Biologia I - Lezione II (PDF)
Document Details
Uploaded by Deleted User
2023
Cammisotto Vittoria
Tags
Summary
This document is a lecture note on bioenergetics, enzymes, and metabolism from a Biology I course. The document covers topics such as thermodynamics, energy transformations, and the role of enzymes. It offers a detailed overview of energy conversions, with examples like cellular respiration and photosynthesis.
Full Transcript
BIOLOGIA I – LEZIONE II, 31/10/2023 Docente: CAMMISOTTO VITTORIA SBOBINATORE: Ciotola Martina REVISISORI: Pellacchi Francesca, Gaia, Adriana BIOENERGETICA, ENZIMI E METABOLISMO Le cellule organizzate in tessuti, sistemi e apparati che costituiscono il nostro organismo svolgono le azioni di vita...
BIOLOGIA I – LEZIONE II, 31/10/2023 Docente: CAMMISOTTO VITTORIA SBOBINATORE: Ciotola Martina REVISISORI: Pellacchi Francesca, Gaia, Adriana BIOENERGETICA, ENZIMI E METABOLISMO Le cellule organizzate in tessuti, sistemi e apparati che costituiscono il nostro organismo svolgono le azioni di vita quotidiana, come camminare o pensare, grazie all’introito di energia, ricevuto dal cibo che viene trasformato grazie a particolari proteine chiamate enzimi, quindi noi ‘’non siamo ciò che mangiamo’’, ma piuttosto siamo ciò che i nostri enzimi ci rendono. L’energia, introdotta nel nostro organismo tramite i cibi, deve essere convertita per poter essere fruibile, quindi a partire dalle semplici molecole possiamo ricavare due tipi principali di energia: ENERGIA TERMICA ed ENERGIA CHIMICA. L’energia termica è rappresentata dai movimenti tipici delle molecole che costituiscono la materia, cioè traslazione, rotazione, vibrazione, che avvengono grazie alla temperatura dell’ambiente circostante; mentre l’energia chimica è rappresentata dai legami esistenti tra le varie molecole e gli atomi, le interazioni. TERMODINAMICA La branca della biologia che studia le reazioni che governano le trasformazioni dell’energia in tutte le sue forme e la gestione dell’energia è la termodinamica. Per parlare di termodinamica, è necessario utilizzare uno specifico vocabolario. Il primo termine è SISTEMA TERMODINAMICO, ossia un sistema macroscopico, un organismo costituito da atomi e molecole, governato da una serie di parametri, definiti PARAMETRI TERMODINAMICI che sono la temperatura, la pressione, il volume e lo stato di aggregazione delle molecole. Un sistema termodinamico è separato dall’ambiente circostante o comunque dagli altri sistemi tramite una superficie ideale o reale e può essere di tre tipi: - Sistema termodinamico ISOLATO: se non è capace di scambiare né energia né materia con l’ambiente circostante, quindi non ha alcun tipo di interazione; - Sistema termodinamico CHIUSO: in cui c’è uno scambio di energia, ma non di materia, quindi ci può essere un passaggio di un flusso di cariche, di calore, ma non di particelle (molecole); - Sistema termodinamico APERTO: in cui c’è uno scambio di energia e di materia con l’ambiente circostante, come avviene nell’organismo umano. Il sistema termodinamico è in equilibrio DINAMICO se tutti i parametri termodinamici (descritti prima) che specificano il suo stato non variano nel tempo nonostante l’ambiente circostante sia in continuo mutamento. Quando invece i parametri termodinamici cambiano nel tempo si va incontro ad una trasformazione termodinamica che può essere di vari tipi: - Trasformazione termodinamica CHIUSA: quando alla fine di tale trasformazione tutti i parametri tornano allo stato iniziale; - Trasformazione termodinamica APERTA: quando tutti i parametri saranno modificati in modo stabile, e non viene ripristinata la condizione iniziale; - Trasformazione termodinamica REVERSIBILE: quando il passaggio dallo stato iniziale allo stato finale avviene attraverso una successione intermedia di stati di equilibrio - Trasformazione termodinamica IRREVERSIBILE: quando gli stati intermedi della trasformazione non sono stati di equilibrio. Le trasformazioni che avvengono normalmente in natura sono del tipo irreversibile. Le trasformazioni termodinamiche, a seconda dei parametri considerati, possono essere ISOTERME, cioè a temperatura costante, ISOMETRICHE o ISOCORE, cioè a volume costante, ISOBARE, cioè a pressione costante e ADIABATICHE, se non c’è scambio di calore tra due sistemi. Se le trasformazioni termodinamiche coinvolgono anche variazioni di struttura del sistema si parla di trasformazioni di stato: FUSIONE, SOLDIFICAZIONE, EVAPORAZIONE, CONDENSAZIONE, EBOLLIZIONE. Ci sono delle leggi che governano i passaggi di energia e quindi le trasformazioni termodinamiche: I LEGGE DELLA TERMODINAMICA: l’energia di un sistema termodinamico non si crea, non si distrugge, ma si trasforma, passando da una forma ad un’altra. Ciò avviene in diversi sistemi sia biologici sia non biologici, ad esempio nel ventilatore (sistema non biologico) si parte da energia elettrica e si arriva all’energia meccanica che consente di muovere le pale del ventilatore; oppure nella capacità delle cellule (sistema biologico) di utilizzare l’ATP come moneta energetica chimica trasformabile in altre forme di energia tipo in energia meccanica, ad esempio nelle cellule flagellate che riescono a muoversi tramite il flagello; oppure in energia termica nella contrazione muscolare; oppure ancora in energia elettrica nei neuroni. Nella fotosintesi invece l’energia solare che viene catturata dalle piante durante il dì viene poi trasformata in energia chimica durante la notte per produrre carboidrati, proteine e tutti i metaboliti necessari alla cellula. Appurato che l’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma, è anche necessariamente vero che la quantità totale dell’energia dell’universo deve rimanere costante. L’energia non viene né prodotta né distrutta, ma viene sempre riutilizzata sotto altre forme. Modificazioni di un sistema termodinamico, come ad esempio una cellula, possono essere dovute alla produzione di calore e all’esecuzione di un lavoro, quindi il primo principio della termodinamica può essere riassunto da un’equazione matematica, secondo cui la variazione di energia interna di un sistema è uguale alla differenza tra il calore assorbito dal sistema e il lavoro compiuto. Le trasformazioni di energia consistono in scambi di energia tra sistema e ambiente. Un sistema termodinamico, o sistema, è l’insieme delle sostanze che partecipano a una reazione chimica. L’ambiente è lo spazio che circonda un sistema. Il sistema termodinamico abbiamo detto che è separato dall’ambiente esterno, come ad esempio una soluzione di HCl con una superficie reale rappresentata dal becker che separa il sistema dall’ambiente circostante, se tale soluzione si riscalda, all’interno del becker avviene una serie di reazioni che consentono di svolgere legami (energia chimica) o distribuire le molecole all’interno del becker in un determinato modo. Si chiama calore di reazione (Q) la quantità di calore che una reazione chimica libera nell’ambiente o assorbe dall’ambiente. Viene espresso in kilojoule (kJ). Lo sviluppo e l’assorbimento di calore è il risultato di scambi che si verificano tra l’energia termica e l’energia chimica del sistema. LE REAZIONI POSSONO ESSERE ESOTERMICHE O ENDOTERMICHE: Se ci sono dei reagenti, in base all’energia assorbita o rilasciata, possono essere trasformati in prodotti, se parliamo di energia termica assorbita dall’ambiente sottoforma di calore si ha una REAZIONE ENDOTERMICA. Se il sistema sprigiona calore verso l’esterno si ha una REAZIONE ESOTERMICA. Se i prodotti hanno maggiore quantità di energia chimica dei reagenti, l’energia termica eccedente si trasforma in energia chimica. Il sistema assorbe energia termica dall’ambiente come calore: la reazione è endotermica. Reazioni endotermiche sono le reazioni di decomposizione. Se i prodotti hanno minore quantità di energia chimica dei reagenti, l’energia chimica eccedente si trasforma in energia termica, ceduta dal sistema come calore: la reazione è esotermica. Reazioni esotermiche sono le reazioni di combustione. Ad esempio nella fotosintesi durante il dì si ha un’energia interna del sistema molto alta perché viene assorbita energia solare, quindi calore, al contrario durante la notte l’energia interna diminuisce perché tutta l’energia immagazzinata durante il dì viene sprigionata per svolgere tutte quelle reazioni indispensabili all’attività cellulare. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA: qualsiasi sistema tende spontaneamente verso una condizione di massimo disordine, definito con il termine ENTROPIA. Se si considera l’universo come un sistema isolato, tutte le reazioni spontanee che avvengono in esso, producono un aumento di entropia dell’universo. La cellula tuttavia sembra sfidare il II principio della termodinamica, poiché è un sistema molto ordinato, in quanto la cellula non è un sistema isolato, ma un sistema all’interno di altri sistemi con i quali scambia energia. La cellula inizialmente assorbe calore dall’ambiente circostante che utilizza per riorganizzarsi in modo ordinato, e poi cede calore all’esterno provocando disordine all’esterno; quindi il II principio della termodinamica in realtà viene rispettato. La variazione di entropia ΔS° corrisponde alla differenza tra l’entropia dei prodotti e quella dei reagenti; ΔS° = S°prodotti – S°reagenti. In generale, una qualsiasi trasformazione chimica o fisica spontanea è caratterizzata da ΔS universo > 0. Quando nell’universo si ha un evento spontaneo, è sempre accompagnato da un aumento di entropia. L’entropia dell’universo è in costante aumento. Ricapitolando in base al II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA, l’energia dell’universo è costante e che l’entropia è in continuo aumento. Un’altra variabile fondamentale da prendere in considerazione rispetto ai sistemi termodinamici è l’ENERGIA LIBERA DI GIBBS ossia una funzione di stato legata all’entalpia, ossia l’energia totale del sistema e coinvolge altri due parametri, la temperatura e la variazione dell’entropia. L’energia libera di GIBBS è importante in quanto è indice della spontaneità o non spontaneità di una reazione. Se l’energia libera di Gibbs è maggiore di zero, si creano dei legami nella cellula e il sistema risulta ordinato, e la reazione non è spontanea, mentre quando delta G è minore di zero, la reazione è spontanea. PROCESSO ENDOERGONICO: ΔG > 0 e necessita di energia per avvenire ΔS è molto negativa si creano numerosi legami e il processo evolve verso uno stato più ordinato che richiede molta energia per stabilire i legami atomici. In questo caso il processo non può avvenire spontaneamente. PROCESSO ESOERGONICO: ΔG < 0 può verificarsi spontaneamente. Ad esempio quando in un sistema vivente cessano le funzioni vitali spontaneamente il sistema non è in grado di gestire gli scambi energetico con l’ambiente esterno ed evolve verso il disordine (il sistema è isolato) e si ha la decomposizione del cadavere. Per fare un ulteriore esempio si pensi alla riorganizzazione dell’acqua sottoforma di ghiaccio in cui gioca un ruolo importante la temperatura e si ha una diminuzione dell’entropia e dell’entalpia in quanto le molecole di acqua sono più ordinate. A basse temperature l’entropia dell’energia libera si riduce fin quando diventa favorevole l’entalpia dei legami idrogeno, a questo punto il ghiaccio