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This document provides information about the severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2). It details the characteristics of the virus, transmission rate (R0), and infection modes. The document also mentions the importance of biological and other factors in understanding pandemics.

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9.1 Biochimica Clinica 22.11.2023 SEVERE ACUTE RESPIRATORY SYNDROME-CORONAVIRUS-2 (SARS-COV-2) OSPITE E ANIMALE INTERMEDIARIO I vari tipi di Coronavirus hanno queste caratteristiche: I. Osp...

9.1 Biochimica Clinica 22.11.2023 SEVERE ACUTE RESPIRATORY SYNDROME-CORONAVIRUS-2 (SARS-COV-2) OSPITE E ANIMALE INTERMEDIARIO I vari tipi di Coronavirus hanno queste caratteristiche: I. Ospite: generalmente ospitati dai pipistrelli. II. Animale intermediario: permette la trasmissione all’uomo. Non si conosce ancora quale sia l’animale intermediario dell’ultima pandemia. Tipici sono stati i casi della SARS nel 2002, della MERS nel 2012 (attraverso il dromedario) e il COVID-19 nel 2019. Non si sa ancora quale sia l’ospite intermedio di quest’ultima pandemia e questo aspetto ha portato alla luce diverse speculazioni sulla provenienza del Covid-19 come un virus “scappato” da un laboratorio in Cina: si ritiene infatti che la sequenza del virus contenesse delle sequenze non naturali e necessariamente prodotte in laboratorio. Dal punto di vista biologico, quindi, non è ancora stato trovato l’ospite secondario, mentre da un punto di vista scandalistico si può affermare che c’è un problema di contenimento del virus. La situazione rimane quindi nebulosa in quanto non è mai stata concessa un’effettiva verifica dei laboratori di Wuhan. Questa diapositiva risulta essere pessimistica e realistica allo stesso modo perché spiega che gli intervalli di tempo tra una pandemia e un’altra si stanno accorciando. Ad esempio, tra la prima e la seconda pandemia sono passati 10 anni, tra la seconda e la terza 7 anni, ora si pensa che tra un numero di anni non diverso da questi ci sarà un altro tipo di pandemia con ospiti secondari diversi che infetteranno poi l’uomo. Le pandemie risultano essere eventi ciclici per cui non bisogna essere sorpresi. TRANSMISSION RATE (R0) A CONFRONTO Il Trasmission Rate (R0) indica quanto facilmente si trasmette una malattia. Osservando il grafico e mettendo in ascisse il Trasmission Rate (R0) e in ordinata la mortalità della patologia presa in questione si osserva che: - Malattie come la varicella e la pertosse hanno una trasmissione molto alta e il loro R0 è di 10- 12. Hanno però un indice di mortalità molto basso. - Viceversa, malattie come il vaiolo o l’ebola (virus che ha il serbatoio in Africa centrale e causa febbre emorragiche) hanno un tasso di mortalità molto elevato. Nel grafico si legge 50%, ma il prof riferisce che ci sono stati casi in cui la mortalità arrivò anche al 90%. Nonostante la mortalità altissima, l’R0 è molto basso rispetto ad altre malattie. Lo scopo del virus, infatti, è quello di infettare l’organismo, non quello di ucciderlo, in quanto più muore l’organismo ospite, più morirebbe anche il virus. Proprio per questo i virus con alta mortalità hanno bassa trasmissione, in quanto il soggetto infetto non ha il tempo di infettare ulteriori persone morendo prima. Sbobinatore: Toncig Ludovica Revisore: Piasentin Giulia 9.1 Biochimica Clinica 22.11.2023 Il Covid risulta avere un R0 tra 2 e 4, minore rispetto a malattie più comuni, con mortalità più alta all’inizio che poi nel tempo è calata e si situa nella “Panic Zone”. Non risulta essere particolarmente trasmissibile e mortale, però avendo preso alla sprovvista la popolazione si situa in questa zona del grafico. Per confronto, anche l’influenza spagnola del 1918 si trova nella Panic Zone. All’epoca si sono registrati milioni di morti in quanti molti degli infetti erano soldati in trincea e fu quindi impossibile evitare i contatti e la diffusione della malattia aumentò. Infatti, più aumenta il numero degli infetti e più aumenta il mortality rate. Nel caso del Covid è importante anche tenere conto dell’età della popolazione che viene colpita, nel caso degli anziani risulterà più mortale. SARS-CoV-2 Il SARS-CoV-2 è un coronavirus con RNA a polarità positiva. Struttura: Proteine strutturali maggiori tra cui: - Proteina S spike: è la proteina attraverso la quale il virus lega ACE2 ed entra nella cellula. - Proteine di membrana M - Proteine dell’envelope E Proteine presenti internamente - Proteine del nucleocapside N (all’interno). Le proteine più importanti da ricordare sono la proteina S e la N. MODALITÀ D’INFEZIONE Nell’immagine si può osservare meglio il modo in cui il virus infetta l’uomo: il virus generalmente viene inalato attraverso le alte vie respiratorie, passando poi per le basse vie respiratorie fino ad arrivare ai polmoni. L’ingresso avviene attraverso il recettore ACE2. Si assiste poi all’attivazione del sistema immunitario con produzione di cellule della memoria e anticorpi. La prima variante Covid aveva un tropismo prevalente per le basse vie respiratorie, dando una polmonite di tipo interstiziale con attivazione della cascata della coagulazione (formazione di microcoaguli). Questo ha causato insufficienze respiratorie acute, che risultano essere la causa principale di morte di soggetti in età avanzata. Per capire lo stato coagulativo degli sportivi, che avevano avuto il Covid, si valutava il didimero (coagulazione, taglio fibrina), in quanto un aumento di esso è indice di coagulazione e degradazione. Era utilizzato per valutare la possibilità dell’atleta di tornare a fare attività fisica o meno. Alla fine, si è capito che tutti questi esami non servivano, infatti erano pochissimi gli atleti che risentivano di long-covid. Nelle ondate successive a quella del 2020 il Covid ha cambiato il tropismo e iniziò a colpire maggiormente le alte vie respiratorie, per cui la mortalità e gli affetti da polmonite interstiziale si ridussero. Sbobinatore: Toncig Ludovica Revisore: Piasentin Giulia 9.1 Biochimica Clinica 22.11.2023 A seconda delle mutazioni di questa proteina, infatti, si possono avere tropismi diversi: patologie alle alte o basse vie respiratorie, più severe ma meno infettive, più infettive ma meno severe ecc. Questa evoluzione è avvenuta rapidamente perché ci sono stati molti contagi; più il virus si diffonde, più cambia. Ad esempio, l’HIV varia moltissimo, l’HCV varia, ma non così tanto, mentre il Covid non varia tantissimo, ma più si replica più c’è la possibilità che subisca mutazioni. In particolare, per quanto riguarda il Covid: 1. L’ingresso avviene attraverso il recettore ACE2 (esistono anche altri co-recettori su cui il prof non si sofferma) e infetta la cellula. 