Lezione 2 – 03/03 PDF
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Appunti di lezione riguardanti i materiali e le componenti delle protesi d'anca e dentale. Vengono descritti diversi tipi di protesi e i materiali utilizzati. L'obiettivo principale dell'appunto è la descrizione dell'integrazione osseo-implantare.
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Lezione 2 – 03/03 Per quanto riguarda le applicazioni in ambito osso-odontoiatrico, i principali materiali usati sono i metalli, in particolar modo il titanio e leghe di titanio (e altre leghe o acciaio inox ma in modo inferiore). Ci sono poi il gruppo dei ceramidi a base di idrossiapatite a diversa...
Lezione 2 – 03/03 Per quanto riguarda le applicazioni in ambito osso-odontoiatrico, i principali materiali usati sono i metalli, in particolar modo il titanio e leghe di titanio (e altre leghe o acciaio inox ma in modo inferiore). Ci sono poi il gruppo dei ceramidi a base di idrossiapatite a diversa cristallinità (ceramiche tricalcio-fosfato) molto applicati sia come rivestimento di impianti metallici sia come granulari o scaffold. La classe dei polimeri invece può avere un ampio range di applicazione perché altrettanto ampie sono le caratteristiche che possono avere questi materiali in base ai monomeri di partenza e alle condizioni di polimerizzazione; possono essere materiali sostitutivi nei tessuti molli, le suture, tendini sintetici e protesi vascolari. Protesi d’ANCA e protesi DENTALE, vediamo le componenti: Protesi d’anca è una protesi ortopedica ed è la soluzione ottimale nel trattamento di diverse patologie, quali: pat. Osteoarticolari neurodegenerative (artrosi e artriti), necrosi a-vascolari della testa femorale o patologie traumatiche (come la frattura del collo del femore nell’anziano). A sinistra vediamo una protesi osteointegrata/non cementata (press-fit) ossia direttamente a contatto con il tessuto osseo, a destra invece una protesi cementata (tra le due vi è una differenza nell’ancoraggio con il tessuto osseo). Quali sono le diverse parti che compongono la protesi dell’anca? Innanzitutto, lo stelo = avente una morfologia allungata ed in diretto contatto con la diafisi del femore, e la testa = che si va ad articolare con un inserto posto ad incastro all’interno di un cotile. Le diverse parti di tale protesi d’anca, sono similari alla struttura anatomica di partenza, sostituiscono infatti la struttura anatomica di base dell’articolazione coxo-femorale. La parte della testa e dell’inserto rappresentano le superfici anatomiche articolari di conseguenza devono essere fatte di materiali aventi elevata resistenza allo sfregamento/all’usura, mentre la parte d’innesto impiantata all’interno del femore dev’essere fortemente osteointegrata poiché è qui che vengono trasmessi tutti gli sforzi meccanici secondo la lunghezza del femore. Le due parti che verranno osteointegrate sono: il cotile, integrato all’interno dell’osso del BACINO e lo stelo, integrato invece all’interno del FEMORE. C’è poi una parte di collegamento, che rappresenta il collo, su cui è montata una testina che si va ad articolare con l’inserto incastrato a pressione nel cotile. Dall’immagine vediamo quindi le 2 strutture metalliche e la parte articolare di natura ceramica. Quale materiale si usa? Si usa un polietilene ad elevata reticolazione, in quanto è un materiale molto resistente allo sfregamento che non provoca detriti da usura. Cosa succede se all’interno di un’articolazione fossero presenti dei detriti da usura? Provocherebbero la comparsa di un’infiammazione, che rischierebbe di cronicizzare portando dolore costante al paziente o ancor peggio rischierebbe di determinare un riassorbimento osseo e a un fallimento implantare. I diversi tipi di protesi e il successo che possono avere dipende dal materiale di cui sono costituiti, dalla tecnica chirurgica, dallo shaping della protesi ma anche da fattori individuali del paziente (tra cui età, stato di salute generale, e le sollecitazioni che egli darà sulla protesi). La foto radiografica della protesi serve per valutare il suo stato d’integrazione qui si vede il femore con integrazione dello stelo e il cotile integrato nell’osso del bacino. Impianti dentali: anche qui ampiamente utilizzati sono i materiali metallici, anch’esse constano di diverse porzioni! Hanno una filettatura tipo vite e una finitura superficiale che può essere molto diversificata (alcune ucide e altre opache e trattate per essere rugose). Rispetto ad un dente sano, andiamo a vedere come le diverse porzioni della protesi vanno a sostituire a livello funzionale, la carenza del dente e permettendo il rispristino funzionale della mastificazione: nella parte interna al tessuto osseo spongioso, dove istologicamente viene reperita la radice del dente e il suo legamento, avremo l’impianto vero e proprio (quindi il corpo dell’impianto filettato con varie finiture ecc) nella parte alta avremo una piccola struttura di metallo, connessione tra il corpo dell’impianto e la protesi, tale porzione presenta un trattamento superficiale diverso poiché il collo non è più in contatto con l’osso ma con i tessuti molli (gengiva, epiteli ecc) di conseguenza ha altre problematiche: non deve più essere osteointegrato ma non deve permettere/favorire l’adesione batterica (poiché questa è la parte più in diretto contatto con la cavità boccale e quindi può presentare una maggior problematica da infezione), ecco perché sono fatte in metallo ma LISCIO, al fine di non dare alle cellule batteriche, la possibilità di adesione e quindi di formare un biofilm, che può essere una causa importante di fallimento implantare. Una volta messo l’impianto, non viene “caricata” immediatamente la parte della protesi che andrà a sostituire la corona poiché bisogna lasciare il tempo all’osso sottostante di andarsi a formare/integrare nel metallo, motivo per cui si cercano dei materiali che inducano un’osteointegrazione più rapida possibile tanto più veloce sarà il processo d’integrazione all’interfaccia sul corpo dell’impianto, tanto prima si potrà andare a posizionare la protesi della corona e di conseguenza riprendere a masticare! Sperimentazione, in collaborazione con i dentisti, in cui sono state testate delle