osservare strutture sempre più piccole all’interno della cellula. Sono due le caratteristiche fondamentali nell’approccio alla microscopia: Ingrandimento → il rapporto fra le dimensioni apparenti dell’oggetto (le dimensioni che risultano al microscopio) e le dimensioni reali dell’oggetto. Indica di quanto vengono ingrandite le dimensioni dell’oggetto studiato, per esempio 10x vuol dire che l’oggetto è stato ingrandito 10 volte. Potere di risoluzione → la distanza minima che deve intercorrere fra due punti per poterli vere come separati. A seconda del potere di risoluzione di un microscopio è possibile indentificare come separati due punti estremamente vicini. Il potere di risoluzione di u microscopio ottico è di 0,2 micron, mentre quello di un microscopio elettronico è di 2 nanometri. Da un punto di vista fisico il potere di risoluzione di un microscopio è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda: la luce che ha una lunghezza d’onda elevata e intensità bassa ha un potere di risoluzione basso. Più energetica è la sorgente utilizzata per illuminare il campione e maggiore è la risoluzione, quindi un fascio di elettroni, che ha un’elevata energia e una bassa lunghezza d’onda sarà molto più efficace nel permettere di risolvermi due punti vicini fra di loro. Pag. 1 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 Con la microscopia ottica si può arrivare a visualizzare gli organuli o alcuni batteri, ma non è possibile vedere le ultrastrutture contenute all’interno di un mitocondrio (un protozoo è visibile al M.O.). Con il TEM il preparato viene “affettato” in fette sottilissime che vengono analizzate singolarmente e quello che si vede è una sezione dell’organismo. Esiste anche la microscopia elettronica a scansione (SEM) che restituisce la scansione tridimensionale della superficie esterna di ciò che si sta osservando. Non tutti i tipi di osservazione sono compatibili con il mantenere le cellule in vita, la microscopia elettronica richiede che il preparato sia morto. Esistono i microscopi a fluorescenza, che appartengono al gruppo dei microscopi ottici, e che sono molto utili nell’andare a vedere strutture specifiche (es. microtubuli, filamenti sottili, etc.), perché utilizzano molecole fluorescenti specifiche per la proteina o la struttura che si vuole evidenziare che, una volta legate a queste strutture, vengono eccitate con un laser ed emettono una fluorescenza. Adesso si ottengono immagini in fluorescenza su molti piani, senza effettivamente tagliare il preparato, e che poi il computer ricostruisce producendo un’immagine completa. Storicamente un altro metodo che è stato utilizzato per associare ad una particolare struttura delle determinate funzioni è stato quello della centrifugazione differenziale dei vari organuli cellulari, per capire quali fossero le funzioni di un particolare organulo era importante isolarlo ed andare a verificare le proteine in esso contenute e le funzioni enzimatiche e non di queste proteine. La centrifugazione differenziale degli organuli e delle strutture cellulari è tutt’ora ampiamente utilizzata e si effettua mediante l’uso di centrifughe che separano componenti cellulari man a mano più piccole aggiungendo campi centrifughi crescenti al preparato. Nella centrifugazione inizialmente le cellule vengono lisate, ovvero trattare con particolari sali o altre sostanze che rompono la membrana cellulare e permettono ai vari organuli di passare in soluzione. Dopo di che si effettua una centrifugazione applicando un basso campo centrifugo, i primi organuli a precipitare sono i nuclei, in quanto sono grandi e pesi. Se la frazione nucleare non interessa, si prende il sovranatante, ovvero la parte non precipitata, e si sottopone ad un’altra centrifuga, provocando così la precipitazione di mitocondri e cloroplasti e così via. Si possono ottenere pellet (precipitati) contenenti reticolo endoplasmatico, apparato di Golgi e con un metodo di centrifugazione in gradiente è possibile separare molecole di DNA di diverso peso molecolare. Mediamente tutte le cellule hanno le