diventa energeticamente più favorevole rispetto all’acqua. Si è detto che ogni reazione chimica comporta delle trasformazioni energetiche, infatti avendo due reagenti A e B, questi possono reagire tra loro, formare dei legami e trasformarsi nel corso del tempo in prodotti. La maggior parte delle reazioni è reversibile, cioè i prodotti possono trasformarsi nuovamente in reagenti. Si può definire una costante di equilibrio in una reazione chimica, ossia il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni dei prodotti e il prodotto delle concentrazioni dei reagenti. Se essa è maggiore di 1 la reazione è favorita verso i prodotti, se è minore di 1 è favorita verso i reagenti. Esiste anche la costante di dissociazione che ci permette di capire la tendenza di due molecole a restare unite. La principale molecola energetica del nostro organismo è l’ATP che fornisce energia tramite una reazione chimica di IDROLISI, introducendo una molecola di acqua si ha la formazione di una nuova molecola l’adenosindifosfato che si trova ad un livello energetico più basso dell’ATP e il fosfato inorganico. L’idrolisi dell’ATP è una reazione altamente favorita (esoergonica), infatti il deltaG è estremamente negativo -7,3 Kcal/mol, quindi è una reazione spontanea. Il gruppo fosfato si può trasferire a una serie di altre molecole, come aminoacidi, zuccheri, proteine, modificandone le proprietà e generando una risposta desiderata. II PARTE ENZIMI COME CATALIZZATORI BIOLOGICI Le trasformazioni energetiche possono essere coadiuvate da alcuni fattori, i catalizzatori in quanto le reazioni che avvengono nel nostro organismo devono essere efficaci e veloci. In un sistema biologico esistono gli enzimi, delle proteine. BREVE STORIA DEGLI ENZIMI: 1. Louis Pasteur nel 1850 scopri che il fenomeno della fermentazione non era spontaneo ma veicolato da delle cellule di lievito, quindi senza la presenza di queste cellule la fermentazione non avveniva. 2. Eduard Buehner nel 1897: vide che facendo un estratto del succo cellulare di lievito il processo di fermentazione avveniva comunque, quindi dedusse che delle molecole contenute all’interno di queste cellule dovessero compiere l’atto della fermentazione (l’estratto cellulare è chiamato zimasi) 3. James Summer nel 1927, cercò di purificare, cristallizzandola, la proteina ureasi, un enzima. Successivamente fece uno spettro ai raggi X e vide che quel composto che sapeva essere un enzima era anche una proteina. Quindi solo nel 1927 si capì che ciò che rendeva efficaci le reazioni chimiche sono gli enzimi, cioè proteine che aumentano la velocità delle reazioni chimiche sia all’interno sia all’esterno della cellula. Gli enzimi sono definiti catalizzatori biologici e sono molto efficaci anche in piccole quantità poiché non vengono degradati, ma vengono riutilizzati. Gli enzimi per poter svolgere le proprie funzioni non devono essere degradati durante le reazioni, non devono influenzare l’equilibrio di una reazione reversibile, devono accelerare la formazione dei prodotti ma non devono impedire la riformazione dei prodotti in reagenti. Gli enzimi non rendono una reazione irreversibile. L’enzima deve essere in grado, tramite il suo sito attivo, di interagire con un substrato, formando il complesso enzima-substrato, alla fine il substrato viene trasformato in prodotto e l’enzima viene rilasciato inalterato, nella sua forma iniziale, così da poter essere riciclato per una nuova reazione. Gli enzimi sono la classe di proteine più numerosa; il loro numero, infatti, è molto elevato, stimabile tra 10 000 e 20 000. La loro funzione è solo quella di rendere più veloce (talora fino a 1016 volte) la reazione chimica in entrambe le direzioni, modificando il tempo necessario per il raggiungimento dell’equilibrio chimico. Molecole che si legano all’enzima, delle quali l’enzima catalizza la trasformazione, sono generalmente di natura organica e vengono dette SUBSTRATI, prima della reazione, e PRODOTTI, dopo la trasformazione. Il SITO ATTIVO è l’area sulla superficie dell’enzima dove si lega il substrato per effettuare la catalisi a prodotto. Questa zona, spesso paragonata a una tasca, in genere ha dimensioni limitate. Nel caso in cui gli enzimi siano proteine coniugate, la parte proteica del complesso viene detta APOENZIMA, mentre quella non proteica (molecole, ioni organici o inorganici ecc.) si dice COFATTORE L’insieme dell’apoenzima e del cofattore viene detto OLOENZIMA. Il cofattore, indispensabile affinché l’enzima possa svolgere la sua funzione catalitica, può cambiare il nome in COENZIMA, quando è una molecola organica particolarmente complessa, oppure viene detto GRUPPO PROSTETICO quando risulta legato all’apoenzima in modo stabile, in genere con legami covalenti. Un esempio di gruppo prostetico è quello dell’emoglobina che permette il legame del ferro con l’ossigeno. Ci sono alcuni enzimi detti ZIMOGENI o PROENZIMI sintetizzati dalla cellula in forma inattiva e successivamente trasportati nei distretti dove devono agire. Qui vengono modificati chimicamente e trasformati nelle forme attive. È questo il caso di numerosi enzimi digestivi. L’efficienza catalitica di un enzima è misurata dal suo numero di turnover o attività molecolare che esprime il numero di molecole di substrato di cui una molecola di enzima catalizza la trasformazione nei prodotti nell’unità di tempo e in condizioni di reazioni ottimali. PROPROTEINA CONVERTASI SUBTILISINA/KEXIN TIPO 9 (PCSK9) E’ una serina proteasi coinvolta nella regolazione dei livelli del recettore delle lipoproteine a bassa densità (LDLR). E’ uno zimogeno prodotto a livello epatico, molto importante a livello clinico, in quanto è capace di modulare i livelli di colesterolo, subisce poi un taglio catalitico si trasforma nella sua forma attiva ed è capace di legare il recettore per le LDL, in questo modo non viene più riciclato ma viene degradato a livello lisosomiale, comportando un aumento in circolo delle LDL. In condizioni di ipercolesterolemia si può inibire tale enzima, che in questo modo non lega più il recettore per le LDL, per fare ciò si utilizzano gli anticorpi monoclonali che legano PCSK9 in modo da impedire il suo legame con il recettore delle LDL. Con questi anticorpi monoclonali si riduce la quantità di LDL del 63%/73%, target terapeutici che non si raggiungono con la stamina che serve sempre a trattare l’ipercolesterolemia. Gli enzimi permettono alle cellule di svolgere le reazioni in tempi brevi e in condizioni compatibili con la vita. lo stato di transizione è uno stato in cui l’enzima e il substrato sono pronti per essere trasformati in prodotti, a quel punto si ha il rilascio di energia e si abbassa l’energia e si formano i prodotti, e la capacità dell’enzima è quella di abbassare l’energia di attivazione rendendo la reazione più veloce ed efficace. L’enzima riesce a fare ciò creando degli step, degli stadi intermedi durante la reazione chimica frazionando l’energia in più step, formando dei prodotti intermedi fino ad arrivare al prodotto finale, quindi l’energia totale è sempre la stessa ma si può reperire ‘’un po’ alla volta’’ durante la reazione. Gli enzimi funzionano rendendo il percorso più frazionato e quindi più percorribile da parte delle molecole coinvolte nella reazione. IN FIGURA SI NOTA: 1. L’enzima si lega al substrato formando un intermedio ES e questa parte della reazione ha sua propria energia di attivazione (1), ovviamente molto inferiore a quella della reazione in assenza dell’enzima. 2. il substrato si trasforma in prodotto, necessitando di una seconda energia di attivazione (2); 3. infine, avviene la totale liberazione tra l’enzima e il prodotto stesso, utilizzando una terza energia di attivazione (3). La somma delle tre energie di attivazione è uguale a quella della reazione totale in assenza di enzima, ma tale energia viene utilizzata in maniera frazionata ed è quindi più facile reperirla. Il substrato si lega all’enzima in maniera specifica tramite il sito attivo dell’enzima, si trova all’interno di una sorta di tasca, formato da una serie di amminoacidi che hanno delle cariche elettriche sulle catene laterali nella tasca del sito attivo che consentono un’interazione elettrostatica con il substrato in modo da consentire sia l’associazione che la dissociazione. Quindi c’è una complementarietà strutturale. L’enzima modifica leggermente le proprie caratteristiche per adattarsi bene al substrato. La figura in basso mostra cosa succede a livello del sito attivo: ci sono due cilindri rosso e blu che sono il substrato e quella struttura gialla è l’enzima con due tasche complementari al substrato, quando il substrato si lega al sito attivo dell’enzima si ha una ridistribuzione delle cariche elettriche in modo tale che si stabilizza la struttura, si ha una modifica strutturale dell’enzima che si può anche flettere in alcuni casi, in modo da adattare meglio l’enzima al substrato oppure, una volta formati i prodotti, per allontanare il prodotto finale e ripristinare la struttura originale dell’enzima. MECCANISMO CATALITICO DELLA CHIMOTRIPSINA In questo caso, i siti attivi degli enzimi presentano forme complementari al substrato solamente dopo che il legame si è verificato. Questo procedimento di riconoscimento dinamico è chiamato ADATTAMENTO INDOTTO. Il meccanismo di azione della CHIMOTRIPSINA, enzima deputato alla scissione dei legami peptidici delle proteine, è un esempio di adattamento indotto. L’enzima nella sua tasca contiene due aminoacidi: la serina e l’istidina. Accade che l’atomo di ossigeno elettronegativo della serina che ha una parziale carica negativa effettua un attacco nucleofilo al carbonio carbonilico del substrato (proteina da scindere) che ha una parziale carica positiva, rompendo il legame peptidico. Il legame tra la serina e il substrato induce l’attivazione dell’istidina, aminoacido sempre carico positivamente che forma un legame covalente transitorio con il substrato, che poi libererà formando il primo prodotto ossia una sola parte della catena polipeptidica, un’altra parte è rimasta legata all’enzima. A questo punto in una seconda fase si introduce una molecola di acqua che effettua un attacco nucleofilo sul legame peptidico del substrato, che induce la formazione di un secondo prodotto, costituito dalla restante parte del substrato e dall’enzima libero che in questo modo potrà essere riutilizzato per scindere un nuovo legame polipeptidico. LA VELOCITA’ DI UNA REAZIONE CHIMICA: E’ un parametro che dipende dalla concentrazione dei reagenti (substrati), per potersi legare all’enzima devono avvicinarsi, entrare in contatto. La relazione tra velocità di reazione e concentrazione del substrato è descritta attraverso una funzione iperbolica nota come equazione di Michaelis-Menten Km non è legato alla concentrazione dell’enzima, ma dipende dal tipo di substrato e dalle condizioni ambientali, come il pH, la temperatura o la forza ionica dei composto. INIBIZIONE ENZIMATICA: L’inibizione di un enzima è un meccanismo di regolazione. Si esplica tramite inibitori, ossia sostanze, come molecole specifiche o anche ioni che si legano all’enzima rallentando o bloccando la reazione chimica. Il meccanismo inibitorio può essere classificato in due modi diversi, a seconda che si prenda in considerazione la stabilità del legame enzima-inibitore o la posizione del relativo sito di legame. 