Biochimica Applicata dal Cell. (PDF) 2016-2017
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2017
Renata Battini
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These notes cover introductory applied biochemistry, focusing on biological samples, cell cultures, and separation/analysis techniques. Examples include centrifugation, precipitation, and chromatography, and their applications in analyzing biological components. The document also discusses buffering solutions and their importance in maintaining a constant pH.
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BIOCHIMICA APPLICATA PROF.SSA RENATA BATTINI 2016-2017 (1.Biochimica) Introduzione alla biochimica applicata Di che cosa si occupa la biochimica applicata? Di aspetti in buona parte sperimentali. La biochimica è applicata agli oggetti di studio. Gli oggetti di studio sono i campioni...
BIOCHIMICA APPLICATA PROF.SSA RENATA BATTINI 2016-2017 (1.Biochimica) Introduzione alla biochimica applicata Di che cosa si occupa la biochimica applicata? Di aspetti in buona parte sperimentali. La biochimica è applicata agli oggetti di studio. Gli oggetti di studio sono i campioni biologici, l'oggetto della biochimica è il mondo dei viventi. Per studiarne le parti o capire alcune funzioni dei viventi, bisogna usare tecniche, metodi o modelli che sono i campioni biologici. I campioni biologici possono essere: cellule tessuti colture cellulari Partiamo da questo, un organismo intero, come un verme, può essere un campione biologico, anche il caenorabitis elegans; tante volte abbiamo una biopsia, un fluido biologico. Possiamo utilizzarli anche in tanti modi. Il primo passo è vedere come si ottengono, come si trattano e come si manipolano. Detto questo abbiamo già detto molte cose, dobbiamo vedere come si coltivano le cellule, cosa sono le colture cellulari, come possono essere usate e manipolate per studiare campioni cellulari e per far fare loro quello che ci interessa. Parlando di colture cellulari si parla di cellule eucariotiche, le colture cellulari sono soprattutto quelle, ma abbiamo anche colture batteriche di cellule procariotiche. Come si coltivano, a cosa possono servire? Dal punto di vista dell'analisi per capire cosa fanno e quale è il loro comportamento, questo è oggetto soprattutto della microbiologia, ma come sfruttarle per fagli fare qualcosa può essere oggetto a metà tra la biochimica applicata, la microbiologia e anche per un terzo della biologia molecolare. Come materiale di partenza per estrarre il dna useremo soluzioni per coltivare batteri. Quando si parla di campioni biologici tratti da sistemi più complessi o che sono essi stessi sistemi più complessi, possiamo avere a che fare con: parti di tessuto una biopsia un espianto Questo parlando di animali; per quanto riguarda le piante anche un pezzo di radice è un campione biologico. Come estraiamo un dna da una pianta o da una banana? Anche proteine, zuccheri possono essere estratti, in generale si possono estrarre tutte quelle sostanze che possono avere un interesse applicativo. I campioni possono anche essere degli animali, i modelli animali sono usati per sperimentazione (=sperimentazione animale). Per quello che riguarda le colture cellulari vedremo: come si coltivano le cellule, quali sono i terreni, di cosa hanno bisogno, quali sono le risposte che possono dare le cellule e quali utilizzazioni possono avere. Parleremo di aspetti pratici e tecniche sulle quali sarà richiesta un minimo di familiarità, per avere un'idea di quando bisogna applicare una tecnica piuttosto che un'altra e quando ha senso applicare una certa tecnica. Parlando di campioni biologici partiamo sempre da campioni complessi; anche una coltura batterica fatta da batteri tutti uguali è un campione complesso, perchè all'interno di ogni singolo battere ci sono moltissime proteine diverse, molti zuccheri diversi. Qualunque sistema noi consideriamo come sistema biologico è un sistema complesso. Quando vogliamo studiare un aspetto del campione biologico quasi sempre dobbiamo separare una determinata componente con la quale vogliamo lavorare, cercare di rimuovere una parte se ce ne interessa un'altra. Ad esempio se abbiamo il sangue e ci interessano le cellule dobbiamo raccoglierle, se non ci interessano le cellule, ma il plasma dobbiamo trovare un modo per separare le cellule dalla parte liquida. Molte volte quando abbiamo a che fare con campioni complessi, ossia quasi sempre, dobbiamo rompere le cellule perché vogliamo avere il loro contenuto riversato nel sistema per andare a cercare l'acido nucleico piuttosto che la proteina che ci interessa, piuttosto che uno zucchero. Dobbiamo vedere come si possono ottenere degli omogenati cellulari e poi separare i vari componenti. Per la separazione di componenti si usano le seguenti tecniche: centrifugazione: uno strumento che si usa quasi sempre è la centrifuga. La centrifuga si usa per preparare centrifugate preparative speciali o si usa in generale per separare la parte solida dalla parte liquida. Vedremo quali sono le tecniche che usano la centrifugazione per separare e quali sono i principi che stanno alla base della centrifugazione. precipitazione selettiva:per separare i diversi componenti, abbiamo anche bisogno di far precipitare in modo selettivo. Possiamo cercare di separare i componenti di un sistema cercando di aggregarne alcuni e tenerne in soluzioni altri. cromatografia: la cromatografia applicata alle macromolecole. Vedremo gli aspetti di questa tecnica correlati a quando essa viene usata per separare proteine. Vedremo quali tipi di cromatografie possono essere usate per isolare acido nucleico. Parleremo di cromatografia di affinità che è molto utile in ambito biologico. Compenetrate alle tecniche appena viste, ci sono le tecniche analitiche, che da una parte servono per seguire come sta andando una determinata purificazione e separazione e dall'altra consentano di analizzare un po, applicata ai mostri casi. Come si fa ad esempio a determinare la glicemia? Tramite aspetti spettrofotometrici. Con queste tecniche si possono determinare qualitativamente i componenti biologici, andare a ricercare la presenza di una certa proteina, andare ad osservare l'attività di un enzima, osservare quali sono le interazioni tra l'enzima e il substrato, quindi andare a vedere l'interazione ormone-recettore ad esempio. Le tecniche analitiche danno anche informazioni quantitative di come si misura una concentrazione, una attività. Vedremo anche i metodi che riguarderanno le tecniche di dna ricombinate. Tutto quello che avremo visto sugli acidi nucleici, servirà per studiare fenomeni biologici, per ottenere farmaci (le proteine terapeutiche sono sostanzialmente farmaci), tutte le varie tecniche incontrate, verranno usate per indagini di biochimica clinica. Tante determinazioni rutinarie vengono fatte nelle farmacie. Abbiamo una biopsia o una coltura cellulare o un fluido biologico e abbiamo la necessità di conservarlo, trattarlo, la maggior parte delle volte, essendo rispettosi delle sue caratteristiche di origine; dobbiamo dunque tenerlo in un campione, in una soluzione acquosa. Il pezzo di tessuto deve essere messo in una soluzione in cui frammentarla, tali soluzioni sono le soluzioni tamponi (buffers), così come sono soluzioni tampone i liquidi biologici. Dobbiamo sempre rapportarci a come sono fatti nella loro natura i liquidi biologici. Un campione di tessuto è fatto prima di tutto da acqua in cui sono sciolti i sali che sono mantenuti grossomodo alla stessa concentrazione di soluti e di H+ quindi allo stesso ph. I fluidi extracellulari sono spesso il nostro campione di indagine, i nostri sistemi da studiare o valutare, come plasma urine o liquido cerebrospinale di cui dobbiamo conoscere un po la composizione almeno in termini di elettroliti e ph per poterli poi eventualmente manipolare. È interessante, parlando di composti inorganici, la componente inorganica in un organismo complesso come quello di un mammifero come l'uomo. Vediamo la diversa composizione almeno in alcuni elettroliti dei fluidi intra ed extracellulari. I liquidi extra cellulari hanno prevalenza di sodio con poco potassio, i liquidi intracellulari hanno poco sodio e molto più potassio,questa è la differenza maggiore, qualcosa di diverso c'è anche nei tamponi. Esercizio= 1) Una soluzione 145 mM di sodio con il controione cloro più frequente, quanti g/L è (grammi/litro)? 0,145 M (145mM) → g/L ? Devo moltiplicare 0,145 M per il peso molecolare (PM) di NaCl che è uguale a 58,44 g/mol molarità x PM = g/l mol/L x g/mol = g/L 0,145 M x 58,44 g/mol = 8,474 g/L g/L : 100 = %p/v → 8,474 : 1000 = x : 100 x=(8,474 x 100)/ 1000 = 0,8474 % p/v composizione percentuale in peso su volume (p/v), valore molto vicino a 0,9% dove 0,9% p/v è la composizione della soluzione fisiologica. La composizione fisiologica è la soluzione che ha una composizione, in termini di forza ionica e di osmolarità simile a quella dei fluidi intra ed extracellulari, ma soprattutto dei fluidi extracellulari, usata per fare iniezioni, per la fleboclisi ecc. L'attività elettrica del cuore dipende anche dalle diverse concentrazioni di K+ nel liquido intra ed extracellulare. Se faccio un'iniezione di KCl provoco un arresto cardiaco perché la differenza di concentrazione tra intra ed extracellulare di questo catione è molto importante per l'attività elettrica del cuore. Bicarbonato e fosfato sono piuttosto diversi tra i fluidi di plasma, intra ed extracellulare. Bicarbonato e fosfato sono i principali tamponi organici dei fluidi biologici. È importante la composizione dei singoli componenti, è importante il mantenimento delle differenze ed è importante anche il complessivo contributo, ma il complessivo contributo è molto simile, ovvero la pressione osmotica dentro e fuori una cellula è più o meno simile anche se ad essa contribuiscono componenti diversi (questo perchè in un organismo le cellule sono in equilibrio osmotico con il resto). Equilibrio osmotico non vuol dire equilibrio dei singoli componenti. Della sottocomposizione bisogna tener conto quando vogliamo ottenere un omogenato, se vogliamo spaccare delle cellule e lo vogliamo fare in acqua e ci interessano le proteine, alteriamo anche la struttura delle proteine perché le proteine rotte in acqua senza nessuna aggiunta non si trovano più nella stessa composizione in termini di sali che avevano all'interno del tessuto di partenza. Le proteine per questo motivo possono perdere alcune delle loro caratteristiche, come la loro associazione se sono multimeriche, o non essere associate tra loro se hanno associazioni momentanee, o essere denaturate. Questo avviene perché non hanno più la stessa forza ionica. Quindi quando si deve preparare una soluzione in cui risospendere o semplicemente rompere delle cellule si deve ragionare in termini di composizione e di reazione che il componente di interesse può avere una volta a contatto con il fluido in questione in cui spacchiamo il campione. Poiché i fluidi biologici sono delle soluzioni tampone dobbiamo tenere in considerazione anche il ph in cui vogliamo fare crescere le cellule o trattiamo le cellule, dobbiamo usare soluzioni tampone che possono essere uguali a quelli nei fluidi biologici intra ed extra cellulari o possono eventualmente essere anche diversi da questi, ora vediamo come. Tutto ciò che riguarda le soluzioni tampone, come si comportano, deve essere conosciuto. L'equazione di Henderson-Hasselbalch pH= pKa + log [base] / [acido] deve essere nota. Di una soluzione tampone si dice che per piccole aggiunte di acido o base forte il ph cambia di poco. Ad esempio se abbiamo una soluzione 1 M in acetato e 1 M in acido acetico abbiamo un ph di 4,74, dato dalla formula di Henderson-Hasselbalch, se mettiamo una quantità moderata di acido cloridrico o di soda vediamo che il ph si sposta di poco; questo è esattamente il ruolo dei tamponi. Il tampone acido acetico- acetato di sodio è il tampone più usato negli esempi e che abbiamo già incontrato più volte nei problemi di stechiometria. Per una uguale concentrazione