Summary

Questo documento fornisce una panoramica dell'anatomia umana, coprendo sia l'anatomia macroscopica che quella microscopica. Vengono descritti diversi approcci allo studio dell'anatomia, tra cui l'anatomia sistematica, regionale e funzionale. Il documento include anche dettagli sui piani anatomici, gli assi e la terminologia anatomica, e fornisce esempi pratici, come nel caso dell'anatomia dell'intestino tenue e del torace umano.

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ANATOMIA: termine che deriva dal greco “guardare attraverso la dissezione”. Si suddivide in anatomia macroscopica, in cui è l’occhio dell’osservatore che si pone davanti alla parte del corpo, senza uno strumento attraverso cui approfondire, e anatomia microscopica, che ha come oggetto di indagine le...

ANATOMIA: termine che deriva dal greco “guardare attraverso la dissezione”. Si suddivide in anatomia macroscopica, in cui è l’occhio dell’osservatore che si pone davanti alla parte del corpo, senza uno strumento attraverso cui approfondire, e anatomia microscopica, che ha come oggetto di indagine le strutture invisibili all’occhio umano e si serve dunque del microscopio. Esistono vari approcci allo studio dell’Anatomia macroscopica del corpo umano: Anatomia sistematica: studia l’anatomia dei sistemi del corpo, tenendo conto della funzione di questi; si muove per regioni e non considera le strutture vicine (serie di organi con funzione comune); Anatomia regionale: localizza gli organi in una macroregione, offrendo una visione d’insieme di questa macroarea senza guardare alla funzione, ma cogliendo le relazioni topografiche tra i diversi organi (anatomia topografica); Anatomia funzionale: studia l’anatomia in relazione alla funzione fisiologica che svolge un singolo organo, e si basa sulla relazione struttura - funzione (dimostra che è la funzione che fa la struttura non viceversa). L’Anatomia Applicata comprende poi: Anatomia microscopica: studia la struttura della cellula, dei tessuti e degli organi con l’aiuto del microscopio; Anatomia clinica: è lo studio delle sintomatologie attraverso la conoscenza anatomica; Anatomia radiologica: si serve di serve di radiogrammi o altre metodologie di imaging; Anatomia computazionale: si serve di ricostruzioni elettroniche a 1,2,3 dimensioni. Il concetto base è: È la FUNZIONE che crea la STRUTTURA. È una regola che vale dal macro al micro. Ad esempio, l’intestino tenue situato nell’addome, ha un’estensione molto ampia (circa 6 metri di lunghezza) ma la funzione ne aumenta ulteriormente la superficie per permettere la digestione, tanto da raggiungere un’estensione pari a 6 km da un punto di vista microscopico, a confermare che è la funzione che determina la struttura. In questo caso si tratta di una funzione biologica come l’assorbimento. I diversi approcci presentano dei precisi vantaggi così come degli svantaggi: ad esempio un approccio regionale (prevalentemente usato in ambito di studio universitario) presenta una fatica nel vedere l’intero, mentre un approccio sistematico non permette la visione d’insieme che colga le relazioni tra gli organi non appartenenti al medesimo sistema. Anatomia macroscopica Quando si studia il corpo umano, lo si pone in una posizione standard convenzionale detta posizione anatomica, e lo si descrive usano dei termini non ambigui e univoci, ovvero la terminologia anatomica. Posizione anatomica: posizione eretta, con gli arti anteriori aderenti al corpo, il palmo girato in avanti, lo sguardo rivolto in avanti e gli arti inferiori uniti. Il corpo umano è suddivisibile in macroaree che si dividono a loro volta in macroregioni/macrocavità. Le macroaree sono aree separate da virtuali piani trasversali specifici. Il busto include: Testa Collo Tronco (dalle clavicole, a livello dell’apertura della gabbia toracica superiore fino alle creste iliache), Torace (dalle clavicole fino all’arco costale) Arti superiore e inferiore. Ogni macroarea si suddivide poi in regioni specifiche. Ogni macroarea contiene una serie di visceri, contenuti in 4 macrocavità. Cavità cranica; Cavità toracica (separata fisicamente da quella inferiore dal muscolo del diaframma); Cavità addominale (non esiste una separazione netta dalla cavità sottostante, si parla di cavità addomino-pelvica); Cavità pelvica. Le macrocavità a loro volta si suddividono in ulteriori zone, ad esempio nel torace si individuano tre macro cavità: due cavità pleuriche e una cavità pericardica. Nella cavità addominale invece si trova la cavità peritoneale. Per convenzione il Corpo Umano è divisibile attraverso 3 piani cardinali e 3 assi cardinali. Ciò ci permette con precisione di identificare la posizione di un organo. Questa suddivisione è equiparabile a quella del globo terrestre (longitudini e latitudini). I piani non sono unici ma sono numerosi (infiniti) e paralleli. 1. Piano sagittale o piano sagittale mediano (il piano sagittale mediano è unico, come l’equatore fra le latitudini): attraversa il corpo da davanti a dietro, divide in una porzione di destra e di sinistra. I piani sagittali sono numerosi a seconda della sezione che si osserva. 2. Piano trasverso o piano orizzontale: divide il corpo in una sezione superiore e inferiore, divide a “fette” orizzontali. 3. Piano coronale o frontale: divide in parte anteriore e posteriore. 1. Asse longitudinale: attraverso cui si muove il piano trasverso; 2. Asse sagittale: attraverso cui si muove il piano coronale o frontale; 3. Asse trasversale: attraverso cui si muove l’asse sagittale. La collocazione dei piani e degli assi è essenziale in radiologia e permette l’individuazione corretta della collocazione delle specifiche parti del corpo. Esistono altri piani importanti per la clinica, come ad esempio la linea longitudinale emiclaveare che suddivide a metà la clavicola e serve per suddividere la gabbia toracica. Un altro piano diffuso è il piano trasversale sottocostale o quello che passa al di sopra delle creste iliache. Uno specifico incrocio tra il piano mediano e un piano coronale produce la linea di gravità, che cade, se il corpo si trova in stazione eretta, in un punto virtuale al centro dei piedi, ed è essenziale per mantenere la posizione in equilibrio. Sulla linea di gravità si trova ad esempio l’orecchio con l’apparato vestibolare, connesso a numerosi centri nervosi motori il cui compito è di controllare i muscoli che garantiscono il mantenimento dell'equilibrioò e la posizione eretta. Piani e assi danno origine ad un’importante ed essenziale serie di aggettivi anatomici e movimenti anatomici. 1. Aggettivi anatomici: prossimale, distale, frontale, dorsale, laterale, ecc. 2. Movimenti anatomici: flessione, estensione, abduzione e adduzione, elevazione e depressione ecc. Oltre ai piani e agli assi anatomici, esistono delle specifiche prominenze superficiali dello scheletro che diventano punti di riferimento clinico per orientarsi sulla posizione degli organi interni. Ad esempio la cavità sternale permette di posizionare la trachea e la divisione dell’aorta. Terminologia anatomica: Posizione anatomica Piani anatomici Aggettivi anatomici IL TORACE Definizione di torace: regione superiore del tronco, collocata tra collo e addome. Sulla superficie si trovano le sporgenze formate dalle clavicole e dall’arco costale, che inoltre delimitano l’area del torace. Internamente nel torace è racchiusa la gabbia toracica, ovvero una parete muscolo scheletrica. Le strutture muscolari della gabbia toracica sono connesse all’Arto Superiore e alla Colonna Vertebrale. Il torace, inoltre, ospita la ghiandola mammaria. La gabbia toracica è una cavità interna che contiene specifici organi interni (cuore e polmoni) e viscere. Il torace consiste in: 1. Parete propria Muscolo-Scheletrica (gabbia toracica); 2. Strutture muscolari connesse all’Arto Superiore e alla Colonna Vertebrale; 3. Ghiandola Mammaria; 4. Cavità Interne; 5. Organi e Strutture Viscerali. La gabbia toracica è formata da coste, vertebre e sterno. Ha la funzione di isolare e proteggere le viscere importanti del torace e in parte anche i visceri dell’area addominale. Non è una struttura rigida ma può modificare la propria forma, ad esempio durante la respirazione: è costruita per essere resistente ma al tempo stesso per permettere un certo movimento, quello della meccanica respiratoria). La gabbia toracica è una parete muscolo-scheletrica composta da: Ossa: 12 Coste, Sterno,12 Vertebre Toraciche; Muscoli: Intercostali; Visceri: Vasi, Nervi, Linfatici. Posteriormente ospita il rachide, ovvero la struttura ossea costituita da 33 vertebre di cui 12 vertebre costali. Anteriormente si trova una zona intermedia detta sterno e numerose strutture ossee chiamate coste. Le coste sono in parte di matrice ossea e in parte costituite in cartilagine: si articolano dunque allo sterno con l'interposizione di una struttura cartilaginea. Ciò permette la meccanica respiratoria: la cartilagine è infatti un tessuto resistente ma elastico (condrociti, collagene e matrice amorfa). Oltre alla componente ossea la gabbia toracica è formata anche da muscoli, in particolare quelli presenti tra le coste sono detti muscoli intercostali. Altri sono coinvolti nel movimento degli arti superiori, ad esempio il muscolo dentato. La regione toracica presenta due aperture: 1. Apertura toracica superiore: è reale, continua nel collo - delimitata da numerose strutture. Il margine superiore è delimitato tutto intorno dal manubrio dello sterno, il bordo superiore della prima costa e quello della prima vertebra toracica. Dietro il manubrio dello sterno si uniscono le vene brachiocefaliche per formare la vena cava superiore, ancora più in profondo, formata da cartilagine, si trova la trachea che scende dal collo e entra nel torace e un tubo appiattito ovvero l’esofago, che poi continua nella faringe. I vasi sanguigni principali presenti in quest’area sono l’arteria carotide comune, che ha la funzione di portare il sangue al cervello e la vena succlavia, che irrora gli arti superiori. Dietro alla prima costa sporge inoltre l’apice del polmone. 2. Apertura toracica inferiore: è “virtuale”, è chiusa dalla cupola muscolare del diaframma e separa il torace dall’addome. Segue dunque la convessità del muscolo diaframma e al centro coincide con l’ultima parte dello sterno, il processo xifoideo. Il diaframma è formato sia da una porzione rossa costituita dalle fibre muscolari sia da una parte bianca, la parte tendinea. Il muscolo è collegato alla parete scheletrica, si tratta dunque un’apertura chiusa. Tuttavia il muscolo non è continuo ma presenta numerose aperture che rendono le due cavità (toracica e addominale) comunicanti, come ad esempio le strutture nervose che bucano il muscolo. Un’altra fessura permette il passaggio dell’aorta: adesa alle vertebre lombari si trova l’aorta che nasce dal ventricolo sinistro, forma un arco, scende e arriva nella cavità addominale dove cambia nome da aorta toracica ad aorta addominale. Una struttura a cappio al centro, invece, permette il passaggio dell’esofago che nella parte addominale si trasforma in stomaco. La porzione tendinea è più rigida, si trova più in profondità e subisce meno movimenti, motivo per cui vi passa la vena cava inferiore. In tutto sono dunque presenti tre iati: per la vena cava, l’aorta e l’esofago. Le coste non si comportano tutte allo stesso modo. Le prime sono più piccole, corte e orizzontali e l’articolazione con le vertebre è posta più su rispetto all’articolazione con lo sterno, fattore importante per la meccanica respiratoria. Le prime 7 coppie di coste sono “privilegiate”, ovvero vanno direttamente ad articolarsi allo sterno con l’interposizione di una porzione cartilaginea: sono chiamate le coste vere. Vi sono poi le coste false dall’ottava alla dodicesima coppia. L’ottava coppia non contatta direttamente lo sterno ma si fissa con la sua cartilagine alla settima, la nona all’ottava ecc. Le ultime due coppie, l’undicesima e la dodicesima, presentano all’estremità un piccolo cappuccio cartilagineo e terminano nelle strutture muscolari, per