1) Inibizione irreversibile: in questo caso, l’inibitore si lega sempre al sito attivo dell’enzima in modo talmente stabile (spesso covalente) che l’enzima non può più tornare alle condizioni di partenza, perdendo in modo definitivo la sua capacità di legare il substrato o di catalizzarne la trasformazione. Spesso non mostrano specificità per un singolo enzima, si legano a residui aminoacidici determinati, ma presenti su diversi enzimi. Esempi di INIBIZIONE IRREVERSIBILE: 1) GAS NERVINI: si combinano irreversibilmente con un residuo di serina nel sito attivo dell’acetilcolinesterasi, enzima fondamentale per la trasmissione sinaptica, che così viene inattivato, compromettendo la funzionalità del sistema nervoso. 2) Sali dell'arsenico, del piombo o del mercurio (assunti tramite cibi dannosi o inalati) hanno un’azione tossica ad ampio spettro, inibendo le capacità catalitiche di molti enzimi. Questi sali agiscono legandosi covalentemente ai gruppi SH della cisteina e impedendo, in tal modo, la formazione di ponti disolfuro, indispensabili per stabilizzare la configurazione tridimensionale delle molecole enzimatiche. 2) Inibizione reversibile: in questo tipo di regolazione, il legame tra la proteina e l’inibitore può ̀rompersi, permettendo all’enzima di riprendere la propria attività catalitica. A differenza del caso precedente, nell’inibizione reversibile il legame enzima-inibitore può non avvenire sul sito attivo. Esempio di INIBIZIONE REVERSIBILE: è l’aspirina (acido acetilsalicilico) entra nella tasca dell’enzimaCOX-1 e impedisce all’acido arachidonico che è il substrato di entrare nella tasca e di essere metabolizzato per la sintesi delle prostaglandine, composti che partecipano al processo di insorgenza del dolore e attivazione piastrinica. INIBIZIONE NON COMPETITIVA: si ha un sito attivo e un sito allosterico in cui si lega l’inibitore. Il legame dell’inibitore al sito allosterico provoca una serie di alterazioni conformazionali che rendono sfavorevole l’ingresso del substrato al sito attivo, viene modificata la forma del sito attivo e quindi il substrato non vi si riesce a legare. L’attivazione di un sito allosterico provoca alterazioni conformazionali della proteina che favoriscono una riorganizzazione strutturale di tali siti catalitici, sequenziale o simultanea (concertata). È questo il fenomeno della COOPERATIVITÀ, che può essere positiva, quando si ha un’attivazione allosterica dei siti catalitici, o negativa, nel caso di una loro inibizione. INIBIZIONE MISTA: questo meccanismo inibitorio è più complesso dei precedenti, poiché l’inibitore altera contemporaneamente sia il legame del substrato con l’enzima sia il numero di turnover, quindi l’enzima non verrà più ripristinato. METABOLISMO (ha fatto un piccolo accenno molto generico!) Le trasformazioni chimiche nella cellula costituiscono il metabolismo: insieme delle reazioni chimiche che, in modo coordinato e integrato, degrada e sintetizza le biomolecole cellulari. Tre funzioni principali: ricavare energia utile per la cellula attraverso la degradazione di sostanze nutrienti convertire i nutrienti in molecole utili per la cellula sintetizzare macromolecole e polimeri a partire dai precursori. Il metabolismo è costituito da due fasi distinte ma interconnesse: il catabolismo libera energia degradando carboidrati, acidi grassi e amminoacidi e porta alla formazione di prodotti di rifiuto (CO2, H2O, scorie azotate) l’anabolismo assorbe energia per svolgere reazioni di sintesi e condensazione all’interno delle cellule. Le reazioni del metabolismo sono organizzate in vie metaboliche, cioè sequenze di reazioni chimiche catalizzate da enzimi in cui il prodotto della prima reazione è il reagente della seconda, il prodotto di questa è il reagente della terza, e così via fino al prodotto finale della via. Le vie metaboliche sono convergenti, divergenti e cicliche: le vie cataboliche sono convergenti, le vie anaboliche sono divergenti e le vie del metabolismo terminale sono cicliche. Molte reazioni cataboliche sono reazioni esoergoniche che possono avvenire spontaneamente (ΔG < 0). Molte reazioni anaboliche sono endoergoniche (ΔG > 0) e possono svolgersi perché sono accoppiate a reazioni fortemente esoergoniche, come la reazione di idrolisi dell’ATP. Come si vede nella figura sopra: in una reazione esoergonica i reagenti si comportano come una pallina che scivola giù da un pendio (prima immagine) si trasformano in prodotti a contenuto energetico minore e si sprigiona energia. In una reazione endoergonica (seconda immagine), come per spingere una pallina in alto, è necessario un apporto di energia affinchè i reagenti si trasformano in prodotti a maggior contenuto energetico. Il metabolismo energetico di tutti gli organismi si basa su reazioni di ossidoriduzione, in cui agenti ossidanti acquistano elettroni dal substrato che deve essere ossidato, riducendosi a loro volta. Il FAD e il NAD+ sono i principali agenti ossidanti delle reazioni redox cellulari. I due coenzimi legano gli elettroni trasformandosi nella forma ridotta, rispettivamente, FADH2 e NADH. FADH2 e NADH trasferiscono gli elettroni nella catena di trasporto elettronico fino all’ossigeno, gettando le basi per la produzione della maggior parte dell’energia. Il metabolismo energetico di tutti gli organismi si basa su reazioni di ossidoriduzione, in cui agenti ossidanti acquistano elettroni dal substrato che deve essere ossidato, riducendosi a loro volta. L’attività metabolica cellulare deve essere regolata con precisione. Tale regolazione avviene secondo il principio della massima economia: vengono prodotte (o degradate) solo le sostanze di cui esiste (o non esiste) effettiva necessità e soltanto nelle quantità e nei tempi opportuni. La regolazione del metabolismo avviene secondo tre meccanismi generali: controllo dell’attività catalitica degli enzimi controllo delle concentrazioni degli enzimi compartimentazione delle vie metaboliche. Controllo dell’attività catalitica degli enzimi: il flusso metabolico è determinato dalla tappa chiave e l’enzima in questione è definito enzima chiave della via metabolica. Particolarmente importante è il feedback negativo dato dai prodotti, cioè l’aumento eccessivo dei prodotti si comporta come una sentinella che blocca la via metabolica che li produce. Controllo delle concentrazioni intracellulari degli enzimi chiave. Avviene favorendo o ostacolando due processi opposti: la biosintesi e la degradazione intracellulare dell’enzima. Compartimentazione delle vie metaboliche: alcune vie metaboliche si realizzano solo nel citoplasma, mentre altre si svolgono solo nel reticolo endoplasmatico liscio oppure nei mitocondri o in più di un distretto. In questo modo, gli intermedi di vie metaboliche diverse si trovano separati dalle membrane degli organuli cellulari, e la loro concentrazione dipende anche dall’efficienza dei sistemi di trasporto attraverso le membrane. IL GLUCOSIO COME FONTE DI ENERGIA Nel processo di produzione dell’energia cellulare, il glucosio rappresenta il principale combustibile. La reazione fra il glucosio e l’ossigeno è un processo altamente esoergonico: La demolizione del glucosio ha inizio con la glicolisi, una via metabolica che converte il glucosio a piruvato. La respirazione cellulare (in condizioni aerobiche) comprende tutti i processi catabolici che portano alla degradazione completa delle biomolecole combustibili, siano esse glucosio, acidi grassi o amminoacidi. Per il glucosio, si svolge in tre fasi principali. La glicolisi è la più importante via metabolica attraverso cui la maggior parte degli organismi demolisce la molecola del glucosio allo scopo di trarne energia. La glicolisi determina una parziale ossidazione del glucosio: da una molecola a sei atomi di carbonio si ottengono due molecole di acido piruvico (piruvato) a tre atomi di carbonio. Il processo si accompagna alla riduzione di due molecole di NAD+ a NADH e fornisce l’energia necessaria per formare due molecole di ATP. La glicolisi procede per tappe e comprende dieci diverse reazioni, ciascuna delle quali è catalizzata da uno specifico enzima. Nella fase di preparazione (endoergonica) la cellula consuma energia sotto forma di due molecole di ATP per fosforilare la molecola di glucosio, preparandolo alla scissione in due molecole più piccole, fino ad arrivare a due molecole di gliceraldeide 3-fosfato. Nella fase di recupero energetico (esoergonica) la gliceraldeide 3- fosfato è ossidata a piruvato. L’energia liberata viene utilizzata per produrre quattro molecole di ATP e ridurre due molecole di NAD+ a NADH. Affinché la glicolisi possa procedere è necessario che il NAD+ sia continuamente rigenerato attraverso un processo di riossidazione del NADH. Ciò avviene in modi diversi in presenza di ossigeno o in sua assenza. Gli organismi anaerobi utilizzano come accettori degli atomi di idrogeno del NADH il piruvato e l’aldeide acetica: fermentazione alcolica → produzione di etanolo fermentazione lattica → produzione di acido lattico. Il metabolismo terminale è l’insieme delle reazioni ossidative che garantiscono la produzione della maggior parte dell’energia cellulare. Esso: coinvolge la decarbossilazione ossidativa del piruvato e il ciclo dell’acido citrico produce CO2 e coenzimi ridotti (NADH e FADH2) che funzionano come riserve di elettroni è accoppiato alla produzione di ATP si svolge nei mitocondri. Il punto di passaggio fra la glicolisi e il ciclo dell’acido citrico consiste nella decarbossilazione ossidativa del piruvato ad acetile e nella trasformazione di questo in acetil-CoA grazie al legame con il coenzima A. Una volta formato, l’acetil-CoA entra in una via metabolica ciclica che va sotto il nome di ciclo dell’acido citrico, detto anche ciclo degli acidi tricarbossilici o ciclo di Krebs. Una molecola di acetil-CoA viene ossidata con liberazione del CoA, di due molecole di CO2, una molecola di GTP, tre molecole di NADH e una di FADH2. La catena respiratoria (o catena di trasporto elettronico) ossida i coenzimi NADH e FADH2 a NAD+ e FAD. Per fare questo, i coenzimi nella forma ridotta trasferiscono in modo graduale gli elettroni all’ossigeno. Il processo di trasferimento degli elettroni all’ossigeno è accompagnato dal passaggio di ioni H+ dalla matrice mitocondriale allo spazio intermembrana. Le trasformazioni chimiche nella cellula Il trasferimento di elettroni nella catena respiratoria Ai due lati della membrana mitocondriale interna si genera così un gradiente protonico (o elettrochimico) che fornisce la forza motrice del processo di sintesi dell’ATP 1. il gradiente chimico è generato dalla diversa concentrazione di protoni ai due lati della membrana mitocondriale interna 2. il gradiente elettrico è dovuto alla diversa distribuzione delle cariche positive degli ioni H+, che si accumulano nello spazio intermembrana. La fosforilazione ossidativa è il processo grazie al quale l’energia derivata dal catabolismo ossidativo è impiegata per produrre molecole di ATP a partire da ADP e Pi. Questo processo avviene grazie a un complesso proteico associato alla membrana mitocondriale interna, chiamato ATP sintasi. Nel complesso, si producono 32 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio ossidata completamente a CO2 e H2O. Biologia lezione 3 7/11/2023 