2. All’interno di essa, replica il proprio RNA attraverso un intermedio a polarità negativa. Questo è importante per la diagnostica, che andrà a valutare la quantità di strand negativi indice di proliferazione virale. - Tanti strand positivi e pochi strand negativi: il virus non prolifera più. - Tanti strand negativi e pochi positivi: in fase di proliferazione. Questo risulta essere importante per capire anche lo stadio della malattia del pz e decidere se un pz è potenzialmente infettivo o meno. 3. Si scatena un sistema di attivazione del SI con cellule della memoria, produzione di anticorpi che fanno attivare la risposta immunitaria. 4. Re-infezione: esce dalla cellula e ne infetta altre. 5. Produzione anticorpale: il virus interagisce anche con i linfociti, soprattutto B, che sono proprio deputati all’immunità umorale e alla produzione degli anticorpi contro il virus. SOMIGLIANZE NELLA STRUTTURA La struttura è simile agli altri SARS-CoV. Identico per l’80% ai precedenti 2002/2003 in Cina. Ebbe una fase auto-limitante, in Italia se n’è appena sentito parlare. Leggermente diverso rispetto al MERS-CoV in Corea del Sud nel 2015. In Corea è stato creato un sistema di tracciamento degli infetti tramite app. Nascono comunque tutti dallo stesso ceppo, anche se c’è stato un problema iniziale nell’identificazione. Attualmente è presente il vaccino per il Covid, il quale presenta un pezzo di RNA codificante la proteina S, attraverso il quale viene quindi prodotta la proteina, che non è in grado di dare infezione. Il prof divaga sulle polemiche avvenute a riguardo. Il virus cambia abbastanza rapidamente la sua forma e riesce così a “scappare” dagli anticorpi, per questo motivo le persone si sono infettate più volte, si sono vaccinate e poi infettate nuovamente. Il livello anticorpale quindi non dura così tanto come si pensava. A Cattinara è stato eseguito un test sui medici, che andava a valutare il titolo anticorpale in seguito a vaccinazione con RNA: - Dopo qualche mese dalla vaccinazione: il titolo anticorpale corrispondeva al 99% - Dopo 6 mesi dalla vaccinazione: il livello degli anticorpi era sceso del 90%, ovvero a 10-15%. Anche gli infettati tendevano ad avere un basso livello anticorpale in corpo. Verrà ripreso in seguito. Sbobinatore: Toncig Ludovica Revisore: Piasentin Giulia 9.1 Biochimica Clinica 22.11.2023 DIAGNOSTICA Si possono identificare: 1. Genoma virale: RNA virale 2. Pattern anticorpale: IgG, IgM e IgA 3. Proteine virali 4. Particelle virali: unico test rilevante per valutare l’infettività di una persona Dalle sbobine dell’anno scorso “le particelle virali sono risultate quelle MENO importanti nella diagnostica del virus”. Chiedendo spiegazione al prof: “L’identificazione delle particelle virali è l’unico modo certo per diagnosticare una infezione attiva che può portare al contagio; tuttavia, i nostri sistemi di rilevazione delle particelle virali non sono molto sensibili. L’altra tecnica, cioè l’individuazione del genoma, è molto più sensibile, ma si rischia di individuare frammenti del genoma che sono il risultato di una distruzione della particella virale non più infettante; come dicevo a lezione sarebbe utile stabilire un cut-off per i livelli di genoma che siano significativi. La ricerca degli anticorpi è utile, ma risente delle limitazioni di cui si parlava a lezione.” Importante ricordare che la sierologia dipende dalla risposta del soggetto e non tutti rispondono allo stesso modo e con le stesse tempistiche. In diagnostica si utilizza la PCR, altamente sensibile e specifica. Per le proteine del nucleocapside e il virione integro si hanno tecniche meno specifiche e meno sensibili. IDENTIFICAZIONE DEL GENOMA VIRALE Per identificare qualsiasi tipo di patogeno bisogna eseguire bene tutto ciò che viene prima dell’analisi. In particolare: Raccolta del campione: esecuzione del tampone a livello della faringe e successivamente delle cavità nasali. Per eseguirlo correttamente bisogna andare sufficientemente in profondità, in modo da non generare falsi negativi. Conservazione: una volta eseguiti i tamponi vengono conservati all’interno di una soluzione che automaticamente estrae l’acido nucleico (lo purifica dal resto che è stato estratto) che deve essere poi amplificato. All’inizio non si sapeva se fosse meglio usare dei kit che lo estraessero già all’interno della provetta, oppure fare un’estrazione a parte. Alla fine, per motivi di sicurezza dell’operatore si è stabilito l’utilizzo di questi kit. Importante è anche la temperatura di conservazione: è un campione a RNA e se non conservato alle giuste temperature si degrada, causando un falso negativo. Preparazione dell’RNA QRT-PCR (Quantitative Real Time PCR) È una tecnica sviluppata per fornire dati quantitativi ma in questo caso è utilizzata per dati qualitativi. La quantificazione è in qualche modo proporzionale allo stadio dell’infezione, al rischio di infezione e semplicemente alla presenza di falsi positivi dal punto di vista biologico. Sbobinatore: Toncig Ludovica Revisore: Piasentin Giulia 9.1 Biochimica Clinica 22.11.2023 Per amplificare il genoma: 1. Conversione dell’RNA in cDNA Serve una trascrittasi inversa, enzima scoperto nei retrovirus come l’HIV. 2. Amplificazione tramite PCR Ha diverse fasi: a. DENATURAZIONE cDNA - 95° Scissione completa della doppia elica di DNA nei due filamenti di cui essa si compone. b. ANNEALING - 40-55°C Legame dei primer e le regioni loro complementari sul filamento di cDNA. c. POLIMERIZZAZIONE – 65-72°C Fase di allungamento dei primer legati, grazie ad una DNA polimerasi DNA-dipendente termostabile. 3. Detection - La quantità di materiale genetico viene evidenziata con dei primer al 5’ e al 3’ e con una sonda interna che lega un fluorocromo e un “Quencher”, che inibisce l’emissione della fluorescenza. - La sonda lega in maniera complementare una determinata sequenza all’interno della sequenza amplificata. - La DNA polimerasi quando arriva spacca questa sonda perché deve continuare la replicazione: spaccando la sonda stacca il fluoroforo dal suo inibitore e il fluorocromo può quindi dare fluorescenza. La fluorescenza è proporzionale alla quantità di DNA che viene duplicato e quindi proporzionale all’RNA iniziale. Quando si deve svolgere una PCR si utilizzano diverse componenti: acqua, soluzione salina, tampone, nucleotidi, enzima, ioni ecc. È quindi un’operazione che viene svolta con materiali che vanno tenuti a temperature controllate. A Roma è stato mostrato che esistono dei kit con delle palline formate da mix di PCR liofilizzati, senza acqua. In questo modo basta aggiungere dell’acqua, le varie componenti si