di Cs e Ca il ph è 4,75. Quand'è che un tampone meglio esercita il suo ruolo di tampone? Quando ha un pK vicino al ph dell'acido o base debole a seconda dei casi, quindi il tampone acido acetico-acetato è un buon tampone quando devo fare una soluzione a ph 4,5-4,7. Se vogliamo fare un tampone acido acetico-acetato di sodio a ph 7 non lo facciamo perché avrebbe potere tamponante molto basso, in mezzo a questi della tabella, abbiamo un acido che abbia un pk buono per fare dei tamponi vicino a ph 7? Uno di quelli più vicini è l'acido ipocloroso, ma una soluzione 2% di ipoclorito di sodio è la candeggina! Non si può fare un tampone con l'acido ipocloroso quindi non possiamo usare un tampone tra i più conosciuti per fare una soluzione che abbia ph 7. Si deve lavorare anche sulle concentrazioni perché quello che serve in un laboratorio biologico è un tampone che mantenga un certo ph. Per farlo scelgo l'acido o la base debole che abbia il pKa più vicino al ph che mi interessa, quindi lavoro sulle concentrazioni dei due, sul rapporto Cs/Ca della formula di Henderson-Hasselbalch, in modo che sia più vicino a 1 possibile. Più tale rapporto è vicino a 1 maggiore potere tamponante avrà il mio tampone. Posso ottenere una discreta gamma di valori di ph anche lavorando sulle concentrazioni, tamponi che mantengono un ph 7,2-7,4 non sono difficili da ottenere. Allora come si fa ad ottenere soluzioni con un ph cosiddetto fisiologico (il ph del plasma e di altri fluidi biologici è 7)? Nei fluidi extracellulari e nella maggior parte dei fluidi intracellulari il ph è 7, chi lo mantiene ? Tra i tamponi inorganici abbiamo il tampone fosfato. Dell'acido fosforico si considera la seconda dissociazione, il primo pKa dell'acido fosforico è da acido forte. La seconda dissociazione invece è da acido debole e ha un ph non troppo lontano da 7 l'altro tampone che dovremmo conoscere è quello CO2-bicarbonato: questo tampone è il principale tampone dei fluidi extracellulari uno dei principali tamponi del sangue. Ma il pKa dell'acido carbonico è intorno a 6, allora come mai riesce a contribuire al mantenimento del ph intono a 7? Perché non è all'equilibrio, è legato alla pressione parziale della CO2 e alla sua diffusività. La CO2 con la sua pressione parziale nei fluidi extracellulari l abbassa un po il ph perché andando nei polmoni ribasifica il sangue. Oltre ai tamponi inorganici c'è l'enorme contributo dei tamponi organici. Il contributo di tutte le proteine che si trovano nel sangue, questo vale anche per gli ambienti intracitoplasmatici. Ogni proteina infatti ha un piccolo ruolo di tampone perché è composta da aa che sono acidi deboli con due dissociazioni (quando non sono tre); anche gli aa liberi contribuiscono a mantenere entro limiti il ph di tutti i fluidi intra ed extracellulari. Quando dobbiamo preparare un tampone in cui mettere le nostre cellule o i nostri tessuti dobbiamo badare alla forza ionica e al ph, non abbiamo nulla che ci tenga la pressione parziale di CO2 diversa da quella atmosferica, quindi il tampone CO2-bicarbonato non lo usiamo. Il tampone fosfato lo possiamo usare nei campioni biologici ma ci sono dei tamponi non biologici , delle sostanza che in laboratorio vengono usate di più. Da questi tamponi si vuole che abbiano un buon potere tamponante, che interferiscano il meno possibile con le attività cellulari e con le componenti cellulari, che se abbiamo bisogno di risospendere delle cellule o degli organelli che non si infilino dentro altrimenti alterano i componenti interni. I tamponi organici devono essere stabili, non devono alterarsi e possibilmente devono anche costare poco. Siccome moltissimi passaggi sfruttano la spettrofotometria magari anche solo per seguire una corsa elettroforetica si mette una finestrina per rilevare quello che esce e magari usarlo direttamente, per questo motivo l'ideale per tutti i tamponi che si usano in ambito biologico è avere qualcosa che non assorba in uv. Se mettiamo insieme tutti questi requisiti non sono molte le sostanza che rispondono e in mezzo a quelli più usati ce ne sono alcuni particolarmente usati che hanno utilizzi diversi in situazioni un po diverse. Tamponi usati in laboratorio: ➔ acido acetico-acetato di sodio: ha un vantaggio: chela il ferro e molti ioni bi o trivalenti, può essere vantaggioso se si vogliono sequestrare ioni. Chelando anche il calcio può essere anche usato come un anticoagulante anche se non potentissimo, ha però ph piuttosto basso ➔ acido carbonico-bicarbonato: è poco usato ➔ Tris: è una molecola semplice, relativamente poco costosa. Si tratta del tris idrossi- metil-aminometano. È piuttosto solubile, non assorbe in uv, è stabile, ha un pKa un po alta (8), quindi se si prende il tris base e si scioglie, si ottiene una soluzione con ph 8. Però aggiungendo un po di acido cloridrico si forma tris cloruro che salifica parzialmente e si riescono a fare tamponi con una ottima tenuta di ph e senza che si degradi la molecola. Il tampone tris può essere usato in una gamma di ph che va da 7,5-8,5 senza molti problemi. È il tampone più amato e usato, non va bene per le cellule vive. Se devo coltivare delle cellule o lo devo aggiungere a una coltura di cellule per tenere il ph costante fuori dall'incubatore, non va bene, ma per gli usi più comuni è il tampone più usato. Ha un PM=121 g/mol. Il tris che si trova confezionato in barattoli può essere tris base o tris-cloruro. Se al tris aggiungo un altro acido anziché acido cloridrico si formerà una molecola analoga al tris cloruro per certi versi, ma diversa da altri. Possiamo avere per esempio tris borato, tris acetato anche questi usati ampiamente. ➔ Le altre sigle rappresentano tamponi che hanno alcune caratteristiche simili al tris: sono stabili, sono utili per avere tamponi a ph vicino a 7 o poco distanti, ma sono un po più costosi ➔ Hepes: è molto usato e ha una buona gamma di ph a cui fare buone soluzioni tampone. È tollerato dalle cellule ➔ Mes: ha un pKa un po più basso, è buono per fare tamponi a ph 6 circa ➔ Pipes: anche questo serve per fare tamponi a ph un po più bassi di 6 Nell'ambito della biochimica o biologia molecolare , questi tamponi sono i più usati, i cosiddetti “good buffers”. Quando si allestisce un esperimento, una soluzione in cui mettere campioni biologici oltre al tampone vero e proprio, bisogna valutare quali sali mettere, ossia qual'è la forza ionica che vogliamo abbia la nostra soluzione. Quasi sempre si mettono NaCl , KCl come contributi alla forza ionica e alla osmolarità. Ci sono altri componenti che spesso si trovano. Uno ione che ha un ruolo importante in alcuni contesti è il Mg2+, senza di esso nessun enzima che lavora sugli acidi nucleici può funzionare, quindi se abbiamo un campione in cui vogliamo che gli enzimi che usano nucleotidi funzionino devo mettere Mg2+. Questo può essere visto anche nel senso opposto, ovvero, visto che gli enzimi che lavorano sugli acidi nucleici usano Mg2+, se io lo sottraggo questi non riescono più a funzionare; si tratta di un modo per eliminare alcune frazioni di enzimi che possono non essere gradite lavorando con gli acidi nucleici. Vengono aggiunti anche composti tioloci: spesso abbiamo dei gruppi SH, delle cisteine di proteine, importanti per la funzione della proteina o la funzione di una catalisi. Quando noi prendiamo una proteina, la spacchiamo e la mettiamo a contatto con l'aria spesso gli SH si ossidano; se sono cisteine cruciali per il funzionamento di una proteina abbiamo una proteina che non funziona più (è possibile che alcuni enzimi presentino nel loro sito catalitico delle cisteine e se queste si ossidano non funzionano più), per questo occorrono composti che mantengano ridotti gli SH. Non essendoci tutto il sistema di glutatione reduttasi, dobbiamo aiutare le cellule, per questo vengono inseriti dei composti con degli SH abbastanza disponibili che proteggano tali gruppi ossidandosi essi stessi, un po come fa il glutatione. Uno di questo composti, il più economico è il mercaptoetanolo. Viene utilizzato anche il ditiotreitolo, che presenta tre gruppi tiolici (SH), si scioglie di meno è molto più raffinato e puzza di più; eventualmente si può aggiungere anche il glutatione, un componente molto rispettoso della situazione fisiologica. Se nel nostro sistema ci interessano delle proteine, poiché la rottura di cellule e l'esposizione di certi componenti spesso attiva delle proteasi, vengono aggiunti gli inibitori delle proteasi per evitare di ritrovare tutte le proteine degradate. Se stiamo invece lavorando con gli acidi nucleici e ci interessa estrarre dell'rna o del dna, dobbiamo liberaci delle proteine, usando magari metodi piuttosto aggressivi cercando sempre di mantenere integri gli acidi nucleici. Tra rna e dna il più delicato è l'rna che degrada molto facilmente e ha un enzima che lo degrada che è ubiquitario, l'rnaasi. L'rnaasi è presente anche nelle mani, è una forma di protezione dagli agenti esterni, quindi se maneggiamo con le mani un tubo in cui dopo andrà l'rna abbiamo il rischio di trovarlo a pezzi anziché in forma di lunghi filamenti; per limitare l'azione delle nucleasi o ribonucleasi, vi sono varie strategie oltre a usare materiale nuovo trattato con determinate sostanza inibitorie, si inseriscono degli inibitori delle nucleasi. Un discorso a parte vale per i detergenti perché questa è una categoria di sostanze più varia e generica, sono molecole che possono avere funzioni diverse anche a seconda del tipo di detergente che si utilizza. Esempi= 1) Come si fa una soluzione concentrata in 2M di tris, PM= 121 g/mol? Questa soluzione è tra le soluzioni madre più usate. Qual'è il concetto di una soluzione madre? È una soluzione che viene fatta concentrata con grandissima attenzione potendo pesare una quantità elevata di sostanza che mi permetta di avere un errore piccolo e che una volta fatta può essere diluita e mescolata da altre cose per ottenere un tampone che abbia più componenti non unno solo. Parto dalle soluzioni madre e poi le diluisco opportunamente. Pur essendosi tante teorie per risolvere questi esercizi, normalmente risulta essere comodo fare una stima di quanto HCl serve poi: prendo il becher con dell'acqua (se voglio fare 1L di soluzione metto nel becher meno di 1L), peso la quantità di tris giusta, se voglio fare una soluzione 2 M, 1 L mol= M x V mol = g / PM mol= 2 mol/L x 1 L = 2 mol g = mol x PM = = 2 mol x 121 g/mol = 242 g quindi peso 242 g. Se prendo il becher metto la polvere e poi aggiungo l'acqua, si forma una aggregato che non si riesce più a sciogliere, quindi metto prima acqua (circa 0,5 L) poi la polvere con l'ancoretta che sta ancora girando, così la soluzione si scioglie. faccio una stima di quanto HCl serve, viene fuori 20-25 mL circa li aggiungo metto insieme tutto, inserisco l'elettrodo del pHmetro, con l'ancoretta che continua a girare aggiungo goccia a goccia dell'acido cloridrico magari non concentrato fino a che non attengo il ph voluto con l'aggiunta di HCl dovrei essere arrivato molto vicino al valore di volume finale 1L (non arrivo subito a 1L perchè lascio il margine per l'aggiunta di HCl) tutto il contenuto del becher lo verso in un matraccio o in un cilindro da 1 L e porto a volume; se porto a volume cambio le concentrazioni, ma visto che il rapporto è Cs/Ca se diluisco diluisco entrambi quindi il rapporto rimane uguale mescolo bene La soluzione così ottenuta è la soluzione madre, se fatta bene, con i recipienti puliti, con l'acqua distillata senza mettere le mani dentro, dura per molto tempo. Per essere sicuri che duri molto posso sterilizzare le soluzione. Il tampone tris cloruro si fa così, anche tutti gli altri tris,per esempio il tris acetato, solo che al posto del Hcl metto acido acetico; questa soluzione madre mi consente di avere tutte le diluizioni (se voglio un tris 10 mM lo diluirò di 200 volte...). (2.Biochimica) Composizione dei fluidi organici Quasi immancabilmente c'è una soluzione tampone, una coppia di base debole e acido coniugato o viceversa che consenta di mantenere stabile il ph; se è una molecola stabile si