PDF Atlante degli archivi nell'era digitale – Giuliano Sergio
Document Details

Uploaded by IntriguingNephrite6280
NABA - Nuova Accademia di Belle Arti, Milano
Giuliano Sergio
Tags
Summary
L'Atlante degli archivi nell'era digitale, scritto da Giuliano Sergio, esamina la digitalizzazione dei documenti italiani e il suo impatto sulla cultura, storia e memoria. L'autore esplora come la digitalizzazione stia trasformando gli archivi, offrendo nuove opportunità per la conservazione e l'accesso alla memoria collettiva e storica. Il lavoro si concentra sull'analisi delle iniziative di digitalizzazione, offrendo una panoramica dei cambiamenti in atto.
Full Transcript
Per un Atlante degli archivi nell’era digitale Giuliano Sergio «Solo a un’umanità redenta tocca in eredità piena il suo passato»1 Il 31 dicembre 2011 Tim Berners-Lee pubblicava un articolo su “The Times” dal titolo There’s gold to be mined from all our data2. L’inventore de...
Per un Atlante degli archivi nell’era digitale Giuliano Sergio «Solo a un’umanità redenta tocca in eredità piena il suo passato»1 Il 31 dicembre 2011 Tim Berners-Lee pubblicava un articolo su “The Times” dal titolo There’s gold to be mined from all our data2. L’inventore del World Wide Web salutava l’arri- vo del nuovo anno annunciando che i documenti digitalizzati sarebbero stati le miniere d’oro del futuro. Come sappiamo la sua premonizione si è avverata, la trasmissione della memoria è uno dei settori più floridi dell’era digitale. La disponibilità di immagini e suoni ha rivoluzionato il nostro sistema di comunicazione, di apprendimento, di rela- zione, ridefinendo l’esperienza quotidiana del mondo e della storia3. Vaste campagne di digitalizzazione ci permettono di riscoprire le collezioni pubbliche e private, di collegare eventi e luoghi al loro passato. Ritrovare i volti delle precedenti generazioni, studiarne i costumi e le abitudini, dà la possibilità di curiosare oltre la storia ufficiale per rivivere la cultura popolare che ci ha preceduti. L’Atlante degli archivi fotografici e audiovisivi italiani digitalizzati vuole offrire uno stru- mento per conoscere la quantità del patrimonio attualmente digitalizzato relativo alla storia italiana del secolo scorso. L’indagine prende le mosse nel 2011, quando l’ufficio del museo M9, coordinato dal project manager Guido Guerzoni, realizza una pubblicazione volta a dare una prima descrizione dettagliata dei contenuti del museo e prevede un’am- pia sezione permanente dedicata alla narrazione della storia nazionale del Novecento. In quel volume veniva pienamente espressa l’idea di un museo editore, privo di collezioni, capace di raccontare le vicende sociali ed economiche italiane, l’evoluzione delle tradizio- ni e dei costumi, attraverso parole, immagini e suoni del passato. L’ultima sezione del volume presentava una prima sommaria indagine su diverse fonti multimediali digita- lizzate dagli archivi italiani4. Era una ricerca ancora meramente strumentale, per valutare quanto e cosa fosse disponibile per le esigenze del museo, eppure in quella ricognizione emergeva chiara la potenzialità di uno studio strutturato, che potesse fornire dati verifica- ti su un campione più ampio, capaci di offrire un panorama complessivo della situazione nazionale, di confrontare le iniziative pubbliche e private, di comparare metodologie e finalità, tracciando i confini delle diverse politiche di digitalizzazione in corso. Geografie di un passaggio L’Atlante si pone a metà strada tra gli studi che indagano gli archivi dei media analogi- giuliano sergio 26 ci (fotografia, cinema, televisione, radio ecc.) e le discipline emergenti, come la public history5, che valutano le nuove possibilità informatiche di documentazione e rappresen- tazione offerte dall’era digitale. Il fenomeno di riversamento – o ri-mediazione6 – dei documenti novecenteschi ha risvegliato un ampio dibattito e molte riflessioni teoriche stanno valutando le conseguenze etiche e ontologiche7 di questa conversione8. Una lettera- tura sempre più ricca – spesso riferita agli archivi fotografici – descrive con attenzione le implicazioni culturali e scientifiche dell’ordinamento di un archivio, l’importanza