stesse dimensioni perché, da un punto di vista evolutivo, nel tempo si sono selezionate delle dimensioni cellulari ottimali: che permettevano alla cellula di mantenere l’omeostasi idoneo per le funzioni della cellula stessa. È importante la relazione che c’è fra la superficie e il volume della cellula: la cellula richiede che il rapporto fra la sua superficie e il suo volume si attesti ad un valore ottimale cosicché la cellula riesca a garantire un adeguato trasporto esterno o un sistema di membrane. Pag. 2 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 PROCARIOTI Sono i primi microrganismi comparsi sulla terra, intorno a 3,5 miliardi di anni fa. I primi a comparire sono organismi anaerobi eterotrofi, successivamente sono apparsi i primi batteri autotrofi (chemioautotrofi e fotoautotrofi). La classificazione in procarioti raggruppa due regni: Quello degli eubatteri; Quello degli archea. Sono accumunati dal fatto di avere il materiale genetico non racchiuso da membrana. i batteri hanno popolato tutti gli habitat terrestri, questo suggerisce la numerosità di questi organismi, che si sono adattati ad una varietà di ambienti diversi grazie ad un enorme varietà di metabolismi. I batteri possono essere suddivisi per una serie di caratteristiche: Per la loro forma in: - Cocchi → batteri rotondeggianti. - Bacilli → batteri con forma a bastoncino. - Vibrioni → batteri con forma a virgola. - Spirilli → batteri con forma a spirale o ricurva. Per l’associazione con altri batteri in: - Diplococchi se si associano a due a due. - Stafilococchi se sono organizzati a grappoli. - Streptococchi se sono disposti a catenelle. Per la temperatura ottimale di crescita: - Mesofili → la maggior parte dei batteri, con temperatura ottimale di crescita intorno ai 35-37°C. - Psicrofili → batteri che vivono a temperature molto basse, anche 0°C. - Termofili → batteri che hanno temperatura ottimale di crescita intorno a 80°C. Per le condizioni dell’ambiente in cui vivono, specialmente in presenza di ossigeno: - Aerobi → che vivono in presenza di ossigeno. - Anaerobi → i più somiglianti ai batteri ancestrali, per loro l’ossigeno è tossico e perciò vivono in delle nicchie in cui non è presente ossigeno. - Aerobi facoltativi → batteri, che pur utilizzando l’ossigeno, possono anche vivere in assenza di questo. - Anaerobi facoltativi → batteri che prediligono un ambiente privo di ossigeno, ma riescono a tollerare una certa presenza di questo. Per il loro metabolismo: - Chemioautotrofi → la loro fonte di energia è un meccanismo di ossidazione di molecole inorganiche (H2S, NH3, Fe2+) e fissano la CO2 in composti organici. - Fotoautotrofi → sfruttano la luce solare come fonte di energia e ricavano carbonio dalla CO2. Sono i ciano batteri e i solfobatteri. - Chemioeterotrofi → ottengono ATP ossidando composti organici e producono CO 2 partendo da composti organici. Sono come l’uomo. - Fotoeterotrofi → utilizzano l’energia solare per produrre ATP, ma non fissano la CO2. Per le relazioni che stabiliscono con l’uomo o con altri esseri viventi: - Simbionti → quei batteri che, convivendo con un ospite, generano un meccanismo di beneficio reciproco. Sono i batteri che vivono nell’apparato digerente degli erbivori. - Commensali → vivono insieme ad un organismo ospite senza indurre alcun danno. - Patogeni → quei batteri che inducono vari tipi di patologie all’organismo ospite. - Opportunisti → batteri generalmente innocui (possono essere commensali) che, o per diminuzione delle difese immunitarie dell’ospite o per un cambio di localizzazione, possono diventare patogeni. Un esempio è E. coli che normalmente si trova nel nostro tratto digerente, ma che quanto si sposta a livello delle vie urinarie provoca delle gravi infezioni. Pag. 3 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 Sono numerosi i batteri che vivono in simbiosi con il nostro organismo; negli ultimi 10 anni si è vista una stretta relazione fra i microrganismi che popolano il nostro apparato digerente e l’insorgere di varie patologie nel caso di mutamenti. L’insieme dei