cui sono definite coste fluttuanti, in quanto non presentano un contatto diretto con lo sterno. Lo sterno è suddiviso in tre parti (manubrio e corpo, collegati dall’angolo di Louis, e processo xifoideo) e la seconda coppia di coste contatta sia il manubrio che il corpo. Il movimento delle coste è generalmente lo stesso: si piegano e tendono a risalire, in modo da aumentare lo spazio interno, eppure sono visibili delle differenze tra le coste superiori e quelle inferiori. Anteriormente le coste presentano una struttura mozza che continua con la parte cartilaginea. Posteriormente, invece, presentano una testa, un collo e un corpo. Il punto in cui girano e si ripiegano formando una “gabbia” si forma l’angolo costale. Le coste superiori, quando si muovono, tendono ad aumentare il piano sagittale (diametro antero posteriore); Le coste inferiori tendono ad ampliare il diametro trasverso. Le vertebre toraciche fanno parte della colonna vertebrale. Colonna vertebrale: ha tre obiettivi: 1. Stazione eretta; 2. Locomozione; 3. Equilibrio stabile della testa. L’evoluzione ha permesso l’adattamento della colonna vertebrale, rendendola tale da poter raggiungere la stazione eretta, per un motivo di sopravvivenza. La colonna vertebrale presenta delle curvature caratteristiche: La lordosi ha una concavità rivolta posteriormente, La cifosi ha una concavità rivolta anteriormente. Durante la vita intrauterina la colonna presenta un’unica curvatura, ovvero la cifosi, che dunque ha origine embrionale. All’iniziale cifosi toracica del neonato, durante l’infanzia si aggiunge una lordosi cervicale, che si sviluppa insieme alla crescita dei muscoli posteriori del collo per sostenere la testa. Compare poi una lordosi lombare, che si forma per via dello sviluppo dei muscoli del tronco, permette di camminare e stare in piedi, aumenta fino alla pubertà, quando si stabilizza. Infine si modifica la cifosi sacrale. La colonna vertebrale (rachide osseo) è costituita da: 7 vertebre cervicali, piccole e robuste per flettere la testa, permettono un certo grado di movimento; 12 vertebre toraciche, impilate a mantenere la gabbia toracica, 5 vertebre lombari, aumentano di grandezza per sostenere il peso, 5 vertebre sacrali che si fondono e formano l’osso sacro che si articola con l’anca. L’unione avviene per permettere di scaricare il peso e formano l’osso sacro. L’ultima parte è il coccige, 3 o 4 piccole vertebre fuse tra loro. La funzione determina la forma di queste vertebre. Al di là di alcune vertebre atipiche (che troviamo solo a livello cervicale) le Vertebre hanno alcune parti comuni la cui dimensione e forma varia a secondo delle tre regioni: Corpo; Processo trasverso Processo spinoso Peduncolo; Lamina; Forame. La porzione anteriore è il corpo vertebrale, la parte più variabile della vertebra, e anche la più estesa. Poi vi è l’arco vertebrale formato da un peduncolo e da una lamina. Il processo trasverso si porta lateralmente mentre posteriormente le due lamine si uniscono a formare il processo spinoso. Al centro si forma il foro vertebrale, ovvero un canale vertebrale in cui è alloggiato il midollo spinale. Tra i vari corpi è interposto un disco intervertebrale importante per l’articolazione. Solo le vertebre cervicali hanno un foro nel processo trasverso per il passaggio di arterie e vene. Le vertebre toraciche sono particolari, in quanto devono permettere l’articolazione delle coste: ai lati del corpo sono situate due faccette costali, mentre sul processo trasversale si trovano una faccetta costale e due faccette articolari superiore e una inferiore. Il processo spinoso e quello trasverso permettono l’attacco anche delle strutture muscolari. Disco intervertebrale: presenta un nucleo polposo, in posizione centrale, formato prevalentemente da acqua (77%), collagene (4%) e proteoglicani (14%). A delimitare questo nucleo si trova un anello (anulus) fibroso che funge da struttura contenitiva, in cui aumenta la concentrazione del collagene (la più alta concentrazione di collagene si trova nella cartilagine). I dischi intervertebrale si deformano per scaricare il peso in base alla posizione (eretta o supina) e al movimento. Permettono inoltre l’articolazione tra un corpo vertebrale e l’altro. Se il nucleo polposo viene espulso, va a deformare l’anulus e fa pressione sui nervi passanti nel canale vertebrale e va a creare un’ernia. In questo caso il grado di erniazione dipende dalla pressione che il nucleo polposo espulso esercita sul nervo. Curvature anomale: Scoliosi: spesso associata al gibbo (gobba), curvatura laterale della colonna vertebrale; Lordosi da gravidanza: in seguito alla grande quantità di progesterone che ha un’azione rilassante, si rilassano anche le articolazioni divenendo più mobili, così che il peso del feto determina una curvatura in avanti, quindi uno slittamento del disco intervertebrale, lo spostamento in avanti del centro di gravità del corpo e un aumento della curvatura lombare. Si tratta tuttavia di una curvatura temporanea. Vertebre toraciche: presentano tre faccette articolari su ogni lato per articolarsi alle coste (due sul corpo vertebrale e una sul processo trasverso), mentre due (orientate i direzioni opposte) per articolarsi rispettivamente alla vertebra precedente e quella successiva. Le coste presentano: Corpo, Testa, Collo, Tubercolo. Articolazione costovertebrale: sul tubercolo si trova una faccetta articolare che si articola con la faccetta costale sul processo trasverso della vertebra mentre le due faccette sulla testa, separate dalla piccola cresta, vanno ad articolarsi con le faccette costali presenti sul corpo delle due vertebre adiacenti, a parte la prima costa che contatta solo la prima vertebra e le ultime due. Si forma un asse che segue l’inclinazione dell’articolazione costotrasversaria e che determina il tipo e il margine di movimento che può fare la costa, ossia elevazione e depressione. Lo sterno è composto da manubrio, corpo (tra manubrio e corpo si trova l’angolo sternale) e finisce con una punta detta processo xifoideo. L’angolo manubrio sternale (del Louis) è un punto strategico: posso tracciare un piano coronale che interseca un piano trasversale passante tra t4 e t5, che intercetta il punto in cui l’aorta si curva e la trachea di divide in due bronchi, di destra e di sinistra. Sullo sterno sono visibili delle righe orizzontali in leggera sporgenza, sono ciò che rimane dell’ossificazione che giunge al compimento solo dopo il 30° anno di età (i segmenti ossei che si fondono sono detti sternebrae). Lo sterno si articola con le varie terminazioni cartilaginee delle coste sulle incisure costali. La prima coppia di coste è nascosta dietro alle clavicole, infatti all’apice dello sterno si trova un’incisura clavicolare Muscoli intercostali: i muscoli della parete toracica sono responsabili della respirazione toracica, in quanto la loro inclinazione permette la meccanica respirazione. Si tratta di muscoli striati (movimento volontario) che formano tre strati, di cui i più importanti sono i primi due. Si suddividono in: 1. Intercostali esterni: si estendono dal margine inferiore di una costa e si fissano al margine superiore della costa sottostante - hanno un decorso obliquo da dietro in avanti e dall’alto verso il basso dal tubercolo costale al margine osteocartilagineo; 2. Intercostali interni: sono orientati in senso opposto rispetto agli intercostali esterni, si estendono dal margine laterale del solco costale di una costasoprastrante al margine superiore della costa sottostante ma hanno un decorso da davanti all’indietro. La diversa inclinazione dei muscoli intercostali è fondamentale nel meccanismo della respirazione. Tra l’ultimo dei tre strati di muscoli, detto di muscoli intimi, e gli intercostali interni decorre un insieme di nervi e vasi sanguigni: è la fascia neurovascolare toracica (VAN). Movimento respiratorio La respirazione si divide in inspirazione (espansione delle logge polmonari) e espirazione (rilascio e rilassamento delle logge polmonari). I muscoli intercostali si comportano in due modi differenti: 1. Durante l’inspirazione gli intercostali esterni spingono le coste verso l’alto; 2. Durante l’espirazione gli intercostali interni muovono le coste verso il basso. Le variazioni nelle dimensioni anteroposteriore e laterale del torace dipendono dal movimento delle coste (elevazione e abbassamento). Il movimento della parete toracica durante la respirazione è schematizzato in due movimenti principali: 1. Movimento “a pompa d’acqua” - aumenta il diametro anteroposteriore (muove lo sterno verso l’alto e verso il basso, in avanti e indietro), è dovuto al movimento verticale dei muscoli intercostali interni condrali attaccati alla sezione cartilaginea delle coste che presentano un andamento quasi verticale; 2. Movimento “a manico del secchio” - aumenta il diametro laterale/trasversale, è dovuto al movimento dei muscoli intercostali esterni che si contraggono. Muscoli intercostali esterni: presenti solo nello spazio intercostale osseo e terminano all’inizio della parte condrale. Sono obliqui da posteriore ad anteriore; Muscoli intercostali interni: presenti per tutto lo spazio intercostale (osseo e condrale), ma con due direzioni diverse: o Interni ossei: obliqui da anteriore a posteriore, o Interni condrali: più perpendicolari. I muscoli intercostali esterni si fermano prima dell’inizio della cartilagine, lasciando lo spazio ad una struttura connettivale. I muscoli interni, invece, continuano sulla cartilagine ma cambiano orientamento, in quanto le loro fibre decorrono verticali. Durante la respirazione è inoltre fondamentale il movimento del diaframma: durante l’inspirazione le fibre del muscolo si contraggono e la cupola del diaframma si abbassa per fornire spazio ai polmoni, mentre durante l’espirazione si rilassa e si solleva. Quello del diaframma è dunque un movimento verticale che porta all’aumento del diametro longitudinale. L’inspirazione è dunque un movimento attivo, mentre l’espirazione è un movimento passivo. Sono altri i muscoli importanti a livello di meccanica respiratoria, quali il muscolo dentato e gli scaleni, ma entrano in gioco solo in caso di inspirazione forzata. Muscoli inspiratori: Muscolo Intercostale Esterno: aumento diametro trasversale; Muscolo Intercostale Interno Condrale: aumento diametro antero posteriore; Diaframma: aumento diametro longitudinale. Muscoli espiratori: Muscolo Intercostale Interno Osseo. La cavità interna del torace è completamente avvolta da una fascia connettivale detta fascia endotoracica, che si frappone fra i muscoli intercostali e la pleura parietale. È dunque una struttura connettivale a cui è attaccata la pleure, facendo sì che i movimenti della gabbia toracica siano trasferiti ai polmoni. La sua parte superiore è più ispessita e viene definita membrana soprapleurale, mentre la sua parte inferiore è chiamata fascia frenicopleurale. Tra l’ultimo strato di muscolo intercostale intimo e il muscolo intercostale interno scorre il fascio neurovascolare della parete toracica che comprende la vena intercostale, l’arteria intercostale e il nervo intercostale. Questo fascio scorre nella scanalatura della costa che in questo modo protegge il fascio neurovascolare (i nervi si trovano vicino alla fonte di calore, ovvero il sangue arterioso). La disposizione non è casuale ma segue l’ordine VAN (vena, arteria, nero). In caso di prelievo di liquido pleurico che comporta l’uso di cateteri o aghi, è necessario posizionare l’ago al di sopra della costa, in quanto presso il margine inferiore della costa c’è il fascio neurovascolare intercostale. Vascolarizzazione e innervazione del torace I vasi che irrorano la parete toracica sono prevalentemente arterie intercostali posteriori e anteriori. Il sangue arterioso deriva da due fonti: Posteriormente dall’aorta, che si trova adesa alla colonna vertebrale, nasce dal ventricolo sinistro e scende creando un arco, passa dietro allo sterno nel punto tra il corpo e il manubrio, e diventa aorta toracica. L’aorta dà una serie di vasi che vanno a vascolarizzare il distretto del torace, ma essendo spostata a sinistra i vasi diretti verso destra saranno più lunghi. Dalla colonna vertebrale dunque si diramano le arterie intercostali posteriori che decorrono sul margine inferiore della costa e vanno ad irrorare tutti gli spazi intercostali a parte il primo (costa C1) dove il sangue arriva da un ramo della succlavia. Dall’arco dell’aorta nasce anche l’arteria carotide che sale nel collo (verso la faccia e l’encefalo). Antero lateralmente scorre l’arteria succlavia con i suoi rami. La succlavia nasce anch'essa dall’arco dell’aorta, e mentre un ramo va a vascolarizzare gli arti superiori, due rami scendono parallelamente allo sterno, uno a destra e uno a sinistra, formando l’arteria toracica interna da cui si diramano le arterie intercostali anteriori. I due sistemi vascolari si vanno ad anastomizzare, ovvero ad unirsi reciprocamente, (anastomosi). Le arterie intercostali anteriori decorrono anteriormente e lateralmente, creando una gabbia, e si uniscono con quelle posteriori. Eccezioni: la prima costa è vascolarizzata dal tronco costocervicale da cui nasce l’arteria intercostale suprema. L’arteria toracica interna, al livello del sesto spazio intercostale, si biforca: un vaso (arteria epigastrica superiore) scende nell’addome, l’altro (arteria muscolofrenica) va a vascolarizzate gli ultimi spazi intercostali. Drenaggio venoso: 1. Posteriormente si crea il sistema delle Azygos che raccoglie il sangue delle vene intercostali posteriori; 2. Antero lateralmente le vene brachiocefaliche drenano le vene intercostali anteriori attraverso la vena toracica interna. I due sistemi venosi sono anastomizzati tra di loro. Si tratta del ritorno del sangue alla parte destra del cuore attraverso la vena cava superiore e la vena cava inferiore. 