delle circostanze che lo hanno istituito e delle tracce che in esso si conservano. Il monito è quello di considerare tutti gli elementi che un archivio produce e conserva: “scatole, eti- chette, cartoni di montaggio, numeri di inventario, iscrizioni, registri, cataloghi, nonché le pratiche burocratiche interne sull’organizzazione delle campagne, l’acquisizione delle fotografie, le scelte relative agli standard di catalogazione e ai progetti di digitalizzazione, e infine le pubblicazioni, digitali e cartacee”9. Anche questi sono “documenti” importanti che permettono di ricostruire la storia degli enti, di rileggerne le finalità, le influenze sociali e politiche, rivelando tasselli preziosi della cultura locale che li ha istituiti. Si tratta di individuare una microstoria degli oggetti più che delle persone, dove le indicazioni a corredo dei documenti, se esaminate attentamente, offrono informazioni preziose an- che a livello della macrostoria10. Tale consapevolezza nasce, non a caso, nel momento di una massiccia traduzione dei sistemi di comunicazione; ci si accorge che quanto sta per scomparire, la forma archivio come l’abbiamo conosciuta nell’ultimo secolo e mezzo, in realtà custodisce una cultura che va oltre le singole fonti: “nell’archivio troviamo non solo informazioni, ma sapere”11; non semplici immagini, musiche e voci, ma un modo di raccoglierle, catalogarle e conservarle. La discussione sui documenti, l’importanza ribadita della loro materialità e degli ar- chivi che li ordinano, è un aspetto imprescindibile che sta fornendo un quadro teorico, normativo e deontologico prezioso per definire le condizioni ottimali di studio e cata- logazione di questi patrimoni. L’Atlante, occupandosi della digitalizzazione in atto non dimentica il valore degli oggetti-documento, al contrario, cerca di presentare elementi di chiarezza, raccontando la trasformazione in corso e le sue modalità, descrivendo le sue consistenze per mappare il territorio del quale si discute. Tuttavia questa ricer- ca non può essere la sede di giudizi e selezioni: sarebbe un errore descrivere solo i casi che considerano la digitalizzazione quale ultima fase conservativa di un processo che guarda all’archivio come patrimonio storico unitario12. Nelle schede che seguono è possibile vedere come il passaggio al digitale coinvolga tutte le tipologie di raccolte audiovisive e fotografiche. Il contributo maggiore che si prefigge il volume è proprio quello di mostrare le molteplici situazioni esistenti, offrendo un panorama che accosti le pratiche scientifiche a quelle ibride, testimoniando le più diverse finalità: la posta in gioco è la nostra memoria collettiva, si tratta di disegnare una geografia che possa comporre il quadro e definire i modi della sua trasmissione. In altre parole l’Atlante permette di confrontare quanto già fatto, descrive le strategie che stanno selezionando la storia che racconteremo domani. 27 per un atlante degli archivi nell’era digitale Hic sunt leones Partendo da tale consapevolezza, il progetto di una ricerca sistematica sugli archivi au- diovisivi ha richiesto diverse considerazioni. Innanzitutto la scelta del punto di vista, che nel presente volume resta quello strumentale: l’Atlante prende in considerazione unica- mente i patrimoni mediali storici di istituti pubblici e privati digitalizzati o in corso di digitalizzazione, escludendo quelli analogici, anche se cospicui, in quanto non accessibili attraverso le nuove tecnologie. La ricerca si rivolge a tre categorie di utenti: gli operatori – editori, curatori di musei, giornalisti e registi, e più in generale gli studiosi del secolo appena trascorso – che sono in costante ricerca di documenti legati alla memoria e alla storia del Novecento; le istitu- zioni pubbliche e private – come le agenzie fotografiche, le aziende, i centri di studio uni- versitari, le banche, le fondazioni e le associazioni culturali, i circoli – per rappresentare al meglio i loro progetti e darne adeguata visibilità e conoscenza. Il volume vuole inoltre essere uno strumento per quanti studiano gli attuali processi di informatizzazione dei dati e dei documenti. Le schede offrono uno stato dell’arte – certo