microrganismi che popolano il corpo umano prende il nome di microbiota e per ogni cellula eucariotica del nostro organismo ci cono 10 batteri. L’importanza di quest’insieme di organismi è stata dimostrata da numerosi studi: si è visto che il microbiota cambia in funzione dell’età, è influenzato dalla provenienza geografica, si stabilisce alla nascita e tende a rimanere stabile, è influenzato dalla dieta, dall’assunzione di antibiotici. Svolge varie funzioni come la digestione di alcuni carboidrati complessi e proteine, la sintesi della vitamina K e alcune vitamine del gruppo B, nella nutrizione delle cellule del colon, la risistemazione del sistema immunitario. L’alterazione di questo sistema è correlata a patologie molto gravi, come infezioni croniche, cancro al colon, un’alterata risposta immunitaria. I batteri sono utilizzatissimi in campo biotecnologico, per esempio alcuni batteri che sono in grado di digerire gli idrocarburi vengono sfruttati in operazioni di biorisanamento, altri sono usati nell’industria alimentare, ci sono batteri usati per la produzione di farmaci di interesse (vaccini, insulina). STRUTTURA DEI BATTERI Le dimensioni dei batteri variano da appena sotto il micron a 4 micron, posso assumere varie forme e partendo a osservare dall’esterno si delineano varie strutture: 1. La capsula → una struttura accessoria che non tutti i batteri possiedono; 2. La parete batterica; 3. La membrana citoplasmatica; 4. Il citoplasma → in cui è contenuto il materiale genetico, non avvolto da membrana e un unico tipo di organulo: i ribosomi. PARETE CELLULARE È una struttura esterna alla membrana che conferisce la forma e una certa rigidità ai batteri, li protegge dalla lisi osmotica. È diversa nei due gruppi fondamentali di batteri: I Gram postivi; I Gram negativi. Il nome Gram deriva dal medico che mise a punto una particolare colorazione diversa nei due tipi di batteri. La diversa colorazione corrisponde a delle differenze morfologiche: I Gram+ possiedono la parete costituita da uno spesso strato di peptidoglicano; Nei Gram– la parete è costituita da due strati: un sottile strato di peptidoglicano e una membrana più esterna. Pag. 4 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 Il peptidoglicano è formato da una componente glicidica e da una componente amminoacidica. Componente glicidica → costituita da un polisaccaride lineare in cui si alternano due zuccheri modificati, che sono l’N-acetilglucosamina e l’acido N-acetilmuramico. L’N- acetilglucosamina ha un sostituente (NH legato all’acetile CH 3CO) in posizione 2, mentre l’acido N-acetilmuramico ha lo stesso sostituente dell’N-acetilglucosamina in posizione 2 e al carbonio in posizione 3 è legato un sostituente più complesso, sempre però con un gruppo acido (COOH). L’alternanza di questi due zuccheri modificati (amminozuccheri) determina la struttura polisaccaridica di base del peptidoglicano. Componente proteica → legato al carbonio 3 dell’acido N-acetilmuramico ci sono 4 residui amminoacidici legati insieme. Quando le due catene lineari polisaccaridiche vanno a disporsi parallelamente fra le due corte catene tetra-peptidiche si formano dei legami crociati che legano fra di loro i due filamenti di polisaccaridi. il ponte fra le due catene peptidiche è formato da penta-glicine (nei gram +). Il legame fra queste catene tetra-peptidiche creano così una struttura abbastanza rigida, solida, che conferisce le caratteristiche di resistenza al batterio stesso. I legami possono essere diversi: legami crociati oppure in alcuni casi anche dei legami diretti, nei quali le catene polipeptidiche si uniscono tra di loro senza un ponte di glicine, in ogni caso la parte proteica serve a saldare tra di loro le componenti glicidiche. Nei Gram- vi è una membrana esterna al sottile strato di peptidoglicano che è molto importante poiché a livello di questa membrana ci sono dei polisaccaridi che sono responsabili della risposta immunitaria che inducono molti batteri GRAM negativi. La membrana della parete esterna è sempre di natura fosfolipidica, però è una