Sbobinatori: Laura Angelica Scudella, Enrico Marroni Revisionatori: Jenny Salvadori, Alessia Garcia Macromolecole, riassunto scorsa lezione per l’introduzione alla membrana plasmatica Oggi il concetto di cellula è consolidato, si conoscono tipi e strutture, ma nel passato non era così. Il primo ad osservare le cellule fu Hooke, egli si chiese come mai tappi di sughero fossero così adatti ad isolare la bottiglia. Prese quindi delle sezioni di sughero e le osservò al microscopio (dato che per visualizzare una cellula è necessaria una strumentazione) e vide una struttura a forma di alveare. Ciò non era altro che l’involucro di ciò che rimaneva di cellule viventi preesistenti; quindi, in pratica osservò ciò che rimaneva di una cellula vegetale ormai morta. Fu la prima volta che si osservò una struttura cellulare. Sulla base della cellula si basano quelle che sono le teorie dell’evoluzione. La prima è quella di Lamark, diceva che tutte le specie derivano da un antenato ancestrale comune e che le differenze ambientali hanno generato nuove necessità che inducono l’uso o il disuso di determinati organi e che i caratteri che si acquisiscono possono essere ereditati. Secondo Lamarck è la funzione che crea l’organo. Con la teoria di Darwin si fa un passo avanti, si rese conto che era vero che l’ambiente induceva dei cambiamenti nella specie ma tutto è basato su una selezione naturale, ossia, all’interno della stessa specie c’è un adattamento per poter ridurre la concorrenza, vince la specie più forte. Le specie possono adattarsi come ad esempio il becco del fringuello in base alla tipologia di cibo dell’ambiente. Domanda della prof: tra una mosca e l’uomo chi si è evoluto meglio? Risposta: entrambi, ognuno in base alle loro necessità. Teoria cellulare La teoria nella sua forma moderna riassume questi concetti in tre enunciati: 1) le cellule sono le unità strutturali degli organismi viventi 2) le cellule sono le unità funzionali degli organismi viventi 3) ogni cellula deriva da un’altra cellula preesistente con passaggio di caratteri ereditari Ci sono vari tipi di cellule Queste furono le prime ad essere tenute in cultura, ed essere osservate grazie ai vari microscopi. Ad ogni tipo cellulare corrisponde una funzione come quelle che si trovano nell’intestino Le cellule hanno svariate caratteristiche: 1. possiedono un programma genetico, in cui viene detto come gestire e utilizzare tutte le informazioni del DNA; 2. sono capaci di riprodursi; 3. acquisiscono energia e la utilizzano; 4. svolgono una varietà di reazioni chimiche; 5. sono impegnate in numerose attività meccaniche; 6. sono capaci di rispondere agli stimoli, tramite ad esempio i recettori presenti sulla membrana plasmatica; 7. sono capaci di auto-regolazioni (feedback positivi/negativi). Le cellule si dividono in due grandi classi: procarioti (più semplici) e eucarioti (più complessi): La CELLULA PROCARIOTICA Dimensioni: circa 1µm Unicellularità Assenza di compartimentazione interna I procarioti sono formati da cellule organizzate in modo più semplice di quelle eucariotiche ma in grado di completare moltissime reazioni metaboliche; possono sfruttare diverse fonti energetiche e sopravvivere anche in condizioni estreme La membrana plasmatica racchiude il materiale cellulare, lo separa dall’ambiente e regola il passaggio di sostanze cellula/esterno All’interno della membrana si trova il citoplasma, l’insieme del contenuto cellulare, comprendente: il citosol (soluzione acquosa di piccole e grandi molecole) e alcune particelle insolubili, tra cui i ribosomi. Il materiale genetico, il DNA, è organizzato in un singolo cromosoma circolare, localizzato nell’area nucleare o nucleoide, una regione della cellula non delimitata da membrana. In aggiunta al DNA principale i batteri possono contenere piccole molecole di DNA circolare (è definito accessorio), dette plasmidi, che codificano per enzimi catabolici, per la resistenza ad antibiotici o legati a meccanismi per lo scambio di materiale genetico tra organismi. Arricchiscono il DNA ma non svolgono le funzioni essenziali. La maggior parte delle cellule procariotiche ha una parete cellulare esterna alla membrana, con funzione di sostegno e protezione, prevenendone l’esplosione per pressione osmotica. La parete cellulare è costituita da peptidoglicano, polimero complesso di aminozuccheri legati a brevi polipeptidi, a formare un’unica molecola. Le membrane interne sono le invaginazioni della m. plasmatica (batteri fotosintetici), non ci sono compartimenti interni separati. Flagelli e pili, appendici che permettono movimento ed adesione. La CELLULA EUCARIOTICA Dimensioni: circa dieci volte più grandi delle cellule procariotiche (10-100 µm) La membrana plasmatica racchiude il materiale cellulare, lo separa dall’ambiente e regola il passaggio di sostanze cellula/ esterno Compartimentazione interna: all’interno della membrana si trova il citoplasma, l’insieme del contenuto cellulare, comprendente il citosol (soluzione acquosa di piccole e grandi molecole) ed una serie di organuli, compartimenti funzionalmente specializzati delimitati da membrana o comunque strutturalmente separati I vari organuli cellulari come: il citoplasma, il nucleo, il nucleolo, il reticolo endoplasmatico liscio e rugoso, l'apparato del Golgi, i ribosomi, i mitocondri, i lisosomi ecc. ecc., possiedono una struttura ed una funzione ben definita e sono presenti sia nelle cellule animali che vegetali. Organuli (o organelli) sono parti specializzate della cellula adibiti a compiti specifici, alcuni hanno forme particolari La presenza o assenza di alcuni organelli dipende dalle funzioni principali della cellula LA MEMBRANA CELLULARE Funzioni: 1. Compartimentazione, non solo strutturale ma anche funzionale: es enzimi idrolitici (funzionano solo nei lisosomi e non nel citosol); 2. Attività biochimiche: fissazione della CO2 avviene sulla membrana esterna dei cloroplasti; 3. Permeabilità selettiva; 4. Trasporto: es gli ioni H+ derivati da tanti processi metabolici sono portati fuori nello spazio extracellulare; 5. Risposta segnali esterni: es ormone (acido abscissico) che si lega sulla superficie esterna e promuove il rilascio di IP3 necessario per liberare Ca2+ da un deposito citoplasmatico; 6. Permette l’interazione cellulari: es aperture fra cellule vegetali (plasmodesmi). Consentono spostamento materiale tra cellule; 7. Trasferimento di energia: cloroplasti, mitocondri. Storia della struttura della membrana: Le prime osservazioni degne di nota si devono allo scienziato Charles Overton nel 1890. Overton notò che le cellule sembravano circondate da una sorta di strato selettivamente permeabile che permetteva a sostanze diverse di entrare e uscire dalla cellula, con velocità differente. Trovò una correlazione tra la natura lipofilica di una sostanza e la facilità con cui essa poteva entrare nella cellula. Da queste osservazioni Overton concluse che i lipidi erano presenti sulla superficie cellulare, come una sorta di rivestimento, senza sapere come erano organizzati ed il tipo di lipidi presenti. Questo studio fu ritenuto corretto per 10 anni, fino all’esperimento di Irving Langmuir il quale studiò il comportamento dei fosfolipidi purificati e disciolti in un solvente organico (benzene). Ponendo la miscela di fosfolipidi in benzene sull’acqua, quando il benzene evaporava si formava un monostrato di fosfolipidi e la loro testa polare restava immersa nell’acqua, mentre la porzione apolare si esponeva all’aria. Due fisiologi tedeschi, Gorter e Grendel, nel 1925 cercarono di scoprire quanti strati lipidici sono presenti nella membrana plasmatica. Utilizzarono gli eritrociti o globuli rossi del sangue ed estrassero un numero noto di essi, i fosfolipidi, e, utilizzando il metodo di Langmuir, stratificarono questi su una superficie acquosa delimitata da due barriere, una fissa e una mobile. Spostando la barriera mobile dedussero che ogni globulo rosso doveva possedere due strati di fosfolipidi con le teste polari erano orientate verso la superficie acquosa proteggendo la porzione apolare. Il solo modello del doppio strato lipidico non spiegava molte delle caratteristiche delle membrane biologiche. Ad esempio, il passaggio di ioni potassio attraverso un doppio strato lipidico impiega giorni, mentre in una membrana plasmatica naturale solo ore. Hugh Davson e James Danielli, al fine di spiegare alcune proprietà, ipotizzarono la presenza di proteine. Nel 1935 proposero che le membrane biologiche erano formate da due strati di fosfolipidi rivestiti esternamente da uno strato di proteine. Il loro modello definito a “sandwich” era quindi costituito da proteine-lipide-proteine. Ad oggi sappiamo che questo non è così ed è stato dimostrato grazie all’utilizzo della fosfolipasi, enzimi capaci di degradare lipidi. Difatti se i lipidi fossero stati ricoperti interamente da proteine essi non avrebbero dovuto degradarsi, ma ciò non accadde nell’esperimento. Negli anni seguenti si poterono effettuare delle osservazioni al microscopio elettronico della membrana plasmatica. Verificarono direttamente la presenza della membrana plasmatica attorno ad ogni cellula e si constatò che la maggior parte degli organuli delle cellule eucariotiche era delimitato da membrane. Ma la scoperta più importante si ottenne con l’uso dell’osmio, quale “colorante” per microscopia elettronica. Si potè osservare che al livello della membrana apparivano due linee scure (l’osmio reagisce con le teste polari) separate da una zona centrale chiara. Tale modello definito di colorazione trilaminare era sempre presente in tutte le membrane osservate. J. David Robertson propose che tutte le membrane cellulari hanno in comune una struttura fondamentale che egli denominò membrana unitaria. Ad oggi il modello consolidato è quello a mosaico fluido. Il modello ipotizza una membrana come un mosaico di proteine incluse in modo discontinuo in un doppio strato lipidico fluido (ricco di acidi grassi insaturi). Vennero distinte tre classi di proteine di membrana: le proteine integrali o intrinseche di membrana immerse nel doppio strato lipidico che attraversano completamente a membrana le proteine periferiche o estrinseche, più idrofile e localizzate sulla superficie della membrana legate con legame non covalente alle teste polari. le proteine ancorate ai lipidi, proteine idrofile presenti sulla superficie della membrana, ma ancorate ad essa a causa del loro legame covalente con i lipidi. La membrana è quindi formata da proteine, carboidrati e lipidi. Tra i lipidi possiamo distinguere i fosfolipidi (fosfogliceridi e sfingomielina), i glicolipidi ed il colesterolo. I fosfolipidi sono formati da due code di acidi grassi, glicerolo, gruppo fosfato e colina. Gli sfingolipidi invece hanno una sola coda di acido grasso che si lega alla sfingosina, che a sua volta si lega con gruppo fosfato e colina. Quello che bisogna sapere è che questi fosfolipidi si trovano insieme in concentrazioni differenti a seconda della membrana. Esempi vari: glicosfingolipidi (esterno) sono di solito sulla parte esterna dove sono coinvolti in eventi di segnalazione e riconoscimento. fosfatidiletanolammina (interno) serve per la curvatura della membrana necessaria per i processi di gemmazione e fusione della membrana; fosfatidilserina (interno) possiede una carica netta