non esaustivo, ma quantomeno cospicuo – rispetto alle politiche di digitalizzazione in corso in Italia, moni- torate fino a tutto dicembre 201413. Si tratta di definire le coordinate della trasformazione di un patrimonio ancora scono- sciuto e multiforme, non solo per l’estrema varietà dei materiali. Una delle difficoltà maggiori nel rappresentare il fenomeno della digitalizzazione è il reperimento online degli archivi. “Per motivi congiuntamente tecnici e giuridici, legati cioè al diritto d’auto- re”14, i fondi digitalizzati non sono di norma visibili ai motori di ricerca come Google. È una protezione che oppone il surface web, esplorato dai normali motori di ricerca, al deep web i cui contenuti sono accessibili solo attraverso specifici accessi e abilitazioni15. Un altro ostacolo è la diversa considerazione che i responsabili hanno dei loro fondi. Non tutti ad esempio li considerano patrimonio storico, a volte sono ancora archivi correnti, nei quali gli uffici della comunicazione di aziende e di enti accumulano le proprie produ- zioni, pronte a essere riutilizzate a ogni buon conto. Di fronte a scelte di questo genere – dovute spesso alla mancata decorrenza dei termini di legge – l’Atlante non ha potuto procedere alla schedatura. Sono situazioni che hanno impedito finora di schedare molte radio storiche e comportano inaccessibilità a volte inattese. Così, ad esempio, il lettore che volesse informarsi delle consistenze del patrimonio di Mediaset e non solo di quello RAI – reso ormai disponibile dal progetto “Teche” – resterà deluso, eppure non è una di- menticanza della ricerca, ma un dato di fatto interessante da notare: ancora nel 2014 gli archivi Mediaset non erano considerati dall’azienda storici ma correnti, né i contratti di produzione prevedono cessione totale dei diritti. In pratica, il materiale conservato non può ancora essere comunicato, né consultato senza l’assenso di autori, registi e attori che di volta in volta hanno lavorato nelle produzioni televisive. Tuttavia, in casi come questi, il surface web si rivela di grande aiuto. Grazie alle pratiche partecipative, la rete offre un accesso spesso notevole a documenti storici liberamente fruibili su piattaforme come YouTube o rintracciabili attraverso motori di ricerca quali Google, che colmano almeno in parte le lacune del deep web, soprattutto nel caso di un’azienda come Mediaset che la- giuliano sergio 28 vora nell’ambito delle telecomunicazioni. Un altro esempio delle difficoltà che si possono incontrare nella mappatura del patrimonio audiovisivo può essere rappresentato dall’Ar- chivio storico INA che, all’epoca dell’indagine preliminare del presente lavoro, doveva an- cora concludere la quantificazione dell’immenso patrimonio fotografico e audiovisivo in esso conservato16. Anche questo è un archivio fondamentale della storia nazionale, basti pensare al programma INA-Casa (1949-1963) che ha ridisegnato il paesaggio urbano di moltissime città negli anni della ricostruzione, determinando l’ambiente in cui sono cresciute generazioni di italiani. Oggi quei documenti sono visibili in parte presso gli archivi dei comuni e degli enti locali, o rintracciabili nei fondi degli architetti che hanno partecipato al progetto, lasciando le proprie carte a fondazioni, università e archivi di Stato. Una moltiplicazione di fonti che la digitalizzazione sta rapidamente integrando grazie alla collaborazione che l’Archivio storico INA Assitalia ha stretto con il portale degli Archivi di impresa del SAN - Sistema archivistico nazionale. Se le difficoltà giuridiche e le dispersioni possono essere superate dalle risorse online, ancora diverso è il caso della Fondazione Ansaldo che alla fine degli anni ottanta ha sviluppato un pionieristico progetto di digitalizzazione dei propri fondi fotografici con la tecnologia del videodisco. Quel lavoro approfondito di riproduzione e schedatura di oltre 35.000 immagini non è compatibile con le attuali tecnologie: le fotografie, digitalizzate venticinque anni fa, sono consultabili solo in sede, non essendo stampabili ne esportabili nei formati attuali. Oggi alcuni progetti successivi permettono di fruire di circa ottomila immagini