membrana molto ricca di lipopolisaccaridi, delle strutture in grado di determinare la risposta immunitaria (stimolano per esempio la febbre) e questa ce l’hanno tutti quelli che noi riconosciamo come patogeni e questa struttura è diversa tra i vari ceppi di batteri in particolare è diversa la componente oligosaccaridica. Pag. 5 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 COLORAZIONE GRAM Questo tipo di colorazione prende il nome dal medico danese che la inventò. Inoltre, fece una suddivisione dei batteri in base alla colorazione Gram secondo le seguenti modalità divise in vari step: negli step 1 e 2 una popolazione mista di batteri, Gram positivi e Gram negativi, vengono colorati con una soluzione di cristalvioletto e iodo, per poi essere sottoposti a un lavaggio con precisi detergenti nello step 3, che determina due situazioni diverse: ➔ Gram positivi → rimangono colorati di viola poiché il cristalvioletto complessato con lo iodio non viene rimosso dai detergenti; ➔ Gram negativi → si decolorano completamente e a questi viene successivamente aggiunto un colorante rosa affinché siano ben visibili al microscopio GRAM + GRAM - La diversa sensibilità alla colorazione è dovuta proprio alla struttura della parete: GRAM + GRAM - ANTIBIOTICI Un’altra importante caratteristica legata alla parete è lo sviluppo di antibiotici in grado di agire sulla duplicazione dei batteri e inibirla all’interno del nostro organismo grazie alla capacità di interferire proprio con la sintesi della parete. Una delle caratteristiche degli antibiotici è quella di essere efficaci contro il batterio patogeno ma di non provocare danni all’ospite colpendo strutture caratteristiche del batterio assenti nelle cellule eucariotiche, vi è quindi una selettività dell’azione del farmaco che attacca solo strutture proprie dei batteri. Ne è un esempio la penicillina, che interferisce con la formazione dei legami crociati come abbiamo visto formatisi tra la componente peptidica e il peptidoglicano. Pag. 6 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 MEMBRANA PLASMATICA La membrana dei batteri è costituita da un doppio strato fosfolipidico in cui si alternano in un mosaico di fosfolipidi e proteine. Oltre ai classici fosfolipidi vi è un altro tipo di lipide, ovvero la cardiolipina (basta ricordiate il nome). Rispetto alla membrana plasmatica degli eucarioti, quella batterica presenta due differenze principali: ➔ A differenza delle cellule eucariotiche la membrana dei batteri non contiene il colesterolo ma contiene delle molecole a struttura simile chiamate opanoidi; gli unici batteri che possiedono nella loro membrana il colesterolo sono i micoplasmi. ➔ Mentre nelle cellule eucariotiche troviamo acidi grassi saturi e polinsaturi, nei procarioti non vi sono acidi grassi polinsaturi ma ramificati. La membrana dei procarioti può assumere delle strutture particolari, lamellari o tubulari, che vanno sotto il nome di mesosomi; questi sono delle strutture specializzate derivanti dalla membrana dei batteri che assolvono tutta una serie di funzioni che generalmente nelle cellule eucariotiche sono svolte all’interno degli organuli grazie alla proprietà di compartimentazione (per esempio la catena di trasporto degli elettroni funziona bene perché tutti i componenti della catena di trasporto sono situati sulle membrane interne dei mitocondri), assente nei procarioti. Tali strutture sono importanti, ad esempio, perché pur non avendo i cloroplasti, i batteri fanno comunque la fotosintesi e grazie ai mesosomi queste funzioni non si disperdono nel citoplasma. La presenza dei mesosomi è molto importante perché nelle vie metaboliche gli enzimi lavorano spesso a catena come una sorta di catena di montaggio, il prodotto di una reazione diventa il substrato della reazione successiva, questo se voi immaginate questi enzimi dispersi a caso nel citoplasma diventa un processo poco efficiente, se io li immagino però vicini così che il prodotto rilasciato da uno sia subito disponibile per un altro enzima è chiaro che questo processo diventa più efficiente. I