separano ed è possibile svolgere l’analisi. Il grande vantaggio di ciò è che essendo liofilizzate i composti non risentono tanto della temperatura, per cui è possibile trasportarli con facilità. I costi si presumono alti, ma aumenta la fattibilità dell’analisi. Sbobinatore: Toncig Ludovica Revisore: Piasentin Giulia 9.1 Biochimica Clinica 22.11.2023 RISULTATI DEL TEST PCR QUANTITATIVO Anche se è stato poco preso in considerazione, il dato quantitativo risulta importante in quanto si possono associare i livelli di viremia con lo stadio della malattia e il rischio di infezione. Si hanno tre tipi di campione: - Controllo negativo, senza acido nucleico - Bassa carica virale - Alta carica virale Nel grafico: - In ascisse il numero di cicli - In ordinate la quantità di fluorescenza Raggiunta la soglia la macchina riconoscerà l’acido nucleico nel campione, si osserva che: - La fluorescenza aumenta in modo significativo nei campioni con alta carica virale - Il campione con una carica virale minore raggiungerà la soglia più tardi - Il campione negativo non dovrebbe mai raggiungere questa soglia In base al numero di cicli, alla tecnica del ΔC e alla distanza tra il numero dei cicli dei campioni si riesce a quantificare il campione. Qual è l’utilità di avere dei dati quantitativi? Si può fare una correlazione tra la prognosi o evoluzione della malattia e la carica virale: - Più alta è la carica virale, più questa è indice di malattia. - Definire il treshold, ovvero la soglia sopra la quale il soggetto è sicuramente malato e infettivo o sotto la quale non lo è. La tecnica della PCR è così sensibile da individuare frammenti di RNA virale che non si trovano più all’interno del virione. Affinché il virus risulti infettante necessita del capside, per cui i frammenti al di fuori del virione non sono infettivi. È stato svolto uno studio in cui si effettuava un tampone nasale a due gruppi: al primo veniva svolto un tampone classico, al secondo veniva effettuato prima un lavaggio con fisiologica. Questo gruppo risultò negativo molto prima, in quanto la fisiologica lavava questi residui fuori dal virione. Questo risulta utile per definire se un pz è infettivo o meno, in quanto non si possono tenere le persone a casa per 40 giorni perché risultanti positive, se poi questa positività è data dai frammenti di RNA fuori dal virione. Infatti, la quantificazione dell’RNA virale è utile per capire se la patologia è in stadio di ascesa o discesa. Sbobinatore: Toncig Ludovica Revisore: Piasentin Giulia 9.2 Biochimica Clinica 22.11.2023 Si continua con il discorso della sbobina precedente… LIMITE DI CARICA VIRALE ED INFEZIONE A maggio 2023 è uscito un articolo scritto da uno studioso olandese riguardo la carica virale sotto la quale un soggetto infetto non presenta alcun rischio per diffusione della malattia. È sensato stabilire un limite sotto il quale, anche se il test risulta positivo, il soggetto è negativo: questo limite non è ancora stato chiarito, ma lo studio suggerisce come possa essere utile stabilire una soglia che evidenzi il paziente biologicamente positivo, ma con una carica virale non sufficiente a diffondere la malattia, dunque un soggetto biologicamente positivo, ma negativo dal punto di vista dell’infettività. In questo grafico si possono vedere i giorni, in ascissa, e la carica virale, in ordinata. Quest’ultima raggiunge il suo picco durante l’infezione, per poi calare progressivamente. Si può inoltre osservare come i test ad alta sensibilità, come la PCR, risultino positivi anche dopo un lungo periodo, nonostante l’infezione non sia più in atto. Diventa quindi molto importante, in caso di pandemie come per quella di Covid-19, cercare di determinare questa soglia e riconoscere quando test diagnostici come la PCR risultino positivi per la presenza di detriti virali, ma non di virus effettivamente attivi. C’è poi da considerare che nella realtà questi dati, prima di tutto, non sono stati aggiornati nel piano pandemico, ma anche se fossero stati aggiornati, non sono presenti le strutture per poter garantire lo studio di questi dati. Ad esempio, si è riscontrato che i laboratori che potevano effettuare PCR risultavano non sufficienti, dunque tralasciando tutto l’aspetto teorico e di aggiornamento dei piani, deve esserci poi la capacità di convertire su un piano pratico ciò che è stato scritto. VARIABILI CHE ALTERANO IL TEST VARIABILI BIOLOGICHE Inizialmente non era chiara la sede dove eseguire il prelievo per l’identificazione di SARS CoV-2 in quanto, nel momento in cui si effettua un prelievo, questo deve svolgersi nel luogo in cui il virus è più presente, ma contemporaneamente deve essere anche un luogo di facile esecuzione ed affidabile: è necessario un test facile, rapido ed efficace. Nella tabella si osservano: - Fluido di lavaggio bronco alveolare, che si ottiene mediante la broncoscopia: risulta logicamente impensabile sottoporre tutti i pazienti a questo test per la ricerca del virus - Saliva: rappresenta un campione nettamente migliore - Secrezioni nasali: come la saliva, sono facilmente ottenibili - Altri campioni: presentano una minore quantità di virus e quindi vengono trascurati Sbobinatore: Antoniazzi Piercarlo Revisore: Sacchet Caterina 9.2 Biochimica Clinica 22.11.2023 Alla fine, il test migliore è risultato essere quello a livello delle cavità nasali (e anche a livello faringeo), oltre che per la facile attuazione anche per il tropismo di SARS CoV-2; infatti, poiché il virus si sviluppa prevalentemente a livello polmonare ed essendo impossibile poter effettuare un test a questo livello, si va ad analizzarlo a livello delle alte (e anche basse) via respiratorie. Il lavaggio polmonare, invece, lo si fa in casi particolari di pazienti precedentemente ospedalizzati; non non viene ovviamente effettuato a livello di screening generale per un problema di tempestività che va di pari passo con il numero dei tamponi: inizialmente se ne facevano 10.000, poi si è arrivati fino a 300.000, dunque risultava difficile mantenere una certa tempestività vista la numerosità. Questa scelta del campione biologico ha permesso quindi di agire tempestivamente e avere i riscontri di laboratorio per la grande numerosità di casi. ALTRE VARIABILI - Raccolta inappropriata o insufficiente del campione: se non si fa sufficientemente in alto, il test non rileva nulla. - Condizioni di trasporto e conservazione non ottimali: l’ideale è fare il prelievo e nel tempo più breve possibile eseguire il test. - Presenza di sostanze interferenti, come altre cellule, lipidi o altro che potrebbero dare un falso negativo per problemi tecnici della PCR (queste sostanze interferiscono con la PCR). - Errata identificazione del