può usare la maggior parte della volte a concentrazioni abbastanza basse, le variazioni di ph che ci aspettiamo non sono grandissime. Per ottenere dei tamponi possiamo partire da soluzioni concentrate che abbiamo già preparate e diluirle anche abbastanza. Il motivo di fare una soluzione madre NaCl è perché essa è molto vicina alla solubilità del cloruro di sodio, più di 5M non si riesce a sciogliere; NaCl è spesso usato per assicurare la forza ionica richiesta al posto del coluro di potassio. Abbiamo parlato anche del magnesio cloruro, ora vediamo anche tutti gli altri componenti che possono esserci in una soluzione di lavoro. Prima di arrivare a vedere l'uso di altre sostanze abbiamo visto come si fa a fare una soluzione molare e che conti devo fare se voglio una certa quantità ad una certa molarità. M= g/PM x 1/V Con questo formula riesco ad avere più o meno tutti i parametri: grammi da pesare conosciuta la molarità volume da usare per avere una certa molarità ad un certo peso Oltre alla molarità ovvero la preparazione di soluzione con nota concentrazione molare, in molte situazione servono e sono più utili o più comuni altri modi per indicare le concentrazioni: quando vediamo le percentuali si tratta di un modo per indicare le concentrazioni molto comodo, se si tratta di un solido in un liquido di parla di peso su volume finale (p/v-w/v: ad esempio 0,9% vuol dire 9 mL in 100ML di soluzione finale) il vantaggio di portare a volume è sempre preferito rispetto ad altri modi per preparare le soluzioni; se ho invece una soluzione volume su volume (v/v) vuol dire che ho due liquidi, ad esempio l'etanolo al 95% vuol dire che ho 95% di etanolo il resto è acqua in 100 mL di quello che chiamiamo etanolo al 95%. Normalmente l'etanolo che compriamo è etanolo circa 95-98%, non è al 100% perché quando si distillano i preparati di etanolo, che è un azeotropo di massimo, bolle una soluzione di etanolo con acqua al 2-4%; per togliere l'acqua bisogna mettere dei sali disidratanti che lo fanno costare molto di più e non hanno senso se poi quell'alcol lo mescolo con dell'acqua. Anche l'alcol denaturato di solito è al 95% tra alcol denaturato quello dei liquori cambia il colore, ma non solo perchè se distillo l'alcol denaturato posso togliere il colorante, allora potrei usare quello per fare i liquori. In realtà questo non lo posso fare perchè all'alcol vengono aggiunti colorante e anche una sostanza, un chetone, che bolle alla stessa temperatura dell'alcol quindi non si riesce a distillare, ma gli conferisce un sapore molto cattivo. L'alcol denaturato non viene tassato perché è usato per manutenzione e pulizia, l'alcol per i profumi e i liquori invece viene tassato, quindi la denaturazione viene fatta per non consentire la frode fiscale. Quindi l'alcol che si compra in farmacia è alcol normale a cui vengono addizionati due composti per renderlo riconoscibile dal colore, ma anche dal sapore più sgradevole. Tutte le diluizioni successive di etanolo posso essere fatte a partire dall'alcol 95%, per ottenere ad esempio un alcol al 70, 75 % ecc. L'alcol al 75% ha un potere disinfettante un po maggiore rispetto a quello al 90%. Incontreremo anche soluzioni di glicerolo a diverse percentuali. Dalla soluzioni madre possiamo arrivare a diverse soluzioni finali. Le altre componenti che di solito troviamo nelle varie soluzioni di lavoro nei laboratori biologici o biochimici e non solo sono: EDTA= è in grado di chelare gli ioni calcio e magnesio quindi viene usato nelle soluzioni per uso biologico quando si vuole sequestrare il calcio. Ad esempio ho un omogenato di cellule in cui voglio impedire l'adesione di alcune proteine tra loro attraverso il calcio, allora lo sequestro ed esse non aderiscono più. Lo stesso avviene per il magnesio, esso è importante per il funzionamento di alcuni enzimi, quindi se voglio impedire che questi enzimi lavorino, sequestro il magnesio aggiungendo edta sempre in concentrazioni piccole perchè calcio e magnesio sono in concentrazioni piccole nell'omogenato. SDS= usato per le sue caratteristiche di detergente e di tensioattivo anionico. Sds è l'abbreviazione di è “sodio dodecil solfato”; esso è un detergente perché ha una regione apolare idrofobica la catena di dodici carboni, con un gruppo solfonico terminale polare e carico negativamente. Il controione è il sodio, la molecola quando si scioglie dissocia e abbiamo la testa polare con la coda apolare: può legare da una parte della molecola le sostanze, le molecole idrofobiche, mentre dall'altra parte entrare a contatto con l'acqua. Queste sostanze che formano schiuma si chiamano tensioattivi perché agiscono sulla tensione superficiale producendo appunto schiuma. Sds (e i tensioattivi in generale) agisce come agente denaturante perché denatura le proteine, questo uso dell'sds è un modo per denaturare le proteine quando usiamo sostanze proteiche; lo vediamo usato in alcune soluzioni per disgregare le cellule in quanto si lega ai fosfolipidi di membrana e può letteralmente sciogliere la membrana. L'sds viene anche usato in alcuni tipi di elettroforesi. L'SDS è chiamato anche “sodio laurilsolfato” perché la molecola con 12 carboni è l'acido laurico. IGEPAL= oltre ai tensioattivi anionici come sds; esistono a anche tensioattivi che sono non ionici. I tensioattivi non ionici sono solitamente più delicati e meno aggressivi; l'igepal è un esempio. L'igepal presenta un'ampia regione idrofobica e ha una regione polare, si utilizza in laboratorio. Igepal è il nome commerciale e brevettato; spesso si trova in barattolini, serve per produrre determinate sostanze. ACIDO DESOSSICOLICO= è un'altra molecola tensioattiva. Presenta la struttura ad anello del colesterolo, è uno dei sali degli acidi biliari, l'acido desossicolico. Viene usato nei protocolli di laboratorio come detergente un po meno aggressivo dell'sds. Esempi di soluzioni usate in laboratorio → a) TAE Questa soluzione usata per le corse elettroforetiche anche in concentrazione piuttosto elevate, si tratta della soluzione tampone per le corse elettroforetiche. Il tris acetato è una soluzione comoda poco costosa, la soluzione originale che vogliamo usare è - 40 mM tris acetato ph 8,5 - 1 mM EDTA Se mi serve 1 L della stessa soluzione cosa devo fare? Il tris pesa 121 PM, devo prendere 0,04 mol di tris e scioglierli in 1 L g= mol x PM = 0,04 mol x 121 g/mol= 4 g devo quindi mettere nel becher da 1 L, dove prima avrò messo un po di acqua; lo faccio sciogliere e porto a ph con acido acetico finché non arrivo a ph 8,5, dovrò usare poco acido acetico perché ho già il tris base. Mentre la soluzione si sta sciogliendo peso l'EDTA che pesa 292 PM,quanto EDTA devo pesare? Di EDTA mi servono 1 mM quindi 0,001 M in un litro. g= mol x PM = 0,001 mol x 292 g/mol= 0,292 g posso preparare il tampone più concentrato in modo che lo peso porto a ph poi ho una soluzione che di volta in volta diluisco, se l'ho più concentrata poi la tengo e dura molto tempo senza stare a prepararne in continuazioni. Il TAE spesso viene fatto 40X. Cosa vuol dire 40X? Preparo la soluzione 40 volte più concentrata vuol dire che per avere il TAE 40x devo avere 0,04 mol x 40 0,001 M EDTA x 40 ovvero 4x4=16 quindi 1,6 M una soluzione tris 1,6 M, quanta ne peso? g= 1,6 mol x 121 g/mol= 193,6 g se ne pesa una quantità facile da pesare, ne preparo 1 L. di EDTA posso scegliere se pesarne un po o se diluire una soluzione concentrata, la soluzione 0,5 M di EDTA normalmente si ha in laboratorio perché serve a fare tante cosa, 0,5 M perché così siamo al limite di solubilità senza rischiare di avere corpo di fondo. Partendo dalla soluzione 0,5 EDTA voglio avere quanto mi basta affinché il mio 1 L di soluzione per quanto riguarda EDTA sia 0,5 M. Quanta di questa soluzione di EDTA devo prendere per avere abbastanza edta da fare 40 mM nel litro della soluzione che sto preparando? Posso anche pesare la quantità di EDTA che è sempre piuttosto piccola e scioglierla in 1 L altrimenti scelgo di usare una soluzione già fatta e già sciolta che è comoda. - Nel primo caso, pesando l'EDTA avrò, per ottenere 0,04 M: g= 0,04 mol x 292 g/mol= 11,68g porto a ph con acido acetico poi porto a volume ho una soluzione che è 40 volte più concentrata rispetto alla soluzione. Userò 1/4o di quello che mi serve di volta in volta, quindi lo diluisco ogni volta quaranta volte e con 1 L posso fare 40 L, posso fare tante corse usarlo diverse volte senza dover rifare la soluzione e pesare tante volte - Nel secondo caso, se voglio usare la soluzione già pronta 0,5 M (è la più diffusa soluzione madre concentrata, a questa concentrazione l'EDTA ancora si scioglie, più concentrata non si scioglie) concentrata molto più concentrata di quello che mi serve, invece di pesare 11, 68 g di EDTA e aspettare che si sciolga prendo un po della soluzione concentrata e la metto dove si sta sciogliendo nel becher il tris e dove devo aggiungere l'acido acetico per portarlo a ph; quanto EDTA 0,5 M concentrato devo prendere? Io ho EDTA 0,5 M e lo devo diluire finché non arriva a 0,04 M. Di questo EDTA 0,5 M che posso avere di 0,5 L o 1 L devo prelevare la quantità giusta per riuscire ad aggiungere le 0,04 M in 1 L di TAE. Ci sono diverse strategie per fare questo. Posso fare tutto il conto: mi servono 0,04 mol di EDTA; 0,04 mol in quanto volume di EDTA0,5 M stanno? Prenderò quel volume. V= mol/M 0,04 mol/0,5 mol/L= 0,08 L ossia 80 mL se prendo gli mL di EDTA che mi servono per avere 0,04 mol io prelevo il volume. Quindi se io prendo un volume di 80 mL in essi ho le moli che mi servono per avere una soluzione 0,04 M. posso scegliere entrambe le modalità dipende da cosa ho a disposizione. Una volta che ho la mia soluzione 40x devo solo diluirla 40 volte per avere la soluzione che mi serve. Se per esempio, ho una corsa elettroforetica che deve avvenire in una cella piuttosto piccola, per cui ho bisogno di 400 mL finali, diluisco un po del concentrato per avere le soluzione giusta di lavoro 1x e ne voglio 400 mL; della bottiglia 40x quanta soluzione prendo per avere 400 mL? La soluzione di lavoro la devo avere usando 1 parte di concentrato e 39 di acqua, diluizione 1:40, visto che ho fatto la soluzione 40 volte più concentrata per avere la soluzione di lavoro devo diluire 40 volte. Sarebbe 1 L in 40 L, ma me ne servono solo 400 mL, quindi quanta soluzione concentrata devo prendere? 