innovative miniviti ortodontiche Queste miniviti avevano finiture superficiali differenti: una era più liscia (la prima) e una più rugosa; esse sono state impiantate nel coniglio (= modello animale) per valutare la fissazione primaria dell’impianto ossia quanto tenacemente l’osso si era andato ad osteo-integrare (dopo un periodo limitato di tempo). A tal fine è stato usato un removal torque test, test di tipo biomeccanico che misura la forza necessaria a svitare l’impianto dalla sede ossea (espressa in Newton su asse Y) misura cioè la forza impiegata nello svitamento tanto più l’osso sarà adeso, tanto maggiore sarà la forza necessaria per svitarlo dalla sua sede d’impianto. Superfici lisci o meno rugose necessitano di una forza molto inferiore rispetto a superfici rugose! In successione al removal torque test, siamo andati ad analizzare, con la microscopia elettronica a scansione (SEM), la superficie dell’impianto. Quella in foto è una SEM a basso ingrandimento, che mostra una fettina di 100 μm di spessore del sito d’impianto Il residuato tissutale osseo (porzione azzurra) deposto all’interfaccia è maggiore nell’impianto di destra, pronto per essere caricato e molto minore nell’impianto di sinistra, non ancora pronto = un carico eccessivo su di esso potrebbe provocare dei micromovimenti dell’impianto stesso che pian piano andrebbero ad allargare il gap tra tessuto e impianto, portando a fallimento implantare! Con una SEM a più alto ingrandimento sarebbe possibile studiare la qualità e la quantità del tessuto osseo rimasto adeso alla vite (/al corpo dell’impianto). Dispositivi cardiovascolari: si tratta di dispositivi medici impiantati in modo permanente e aventi lo scopo di ripristinare la funzionalità e l’efficacia di un tratto vascolare non più in grado di svolgere la sua funzione. Generalmente gli impianti vascolari sono impianti arteriosi, poiché normalmente le patologie venose sono meno gravi di quelle arteriose dato che la pressione venosa < pressione arteriosa. Questi dispositivi devono essere emocompatibili ovvero una volta impiantati e a contatto con il flusso ematico, non devono subire modifiche/alterazioni, non devono rilasciare sostanze (dando luogo a nanotossicità) e non devono provocare fenomeni trombogenici. Che caratteristiche devono avere questi impianti? Devono essere: - emocompatibili - dotati di una certa elasticità che sia funzionale con la dinamica del circolo - flessibili anche in riferimento al sito anatomico in cui andranno ad essere localizzati. Applicazione oftalmologica: lenti a contatto sono fatte di polimeri a base di idrogel mentre le lenti intraoculari sono fatte di polimetil-metacrilato o poli-propilene. Materiali di tipo ceramico ma anche biologici o compositi, li ritroveremo quando affronteremo l’ingegneria tissutale per ripristinare la funzione di un organo che prevede l’utilizzo di scaffold (spesso costituiti di questi materiali), che devono essere il veicolo per portare in situ le cellule e che devono avere diverse caratteristiche strutturali tali da permettere la riparazione e la proliferazione/colonizzazione da parte delle diverse cellule. Tra i materiali di origine naturali visti, usati come riempitivi, abbiamo parlato di osso deproteinizzato o deantigenato, un esempio è il “bio-oss” (nome commerciale) = osso bovino deproteinizzato, con trattamenti termici: dall’immagine (slide 35) potete vedere che ciò che rimane è la trabelocatura dell’osso, cioè la parte minerale residua (porzione inorganica). Qual è l’idea di utilizzo di questi farmaci di origine naturale? Nel punto in cui bisogna colmare un gap osseo o stimolare una neoproduzione ossea (come nel caso di un rialzo mascellare prima di innestare impianti) viene innestato questo materiale, che non fornisce alcuna cellula (poiché è deproteinizzato) ma soltanto l’architettura 3D inorganica, una volta in situ succede che viene imbevuto di sangue, vi è un’infiammazione locale, le cellule osteo- progenitrici arrivano in situ e cominciano a produrre nuovo osso, avviene anche una neo-angiogenesi all’interno di questo scaffold (formazione di diversi capillare) e pian piano queste cellule andranno a produrre sempre più matrice che andrà a colmare i diversi gap all’interno della struttura. Successivamente entrano in gioco altri tipi di cellule non di tipo osteo-formativo ma osteo-assorbenti ossia gli osteoclasti, che andranno a sostituire la trabecolatura con nuovo osso quindi a tempi lunghi in questo sito non si avrà più un residuato di un materiale innestato ma sarà completamente sostituito con l’osso neoformato, rivascolarizzato come se fosse osso nativo al 100% (riprenderemo questa parte quando faremo l’ingegneria tissutale). TITANIO Lo troviamo in 2 forme: - CP = “commercialmente puro”, ne sarà sempre indicato il grado, poiché con l’aumentare del grado (/della qualità) aumenta anche la presenza di elementi impuri, che da una parte determinano il miglioramento di alcune caratteristiche meccaniche dall’altra però possono peggiorare la risposta biologica; - T1-6A4V = “titanio 6 alluminio 4 vanadio” ossia una lega di titanio che comprende il 6% di alluminio e il 4% di vanadio, concepita per migliorare e rafforzare le caratteristiche proprie del titanio, viene infatti migliorata l’elasticità e la conducibilità termica. In particolare, l’alluminio ne migliora la durezza del materiale e ne riduce il peso specifico migliorando il suo modulo di elasticità, mentre il vanadio va a minimizzare la conducibilità termica del materiale (circa il 50% in meno rispetto a quella del titanio CP). Questa modificazione si traduce quindi in una maggiore elasticità e una più equa distribuzione del carico in corrispondenza dell'interfaccia tra osso e impianto, aumentando il valore di resistenza all'usura e alla fatica. Nella fabbricazione di protesi, può essere utilizzato in quattro diverse qualità di titanio commercialmente puro che differiscono tra loro per i contributi in ossigeno, in ferro e azoto. Soprattutto il contenuto di ossigeno ha una grande influenza sulla duttilità e sulla resistenza del metallo. È considerato il materiale d’elezione per tutti gli impianti endossei, sia quello CP che in forma di lega ha infatti delle particolarità specifiche: 1) elevata