paziente e del suo campione, valida anche per altri test oltre a quello per COVID19. Aspetto non strettamente correlato al COVID, ma piuttosto al rischio minimo di scambio di provette in linea generale. NB: Non c’è nessun test che abbia 100% di accuratezza e di sensibilità, ma i test basati sulla PCR quantitativa per COVID19 sono estremamente sensibili e specifici, alle volte pure in eccesso. Si tratta di test molto potenti che a volte possono dare delle informazioni un po’ fuorvianti: biologicamente non sbagliano ma bisogna saper interpretare il dato. Il tasso di falsi negativi qRT-PCR era di 9,3%, mentre la sensitività era 90,7%. VARIABILITÀ NEI MOMENTI DELL’INFEZIONE Bisogna fare attenzione alla clinica per determinare in quale momento dell’infezione ci si trova. Infatti, se si misurasse con la PCR quantitativa un soggetto che inizia a presentare i sintomi e un altro che è in via di remissione, questi avrebbero la stessa carica virale. La differenza però risiede nell’evoluzione della situazione, il primo infatti andrà in contro al picco di infettività e rischierebbe di diffondere la malattia, mentre il secondo, probabilmente dopo pochi giorni, non sarebbe più positivo. Nel primo caso, se si potesse sapere quanto RNA negativo è presente, si potrebbe dire di essere nella parte ascendente della curva, mentre nel secondo caso, nella parte discendente: la carica virale, dunque, è importante, ma bisogna capire anche la biologia. Sbobinatore: Antoniazzi Piercarlo Revisore: Sacchet Caterina 9.2 Biochimica Clinica 22.11.2023 Effettuando un test per analizzare l’RNA negativo, di fronte ad una quantità X di RNA positivo, nel primo caso si riscontrerebbe un quantitativo di RNA negativo di 10x, mentre nel secondo caso di 1/0x. Questo è utile perché si può definire il primo caso come un soggetto sicuramente da isolare, perché la malattia progredirà, mentre il secondo caso è un soggetto che è in fase di remissione: il primo avrà bisogno di 14 giorni di quarantena, il secondo probabilmente ne basteranno 1/2. Ecco che se non si effettuasse anche quest’analisi, entrambi i soggetti sarebbero risultati positivi e entrambi costretti ad una quarantena di 14 giorni; certo si tratta di una situazione molto più facile da gestire, ma che nel tempo ha poi rilevato un tracollo dell’economia perché nessuno andava più a lavorare. Altro punto da considerare è quello della sierologia, la ricerca degli anticorpi; questa, in un certo numero di fasi risulta essere negativa, in quanto gli anticorpi compaiono dopo un certo periodo di tempo dall’esposizione del virus. Dunque, dal punto di vista diagnostico, gli anticorpi non sono un grande sistema: un test di laboratorio dovrebbe essere quanto più sensibile, specifico e precoce e questo test non risulta essere precoce. Deve esserci corrispondenza tra decorso clinico e stato di malattia. VARIABILI TECNICHE Quella rappresentata è la sequenza del genoma del virus (UTR, untraslated region). Inizialmente si era deciso di eseguire la PCR per identificare il virus, ma quali sono i primer da utilizzare? I vari paesi usavano primer differenti e questo comportava una differenza nell’efficienza e in particolare risultavano essere diverse la specificità e la sensibilità: andare a confrontare, dunque, dati di paesi diversi che usavano copie diverse di primer risultava un’operazione impossibile. Se la tecnica non è standardizzata, risulta difficile poi poter confrontare i vari dati. Perché risulta così difficile confrontare dati in questo senso? - Perché ci possono essere regioni più o meno favorevoli che danno un segnale più o meno amplificato. - Perché vi sono regioni che vanno incontro a mutazioni. Altra problematica emersa è la similitudine tra regioni di SARS CoV2, SARS CoV e MERS CoV. Nell’immagine sono stati messe a confronto le sequenze di SARS CoV2, SARC CoV e MERS CoV: sono tra loro molto simili; dunque, bisogna evitare di amplificare regioni di virus che sono simili tra virus diversi, identificando invece delle regioni che siano sicuramente e certamente inerenti solo a SARS-CoV2. Sembra un aspetto banale, tuttavia, la somiglianza non è da poco, dunque non è scontato. La scelta della copia di primer deve quindi andare ad amplificare, tramite PCR, sequenze che siano il più possibile uniche e stabili. Sbobinatore: Antoniazzi Piercarlo Revisore: Sacchet Caterina 9.2 Biochimica Clinica 22.11.2023 Si ricorda come esempio l’HCV: dato il suo essere frequentemente mutevole, si ricercavano le regioni più conservate, con rate di mutazioni più basso, che nel suo caso era 5’ UTR. Risulta quindi molto importante usare due copie di primer diversi in modo tale da identificare due regioni conservate, così facendo si abbassa notevolmente il rischio di incorrere in mutazioni che comprometterebbero il risultato. In questo modo non si riduce il rischio a 0, ma sicuramente lo si riduce di molto. Se invece si va ad effettuare un’amplificazione di regioni variabili e un’unica copia di primer la possibilità di avere un falso negativo, risulta molto più alta. Dunque, per ridurre al minimo la variabilità è necessario: 1. Utilizzare regioni più conservate possibili 2. Utilizzare più di una copia di primer 3. Fare in modo che in tutto il mondo si utilizzi lo stesso primer La slide soprariportata evidenzia i primer usati dai vari paesi e le mutazioni riscontrate: ecco, dunque, l’importanza di utilizzare lo stesso primer contro regioni conservate per il confronto dei dati, perché evidentemente il virus, anche se non di molto, muta e se si ha una grande rete di replicazione ovviamente risulta più rilevante. Se, ad esempio, si ha una mutazione ogni 1000, facendo dei cicli di amplificazione se ne avranno 2 su 2000 ma arrivando ad un’amplificazione fino a 100.000/1.000.000, ecco che la mutazione diventa rilevante. È un po’ come il fenomeno degli effetti avversi dei farmaci: se sono rari li si vede solo se si ha una popolazione ampia, se non sono rari li si vede anche in una piccola popolazione. Situazione analoga a quella dei vaccini del COVID, per i quali si è riscontrato l’effetto dell’ipercoagulabilità solo quando si è passati dal test tipico su 5000 persone a quello su milioni di persone. Si tratta di effetti avversi collaterali rari che si vedono soltanto quando si aumenta di molto la numerosità del campione. Aumentando la numerosità del campione, aumentano le replicazioni virali possono aumentare gli errori. Nell’immagine, dunque, sono evidenziate le mutazioni sulle regioni del primer e della sonda (si ricorda che la sonda si lega ad una determinata regione, ha legato il suo fluorocromo e quando arriva la DNA polimerasi lo stacca; se la sequenza di quella sonda, però, non è perfettamente complementare