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Università degli Studi di Ferrara

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film analysis film techniques cinematography film studies

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This document provides an analysis of film, focusing on the concept of the photograph and frame. It discusses the technical aspects of film production and the composition of a film. It includes examples from different films and directors showcasing different techniques and concepts.

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LEZ. 1 – 21.10.2024 Argomento 1 – IL FOTOGRAMMA o FRAME Il fotogramma è un concetto suggestivo e inafferrabile che riporta alla natura stessa del film come oggetto tangibile. -->foto del regista sovietico Eisen Stein che guarda attentamente il nastro con...

LEZ. 1 – 21.10.2024 Argomento 1 – IL FOTOGRAMMA o FRAME Il fotogramma è un concetto suggestivo e inafferrabile che riporta alla natura stessa del film come oggetto tangibile. -->foto del regista sovietico Eisen Stein che guarda attentamente il nastro con in mano delle forbici – gesto legato alla costruzione del film Il fotogramma riporta alla materialità del cinema, alla sua storia e preistoria. DEFINIZIONE 1 Il fotogramma è dato da ciascuna delle singole immagini fotografiche impresse su una pellicola cinematografica, che, riprodotte a una velocità tra i 16 e i 24 fotogrammi al secondo, producono l’illusione di un movimento continuo. 1 metro di pellicola equivalgono a 50 forogrammi FOTOGRAMMI DI UN FILM MUTO FOTOGRAMMI DI UN FILM SONORO: PISTA SONORA AL LATO DELL’IMMAGINE Composizione di una pellicola cinematografica: > PERFORAZIONI LATERALI  corrispondoni ai buchi laterali, i quali permettono lo scorrimento nel momento in cui si aggrappano ai rulli dentellati della macchina di proiezione > GIUNTA LATERALE  contiene la traccia audio della colonna sonora chiamatasi anche PISTA SONORA > FOTOGRAMMA (FRAME) quadratino che contiene le immagini a scorrimento > INTERLINEA (FRAME LINE)  linea di separazione tra un fotogramma e l’altro 3 Il fotogramma è dunque l’unità più piccola di cui si compone un film (o più specificatamente l’unità più piccola di cui si compongone le diverse inquadrature che formano un film. Occorre dire, però, che frame e inquadrature non sono sinonimi in quanto l’inquadrature è un’unità superiore composta da più fotogrammi. Tuttavia, «ifotogrammi, ovvero quei quadri in cui è suddivisa la pellicola impressionata, rappresentano delle unità tecniche non espressive. Ciò che noi infatti vediamo sullo schermo non è il fotogramma, bensì un’immagine che nasce dalla proiezione di una serie di fotogrammi». DEFINIZIONE 2 Il frame, preso autonomamente rispetto alla concatenazione di immagini che compongono la pellicola di un film, non si discosta da una semplice fotografia. Ed è proprio a questo primo livello di riproduzione analogica che il cinema evidenzia i suoi legami con la tecnica fotografica. Ogni singolo frame contiene una porzione di immagine, un frammento di azione che solo in fase di proiezione sarà ricomposto come un unicum originando così l’illusione del movimento e componendosi in una inquadratura. «La velocità di svolgimento di un’azione e la durata complessiva di un film sono date innanzitutto dalla velocità di scorrimento (cadenza) dei frame per ciascun secondo (f./s) in fase di proiezione. --> prima del sonoro era di 16/18 f./s, mentre con l’avvento del sonoro la velocità è aumentata a 24 f./s. Inoltre, ogni fotogramma contiene entro i suoi bordi tutto ciò che il regista ha deciso di ritagliare della parte di realtà che ha davanti, il cosiddetto PROFILMICO. Ciò che si trova fuori si chiama FUORI CAMPO. PROFILMICO→ è un termine coniato da étienne Souriau (1951) ed intende tutto ciò che si trova