negativa ed è in grado di legare le cariche positive della lisina e arginina come ad esempio la glicoforina A; fosfatidilserina (esterno) segnala vecchiaia di una cellula e quindi deve essere eliminata; fosfatidilinositolo (interno) può essere altamente fosforilato e quindi partecipare a numerose di eritrociti umani reazioni metaboliche. La membrana non è simmetrica neanche per quando riguarda le proteine, ciò è stato dimostrato tramite questo esperimento: Riprendendo il discorso di prima ci sono 3 tipi di proteine, Quella transmembrana hanno caratteristiche particolari e possono essere di diverso tipo, in questo caso abbiamo la formazione di un alfa elica che crea dei legami peptidici polari che si trovano in questa zona e possono integrarsi a livello delle code idrofobiche dei fosfolipidi. Abbiamo quindi le catene laterali che interagiscono con i fosfolipidi. Tra le proteine transmembrana ce n’è un tipo che può creare una sorta di poro, attraverso la formazione di foglietti beta, che isola il contenuto del poro dalle code idrofobiche dei fosfolipidi per il passaggio delle varie sostanze. Tra le proteine periferiche ci sono quelle ancorate alla membrana e in questo caso un esempio è la NADPH ossidasi che è formata dalla gp91phox alla quale è ancorata un’altra proteina, p22phox, le quali fanno ancorare una serie di proteine citosoliche che in seguito a una serie di stimoli, si legano alla membrana e attivano l’enzima. Infine abbiamo le proteine ancorate tramite un legame covalente ai fosfolipidi di membrana. Gli zuccheri, vengono legati dalle proteine di membrana, e partecipano alla simmetria della membrana. Fluidità della membrana Nella prima parte abbiamo visto proteine, lipidi e carboidrati. Tra le varie componenti che fanno parte della struttura della membrana abbiamo parlato del colesterolo che partecipa in maniera attiva a quella che è la fluidità della membrana. La mobilità della membrana può essere dovuta a varie a componenti, ovviamente è resa possibile dalle code dei fosfolipidi di membrana perché a seconda degli idrocarburi 9.44 di coda lipofila che noi abbiamo all’interno del fosfolipide di membrana possiamo avere una struttura diversa che rende la membrana più o meno fluida e quindi se ci sono legami singoli tra gli atomi di carbonio abbiamo una struttura lineare però la maggior parte dei fosfolipidi presenti nelle membrana in realtà sono insaturi: hanno cioè code costituite da doppi legami che, per quanto riguarda proprio la natura stessa del doppio legame, va a instaurare una torsione della coda proprio perché si crea un ingombro che crea questa torsione e a seconda del numero dei doppi legami può essere più o meno evidente. Normalmente a temperatura fisiologica di 37 °C il doppio strato lipidico si trova in una condizione/uno stato liquido, non è quindi uno stato solido, viene infatti definito cristallo liquido bidimensionale; già il termine liquido fa immaginare qualcosa di mobile, non di fisso. Quando noi andiamo a temperature più basse si passa ad uno stato più cristallizzato e si forma proprio un gel cristallino congelato quindi diciamo che in questo stato il doppio strato lipidico ha una consistenza molto più rigida per cui dal punto di vista fisiologico perde l’iniziale fluidità. Questo perché la temperatura di transizione che consente il passaggio da uno stato a un altro – da quello fluido a quello cristallizzato – dipende dalla capacita dei lipidi di addensarsi perché, se ci pensate, a seconda delle code idrocarburiche che abbiamo visto (lineari o con distorsioni) l’avvicinamento di fosfolipidi adiacenti è più agevolato o meno, quindi nel momento in cui abbiamo delle code idrocarburiche lineari, questi fosfolipidi saranno uno più vicino all’altro; al contrario quando si hanno questo tipo di distorsioni è più difficile mantenere lo stato compatto da parte della membrana plasmatica e quindi il tuto rende la membrana più accessibile da tutti punti di vista perché può essere più facilmente penetrata dalle proteine e dagli ioni. A seconda dell’acido grasso saturo o insaturo si ha un singolo legame o un doppio legame e questi due diversi tipi di coda nei fosfolipidi di membrana. Quanto maggiore è il grado di insaturazione degli acidi grassi del doppio strato, tanto più bassa sarà la temperatura necessaria per far gelificare il doppio strato. Per mantenere lo stato fluido della membrana in biologia tutto ciò che avviene anche se è caratterizzato da numerosissime operazioni/proteine/componenti la cosa importante è stabilire un ordine, ed effettivamente in questo stato il colesterolo gioca un ruolo importante perché va a stabilizzare la fluidità della membrana. La struttura è capace di andare a intersecarsi tra fosfolipidi che presentano un certo tipo di distorsione perché con le code lineari i fosfolipidi sono tutti compatti, addensati e il colesterolo difficilmente potrebbe intersecarsi tra l’uno e l’altro, ma normalmente i fosfolipidi con doppio legame sono molto presenti nella membrana, quindi è necessario che ci siano delle molecole che stabilizzino la membrana, infatti il colesterolo in condizione fisiologica è fondamentale per stabilizzare la fluidità. Dalle analisi, tramite tutti i metodi (16.10- 16.23) e gli esperimenti che abbiamo visto per andare a vedere le membrane, i fosfolipidi e le proteine, quello che è stato evidenziato tramite queste tecniche, è che ci sono delle zattere lipidiche chiamate raft particolarmente concentrare formate in particolar modo da colesterolo, sfingolipidi (caratterizzati dalla presenza di uno zucchero) e da ? (17.05) azzurre. Ci sono delle zone particolarmente ricche di queste componenti e sono importanti perché quello che è stato visto è che in queste porzioni si possono concentrare le proteine. Sono i punti focali in cui si vanno a collocare le varie proteine che non sono distribuite in maniera omogenea, ma con molta probabilità si trovano all’interno di queste zattere; di conseguenza, queste zone diventano cruciali anche per quanto riguarda l’interazione con le altre cellule, ci possono essere delle proteine di ancoraggio, o capaci di recepire un messaggio di recarsi al di là ? (18.29) e quindi poi di dare una risposta fisiologica alla cellula. La fluidità è importante perché: - rende possibile l’assemblaggio di gruppi di proteine di membrana (vedi giunzioni) quindi ovviamente il fatto che i fosfolipidi si possano muovere e che non ci sia rigidità strutturale della membrana plasmatica consente alle proteine di potersi legare e intersecare tra ? (19.08). - Rende possibile l’assemblaggio della membrana a partire da frammenti di membrana, pensate al ciclo cellulare in cui ce un disasemblaggio completo della membrana: se fosse una struttura rigida sarebbe quasi impossibile poterla ricostituire e quindi ovviamente questo è fondamentale durante il ciclo cellulare. - Rende possibile anche l’assemblaggio di proteine enzimatiche (vedi NADPH ossidasi), effettivamente ci sono proteine capaci di legarsi al doppio strato lipidico in diverse porzioni e svolgere la propria funzione, ad esempio la nadph ossidasi che il maggiore conduttore di ossigeno ? (19.48) per cui è molto importante per quanto riguarda il nostro sistema immunitario. A temperature basse la cellula tende a trasformare gli acidi grassi saturi in insaturi mediante: 1. Attivando enzimi desaturasi; 2. Rimescolando le catene tra molecole fosfolipidiche differenti per formare fosfolipidi con due acidi grassi insaturi Quando si ha una concentrazione di fosfolipidi che hanno delle catene lineari quindi caratterizzate da legami singoli succede che la membrana attiva diversi meccanismi che modificano i fosfolipidi magari inducendo dei doppi legami e tra le varie modifiche esistono gli enzimi desaturasi che aggiungono un legame. Gli enzimi partecipano tantissimo alle reazioni biologiche, non soltanto a livello del metabolismo, nella produzione di energia ma essendo gli enzimi delle proteine possono partecipare in tutti i distretti della cellula e nella maggior parte delle funzioni cellulari. Per mantenere questa dinaminicità c’è un movimento che avviene a partire dai fosfolipidi stessi che possono avere una serie di movimenti che consentono alla membrana di muoversi, si può avere: - la flessione che è dovuta allo spostamento e al fatto che le code idrocarburiche possono spostarsi, - poi si ha rotazione, quindi il movimento rotatorio del singolo fosfolipide su sé stesso, - e poi si possono diffondere lateralmente, cioè invertire di posto (visto anche con degli esperimenti in cui delle proteine erano rese fluorescenti e monitorandole nel tempo si è notato che si muovevano lungo il piano della membrana plasmatica andando da una parte a un’altra in maniera continua) quindi diciamo che ci sono continui movimenti che consentono l’ancoraggio alla cellula di determinate proteine. - Infine, c’è il movimento chiamato flip flop che avviene di rado: un fosfolipide dallo strato interno della membrana può passare a quello esterno e viceversa, ciò rende la membrana più fluida e ne cambia la composizione: abbiamo detto che la membrana è asimmetrica e cioè lo strato interno di fosfolipidi è diverso e caratteristico da quello esterno, in quanto un fosfolipide sullo strato esterno può avere funzioni che non servono sul lato interno intercellulare. Il movimento flip flop avviene di rado ma è funzionale alla membrana. Le proteine si muovono? Il movimento delle proteine è stato dimostrato con un esperimento in cui vengono utilizzate delle cellule di tipi diversi oppure derivanti da due specie diverse: in questo caso sono state utilizzate una cellula bovina e una umana che sono state fuse mettendole in uno stato gelatinoso così che potessero entrare in contatto tra di loro. Inizialmente le due cellule mantenevano una separazione netta delle due membrane plasmatiche, quindi non c’era uno spostamento delle proteine, col passare del tempo si è avuta una completa e omogenea sovrapposizione delle proteine bovine con quelle umane; questo ha portato alla conclusione che così come il lipide genera una fluidità della membrana, così pure le proteine rendono possibile la dinamicità della membrana. Le proteine hanno una mobilità inferiore rispetto ai fosfolipidi, hanno una minore velocità di spostamento e trasferimento, hanno tempi più controllati e ridotti. Un’altra caratteristica è che le proteine possono caratterizzare e rendere una cellula polarizzata, l’esempio migliore è quella dell’intestino perché non ha nessun lato uguale all’altro a livello funzionale: una parte basale e una apicale che svolgono due funzioni completamente diverse e che quindi di conseguenza presentano sulla superficie, da una parte e dall’altra, un assetto proteico completamente diverso. Stessa cosa vale per le proteine che si trovano lateralmente perché queste sono quelle proteine che regolano l’interazione cellula-cellula e quindi il passaggio di alcune sostanze che non avviene solo intracellularmente ma anche intercellularmente. Esempi di diverse funzioni di proteine lungo tutta la membrana: 1. Proteine integrali apicale regolazione dell’ingresso di materiali nutritizi e di acqua; regolazione della secrezione; protezione. 2. Proteine integrali laterale contatto e adesione tra cellule; comunicazione cellulare. 