resistenza meccanica 2) elevata resistenza alla corrosione 3) un’ottima biocompatibilità La biocompatibilità del titanio è dovuta alla presenza di diverse tipologie di ossidi, che si vanno a formare sulla sua superficie una volta impiantata (ossia in ambiente biologico). La presenza di questi ossidi crea quindi un filtro passivante che protegge il metallo sottostante e si interfaccia direttamente con il tessuto biologico (nel caso in cui quest’ossido superficiale sia scalfito si riforma quasi immediatamente, perché è proprio una reazione di passivazione superficiale). Quindi i veri responsabili della biocompatibilità del titanio sono gli ossidi presenti sulla sua superficie, ne esistono varie tipologie quali: TiO, TiO2, TiO3, tra cui il biossido di titanio è il più stabile e quindi quello più frequente sulla superficie del titanio e delle sue leghe; la passivazione con questo ossido carica negativamente l'impianto, aumentando l'affinità per differenti biomolecole che si ritrovano all'interfaccia. Dunque, le capacità osteointegrative del titanio non sono del titanio in quanto tale, ma sono proprio di questi ossidi che si vanno a passivare sulla sua superficie. Slide 3 (pp2-3) In queste immagini istologiche si vedono un ingrandimento microscopico e uno macroscopico di una vite in titanio inserita all'interno di osso spongioso (si vede la trabecolatura). Con un ingrandimento maggiore ed una colorazione specifica, si vede chiaramente che il tessuto osseo (rosso) si avvicina notevolmente/è frammisto all’interfaccia ma non è l’unico presente, vi è infatti un altro tessuto che va a colmare questo gap ossia un tessuto connettivo fibroso! La presenza di un tessuto connettivo fibroso all’interfaccia determina con il tempo, micromovimenti implantari e fallimento dell’impianto, in quanto è un tessuto che per quanto possa essere denso in collagene non ha le stesse caratteristiche meccaniche dell’osso, ma è molto più morbido per cui è incapace di trasferire le forze meccaniche che arrivano all’impianto. Per cui, una forza che arriva all’impianto provoca in esso un movimento, concesso nel caso in cui, in questo punto, vi sia t. connettivo fibroso (poiché tale tessuto essendo morbido, lascia spazio al movimento), quindi l’impianto si va a muovere e questo micromovimento causa poi un’infiammazione che diventa cronica e la possibilità di perdere la tenuta dell’impianto stesso. È quindi assolutamente necessario che tutta la superficie implantare sia circondata da t. osseo (possibilmente di buona qualità), questo ci garantisce una tenuta dell’impianto maggiore nel tempo. Il titanio nasce come materiale bioinerte quando la sua superficie non è trattata (ma viene lasciata liscia), ma viste le sue notevoli caratteristiche meccaniche e di durata, lo sforzo della ricerca è stato quello di far cambiare classe al titanio portandolo da materiale bioinerte a materiale bioattivo (secondo vari step). È proprio la superficie implantare, la sede di quei fenomeni che permettono a un materiale di rispondere come bioinerte o bioattivo, poiché è proprio qui che avvengono quei fenomeni che portano all’integrazione dell’impianto nella struttura ossea. Quindi la superficie implantare dev’essere adeguatamente progettata con lo scopo di rendere massima l’osteointegrazione. La superficie implantare è quella superficie dell’impianto in diretto contatto con il tessuto biologico, quindi nel caso dell’osso è la superfice dell’impianto di titanio in contatto con l’osso o con l’ambiente osseo quando impiantato. È proprio a livello di quest’interfaccia tra osso e impianto, che avvengono quei fenomeni, quali richiamo cellulare di precursori, proliferazione, differenziazione, attivazione di questi precursori nell’ottica di produrre una matrice mineralizzata, necessari per portare ad osteointegrazione dell’impianto stesso. Nell’ottica di voler migliorar le caratteristiche biologiche (e non meccaniche, che sono già ottime) di un materiale, si va a lavorare sulla superficie implantare, quindi si vanno a produrre delle modificazioni dell’impianto che permettono al materiale impiantato di determinare una migliore risposta cellulare. Il miglioramento dell'interfaccia osso-impianto può essere ottenuto con varie metodiche (con esse il titanio passa dall’essere un materiale inerte ad un materiale bioattivo) ordinati in modo temporale: Metodi fisici consistono nel variare le caratteristiche fisiche di questa struttura e sono: - sabbiatura, - plasma spay, - attacco acido. Metodi chimici consistono nell’applicare dei rivestimenti sulla superficie del metallo per renderla bioattiva, tali rivestimenti sono con materiali ceramici. Funzionalizzazione biochimica più recente metodologia alla bioattività del titanio; consiste nell’immobilizzazione di fattori di crescita o di adesione sulla superficie del titanio, aventi lo scopo di indurre specifiche risposte cellulari o tissutali; la funzionalizzazione biochimica è quindi una modifica della superficie proprio per quanto riguarda le interazioni molecolari che si vengono a formare tra il materiale e il tessuto circostante una volta impiantato. Metodi fisici I metodi fisici sono volti a modificare la microarchitettura superficiale del titanio (dell’impianto) quindi a rendere più rugoso l’impianto di titanio. L’aumento di tale rugosità ha un duplice scopo: aumentarne l'area di contatto con i tessuti biologici e le cellule dell'interfaccia (ovviamente una superficie rugosa ha una superficie di contatto maggiore rispetto ad una liscia); facilitano la ritenzione e la deposizione di fosfati di calcio (al loro interno), che fanno da base per una successiva deposizione di matrice ossea, in altre parole, sono necessari nella fase di crescita di mineralizzazione dell'osso poiché permettono di aumentare il legame tra il tessuto e il biomateriale. La presenza di tali fosfati, a sua volta dunque facilita l’adesione cellulare delle cellule osteoblastiche, aventi una caratteristica peculiare la rugofilia ovvero sono cellule si adattano e differenziano bene quando si trovano su un supporto rugoso. Quando una superficie è rugosa, si facilita l’adesione e il trattenimento in situ, di cristalli di fosfato di calcio che possono presentare dei centri di nucleazione: sono degli starter point della deposizione di matrice. Quindi, l’aumento della rugosità del materiale (a livello di microarchitettura superficiale) vuole ottenere un maggior legame tra il tessuto osseo e l’impianto, quindi vuole migliorare l’osteointegrazione all’interfaccia. Studi sia in vitro che in vivo condotti su impianti in titanio hanno confermato che la creazione di superfici rugose è effettivamente in grado di migliorare l’ancoraggio della protesi al tessuto osseo. Distinguiamo i tre metodi di trattamenti fisici applicabili alle superfici di titanio: 1) Sabbiatura La sabbiatura consiste nel proiettare delle particelle abrasive in materiale ceramico sulla superficie metallica. Questo perché l'energia cinetica, di cui sono dotate le particelle proiettate, induce la deformazione plastica del biomateriale e vanno così ad incrementare le irregolarità superficiali. Inoltre, questo trattamento, consente la decontaminazione e la pulizia delle superficie di titanio (dell’impianto) dopo la lavorazione, poiché va ad asportare in modo efficiente i residui delle precedenti lavorazioni. L'indice di rugosità (Ra) che si può ottenere con la sabbiatura è piuttosto variabile: copre una gamma piuttosto ampia di valori, va da 0.5 a 6 μm, poiché queste sono le dimensioni del diametro delle particelle che possono essere proiettate. Tanto maggiore sarà il diametro delle particelle, tanto più irregolare sarà la rugosità prodotta. Le particelle abrasive si possono utilizzare (proiettare) biossidi di titanio o biossidi di alluminio. 2) Titanio Plasma Spray TPS Questo processo si attua mediante un bruciatore al plasma ad arco voltaico, in grado di elevare la temperatura di un gas nobile, all’interno del quale vengono spruzzate delle particelle di titanio (polveri di idruro di titanio) con una granulometria variabile, tra i 50 e 100 μm. Essendo esposte ad elevate temperature, queste particelle di titanio proiettate contro il corpo dell’impianto, durante il loro viaggio subiscono una fusione della loro parte superficiale, per cui quando arrivano sul corpo dell’impianto rimangono attaccate ad esso provocando un’elevata rugosità rispetto agli altri sistemi, e quindi un vero e proprio rivestimento (titanio su titanio) il cui spessore è di circa 50 μm. 3) Attacco Acido Inizialmente utilizzato per la pulizia/decontaminazione, per eliminare le impurezze rimaste intrappolate nella maglia metallica del titanio durante la produzione. In tempi più recenti, l'attacco acido ha riscosso nuovo interesse, per la possibilità di creare dei micro-picchi nella rugosità del titanio (modificare la distribuzione dei pori superficiali in termini di micro-rugosità) che in base alla miscela di acidi forti utilizzati possono essere controllate nella loro distribuzione. Generalmente l'attacco acido viene applicato successivamente alla sabbiatura, in modo da andare a creare una DOPPIA RUGOSITÀ, quindi rugosità su due livelli: - la sabbiatura provoca una tessitura MACRO-rugosa - l’attacco acido va poi a creare dei micro-picchi Immagini al SEM (vedi slide 6 pp.2-3) Con questa tecnologia non si penetra nella profondità del materiale ma si rimane a fare un’analisi della sua superficie cioè della morfologia. Vediamo quindi come sono le morfologie delle superfici di titanio che si ottengono con i 3 diversi trattamenti fisici visti: - sabbiatura, produce una rugosità irregolare e grossolana macro-rugosa (valli e picchi ampi); - sabbiatura + attacco acido, produce superfici con profili regolari e aventi quel doppio livello di rugosità, quindi la tessitura macrorugosa della sabbiatura si va a sommare con la sabbiatura microrugosa (puntini bianchi) data dall’attacco acido, creando un doppio livello di rugosità; la rugosità ottenibile è uniforme e microrugoso. - TPS, sembra fuso in superficie, fusione con attaccate particelle in modo disordinato, la sua rugosità è controllata dalla dimensione delle particelle inserite nel plasma ad arco voltaico, tuttavia la localizzazione perfetta in cui esse si andranno a posizionare non è nota: si crea quindi una struttura molto rugosa e disordinata. Ha una macrorugosità con un indice più elevato rispetto a quelle precedenti ed estremamente irregolare. Quali possono essere gli strumenti di laboratorio per valutare le diverse finiture superficiali di materiali (e quindi la tipologia di adesione di cellule osteoblastiche ad una superficie)? studio morfologico in SEM (Scanning Electron Microscopy: Permette di conoscere la variazione strutturale delle cellule osteoblastiche in fase di adesione (è sicuramente un punto di partenza). Una cellula, appena seminata ha una morfologia rotondeggiante, mentre una cellula isolata o appena staccata dalla piastra (cioè che è stata un po' in piastra a crescere) avrà una forma appiattita e allungata data dal fatto che con il tempo aveva aderire alla piastra, formando un monolayer (queste sono meglio visibili perché tutte sullo stesso livello a differenza delle cellule appena seminate che hanno invece diversi livelli di galleggiamento). Ciò significa che l cellula, nell’aderire a qualsiasi superficie ha dei cambiamenti di tipo morfologico: cambiamenti che la portano da una morfologia rotondeggiante ad una morfologia fibroblastic-like cioè allungata con un elevato grado di spreading elevato (spreading = appiattimento di tutte le porzioni cellulari, compresa quella che presenta il nucleo, sulla superficie); NB: possiamo fare questi studio in microscopia ottica? No, possiamo invece usare la SEM (microscopia elettronica). Il titanio non può essere messo sotto il microscopio come se fosse un vetrino perché non può essere attraversato dalla luce (quindi per vedere il titanio serve sempre una luce riflessa cioè che arrivi dall’alto)! Analizziamo un altro studio morfologico di adesione sulle superfici Slide 7: sono mostrare alcune microfotografie eseguite tramite SEM, di osteoblasti mandibolari umani in adesione su diverse superfici, ottenute attraverso trattamenti di superficie di tipo fisico: Titanio lucidato e Ti macchinato, entrambi molto lisci sono quindi due finiture superficiali della parte dell’impianto in collegamento con la gengiva (es collo dell’impianto nelle viti degli impianti dentali); Ti