1. La vena cava superiore si forma dall’unione delle vene brachiocefaliche di destra e di sinistra, che si uniscono dietro al manubrio dello sterno (a loro volta formate dalla confluenza della vena giugulare e della vena succlavia) e danno luogo alla vena cava che entra nell’atrio destro del cuore. Sempre nelle vene brachiocefaliche terminano le vene toraciche interne, che scorrono ai due lati dello sterno e raccolgono il sangue delle vene intercostali anteriori. 2. Posteriormente si sviluppa il sistema delle Azygos, un sistema ponte che collega posteriormente il drenaggio toracico superiore e inferiore. La vena azygos si trova a destra della colonna vertebrale e presenta un decorso particolare: risale dal basso, forma un arco orientato verso sinistra e termina nella vena cava superiore. In questa vena confluisce il sangue venoso dalle vene intercostali posteriori. Da sinistra il sangue viene raccolto dalla vena emiazygos (inferiore) e dalla emiazygos accessoria (superiore). Sotto si trova il diaframma, muscolo che separa il torace dalla cavità addominale. Attraverso l'orifizio presente nella porzione tendinea passa la vena cava inferiore, nel foro a forma di cappio passa l’esofago (orifizio esofageo), mentre nell’altra apertura passa l'aorta addominale, prima denominata aorta toracica (orifizio aortico). VAN: fascio neurovascolare. Il sistema nervoso si sviluppa all’interno della colonna vertebrale, che nel canale vertebrale (struttura ossea) accoglie il midollo spinale. Da ciascun segmento del midollo spinale si forma un nervo spinale che si ramifica in tre direzioni diverse (presenta tre rami). Dai rami anteriori dei segmenti spinali T1-T12 (dodici vertebre toraciche) si formano le 12 coppie di nervi intercostali. Le radicole che fuoriescono dal midollo spinale si uniscono e formano il nervo spinale che emerge dalla struttura ossea. Ogni nervo è costituito da tre rami: 1. Ramo posteriore, che innerva la muscolatura del dorso; 2. Ramo anteriore mediale o ramo meningeo, che innerva la guaina di meninge che avvolge il midollo spinale; 3. Ramo anteriore, è il ramo più grande, decorre insieme alla vena e all’arteria e diventa il nervo intercostale. Nervo intercostale: decorre nella parte inferiore della costa insieme all’arteria e alla vena intercostale. Il nervo intercostale può avere al suo interno fibre nervose che trasportano sia impulsi in entrata sia in uscita. È dunque sia un nervo motorio (in uscita), sia determina la sensibilità della cute o la sensibilità termo dolorifica (in entrata). Un nervo spinale può dunque trasmettere impulsi sensitivi di vari tipi. Le vie sono tre, in un’unica struttura nervosa si trovano più direzioni nervose: 1. Via d'uscita motorio somatica volontaria: si tratta di un’innervazione somatomotoria ai muscoli della parete toracica; 2. Via d’uscita motorio viscerale autonoma: si tratta degli impulsi del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico (simpatico - “combatti e fuggi”, parasimpatico - “rilassato e alimentati”); 3. Via d’entrata sensitiva somatica e viscerale. I nervi spinali che nascono dal segmento del midollo spinale toracico (T1 - T12) proseguono nel ramo anteriore divenendo nervi intercostali, collocati negli spazi intercostali tra le coste adiacenti. I nervi passano lateralmente attorno alla parete toracica, e fanno parte del fascio neurovascolare che decorre tra il muscolo intercostale intimo e interno. Come per le arterie, a livello dell’angolo costale il nervo si ramifica: il maggiore dei rami è il ramo cutaneo laterale, che perfora la parete toracica laterale, si porta in superficie e si divide in ramo anteriore e posteriore. Il ramo cutaneo innerva la cute sovrastante e raccoglie le sensibilità della cute. I nervi cutanei sono recettori sensibili, trasportano un’informazione sensitiva. La disposizione dei rami cutanei crea la suddivisione della superficie corporea in dermatomeri: un dermatomero è la porzione di superficie cutanea innervata da una singola radice sensitiva di un nervo spinale; a ciascun segmento spinale corrisponde quindi un dermatomero. Si tratta di strisce regolari parallele, visibili soprattutto a livello embrionale (metameria: organizzazione regolare). Ogni striscia veicola la sensibilità di quella porzione specifica di cute. La distribuzione così precisa dei dermatomeri permette di capire quale nervo sia stato danneggiato in caso di perdita specifica di sensazioni in una certa parte del corpo. Ad esempio, nel caso di Herpes Zoster, il virus interessa un dermatomero specifico (patologia comunemente nota come fuoco di S. Antonio). La cavità toracica viene suddivisa in tre sub cavità: una centrale (mediastino o cavità pericardica) e due laterali (cavità pleuriche). Il mediastino è la sacca protettiva che rivolge il pericardio, la zona in cui si trova il cuore. La cavità pleurica si poggia sul cuore, inferiormente segue la cupola del diaframma e contiene i polmoni. POLMONE E BRONCHI Il sistema respiratorio è composto da diverse strutture la cui funzione è quella di permettere l’ossigenazione del sangue e, attraverso il sistema cardiocircolatorio, la distribuzione dell’ossigeno in tutti i distretti del corpo. Nel torace è situata la parte più importante di questo sistema. Nella testa si trovano le vie aeree superiori quali la cavità nasale e la rinofaringe, e poi iniziano le vie aeree inferiori, con laringe e trachea situate nel collo. La trachea è formata da placchette di cartilagine e si trova dietro all'angolo di Louis, dove si suddivide in due bronchi principali. I bronchi continuano a suddividersi nel polmone fino ad arrivare agli alveoli polmonari, dove avviene il processo della respirazione: l’ossigeno presente nell’aria viene ceduto al sangue che libera CO2. Dal naso ai bronchioli si parla di sistema di conduzione fino alle strutture più piccole dove avviene lo scambio gassoso. I polmoni occupano le cavità pleuriche, che sono rivestite dalla pleure. La pleure è un mesotelio: epitelio formato da cellule piatte poggiate su uno strato di tessuto connettivo. La funzione della pleure è connettere la parete toracica alla parenchima polmonare (polmone). La pleure è adesa alla fascia endotoracica che riveste la gabbia toracica dall’interno e al polmone. Questa struttura è fondamentale per la meccanica respiratoria, in quanto coordina il movimento della gabbia toracica alla espansione e al rilassamento dei polmoni. La pleure si sviluppa in due foglietti continui che derivano dal ripiegamento della pleure stessa: 1. Il foglietto interno è la pleure viscerale perché adesa alle viscere 2. La parte adesa alla fascia endotoracica è la pleure parietale. Tra i due foglietti si forma la cavità pleurica che contiene un sottile film di liquido che permette lo scorrimento dei due foglietti. In caso di patologie come la pleurite il liquido aumenta. All’interno della cavità pleurica c’è una depressione (una pressione negativa): questa, fa sì che il polmone si muova insieme alla gabbia toracica. La pleure parietale assume nomi diversi in base alla zona che riveste: 1. Parte costale; 2. Parte diaframmatica; 3. Parte mediastinica; 4. Cupola pleurica, che protegge e riveste il polmone che sporge al di sopra dell’apertura toracica superiore, in una zona che si definisce apice del polmone, in cui supera di 3-4 cm il bordo della prima cartilagine costale. L’apice del polmone si colloca dietro il terzo mediale della clavicola (la parte centrale di questo osso che si articola con il manubrio dello sterno) e proietta a C7 (è l’ultima vertebra cervicale e presenta una struttura particolare - è detta vertebra prominente per via del suo processo spinoso molto sviluppato). È una zona molto vulnerabile, vi è possibile danneggiare la pressione negativa che permette l’adesione dei polmoni alla parete toracica. Inoltre è in stretto contatto con la cavità mediastinica. Recessi pleurici: in alcuni punti la pleure parietale e quella viscerale non sono a diretto contatto, ma si vengono a formare degli spazi aggiuntivi, delle riserve di spazio. Questi recessi si vengono a creare in punti precisi: 1. Recesso costo diaframmatico; 2. Recesso costo mediastinico. Durante la respirazione normale, il polmone non occupa queste zone, ma in caso di una respirazione forzata queste cavità pleuriche si vengono a riempire. Fisiologicamente, i foglietti parietale e viscerale della pleura sono uniti dalla pressione negativa e nella cavità pleurica risiede solo un film liquido. Invece, in caso di processo infiammatorio, la cavità pleurica si riempire di liquido in eccesso per forza di gravità (riscontro clinico patologico). I liquidi possono essere di vari tipi: Aria - pneumotorace Liquido - idrotorace Sangue - emotorace. L'infiltrazione di aria annulla la pressione negativa, i due foglietti pleurici si distaccano e il polmone “si affloscia”, collassa. POLMONI: anatomia macroscopica Polmone di destra: presenta 3 lobi (superiore, medio e inferiore) e due fissure (orizzontale antero- laterale a livello della quarta costa e quella obliqua a livello della sesta costa); Polmone di sinistra: 2 lobi (superiore e inferiore) e un’unica fissura. Il polmone ha una consistenza spugnosa, tanto che le coste lasciano un’impronta e sul polmone di sinistra è il cuore che lascia una profonda impronta. Il polmone di destra è più grande di quello di sinistra: lo spazio del lobo di sinistra, infatti, è occupato fisicamente dal cuore. Si distinguono diverse parti del polmone: 1. Apice del polmone: all’interno della cupola pleurica; 2. Base del polmone: concava dal basso, appoggiata sul diaframma di cui segue la convessità; 3. Ilo del polmone: fessura da dove entrano ed escono i vasi polmonari (arteria polmonare in entrata che porta sangue da ossigenare e due vene polmonari che trasportano sangue ossigenato) e i bronchi, i nervi e i linfonodi. In questa zona la pleure crea una “forma a racchetta”, si ripiega su se stessa, si riflette. 