3. Proteine integrali basale contatto con il substrato; creazione di gradienti ionici. La membrana plasmatica è quindi l’involucro delle cellule e per quanto può essere una struttura relativamente semplice in realtà le componenti e le funzioni che svolge insieme alle reazioni che avvengono danno una struttura particolarmente complicata perché gestisce molte funzioni cellulari. Tra le varie funzioni della membrana una importate è quella di regolare il passaggio delle sostanze che vanno all’interno e all’esterno della cellula quindi dipende da tipo di sostanza, funzione e necessità che la cellula ha in quel momento. I fattori che influenzano il passaggio delle sostanze attraverso la membrana sono: Grandezza della molecola Temperatura Carica molecolare Gradiente di concentrazione Si possono distinguere vari tipi di trasporto: Passivo dovuto o a diffusione semplice per cui una sostanza attraversa in maniera spontanea la membrana in un certo lasso di tempo, oppure facilitata. Facilitata attraverso l’uso di canali o proteine: le proteine trasportatrici (carrier o permeasi) accelerano una reazione che è già termodinamicamente favorita, legando il soluto da trasportare: tale legame determina un cambiamento conformazionale della proteina trasportatrice, che nella nuova conformazione perde affinità per il soluto, “scaricandolo” dal lato opposto della membrana. Tre proprietà caratterizzano la diffusione facilitata: - velocità di diffusione molto più alta rispetto alla diffusione semplice - specificità della proteina trasportatrice per il soluto da trasportare - numero delle proteine trasportatrici limitante ai fini dell’efficienza e della velocità del trasporto La diffusione facilitata segue la cinetica degli enzimi, cioè ha una cinetica di saturazione. Mentre i canali ionici permettono ingresso di milioni di ioni, la diffusione facilitata da qualche centinaia a migliaia. Quindi si ha una stabilizzazione della velocità. Il glucosio è un esempio di diffusione facilitata attraverso i trasportatori GLUT 1 a GLUT5 Attivo quando una sostanza è trasportata contro gradiente; la differenza principale con quello passivo è il dispendio di energia necessario. Nel tempo le sostanze si muovono e lo fanno spontaneamente e questa diffusione dipende da: - polarità - grandezza della sostanza a seconda del tipo di sostanza può attraversare la membrana in maniera più o meno semplice e una misura è data dal coefficiente di ripartizione dato dal rapporto tra la sua solubilità in solvente polare e quello in acqua. Maggiore è la solubilità di una sostanza nei lipidi, maggiore è la velocità; a parità di solubilità a fare la differenza è la grandezza. Pressione osmotica La pressione osmotica permette il passaggio dell’acqua attraverso una membrana semipermeabile cioè non permette il passaggio del soluto. L’acqua pura passa dalla parte a concentrazione inferiore, infatti con il soluto l’acqua si aggrega alle molecole di soluto e quindi non è più disponibile per passare la membrana, per questo il flusso avviene in questa direzione. Nel processo fisiologico abbiamo la presenza di soluzioni che possono essere: Ipertoniche: l’acqua tende a fuoriuscire e provoca un raggrinzimento della cellula (es globuli rossi) per cui questa perde la sua forma caratteristica Isotoniche: situazione di equilibrio quindi si mantiene la struttura di base Ipotoniche: l’acqua viene assorbita, entra all’interno della cellula provocandone l’esplosione, quindi la rottura della membrana. Non tutte le cellule hanno la stessa capacità di far entrare l’acqua attraverso la membrana. Alcune hanno bisogno di proteine integrali dette acquaporine, strutture proteiche all’interno del doppio strato fosfolipidico, che permettono il passaggio passivo di acqua attraverso delle specie di pori, permettendo quindi una maggiore velocità di trasferimento. La diffusione semplice può avvenire anche grazie a canali ionici che consentono il passaggio di ioni da una parte all’altra della membrana attraverso un poro. P ossiamo distinguere dei canali voltaggio-dipendenti, ligando dipendenti oppure dei canali a controllo meccanico. Solitamente questi canali non utilizzano energia per funzionare ma sfruttano ad esempio un cambiamento di voltaggio per aprirsi e chiudersi, facilitando la diffusione semplice. Un esempio è il canale voltaggio dipendente dal potassio: diversi amminoacidi espongono la parte elettronegativa dell’ossigeno, il potassio una volta entrato nel canale viene neutralizzato dalla carica negativa presente nel canale e passa quindi da un amminoacido all’altro. L’ingresso di ioni provoca il rilascio di altri ioni, l’ingresso di un secondo ione nel canale provoca il rilascio del primo. I punti in cui lo ione si può legare in realtà sono 4 per cui l’ultimo ione spingerà quello precedente a uscire come se non ci fosse più spazio. Lo ione una volta entrato nel canale induce delle modificazioni conformazionali nel canale facendolo aprire e permettendo al potassio di entrare. La chiusura del canale è data da stimolazioni, esempio la concentrazione del potassio, per cui il peptide chiude il canale, questo si muove all’interno del canale e chiude la porta di accesso del canale. Spesso delle proteine agevolano il passaggio nel caso della diffusione facilitata in cui le proteine incluse nella membrana plasmatica possono passare da uno stato A a uno B che permette il passaggio, queste proteine accelerano il passaggio del soluto che comunque avrebbe attraversato da solo la membrana secondo il gradiente di concentrazione. La velocità di diffusione è superiore rispetto a quella della diffusione semplice per cui la proteina deve avere una conformazione specifica atta a questo meccanismo. Per esempio, il glucosio si lega a dei recettori compatibili e viene trasportato attraverso la membrana, solo grazie al contatto con il ligando la proteina cambia conformazione e svolge il suo compito. Il trasportatore del glucosio è un esempio importante perché è governato dalla concentrazione del glucosio, dentro alla cellula viene fosforilato e la sua concentrazione è mantenuta costante perché poi deve esser utilizzato. Nel trasporto attivo solitamente sono necessarie delle condizioni non fisiologiche nella cellula per cui devono agire delle proteine che provochino il passaggio in condizioni fisiologiche, altrimenti non avverrebbe, serve una stimolazione e le concentrazioni devono mantenersi costanti perché la cellula sia in salute. Per mantenere queste condizioni è necessario il trasporto attivo che è contro gradiente di concentrazione per cui è necessario dispendio di energia. Il trasporto attivo è quindi: - Direzionale - Contro gradiente di concentrazione (richiede energia) - Tre meccanismi possibili (uniporto, simporto, antiporto) - Diretto (o primario) e indiretto (o secondario) a seconda che ci sia richiesta diretta di ATP Uniporto: Molecola trasportata secondo unica direzione Trasporto accoppiato si distingue in: Simporto: contemporaneamente due soluti vengono trasportati dalla stessa parte Antiporto: da una parte viene trasportato uno ione e contemporaneamente un altro in senso opposto. Esempio di trasporto attivo: avviene con la pompa del calcio la cui concentrazione viene mantenuta bassa proprio da questi trasportatori presenti sulla membrana che mantengono delle riserve di calcio a livello del reticolo sarcoplasmatico, liberato solo nel momento in cui è necessario alla contrazione muscolare. Il recettore ha una conformazione definita ad H affinità col calcio. La conformazione dell’enzima diventa E2 ossia a bassa affinità di legame per cui non si riapre e l’enzima poi torna ad essere funzionale per un nuovo ciclo. Il glucosio anche passa grazie a questo meccanismo di simporto assieme al sodio (2 molecole di Na e 1 glucosio per ogni ciclo). Anche sodio e potassio utilizzano antiporto, si trova principalmente nelle cellule neuronali; il trasporto attivo inizia per poter sbilanciare le cariche e generare un impulso elettrico, l’ATP induce la chiusura del canale e il rilascio del sodio, contemporaneamente il potassio si lega e la conformazione torna ad essere E2 e viene rilasciato all’interno della cellula (3 Na e 2 K). Il malfunzionamento di questi canali ionici può essere associato a varie patologie, a second di quale canale è deficitario ci possono essere delle conseguenze diverse. Il singolo processo fisiologico ha quindi ripercussioni sul quadro clinico. Un esempio importante è la fibrosi cistica per cui vi è perdita di fenilalanina nel cromosoma 7 che modifica il recettore per il cloro. Normalmente la fuoriuscita del cloro provoca la formazione di una sostanza mucosale che rende la parete esterna degli epiteli particolarmente fluida e quindi il muco elimina organismi esterni e batteri; ciò accade in vari tipi di epiteli come le mucose e a livello dei polmoni per cui il mancato funzionamento dei canali del cloro disidrata l’epitelio a causa della non produzione del muco, l’acqua viene riassorbita di conseguenza si ha una struttura non più funzionale. Si hanno anche una serie di ripercussioni dovute alla secchezza degli epiteli polmonari. Le sostanze più grandi come vengono trasportate? Le sostanze più grandi vengono trasportate all’interno della cellula attraverso l’impiego della membrana: Fagocitosi: invaginazione della membrana dovuta alla sua fluidità, la tasca che si è creata si stacca formando una vescicola che va verso la sua destinazione (degradazione di batteri quindi verso i lisosomi, le componenti che devono fare determinate segnalazioni vengono recepite dall’apparato di Golgi e poi al reticolo endoplasmatico quindi la destinazione dipende dal contenuto della vescicola) Esocitosi: processo inverso per cui sostante magari prodotte dal reticolo passano all’apparato di Golgi, da qui attraverso delle vescicole che si fondano con la membrana vengono poi espulse Endocitosi mediata da recettori: avviene tramite fossette rivestite di clatrina (proteina) per cui sulla membrana dei recettori percepiscono la sostanza da inglobare e ricoprono l’interno della vescicola rivestita anche con la clatrina, questa vescicola va poi incontro a degradazione. 4 lez Biologia, 14/11/2023 SISTEMA DELLE ENDOMEMBRANE Le vie biosintetiche secretorie e endocitiche uniscono le endomembrane in una rete interconnessa. La via secretoria: proteine partono dal RE, passano attraverso l’apparato di Golgi e poi attraverso una serie di vescicole vengono portate all'esterno attraverso un processo di esocitosi. La via endocitica: materiale esterno della cellula viene internalizzato attraverso un processo di endocitosi. Le vie biosintetiche secretorie endocitiche uniscono le endomembrane in una rete interconnessa di scambio di materiale nella cellula. La via secretoria può essere: 1. Costitutiva: cioè continua quindi cellula rilascia all’esterno sostanze in modo continuo, sostanze che sono importanti per il mantenimento dell’ambiente extracellulare. 