digitalizzate, consentendo un parziale risarcimento di quello che era stato un progetto anticipatore. Gli esempi citati mostrano come una valutazione del processo di digitalizzazione dei documenti deve tener conto delle specifiche realtà che influenzano l’accessibilità degli archivi, modellando indirettamente l’accesso al nostro passato. Sono fattori che possono escludere episodi significativi della nostra cultura – che pure conserviamo in numero- sissimi supporti analogici – precludendoli alla narrazione mediatica virtuale che sta co- struendo la storia di domani. Emerge allora una “materialità” delle raccolte di documenti digitalizzati, fatta delle tecnologie impiegate, delle selezioni di volta in volta compiute, delle circostanze giuridiche, tecniche ed economiche che hanno stimolato (o impedito) campagne specifiche, una forma degli archivi digitali che non sostituisce i vecchi archivi ma si sovrappone ad essi, aggiungendo nuove tracce e protocolli di cui questo lavoro cerca di dare un primo resoconto. Presenze e assenze segnano sicuramente i limiti interni di una ricerca che non pretende di essere un censimento, ma fanno anche emergere la consapevolezza ancora intermit- tente che gli istituti hanno del patrimonio documentario da loro prodotto e conservato. Come le antiche carte che iniziavano a raccogliere in un disegno organico le conoscenze geografiche di un periodo, questo Atlante offre molte zone grigie e tratteggia linee lì dove il territorio è ancora sconosciuto: hic sunt leones scrivevano un tempo i cartografi antichi, stimolando il desiderio degli esploratori più audaci. Ci auguriamo di poter essere altret- tanto efficaci, che le lacune attuali motivino ricercatori e conservatori a intraprendere nuove esplorazioni per scoprire e tradurre le memorie conservate nei nostri archivi. 29 per un atlante degli archivi nell’era digitale Delimitare il territorio dell’Atlante I criteri di indagine adottati per questa edizione mirano a una conoscenza il più possibile estesa dei progetti di digitalizzazione attualmente in corso nei settori pubblico e privato. Un esame di tutte le istituzioni avrebbe richiesto tempi eccessivi, rendendo obsoleti i dati raccolti. Si è proceduto, quindi, alla sistematica consultazione dei principali censimenti già eseguiti sul territorio nazionale e locale, studi spesso tipologici per media sonori, fotografici e audiovisivi17. Un altro approccio è stato quello di consultare gli studi sugli archivi legati a specifici soggetti: dalla moda alle imprese, dalla politica, alla musica, al teatro, dall’urbanistica ai beni culturali, grazie a una letteratura che ha analizzato queste tipologie di raccolte spesso su base regionale18. Questo livello di lettura ha permesso di individuare archivi di associazioni politiche e sindacali, radio private, cooperative, centri di raccolta e di produzione video, archivi di comunità religiose, di associazioni sportive e aziende sanitarie, fondazioni bancarie e industriali. Nella maggioranza dei casi gli studi consultati non analizzavano la digitalizzazione come elemento distintivo19 ma sono stati fondamentali per selezionare i centri che conservano il patrimonio di nostro interesse. Le quattrocento schede che formano l’Atlante sono quanto resta di un’indagine che ha interpellato oltre settecento archivi, una base ampia da cui partire per sviluppare analisi e metodologie adeguate a descrivere il fenomeno. Per quanto riguarda le Soprintendenze, le Biblioteche nazionali e gli Archivi di Stato, è stata compiuta una rilevazione sistematica. La quasi totalità degli enti ha risposto of- frendo un quadro preciso degli attuali processi di digitalizzazione dei documenti sonori e audiovisivi, che permette una mappatura molto fedele del patrimonio presente nelle istituzioni statali20. Il lavoro realizzato dagli istituti pubblici sta in parte confluendo in diversi sistemi di coordinamento dei dati, promossi da vari enti ministeriali, che offrono una rappresentazione articolata del patrimonio audiovisivo pubblico e privato attraverso collaborazioni e progetti avviati nell’ultimo quindicennio. Nell’ambito degli enti privati, oltre a schedare i progetti dei maggiori detentori e fornitori di