nanostrutturato, sappiamo essere ottenuto per attacco acido con eventuale aggiunta di sabbiatura; Ti TPS, molto disordinato. Al tempo sperimentale di 24h sia sul Ti macchinato che su quello lucidato le cellule hanno un elevato grado di spreading alla superficie (quindi sono molto appiattite), ma non presentano contatti cellula-cellula a stabilizzare la loro adesione, quindi sono come entità separate adese alla superficie. Sul Ti nanostrutturato le cellule hanno raggiunto un buon grado di spreading, si mostrano appiattite e stabiliscono numerosi contatti intercellulari. Sul Ti TPS le cellule mantengono una morfologia allungata e ancora a questo tempo sperimentale sono presenti lunghi filopodi che sono indice di un contatto ancora non stabile delle cellule al substrato. Su questo materiale che presenta una porosità molto accentuata le cellule non seguono questa rugosità ma si posizionano a ponte tra i picchi della superficie I tempi sperimentali? Quanto tempo ci mette una cellula a aderire? Già dopo 6 ore dalla semina le cellule appaiono già estremamente appiattite e assumono già la morfologia di cellule in adesione, presentano inoltre estroflessioni più o meno larghe: nel primo caso si tratta di lamellopodi, nel secondo caso di filopodi, entrambe sono strutture di avanzamento di migrazione cellulare, tramite cui la cellula controlla e testa l’ambiente cellulare in cui si trova ad essere inglobata, a questo tempo sperimentale anche i contatti cellula- cellula cominciano ad essere stabiliti. Con il passare del tempo, questa morfologia va a distinguersi sulle diverse superfici: molto appiattite su quelle lisce e appiattite ma con numerose estroflessioni in quelle più rugose, addirittura nel TPS ci sono cellule con un citoplasma estremamente teso che non riescono, per la rugosità elevata del materiale, a stendersi secondo la rugosità ma si mettono a ponte tra due picchi, quindi il TPS che è molto rugoso, può portare cellulare ad avere delle fratture a livello di monolayer, perché le cellule sono estremamente tese. Le cellule, utilizzate nell'analisi di queste superfici, sono osteoblasti mandibolari umani; vediamo che già dopo 6h dalla semina, le cellule appaiono estremamente appiattite sia sul titanio macchinato che su quello lucidato; mentre è presente una morfologia più eterogenea con numerose estroflessioni cellulari (composte in particolare da lamellopodi e filopodi, strutture di ancoraggio al substrato metallico). Un quadro piuttosto simile ma con cellule più allungate e una morfologia fusiforme si presenta anche sul TPS. slide 9: Scanning Electron Microscopy - TITANIO TPS - Morfologia caratteristica delle cellule sul ti TPS mostra ad elevato ingrandimento la caratteristica morfologia a ponte che assumono le cellule quando la rugosità è troppo elevata per andare a ottenere un'adesione al substrato, le cellule proliferando arrivano a formare un monolayer sulla superficie metallica, in cui si possono vedere tramite SEM, nei punti di maggior picco, anche delle fratture, in quanto la tensione dei citoscheletri è troppo elevata per essere mantenuta. Immunofluorescenza per Adesioni focali: Quando una cellula stabilisce dei collegamenti stabili con l’ambiente cellulari? Quando si formano le adesioni focali (strumento per valutare il timing del processo di adesione e la quantità di adesione in condizioni variabili). Le Adesioni Focali rappresentano quei contatti stabili, tra il citoscheletro, la membrana cellulare e il layer proteico extracellulare. Tale layer, nel nostro caso sarà deposto sulla superficie del biomateriale, e dunque agisce come se fosse una matrice extracellulare, le integrine fungono da recettori e si trovano nella parte extracellulare (per il dominio delle proteine della matrice), loro stesse avranno un dominio intra-citoplasmatico che legherà con le proteine del citoscheletro (passaggio importante). Slide 10: mostra una reazione di immunofluorescenza (microscopia a fluorescenza), abbiamo usato degli anticorpi per detectare antigeni specifici, in questo caso la vinculina (in verde) proteina che fa da ponte tra integrine e citoscheletro, punti in cui si sarà formata l’adesione focale; il resto della colorazione è il DAPI (in blu), un intercalante che fa una contro colorazione nucleare, l’altra è una colorazione eseguita con la falloidina (tossina derivante dalla amanita falloide) che ha tropismo per il citoscheletro e quindi va a marcare i filamenti di actina (in rosso). L’analisi in microscopia elettronica a scansione è stata affiancata dall’ analisi delle adesioni focali in immunofluorescenza. Questa analisi ci permette di identificare la morfologia e il timing di formazione delle adesioni focali alle diverse superfici. In particolare, le adesioni focali rappresentano i contatti stabili tra il citoscheletro cellulare e la membrana cellulare al layer proteico che si deposita sulla superficie dei materiali. La reazione è una reazione multipla di immunofluorescenza indiretta Le componenti rilevate sono: Blu (DAPI) = Nucleo, Rosso = Actina, Verde = Vinculina (ad.focale). Vedete che in questo caso, anche con l'analisi delle adesioni focali si ha un buon riscontro con la morfologia in sé e quanto detto della stabilizzazione che comincia a essere presente sui bordi delle cellule, sulle cellule che stanno aderendo, mentre è presente solo a livello di citoplasma nelle cellule sul TPS perché non riescono a formare dei contatti stabili. Ti macchinato 24h Vs Ti Lucidato 24h Dalla nostra analisi è emerso che le adesioni focali si sono formate su tutte le superfici in esame dopo 24 ore di coltura. La morfologia del citoscheletro è assimilabile alla morfologia cellulare riscontrabile dall’analisi in microscopia elettronica Ti nanostrutturato Vs Ti TPS Anche in questo caso, vedete che, iniziano a formarsi sul nanostrutturato le adesioni focali ai margini della cellula mentre sul TPS ancora non riescono a essere stabilizzati dalle adesioni focali. Da una reazione di immunofluorescenza + morfologia in SEM si può andare a studiare il tempismo di formazione delle adesioni focali. Ci sono poi dei sistemi di analisi di immagini e quantificazione che permettono all’operatore, oltre che un’analisi qualitativa, di andare a quantificare questi segnali