batteri che non hanno organuli generano questa sorta di compartimento artificiale organizzando determinate funzioni a livello dei mesosomi. Ricapitolando, contengono gli enzimi e le proteine necessarie alla respirazione e alla fotosintesi, ci possono essere associati degli enzimi che servono alla sintesi della parete cellulare e inoltre funzionano anche come punto di ancoraggio per il DNA soprattutto durante la divisone del batterio in due batteri (scissione binaria). La membrana plasmatica quindi non è solo uno strato che circonda la cellula ma ci sono numerose strutture, le quali possono organizzarsi in maniera lamellare, parallele tra di loro, oppure possono disporsi a formare delle strutture tubulari. MATERIALE GENETICO Il materiale genetico non è raccolto da membrane, però generalmente è in parte ancorato a una regione del citoplasma della cellula che si chiama nucleoide; con questo termine ci si riferisce quindi al materiale genetico del batterio ancorato a una regione della membrana, quindi in una zona precisa all’interno del citoplasma del batterio stesso. Il materiale genetico dei procarioti è costituito generalmente da una molecola di DNA circolare sempre a doppio filamento, non esistono infatti organismi viventi con DNA a singolo filamento contenente l’informazione genetica (ci saranno nei virus, ma negli organismi viventi quando si parla di una singola molecola di DNA si sottintende che è un doppio filamento). Oltre al DNA genomico ci sono delle molecole di DNA accessorio più piccole, sempre circolari e sempre a doppio filamento, che prendono il nome di plasmidi. Questi non sono necessari per la vita del batterio ma spesso conferiscono al batterio delle caratteristiche vantaggiose per cui la maggior parte dei batteri li contiene al proprio interno. I plasmidi possono contenere geni che servono per la resistenza ai farmaci e in particolar modo agli antibiotici, possono servire per il trasferimento delle informazioni genetiche da un batterio a un altro, oppure possono servire per alcune attività metaboliche; da un punto di vista strutturale sono divisi dal DNA genomico e si duplicano indipendentemente da esso, non necessariamente in contemporanea. Pag. 7 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 Quando si parla di episomi, ci si riferisce a quei plasmidi che hanno la possibilità di integrarsi all’interno di un cromosoma batterico, quindi se un plasmide si integra nel cromosoma batterico viene chiamato episoma. Queste molecole extra cromosomiche presenti nei batteri possono essere chiamate anche fattori (si indicano ad esempio più propriamente come fattori quei tipi di molecole circolari che contengono i geni) e possono contenere geni diversi con funzioni diverse: Fattori di fertilità → contengono geni per la formazione dei pili sessuali, strutture che i batteri utilizzano per il trasferimento di geni da un batterio all’altro e che rappresentano una modalità di ricombinazione genetica dei batteri (ad esempio la coniugazione è un meccanismo di trasferimento di materiale genetico attraverso i pili da un batterio all’altro). Fattori di resistenza → sono plasmidi che portano geni per la resistenza agli antibiotici, quindi geni che codificano proteine che in qualche modo sono in grado di inattivare l’efficacia degli antibiotici con varie modalità. È interessante che, talvolta, questi plasmidi di resistenza possano acquisire anche la capacità di essere trasferiti da un batterio a un altro, cioè all’interno dello stesso plasmide avere sia la capacità di formare pili sia la capacità di codificare per caratteristiche che conferiscono resistenza all’antibiotico. Questa situazione rappresenta un pericolo perché, a quel punto, la resistenza per un antibiotico sviluppata da un batterio può trasferirsi ad altri batteri che prima erano sensibili ad un determinato antibiotico e da qui discende la problematica molto vasta dell’aumento della resistenza agli antibiotici che i batteri patogeni stanno incrementando, cioè i batteri patogeni progressivamente stanno diventando sempre più resistenti