davanti alla cinepresa pronto per essere filmato. Quindi: oggetti, volti, corpi, spazi interni ed esterni, prima della loro elaborazione cinematografica. → screen del film VIA COL VENTO (Gone with the wind) del 1939 di Victor Fleming. Gli elementi che compongono il profilmico sono: gli attori, al centro la protagonista; la scenografia i cui esterni sono stati editati in studio (teatro di posa). L’occasione è di un ritrovo dell’alta società. FUORI CAMPO → è tutto ciò che non viene mostrato dalla cinepresa, ma che esiste in quanto parte dello spazio, di cui l’inquadratura è solo una minima parte. Esso è dato da tutto ciò che si muove o si agita all’esterno o sotto la superficie delle cose (Pascal Bonitzer) Tutto il cinema nasce dal rapporto che vi è tra il profilmico e il fuori campo 4 Un regista che ha tanto lavorato sul fuori campo per creare tensione e paura è stato STEVEN SPIELBERG --> il film LO SQUALO. Nella prima parte lo squalo non appare mai e il primo omicidio di questo avviene nell’oscurità. Noi sappiamo che c’è una minaccia, ma non la vediamo perché non ci viene mostrata. L’uso del fuori campo a volte è accidentale. Nel caso di Spielberg, lo squalo è una presenza centellinata nacque da problemi tecnici. Un altro esempio di fuori campo lo troviamo da un regista austriaco che si trova agli antipodi di Spielberg, ovvero MICHAEL HANEKE con il film FUNNY GAMES (anni 90), il quale ha avuto 2 versioni: la prima austriaca e negli anni 2000 è stato effettuato un remake con interpreti americani. È un film con una narrazione violenta e perturbante con un uso intenso del fuoricampo. L’atto omicida non viene fatto vedere, ma solo gli effetti di tale azione. EFFETTO/FENOMENO PHI  In base all’effetto PHI, la presentazione in rapida successione di una serie di immagini fisse verrebbe percepita dall’occhio umano come un unico elemento che si muove nello spazio. Prima di arrivare al cinema attuale dei fratelli Lumiere, sono stati creati una serie di strumenti o giocattoli. I più importanti: Joseph Plateau e il suo FENACHISTOSCOPIO → strumento ideato nel 1832 che si reggeva nel piacere di immagini fisse in movimento. La prima parte del termine “fenachistoscopio” deriva dalla radice greca φενακίζείν (phenakizein), che significa “ingannare” o “imbrogliare”, poiché si “inganna” l’occhio, dal momento che gli oggetti nei disegni sembrano muoversi. Funzionamento Due dischi: uno aveva finestre radiali equidistanti attraverso le quali l’osservatore poteva guardare il secondo, il quale conteneva una serie di immagini. Quando i due dischi ruotavano alla velocità corretta, l’osservatore poteva vedere l’animazione. William George Horner e il suo ZOOTROPIO → è l’inventore dello ZOOTROPIO. È uno strumento simile al fenachistoscopio e ideato nel 1834. Le immagini erano fisse, illustrate che riportano all’epoca dell’800. Il termine zootropio deriva dall’unione dei termini greci zoe (ζωή –“vita”) e tropos (τρόπός –“giro, volta”), con il significato approssimativo di “ruota della vita”. 5 Lo zootropio è caratterizzato da una serie di disegni che sono riprodotti su una striscia di carta posta all’interno di un cilindro dotato di feritoie a intervalli regolari. Grazie al fenomeno PHI la rapida successione di queste produceva l’illusione del movimento. -->collegamento tra il fotogramma e questi giocattoli ottici perché sfruttano il fenomeno phi per produrre il movimento L’immagine in movimento suscita una forte meraviglia motivo per il quale è un aspetto che il cinematografo sfrutterà a pieno nei suoi primi anni di vita. I film, alle origini, non producono una vera e propria narrazione, ma si limitano a mostrare immagini in movimento e non fisse, dando a livello psicologico l’idea di un dispositivo che sconfigge, in modo illusorio, la morte. Una figura importantissima e da