4. Margini del polmone: anteriore (quello meno regolare, risente della presenza degli altri organi, è molto sottile), posteriore (margine più smusso) e inferiore (corrisponde alla base del polmone); 5. Facce del polmone: faccia costale (faccia più ampia del polmone, a contatto con le coste e posteriormente arriva fino alla colonna vertebrale, è larga e liscia), faccia mediastinica (contiene l’ilo e la radice del polmone e guarda il mediastino, presenta le maggiori impronte lasciate dal cuore, e dai grandi vasi quali l’aorta a sinistra e le Azygos a destra) e diaframmatica (a contatto con il diaframma). Anatomia dei polmoni: sono alloggiati nelle pleure e ogni polmone ha una serie di punti particolari (apice, base o faccia diaframmatica, ilo o faccia mediastinica, e tre facce e tre margini). Polmone di destra : è diviso in 3 tre lobi (superiore, medio e inferiore) che formano due scissure profonde, una orizzontale (o incisura interlobare secondaria) e una obliqua (o incisura interlobare principale) che passa per l’ilo del polmone. È fisicamente possibile inserire una mano all’interno delle scissure. Ogni lobo è avvolto singolarmente dalla pleura. Il lobo medio ha una forma di cuneo con un apice che guarda posteriormente. Il polmone è formato da un tessuto morbido, per cui le strutture circostanti lasciano dei solchi: nel polmone di destra si imprime la vena cava superiore e l’Azygos che drena la parete posteriore e si getta nella vena cava superiore. Un ulteriore solco è causato dall’esofago mentre a livello dell’ilo entrano nel polmone i bronchi, l’arteria polmonare, le vene polmonari, i linfonodi del sistema linfatico e i nervi. Polmone di sinistra : ha solo due lobi separati dalla scissura obliqua (decorre come quella del destro). Il lobo superiore presenta una profonda incisura cardiaca, che lascia il sacco pericardica scoperto dal polmone. Il margine antero inferiore termina con una propaggine chiamata lingula, che abbraccia il cuore. Dal ventricolo di sinistra fuoriesce l’aorta che lascia un’impronta sulla faccia mediastinica del polmone sinistro. Altre impronte sono lasciate dalla clavicola, dalla succlavia e dall’esofago. La funzione dei polmoni è quella di permettere la respirazione grazie alla struttura di conduzione dell’albero bronchiale. Sopra alla trachea si trova la cartilagine tiroidea e cricoidea (scheletro cartilagineo della laringe). La trachea si definisce una struttura armata, in quanto presenta delle strutture di cartilagine a forma di C (cartilagini tracheali connesse da legamenti anulari o intercartilaginei ). La prima porzione della trachea si sviluppa nel collo, poi continua a livello dell’apertura toracica superiore ed entra nel torace. Al livello delle vertebre toraciche T4 e T5 la trachea termina con una cartilagine particolare detta carena e si divide in due bronchi di destra e sinistra. Il bronco principale attraverso l’ilo entra nel polmone e si divide in: Due bronchi nel polmone sinistro, uno per ogni lobo; Tre bronchi nel polmone destro, uno per ogni lobo. L’ultimo anello della trachea si chiama carena, e presenta uno specifico sperone che sporge e permette la biforcazione della stessa nei due bronchi. Il bronco principale di destra è più largo e meno inclinato/angolato (un eventuale corpo estraneo si ricerca nel bronco di destra). A livello della carena sono contenuti nell’epitelio numerosi recettori sensitivi che ad esempio producono la tosse. Le cartilagini tracheali non sono ad anello completo ma ad unire i margini posteriori di questi anelli a forma di C c’è un tessuto muscolare detto muscolo tracheale. Non si tratta dunque di una struttura rigida bensì muscolare, per permettere la distensione dell’esofago. La cartilagine è rivestita di una sottile guaina di tessuto connettivo. Sezione trasversa della trachea (anatomia microscopica): all’interno del tubo della trachea si apre il lume attraverso cui passa l’aria. Il lume è delimitato da un semi anello di cartilagine i cui margini sono uniti dal muscolo tracheale. Il lume è rivestito da un epitelio particolare, l’epitelio respiratorio, ricco di ghiandole che riversano il loro secreto sull’epitelio, fasce nervose e fasce elastiche. Adesa all’epitelio della trachea vi è la muscolatura esofagea. Dalla divisione della trachea si formano due lobi primari da cui nascono poi nuove ramificazioni, ovvero i bronchi lobari o secondari (due a sinistra e tre a destra, uno per ogni lobo). I bronchi continuano poi a ramificarsi per raggiungere ogni zona specifica del polmone. Dai bronchi secondari si diramano i bronchi segmentari o terziari. Si creano dunque delle zone indipendenti, delle unità a se che hanno anche una propria irrorazione sanguigna. Si può distinguere in dieci segmenti bronco polmonari: i lobi polmonari sono dunque suddivisibili in aree funzionalmente indipendenti, ciascuna fornita di un bronco segmentario o terziario con i propri vasi polmonari. Questo risulta importante da un punto di vista clinico in quanto rende possibile la rimozione di un solo segmento (segmentectomia), un lobo (lobectomia, non altera la funzione del polmone) o un intero polmone (pneumonectomia). All’interno dei singoli segmenti i bronchi terziari continuano a dividersi, a ramificarsi. La continua suddivisione porta alla formazione dei bronchioli da cui nascono i bronchioli terminali. Tutto ciò è la parte di conduzione (dal naso fino ai bronchioli terminali si parla di un sistema di conduzione); dai bronchioli terminali si formano nuovi rami detti bronchioli respiratori, dove si può già verificare lo scambio. Già nei bronchi, man mano che si scende, la cartilagine si va riducendo, non sono più presenti dei semi anelli a forma di C ma questi vengono sostituiti da delle placchette cartilaginee. La depressione va diminuendo e l’armatura cartilaginea si riduce. Il passaggio al bronchiolo è caratterizzato dalla totale scomparsa della cartilagine. Si passa dunque da bronco a bronchiolo e da bronchiolo a bronchiolo terminale. Con la scomparsa della cartilagine, dopo il bronchiolo terminale aumenta invece la trama delle fibre elastiche e sulla parete compaiono delle fibre muscolari lisce disposte a spirale. Il passaggio da bronchiolo terminale a bronchiolo respiratorio è invece dovuto alla comparsa degli alveoli sulle pareti. Quando inizia il bronchiolo, dunque, sparisce la cartilagine, continua la componente muscolare e inizia la parte elastica. Al termine del bronchiolo respiratorio si diramano i condotti alveolari, che terminano con i sacchi alveolari composti da numerosi alveoli. L’insieme di strutture a partire dal bronchiolo terminale incluso (quindi bronchiolo terminale, respiratorio, condotto alveolare e sacco alveolare) va a costituire il lobulo polmonare: è l’unità strutturale autonoma più piccola, ventilato da un solo bronchiolo ed è circondato/delimitato da setti fibrosi di tessuto connettivo (setto interlobulare). È l’unità più piccola in cui si verifica la respirazione. Strutturalmente è simile ad un polmone in miniatura, presenta un rivestimento (guaina connettivale) e un ilo da cui entrano il bronchiolo e l’arteria intralobulari. Bronchiolo respiratorio, condotto alveolare e sacco alveolare formano invece l’acino polmonare. Si tratta di una serie di corridoi su cui si aprono gli alveoli: attraverso il condotto alveolare si apre il sacco alveolare che fa sa atrio finale. Al termine di questa ramificazione vi sono gli alveoli, delle cavità vuote in cui avviene infine lo scambio gassoso. 1. Trachea; 2. Bronco primario; 3. Bronco lobare (secondario); 4. Bronco segmentale (terziario); 5. Bronchiolo; 6. Bronchiolo terminale; 7. Bronchiolo respiratorio;; 8. Condotto alveolare; 9. Sacco alveolare; 10. Alveolo. Epitelio respiratorio: riveste la parte interiore delle vie aeree (in particolare cavità nasale, rinofaringe, laringe, trachea e grossi bronchi), si tratta di un epitelio cilindrico pseudostratificato ciliato, ricco di cellule mucose. Le cellule mucose sono anche dette caliciformi. Questo epitelio è pseudostratificato perché tutte le cellule toccano lo strato basale. Il lume delle vie aeree è rivestito da un sottile strato di muco: agisce come un film liquido sul sistema di conduzione e trattiene le sostanze estranee, purifica e riscalda l’aria. Le ciglia delle cellule ciliate dell’epitelio respiratorio battono, si muovono dal basso verso l’alto, spostando il tappeto di muco (se un batterio blocca il movimento delle ciglia aumenta la quantità di muco). Man mano che si scende lungo le ramificazioni dell’albero bronchiale la pressione dell’aria diminuisce e di conseguenza la parete delle vie aeree può perdere di robustezza (questo determina la progressiva scomparsa della cartilagine). Via via che si scende cambia dunque anche l’epitelio respiratorio: le cellule si abbassano e si riduce il diametro delle vie aeree. Si passa da un epitelio cilindrico ciliato ad un epitelio cubico. Scendendo l’aria è purificata, diminuisce la presenza delle cellule mucose caliciformi, scompaiono le cellule basali e compaiono le cellule NE (neuroendocrine) che secernono ormoni. Cambia l’organizzazione tra trachea e grossi bronchi e i bronchioli. A livello dei bronchioli compaiono le cellule di Clara o club cells, inserite tra le cellule ciliate che hanno la funzione di rendere più fluido il muco (secreto dalle cellule mucipare), per renderlo più facilmente allontanabile. Agiscono anche come cellule staminali: possono generare altre cellule. Al posto della cartilagine il rivestimento dei bronchioli è costituito da un anello di muscolatura liscia a spirale, che in base alla sua contrazione regola la quantità di aria che vi passa. Attorno alla struttura rotondeggiante degli alveoli si forma una fitta rete di capillari. I capillari sono vasi sanguigni costituiti da cellule sottili che formano uno strato unicellulare, si tratta di vasi con diametro piccolissimo. Per questo motivo il sangue scorre lentamente e l’ossigeno e la CO2 possono attraversare la parete dei capillari. Il sangue ossigenato negli alveoli entra poi nelle vene polmonari e ritorna all’atrio di sinistra del cuore. Alveolo: struttura globulare con cui termina l’albero bronchiale, attorno a cui si dispongono molti capillari. L’epitelio alveolare si differenzia ulteriormente dalle strutture polmonari precedenti: la parete è formata da un’unica cellula sottile detta pneumocita di I tipo che si distende intorno al proprio nucleo. Oltre a questa cellula sono presenti gli pneumociti di II tipo, cellule di tipo globoso con numerosi elementi dissolti nel citoplasma, che producono il surfattante, un tensioattivo (una sorta di sapone). Sulla sfera alveolare la tensione superficiale è talmente elevata che essa tenderebbe a chiudersi. Intorno all’alveolo ci sono le fibre elastiche: se non ci fosse il surfattante l’alveolo dopo il rilascio muscolare si chiuderebbero. Questo secreto si deposita dunque sulla superficie interna dell’alveolo e riduce la tensione superficiale. Il surfattante viene prodotto poco prima del parto, per permettere il funzionamento dei polmoni (la mancata produzione rappresenta un diffuso problema nei neonati nati prematuramente). Oltre ai due tipi di cellule risiedono nell’alveolo anche i macrofagi alveolari (parte del Cuore sistema immunitario). Intorno agli alveoli si crea la rete di capillari che permette lo scambio dei gas attraverso le pareti per gradiente. Vascolarizzazione del polmone: l’arteria polmonare si ramifica insieme ai bronchi, si riduce di calibro per formare la rete di capillari che riveste gli alveoli (la rete arteriosa polmonare trasporta sangue non ossigenato). Il ritorno di sangue ossigenato, gli eritrociti carichi di O2, avviene attraverso le vene polmonari. Le vene polmonari (due a sinistra e due a destra) entrano nel cuore e il sangue viene distribuito in tutti i distretti del corpo. Sistema RAAS (sistema della Renina-Angiotensina-Aldosterone) : gli pneumociti di II tipo non hanno la sola funzione di produrre surfattante ma fanno parte di un sistema regolatorio della pressione sanguigna e della funzione cardiovascolare che coinvolge i reni, fegato, polmone e surrene. È un meccanismo ormonale. Il fegato produce l’angiotensinogeno in forma inattiva. Quando diminuisce il livello di perfusione renale (diminuisce la concentrazione di sodio) e dunque si abbassa la pressione sanguigna, il rene rilascia la renina, che trasforma l’angiotensinogeno