1:40 = x:400 ovvero 1/40 di 400 x= 400/40 → 10 mL 10 mL sono i mL di soluzione concentrata che tiro fuori dalla soluzione,li metto in un recipiente e porto a volume con acqua fino a 400 mL. Prendo quindi dalla mia bottiglia di 40x, 10 mL, aggiungo acqua fino a 400 mL e ho la mia soluzione di lavoro. Questo è quello che si fa in laboratorio per preparare le soluzioni per elettroforesi. Dopodiché la stessa soluzione TAE 40x verrà usata diverse volta per fare le diluizioni (finché non è finita). L'uso delle soluzione madre è la regola. Nei laboratori si usano spesso i cilindri oltre ai matracci perché i matracci consentono una accuratezza maggiore perché si vede bene il menisco e hanno un collo più sottile, ma è difficile prendere 400 mL ad esempio, invece con un cilindro con una buona accuratezza (non buona come con il matraccio) si possono avere tanti volume diversi e scegliere quello che più si adatta alla situazione. b) Ripa buffer E' un tampone usato per lisare le cellule e scioglierle e liberare tutto il contenuto, infatti usa diversi tensioattivi, detergenti che hanno il ruolo di denaturare i fosfolipidi di membrana e liberare tutto al di fuori della cellula anche le proteine intrappolate nelle membrane. Un tampone di questo genere viene usato quando si vuole lavorare con le proteine perché permette di svestire le proteine da tutto il resto e magari una piccola quantità di lisato che si ottiene con ripa buffer può essere analizzato in una corsa elettroforetica. Abbiamo riportate le quantità delle componenti della soluzione finale: - 10 mM tris HCl ph 7,5 (8) → abbiamo una soluzione madre 2 M, una bottiglia in cui c'è solo tris 2 M già portato a volume con già il tampone. - 150 NaCl → la soluzione madre è sempre 5 M - 1% Igepal-40 → è un liquido molto viscoso, ma è già liquido - 0,5% sodio desossicolato → è una polvere quindi deve essere sciolto e si fa una soluzione al 10 %, per i detergenti anziché soluzioni molari si fanno soluzioni p/v - 0,1% SDS → anche questo viene solitamente sciolto al 10%, è una polvere sottilissima irritante, per cui lo si scioglie una volta (impiega molto tempo per sciogliersi) sotto cappa con una mascherina - 10% di glicerolo → è un liquido viscoso ma puro Per preparare questo tampone abbiamo a disposizione le soluzioni madre già fatte, concentrate, che sono quelle appena elencate (di lato a sinistra vi sono le concentrazioni finali desiderate). Ho queste soluzioni madre, voglio arrivare una soluzione finale che contenga tutto nelle giuste concentrazioni e che le contenga in queste concentrazioni. Devo decidere quanto ne voglio della soluzione finale? I tamponi di lisi vengono versati in qualche mL su una piastra di coltura cellulare, lisa via tutto si raccoglie e meno ce ne è meglio è perché vuol dire che abbiamo le proteine un po più concentrate, si usa molto poco in quantità di 1-2 mL alla volta. Diciamo che ne vogliamo preparare 100 mL mettendo insieme le quantità corretta di ciascuna delle soluzioni madre per arrivare alle concentrazioni finali; a parte le piccole quantità dell'uno de dell'altro componente il resto è acqua. Quanto devo prendere dei singoli componenti? - tris → abbiamo un 2 M e volgiamo un 10 mM finale posso fare il conto delle moli o delle diluizioni, il conto delle moli è sicuramente più lungo rispetto a quello delle diluizioni;ragioniamo in termini di diluizioni. Parto da una soluzione 2 M e devo arrivare a una soluzione 0,01 M ,la mia soluzione finale è 100 mL. Quanto lo devo diluire? Lo devo diluire 200 volte rapporto di diluizione= 2M/0,01M=200 1:200=x:100 x=100/2oo=0,5 mL però il mio volume finale è 100, il mio rapporto di diluizione è 200, ma il mio volume finale è 100 mL, quindi prendo mezzo mL. Di 2 M iniziali della soluzione madre devo prenderne 0,5M - NaCl → partiamo da 5 M dobbiamo arrivare a 150 mM, di quanto lo dobbiamo diluire? rapporto di diluizione=5M/0,15M=33,3 1:33,3=x:100 x=100/33,3=3 mL perché 100 mL è sempre il mio volume finale. - Igepal-40 → qui abbiamo un'altra unità di misura però il ragionamento è sempre lo stesso. Abbiamo la misura in percentuale 1%. Se abbiamo un liquido puro e lo vogliamo all'1% finale e devo avere 100 mL prenderò 1 mL perchè è sempre lui e non lo devo diluire. - Sodio desossicolato → ne abbiamo inizialmente del 10% e lo vogliamo allo 0,5% nella soluzione finale. rapporto di diluizione=10%/0,5%=20 il calcolo è sempre lo stesso anche se ho i valori in percentuale, basta che i valori siano coerenti tra loro. Dobbiamo diluire il sodio desossicolato 20 volte 1:20=x:100 x=100/20=5 mL In tutti i casi visti fino ad ora ci troviamo sempre nella stessa situazione: trovo il rapporto di diluizione poi faccio 100 diviso il rapporto di diluizione trovato e trovo la quantità che mi interessa - SDS → parto dal 10%, ma ne voglio anziché 0,5%( di sodio desossicolato), 0,1% nella soluzione finale, quindi dovrò prendere: rapporto di diluizione=10%/0,1%=100 1:100=x:100 x=100/10o=1 mL - Glicerolo → anche il glicerolo è un liquido puro, e lo abbiamo al 10% nella soluzione madre, quindi poiché il volume finale è 100 mL, ne prendo 10 mL. Mettendo insieme tanti componenti che possono arrivare al prodotto di solubilità dei sali o degli addotti che si formano, è indispensabile mettere acqua o un altro componente,magari agitare un po soprattutto con i detergenti che non sono particolarmente solubili; se metto NaCl e poi sopra metto SDS si forma un precipitato che non riesco più a sciogliere (perché i detergenti non sono molto solubili). Metto quindi acqua e poi uno dei componenti, acqua e poi un altro componente e così via sapendo che comunque di acqua in totale ne serve: (0,5 + 3 + 5 + 1 + 1 + 10) mL = 20,5 mL 100-20,5= 79,5 mL (acqua) che è uguale a 79,5 mL. Quando ho aggiunto tutti i componenti arrivo a volume ancora con acqua mescolo bene ed ottengo la soluzione di lavoro avendo messo insieme soluzioni che possono essere usate in tante altre situazioni. Se il tampone lo voglio 10x, faccio tutto 10 volte più concentrato e dopo ottengo un tampone che posso usare di volte in volta nella quantità di 1/10 nelle razioni. Avendo concentrazione iniziale e finale CiVi=CfVf e sapendo quale è il volume della soluzione finale che voglio, posso calcolare quale è il volume da prendere per ogni componente; prima di applicare la formula è necessario ragionare (e magari fare i conti sulle moli). Pressione osmotica Sappiamo che le soluzione che costituiscono i liquidi biologici e le soluzioni di lavoro che usiamo per lavorare con i liquidi biologici sono fatte da diversi componenti. Ciascuna delle diverse componenti di cui sono costituiti i liquidi biologici e le soluzioni di lavoro, contribuiscono alla pressione osmotica di quella soluzione. Sul concetto di osmosi si basano alcune tecniche che possono essere usate per rompere le cellule o alterare il comportamento di campioni biologici. La pressione osmotica è una delle cosiddette proprietà colligative della materia. Le proprietà colligative della materia sono: abbassamento crioscopico (sale sulle strade) innalzamento ebullioscopico l'abbassamento della tensione di vapore pressione osmotica Le soluzioni rispetto a tante situazioni e fenomeni si comportano in modo diverso rispetto al solvente puro. Quelle che vengono chiamate proprietà colligative dipendono dal numero di particelle sciolte dentro a una soluzione. Rispetto all'acqua, solvente puro, una soluzione congela ad una temperatura più bassa, qualunque cosa ci sia nella soluzione. Che si tratti di una soluzione con dentro un elettrolita o con dentro una molecola che non dissocia, comunque la presenza di questa sostanza fa abbassare il punto di fusione. La differenza di temperatura rispetto alla temperatura di congelamento del solvente puro, è direttamente proporzionale a una certa costante caratteristica del solvente e alla concentrazione delle specie chimiche che ci sono dentro alla soluzione, sia che siano sali o che siano molecole. Lo stesso vale per innalzamento ebullioscopico, rispetto alla temperatura a cui bolle un certo solvente puro la soluzione fatta con quel certo solvente con sciolto dentro qualcosa, bolle ad una temperatura superiore (l'acqua salata bolle ad una temperatura leggermente maggiore dell'acqua pura). Anche la pressione parziale di vapore è una proprietà colligativa della materia, essa ci dice quanto facilmente evapora una soluzione rispetto a quanto facilmente evapora il solvente puro. Ogni solvente ha la proprio costante ebullioscopica o crioscopica. Tra queste proprietà legate alla concentrazione di tutte le specie presenti in soluzione, ve ne è una che interessa di più nelle applicazioni biologiche e biochimiche, questa è la pressione osmotica. Che cos'è la pressione osmotica, cosa riguarda? Riguarda il fenomeno di osmosi. In una soluzione le particelle che diffondono in quella certa soluzione esercitano una certa pressione, la legge che governa questa pressione ha lo stesso aspetto della legge generale dei gas. La legge della pressione osmotica (π) è: πV=nRT dove “V” è il volume della soluzione in cui abbiamo sciolte “n”moli anche di sostanze diverse. Quando si parla di osmosi si parla indissolubilmente anche di membrana semipermeabile ossia: se abbiamo una membrana semipermeabile che divide due comparti in cui possiamo mettere delle soluzioni, del liquido, la membrana semipermeabile è quella membrana che consente il passaggio alle sole molecole del solvente e non a quelle del soluto. Se abbiamo due recipienti collegati tra loro, ma con una barriera che è la membrane semipermeabile, se attraverso questa membrana possono passare solo le molecole del sovente e non quelle del soluto e se abbiamo due soluzioni una più concentrata dell'altra (da una parte abbiamo una soluzione con del soluto dentro dall'altra abbiamo solo del solvente puro, solo acqua), allora succede che il solvente va a diluire la soluzione concentrata. Quanto finisce il passaggio di solvente? Se abbiamo una soluzione molto concentrata e acqua, passerà molta acqua nella soluzione concentrata, se invece abbiamo una soluzione meno concentrata a contatto con l'acqua pura, passerà alla prima meno acqua. A un certo punto l'acqua smette di passare, quando la pressione esercitata sulla soluzione concentrata controbilancia la pressione atmosferica. Abbiamo due vasi conduttori che non sono più allo stesso livello, ma che hanno raggiunto l'equilibrio perchè la pressione che tenderebbe a far diluire la soluzione concentrata è controbilanciata dalla pressione atmosferica e la pressione è proporzionale alla concentrazione del soluto nella soluzione. Questo avviene nell'ipotesi che abbiamo una membrana semipermeabile nella concezione più restrittiva del termine, ossia che lascia passare solo il solvente. Siccome si può misurare il dislivello del liquido si può anche misurare quantitativamente la pressione osmotic0a; i fenomeni di osmosi sono continui in ambito biologico, con qualche complicazione perché le membrane semipermeabili biologiche non sono così rigide (lasciano passare solo solvente), magari sono permeabili ad alcuni soluti e ad altri no, ma consideriamo la situazione più semplice. Guardando l'altezza della colonna che si viene a formare posso misurare la pressione osmotica esercitata dalla soluzione concentrata che sta dentro il recipiente. L'altezza del liquido è l'altezza riconducibile alla pressione atmosferica. I fenomeni di osmosi possono essere sfruttati, misurati attraverso osmometri e dipendono dal numero totale di particelle presenti, non solo dalle particelle cariche. Con i soluti (parzialmente) dissociati esiste la i di van't Hoff, la correzione della molarità per questo valore. (3.Biochimica) La pressione osmotica è una proprietà che sicuramente ha importanza per il comportamento dei sistemi biologici e trattando di liquidi biologici ha importanza tutte le volte che lavoriamo con dei liquidi biologici. Possiamo sia sfruttarla che tenerne conto quando manipoliamo liquidi biologici. Quali sono leggi che governano la pressione osmotica? È una legge molto simile alla legge generale dei gas; come la legge dei gas è PV=nRT, sostituendo P con il simbolo della pressione osmotica (π) avremo πV=nRT sul volume della soluzione n è il numero di moli di qualunque soluto sciolto in tale soluzione. Da qui ho che n/V=M la concentrazione molare quindi π=MRT Questa pressione è esercitata sulle pareti del recipiente, si fa sentire la pressione quando abbiamo due comparti di soluzione suddivisi da una membrana semipermeabile in questo caso la pressione si vede quasi letteralmente perchè se la membrana non lascia passare il soluto, il solvente attraversa la membrana semipermeabile, attraversa la soluzione più concentrata fino a quando la pressione sovrastante non controbilancia la pressione osmotica. Lo scopo è quello di arrivare alla omogeneità della soluzione. Se ci fosse la possibilità di far passare le particelle del soluto attraverso la membrana semipermeabile dopo qualche tempo avremmo una uniformità di concentrazione tra le due parti perché il soluto diffonde e tende ad occupare tutto lo spazio come ci voleva suggerire questa figura, se metto un goccia di inchiostro nell'acqua dopo un po diventa uniformemente colorata anche senza mescolare, diffonde come fa un gas libero in un certo volume. Quando la diffusione non è consentita perché c'è una barriera che non lascia passare il soluto, la tenenza comunque ad avere una omogeneità, ad avere la concentrazione uniforme risulta nel fenomeno del passaggio del solvente verso la soluzione più concentrata; passa una certa quota di solvente quindi la soluzione di volume maggiore quindi il livello della soluzione A risulta più elevato; il dislivello tra le due è dovuta dalla pressione osmotica. Grazie al dislivello tra le due soluzioni A e B è possibile misurare