ricordare è il prossimo inventore in quanto si è spinto oltre rispetto a quelli citati precedentemente. Charles-Émile Reynaud e il suo PRASSINOSCOPIO → il PRASSINOSCOPIO è stato ideato negli anni 70 dell’800, precisamente nel 1876. La parola prassinoscopio può essere tradotta approssimativamente come “osservatore in azione”, dal greco anticoπραξί-(πρᾶξίς “azione”) e scop-(σκόπός “osservatore”). Il prassinoscopio utilizzava una striscia di immagini applicate in cerchio sulla superficie interna di un cilindro girevole. Il prassinoscopio e lo zootropio sono strumenti simili, però nel prassinoscopio si aggiunge un elemento in più ovvero GLI SPECCHI. Possiamo dire, quindi, che è una versione più evoluta dello zootropio dove le feritoie sono sostituite da una serie di specchi posizionati a 45°, al fine di riflettere le immagini verso all’osservatore garantendogli una visione più chiara. Le strisce di carta che venivano applicate sul giocattolo ottico erano disegnato e se le estendiamo ricordano una pellicola cinematografica. Charles-Émile Reynaud e il suo TEATRO OTT ICO → Un passo avanti nelle sperimentazioni di Raynaud è il TEATRO OTTICO (1888). È uno strumento complesso caratterizzato da meccanismi di fruizione collettivi. --> esperienza vissuta da un gruppo e non dal singolo come fu per i giocattoli precedenti. Esso è un’evoluzione del prassinoscopio e consisteva di una serie di lastre di vetro, dipinte a mano, montate su bande di pelle. Ogni banda era collegata alle altre tramite nastri metallici forati agganciati all’ingranaggio di un tamburo ruotante, in modo da venire allineati alla lanterna del proiettore. Collegando le strisce di immagini a una coppia di ruote simili alle moderne bobine cinematografiche, Reynaud creò così una serie continua di immagini in movimento, svincolandosi dal limite delle dodici immagini del precedente sistema del prassinoscopio. 6 Il sistema del teatro ottico era dispendioso sia in termini di tempo sia in termini di fatica perché le lastre erano tutte dipinte a mano. Questo sistema era destinato a restare un’idea straordinaria, ma soppiantata da qualcosa di più moderno, economico e veloce. Tuttavia, il teatro ottico dà risultati significativi perché nel 1892 Raynaud lancia le PANTOMIME LUMINOSE. Esse sono dei brevi filmati (cartoni) che avevano un vero e proprio soggetto narrativo. Sono state realizzate, in totale, 5 pantomime luminose di cui 2 sopravvissute. Questo perché nel 1900 i fratelli Lumiere sbaragliano questo mercato con l’invenzione del cinematografo. Raynaud con l’invenzione del cinematografo, cade in depressione gettando queste pantomime nella Senna. Quelle rimaste si intitolano:  PAUVRE PIERROT (1892) --> il soggetto è ispirato alla commedia dell’arte  AUTOUR D’UNE CABINE (1894) --> il soggetto è balneare Circa negli stessi anni, si sviluppa in Gran Bretagna un’altra sperimentazione che ci riporta al fotogramma e al suo concetto: la CRONOFOTOGRAFIA Eadweard Muybridge e la sua CRONOFOTOGRAFIA Per quanto riguarda questo caso, vi è un esperimento messo in atto da Muybridge stesso. L’esperimento riguardava dei cavalli e prende il nome di THE HORSE IN MOT ION. Con questo esperimento avvenuto nel 1878 in un maneggio Muybridge fotografa con successo un cavallo in corsa utilizzando 24 fotocamere sistemate parallelamente lungo il tracciato che venivano azionate nel momento in cui gli zoccoli del cavallo colpivano il filo collegato alla macchina fotografica. Questo esperimento finì per correggere la rappresentazione pittorica che fino a quel momento era stata data del galoppo dei cavalli. Occorre ricordare però capire che il concetto di fotogramma è centrale per capire la differenza che vi è tra IL CINEMA DAL VERO e IL CINEMA DI ANIMAZIONE. CINEMA DAL VERO Il principio tecnico su cui si basa il cinema dal vero è la possibilità di riprendere la realtà in movimento per mezzo di un apparecchio (la cinecamera) che scompone il movimento reale in un certo numero di momenti statici (i fotogrammi), di norma 24 al secondo; e di ricomporlo, illusoriamente, per mezzo di un altro apparecchio (il proiettore), che proietta su uno schermo, in continuità, le immagini registrate sulla pellicola». il cinema che inventano i fratelli Lumiere. 