alla sequenza del virus perché c’è stata una mutazione, allora non si lega, non c’è fluorescenza e dunque a livello laboratoriale il virus non viene rilevato, ma è in realtà presente ed il problema è di mancata fluorescenza perché la sonda non si lega). Sbobinatore: Antoniazzi Piercarlo Revisore: Sacchet Caterina 9.2 Biochimica Clinica 22.11.2023 NB: La posizione della mutazione del primer può essere rilevante, solitamente le mutazioni a ridosso del 3’ sono considerate più impattanti rispetto a quelle vicino al 5’. Proprio a fronte di tutte queste problematiche tecniche, il centro per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti, ha stabilito un protocollo RT-PCR per l’identificazione specifica del SAR- CoV2 che avrebbero dovuto seguire tutti i paesi per evitare variabili tecniche. Questo si avvaleva della RT-PCR per la specifica identificazione di SARS CoV2 e di un panel di primer universale per valutare tutti i virus COVID e poi specificatamente il SARS CoV2 (che si ricorda essere appartenente alla famiglia dei coronavirus). È stato quindi evidenziato un set di primer differenti per la regione N, che potessero inizialmente identificare tutti quelli di CoV e poi due set specifici per SARS-CoV2. Si vanno, quindi, ad analizzare 3 copie di primer con 3 tipi di sonda: Una che conosce i coronavirus Due che riconoscono in maniera specifica il SARS-CoV2 Affinchè ci sia una positività a SARS-CoV2 devono risultare tutti e 3 i bersagli positivi. A distanza di un anno, circa nel 2021, ecco che si è giunti a questo consenso. Nel caso di un nuovo virus si dovrà andare ad analizzare nuovamente il suo comportamento e come questo muti, se muta, ma finché non si è rilevata la sequenza del virus, risulta difficile. Il sequenziamento possibilmente deve essere effettuato su campioni diversi per capire eventualmente il grado di variabilità, per capire quali sono le regioni più conservate e quelle meno conservate. Sbobinatore: Antoniazzi Piercarlo Revisore: Sacchet Caterina 9.3 Biochimica Clinica 22.11.2023 DIGITAL DROPLET-PCR La tecnica della RT-PCR è molto sensibile e specifica, ma non permette di valutare il campione in modo più ampio. Per questo si è cercato di innovare questa tecnologia creando una nuova versione: digital droplet PCR. Si parte da un campione di 20µL e si ottiene un partizionamento di 2-5 mila goccioline. All’interno di ciascuna delle gocce si fa avvenire la reazione di amplificazione come nella RT-PCR. Nell’immagine si osserva come la tecnica venga utilizzata per individuare 2 diversi virus. In ogni gocciolina si fa avvenire la reazione, si avrà la colorazione delle gocce in maniera differente in base al tipo di RNA rilevato e in seguito la macchina conterà il numero di gocce dei diversi colori. Il vantaggio è che da un solo campione si ottiene come output un migliaio di dati. Utilizzando questa tecnica si ha una numerosità di dati che permette di fare un’analisi statistica molto più robusta. Aumentando il numero delle partizioni aumenta la precisione. Inoltre, si differenzia dalla RT-PCR, perché si ha un risultato end-point, cioè si contano quante sono le particelle positive e quante quelle negative solo alla fine della reazione e non durante il corso della stessa. Per questo motivo può tollerare variazioni importanti di amplificazione nella prima fase. La dd-PCR risulta più sensibile rispetto alla RT-PCR. Infatti, alcuni campioni di COVID risultati negativi all’analisi con RT sono invece risultati positivi al virus utilizzando la dd-PCR. Ad oggi questa tipologia di macchina non è molto utilizzata a causa dei costi e della necessità di personale specializzato. La dd-PCR ha aumentato il livello di identificazione, sensibilità e accuratezza nel trovare SARS-CoV- 2 nei campioni. Questo si è dimostrato essere anche uno svantaggio perché venivano rilevate anche le minime tracce di RNA, facendo risultare il campione positivo biologicamente anche se il soggetto in esame non era più clinicamente positivo. Punti chiave sulla dd-PCR: Aumentando il numero del partizionamento aumenta la precisione. Può tollerare variazioni importanti di amplificazioni nelle prime fasi. Se nelle prime fasi si amplifica poco, con la RT-PCR, la curva si sposta verso destra e la positività sale più tardi. Questo problema non si verifica con la dd-PCR perché si va a vedere il segnale non durante la fase, ma nel plateau, quando la reazione è già finita. Sbobinatore: Nicola Baldi Revisore: Camilla Romanin 9.3 Biochimica Clinica 22.11.2023 Vantaggi della PCR: Molto utile per identificare il virus nelle fasi iniziali dell’infezione Test rapido: risultato in 2 ore Usata su una larga scala: ogni macchinario può analizzare 96 campioni contemporaneamente Problemi della PCR: Non tutti i kit hanno la stessa efficienza Necessita di un personale altamente qualificato e laboratori adeguatamente attrezzati Impossibilità di utilizzare nei point of care Contaminazioni Possibile identificazione di molecole non infettive N.B.: la FDA (Food and Drug Administration) ha decretato che una RT-PCR negativa non può escludere una infezione da SARS-CoV-2 e non può essere usata come singolo elemento per prendere una decisione diagnostica. Sarebbe necessario effettuare multipli test a intervalli di 3-4 giorni. Un’altra sfida diagnostica riscontrata durante la pandemia è stata l’interpretazione della persistente positività nei pazienti in convalescenza. Non era infatti raro avere dei test PCR positivi 4-6 settimane dopo la risoluzione dei sintomi. I test identificano soltanto materiale genetico (inclusi i resti dei virus morti) e non sempre indicano la presenza di infezione da virus in attiva replicazione. Un lavoro pubblicato nel 2020 (Motley et al, Critical Care Explorations, 2020, Volume 2, e0154) dice che è possibile che pazienti ancora positivi alla PCR non siano infettivi. Se alla PCR viene riscontrata una positività, l’unico modo per dimostrare che un soggetto è effettivamente infetto è andare a ricercare la particella virale. Solo se è presente la particella virale, allora il paziente è infetto. POINT OF CARE TEST Si intendono analisi eseguite in prossimità o presso il punto di cura o di assistenza del paziente (stazioni dei treni, aeroporti…) in modo da rendere il risultato disponibile immediatamente o in un breve lasso di tempo. Necessitano quindi di un test sensibile, specifico, poco costoso e rapido da fare. Sono stati sviluppati alcuni test che si basano su PCR semplificate basate su reazioni che danno riscontri colorimetrici. Sono strumenti non banali che non sono mai stati utilizzati nei point of care. Esempio di test colorimetrico: Lamp technology. Sbobinatore: Nicola Baldi Revisore: Camilla Romanin 9.3 Biochimica