la pressione osmotica. Abbiamo visto che partendo da una situazione semplice, da una soluzione in una membrana semipermeabile, il solvente entra; questo dislivello è dovuto alla maggiore quantità di liquido che esercita una pressione tale per cui il liquido si solleva al di sopra del livello che avrebbe se fosse un semplice vaso comunicante, questo è un modo per misurare la pressione osmotica. Occorre sapere il diametro del tubo, qual'è il dislivello e con attrezzature più o meno complesse, (osmometri) vado misurare un dislivello che è dovuto alla pressione esercitata dal liquido che tenta di entrare nella soluzione concentrata. Questa legge π=MRT vale quando abbiamo a che fare con soluti non dissociati. Poichè tutte le specie presenti in soluzione contribuiscono alla pressione osmotica, se abbiamo un soluto dissociato dobbiamo correggere la pressione, le legge della pressione osmotica, ossia la molarità per l'i di van't Hoff che è correlata al grado di dissociazione: quante specie g/ioni abbiamo in soluzione? Dipende da quanto sono dissociate. i= α (n-1) +1 π= iMRT Esempi= 1) Se abbiamo una soluzione di NaCl i sali dissociano completamente, per ogni mole di NaCl abbiamo in realtà due g/ioni, mettiamo in soluzione di NaCl abbiamo 1 g/ioni di Na + e 1 g/ione di Cl-, poiché ciascuno conta per uno, conta quante specie ci sono in soluzione quindi in soluzione ci saranno 2 g/ioni ( un Na+ e un Cl-). L'i di van't Hoff in questo caso sarà uguale a 2 quindi la pressione osmotica, per una soluzione 1 M di NaCl sarà uguale a: π= 2 x 1 x R x T= 2) Lo stesso se prendiamo 100 molecole (sono troppo poche in realtà) di K2SO4 e le mettiamo in soluzione abbiamo 200 K2+ e 100 SO4 2-, quante particelle abbiamo in soluzione? Ne abbiamo 300. Esempi di soluti indissociati e dissociati= 1) Soluzione 0,02M di glucosio; il glucosio non dissocia quindi abbiamo solo π= MRT= 0,02 x R x T= o,5 atm (0,02M di glucosio non è una soluzione moto concentrata ma esercita una pressione di 0,5 atm che non è poco)! 2) Soluzione 0,02M di NaCl; il NaCl dissocia quindi abbiamo π= i MRT= 2 x 0,02 x R x T= 1 atm A che cosa può servire conoscere la pressione osmotica? Non può servire ad avere una misura della pressione osmotica visto che con gli osmometri non è difficile calcolare quanto si alza una colonna di liquido e da lì ottenere una misura della pressione osmotica di quella certa soluzione. Può servire invece per misurare il peso molecolare di sostanze polimeriche o macromolecole. Esempio in ambito biologico= Se abbiamo una soluzione di proteina 50 mL, (ogni molecola della proteina anche se grande vale per 1 ai fini di pressione osmotica), ottenuta per esempio sciogliendo 1,08g di proteina in una soluzione, posso calcolare il peso molecolare delle proteina. La pressione osmotica della soluzione è 5,85 mmHg → 7,70 x 10-3 atm. Qual'è la concentrazione molare della mia soluzione? Ho misurato con l'osmometro la pressione osmotica e possono trovare la molarità: M=π/RT= 3,15 mol/L la mia soluzione ha 3,15 mol/L di proteine questo mi permette di calcolare il peso molecolare della proteina: ho la concentrazione appena trovata e la quantità in grammi mol= M x V= 1,58 x 10-5 mol la massa molecolare o peso molecolare della proteina è: Mm= grammi/moli= 6,84 x 104 g/mol queste misure, magari ripetute, mi consentono di valutare se una certa proteina è in forma monomerica o multimerica, perché una proteina in forma di dimero che rimane associato, si comporta come 1 particella ai fini della pressione osmotica: rifaccio i calcoli e trovo quella proteina con peso molecolare ad esempio 120000. Rifaccio le mie prove in una soluzione, in un ambiente denaturante, magari con un po di detergente, la proteina si dissocia ossia si denatura, a questo punto troverò una pressione osmotica minore e il peso molecolare della proteina sarà di 60000. Questo vuol dire che in natura, la proteina si trova in forma dimerica. Quindi si può sfruttare la pressione osmotica per fare considerazioni proteiche. Osmosi e sistemi biologici È importante conoscere la pressione osmotica per capire il funzionamento dei liquidi biologici perché i sistemi biologici sono fatti di membrane per lo più semipermeabili che si comportano in una certa misura come un setto poroso, ossia lasciano passare soluti con una certa complicanza. Le membrane biologiche non sono propriamente semipermeabile, passa il solvente spesso con maggiore o minore facilità (acqua) e passano anche alcune piccole molecole altre no. Ciascuna soluzione che sia liquido extra o intracellulare citoplasmatica o mitocondrio, qualunque cosa circondata da una membrana, quindi con una membrana che si frappone tra due scomparti acquosi si comporta come una membrana semipermeabile; il liquido ha la tendenza ad equilibrare le concentrazioni. Ma il liquido passa o non passa, quanto preme sulla membrana? Che passi o non passi dipende da come è fatta la membrana, dipende se ci sono trasportatori se c'è la possibilità di diffusione passiva, in ogni caso da una parte e dall'altra della membrana tutto ciò che è sciolto esercita una pressione osmotica sulle pareti e dipendentemente da questa si possono avere dei flussi di molecole da una parte o dall'altra della membra. Tutte le volte che abbiamo due soluzioni che hanno la stessa pressione osmotica si dice che sono isotoniche, quando una soluzione è ipotonica rispetto a un'altra di riferimento vuol dire che ha una pressione osmotica minore, ipertonica vuol dire che ha una pressione osmotica maggiore. Cosa succede se mettiamo delle cellule integre con la loro membrana in una soluzione ipotonica? La cellula con una certa pressione osmotica dovuta al numero di particelle sciolte dentro immersa in una soluzione con una pressione osmotica maggiore, nel caso più semplificato, ossia che ci sia passaggio di acqua, quindi che la membrana si comporti come una membrana semipermeabile ideale, l'acqua esce dalla cellula e va a diluire la soluzione ipertonica che sta all'esterno, le cellule si raggrinziscono. Diminuisce il contenuto del liquido citoplasmatico perché il liquido esce. In questa rassegna non a caso sono rappresentati i globuli rossi, perchè sono piuttosto permeabili all'acqua e danno facilmente questo fenomeno. Se mettiamo una cellula in una soluzione isotonica, non c'è un passaggio di liquido dall'esterno all'interno, la cellula mantiene la sua forma; se mettiamo la cellule in una soluzione ipotonica l'acqua entra, la cellula si gonfia e i globuli rossi si rompono. Se facciamo un prelievo si sangue e lo mettiamo in acqua il contenuto del globulo rosso si riversa nel liquido (dito ferito sotto l'acqua). Se metto un prelievo di sangue in una soluzione fisiologica osservo che le cellule non si rompono mantengono la loro forma, la soluzione fisiologica di solito è isotonica con il plasma. Quando abbiamo a che fare con sistemi biologici, non abbiamo una situazione facile da comprendere (non c'è solo passaggio di solvente). I globuli rossi rappresentano meglio il processo di osmosi perché presentano le acquaporine quindi il passaggio dentro-fuori dell'acqua risulta piuttosto semplice e visibile. Il rigonfiamento non è immediato dipende anche dalla permeabilità dei vari tipi cellulari dei vari tessuti con cui si ha a che fare. L'acqua attraverso le membrane cellulari non passa per diffusione per far passare l'acqua servono dei trasportatori, dei sistemi proteici, le acquaporine che sono distribuite in modo molto diverso negli individui. Le molecole che passano meglio attraverso le membrane biologiche sono le molecole piccole idrofobiche: ossigeno diffonde bene: O2 CO2 azoto: N2 benzene non è molto piccola ma è sicuramente idrofobica Non tutte le membrane tuttavia si comportano allo stesso modo. Quando abbiamo piccole molecole polari neutre: H2O glicerolo etanolo la permeabilità non è sempre così elevata, la possibilità di passaggio è legata anche dalla presenza di trasportatori, e molte acquaporine sono acquagliceroporine quindi fanno passare acqua e glicerolo. Quando arriviamo a molecole grandi polari neutre come: amminoacidi nucleotidi glucosio queste non passano attraverso la membrana. Può esserci trasporto attivo, passivo o diffusione facilitata. Anche gli ioni: H+ Na+ HCO3- K+ ecc. proprio per la loro carica, anche se sono piccoli, non entrano nelle cellule attraverso le membrane hanno bisogno di trasportatori. Tutte le molecole piccole che stanno dentro a una cellula contribuiscono alla pressione osmotica che la soluzione intracellulare esercita nei confronti della membrana viceversa tutto ciò che sta all'esterno della cellula può premere contro le pareti di una cellula ed esercitare una pressione osmotica che sia indipendente dalla concentrazione e dalla possibilità di passaggio delle specie. Quindi una misura di tutto quello che può contribuire alla pressione osmotica è importante per il comportamento del sistemi biologici (cellule liquidi extra cellulari, plasma) viene definita l'osmolarità, ossia la concentrazione totale di tutte le particelle che non possono attraversare la membrana cioè tutto ciò che contribuisce a premere e esercitare pressione sulle membrana. L'osmole è una mole di particelle osmoticamente attive tutte quelle che non passano e contribuiscono alla pressione. Parallelamente come esistono molarità e molalità esiste anche l'osmolalità che è il numero di osmoli di soluto per kilogrammi di solvente, non per L ma per Kg. Come sempre in gran parte dei casi si possono approssimare l'una con l'altra, alcuni fenomeni vengono misurati con l'osmolalità, ma è molto più facile usare l'osmolarità e nella maggior parte dei casi due fenomeni sono vicini. Di particolare interesse per i campionamenti biologici è capire qual'è la pressione osmotica esercitata dal plasma. A che cosa è dovuta l'osmolarità? È dovuta a tutte le molecola dissociate: alle molecole polari, apolari, zuccheri, aa, sali vari che sono contenuto nel plasma. Avevamo visto che gli elettroliti sono Na+ e Cl- ma ci sono anche tutti gli altri calcio, magnesio, bicarbonato, potassio, dei non elettroliti tra i più rappresentati ci sono l'urea e il glucosio.Quindi concentrazione di urea e glucosio sono importanti per determinare l'osmolarità plasmatica e arriviamo a 285 mOsm/L. Abbiamo questo intervallo 275-295mosmoli/L che è l'osmolarità normale del plasma. I liquidi extra cellulari hanno composizione diversa, ma l'osmolarità totale è più o meno la stessa quindi dentro o fuori alla cellula non ci sono grandi differenze di pressioni, liquidi intra ed extracellulari convivono, senza che la cellula risulti raggrinzita o rigonfiata, sono in sostanziale equilibrio osmotico anche se ciò che contribuisce alla pressione osmotica non è esattamente la stessa cosa, vi sono componenti diversi: diversa composizione ma concentrazione osmotica totale uguale. A questa osmolarità corrisponde una pressione di quasi 8 atm. Una piccola aggiunta che dobbiamo fare per descrivere le soluzione biologiche è la osservazione che le particelle dentro ai nostri liquidi intra ed extracellulari sono di dimensioni abbastanza grandi da procurare quel fenomeno chiamato effetto Tyndall da essere quindi dispersioni colloidali. Queste particelle con dimensioni comprese tra 1-1000 nm, non sono molto solubili, ma se facciamo passare un raggio di luce radente vediamo come delle piccole particelle (come il pulviscolo atmosferico che entra da una finestra). Sono particelle molto piccole disperse, non possiamo chiamarle sistema omogeneo ma possiamo parlare di soluzioni/sospensioni/dispersioni colloidali e i liquidi biologici sono quasi dei colloidi. Esempi di dispersioni colloidali nella pratica quasi quotidiana sono: nebbia → liquido disperso in un gas. Le particelle d'acqua che sono molto piccole da rimanere sospese ma se passa un raggio di luce le goccioline d'acqua sono visibili fumi → solidi dispersi in un gas latte → un emulsione dove abbiamo una dispersione molto fine di particelle di grasso in una soluzione liquida Nei liquidi biologici abbiamo macromolecole come le proteine che contribuiscono anche esse alla pressione