in ormone angiotensina I. L’angiotensina I viene ulteriormente attivata in angiotensina II dall'enzima di conversione dell'angiotensina, l'ACE (angiotensin-converting enzyme) presente nei capillari polmonari, acquisendo la propria forma attiva. In questa forma l’angiotensina II: 1. Influisce sul sistema simpatico; 2. Ripristina il riassorbimento tubulare di sodio e cloro, la secrezione di potassio e la ritenzione di acqua; 3. Stimola la neuroipofisi a produrre l’ormone antidiuretico (ADH) o vasopressina che favorisce il riassorbimento di acqua a livello renale; 4. Essendo un potente vasocostrittore provoca un restringimento dei vasi sanguigni, con conseguente aumento della pressione sanguigna a livelli normali. Il passaggio da forma passiva ad attiva avviene grazie all’ACE, prodotto a livello polmonare. L’ACE 1 (presente nelle cellule endoteliali del polmone, permette la vasocostrizione) e l’ACE 2 (localizzata nei pneumociti di II tipo che producono surfattante e inattiva l’angiotensina II con effetti opposti) sono enzimi di membrana che mantengono una situazione di omeostasi. Il Virus COVID 19 è in grado di riconoscere l’enzima ACE 2 (enzima transmembrana), usandolo come il recettore d’entrata nella cellula ospite. In questo modo si lega agli pneumociti di II tipo aumentando l’attività dell’ACE 2: l’angiotensina viene riportata nella sua forma non attiva, ciò alterando l’equilibrio e causa il collasso delle cellule polmonari (aumenta la permeabilità dei vasi polmonari e innesca un processo infiammatorio). Vascolarizzazione: il polmone, come il fegato, è un organo a doppia circolazione: Una “a servizio” o vas publicum per l'ossigenazione di tutto il corpo - arteria polmonare; Una “riservata” o vas privatum per l’ossigenazione dell’organo stesso - rami bronchiali. Si parla quindi di doppia circolazione, una circolazione polmonare e una circolazione bronchiale. La vascolarizzazione dei bronchi parte dall’aorta toracica da cui si diramano le arterie intercostali posteriori che danno rami per il bronco e le arterie bronchiali che partono direttamente dall’aorta e si portano sulla faccia posteriore dei bronchi principali e ne seguono poi la ramificazione. Il sistema di recupero o ritorno venoso è effettuato dalle vene bronchiali che confluiscono nel sistema delle Azygos in direzione della vena cava superiore (lascia una profonda impronta sul polmone di destra). Schema riassuntivo della vascolarizzazione dei polmoni: Sistema linfatico: raccoglie la parte liquida del sangue che rimane negli interstizi. È costituito dai vasi linfatici che formano i linfonodi. È presente una fitta rete al di sotto della pleure che si muove nella parenchima polmonare, mentre i principali linfonodi sono situati nell’ilo del polmone. La linfa deve essere rinnovata nei linfonodi (avviene un controllo immunologico) e finisce nell'angolo venoso tra succlavia e giugulare, per essere riportata in circolo e mantenere costante la volemia: torna nell’atrio di destra tramite la vena cava superiore. La linfa viene raccolta dai linfonodi sotto l’ilo, portata in alto contro gravità attraverso il tronco mediastinico sinistro e destro e raggiunge l’angolo venoso. Il movimento della linfa (o drenaggio linfatico) è fondamentale in caso di presenza di un tumore, in quanto le cellule tumorali metastatizzano attraverso la linfa. Sistema nervoso autonomo: nell’albero bronchiale sono presenti fibre muscolature lisce. Contrazione della muscolatura liscia (forma i vasi) dipende dal controllo del sistema nervoso autonomo (SNA). Responsabile del controllo e innervazione dei visceri, e secrezione ghiandolare per mantenere l’omeostasi. Simpatico: “combatti, sii reattivo” Parasimpatico: “riposati e assimila, digerisci” Risponde alle sollecitazioni esterne. SNA (sistema nervoso autonomo): è responsabile dell’innervazione e il controllo dei visceri, della muscolatura liscia e della secrezione ghiandolare per mantenere l’omeostasi e rispondere alle sollecitazioni esterne (attività simpatica di riposo e attività parasimpatica di azione). È costituito dalla sequenza di due tipi di neuroni messi in sequenza. Il primo neurone viene detto neurone pregangliare mentre il secondo è definito neurone postgangliare. Solo i primi neuroni pregangliari sono dotati di guaina mielinica. La sequenza è così composta: corpo cellulare del primo neurone situato nel midollo spinale o nell’encefalo - assone - terminazione o ganglio simpatico/parasimpatico - corpo cellulare del secondo neurone. I due sistemi autonomi, simpatico e parasimpatico, presentano la stessa struttura e la medesima sequenza, ma i due neuroni hanno lunghezza diversa. Nel sistema simpatico è più lungo il secondo neurone, nel sistema parasimpatico è più lungo il primo neurone. In entrambi i sistemi, a livello del ganglio, il neurotrasmettitore è l’acetilcolina (neurone colinergico). A livello del secondo neurone, che termina nell’organo bersaglio, il neurotrasmettitore è diverso: 1. Nel sistema simpatico il secondo neurone (o neurone postgangliare) utilizza la noradrenalina che detta norepinefrina (neurone adrenergico); 2. Nel sistema parasimpatico il neurotrasmettitore rimane l’acetilcolina. Il sistema di innervazione dei bronchi dipende dal sistema nervoso autonomo, sia da quello simpatico che da quello parasimpatico. Il sistema simpatico è presente nel midollo toracico da C8 a L4, che contiene i corpi cellulari dei primi neuroni simpatici: il primo neurone ha la testa inserita nel midollo spinale, mentre il secondo neurone è dotato di un assone lungo con cui deve raggiungere i vari target. I punti di congiunzione tra i due neuroni formano una colonna di gangli (catena gangliare paravertebrale e preaortica simpatica). Il sistema simpatico crea così due catene gangliari ai lati della colonna vertebrale: si tratta del tronco simpatico. I neuroni del simpatico, dunque, proiettano alla catena gangliare simpatica. Il parasimpatico ha invece una distribuzione diversa: si localizza infatti nel tronco cerebrale e nel midollo sacrale. Il primo neurone ha un assone molto lungo: ad esempio il nervo vago (decimo nervo cranico) che nasce nel tronco encefalico e si ramifica, erra nel corpo e arriva fino alla flessura colica destra del colon. La parte inferiore del corpo umano, al di sotto del sistema digerente, è sotto controllo di nervi che nascono nell’area sacrale, cioè la testa dei primi neuroni è localizzata nel midollo spinale associato alla porzione sacrale. Dai grossi gangli parasimpatici localizzati davanti all’aorta addominale partono i secondi neuroni, localizzati addosso ai visceri della cavità addominale pelvica. I neuroni del parasimpatico proiettano direttamente verso i gangli posti vicino ai visceri. L’albero bronchiale è innervato da entrambi i sistemi: 1. Le stimolazioni simpatiche provengono dal plesso polmonare, ovvero il fascio di neuroni postgangliari che partono dai grossi gangli toracici II-V; 2. Le stimolazioni parasimpatiche provengono dai rami bronchiali del nervo vago, che parte dal tronco encefalico e si porta, attraverso il foro giugulare, verso il basso nel torace e nell'addome. Il sistema nervoso autonomo controlla e determina sia le azioni motorie (quantità di aria nelle vie aeree, costrizione o dilatazione) e secretive (secrezione del muco), sia in senso opposto trasporta la sensibilità dalla mucosa e dalla muscolatura bronchiale (stiramento di un muscolo, presenza di un corpo estraneo). Via efferente (in uscita): via motoria e secretiva. Via afferente (in entrata): via sensitiva. Le fibre simpatiche svolgono le funzioni di: 1. Broncodilatatori (muscolatura liscia dell’albero bronchiale); 2. Vasocostrittori (muscolatura liscia dei vasi polmonari); 3. Inibitori della secrezione bronchiale (azione sulle ghiandole bronchiali). Le fibre parasimpatiche del nervo vago svolgono funzioni: 1. Motorie: di broncocostrizione, vasodilatazione e secrezione; 2. Sensitive: dall’epitelio respiratorio. Dal momento che la funzione più rilevante del sistema respiratorio è quella di rifornire i tessuti di ossigeno e di eliminare l’anidride carbonica, il controllo degli atti respiratori dipende dai livelli di questi due elementi che vengono costantemente monitorati da specifici chemocettori. I chemocettori si suddividono in periferici e centrali e hanno il compito di monitorare la qualità dell’aria e i livelli di CO2 e O2, per poi inviare le informazioni ai centri respiratori localizzati nel tronco cerebrale, che a loro volta controllano la contrazione del diaframma e dei muscoli intercostali. Se il glomo aortico e il glomo carotideo rilevano un’aumentata o diminuita pressione di CO2 o di O2 o di pH, rilasciano degli neurotrasmettitori che vengono veicolati dai nervi (glossofaringeo N.IX e vago N.X) verso i gangli a livello del tronco encefalico fino ai due importanti centri respiratori del ritmo che controllano l’atto respiratorio: centro di espirazione e centro di inspirazione. Questi centri attivano dei motoneuroni che vanno ad aumentare o diminuire la frequenza respiratoria. Se ad esempio aumenta l’acidosi (il pH si abbassa), aumenta la pressione parziale di anidride carbonica e diminuisce il livello di ossigeno (ipossia). In questo caso è necessario aumentare l’ossigeno introdotto dell’organismo: viene stimolato il centro dell’inspirazione che determina l’ aumento della contrazione del diaframma e dei muscoli intercostali, per ripristinare i livelli ottimali. I sensori sono distribuiti in punti strategici. L’attività dei centri di regolazione del ritmo è modulata dai centri apneustico e pneumotassico del ponte di Varolio, situati nel tronco encefalico. Questi regolano la frequenza e la profondità del respiro in risposta a stimoli provenienti da altri centri cerebrali. I centri respiratori del ritmo stabiliscono il ritmo respiratorio: GRD (gruppo respiratorio dorsale o nucleo solitario inspirazione): è attivo ad ogni ciclo respiratorio ed è responsabile dell’inspirazione, i neuroni presenti in questo gruppo sono attivi ma restano silenti per circa 3 secondi, durante i quali avviene il ritorno elastico del polmone e del torace che determina l'espirazione; GRV (gruppo respiratorio ventrale o nucleo ambiguo): i neuroni di questo gruppo restano inattivi, si attivano solo durante la respirazione forzata. Durante la respirazione normale il ciclo prevede l’attivazione del GRD, la contrazione dei muscoli inspiratori con conseguente inspirazione (2 secondi), l’inibizione del GRD, il rilassamento dei muscoli e l‘espirazione che avviene passivamente (3 secondi). Solo in caso di problema si attiva il GRV. GHIANDOLA MAMMARIA È una struttura ghiandolare, presente sulla superficie del torace. Nel maschio rimane allo stadio rudimentale mentre si sviluppa nella femmina, è una caratteristica sessuale secondaria. È una struttura ghiandolare immersa in un tessuto fibroadiposo posta sopra alla parete toracica ai lati dello sterno. Durante la pubertà si sviluppa mentre in periodo prepuberale si vede solo il capezzolo senza rilevamenti. Il processo di sviluppo si chiama telarca, è un processo ormono- dipendente. Il capezzolo o bottone mammario o gemma mammaria è visibile sin dalla nascita. La zona pigmentata circolare intorno al capezzolo, detta areola, cresce e si sviluppa, insieme alla crescita dell’adipe. L’areola è la zona con maggior quantità di melanociti e quindi è maggiormente pigmentata. All’interno anche la ghiandola va proliferando. Si tratta di un processo evidente, la mammella acquisisce una sua dimensione. La ghiandola mammaria ha una struttura rotondeggiante e si trova a livello della 2-3 costa fino alla 4 costa. È una ghiandola di tipo esocrino tubulo alveolare formata da lobi (grappoli) costituiti da lobuli che a loro volta, nella ghiandola matura post gravidanza e pronta ad allattamento, sono formati dagli acini, responsabili della produzione di latte. Durante il periodo dell’allattamento vengono usati i dotti lattiferi che conducono dal lobo al capezzolo. I dotti sono a fondo cieco, rivestiti da un epitelio a cellule cuboidali con funzione secretoria rivestite