Clinica 22.11.2023 IDENTIFICAZIONE DEGLI ANTICORPI Gli anticorpi non si possono utilizzare come metodo diagnostico perché non permettono di rilevare l’infezione in tempi precoci. Infatti, nella fase di incubazione non ci sono anticorpi perché il sistema immunitario non ha ancora avuto il tempo di produrli. Le IgM sono le prime a comparire, vengono prodotte rapidamente ma hanno bassa specificità. Sono la prima linea di difesa. La positività per le IgM indica che l’infezione è in atto. Successivamente le IgG aumentano e indicano un’infezione pregressa. In genere IgM e IgG sono riscontrabili da 7-14 giorni dall’inizio dei sintomi e non sempre si ha una gran correlazione tra i livelli di anticorpi e la gravità della malattia perché i livelli di anticorpo dipendono anche dalla capacità dell’organismo di produrli. Pertanto, non sempre è presente questa correlazione, anche se in qualche caso è presente. Per quanto riguarda la risposta umorale, si è visto che dura poco e che le cellule B di memoria potrebbero scomparire 1-2 anni dopo la prima infezione. Per il COVID la situazione è persino peggiore perché già dopo 6 mesi le cellule della memoria sono pochissime. Le IgA non sono mai state considerate in maniera seria per motivi tecnici. RISPOSTA IMMUNITARIA SARS-COV Nei soggetti con malattia modesta si verifica una risposta immunitaria bassa ma efficiente. Nei soggetti con malattia grave si verifica una risposta immunitaria sregolata che contribuisce al danno polmonare. Per quanto riguarda SARS-CoV-2 si identificano i seguenti tipi di anticorpi: Anticorpi IgM / IgG contro regione RBD della proteina Spike Anticorpi IgG / IgM / IgA contro proteina NP Anticorpi IgG / IgM contro proteina Spike e proteina NP Sbobinatore: Nicola Baldi Revisore: Camilla Romanin 9.3 Biochimica Clinica 22.11.2023 Il problema è che non tutti i soggetti rispondono alla stessa maniera. Alcuni rispondono di più contro la proteina S altri contro la proteina NP. Bisogna quindi andare a ricercare sia gli anticorpi anti S che anti NP. Inoltre, la proteina N ha grande omologia tra SARS-CoV-2 E SARS-CoV. All’inizio del 2020 venivano utilizzati degli anticorpi che potevano riconoscere parti simili ad altri virus. Quindi la scelta dell’anticorpo da identificare è estremamente importante. TEST PER VALUTARE IL TITOLO ANTICORPALE Per valutare il titolo anticorpale devo selezionare soltanto gli anticorpi neutralizzanti, cioè quelli che neutralizzano l’effetto del virus. Nell’immagine a lato si vedono dei pozzetti contenenti siero di controllo, siero con pochi anticorpi e siero con molti anticorpi. In questo caso specifico si ricercano gli anticorpi anti-S. Nella seconda parte dell’immagine si osserva l’antigene S, gli anticorpi da cercare nel siero e un anticorpo secondario che è collegato a un sistema di rilevamento colorimetrico. Per andare a rilevare la quantità di anticorpi presenti nel siero si va a diluire progressivamente il siero e si va a vedere l’intensità della fluorescenza liberata dal legame tra anticorpi anti-S e anticorpi anti-IgG. Aumentando la diluizione si avrà una riduzione degli anticorpi e di conseguenza una riduzione della fluorescenza. La quantità di anticorpi viene espressa come titolo anticorpale: positivo a 1:2, 1:4, 1:16, … (1:2, 1:4, 1:16 indicano il tipo di diluizione) Nel grafico si individuano: La funzione in verde (Row C) che rappresenta il soggetto sano in cui non sono presenti anticorpi che si legano; La funzione in rosso (Row B) che rappresenta il soggetto con bassa carica in cui l’intensità della fluorescenza cala dopo la diluizione 1:4; La funzione in blu (Row A) rappresenta la permanenza di intensità ottica forte fino a diluizione 1:64, a indicare la presenza di una quantità maggiore di anticorpi. Questo sistema di ricerca richiede personale specializzato e tempistiche non rapide. Esistono dei kit che permettono di identificare la presenza di anticorpi in maniera più rapida e facile da attuare nei point of care. Consistono in una striscia di carta assorbente sulla quale va posta una goccia di siero del soggetto. Sulla striscia sono presenti una serie di antigeni marcati con fluorocromo e un antigene di controllo. Sbobinatore: Nicola Baldi Revisore: Camilla Romanin 9.3 Biochimica Clinica 22.11.2023 La goccia va caricata a livello del punto giallo, poi si avrà la migrazione del siero del soggetto. Nella prima zona gli anticorpi contro S si legheranno all’antigene. Il siero continua la migrazione e arriverà alla seconda linea dove ci saranno anticorpi contro le IgG. Questi anticorpi legheranno le IgG del soggetto che prima avevano riconosciuto la proteina S, bloccheranno quindi la loro migrazione e rilasceranno la colorazione. Le IgM avanzano lungo la striscia e vengono bloccate nella seconda linea dove ci sono anticorpi che le riconoscono; avviene quindi la colorazione della seconda linea. Alla fine della striscia si ha una control lane: gli antigeni aspecifici migreranno fino alla fine e si legheranno alla control lane che si colorerà per dimostrare che il siero ha percorso tutta la striscia fino alla fine. Il risultato è quello che si vede a sinistra nell’immagine: - Il primo campione non presenta anticorpi specifici; - Il secondo soggetto ha solo IgM, quindi presenta la malattia in atto; - Il terzo soggetto presenta sia IgM che IgG quindi la malattia è in risoluzione. Questo non è un test quantitativo quindi non si può affermare se le immunoglobuline sono tante o poche. Si tratta però di un test molto facile e rapido. TEST IMMUNOCROMATOGRAFICO Vengono inoltre mostrati dei dispositivi per l’immunocromatografia, ideali per l’utilizzo point of care. Sono facili da usare e non richiedono materiale aggiuntivo. Questi dispositivi però necessitano di conferma ad alto livello perché sono poco sensibili. Data la bassa sensibilità dei test sopra mostrati sono stati sviluppati dei nuovi test (immagine sotto). Sono dei chip che presentano un pozzetto dove si inserisce il siero del soggetto che viene utilizzato per identificare anticorpi SARS-COV2, D-dimero, INR, proteina C reattiva e molto altro. Sbobinatore: Nicola Baldi Revisore: Camilla Romanin 9.3 Biochimica Clinica 22.11.2023 Si va verso una trasformazione digitale della ricerca. Alcune considerazioni: La comparsa degli anticorpi dipende un po’ dal soggetto. In alcuni possono comparire prima gli anti N piuttosto che gli anti S. Non è sempre facile stabilire quando si possono trovare gli anticorpi. Nel 2020 è stata osservata che la positività agli anticorpi anti-SP sia IgM che IgG era più alta che gli anti-NP. Ci sono anche casi con pazienti COVID che hanno sviluppato anticorpi solo contro SP o solo contro N. Quindi l’approccio più sicuro è la