2. Regolatoria: secrezione avviene a seguito di stimoli esterni cosi la cellula riceve uno stimolo a cui risponde e la risposta determinerà di sostanze importanti per la cellula. STUDIO DELLE ENDOMEMBRANE Il sistema di endomembrane è stato scoperto in seguito ad esperimenti in cui si cercava di capire il luogo in cui avvenisse la sintesi delle proteine di secrezione e tutto l’iter seguito dalle proteine per raggiungere poi l’ambiente esterno. Vediamo le varie tecniche: 1. AUTORADIOGRAFIA Tecnica che consente di rilevare posizione del materiale marcato radioattivamente in un tessuto o in una cellula o in un insieme di molecole. Il campione radioattivo viene posto a contatto con una emulsione fotografica che è esposta alle radiazioni del tessuto => questo consente di andare a vedere la posizione del materiale che viene marcato. I siti che contengono radioattività sono rivelati dai granuli di argento quando il film viene sviluppato. Tecnica usata per lo studio delle cellule acinose del pancreas da Palade e Jamlenson ( attraverso questa tecnica vinsero Nobel per la medicina). Le cellule pancreatiche vennero utilizzate perchè possiedono uno dei sistemi di endomembrane molto sviluppato infatti le cellule funzionano nella sintesi e nella secrezione degli enzimi digestivi dai dotti del pancreas, dove vengono sintetizzati. [ogni cellula ha delle caratteristiche peculiari: le cellule muscolari, deputate alla contrazione muscolare, avranno un reticolo endoplasmatico liscio più sviluppato]. Questi due scienziati presero le cellule acinose del pancreas e le misero in coltura con degli amminoacidi marcati radioattivamente per un tempo molto breve, ad esempio 3 minuti. Dopo i 3 min, le cellule sono state fissate e osservate al microscopio. E è stato visto che gli amminoacidi marcati erano presenti al livello del RE => quindi ipotizzarono che le proteine sono sintetizzate nel RE. Questi amminoacidi marcati venivano man mano incorporati dagli enzimi sintetizzati dalle cellule pancreatiche e venivano trovati nel RE. Dopodichè fecero l’esperimento del pulse-chase. Ad una fase di pulse, cioè la fase in cui venivano trattate le cellule con gli amminoacidi marcati, segue una fase chase, una fase in cui gli amminoacidi radioattivi vengono sostituiti da amminoacidi non marcati/radioattivi in eccesso. La fase di chase è importante perché ci permette di seguire il percorso degli amminoacidi marcati perché se continuassimo a inserire soltanto gli amminoacidi marcati non riusciremmo a capire qual è il percorso di quelli marcati dell’inizio; quindi gli amminoacidi non marcati che inserisco nella fase di chase sono importanti perché permettono di continuare la sintesi delle proteine. Più è lungo il tempo chase, cioè di incubazione con materiale non radioattivo, più è lungo il percorso di questi amminoacidi e dovremmo trovarli più avanti rispetto al RE. Se nella fase di chase gli enzimi sono incubati con amminoacidi non radioattivi per 20 minuti, vediamo che le proteine si spostano dal RE all’apparato di golgi. Andando avanti con la fase di chase, dopo 120 minuti le proteine marcate radioattivamente si trovano nelle vescicole e poi andranno incontro ad esocitosi. RISULTATI DI PULSE-CHASE Vediamo tutti i compartimenti: RE, apparato di Golgi, vacuoli di condensazione che originano dalla faccia trans del Golgi, granuli di secrezione. I risultati ottenuti con gli esperimenti di pulse-chase hanno mostrato che il percorso seguito dalle proteine secretorie parte dal RER poi alle vescicole periferiche sul lato cis del complesso di golgi e infine in circa 30 min ai vacuoli di condensazione. Se ci sono 3 min di pulse, la maggior parte delle proteine marcate radioattive (86%) si trova a livello del RER e se dopo questi 3 min di pulse, si applicano 7 min di chase, scende la percentuale delle proteine radioattive nel RER e aumenta la percentuale di proteine periferiche quindi proteine passano dal reticolo al Golgi. Poi andando avanti dopo 37 min, aumenta la percentuale di proteine che si trovano nei vacuoli di condensazione. Aumentando il tempo di chase (117 min) ci sono le proteine che si trovano nei granuli zimogeni che contengono enzimi che devono essere rilasciati all’esterno. Vediamo che nucleo e mitocondri non sono interessati nella via secretoria di queste proteine che partono dal RE. 2. GREEN FLUORESCENT PROTEIN (GFP) GFP è una proteina che emette luce fluorescente quando opportunamente eccitata. Scoperta nel 1962 in una medusa l ’Aequorea victoria, così chiamata perché raccolta nella baia dell’isola Victoria in Canada. È una proteine costituita da 238 amminoacidi, con un PM i 27.000 dalton e con 11 foglietti beta che vanno a formare la struttura del barile-beta + 2 segmenti alfa elica: uno di questi si trova alla base del barile, l’altro segmento alfa, che si trova al livello dell’asse centrale, contiene un fluoroforo cioè una porzione che assorbe luce e emette fluorescenza. Vantaggio della proteina: piccole dimensioni infatti può essere fusa a proteine cellulari per analisi del traffico e localizzazione delle proteine nella cellula. Come funziona? Una volta che una proteina di interesse viene associata alla GFP, la possiamo seguire perché diventa fluorescente e quindi riusciamo a vedere il percorso di questa proteine perché si muoverà. Nell’esperimento si utilizzano cellule infettate con il virus della stomatite vescicolare VSV nel quale uno dei geni virali (VSGV) è fuso con GFP. Questo gene virale ovviamente si esprimerà e darà origine ad una proteina che deve essere secreta. Viene utilizzato nell’esperimento un gene termosensibile, che ha una mutazione temperatura sensibile che impedisce alla proteina VSVG neosintetizzata di lasciare il RE. Questo gene termosensibile quando viene incubato ad una T di 40C° per 60 min, impedisce alla proteine di uscire dal RE => e tutta la fluorescenza si va a localizzare all’interno del RE. Se abbassiamo la T a 32 C° per 10 min, la proteina GFP associata al gene virale, che si localizzava nel RE, si sposta e la ritroviamo nell’apparato di Golgi. Quindi questa tecnica di fondere la proteina di interesse con la proteina GFP, ci permette di andare a capire come si sposta la proteina di interesse grazie alla fluorescenza data dalla GFP. Utilizzando diverse fluorescenze si possono individuare diversi organelli => attraverso il MERG, cioè sovrapposizioni, riusciamo a vedere diverse localizzazioni di proteine e diversi organelli. 3. STUDIO DEI MUTANTI Esperimento su lievito perché hanno un piccolo numero di geni che vengono fatti crescere come cellula aploide per cui mutazioni su un singolo gene producono effetti evidenti poiché non è presente la seconda copia che maschera il mutante. Mutazioni di geni che codificano per proteine coinvolte nel processo di secrezione, hanno permesso di capire come avviene la secrezione. Le due mutazioni rilevate: Mutazione sec12: normalmente il prodotto di questo gene è coinvolto nella formazione delle vescicole dalla membrana del RE => quindi la mutazione sec12 impedisce la formazione delle vescicole che si accumulano nel RE con un ingrandimento delle cisterne del RE. Mutazione sec17: normalmente il prodotto del gene è coinvolto nella fusione delle vescicole con la membrana del Golgi => quindi la mutazione sec17 porta ad un aumento delle vescicole nel citosol. 4. siRNA in generale l’insieme degli Rna di piccole dimensioni è chiamato smallRNA. I piccoli RNA sono RNA non codificanti, non codificano per le proteine MA agiscono come regolatori. Tale famiglia si divide in quattro famiglie, suddivisione che rispecchia le caratteristiche qualitative e funzionali dei vari smallRNA. Tali famiglie includono: - SiRNA: (Short Interfering RNAs) piccoli rna a doppio filamento di 21-22 nucleotidi generati da rna a doppio filamento molto più lunghi. Vanno ad appaiarsi a specifici mrna target. Tali RNAs mediano il silenziamento genico portando alla degradazione dell’RNA messaggero cui sono PERFETTAMENTE complementari, oppure provocano il silenziamento della trascrizione andando a rimodellare la cromatina a livello delle sequenze codificanti i geni cui sono complementari. Lo studio della mannosidasi II rende chiaro l’uso del siRNA come regolatori genici. Nell’esperimento che è stato svolto si è cercato di individuare le proteine coinvolte nel processo di spostamento della mannosidasi II, un enzima sintetizzato nel reticolo endoplasmatico ruvido, che si trasferisce nel Golgi (dove si localizza). Per individuare tali proteine, è stato fatto uso di un siRNA, che, andandosi a legare con l’mRNA complementare (che esprime un certo tipo di proteina, importante nel passaggio della mannosidasi II dal reticolo al Golgi), lo silenzia. Ciò impedisce il passaggio della mannosidasi II dal reticolo al Golgi, determinandone la ritenzione nel reticolo. La mannosidasi II (riconoscibile dalla fluorescenza), dopo aver finito la sua sintesi nel RER è trasportata da alcune proteine al Golgi, dove si localizza. Inserito il siRNA e legatosi all’mRNA complementare, quest’ultimo viene silenziato, impedendo l’espressione della proteina utile al trasporto della mannosidasi II. L’enzima fluorescente resta bloccato nel RER. Ciò ha permesso, perciò, di trovare tutte quelle proteine che consentono il passaggio da un compartimento della cellula ad un altro; tali proteine sono specifiche. ORGANELLI Gli organelli sono compartimenti separati, con attività specifiche; e sono: - Reticolo Endoplasmatico; - Apparato del Golgi; - Lisosomi; - Mitocondri; - Perossisomi. RETICOLO ENDOPLASMATICO Il Reticolo Endoplasmatico è un sistema di membrane interconnesse e comprende regioni “lisce” e regioni “ruvide”, rendendo, così, possibile la sua suddivisione in: - Reticolo Endoplasmatico Liscio (REL); - Reticolo Endoplasmatico Ruvido (RER). Il RER (Reticolo Endoplasmatico Ruvido) è formato da una serie di cisterne interconnesse, sulla cui membrana sono adesi i ribosomi, organelli associati alla sintesi proteica. Il REL (Reticolo Endoplasmatico Liscio) si presenta sottoforma tubulare ed è privo di ribosomi. Questo (sotto) è un ribosoma che sta sintetizzando delle proteine. Tutte le proteine cominciano il processo di sintesi nel citosol; alcune proteine la terminano nel citosol, altre nel Reticolo Endoplasmatico Ruvido. Questa differenza è dovuta dalla destinazione delle proteine: in particolare, le proteine che hanno come destinazione la secrezione, la membrana plasmatica o i lisosomi (enzimi), terminano il loro processo di sintesi nel Reticolo Endoplasmatico; invece, le proteine che rimangono all’interno della cellula e sono rivolte agli altri organelli (mitocondrio, cloroplasto, perossisoma, nucleo,..), terminano la loro sintesi nel citosol. Come fa una proteina ad essere, effettivamente, dirottata verso il Reticolo Endoplasmatico Ruvido, o trattenuta nel citosol? Lo smistamento delle proteine ai diversi comparti cellulari dipende dalla presenza, sulla proteina stessa, di brevi sequenze (di circa 15-30 amminoacidi), dette sequenze segnale, che, localizzate sull’estremità N- terminale delle proteine stesse, le indirizzano al Reticolo Endoplasmatico Ruvido. Come avviene il passaggio delle proteine dal citosol al RER? IPOTESI DEL SEGNALE L’esperimento è stato condotto sui mielomi, tumori maligni dei linfociti B che secernono immunoglobuline. L’intenso "traffico" cellulare è costituito dalle vescicole che attraversano la cellula in direzioni opposte: dall'interno verso l'esterno o viceversa. Le proteine che si trovano libere nel citosol hanno come loro sede definitiva il nucleo, i mitocondri, i cloroplasti o i perossisomi. Le proteine che sono state prodotte sul RER finiscono nei lisosomi, sulla membrana plasmatiche nelle vescicole secretorie. La traduzione degli mRNA inizia sempre nel citoplasma ma in dipendenza di specifici segnali può continuare e ultimare nel citoplasma stesso o sui ribosomi legati al Reticolo Endoplasmatico. Lo smistamento delle proteine ai comparti cellulari dipende da specifiche sequenze di amminoacidi presenti sulla proteina stessa. Tali sequenze sono dette sequenze segnale. Pertanto, il destino della proteina è noto già al momento della trascrizione del gene corrispondente. Reticolo Endoplasmatico: RER funzione “Sequenze-segnale” sulle proteine secretorie nascenti indirizzano ai diversi comparti tutto il macchinario traduzionale La presenza delle sequenze segnali prevede che esse siano riconosciute da specifiche proteine (recettori di smistamento) che le indirizzano al compartimento bersaglio; qui si legano a specifiche proteine e/o a canali di traslocazione presenti sulla membrana del comparto bersaglio in modo da consentire l’inserimento della proteina o all’interno del comparto o alla sua membrana L’IPOTESI DEL SEGNALE In che modo le proteine attraversano le membrane? GLI ESPERIMENTI I mielomi sono tumori maligni dei linfociti B, che secernono immunoglobuline e quindi rappresentano un buon modello per studiare le proteine secrete. 