7 CINEMA DI ANIMAZIONE Nel cinema di animazione la realtà da riprendere ‒ disegni, oggetti, pupazzi, argilla, plastilina e qualsiasi altro materiale ‒ è statica e non dinamica: la cinecamera ha la funzione di un apparecchio fotografico, a scatto singolo, fotogramma per fotogramma, e solo al momento della proiezione della pellicola gli oggetti ripresi si ‘animano’ (di qui l’espressione cinema di animazione)». Queste due forme di arte partono da un materiale diverso: nel cinema dal vero si parte dalla realtà in movimento, mentre nel cinema di animazione abbiamo una realtà statica e non dinamica in quanto è agita da disegni inorganici. Quando di parla di cinema di animazione è fondamentale parlare della TECNICA PASSO UNO (Stop-Motion/frame by frame). La tecnica passo uno è una tecnica che usa una particolare macchina da presa capace di impressionare un fotogramma alla volta. Dopodiché si sostituisce il disegno con uno che mostra una fase successiva (oppure si sposta l’oggetto), si fa un secondo scatto e così via… fino a realizzare fotogramma per fotogramma (frame by frame) tutto il film. È una tecnica molto antica che la si ritrova anche in film recenti che hanno caratterizzato il panorama contemporaneo. È spesso usata nei film d’animazione di Tim Burton come Nightmare before Christmas, La sposa cadavere, Frankenweenie e Conversation with Vincent. CINEMA DAL VERO CINEMA DI ANIMAZIONE 24 FOTGRAMMI SINGOLO FOTOGRAMMA RIPRODUCE SULLA PELLICOLA UN CREA UN MOVIMENTO CHE NON ESISTE MOVIMENTO GIÀ ESISTENTE NELLA REALTÀ NELLA REALTÀ, LAVORANDO SU OGGETTI STATICI (ES. DISNEY) 8 LEZ. 2 – 28.10.2024 Argomento 2 – Fermo immagine (Freeze frame) Il concetto fermo immagino o freeze frame riporta, in un certo qual modo al termine fotogramma. Il termine può essere scritto sia unito che separato, per quanto riguarda la lingua italiana. Il FERMO IMMAINE O FREEZE FRAME è una tecnica che procede per fotogrammi congelati e capaci di mostrare solo alcuni passaggi di un’azione. Questo tipo di congelamento operato sulla riproduzione di un movimento reale ha come scopo quello di rendere irreale la sequenza, di marcare la sua dimensione atemporale, oppure di scandire in modo dettagliato le varie fasi di un avvenimento --> denuncia la natura finzionale del film. Questa definizione, inoltre, sottolinea un altro concetto, ovvero che il fermo immagine non ci permette soltanto di vedere il singolo fotogramma bloccato, ma questo rimane qualcosa di non percepibile perché il freeze frame lavora su più fotogrammi congelati. Frame ≠ freeze frame Il fermo-immagine è ottenuto utilizzando diversi fotogrammi successivi sui quali è impressionata un’identica inquadratura. Soltanto attraverso una successione di fotogrammi identici si ottiene un fermo-immagine. Il freeze frame è un procedimento che all’interno del film può acquistare notevoli significati rispetto allo sviluppo del racconto. Esso, però, non è acquisizione immediata per quando riguarda il messaggio cinematografico, ma qualcosa che troviamo in una fase successiva alla nascita del mezzo audiovisivo. Si pensa che il primo fermo immagine della storia del cinema sia di ALFRED HITCHCOCK con un film muto che appartiene al cinema inglese, datato 1928, dal titolo CHAMPAGNE (It. TABARIN DI LUSSO) Regista inglese che comincia la propria carriera con il muto in UK per poi trasferirsi in USA dove lavora all’interno dell’industria