ricerca di anticorpi sia anti N che anti S. Oltre alla variabilità del tempo di comparsa si ha anche la variabilità del tipo di antigene. Sbobinatore: Nicola Baldi Revisore: Camilla Romanin 9.4 Biochimica clinica 22.11.2023 Riprendendo il discorso della sbobina precedente… Nature Medicine (una delle più importanti riviste di medicina) nel 2021 pubblicò un articolo presentando uno studio riguardo l’efficacia degli anticorpi protettivi contro l’infezione virale da Covid- 19 e nello specifico venne analizzato il rapporto tra la concentrazione delle IgG anti-S e il rischio relativo di contrarre l’infezione. Si evidenziò come il rischio di contrarre l’infezione si abbassi notevolmente nel caso in cui il titolo anticorpale sia superiore a 264 BAU/mL: quindi, più sono elevati gli anticorpi circolanti, più si è protetti dall’infezione, e di conseguenza, meno sono gli anticorpi circolanti, minore è la protezione. Questo concetto è illustrato dai due grafici riportati: in ascissa si ha la concentrazione dell’IgG ricercata, mentre in ordinata il rischio relativo. Da questi due si ricava la stessa informazione, e l’unico elemento che varia è la tipologia di IgG considerata. Infatti, il grafico a sinistra fa riferimento a IgG anti-S mentre quello a destra a IgG anti-RBD, cioè una regione specifica di Spike. Riassumendo: questo lavoro, in apparenza banale, dimostrò come un titolo anticorpale elevato sia protettivo nei confronti dell’infezione: sapendo inoltre che con il tempo il titolo cala, è chiaro come sia necessario ri-stimolare la produzione di anticorpi con ulteriori dosi di vaccino per essere protetti dall’infezione. Il prof successivamente propone una tabella che illustra un elenco di kit sviluppati per valutare l’infezione virale con le relative specificità e sensibilità; l’elenco mette in evidenza come non tutti i kit presentino questi parametri uguali tra di loro, ma come tutti siano comunque abbastanza attendibili. Ovviamente non si avrà mai né una specificità né una sensibilità del 100% in quanto l’efficienza del kit presenta diversi limiti, alcuni legati alla nostra scarsa conoscenza riguardo alla risposta immune del soggetto (ma ad oggi si sa che il titolo anticorpale scende più velocemente di quanto ci si Sbobinatore: Laurini Virginia Revisore: Battistutta Matteo 9.4 Biochimica clinica 22.11.2023 aspettasse e si sperasse) e altri legati alla possibile cross-reattività degli anticorpi. Quest’ultimo elemento, soprattutto all’inizio, è stato un problema rilevante in quanto i kit circolanti non potevano garantire il riconoscimento solo ed unicamente degli anticorpi anti Covid-19. Da allora, però la specificità è molto aumentata. È inoltre importante non confrontare i risultati ottenuti da kit diversi. TEST PER IDENTIFICARE ANTICORPI NEUTRALIZZANTI Una volta ritrovati gli anticorpi circolanti è necessario verificare che questi siano anticorpi neutralizzanti cioè capaci di neutralizzare l’effetto del virus. Il virus del Covid è un virus citopatico che porta la morte delle cellule infettate e il test sfrutta questa caratteristica. Il test prevede: - Allestimento di culture cellulari (sensibili al virus) in monostrato. - Preparazione di due soluzioni: una ottenuta dalla combinazione di particelle virali d’interesse (precedentemente isolate) con siero di un soggetto convalescente e un’altra ottenuta dalla combinazione con siero di un soggetto che non ha mai contratto il virus. - Addizione delle due soluzioni alle culture cellulari. Il siero del soggetto convalescente presenta gli anticorpi neutralizzati e quindi combinandolo con il virus, questo verrà neutralizzato e quindi non infetterà le cellule, che sopravviveranno; al contrario, il siero di paziente mai infettato, non presentando anticorpi, non neutralizzerà il virus, il quale potrà manifestare la sua attività citotossica, uccidendo le cellule. Sulle piastre, la morte cellulare dovuta da infezione del virus è resa nota dalla formazione di piccoli “tondini/puntini” detti placche di lisi: maggiore sarà il numero di puntini, tanti più virus saranno attivi nella soluzione addizionata. Per valutare con certezza le placche di lisi e quindi la presenza di anticorpi neutralizzati, si creano delle diluizioni progressive delle soluzioni combinate ottenute per poi addizionarle a ulteriori culture cellulari. Il risultato che si ottiene varia a seconda del siero: nelle piastre con l’aggiunta della soluzione senza anticorpi, anche con l’aumentare della diluizione si ottiene lo stesso numero di placche di lisi, mentre nelle piastre con la soluzione contenente siero del soggetto convalescente, aumentando la diluizione le placche aumentano. Ciò è dovuto al fatto che con l’aumento della diluizione, gli anticorpi neutralizzanti presenti diminuiscono e quindi la protezione delle cellule dal virus si riduce, con una loro maggiore lisi. Questo è un metodo utile per stabilire se effettivamente un soggetto presenta gli anticorpi che neutralizzano il virus in questione, senza però sapere l’anticorpo specifico. Durante la pandemia, era stato proposto di curare i soggetti con forme gravi di covid con sieri di pazienti convalescenti che contenessero, appunto, gli ac neutralizzanti; concettualmente sfruttare questo principio non è sbagliato, però si è visto che con vari virus, come con il Covid, questo può o non può funzionare. È da tener anche in considerazione che con questa cura si introducono proteine eterologhe contro cui l’organismo ricevente può sviluppare una reazione immunitaria. Sbobinatore: Laurini Virginia Revisore: Battistutta Matteo 9.4 Biochimica clinica 22.11.2023 DETERMINAZIONE DELLE CELLULE DI MEMORIA ANTI COVID-19 La ricerca degli anticorpi risulta molto utile, ma ad oggi si sa che anche le cellule di memoria possono avere un ruolo determinante nella diagnosi dell’infezione: le cellule di memoria sono quei linfociti che sono in grado di produrre gli ac neutralizzanti. Ma, mentre identificare gli ac è relativamente facile, la ricerca delle cellule di memoria risulta più complicato ed indaginoso. L’interferone γ è una citochina sintetizzata principalmente dai linfociti T CD4+ e CD8+ con ruolo fondamentale nella protezione nei confronti dei virus; infatti, esso induce l’attivazione dei macrofagi e stimola l’immunità citotossica specifica. I pazienti Covid-19 presentano spesso cellule T CD8+ reattive alla stimolazione SARS-CoV-2, che portano poi alla produzione di interferone gamma. Sapendo ciò, è stato sviluppato un test detto Quan-T-Cell ELISA, che permette di misurare la quantità di interferone gamma rilasciato da globuli bianchi in seguito ad una risposta immunitaria cellulare. I linfociti, presenti in un campione di sangue eparinato e sottoposto