dalle cellule mioepiteliali che presentano filamenti di actina e miosina, hanno dunque la capacità di contrarsi. In una donna che non ha mai partorito e dunque non allatta, definita nullipara, i lobuli non secernono nessun secreto. Nel momento dell’allattamento, il dotto si allarga e le cellule cuboidali rilasciando una secrezione merocrina (il secreto viene riversato all’esterno a differenza di ghiandole olocrine o apocrine) attraverso un processo di esocitosi per cui la cellula espelle il latte che poi segue il percorso dei dotti e viene espulso infine dal capezzolo. I dotti lattiferi, prima di aprirsi nel capezzolo, presentano uno slargamento dove si raccoglie il latte: si tratta del seno lattifero. La ghiandola subisce, durante lo sviluppo di una donna, una serie di modificazioni ormonali: durante la pubertà gli estrogeni ovarici portano allo sviluppo canalicolare; durante la gravidanza l’aumento di estrogeni e progesterone rilasciato dal corpo luteo e dalla placenta determinano lo sviluppo dei canalicoli e dei tubuli; dopo il parto l’ormone prolattina prodotto dall’adenoipofisi determina la montata lattea (lattogenesi) e successivamente il mantenimento della secrezione lattea. L’espulsione del latte è invece regolata dall’ossitocina (prodotta dall’ipotalamo e secreta dalla neuroipofisi). Il meccanismo della suzione induce la produzione dell’ossitocina che permette l’espulsione del latte agendo sulle cellule mammarie e determinandone la spremitura che facilita l’allattamento. La ghiandola mammaria poggia sopra alla parete toracica, estesa verticalmente dalla seconda fino alla sesta costa e sporge in superficie. È posta al di sopra del muscolo grande pettorale e lateralmente si estende mediamente dallo sterno fino alla cavità ascellare. La ghiandola si trova sulla fascia profonda che ricopre il grande pettorale, mentre la zona infero laterale poggia sul dentato anteriore o serrato. Tra la fascia del muscolo e la ghiandola si viene a creare uno spazio sottomammario che permette un certo grado di movimento. Sulla superficie, la ghiandola è posta subito al di sotto della cute: tra la cute e la fascia profonda del grande pettorale (si tratta dei due confini della ghiandola mammaria) sono sospesi dei setti (retinacula cutis) formati da tessuto connettivo detti anche legamenti sospensori di Cooper, che suddividono la ghiandola in lobi e lobuli e la sostengono. Lo spazio circostante è tutto occupato da tessuto adiposo. Il capezzolo è situato a livello del quarto spazio intercostale ed è posto al centro della struttura circolare maggiormente pigmentata detta areola da cui sporge. La colorazione scura aiuta il neonato al riconoscimento visivo: è determinata dalla presenza di due pigmenti specifici: la eumelanina (colore più bruno) e la feomelanina (colore più rosaceo). La colorazione dell’areola è soggetta a cambiamenti durante il ciclo mestruale a causa delle variazioni ormonali; durante la gravidanza l’areola diventa più scura e aumenta di dimensioni e di volume. All’interno del capezzolo si aprono singolarmente i dotti lattiferi e sono presenti numerose ghiandole sudoripare e sebacee che producono sostanza oleosa per idratare il capezzolo stesso. Mammelle soprannumerarie (politelia): presenza di numerosi capezzoli che si sviluppano sulla linea mammaria (che parte dalla cavità ascellare e arriva a quella inguinale), linea lungo la quale nell’embrione dei mammiferi si sviluppano le mammelle. Durante il 50° giorno le gemme subiscono un’involuzione ma può accadere che il processo non si completi. Vascolarizzazione della mammella: dall’arteria toracica interna nascono dei rami perforanti che vanno a vascolarizzate la ghiandola, mentre la parte laterale è vascolarizzata dai rami dell’arteria toracica laterale, ramo dell’arteria ascellare (è la succlavia che cambia nome). Ulteriori rami nascono dalle arterie intercostali anteriori. Il ritorno venoso segue il decorso delle arterie in senso opposto: il sangue proveniente dai quadranti mediali defluisce nella vena toracica interna mentre lateralmente il sangue viene raccolto nelle vene toraciche laterali che terminano nell’ascellare, si uniscono con la succlavia e formano il tronco brachiocefalico. Drenaggio linfatico della ghiandola mammaria: (è il motivo del carcinoma del seno, il tumore più diffuso nelle donne, in quanto le cellule tumorali diffondono attraverso la via linfatica). Presenta lo stesso decorso delle vene. La linfa della ghiandola mammaria drena in 6 gruppi di linfonodi, di cui la maggior parte confluisce nei cinque gruppi di linfonodi ascellari e la parte restante nel gruppo parasternale. I cinque gruppi ascellari si distinguono in: 1. Linfonodo ascellare (pettorale) anteriore; 2. Linfonodo ascellare (sottoscapolare) posteriore; 3. Linfonodo ascellare (omerale) laterale; 4. Linfonodo ascellare centrale; 5. Linfonodo ascellare (sottoclavicolare) apicale. La linfa si muove attraverso questi gruppi fino ai linfonodi centrali e infine ai linfonodi apicali, per poi confluire nel canale cervico ascellare che segue la vena succlavia fino ai linfonodi sopraclavicolari da cui va a finire nell’angolo venoso (tra succlavia e giugulare interna) e si getta nel sangue venoso. Procedura del linfonodo sentinella: rende possibile l’intervento al carcinoma della mammella. Viene iniettata una sostanza colorata o radioattiva nel tessuto mammario attorno alla sede del tumore per tracciare il movimento della linfa, in modo da trovare il primo linfonodo a cui arriva la linfa che parte della regione tumorale: tale linfonodo viene definito “sentinella”, viene rimosso e se non presenta cellule tumorali allora si può mantenere tutta la cavità ascellare. In caso contrario, in presenza di metastasi, la cavbità ascellare e i linfonodi devono essere rimossi. La rimozione della porzione ascellare può causare un linfedema, ostruzione linfatica dovuta alla difficoltà di drenaggio linfatico nell’arto superiore. Per convenzione la mammella viene divisa in quadranti per poter indicare le zone più colpite da carcinoma. Allattamento: non si tratta di suzione forzata ma di un riflesso mediato da ormoni. Il pianto del bambino innesca a livello ipotalamico (SNC, Sistema nervoso centrale) la produzione di prolattina (PRL) da parte dell’adenoipofisi. La prolattina agisce sulla ghiandola mammaria stimolando la lattogenesi. Contemporaneamente, grazie alla presenza attorno al capezzolo di strutture muscolari disposte in maniera circolare, per cui avviene uno stimolo meccanico che arriva dal SNC attraverso una via sensitiva, e porta alla produzione dell’ossitocina, prodotta dall’ipotalamo e secreta dalla neuroipofisi. Questo ormone agisce sulle cellule muscolari lisce, ne determina la contrazione e favorisce la fuoriuscita del latte: l’allattamento è un riflesso. La suzione del neonato stimola inoltre i meccanorecettori presenti sulla mammella. Sulla superficie della ghiandola mammaria si trovano inoltre i recettori ormonali (ER) e la proteina HER2. Ha una grande importanza clinica l’identificazione di questi recettori nelle cellule tumorali. La positività per i recettori ormonali permette maggiori terapie (i recettori ormonali vengono utilizzati in specifiche terapie come la somministrazione del tamoxifene per inibire il recettore degli estrogeni, sono bersagli di terapia), la loro assenza ha prognosi più infausta. CUORE E SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO Il sistema cardiocircolatorio comprende il cuore, che rappresenta la pompa che imprime al sangue una pressione tale da farlo circolare in un sistema di tubazioni (vene e arterie) che distribuiscono il sangue in tutti i distretti del corpo, assicurando il rifornimento di ossigeno e l’eliminazione di anidride carbonica. Il cuore è suddiviso in una parte destra e una parte sinistra ed è collegato a due distinti sistemi di “tubature”, ovvero la grande e la piccola circolazione. Piccola circolazione o circolazione polmonare : il sangue, depositato l’ossigeno nel corpo, entra nell’atrio destro del cuore carico di anidride carbonica CO2 che ha accumulato nei distretti del corpo. Il ritorno alla parte destra del cuore avviene sia dalla parte alta del corpo (attraverso la vena cava superiore) sia dalla parte bassa (attraverso la vena cava inferiore). Dal ventricolo destro esce il sangue non ossigenato attraverso l’arteria polmonare che entra nell’ilo del polmone. All’interno dei polmoni il sangue viene ossigenato a livello dei ventricoli nei capillari polmonari e poi rientra, attraverso la vena polmonare, nell’atrio sinistro. Infine, dal ventricolo sinistro prende la via dell’aorta. Il sistema di vasi nei distretti del corpo si ramifica fino a formare la rete capillare (ad esempio a livello della testa, dei polmoni e degli arti superiori e inferiori). Le grosse arterie terminano con le arteriole, il sangue passa nella rete capillare e si riversa, scaricato di ossigeno e ricco di CO2, nella venula. Grande circolazione o circolazione sistemica : il sangue esce dal ventricolo di sinistra e scorre nell’arco dell’aorta, vaso che successivamente prende il nome di aorta discendente o aorta toracica. Questa attraversa il diaframma e diventa aorta addominale, poi arriva al livello di L4 e si divide nelle arterie iliache comuni. L’arteria iliaca comune si divide a sua volta in arteria iliaca esterna (che va a vascolarizzare l’arto inferiore) e interna (che porta il sangue ossigenato alla cavità pelvica). In alto, invece, dall’arco dell’aorta nasce a sinistra l’arteria carotide che vascolarizza il capo: si suddivide in arteria carotide esterna che va a vascolarizzare la faccia, e interna che sale verso l’encefalo. Dall’aorta nasce infine l'arteria succlavia, che si ramifica per vascolarizzare il torace e le vertebre, poi continua nell’ascella e nell'arto superiore. Il ritorno venoso avviene attraverso le vene cave (superiore e inferiore). CUORE È un organo situato nella cavità mediastinica o pericardica, compresa tra le due cavità polmonari. La cavità mediastinica si suddivide (sempre grazie al piano toracico transverso che passa nell’angolo sternale tra corpo e manubrio dello sterno) in : Mediastino superiore; Mediastino inferiore, a sua volta suddiviso in: o Mediastino infero-medio (dove si trova il cuore); o Mediastino anteriore; o Mediastino posteriore. Il cuore è il viscere più rilevante del mediastino inferiore/medio. Anteriormente al cuore si trova il timo, posto a metà tra mediastino superiore ed infero anteriore (la funzione è quella di fare un controllo immunologico). La trachea è interamente compresa nel mediastino superiore, insieme ai grossi vasi che escono dal cuore. Nel mediastino inferiore, invece, i visceri rilevanti sono l’aorta e l’esofago. Come il polmone è avvolto dalla pleure, così il cuore è avvolto dal pericardio fibroso (esterno) e sieroso : questo rivestimento è omologo della pleure, in quanto è formato da due strati di cui uno è adeso alla parete esterna (pericardio fibroso) mentre l’altro è adeso all’organo cardiaco (pericardio sieroso). Pericardio fibroso : è un sacco fibroso con un’unica parete che si salda al diaframma e all’avventizia (strato più esterno) dei grandi vasi che entrano ed escono dal cuore. È una struttura di tessuto connettivo. Sostiene il cuore e non permette un afflusso eccessivo di sangue. Pericardio sieroso : è un sacco fibroso a doppia parete formato da due foglietti o lamine, uno parietale che si salda al pericardio fibroso e uno viscerale, rivolto verso il muscolo cardiaco. Il pericardio sieroso si flette in corrispondenza dell’entrata dei vasi sanguigni. La lamina viscerale prende anche il nome di epicardio. Tra i due foglietti di pericardio sieroso si viene a creare la cavità pericardica, in cui è presente un sottile film liquido che permette il battito del muscolo cardiaco. La parete cardiaca è suddivisibile in tre strati: endocardio, miocardio, epicardio (pericardio sieroso viscerale). L’endocardio è un endotelio sorretto da tessuto connettivo areolare e riveste internamente le cavità cardiache. Il miocardio è formato da