hollywoodiana. TRAMA: Il film è una commedia e parla di una giovane ereditiera viziata che viene convinta dal padre di aver perso la sua fortuna, eredità e deve reinventarsi, accettando di vivere una vita comune. Nonostante le varie peripezie che la giovane si trova ad affrontare, il finale è felice. Il freeze frame qui lo si ha nel momento in cui il ballo diventa una foto incorniciata che la protagonista contempla da una vetrina. --> in questo punto del film, la protagonista rievoca ciò che è era accaduto nella prima parte del racconto: una sua partecipazione in una nave da crociera di lusso. Il freeze frame è inserito a circa ¾ del film, quando di norma deve essere inserito o all’inizio o alla fine del racconto. 9 CINEMA MODERNO --> cinema che nasce nella seconda metà del 900 e agito da registi europei. Con l’avvento del cinema moderno il freeze frame diventa un procedimento usato in modo estremamente attento e uno dei procedimenti più tipici per marcare il fatto che le opere si concludono in modo irrisolto o non chiaro. --> Il cinema del dopo guerra, lavora nel finale aperto. Uno degli epiloghi più famosi lo si trova al termine del lungometraggio d’esordio del regista francese François Truffaut dal titolo LES QUATRE CENTS COUPS (It. I 400 COLPI) del 1959. Questo film, insieme al film di Jean-Luc Godard dal titolo Fino all’ultimo respiro, è considerato il titolo che inaugura la stagione del Nouvelle Vague – stagione che sbaraglia procedimenti e convenzioni antiche, rappresentando novità -. Questo cinema è un cinema con opere estremamente personali. TRAMA: Nel cinema di Truffaut, l’autobiografia occupa un ruolo fondamentale, e nel suo primo lungometraggio egli racconta la propria infanzia, la quale è segnata da un rapporto difficile con la giustizia. L’opera si conclude con il protagonista che scappa dal riformatorio per vedere il mare, desiderio che ha sempre voluto realizzare. Lo sguardo del protagonista Antoine è molto enigmatico e il fermo-immagine pare intrappolare il giovane per sempre dentro al film. La soluzione adottata da Truffaut, riguardo al fermo immagine sul volto del protagonista, interpella la lettura stessa dello spettatore che può decidere come considerare l’epilogo. Ciò diventa una scelta ripresa anche da altri registri, che, comunque, si iscrivono nel cinema d’autore. Tra questi film troviamo, un film realizzato in America, ma lontanissimo dagli standard di Hollywood. Il film in questione è della regista BARBARA LODEN dal titolo WANDA del 1970. È stato dimenticato per molto tempo in quanto rivolta a una platea di intenditori e la regista era un’attrice. Lei stessa era la protagonista del suo film. Il film vince un premio importante al festival di Venezia, per poi ritornare “in corsia” negli anni 2000 grazie a delle opere letterarie. Il film conclude, come nel caso di “i 400 colpi”, con un freeze frame sul volto della protagonista. In questo caso, si parla più facilmente del finale come negativo, anche se rimane il senso di irrisolutezza. TRAMA: Il film parla della storia di una casalinga divorziata e senza la custodia dei figli. Inizia così la sua esistenza randagia on the road e per non essere costretta a diventare una prostituta si lega a un piccolo criminale con il quale tenta di portare a termine una rapina che finisce male. Lei si ritrova sola in un locale, in quanto il suo socio viene ucciso dalla polizia, e la sua vita ritorna alla deriva. --> critica al sogno americano. 