a una vasta gamma di antibiotici e questo è estremamente negativo; i motivi sono molti, uno soprattutto: l’utilizzo indiscriminato di antibiotici rappresenta da un punto di vista evolutivo un meccanismo di pressione selettiva; introducendo in un ambiente particolare una pressione selettiva i batteri tendono a selezionare le caratteristiche genetiche che sono favorevoli a questo nuovo ambiente, quindi i batteri resistenti si duplicheranno, se possono trasferiranno la resistenza ad altri batteri e quindi aumenteranno il pool, ovvero il gruppo di batteri resistenti a un determinato tipo di antibiotico, quindi anche questo aspetto della trasmissione della resistenza è un aspetto attualmente molto studiato. Alcuni plasmidi hanno al loro interno geni che codificano per proteine che sono delle tossine, le quali possono causare vari danni nell’organismo dell’uomo e degli animali, mentre altri plasmidi hanno la caratteristica di portare geni per enzimi che servono per alcune caratteristiche proprietà metaboliche del batterio stesso. RIBOSOMI Un’altra struttura che è presente all’interno dei batteri è rappresentata dai ribosomi, organuli non rivestiti da membrana, che rappresentano gli unici organuli presenti all’interno della cellula batterica. STRUTTURE ACCESSORIE Sono strutture presenti soltanto in alcuni ceppi batterici e non in altri; queste strutture sono la capsula, i flagelli, le ciglia, i pili (o fimbrie) e le spore. Pag. 8 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 La capsula è una struttura esterna al batterio, di natura proteica, polisaccaridica o entrambe; essa riveste interamente il batterio e rappresenta un meccanismo di difesa molto utile perché i batteri capsulati sono meno riconosciuti dalla prima soglia di difesa del nostro sistema immunitario, rappresentata dai macrofagi. Un metodo per visualizzare i batteri con capsula è quello di colorarli con dell’inchiostro, questo infatti non riesce a penetrare all’interno della capsula e i batteri risultano quindi visibili perché circondati da un alone nero di inchiostro che non riesce a penetrare all’interno della capsula stessa. Le caratteristiche di questa struttura sono diverse: Conferisce un vantaggio perché impedisce il riconoscimento da parte del sistema immunitario. Favorisce l’aggregazione dei batteri tra di loro. Va ad offrire tutta una serie di funzioni che possono essere importanti per la virulenza e la patogenicità di numerosi batteri. Funge da barriera nei confronti degli antibiotici. I batteri capsulati possono aggregarsi tra di loro formando delle strutture che vengono dette biofilm, questi sono molto studiati perché formano delle strutture resistenti , anche in questo caso poco attaccabili dagli antibiotici; tali biofilm si formano per esempio sui denti (la placca dentaria deriva dalla formazione di un microfilm) ma si possono formare anche a livello delle vie urinarie dando luogo a infezioni resistenti agli antibiotici e recidivanti); la formazione di un biofilm prevede una prima colonizzazione di batteri che aderiscono alla superficie e rappresentano una sorta di nucleo di aggregazione, seguita dall’arrivo di altri batteri che si attaccano ai primi grazie anche a delle molecole di adesione che si trovano sulla superficie batterica, poi ne arrivano altri ancora e ancora e si genera quello che viene chiamato proprio microfilm, nel quale i batteri più interni sono sì svantaggiati perché hanno meno accesso ai nutrienti, ma sono anche coperti e quindi molto resistenti ad un eventuale tentativo di eliminazione ad esempio utilizzando degli antibiotici. I biofilm sono molto studiati non solo per l’uomo, infatti essi danneggiano strutture come ad esempio le tubature, per cui sono diffusi non soltanto a livello di altri organismi ma anche in strutture metalliche e così via. I flagelli sono strutture che servono alla locomozione e sono costituiti da una proteina che si chiama flagellina; si differenziano dai flagelli eucariotici per la struttura. I batteri possono prendere nomi diversi a seconda della posizione che i flagelli