osmotica e sono la parte che viene chiamata pressione colloido- osmotica o pressione oncotica. Le proteine non attraversano la membrana e il loro ruolo nell'esercitare una certa pressione oncotica, nel contribuire alla pressione generale nel sangue e nel mantenere l'equilibrio della pressione tra comparti diversi è molto importante. A questo proposito il ruolo dell'albumina è significativo anche nel mantenimento della corretta pressione oncotica e generale. La fuoriuscita di liquidi dal sangue verso i tessuti e viceversa è anche dovuta all'albumina (la proteina più abbondante nel plasma). Sapendo tutte queste caratteristiche quando abbiamo a che fare con liquidi, campioni biologici dobbiamo prestare attenzione a dove li mettiamo in che soluzione li mettiamo a seconda da cosa vogliamo da questi fluidi; se abbiamo cellule del sangue che dobbiamo mantenere nella loro migliore condizioni dobbiamo trasferirle in soluzioni che hanno la loro stessa pressione osmotica; se vogliamo invece spaccare delle cellule le mettiamo in una soluzione ipotonica così si spaccano prima. Quali sono le soluzioni più usate in medicina e nel laboratorio biochimico? Le soluzioni più usate sono: ➔ soluzioni saline bilanciate ➔ soluzioni glucosate al 5%quelle che vendono → è semplicemente glucosio al 5% , osmolarità è vicina a quella del plasma anche se leggermente ipotonica. Il vantaggio di questa soluzione è che fornisce anche glucosio. ➔ soluzione fisiologica → è una soluzione di NaCl 0,9% peso/volume o 0,15M è la più semplice tra tutte. Ha una osmolarità intorno a 0,3 osm/L (l'osmolarità del plasma) ➔ ringer lattato → è una soluzione salina un po più bilanciata molto usata e più corretta che si usa anche nelle fleboclisi nelle reidratazione di qualche individuo che ha subito qualche trauma o durante le operazioni chirurgiche. Il ringer lattato contiene anche altri componenti come potassio, calcio, oltre al cloruro di sodio, una concentrazione anche di acido lattico. L'osmolarità è sempre quella fisiologica, intorno a 280 mOsm/L ossia 0,28 osm/L. sono usate in farmacia e in ospedale. Osmosi inversa- dialisi Consideriamo ora la pressione osmotica e i fenomeni osmotici visti da un altro punto di vista; ovvero dal punto di vista della dialisi, sono i fenomeni osmotici: pressione osmotica in un certo recipiente circondato da un setto poroso o membrana semipermeabile che consente il passaggio di molecole, ioni e solvente (dipende dalle caratteristiche della soluzione e dalla membrane semipermeabile con cui abbiamo a che fare). Nell'”indicatore” del fenomeno abbiamo un sacchettino fatto di un materiale semipermeabile che permette il passaggio non solo solvente ma anche soluto. In questo tipo di sistemi vi sono le membrane cosiddette “da dialisi” che lasciano passare il sovente (acqua) ma anche piccole molecole. A che cosa possono servire questi sistemi? A rimuovere il soluto da una soluzione che contiene macromolecole, sali per esempio. Se noi immergiamo questo sacchetto in acqua oppure in una soluzione molto diluita, le macromolecole non escono, escono solo quelle al di sotto di una certa dimensione si disperdono nel mezzo in cui abbiamo messo il sacchettino. Il concetto di semipermeabile vale ancora ma cambia cosa può passare e cosa no. Nell'esempio primo poteva passare solo acqua qua possono passare anche molecole piccole (dimensione) se ho una soluzione di proteine con tanto sale dentro io posso metterle nel sacchettino, le proteine sono macromolecole quindi non passano dai pori, il sale passa quindi possiamo liberare le proteine dal sale. Questi sistemi più o meno articolati sono molto usati tutte le volte che vogliamo cambiare la soluzione in cui abbiamo immerso il campione biologico, l'importante è avere il sacchettino giusto. Le membrane da dialisi più usate in laboratorio e per usi comuni in biochimica e non hanno i fori che lasciano passare molecole all'incirca inferiore di 10000 di peso molecolare. La maggior parte delle macromolecola ha peso molecolare più grande di 10000 quindi possiamo usare questo sistema per liberarci di tutte le piccole molecole che non vogliamo nella nostra soluzione come sali, aa, ecc. con una dialisi. L'emodialisi usa lo stesso principio ma metodi un po più diversi e si fa per tutte le persone che hanno i reni incapaci di filtrare il sangue. Il principio che sta alla base è piuttosto semplice, vi sono sacchettini che trattengono molto di più, alcune membrane lasciano passare solo quello che è più piccole di 3000 di peso molecolare, posso scegliere il sacchettino da usare. È solo questione di dimensione. Un'applicazione del principio della pressione osmotica e che si usa anche nell'emodialisi è quella che sfrutta l'osmosi inversa. I piccoli depuratori che depurano l'acqua sono dei piccoli osmotizzatori. Il fenomeno è sempre quello dell'osmosi ma si ribalta la situazione ovvero: nell'osmosi normale l'acqua passa fino a che lo consente la pressione osmotica del liquido interno e della pressione atmosferica, così l'acqua passa e va a diluire la soluzione dall'altra parte. Se su questa soluzione molto concentrata si esercita meccanicamente una pressione molto più elevata della pressione osmotica l'acqua passa di là sempre a patto che ci sia la membrana semipermeabile che fa passare solo acqua. Quindi noi esercitiamo una pressione molto forte su questo liquido, i soluti non passano perché ho la membrana semipermeabile di la passa solo acqua (se la soluzione è acqua di mare dall'altra parte avrò acqua deionizzata). L'importante è che ci sia pressione a sufficienza e una membrana integra che abbia le caratteristiche di membrana semipermeabile che lascia passare solo acqua. I filtratori domestici fanno questo: l'acqua di rete passa in un sistema dove c'è un pistone/stantuffo che spinge contro la membrana semipermeabile e fuori esce acqua senza ioni. Questo fenomeno è quindi osmosi inversa perché se l'osmosi lasciata andare liberamente farebbe passare l'acqua dal comparto del solvente a quello concentrato , in questo caso invece con la pressione faccio andare l'acqua nel verso opposto. I potabilizzatori domestici hanno un rubinetto che miscela l'acqua deionizzata/ che esce priva di sale con l'acqua proveniente dalla rete idraulica per farla arrivare ad una salinità accettabile per essere ritenuta potabile. Emodialisi Nell'emodialisi si fa per depurare il sangue di chi ha i reni che non riescono a farlo, è un applicazione dell'osmosi inversa. Il sangue passa in una circolazione extracorporea in un apparecchio che esercita una pressione qui le membrane semipermeabile che si usano lasciano passare molecole piccole intendendo che sono spesso molecole piccole quelle di scarto, le sostanza tossiche che vengono eliminate nella filtrazione renale. Anche gli ioni sono particelle piccole che passerebbero. Se esercitando una pressione facciamo uscire le molecole piccole, urea ,creatinina ecc. escono anche potassio, sodio, cloruro, carbonato. Come si fa a depurare sempre danneggiare l'individuo? La soluzione che viene messa dall'altra parte contiene comunque gli ioni che ci devono essere: K+ (che in realtà si vuole liminare), Na+, bicarbonato. Dall'altra parte della membrana semipermeabile dove ci sono le sostanze che vengono spinte fuori si deve avere cura di mettere le sostanza che devono essere sempre presenti : per diffusione gli ioni che son qui presenti in concentrazione elevata possono mantenersi in equilibrio. Quindi si esercita pressione per far uscire le molecole piccole, poi bisogna avere attenzione a ricostituire la composizione corretta soprattutto degli ioni che devono essere presenti nel sangue. Ciò che esce sono ioni a cosiddetto medio peso molecolare, solitamente quelle ad alto peso molecolare non escono. Il contenuto proteico del sangue è per lo più salvaguardato. La soluzione dializzante quella che sta dalla parte opposta del sangue quella con cui si interfaccia il sangue che passa per le pareti dell'emodialisi ha una composizione che non è molto diversa da quella del plasma: il K+ che è un po basso perché solitamente deve uscire, il Na+ è quei soluti che di solito vi sono nelle soluzione fisiologiche, quindi dall'altra parte del sangue bisogna fare trovare ciò che serve al sangue; il bicarbonato a concentrazione maggiore perché deve essere ripristinato. Le sostanza tossiche passano nella soluzione di scarto. In un apparecchio da dialisi vi sono diversi circuiti e molti controlli e una grande attenzione ai materiali e alle soluzioni con cui si mette a contatto indiretto il sangue (attraverso la membrana semipermeabile). Il sangue che passa attraverso questi apparecchi non deve entrare a contatto con l'aria altrimenti coagula, non deve venire a contatto con il vetro, perché è una superficie acida e parte tutta la cascata della coagulazione, solitamente per evitare questo viene anche eparinizzato perchè se in tutta la circolazione iniziamo processi di coagulazione vi sono rischi di emboli. Soluzioni caratteristiche degli organismi viventi Sono soluzioni intracellulari liquidi extracellulari da usare quando manipoliamo campioni cellulari e sistemi/liquidi da usare quando vogliamo fare crescere e vivere delle cellule. Le cellule più semplici sono meno esigenti, sono i batteri,(spesso crescono anche troppo) quando si vogliono preparare si devono far crescere in terreni più o meno complessi possono essere: chimicamente definiti= dove si sa esattamente la composizione complessi (meno definiti)= derivano da prodotti di cui non si sa o non si riesce a valutare l'esatta composizione; questi terreni vengono chiamati “brodi di coltura” perchè un tempo veniva usato proprio il brodo in quanto contiene sali, aa , piccole molecole biologiche poi man mano si è cercato di definire un po meglio la composizione di questi terreni che hanno colore di solito marroncino e che sono fatti da estratti/idrolisati proteici provenienti dal lieviti (proteine di lievito o latte parzialmente idrolizzati che contengono oligopeptidi) sono terreni abbastanza ricchi in cui si vuole far crescere un certo microorganismi. Il terreno va quindi preparato con gli opportuni componenti ben sciolti poi va sterilizzato in modo da poterlo inoculare con il mo che si intende produrre o far crescere. Quindi il primo passaggio è sempre la sterilizzazione. I componenti quali idrolisati proteici di lievito di caseina, un po di sale sono componenti non tanto delicati che possono essere trattati a caldo in una sterilizzatrice anche detta autoclave, siccome si esercita una certa pressione al loro interno (anche se questo termine è molto generico). Nelle sterilizzatrici si ha alta pressione e alta temperatura, i liquidi non bollono perchè sono sottoposti ad una pressione di 1 bar oltre la pressione atmosferica, la temperatura è di 120-121°C per 20 minuti; questo è il protocollo standard della sterilizzazione. Oltre agli oggetti da laboratorio ci sono sterilizzatrici in cui si può mettere un letto, un materasso dove si ha sempre alta pressione, alta temperatura e il vapore e per un certo tempo si arriva alla sterilizzazione. Quando abbiamo componenti delicate e non possiamo trattarle con alte temperature, quando abbiamo qualche soluzione di farmaci di additivi di componenti che stiamo studiando, si sterilizza per filtrazione che consiste nel far passare attraverso i filtri con diametro di circa 1 μm che trattiene i batteri e anche gli agenti virali quindi la soluzione che passa è filtrata. Terreni altrettanto sterilizzati ma molto più complessi e delicati sono quelli che si usano per le colture cellulari, quando si parla di colture cellulari si parla di cellule eucariotiche, sono cellule che vengono da campioni biologici in cui il tessuto è stato prelevato e disgregato, i mezzi, i terreni di coltura “medium” sono soluzioni complesse contenenti: amminoacidi → di solito ci sono tutti sali → per avere una corretta pressione osmotica e per avere componenti necessari alla vita della cellula che si vuole coltivare vitamine → più altre sostanze vitamino-simili glucosio → la cui concentrazione dipende dai terreni di crescita