tessuto muscolare liscio (mancano i sincizi del tessuto muscolare striato, ovvero gli ampi dischi intercalari). Questo ampio strato muscolare è sviluppato soprattutto nel ventricolo. L’epicardio è infine un sottile strato di cellule che poggia su tessuto connettivo e si identifica nel pericardio sieroso viscerale. Segue poi la cavità pericardica, il pericardio sieroso parietale e il pericardio fibroso. Dietro al tronco parietale e dietro l’aorta si formano dei recessi anche in stretto rapporto con l’esofago. Questi recessi, che si formano nella zona di riflessione tra il foglietto parietale su quello viscerale, prendono il nome di seni pericardici. Sono due: Seno pericardico obliquo; Seno pericardico trasverso (di rilevanza clinica in cardiochirurgia). Se accade un versamento di sangue nella cavità pericardica, il pericardio fibroso trattiene il sangue. Per eliminare questo versamento si questue un tamponamento cardiaco. Generalità macroscopica del cuore Il cuore è spostato due terzi più a sinistra rispetto alla linea media. Nella gabbia toracica non si trova in una posizione frontale, ma è diretto verso sinistra e verso l’alto. A guardarlo frontalmente ci si trova davanti il ventricolo destro. La parte posteriore del cuore, rappresentata dall’atrio di sinistra, viene definita base. Il cuore ha una forma grossolanamente conica e i suoi lati si distinguono in: Una base (aspetto posteriore) data dall’atrio sinistro; Un apice (punta inferolaterale) dato dalla parte terminale del ventricolo di sinistra; Tre facce: faccia sternocostale, faccia diaframmatica e faccia polmonare (le facce polmonari sono due, una per ogni polmone ma quella di sinistra è più ampia); Quattro margini: destro, inferiore, sinistro e superiore; Un solco atrioventricolare o coronario (vi passano le arterie coronarie di destra e di sinsitra, contiene il seno coronario e divide gli atri dai ventricoli); Un solco interventricolare (che divide i due ventricoli). Il cuore pesa circa 250-300 g e il suo diametro è di circa 8 cm. Seno coronario: sistema di raccolta venoso collocato sul solco atrioventricolare. Auricola sinistra: estroflessione dell’atrio sinistro. Faccia anteriore: costituita da atrio e ventricolo destro, poco del ventricolo sinistro e il suo apice, auricola sinistra, aorta ascendente, vena cava superiore, tronco polmonare; Faccia inferiore diaframmatica: costituita dai due ventricoli, maggiormente quello di sinistra, è orizzontale e leggermente concava; Faccia polmonare (sinistra): è formata principalmente dal ventricolo di sinistra che si pone nell’incisura cardiaca del polmone di sinistra e termina sulla lingula del polmone; Base: è diretta verso la spalla di destra, formata principalmente dall’atrio di sinistra con un piccolo contributo dell’atrio di destra. Ha la forma di un quadrilatero da cui emergono i grossi vasi. È separata dalla faccia diaframmatica dal solco coronario; Apice: è smusso, diretto inferolateralmente. Nell’adulto si trova dietro al 5° spazio intercostale di sinistra e a 5-9 cm dal piano mediano. È formato dal ventricolo sinistro; Margini: margini dell’area cardiaca: o Destro: formato dall’atrio destro ed è leggermente convesso, va dalla 3° alla 6° cartilagine costale a circa 2-3 cm dal piano mediano; o Inferiore o acuto: formato dal ventricolo destro e una piccola parte del sinistro, è orizzontale a livello dal 5° spazio intercostale; o Sinistro o ottuso: formato dal ventricolo di sinistra e una piccola parte dell’auricola; o Superiore: incontra le due auricole e i grossi vasi che entrano ed escono dall’organo. Atrio di destra : è l’atrio in cui arriva il sangue non ossigenato attraverso le due vene cave (superiore e inferiore). Presenta una parte più liscia una e una più rugosa e spessa, separate dal solco terminale (si tratta di una separazione macroscopica). Andando a incidere lungo questo solco, si scopre come internamente questo solco corrisponda alla cresta terminale. La cresta terminale segna internamente il passaggio tra una parete liscia e una parete rugosa e irregolare. L’irregolarità della porzione di parete ruvida dell’atrio di destra è data dalla presenza dei muscoli pettinati. Il solco dunque divide due regioni: la regione posteriore e la regione posteromediale o settale. Il setto interatriale è la parete che divide l’atrio destro da quello sinistro (vi è poi il setto interventricolare); questa parete non è omogenea ma presenta una fossa ovale (un’impronta di forma ovale). All’entrata della cava inferiore si crea un ulteriore foro dotato di valvola (valvola della vena cava inferiore o valvola dell’Eustachio). Accanto all’apertura della vena cava inferiore si trova un’ulteriore valvola, ovvero la valvola del seno coronario (o del Tebesio). A separare l’atrio destro dal ventricolo destro si trova la valvola atrio-ventricolare, formata da tra cuspidi, e quindi detta valvola tricuspide. È presente poi un’estroflessione, una propaggine che funge da ampliamento dell’atrio: si tratta dell’auricola. La regione posteriore dell’atrio è liscia per facilitare l’entrata del sangue (da sopra attraverso la vena cava superiore e da sotto attraverso la vena cava inferiore). Il moto vorticoso del sangue è poi attutito dalla superficie irregolare della regione posteromediale. L’atrio è poi chiuso dalla regione settale, ovvero quella sul setto interatriale. La fossa ovale è ciò che rimane rimane dallo sviluppo embrionale: in origine era un foro che permetteva il passaggio del sangue da destra a sinistra, poi chiusosi al momento della nascita. Il sangue da ossigenare che entra dalle vene cave viene accolto nell’atrio destro e successivamente viene inviato, attraverso la valvola tricuspide, al ventricolo di destra. La valvola tricuspide è chiamata cos’è poiché è formata da tre lembi, è la valvola atrioventricolare che mette in comunicazione atrio di destra e ventricolo di destra. Ventricolo di destra : si raggiunge dall’atrio di destra attraverso la valvola tricuspide. La porzione anteriore della parete è irregolare: il tessuto muscolare è disposto in trabecole carnee da cui sporgono i muscoli papillari. Si tratta di piccole papille muscolari sporgenti. I muscoli papillari sono divisi in tre gruppi: 1. Muscolo papillare medio o settale (sporge dal setto interventricolare); 2. Muscolo papillare posteriore; 3. Muscolo papillare anteriore (sporge dalla parete anteriore). Da queste strutture muscolari contrattili si tendono delle corde tendinee che fissano il margine libero di ciascuna cuspide al muscolo papillare. La valvola tricuspide è infatti costituita da: 1. Cuspide anteriore; 2. Cuspide mediale o settale; 3. Cuspide posteriore. Trabecola setto-marginale : è una spessa banda di miocardio che si stacca dal setto interventricolare e si porta verso il muscolo papillare anteriore. È una struttura a ponte in cui passa il sistema di conduzione cardiaco (fascio moderatore) in cui passano gli impulsi elettrici rilasciati dal nodo atrio-ventricolare. La faccia anteriore del ventricolo destro è irregolare per la presenza delle trabecole carnee che si staccano dalla parete. Il sangue entra nel ventricolo attraverso la valvola tricuspide, si muove verso il basso e risale verso un’altra valvola posizionata all’uscita dal ventricolo destro, che fa confluire il sangue verso il tronco arterioso polmonare che poi si divide in arteria polmonare di destra e sinistra e prende la via del piccolo circolo (caratterizzato da una pressione minore rispetto a quella del grande circolo, questo si ripercuote sullo spessore del ventricolo). La valvola attraverso cui il sangue entra nell’arteria polmonare è la valvola semilunare polmonare. È una valvola particolare, formata da tre “coppette” da cui prende il nome (cuspide semilunare anteriore, destra e sinistra). La struttura a imbuto di questa valvola prende il nome di infundibulum o cono arterioso. La parete liscia del setto interventricolare facilita il flusso del sangue verso la valvola polmonare. Il sangue entra dalla vena cava nell’atrio e si raccoglie poi nel ventricolo. Quando il ventricolo si contrae (momento della SISTOLE) la valvola si apre per la pressione esercitata sulle sue cuspidi semilunari, e il sangue fluisce nell’arteria polmonare. Atrio di sinistra : vi entrano le vene polmonari di destra e di sinistra, nate a livello dell’ilo del polmone, che portano sangue ossigenato. Il sangue poi passa nel ventricolo sinistro da cui prende la strada del grande circolo per essere inviato in tutto il corpo. A collegare l’atrio di sinistra al ventricolo di sinistra è la valvola atrioventricolare chiamata valvola bicuspide o valvola mitrale (poiché ricorda il copricapo vescovile). Tra i due atri è interposto il setto interatriale caratterizzato dalla fossa ovale (valvola del forame ovale), che rimane dall’originale foro embrionale. Anche l’atrio di sinistra è caratterizzato dall’auricola sinistra, una piccola estroflessione. La superficie a livello del setto è abbastanza liscia per favorire il flusso del sangue. Ventricolo di sinistra : attraverso la valvola bicuspide o mitrale il sangue ossigenato proveniente dall’atrio destro entra nel ventricolo di sinistra. I due cuspidi della valvola sono ancorati ai muscoli papillari tramite le corde tendinee, ancorate sulle trabecole carnee. Come nel caso della valvola tricuspide, si tratta di una struttura contrattile muscolare. Al lembo anteriore della valvola è ancorato il muscolo papillare anteriore mentre al lembo posteriore il muscolo papillare posteriore. La parete muscolare del ventricolo destro è sottile, invece quella del ventricolo di sinistra è molto più spessa: questo perché la pressione del sangue in uscita dal ventricolo sinistro, che deve entrare nel grande circolo, è maggiore, in quanto deve avere la spinta necessaria per arrivare a tutto il corpo. In uscita dal ventricolo sinistro è presente la valvola semilunare o valvola aortica. La valvola semilunare aortica è formata da tre “coppette” o cuspidi, dotate di forellini. Ventricolo a confronto : il ventricolo sinistro presenta una parete muscolare molto più ampia e spessa, tale da sopportare l’alta pressione del sangue in uscita. Il cuore presenta due tipologie di valvole con forma e meccanismo di movimento diversi. Le valvole cardiache sono: Atrio ventricolari : Tricuspide a destra e Bicuspide a sinistra; Semilunari (a uscita del ventricolo) : Polmonare a destra e Aortica a sinistra. L’apertura e la chiusura delle valvole è regolata solo ed esclusivamente dalla pressione. Il battito cardiaco presuppone una contrazione e una rotazione del cuore per favorire la fuoriuscita del sangue. Il flusso cardiaco è un vero e proprio “gioco di pressioni”. Papille e corde tendinee: quando i muscoli papillari si contraggono, le corde tendinee vengono tirate e con esse si muovono anche i lembi delle valvole a cui sono ancorati. Ciò porta alla chiusura delle valvole atrio- ventricolari e dunque dell’ostruzione del passaggio tra atrio e ventricolo. Le corde tendinee non sono fissate direttamente alla parete del ventricolo, ma partono dalle papille dei muscoli papillari. Questo per il fatto che le corde tendinee non sono distensibili: si tratta di una struttura rigida. Al contrario, le papille sono muscolari e quindi sono contrattili. Sistole : contrazione; Diastole : fase di riposo. Con la contrazione delle papille aumenta la pressione, per cui il sangue è spinto sia verso l’alto (ritorno all’atrio) sia verso i grossi vasi. Durante la sistole ventricolare l’impulso determina la contrazione dei muscoli papillari, per cui anche le corde tendinee vanno in tensione. Il sangue viene compresso nel ventricolo e cerca di uscire ritornando verso l’alto, ma le corde tendinee sono fissate ai lembi liberi delle cuspidi e con la contrazione delle papille richiudono le valvole atrio-ventricolari. La pressione del sangue dunque determina l’apertura della valvola semilunare. Per questo motivo le corde tendinee rigide non sono direttamente ancorate alla parete muscolare: il movimento sarebbe limitato, il muscolo non avrebbe la facoltà di regolare la lunghezza