occupano a livello della superficie batterica. I pili sono strutture più corte rispetto ai flagelli e sono costituiti da una proteina chiamata pilina; all’estremità possono essere presenti anche delle proteine di adesione, infatti tra le loro svariate Pag. 9 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 funzioni c’è quella di adesione cellula-cellula, che può avvenire sia tra due batteri (importante per esempio nella formazione dei biofilm), sia tra batteri e substrati. In alcuni casi si parla di pili coniugativi o pili sessuali, importanti perché rappresentano dei ponti di collegamento tra due batteri attraverso i quali il materiale genetico può essere trasferito da un batterio all’altro creando variabilità genetica. Le spore sono strutture che possono formare soltanto alcuni tipi di batteri; sono strutture estremamente resistenti (resistono all’assenza di acqua, alla temperatura, etc.) che questi batteri sviluppano e formano generalmente quando si trovano in condizioni avverse, e sono in grado, se le condizioni tornano ad essere ottimali, di germinare, cioè ridare origine al batterio. È una prerogativa dei Gram positivi e ne sono un esempio i clostridi, batteri che causano patologie in grado di produrre delle spore. Formazione delle spore: Si formano delle strutture derivanti dalla membrana plasmatica (che fanno parte della famiglia dei mesosomi) a cui si ancora il DNA, che una volta ancorato si duplica. Il DNA duplicato viene mantenuto in due distretti separati, un distretto della cellula originaria, la quale in seguito si degraderà, e un distretto della spora che invece verrà rilasciata. La spora si arricchisce di strutture esterne di natura proteica che conferiscono rigidità e impermeabilità all’ambiente esterno e viene infine rilasciata completamente disidratata (non c’è acqua, nella spora non ci sono reazioni biochimiche, non c’è niente). Nel caso in cui le condizioni ambientali risultino favorevoli, la spora può dar luogo a un batterio Esempi di batteri sporigeni (in grado cioè di fare le spore): Il batterio responsabile dell’antrace → generalmente non è patogeno a meno che le spore non penetrino nei polmoni, determinando un’infezione; dopo l’11 settembre le spore dell’antrace furono utilizzate in una sorta di guerra batteriologica (lettere contaminate con le spore venivano spedite in America). Il clostridio che genera il tetano → il tetano deriva, nel caso dell’uomo, da questo clostridio che vive nell’apparato digerente degli erbivori e produce spore che vengono rilasciate sul terreno con le feci degli animali; se uno si fa una ferita profonda, magari necrotica, dove penetrano le spore queste possono poi germinare e produrre la tossina che si chiama tossina tetanica, che causa gravi danni al sistema nervoso fino alla morte. Anche se prima spesso il tetano veniva contratto da chi lavorava nei campi o si moriva di tetano durante i parti, al giorno d’oggi questo non succede più grazie ai vaccini. Il clostridio che genera il botulino → la possibilità che il botulino venga a contatto con l’uomo dipende dalla cattiva conservazione dei cibi, questo è infatti un organismo anaerobio che quindi si può trovare sott’olio o nei cibi mal conservati; in questo caso la tossina che esso produce è una tossina neurotossica che porta alla morte. Pag. 10 a 11 Biologia – Lezione n° 03 06/11/2018 Tutto ciò che è stato detto finora riguarda prevalentemente gli eubatteri, mentre gli archeobatteri hanno altre caratteristiche particolari. ARCHEOBATTERI Gli archeobatteri vengono suddivisi in delle categorie che derivano dagli ambienti in cui sono stati trovati e in cui sono in grado di sopravvivere: ➔ I termofili estremi sono quelli che vivono a temperature superiori a 50 gradi (sono stati trovati anche all’interno dei geyser quindi a temperature elevatissime) e sono importanti perché da questo tipo batteri è estratta una polimerasi che viene utilizzata nelle PCR, nelle reazioni della polimerizzazione a catena del DNA, nelle quali vi sono degli step ad alta temperatura che una polimerasi normale, batterica o no