ormoni e fattori di crescita → qualcosa che aiuti le cellule a crescere che son in un ambiente diverso da un tessuto antibiotici → qualcosa che aiuti le cellule e le protegga dai batteri che possono accidentalmente cadere nel terreno di crescita, limitano impediscono la crescita dei batteri indicatore di ph → il più usato è il rosso fenolo in modo da far capire subito quale è i ph della soluzione in cui le cellule son immerse perché appena le cellule son danneggiate il ph varia quindi questo è importante per seguire il benessere delle cellule. Nei terreni definiti ormoni e fattori della crescita sono addizionati a concentrazioni note, nei terreni non a composizione definita, queste sostanze che son in quantità molto piccola ma estremamente importante per la sopravvivenza delle cellule, sono forniti dall'aggiunta di siero. Siccome le cellule provengono da tessuti che avevano una certa composizione di gas , quindi con una certa presenza di CO2 le cellule vengono tenuti in incubatori dove c'è una pressione parziale di CO2 più o meno del 5%. I terreni sono tanti. Possono esserci aggiunte varie ai terreni come i l piruvato. (4.Biochimica) Il laboratorio delle colture cellulari è dedicato alla manipolazione delle colture e agenti biologici di classe II; solitamente in laboratorio viene fatto l'allestimento e il mantenimento di colture cellulari e l'utilizzo per studio di farmacocinetica e citotossicità. Colture cellulari Le colture cellulari sono sistemi di cellule disperse che vengono isolate da organi o da tessuti e sono messe in condizione di crescere in un microambiente definito. La coltura è un modello molto semplificato di un organismo vivente, semplificato perché derivando da un organo o da un tessuto singolo è un sistema molto omogeneo e questo è l'aspetto più vantaggioso delle colture cellulari. Il vantaggio di usare una coltura cellulare per la pratica sperimentale è quello di avere a disposizione un modello sperimentalmente omogeneo. Se devo testare un farmaco e valutarne l'attività sul fegato, andrò a prendere una linea cellulare epatica e andrò vedere direttamente la reazione della sostanza in esame che ha sull'epitelio del fegato. Lo svantaggio è che il modello sperimentale sarà mirato su quel tipo particolare di tessuto e di risposta, ma è privo di altri eventuali rapporti con il sistema e con l'organismo in toto. Quindi da una parte è un modello molto valido perché dà un'idea molto specifica e precisa su una determinata patologia e sulla risposta di un farmaco ad è molto semplice da interpretare, ma e privo di tutte quello che potrebbero essere le interferenze che si generano nell'organismo vivente in toto durante l'omeostasi. Il vantaggio è quello che le colture cellulari danno una risposta rapida e semplice, ma lo svantaggio è che a volta nel metabolismo epatico o nell'attivazione a livello renale le molecole subiscono una modificazione e la coltura cellulare così come tale non può darci questo tipo di risposte, ce le può dare solo la sperimentazione in vivo o sugli animali. Perché le colture cellulari sono comunque utili? Essendo un microambinete definito e abbastanza elementare e semplice posso esercitare sulle colture in rigido controllo ambientale,quindi possiamo controllare il ph, la temperatura, la pressione osmotica sulla base di quelle che saranno le soluzioni saline e tampone in cui metteremo a crescere le cellule, la pressione parziale di CO2 e di O2. Possiamo cercare di rendere il più possibile omogenea e trasversale la tipologia dei campioni e dei tipi cellulari che vado ad analizzare e confrontare, cosa che ho difficilmente se vado a lavorare con gli animali perché l'individualità del singolo organismo vivente è diversa dall'omogeneità che posso avere in un modello sperimentale in vitro. Sono relativamente economiche, relativamente perché anche le colture cellulari necessitano di materiali e strutture sterili e controllati, ma molto meno costosi del mantenimento di un animale da laboratorio, anche le risposte sono piuttosto immediate perché siamo isolati rispetto a quello che è un organismo vivente, sono facilmente disponibili in commercio. Gli svantaggi: la presenza di sistemi semplificati, esistono quindi differenze con la situazione in vivo per la loro corretta manipolazione è richiesta una manualità ed esperienze, perché il mantenimento delle colture cellulari in condizioni non ideali ci porta al rischio di avere risultati sperimentali non corretti e non in linea con quello che ci aspettiamo le cellule in coltura si mantengono per molti passaggi e per molto tempo, ma non è detto che nei vari passaggi le cellule mantengano le loro caratteristiche invariate nel tempo. Per questo a volte possono verificarsi situazioni di de-differenziamento. Il differenziamento è un processo spontaneo che le cellule; hanno negli organi e nei tessuti perché le cellule hanno un loro periodo di vita dopodiché vanno incontro a degenerazione, a senescenza e alla morte cellulare il tessuto di tanto in tanto si rigenera. Molto spesso questi processi sono alterati in coltura o viceversa le condizioni di coltura possono andare a favorire un tessuto piuttosto che un altro, quindi partendo dal tessuto o dall'organo di origine, voglio andare a isolare un sistema di cellula che mi rappresenta l'organo o il tessuto, ma le condizioni di coltura possono favorire la crescita solo di un tipo cellulare piuttosto che un altro. Sono tutti parametri che nell'allestimento di un campione o modello cellulare sperimentale dobbiamo tenere in conto. l'instabilità genetica che è correlata ai processi di de-differenziamento già visti. Mantenendo per molto tempo delle cellule in coltura possono verificarsi dei processi come mutazioni spontanee che vanno a carico di geni correlati con il differenziamento e la proliferazione cellulare e le cellule diventano geneticamente instabili e hanno quindi mutazioni che interferiscono con la normale proliferazione. Come ottengo la coltura cellulare? Ottengo la coltura cellulare passando attraverso quella che viene chiamata coltura primaria. La base di partenza è sempre un frammento biotico ottenuto da interventi chirurgici sull'uomo o da un piccolo lembo di tessuto o di organo derivante magari una sperimentazione su un animale. Questo piccolo frammento di organo o di tessuto che sia di origine animale o umana viene messo in condizioni di crescere in coltura e stabilizzato in coltura. La stabilizzazione in coltura significa andare ad individuare le normali caratteristiche di crescita per quel tessuto o per quell'organo. Questo vuol dire dare un mix adeguato di nutrienti ideali, ideali condizioni di temperatura e di ph in modo che quelle cellule ritrovino nel microambiente quelle che sono le normali caratteristiche nell'organo o nel tessuto di origine. Storia delle coltura cellulari Prima che venisse isolata la prima vera e propria linea cellulare venivano fatti molti studi sporadici usando cellule animali, soprattutto di embrioni di pollo con rapida capacità proliferativa, quindi molto utili come modelli da usare in laboratorio. La prima linea cellulare isolata fu la linea HeLa. Questa linea è una linea cellulare di cancro della cervice uterina, deve il suo nome ad una signora 38enne, Henrietta Lacks che nel 1951 venne ricoverata nell'ospedale John Hopkins di Baltimora per un tumore alla cervice uterina appunto. Henrietta Lacks venne poi operata e in seguito morì. Le sue cellule sono state donate al laboratorio in cui il medico e alcuni tecnici di laboratorio le hanno poi messe in coltura, prendendo diverse annotazioni semplici, ma molto importanti. Tali cellule del cancro avevano un potenziale proliferativo che era 20 volte maggiore delle cellule sane. La linea HeLa rappresenta la linea cellulare pionieristica delle colture cellulari che sono ormai utilizzate in tutti i laboratori di colture cellulari, sono un valido modello sperimentali perché sono cellule resistenti, crescono con facilità e sono usate per molti scopi anche nel campo dell'immunologia e dei vaccini. Le linee cellulari rappresentano il modello di base anche nel campo delle colture, ad esse si associano poi le colture primarie derivate sempre da autopsie e da frammenti che rappresentano i modelli elettivi soprattutto per lo studio di specifiche patologie. Come si ottengono le colture da un lembo di tessuto o di organo? I metodi sostanziali per ottenere una coltura primaria dal frammento biotico, piccoli pezzi di tessuto, cubetti di 1 cm o 0,5 cm ottenuti dalla clinica, possono essere due: la tecnica dell'espianto o la tecnica della disaggregazione, può trattarsi di una disaggregazione enzimatica o meccanica. I due tipi di tecniche si applicano a tessuti differenti e hanno rese differenti in termini di tipologia di cellule che si ottengono. Espianto Il frammento viene prima lavato abbondantemente con delle soluzioni saline bilanciate come la fisiologica in modo tale da togliere eventuali contaminanti, viene poi finemente triturato con un bisturi che si trova all'interno di una piastra con un po di mezzo di coltura così che sia sempre bene idratato. Si fanno altri 2 o 3 lavaggi seguiti da una centrifugazione, poi questi piccolissimi frammenti vengono messi in un recipiente di coltura rettangolare, una piastra rettangolare. Sopra ai piccoli frammenti viene messo un film molto sottile, uno strato sottile di liquido così che i piccoli pezzi di tessuto abbiamo la possibilità di aderire alla piastra di coltura: si formano dei veri e propri ponti con le lipoproteine di adesione tra il pezzetto di coltura e il recipiente di coltura. Dopo qualche giorno il mezzo viene aumentato e la coltura dovrebbe iniziare ad espandersi. Questa tecnica deve essere usata con piccole quantità di tessuto, se avessi grosse quantità di tessuto, ridurli in piccolissimi pezzettini avrei qualche difficoltà perché dovrei fare moltissimi. Poiché abbiamo detto che i frammenti devono aderire al recipiente, questa tecnica è adatta soprattutto a cellule dotate di una buona adesività e capacità migratoria, ossia a quelle cellule che dal frammento di tessuto che abbiamo ottenuto riescono a fuoriuscire dal tessuto, a prendere contatto con la parete del recipiente di coltura e ad aderirvi. Sono quindi cellule che anche nei tessuti aderiscono bene e formano i vari “foglietti” ad esempio dei fibroblasti, degli eublasti nel muscolo, delle cellule glia e delle cellule dei mostri epiteli che sono bene impacchettate tra loro e sono abituate ad avere una buona capacità adesiva. Le cellule con buona capacità migratoria e buona adesività secernono proteine della matrice e lipoproteine in grado di farle attaccare tra loro. Le foto mostrano espianti fibroblasti a tre e sette giorni dalla coltura: subito dopo l'espianto si può osservare un pezzo nero che è il pezzo del tessuto e vediamo anche piccoli poligoni che sono le cellule di fibroblasti. All'inizio le cellule devono ancora abituarsi al microambiente di coltura, dopo 7 giorni dalla coltura, il pezzo dell'espianto è completamente esaurito perché ha svolto il suo compito; le cellule sono migrate fuori hanno aderito al recipiente di colture e stanno iniziano a duplicarsi, crescono in modo esponenziale (la cellule ha la convessità del nucleo, ma in realtà è un monostrato). Disaggregazione enzimatica La disaggregazione enzimatica sfrutta l'attività di enzimi in grado di digerire tutte le lipoproteine che formano i contatti cellula-cellula e della cellule con le proteine della matrice extracellulare che ci sono negli organi e nei tessuti. Il “panorama” di enzimi è molto vasto perché ciascun ricercatore quando deve mettere in coltura un tessuto, andrà a usare la miscela più adatta di enzimi a seconda del tessuto in oggetto. Esempi di enzimi sono la tripsina, la collagenasi, dispasi ,ialuronidasi per l'acido ialuronico e tutti i proteoglicani ecc. Un'altra cosa molto fondamentale nelle miscele di enzimi che si usano per la digestione a 37°C, sono gli agenti chelanti del calcio, edta o egta. Edta e egta sono due molecole che vanno ad eliminare il calcio dal microambiente. Molto