3. Organuli cellulari 27/11/23 Pagina 33 DOTT.SSA CRISTINA NOCELLA In che modo le proteine attraversano le membrane? La traduzione in vitro di mRNA per le catene leggere utilizzando ribosomi liberi comportava la generazione di una proteina di dimensioni maggiori delle catene leggere secrete. Ta traduzione in vitro di mRNA utilizzando ribosomi legati a membrana produceva una proteina delle stesse dimensioni delle catene leggere segrete. Le catene leggere sintetizzate dai ribosomi che rimanevano legati alle vescicole attraverso il reticolo endoplasmatico erano resistenti alla digestione da parte delle proteasi e questo dimostrava che le catene leggere erano trasferite all'interno delle vescicole. INSERIMENTO DI PROTEINE NELLE MEMBRANE DEL RE Le proteine integrali di membrana attraversano la membrana con regioni alfa-elica di 20-25 aminoacidi idrofobici, che possono essere inserite con diversi orientamenti. Alcune proteine possono attraversare la membrana una sola volta ma il loro inserimento è diverso: con il terminale carbossilico o con il terminale amminico sul versante citosolico. Oppure una proteina può attraversare la membrana con più regioni. INSERIMENTO DI UNA PROTEINE DI MEMBRANA CON UNA SEQUENZA SEGNALE REMOVIBILE: TIPO I La sequenza segnale è tagliata, quando la catena polipeptidica attraversa la membrana, e il terminale amminico esposto nel lume del reticolo endoplasmatico. La traduzione della catena polipeptidica attraverso la membrana è bloccata quando il traslocone riconosce una sequenza transmembrana. Questo fa sì che la proteina esca lateralmente dal traslocone e rimanga ancorata alla membrana del reticolo endoplasmatico. La traduzione prosegue e ne risulta una proteina che attraversa la membrana con il terminale carbossilico sul versante citosolico punto Il segmento idrofobico più vicino all'estremità N-terminale inizia l'inserimento della catena proteica nascente nella membrana del reticolo con l'estremità N-terminale orientata verso il citosol; man mano che la catena nascente si allunga si sposta attraverso il traslocone fino a quando si forma una seconda alfa-elica idrofobica. Questa elica impedisce agli ulteriore fuoriuscita della catena nascente attraverso il traslocone. La sua funzione e quindi simile a una sequenza di arresto di trasferimento e di ancoraggio di una proteina di tipo I. Dopo la sintesi delle prime due alfa-eliche transmembrana, entrambe le estremità della catena polipeptidica nascente si orientano verso il citosol e l'ansa tra le due estremità sporge nel lume del reticolo. L'estremità c- terminale della catena continua poi ad allungarsi nel citosol fino a quando si forma una terza alfa elica che costituisce un'altra sequenza segnale, mentre la quarta invece sarà una sequenza di arresto e di ancoraggio. La topologia della proteina sulla membrana dipende dalle sequenze topogeniche → sono le sequenze di riconoscimento che determinano l’orientamento sulla membrana Reticolo Endoplasmatico: RER funzione Nel RE le proteine si ripiegano per assumere una struttura 3D funzionale Processo controllato e favorito da appositi chaperon molecolari CONTROLLO QUALITA’ delle proteine Reticolo Endoplasmatico: RER funzione L’ ubiquitina è una proteina la cui principale funzione è quella di marcare le proteine che devono essere distrutte, un processo noto come proteolisi. Molte molecole di ubiquitina si attaccano alla proteina bersaglio (poliubiquitinazione), che viene trasportata al proteasoma, una struttura a forma di cilindro dove avviene la proteolisi. 3. Organuli cellulari La proteina disolfuro isomerasi è localizzata nel lume del RER e ha per funzione di catalizzare i legami disolfuri. Solo le proteine della via secretiva contengono legami disolfuro e il PDI è localizzato essenzialmente in compartimenti cellulari che sono parte integrante di tale via. L’enzima PDI facilita la formazione del corretto corredo di legami disolfuro durante il folding ex novo di proteine della via secretiva. Esso non determina la via di folding, ma piuttosto accelera la formazione di ponti disolfuro che altrimenti si formerebbero lentamente. La proteina disolfuro isomerasi svolge anche una funzione di correzione dei legami disolfuri non corretti. 1. Il reticolo endoplasmatico è un organello dove sono sintetizzate le proteine ( secretorie o di membrana) 2. Le proteine sono ripiegate in modo corretto grazie alla presenza degli chaperoni molecolari 3. Le proteine mal ripiegate sono translocate nel citoplasma e degradate nel proteasoma. PERK: pancreatic endoplasmic reticulum kinase 1. La fosforilazione inibisce l'attività di eIF2α e quindi rallenta la traduzione proteica, dando alla cellula più tempo per tentare di ripiegare le proteine già presenti nel lume del RE 2. ATF4 (fattore di trascrizione attivante 4) è selettivamente sovraregolato quando la quantità di eIF2α limitata. L'espressione di ATF4 sovraregola trascrizionalmente CHOP (proteina omologa C/EBP; nota anche come GADD153), che orienta l'ER verso l'omeostasi attraverso l'induzione di un numero di geni correttivi, tra cui XBP1 e chaperon Sostanze chimiche che inducono stress ER Sostanze chimiche come tunicamicina (è una miscela di antibiotici), tapsigargin (è un inibitore non competitivo della Ca ATPasi del reticolo sarco/endoplasmatico (SERCA), e ditioeritrolo sono solitamente usati per evocare lo stress ER in cellule o animali in coltura per scopi sperimentali 1.Il primo gruppo di fattori di stress ER comprende la inibitori della glicosilazione. La maggior parte delle proteine sintetizzate nel ER sono N-glicosilati e la N-glicosilazione è spesso essenziale per il ripiegamento delle proteine. Quindi, sostanze chimiche che disturbare la N- glicosilazione hanno il potenziale di indurre Stress. 2.Un'altra classe di fattori di stress ER è l’alterazione del metabolismo del Ca2+. La concentrazione di ioni Ca2+ nel ER è mantenuto ad un livello elevato e gli chaperonii ER come BiP richiede ioni Ca2+, sostanze chimiche che perturbano Ca2+ metabolismo nell'ER inducono stress ER. Ionofori Ca2+ come A23187 e l'inibitore della pompa Ca2+, tapsigargin, sono spesso usati per evocare lo stress ER. 3.La terza categoria di fattori di stress ER sono gli agenti riducenti. Poiché il lume del RE è altamente ossidativo, le proteine sintetizzate lì possono formare intermolecolari o legami disolfuro intramolecolari tra la loro cisteina residui. Poichè la formazione di legami disolfuro è importante per il ripiegamento delle proteine secretorie, gli agenti riducenti che interrompono i legami disolfuro evocano stress del ER. Ditiotreitolo e 2-mercaptoetanolo sono spesso utilizzato a tal fine. LEZIONE 5 IL MECCANISMO DI N-GLICOSILAZIONE Abbiamo fatto tutte le modi che che avvengono all'interno del reticolo endoplasmatico e in particolar modo ci siamo soffermati sul meccanismo di n-glicosilazione, che abbiamo visto che è un meccanismo speci co che avviene proprio nel reticolo endoplasmatico. Che cosa succede? Giusto per riprendere un po' questa immagine, questa è la proteina che sta nendo la sua sintesi, questo è il traslocone che permette il passaggio dal citosol nel lume del reticolo endoplasmatico, subisce il processo di n-glicosilazione. A questo punto due residui dei tre che caratterizzano questa catena di zuccheri viene eliminato e permette il riconoscimento da parte, in questo caso, della calreticulina che è appunto uno chaperone molecolare che opera al livello del lume del reticolo endoplasmatico consentendo il riconoscimento delle proteine non ripiegate, cioè le proteine che devono andare incontro al processo di ripiegamento. Una volta che è stato riconosciuto dalla calreticulina viene rilasciata, a questo punto che cosa succede? Viene eliminato l'ultima unità di glucosio e viene riconosciuta da quelli che chiamiamo sensori di ripiegamento, quindi sostanzialmente delle proteine che agiscono andando a controllare se effettivamente la proteina si è ripiegata in maniera corretta. Che cosa succede? Se la proteina è ripiegata in maniera corretta come fa questo sensore a capire se la proteina è ben ripiegata? Va a intercettare i residui idrofobici perché sappiamo che quando una proteina è ben ripiegata espone verso l'esterno residui idrofobici che normalmente quando una proteina è ben ripiegata porta verso l'interno. Quindi più sono i residui idrofobici , più questo sensore capisce che la proteina sembra mal ripiegata, che cosa fa? Essa stessa, perché questo sensore è una glicosil transferasi, aggiunge a questo punto un'altra unità di glucosio che permette il riconoscimento della calreticulina e quindi va avanti il processo. A questo punto, se la proteina attraverso questo ciclo di sensori e chaperoni molecolari riesce a raggiungere il ripiegamento corretto, continua il suo viaggio verso l'apparato del Golgi. Invece, se la proteina è troppo ripiegata male, comunque non riesce a raggiungere la sua conformazione, subisce un processo di degradazione. fi fi fi Allora, no adesso abbiamo visto come il riconoscimento da parte della calreticulina, da parte di questi sensori, si gioca tutto su questi residui di glucosio. Quindi sono delle aggiunte oppure delle rimozioni che facilitano il riconoscimento da parte di questi sensori che sono presenti nel lume del reticolo endoplasmatico. Partiamo da qui, vedete questa è una proteina che ha subito un processo di glicosilazione, qua vediamo tutti i residui, quindi 3 di glucosio, 9 di mannosio e 2 di n-acetil glucosammina. Come abbiamo visto, il primo enzima che interviene, i primi due, sono delle glicosidasi che vanno a togliere i primi due residui di glucosio.Quindi quando c'è questo solo residuo di glucosio, che è questo più scuro che vedete qui, comincia il ciclo della calreticulina.A questo punto abbiamo detto che c'è il ciclo della calreticulina, c'è il ciclo dei sensori che capiscono effettivamente se questo ripiegamento è andato a buon ne. Che cosa succede? Se la proteina non è ripiegata deve essere retrotrasportata verso il citosol dove va incontro un processo di degradazione. Chi è che permette di sentire quando una proteina deve essere retrotrasportata al meccanismo erad? Il riconoscimento avvi