prodotti dalla reazione. Come si può valutare in vivo, la bontà dell’adesione e la neoformazione ossea, osteointegazione all’interfaccia? Passiamo a studi in vivo (finora viste in vitro) che valutano osteointegrazione di Ti soggetto a modifiche di tipo fisico. Slide 13 Osteointegrazione: 2 mesi post-implantari Immagini di un istologico di una vite di Ti con superficie trattata con metodo fisico (immagine ottenuta con microscopia in campo chiaro, con luce polarizzata). È visibile l’osteointegrazione del t. osseo ed in particolare l’andamento circonferenziale del t. osseo neoformato rispetto alla superficie implantare, dopo che l’impianto è stato impiantato per 2 mesi nell’animale (quindi 2 mesi di tempo per la neoformazione di tessuto osseo all’interfaccia). In questo caso, tutto ciò che è rosa = è resina (spazio tra le trabecole) mentre tutto ciò che è giallo/blu = è t. osseo in microscopia a luce polarizzata, che quindi devia il fascio di polarizzazione e appare con questi colori. Quindi rispetto all’immagine di partenza (che aveva le trabecole rosse e aveva del tessuto connettivo tra tessuto osseo e impianto, slide 3 direi) dove il titanio non era trattato, il titanio trattato con un metodo fisico produce invece questo quadro istologico: contatto diretto tra il tessuto osseo e l’impianto, è quindi sufficiente una modifica della rugosità del materiale, per creare un contatto diretto nell’osteointegrazione di impianti in Ti. Andando ad affinare, con una specifica colorazione e un ingrandimento maggiore, si vede come tra le spire della vite dell’impianto, si va a creare proprio questa deposizione massima di tessuto osseo non frammista con tessuto connettivo fibroso, quindi solo tessuto osseo. Abbiamo quindi già sorpassato il problema dell’interposizione di t. connettivo fibroso: il titanio RUGOSO stimola la formazione diretta con il t. osseo, quindi una buona osteo-integrazione. Tutta la ricerca avvenuta successivamente sulla superficie implantare, non è più volta a migliorare l’osteointegraione, che già con questi trattamenti si otteneva, quanto piuttosto a migliorare la velocità con cui la si otteneva! Ciò significava poter caricare gli impianti precocemente (è una richiesta clinica). A più elevato ingrandimento una sezione colorata con tricromica di goldner (in basso a dx), in verde, è chiaramente visibile il contatto diretto tra osso ed impianto, non vi è più quindi l’interposizione di tessuto fibroso per cui il problema iniziale di questo materiale è stato superato. La ricerca sviluppata sul titanio successivamente è indirizzato non tanto al raggiungimento di una migliore osteointegrazione, quan to al raggiungimento più rapido di questa in modo da poter supportare le richieste cliniche di impianti caricabili precocemente. Metodi chimici Comprendono il rivestimento del corpo dell’impianto con materiali bioattivi, cioè ceramiche di fosfato di calcio e idrossiapatite (HA), aventi una struttura molto simile alla porzione inorganica del tessuto osseo, proprio per questa similitudine strutturale, sono stati scelti come rivestimento degli impianti. Questo rivestimento può essere effettuato con la tecnica plasma spray (TPS)! Questi rivestimenti stimolano un forte ancoraggio con il tessuto osseo ed essendo strutturalmente simili ad esso, vengono riconosciuti come se fossero delle strutture self e metabolizzati dall’organismo con una velocità variabile, che dipende dal grado di cristallinità delle ceramiche e dall’idrossiapatite utilizzati. Lo strato esterno di questi biomateriali (come visto anche nel caso del biovetro), una volta che il rivestimento (di ceramica di fosfato di calcio o idrossiapatite) è in contatto con l’ambiente biologico si va a ricoprire di uno stato biologicamente attivo, che funge da superficie di legame per gli osteoblasti. I problemi connessi con l'utilizzo di protesi metalliche sono legati al fatto che sono diverse dai tessuti naturali, sia sotto il profilo meccanico sia sotto quello della composizione. La componente inorganica di tutti i tessuti mineralizzati dell'organismo umano è costituita in grande prevalenza da sali di fosfato di calcio, pertanto per migliorare l'integrazione tra la protesi metallica e il sito di impianto è stata presa in considerazione la possibilità di rivestire il substrato metallico con materiali che abbiano una composizione simile al tessuto osseo. Motivo per cui si è pensato di rivestire il metallo (titanio) con materiali bioattivi, come ceramiche di fosfato di calcio o idrossiapatite. Le ceramiche sono materiali resistenti alla compressione, ma come lo smalto sono fragili, per cui il loro impiego è limitato, tra le due forme di ceramiche porosa e densa, quelle porose sono molto più fragili di quelle dense. Allo scopo di migliorare le scarse proprietà meccaniche delle ceramiche, mantenendone le ottime caratteristiche biologiche, si è pensato di utilizzare il titanio o una sua lega come corpo di impianti la cui superficie fosse rivestita con idrossiapatite. La superficie di questo materiale a contatto con l'ambiente biologico si ricopre di uno strato biologicamente attivo, formato da piccoli cristalli di idrossiapatite e piccole quantità di gruppi carbonato. Questi cristalli risultano chimicamente e strutturalmente identici alla parte minerale dell'osso e pertanto generano forti legami con il tessuto osseo circostante, creando un’ottima osteointegrazione. La tecnologia di rivestimento, generalmente effettuata attraverso una tecnica TPS, provoca un forte ancoraggio col tessuto osseo. L'HA proprio per la somiglianza con il tessuto naturale viene metabolizzata dall'organismo con velocità variabile a seconda della struttura, della composizione chimica e della superficie all'interfaccia. Il riassorbimento potrebbe essere legato ad una dissoluzione del materiale determinata dai fluidi biologici, oppure da un'azione legata all'attività cellulare (fagocitosi). Slide 15: Confronto tra Ti rivestito con HA visualizzato in luce polarizzata e in microscopia a fluorescenza Nell’immagine istologica osserviamo il corpo dell’impianto in Ti, rivestito con uno strato di idrossiapatite e il t. osseo in diretto contatto con il rivestimento. Le immagini sono una in luce polarizzata e una in