10 Paradossalmente, questo film non piace alle donne, al pubblico femminista degli anni 70, considerandolo un’opera che non dava man forte alla causa in quando Wanda è vista come una perdente. Il freeze frame può anche essere usato con altre finalità quando inserito in conclusione del film. Per esempio, in un’opera che tratta sempre le sorti delle donne, ma non come nel caso di Wanda, dal titolo THELMA & LOUISE di RIDLEY SCOTT del 1991 parla di donne alla deriva che vanno incontro alla morte che poi risulta essere un trionfo. TRAMA: Le protagoniste sono due amiche che si vogliono concedere una vacanza. La prima sera, Thelma viene aggredita da un uomo che viene ucciso da Louise per proteggerla. Da questo momento, non volendo andare alla polizia si danno alla fuga con l’obiettivo di raggiungere il Messico, obiettivo che purtroppo non verrà portato a termine. Il film si conclude in modo straordinario grazie all’uso del fermo-immagine che ha il potere di rendere eterna la fuga di queste due donne. La fuga è vista come una fuga dalla convenzionalità della vita, ma anche come una fuga dal maschilismo. Ci sono film, in cui il fermo-immagine viene usato non alla fine, ma all’inizio per introdurre personaggi o per iniziare il film. Esempio: ROMEO + JULIET di William Shakespeare, il cui regista è Baz Luhrmann. Il film è del 1996, che vede come protagonista un giovane Leonardo di Caprio, ed è una rilettura in chiave post-moderna della tragedia shakespeariana. Nell’incipit il regista utilizza una serie di freeze frame per introdurre i vari personaggi della tragedia, inserendo una cornice ulteriore. TRAMA: Nel film ci troviamo all’interno di un servizio di telegiornale dove si parla della contesa tra Montecchi e Capoletti nell’immaginaria Verona Beach. Il fermo immagine non è solo uno STRUMENTO NARRATIVO, ma anche come STRUMENTO DI RIFLESSIONE TEORICA SUL CINEMA. Riguardo a ciò vi sono due opere che sono ottimi esempi: ESEMPIO 1. - Il film di DZIGA VERTOV dal titolo L’UOMO CON LA MACCHINA DA PRESA del 1929. TRAMA: Il film è un’opera che appartiene alla stagione del cinema sovietico d’avanguardia, nel quale viene immaginato un documentario nella Russia della fine degli anni 20. Parallelamente al racconto della quotidianità della Russia di quel periodo si vede narrativizzato il farsi stesso del film. È un film che riflette non solo sulla contemporaneità, ma anche riflette il film sul lavoro del regista. Ad un certo punto la riflessione auto-riflessiva viene esplicitata attraverso una serie di freeze frame. 11 Questo uso del freeze frame in chiave teorica è stato portato all’estremo da CHRIS MARKER con il film LA JETÉE (il molo in italiano) del 1962. È un mediometraggio francese e interamente composto da fotogrammi tant’è che viene definito un foto romàn. È un film di finzione che racconta una vicenda di fantascienza post-apocalittica, con la quale cerca di riflettere sullo statuto dell’immagine cinematografica. Con l’avvento digitale, il fotogramma è destinato a scomparire. LEZ. 3 – 04.11.2024 Argomento 3 – inquadratura (shot) Fotogramma = porzione più piccola del film non visibile allo spettatore INQUADRATURA o SHOT è l’unità più piccola che è visibile a occhio nudo all’interno di un film. È l’unità più vasta composta da un numero variabile di fotogrammi a seconda della sua lunghezza. Tomasi –Rondolino la definiscono come «l’unità di base del discorso filmico». Di fatto, si tratta di quella serie di immagini in movimento che compongono una pellicola cinematografica. Il termine inquadratura sottintende un concetto doppio. Possiamo intendere l’inquadratura secondo una: PROSPETTIVA SPAZIALE → porzione di spazio inquadrata di volta in volta dalla macchina da presa. È la porzione di realtà rappresentata da un certo punto di vista e delimitata da una cornice ideale costituita dai quattro bordi dell’inquadratura stessa. PROSPETTIVA TEMPORALE → segmento di pellicola impressionata ripreso in continuità e racchiuso fra due tagli di montaggio Operazione che unisce e mette in relazione fra loro le inquadrature sulla base di un progetto estetico, narrativo e/o semantico 12

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