a varie preparazioni, vengono stimolati con antigeni COVID-19 specifici (proteina S e N) e successivamente viene misurata la quantità di interferone gamma prodotto da questi sotto stimolo antigenico. Se nel sangue del paziente indagato sono presenti i linfociti di memoria, questi riconoscono l’antigene e rilasciano IFN-γ, che verrà misurato quantitativamente da sistemi piuttosto complessi. La quantità di IFN-γ misurata è proporzionale alla quantità di cellule di memoria sviluppate contro l’antigene aggiunto. Riassumendo: questo test valuta la quantità di cellule di memoria per un determinato virus. Non è un test utilizzato su larga scala, al contrario degli anticorpi, ma è chiaro che potrebbe essere uno strumento interessante per possibili future condizioni simili, in quanto come il sistema è valido per il Covid, risulta altrettanto valido anche per tantissimi altri virus. Se un paziente ha fatto il vaccino/contratto il virus, ma ha pochi anticorpi, è esposto ad altre sue infezioni? Teoricamente il paziente dovrebbe essere protetto nonostante il calo anticorpale, in quanto la protezione (secondo quanto detto precedentemente) potrebbe dipendere dal numero di cellule di memoria che li producono. L’evidenza, poi, ha reso noto che le re-infezioni sono possibili, ma si è comunque chiesto se queste fossero dovute allo stesso ceppo virale o a varianti di questo ceppo; in quest’ultimo caso, sarebbe evidente come la produzione di anticorpi precedente è inutile contro il nuovo ceppo. Sbobinatore: Laurini Virginia Revisore: Battistutta Matteo 9.4 Biochimica clinica 22.11.2023 Questo spiega anche il motivo per cui con il tempo sono stati sintetizzati nuovi vaccini che contenessero un mRNA leggermente diverso da quello originale; infatti, questi riproducevano la proteina Spike modificata. Sono, quindi, necessari ed essenziali dei vaccini che tengano conto dell’antigenicità del virus che circola. IDENTIFICAZIONE DI PARTICELLE VIRALI SARS-CoV-2 Rispetto alla diagnostica del genoma e degli anticorpi, questa metodologia diagnostica è utilizzata molto poco, in quanto va a valutare la presenza di particelle virali integre, che rappresentano un segno inequivocabile di presenza e di infezione da parte del virus ricercato. Mentre per le tecniche di PCR si ha una altissima sensibilità e per le tecniche di individuazione degli anticorpi una discreta sensibilità, la sensibilità nell’individuazione delle particelle virale è molto bassa. L’identificazione di particelle virali integre si basa su l’utilizzo di molecole di grafene che formano una superficie su cui si legano delle strutture specifiche, che sono a loro volta legate ad anticorpi che riconoscono il virus in questione (un qualsiasi virus si voglia). Tutto ciò avviene all’interno di una matrice in gel, che quando si ha interazione tra anticorpo e particella virale, permette di creare un segnale (una specie di corrente elettrica di cui però il prof non è sicuro) che viene poi trasferito e tradotto. È possibile scegliere l’anticorpo, da far legare alle strutture, in base alla proteina che si vuole riconoscere; questa ovviamente deve essere una proteina di superficie, vista la ricerca del virus integro (anticorpo non può entrare nel virus, in quanto in tal caso questo non sarebbe integro); generalmente la proteina ricercata è la proteina S. Deciso l’antigene da riconoscere, si può improntare un test in cui vengano riconosciute anche le varianti della proteina in questione, utilizzando anticorpi che riconoscono proteine leggermente diverse tra di loro: in questo modo è possibile il riconoscimento di un più ampio spettro di virus, andando quindi a considerare anche le sue possibili varianti. Con la positività del test non si saprà esattamente quale anticorpo si è legato e quindi ha trasmesso il segnale, ma ciò che interessa sapere è se esso ha reagito o meno. È però possibile andare a riconoscere l’anticorpo attraverso altri metodi (prof non si è soffermato). Ad oggi questi sistemi presentano livelli di detezione non ottimali: è necessaria una quantità di virus oltre ad una certa soglia, e se questa è inferiore, cioè presenza di pochi virus, essi non sono rilevabili. Si sta quindi cercando di abbassare il più possibile questa soglia di detezione, così da riuscire ad ottenere un segnale positivo nonostante la bassa quantità di virus presente; in questo modo si rende il test più sensibile e funzionale ad una individuazione precoce dell’infezione. Sbobinatore: Laurini Virginia Revisore: Battistutta Matteo 9.4 Biochimica clinica 22.11.2023 Il vantaggio principale di questo sistema è che esso è totalmente indipendente dalla risposta immunitaria, e il principale svantaggio invece riguarda la carica virale; se questa è bassa (come nella fase inziale) non si riesce a identificare la presenza del virus. Comunque, il sistema non è ancora entrato in commercio ma è valido solo a livello della ricerca di base. MONITORAGGIO ESAMI DI LABORATORIO Oltre ai sistemi citati, esistono anche una serie di test effettuati non a scopo diagnostico, ma prognostico e/o di monitoraggio dell’infezione che vengono condotti su pazienti ospedalizzati e quindi caratterizzati da forme gravi di Covid. Questi test prevedono: - Conta dei linfociti - Dosaggio proteina C reattiva → più è elevata, maggiore è il grado di infezione e infiammazione. - Dosaggio D-dimero → più è elevato, maggiori sono i fenomeni di coagulazione e lisi del coagulo; ciò riguarda quindi la problematica connessa ai coaguli intravasali a livello polmonare. - Numero di CD4+, CD8+ e NK → più sono valori elevati, maggiore è l’entità dell’infezione; inoltre, la loro quantità può essere correlata alla severità del Covid. In generale, la quantità di cellule T periferiche tende a diminuire in maniera inversamente proporzionale alla carica virale, all’infiammazione e alla gravità della patologia. Domanda studente: sulla confezione dei tamponi rapidi Covid era riportata una specificità del 100% e una sensibilità del 90% circa. Il prediligere la specificità rispetto alla sensibilità è legata ad una esigenza specifica della pandemia in modo da evitare falsi positivi oppure legata ad altre motivazioni? Risposta: questa potrebbe essere una strategia: essendo il più specifico possibile si evitano si rilevare dei falsi positivi perdendosi però parte di soggetti debolmente positivi; è chiaro che queste caratteristiche sono indicate dalla ditta produttrice ed è come se fosse l’avvocato di parte a scriverle (nonostante la presenza di normative) in quanto è molto difficile che un qualsiasi dato abbia una specificità così alta. Sbobinatore: Laurini Virginia Revisore: Battistutta Matteo

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