fluorescenza (molto utile nelle sperimentazioni in vivo) con marcatori ossei vitali. Usando la microscopia a fluorescenza (con Calcein Green), durante il periodo sperimentale quando l’animale è in vita, si vanno a somministrare dei marcatori che si legano in modo specifico all’osso in neoformazione. In questo caso dobbiamo solo visualizzare la fluorescenza, non abbiamo nessun antigene-anticorpo per sviluppare la fluorescenza: è la persistenza del marcatore fluorescente all’interno del sito osseo, che sviluppa queste linee di fluorescenza. Dove presente la linea di fluorescenza, ci indica il punto in cui il fronte osseo è in attiva deposizione! Dall’immagine vediamo che esso è attivo proprio al limitare tra il rivestimento di idrossiapatite e la presenza di tessuto osseo, quindi anche in questo caso viene confermata la stretta apposizione tra il t. osseo e il rivestimento, e in più utilizzando i marcatori ossei vitali possiamo fare delle misurazioni di velocità, ossia capire a che velocità quel fronte osteogenico sta deponendo. Perciò La microscopia a fluorescenza con Calcein Green permette quindi di osservare la marcatura (marcatore vitale che evidenzia il tessuto osseo neodeposto). Le marcature ossee vitali vanno a evidenziare in modo fluorescente i fronti di ossificazione, in particolare il tessuto osseo neodeposto. Il tessuto neodeposto si trova in stretto contatto con l’idrossiapatite Usando luce polarizzata: si nota chiaramente l’intimo contatto del tessuto osseo con l’idrossiapatite che riveste l’impianto (contatto in ogni piccola porosità). Ovviamente, in questo caso, è un tessuto osseo non decalcificato. NB: nella metodologia di microscopia a luce polarizzata, il tessuto osseo si colora di rosa, blu e giallo. Biovetri Un’altra possibilità di rivestimento dei biomateriali metallici è quella dei rivestimenti con biovetri (non arrivati all’uso commerciale). I biovetri appartengono classe di materiali ceramici e sono in grado di instaurare un legame con le fibre del collagene della matrice extracellulare del tessuto osseo, una volta stabiliti questi legami, i biovetri sono in grado di indurre la mineralizzazione e attivare le cellule osteoblastiche per la colonizzazione della superficie. Cosa succede dopo l’inserimento dell’impianto? Si forma, all’interfaccia, uno strato di gel ricco di silicio arricchito con calcio e fosforo, questa è la superficie attiva, che poi produrrà a cascata la deposizione di apatite idrossicarbonata, che funge da superficie attiva di legame tra le cellule e il materiale. Questo produce un forte ancoraggio tra le cellule e il t. osseo circostante e quindi, la colonizzazione attraverso la proliferazione delle cellule osteoblastiche e la loro differenziazione in questa superficie bioattiva di legame. il biovetro ha due capacità distinte di stimolare il t. osseo: - osteoproduzione = va a stimolare la produzione di matrice oltre che la proliferazione cellulare, quindi proprio la neoformazione ossea - osteoconduzione = nel riassorbirsi, il biovetro traina la direzionalità alla neoformazione ossea I biovetri sono in grado di instaurare un legame con le fibre collagene, presenti nella ECM del tessuto osseo, e di indurre la mineralizzazione di queste ultime con attivazione di cellule osteoblastiche e la fornitura di sostanze minerali (Sali di calcio e fosforo) Dopo l’inserimento dell’impianto, si forma uno strato di gel ricco di silicio alla superficie del materiale, nella cui parte superiore si deposita uno strato ricco di calcio e fosfati provenienti dal calcio e dal fosforo costituenti del biovetro e dell’organismo. Questo strato è in effetti apatite idrossicarbonata che funge da superficie attiva di legame, chimicamente e strutturalmente identica alla sostanza minerale dell’osso minerale; Gli strati superficiali attivi si sviluppano in pochi minuti dall’inserimento in vivo del materiale. Le cellule osteogeniche e le fibre collagene dei tessuti colonizzano la superficie bioattiva, incorporandosi nello strato di gel di silicio e iniziando la produzione di tessuto osseo, Il risultato delle reazioni che si sviluppano quando il biovetro è messo a contatto con il tessuto osseo è la rapida stimolazione della ricrescita dell’osso naturale, che sostituisce in tempi brevi il materiale artificiale che fornisce inoltre l’impalcatura meccanica entro cui l’osso naturale ricresce. Osserviamo uno studio in vitro riguardo l’adesione degli osteoblasti al biovetro Al Sem è visualizzabile una cellula osteoblastica che al t=0 è rotondeggiante (stadio precoce) dopodiché comincia ad esplorare l’ambiente circostante emettendo numerose protrusioni (lamellopodi e fillopodi) e assumendo, poi alla fine del processo di adesione, una forma appiattita sulla superficie del biomateriale (appiattita anche nella zona centrale dove è presente il nucleo). Questo è indice del fatto che è avvenuto lo spreading cellulare, ovvero il fenomeno che unisce l’attività adesiva della superficie cellulare con la rete contrattile intracellulare, si sono formati i contatti focali. In seguito a questo fenomeno l’adesione cellulare è considerata irreversibile. A conferma di quest’analisi morfologica si abbina, anche in questo caso, un’analisi per l’adesione focale eseguito con la microscopia in epifluorescenza: attraverso una marcatura specifica (tripla marcatura) è possibile visualizzare l’andamento dei filamenti di actina (rosso), la localizzazione della vinculina (verde), implicata nei contatti focali, ed il nucleo (blu). Tali analisi sono quindi un riferimento delle strategie adottate in vitro, per la valutazione a priori di una particolare superficie, prima di testarla in un modello animale! Se le superfici che si vengono a testare in vitro si ritiene non diano degli outcome sufficientemente importanti da giustificarne la sperimentazione in vivo, si rinuncia ad essa! In vivo ci si arriva solo con quei materiali che in vitro risultano davvero promettenti. Slide 19 Ti + Biovetro: Microscopia a fluorescenza (Calcein Green) Vs Microscopia in luce polarizzata Si tratta di una comparazione tra un impianto in titanio più biovetro e uno in titanio liscio (il controllo): il fronte osteogenico, nel caso del titanio liscio è ancora distante mentre è vicinale nel titanio + biovetro (ad un certo tempo sperimentale, t≠0). Circa dopo 8 mesi, il rivestimento di biovetro che era stato posto in contatto con il corpo dell’impianto si è praticamente tutto riassorbito, avendo condotto la neoformazione di tessuto osseo fino al margine implantare. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un provino in titanio con un lato rivestito da biovetro ed un lato non rivestito che funge da controllo, questa immagine è in microscopia a fluoresecenza e permette di visualizzare la marcatura effettuata con CG (mette in evidenza la neodeposizione ossea) è chiaramente osservabile come il rivestimento di biovetro stimoli la neodeposizione ossea direttamente sul materiale. Nel secondo caso viene mostrato l’impianto di ti rivestito dopo 8 mesi; il biovetro è stato completamente degradato e vi è apposizione diretta tra impianto in titanio e tessuto osseo. Doppi Rivestimenti Attraverso questi studi si è anche pensato, a livello di ricerca, di mettere in piedi doppi rivestimenti: Titanio + idrossiapatite (HA) + biovetro. Lo strato più superficiale, a contatto con l’osso, è quello composto da biovetro mentre quello più profondo è composto da HA. Ciò è stato pensato al fine di sfruttare le caratteristiche osteoformative di entrambi i materiali. Con questo doppio rivestimento si intende ottenere, nei tempi immediatamente successivi all’impianto, l’effetto osteoconduttivo dovuto alla degradazione del biovetro, e in tempi più lunghi, una volta completamente riassorbito il biovetro, un legame più stretto e diretto che perduri tra idrossiapatite e tessuto osseo neoformato (duplice effetto). Queste sperimentazioni non sono mai arrivate nella fase pre-clinica! Tempo post impianto: 1. Effetto osteoconduttivo dovuto all’azione della degradazione del biovetro 2. Legame diretto tra idrossiapatite e tessuto osseo neoformato Slide 21: Sperimentazione relativa alla doppia stratificazione Ti + HA + Biovetro Vedete delle microfotografie degli studi sperimentali a un 1 e 4 mesi, di questi materiali a doppio rivestimento. Ad entrambi i tempi sperimentali si nota l’aderenza del tessuto osseo al rivestimento. Al tempo sperimentale di 4 mesi il rivestimento di biovetro è stato degradato grazie all’azione del metabolismo tissutale. Anche il doppio rivestimento, porta dunque a buoni risultati a livello di osteointegrazione, tuttavia la loro PROBLEMATICA è data all’utilizzo del rivestimento stesso ossia dalla stabilità di legame tra il rivestimento e il corpo dell’impianto (struttura metallica): essendo un rivestimento, in questo materiale c’è sempre un’interfaccia in cui è possibile che si crei una delaminazione e che quindi la parte di rivestimento delamini rispetto al corpo dell’impianto andando a creare problematiche importanti. In altre parole, è possibile che si formi un’interfaccia non completamente stabile ed aderente al metallo. Per cui da queste osservazioni nasce la richiesta di rendere direttamente bioattiva la superficie del titanio, senza rivestirla con altri materiali…Ciò si ottiene attraverso la funzionalizzazione biochimica, una delle principali metodologie di modifica più recenti. NB: nei metodi fisici il needing era velocizzare l’osteointegrazione, mentre nel caso dei metodi chimici il needing è rendere bioattiva direttamente la superficie del titanio! Funzionalizzazione biochimica È la funzionalizzazione dei biomateriali in cui viene coinvolta direttamente la biologia molecolare del t. osseo e delle cellule. Approccio innovativo molto più smart rispetto a quelli sviluppati con rivestimenti classici. La funzionalizzazione biochimica è una tipologia di funzionalizzazione, è un metodo di modifica della superficie, che sfrutta le attuali conoscenze biologiche, molecolari e biochimiche, relative alle funzioni e al differenziamento cellulare. Le conoscenze, sempre più approfondite, riguardo una serie di biomolecole localizzate nella matrice extracellulare e sulla superficie cellulare, che possono promuovere la migrazione, l’adesione, la proliferazione, il differenziamento cellulare, ha permesso la progettazione e la realizzazione di sistemi per controllare le risposte cellulari all’interfaccia ossia di una nuova generazione di biomateriali. Quello che si vuole ottenere con la funzionalizzazione biochimica è conferire al materiale una specifica attività biologica, inducendo delle specifiche risposte cellulari e tissutali e quindi andare a bio-ingegnerizzare l’interfaccia per controllare l’interfaccia tra il tessuto e l’impianto. In base alle biomolecole coinvolte, i processi controllabili con questa tipologia di funzionalizzazione sono molteplici: la proliferazione/adesione cellulare, l’homing ossia il richiamo di cellule (magari staminali circolanti), stimolare la produzione di biomatrice, diminuire la risposta infiammatoria (biomateriale immunomodulante). Le applicazioni più gettonate, in ambito endosseo (di osteo-integrazione) sono principalmente di due tipi: 1) favorire la proliferazione all’interfaccia di cellule osteoinducenti: osteoblastiche o osteoprogenitrici e quindi indurre una maggior produzione di matrice (NB modulare la proliferazione può sempre avere un certo grado di pericolosità, poiché andandolo ad aumentare può creare una “intersezione” con il processo di tumorigenesi); 2) promuovere l’adesione di cellule specifiche, ossia osteoblasti o osteoprogenitrici direttamente alla superficie dell’impianto (più sicuro dal punto di vista precedente) Lo scopo è quindi proprio quello di andare a controllare dei fenomeni fisiologicamente presenti all’interfaccia! Come si attua la funzionalizzazione biochimica? La funzionalizzazione biochimica consiste nell’immobilizzazione sulla superficie del materiale, di proteine, peptidi, o enzimi aventi una specifica attività biologica, quali: IGF-1, IGF-2, TGF-β e BMP = osteoinducendi (promuovono la formazione di matrice extracellulare); collagene, fibronectina e vitronectina (molecole della ECM) = che promuovono l’adesione cellulare. Domani vedremo come diversi fattori di nostro interesse, possono essere implantare sulla superficie implantare? Che caratteristiche devono avere per esplicare la loro attività biologica? Vedremo da questo la costruzione di uno studio intero!