molecole di adesione, ad esempio le caderine, sono in realtà delle molecole calcio-dipendenti, quindi nel momento in cui andiamo a sottrarre dal microambiente della digestione ad esempio il calcio, andiamo a favorire l'azione degli enzimi perché queste molecole di adesione vengono destabilizzate nella loro struttura e quindi agiscono meno come adesività. Perché scegliere una tecnica piuttosto che l'altra? La tecnica dell'espianto si applica ai fibroblasti, alle cellule muscolari, alle cellule epiteliali quindi a tutte quelle cellule che hanno buona capacità adesiva. La tecnica della disaggregazione enzimatica è un po più aggressiva perché mettere delle cellule in una miscela di enzimi proteolitici a 37°C, crea dei danni anche alle cellule del tessuto che andremo ad estrarre. Tuttavia questa tecnica non obbliga a fare una selezione tra le cellule che hanno buona capacità migratoria e buona adesività e le cellule che invece non ce l'hanno, essa fornisce un numero di cellule più rappresentative dell'intero tessuto senza selezionare le cellule in grado di aderire alla piastra. Un po di danno cellulare all'azione enzimatica e proteolitica è da mettere in conto. Disaggregazione meccanica La disaggregazione meccanica causa danno cellulare. “Meccanica” vuol dire che le cellule passano attraverso dei piccoli filtri, dei setacci o colini disposti solitamente in una provetta falcon più o meno dello stesso diametro. Sulla provetta falcon si mette il setaccio e con un a spatolina si sforzano le cellule all'interno delle maglie del microsetaccio o microfiltro. Questi setacci hanno delle maglie via via sempre più strette si parte da maglie più lasse e larghe per arrivare a quelle più strette. È una tecnica molto veloce perché non necessita di aspettare 3 o 7 giorni come la tecnica dell'espianto, né necessita di aspettare per la digestione come la tecnica della disaggregazione enzimatica. Semplicemente il frammento dei tessuto, lavato con soluzione salina bilanciata, viene forzato con la spatola nel setaccio. Si lava con una soluzione tampone il setaccio e si raccoglie la sospensione di cellule dal fondo della provetta. Questa tecnica si può usare per tutti i tessuti molli e soffici perché i tessuti duri non potranno passare per le maglie del setaccio. Tale tecnica viene usata per i tessuti derivanti dal cervello, dalla milza, dal fegato; lo svantaggio di questa tecnica è il danno cellulare perché si tratta di una azione meccanica piuttosto drastica e importante. Non esiste una tecnica in assoluto migliore ciascun ricercatore ha messo a punto la tecnica che secondo lui da risultati più riproducibili e ottimali per quella determinata tipologia di cellule e per ottenere quel particolare sistema sperimentale. Coltura primaria e linea cellulare Che siano derivate dalla tecnica della disaggregazione enzimatica, passate per setaccio nella disaggregazione meccanica o derivate dalla tecnica dell'espianto, ci troviamo rispettivamente con un calcon o con piccoli recipienti di coltura che contengono un piccolo nucleo di cellule che devono essere messe in coltura. Il grafico dell'immagine spiega come vengono messe in coltura le cellule e quello che succede nelle settimane dopo la messa in coltura delle cellule. Dal grafico vediamo che nelle ordinate c'è il numero di cellule, mentre in ascissa le settimane di coltura. Se il giorno dell'espianto abbiamo un certo numero di cellule, dobbiamo aspettarci che nei giorni/ nelle settimane successive il numero diminuisca. Questo è fisiologico perché si cerca di creare il microambiente migliore per le cellule per la crescita in vitro, ma c'è un momento di assestamento e stabilizzazione in cui le cellule un po proliferano, ma molte muoiono perché non riescono ad adattarsi, stabilizzarsi al nuovo ambiente. Dopo questi giorni le cellule iniziano a proliferare e con il tempo la proliferazione diventa esponenziale. Se prendiamo in considerazione i fibroblasti vediamo che le cellule proliferando vanno a colonizzare tutto il recipiente di coltura perché da una cellula madre se ne formano due figlie vicine e così via e alla fine dopo circa una settimana o 10 giorni il recipiente di coltura sarà pieno, le cellule sono andata ad occupare tutto lo spazio che avevano a disposizione. Questo è il momento del primo passaggio in coltura o subcoltura. Quindi circa 1 o 2 settimane dopo la messa in coltura, le cellule arrivano ad un numero tale che devono essere subcoltivate ossia deve essere fatto un passaggio in coltura perché le cellule hanno occupato tutto lo spazio che avevano a disposizione. Da questo momento, per convenzione, si dice che il primo passaggio in coltura segna la trasformazione dalla coltura cellulare primaria alla linea cellulare vera e propria. Nel momento in cui ho stabilizzato una coltura primaria e riesco a fare un primo passaggio ossia sono arrivata ad un numero tale di cellule da dover passare da un recipiente più piccolo ad uno più grande, questo è il momento in cui la coltura primaria diventa una linea cellulare a vita finita. La linea cellulare a vita finita potrà andare incontro ad un numero di duplicazioni di 10-20-30 passaggi in coltura, ma prima o poi andrà incontro a quello che è il fenomeno normale di differenziamento, quindi al processo di morte cellulare. Il numero di passaggi in coltura di una linea a vita finita cambia a seconda dell'organo o del tessuti di origine. Ci sono colture a breve termine che arrivano a 15-20 passaggi in coltura, ci sono invece colture a lungo termine che arrivano a 50-60 passaggi in coltura e i passaggi sono di solito 1 o 2 volte a settimane. Quindi per alcune linee cellulari la stabilizzazione in coltura anche come linee cellulari a vita finita è un processo piuttosto lungo, però non posso essere coltivate in modo indefinito. In questa serie di passaggi in coltura, esiste anche la possibilità che le linee cellulari possano andare incontro a delle mutazioni che possono insorgere spontaneamente nel genoma o a mutazione che più spesso vengono indotte in laboratorio o attraverso radiazioni o attraverso agenti fisici o chimici o attraverso infezioni con sopranatanti virali, in modo da far sì che la cellula perda alcuni meccanismi di controllo della normale proliferazione e della senescenza cellulare e queste cellule di fatto abbiamo la possibilità di replicarsi in modo indefinito. Si dice che le linee cellulari sono quindi colture immortalizzate. Normalmente si ha una coltura primaria, si fa il primo passaggio in coltura, ovvero si trasferiscono le cellule in un recipiente più grande e si ha una linea cellulare a vita finita. Le cellule di una linea cellulare a vita finita si possono tenere per 1o-20 passaggi, se sono colture a breve termine e possono arrivare 60-70 passaggi in coltura se sono cellulare con un potenziale proliferativo più elevato, posso coltivarle per circa un anno o un anno e mezzo, ma sono sono comunque a vita finita. Queste cellule infatti prima o poi iniziano a mostrare segni del differenziamento, vanno incontro ad una serie di fenomeni di degenerazione che li induce a morte cellulare programmata, ossia alla de-regolazione dei normali processi proliferativi e le cellule muoiono perché hanno esaurito il loro potenziale proliferativo (anche se si continua a dar loro nutrienti). Questo è quello che succede in una linee cellulare a vita finita. Il vantaggio delle linee cellulari non è solo quello di avere sempre cellule nuove ottenute da pazienti, bensì il vero vantaggio delle linee cellulare è che possono essere immortalizzate, ovvero modificate dal punto di vista genico. Talvolta le mutazioni insorgono in modo spontaneo ed è studiando queste mutazioni che si è cercato di replicare queste modalità di immortalizzazione sulla linea cellulare attraverso agenti fisico o chimici, attraverso le radiazioni o usando dei particolari virus a rna che si mettono a monte di geni che modulano i normali processi di proliferazione e di morte cellulare. Attraverso questi sistemi indotti dall'azione di agenti fisici, chimici o virus, le cellule possono acquisire una sorta di immortalizzazione, ossia possono riuscire a duplicarsi in coltura, in vitro per un tempo indefinito. Queste cellule vanno a costituire le linee cellulari continue. Nelle linee cellulari continue non c'è un limite alla “proliferazione”, con il passare di molto tempo le cellule avranno comportamenti più o meno anomali, ma le cellule, attraverso queste trasformazioni di tipo genico possono acquisire la capacità di duplicarsi per un numero indefinito di passaggi in coltura. Le linee cellulari continue si dividono a loro volta in due categorie. Le linee cellulari continue sono capaci di acquisire una vita pressoché illimitata, ma mantengono le loro capacità differenziative. Quindi se ho ad esempio una cellula progenitrice del sangue, questa può generare la cascata di cellule adulte del sangue e dopo qualche settimana anche queste andranno a morire, ma il “potenziale” non viene intaccato. Queste cellule presentano soprattutto le caratteristiche morfologiche del tessuto di origine e anche la dipendenza da fattori di crescita tipiche del tessuto di crescita. Queste linee continue non sono tumorigeniche, non sono quindi in grado di indurre tumori in animali immunodepressi. Viceversa, vi sono anche linee cellulari sempre continue, “trasformate”. Le cellule delle linee cellulari trasformate acquisiscono sempre vita illimitata, ossia hanno la capacità di duplicarsi in modo indefinito, ma dalle trasformazioni che sono state indotte da virus, fattori chimici, fisici ecc. acquisiscono anche caratteristiche diverse: acquisiscono caratteristiche morfologiche che le rendono diverse dal tessuto di origine e anche dal punto di vista funzionale presentano delle caratteristiche che non sono più correlate con il tessuto di origine. Molto spesso le cellule manifestano queste modificazioni in modo spontaneo in seguito alla grande pressione selettiva e proliferativa che viene indotta in laboratorio subcoltivando le cellule velocemente così che crescano in modo rapido, e in modo sistematico con grande pressione e con abbondanza di nutrienti. In questo cado si assiste a fenomeni di ipersensibilizzazione di queste cellule che per esempio perdono il fenomeno di inibizione da contatto (le cellule occupano tutta la parete a loro disposizione: a questo punto bisogna passarle perché quando le cellule sono fitte, essendo dipendenti dall'adesione per la loro proliferazione, smetterebbero di crescere perché non trovano substrato su cui crescere). Le cellule trasformate riescono a bypassare questi meccanismi, il loro bypassare questo meccanismo è dovuto ad un alterazione a livello genico che fa sì che queste cellule non risentano più del fenomeno dell'inibizione da contatto e perdano la dipendenza dallìancoraggio per la loro proliferazione, tali cellule iniziano a crescere fitte le une sulle altre e iniziano a formare delle cupole, delle piccole montagnole: questo è un esempio di manifestazione di fenotipo trasformato. Quindi la crescita a multistrato, perdita dell'inibizione da contatto sono trasformazioni che ci permettono di capire se le cellule di una linea continua è trasformata o se una linea cellulare continua si sta trasformando. Un altra caratteristica che ci fa dire che la linea cellulare sta cambiando, che sta degenerando in un'altra linea è che perda, o del tutto o in parte, la richiesta di fattori di crescita per la sua proliferazione. Nei tessuti e negli organi, i fattori di crescita sono sempre presenti, vengono secreti e servono per indirizzare il differenziamento e la proliferazione di alcuni tipi cellulari; se volgiamo coltivare le cellule in vitro è necessario aggiungere in fattori di crescita al terreno di coltura. Le linee cellulari continue trasformate sono indipendenti dalla presenza dei fattori di crescita perché acquisiscono una totale e assoluta indipendenza da quelle che sono le normali condizioni fisiologiche. Le linee trasformate sono tumorigeniche, ossia sono in grado di indurre tumori perché le mutazioni che si sono generate nella linea cellular