della corda (ad esempio sotto sforzo quando la contrazione deve essere maggiore). I muscoli papillari, invece, si possono contrarre di più o di meno, ed è possibile regolarli. È la funzione che determina la struttura. Alla sistole dei ventricoli corrisponde la diastole degli atri e viceversa. Dopo che l’atrio ha raccolto il sangue dalle vene cave/polmonari, si contrae e spinge il sangue nel ventricolo che sta in diastole, attraverso le valvole Tricuspide e Bicuspide atrio-ventricolari. Quando termina il riempimento del ventricolo, l’atrio passa in fase di riposo mentre avviene la contrazione del ventricolo: per primi si contraggono i muscoli papillari, le corde si mettono in tensione, i lembi della valvola si uniscono, la valvola si chiude e il sangue viene spinto attraverso le valvole semilunari. La contrazione del ventricolo determina l’apertura della valvola semilunare: le “coppette” vengono spinte verso le pareti del tronco polmonare o dell’aorta. In questo modo crolla la pressione e il sangue appena uscito (i vasi polmonari e l’aorta sono estremamente elastici) tenderebbe a ritornare indietro. Questo ritorno è tuttavia impedito dalla forma particolare delle valvole semilunari, composte da varie cuspidi a forma di “coppetta”. Quando il ventricolo si rilassa, i lembi della valvola semilunare si chiudono formando un’ermetica chiusura che non permette il ritorno sanguigno. Come per tutto il passaggio del sangue nel muscolo cardiaco, si tratta di un meccanismo che dipende dalla pressione. Le quattro valvole si trovano tutte sullo stesso piano: non sono posizionate a caso ma sono associate ad una parte del cuore molto resistente, impropriamente detta scheletro del cuore, formata da tessuto connettivo che permette la resistenza alla pressione a cui le valvole sono soggette. I lembi marginali liberi delle cuspidi hanno forma triangolare e si articolano alle corde tendinee che dipartono dai muscoli papillari. La base delle cuspidi è invece fissata sullo scheletro del cuore. Si tratta di una serie di anelli di tessuto connettivo fibroso che circondano le valvole e separano gli atri dai ventricoli. Valvola semilunare aortica: è formata da tre “coppette” o cuspidi semilunari (sinistra, anteriore e destra) ed è l'infundibolo del ventricolo che porta verso l’aorta. I lembi sono tre strutture a forma di coppa. Ogni cuspide semilunare presenta un seno polmonare e al centro della lunula presenta un nodulo, una struttura più spessa e resistente che conferisce resistenza al lembo e non permette che si appiccichi alla superficie dell’aorta. I tre noduli se si uniscono determinano la chiusura della valvola. Le due cuspidi semilunari laterali prsentano due fori: l’orifizio dell’arteria coronaria rispettivamente di sinistra e di destra. Nell’aorta circola il sangue ossigenato appena tornato dalle vene polmonari e pompato dal ventricolo sinistro, ma il primo organo a utilizzare il sangue ossigenato è il cuore stesso attraverso le arterie coronarie che si formano da questi orifizi. Quando il ventricolo è in diastole, avviene il ritorno del sangue verso il ventricolo, movimento che chiude la valvola semilunare aortica. La spinta del sangue determinerebbe un ritorno retrogrado. Il primo sangue ossigenato va dunque a confluire in questi orifizi, confluendo nelle arterie coronarie. Il cuore è dunque la struttura che in diastole riceve il primo sangue ossigenato. La valvola semilunare polmonare, invece, manca di questi orifizi. Quando il ventricolo destro va in diastole, la valvola semilunare polmonare si chiude e manda il sangue nel piccolo circolo. I giochi di pressione (aumento e caduta) sono supportati dallo scheletro del cuore. Si tratta di anelli di tessuto connettivo fibroso che circondano le valvole e speravano gli atri dai ventricoli. Si tratta di un piano rigido che non si contare non distensibile ma fa da supporto, non vi viaggia l’impulso elettrico. Isola elettricamente e meccanicamente atri e ventricoli che possono così contrarsi e rilassarsi in maniera ordinata e alternata. Tra questi anelli connettivi si trova un piccolo foro in cui passa il fascio che porta l’impulso elettrico da atri ai ventricoli detto fascio di conduzione (fascio di His) che attraversa il trigono fibroso, noto anche come corpo fibroso centrale, ovvero la robusta massa di forma triangolare posta tra l'orifizio aortico (valvola aortica) e i due orifizi atrio-ventricolari (valvole tricuspide e bicuspide). Sistema di conduzione del cuore: l’impulso parte dal nodo atrioventricolare che si divide in porzione di destra e sinistra, che porta la contrazione prima ai muscoli papillari e poi al resto del ventricolo. Nello scheletro cardiaco manca la parte muscolare. Miocardio (anatomia microscopica del cuore): è un muscolo striato involontario le cui fibre decorrono intorno alle pareti cardiache. É un muscolo striato ma involontario sotto il sistema nervoso autonomo, caratterizzato dalla presenza dei dischi intercalari che permettono un rapido passaggio dell’impulso poichè uniscono i cardiomiociti. La presenza dei dischi intercalari distingue questo muscolo dal tessuto muscolare striato scheletrico volontario. Circolazione intracardiaca prenatale : differisce sostanzialmente dalla circolazione dell’individuo adulto. Il cuore si sviluppa prima del polmone, struttura che inizierà inizierà a funzionare solo dopo la nascita. Nell’atrio di destra è presente la fossa ovale, ossia un foro ovale che permette la commistura di sangue tra destra e sinistra. Nel feto la pressione è maggiore nella parte destra (in quanto i polmoni non funzionano). In sangue ricco di ossigeno entra dalla vena ombelicale che parte dalla placenta e passa nel fegato ancora non del tutto funzionante. Parte del sangue proveniente dalla vena ombelicale entra attraverso la vena epatica nel condotto venoso che porta il sangue ossigenato alla vena cava inferiore. Il sangue entra nell’atrio di destra, passa nel foro ovale (che è posto nel setto interatriale), raggiunge l’atrio di sinistra, il ventricolo sinistro ed entra nell’aorta. Il sangue venoso ritorna nella parte destra del corpo ma non entra nelle vene polmonari perché i polmoni non funzionano e la pressione lo impedisce. Il sangue venoso che normalmente prende la via del piccolo circolo entra invece nel condotto arterioso, che lega l’aorta polmonare all’arco dell’aorta. COnfluisce dunque il sangue che torna da destra proveniente dall’arteria polmonare e il sangue pompato dal ventricolo sinistro che scorre nell’arco dell’aorta. Il condotto arterioso è un ponte che genera così un sangue misto che viene distribuito in tutto il corpo e che poi, attraverso le arterie iliache poste alla fine della cavità addominale che diventano arterie ombelicali, ritorna nella placenta. Dopo la nascita diminuisce la pressione nel circolo polmonare, il sangue inizia a fluire nei polmoni, il foro si oblitera/chiude e il dotto arterioso perde la sua funzione (diventa una struttura legamentosa). Si tratta di cambiamenti che avvengono rapidamente dopo la nascita. I cordoni fibrosi dell’arteria ombelicale rimangono nell’addome divenendo legamenti ombelicali mediali. Anche la vena ombelicale si oblitera, formando il legamento rotondo del fegato. Il condotto venoso si chiude e si forma il legamento venoso. Il collegamento tra arteria polmonare e aorta diventa il legamento arterioso. Quando si chiude la vena ombelicale inizia a funzionare il piccolo circolo e cambia la pressione. Possono avvenire dei difetti a livello della chiusura della fossa ovale da parte della valvola del forame ovale. Funzionalmente, il cuore è un sistema a due pompe separate, destra e sinistra. Ogni pompa cardiaca ha a sua volta una pompa di innesco (atrio che riceve) e una pompa di potenza che imprime la potenza al sangue per la fuoriuscita (ventricolo). Le pompe d’innesco atriali completano il riempimento delle pompe di potenza ventricolari le quali forniscono la corretta pressione al sangue per poter defluire attraverso l’arteria polmonare e l’aorta. Vascolarizzazione del cuore. Il cuore è vascolarizzato dalle arterie coronarie: il cuore stesso deve essere ossigenato, è vascolarizzato dalle arterie coronarie che nascono dagli orifizi sulle valvole semilunari aortiche. Originano dal seno aortico dell’aorta ascendente, dal lembo sinistro e destro della valvola semilunare che catturano il reflusso del sangue dovuto al ritorno elastico dell’aorta quando il miocardio è rilassato. Il cuore riceve il sangue quando è in diastole e quindi lo può usare. Le arterie coronarie sono abbastanza ramificate ma non tutta la superficie del cuore è vascolarizzata. Le arterie coronarie si anastomizzano tra loro. Se un’arteria non riceve più sangue, quella parte del miocardio va incontro a necrosi.Il solco atrioventricolare è anche dettp solco coronario proprio poichè le coronarie, che nascono da dove origina l’aorta e sono una coronaria di destra e una di sinsitra, si muovono poi lungo il solco atrioventricolare o coronario e lungo il solco interventricolare. Sistema di di conduzione: i cardiomiociti sono in grado di autoeccitarsi, di generare il battito cardiaco poi regolato dal sistema nervoso simpatico e parasimpatico. Il pacemaker del cuore, ovvero il punto da dove origina il battito, è localizzato vicino l’entrata della vena cava superiore ed è detto nodo senoatriale. Arteria coronaria di destra : fuoriesce dalla valvola aortica e subito dà un ramo che si muove verso l’altro, passa sotto l’auricola e va a vascolarizzare l’atrio di destra (ramo atriale dell’arteria coronaria di destra) che a sua volta dà poi un altro ramo per il pacemaker del cuore, ovvero il nodo senoatriale, e va a vascolarizzare il sistema di conduzione (ramo del nodo senoatriale che decorre intorno alla cava superiore). Si continua a muovere sulla faccia sternocostale del cuore e dà altri rami tra cui uno importante (ramo marginale destro della coronaria di destra) che segue il margine destro del cuore e si sposta verso il basso. Continua nel solco coronario sulla faccia posteriore fino alla croce del cuore (crux cordis) in cui si incrociano i due solchi a livello del setto interventricolare. Lì dà il ramo maggiore: l’arteria interventricolare posteriore o discendente posteriore dell’arteria coronaria di destra. Poi risale verso il nodo atrioventricolare. Arteria coronaria di sinistra : origina dal seno aortico sinistra, passa sotto il tronco polmonare e decorre sempre nel solco atrioventricolare o coronario ma in corrispondenza del solco interventricolare anteriore dà il ramo maggiore detto arteria interventricolare anteriore o arteria discendente anteriore della coronaria di sinistra. Si muove poi nel solco dando il ramo circonflesso della coronaria di sinistra da cui origina un ramo marginale. Infine cerca di anastomizzarsi all’apice con l’interventricolare posteriore. Vascolarizzazione del setto interventricolare: la coronaria di destra vascolarizza un terzo del setto (la parte posteriore e quella di destra), mentre i due terzi anteriori e la parte di sinistra sono vascolarizzati dalla coronaria di sinistra (un danno alla zona di sinistra del cuore può essere molto pericoloso). È la coronaria di sinistra che porta il sangue al fascio di conduzione (posto al centro). Quella di destra irrora invece il nodo senoatriale. Coronarografia: si utilizzano dei vasi che possono essere facilmente indagati. Si individuano due accessi principali: o dall’arto superiore via accesso transbrachiale (arteria brachiale nella succlavia di sinistra) o dall’arteria femorale via accesso transfemorale. Infarto del miocardio: è causato dalla riduzione del flusso di sangue nel lume delle coronarie. Se si abbassa il flusso si vanno a instaurare circuiti collaterali. Se l’ostruzione è maggiore la coronaria si occlude e il tessuto muscolare va incontro a necrosi. I siti di occlusione sono, in frequenza maggiore localizzati nel ramo interventricolare anteriore dell’arteria coronaria di sinistra (40-50%), meno frequentemente nell’arteria coronar

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