prodotti fotografici e audiovisivi, si è cercato di individuare le realtà private minori, non tanto il collezionismo, quanto gli archivi degli studi fotografici storici nati tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, che conservano fondi imprescindibili per rac- contare la storia delle grandi città e delle zone rurali, con affreschi preziosi della vita del tempo. Sono fondi spesso affidati a istituti locali (Biblioteche regionali, Archivi di Stato, fondazioni e musei comunali); altre volte è stato possibile localizzarli grazie alla colla- borazione delle Soprintendenze archivistiche e di esperti21, come nel caso degli archivi Parisio e Troncone a Napoli, Cappellani a Palermo, Negri a Brescia, anche se raramente i privati che posseggono questo tipo di fondi promuovono costose campagne di digita- lizzazione. Le tipologie di archivi finora citate sono solo esemplificative, l’elenco prosegue corposo nelle pagine a seguire, con chiarimenti sulla natura e sulle finalità delle istituzioni22. Moltissimi sono i progetti avviati, con modalità di archiviazione e riversamento molto diversi a seconda delle finalità e dei contesti in cui il processo avviene. Si tratta spesso di centri di documentazione che rispondono a vicende locali, realtà che sono lo specchio giuliano sergio 30 del territorio, frutto di politiche legate a circostanze storiche e sociali; in questo senso l’ordinamento geografico degli archivi è sembrato il più idoneo a restituire precisi aspetti culturali delle collezioni descritte. La ricerca si è avvalsa di un continuo scambio con i funzionari, specialisti e studiosi dei diversi settori pubblici e privati: un dialogo che ha permesso di sviluppare questo lavoro e che ci auguriamo possa continuare ora che il volume presenta i primi risultati di una situazione per sua natura in fieri. Il costante ag- giornamento dell’Atlante permetterà di scrivere la storia di questo processo inarrestabile. Geografie della memoria Il modello geografico adottato nell’Atlante consente di evidenziare la continuità tra i patri- moni descritti e la storia locale, e facilita una più immediata mappatura delle risorse di- sponibili in ciascuna regione. Inoltre, questo ordinamento permette delle considerazioni sull’equilibrio regionale tra l’attività pubblica legata all’iniziativa statale – Soprintenden- ze, Biblioteche, Archivi di Stato, e ancora i musei e le mediateche regionali, comunali ecc. – e le iniziative promosse da enti privati come le agenzie, le fondazioni e le aziende. Spesso questi equilibri rispecchiano una storia pregressa, anche pre-unitaria, dove gli antichi centri politici mostrano una maggiore dialettica di iniziative pubbliche e private, rispetto a regioni periferiche dove l’attività pubblica in questo settore è preminente. I programmi di digitalizzazione rispettano sostanzialmente le vicende storiche e socio- politiche di ogni regione. Gli archivi che documentano le due guerre mondiali sono mag- giormente presenti al Nord, e lo stesso vale per la memoria d’impresa, che qui ha avuto maggiore sviluppo. Vi sono comunque significative eccezioni: a Napoli, ad esempio, l’Ar- chivio storico dell’ENEL conserva un patrimonio industriale di interesse nazionale, che rac- coglie gli archivi storici degli otto compartimenti in cui era strutturata l’azienda, conser- vando anche la documentazione delle 1270 compagnie elettriche private confluite in ENEL a seguito della nazionalizzazione del 1962. Oltre alle concentrazioni esistono anche dislo- cazioni significative, come nel caso del Centro sperimentale di cinematografia di Roma che, nel 2006, ha aperto a Ivrea una sede intitolata Archivio nazionale cinema d’impresa, per raccogliere, conservare e digitalizzare i documenti visivi realizzati in ambito azienda- le. Al Sud è maggiore la concentrazione di archivi che sviluppano progetti sulla cultura musicale ed etnoantropologica. Tuttavia, un’analisi approfondita delle strategie locali ri- chiede di associare la presenza degli archivi regionali ai contributi dei portali; il confronto mostra significative integrazioni con documenti di storia locale raccolti in tutto il territorio nazionale e oltre. Un progetto come “Archivio Sonoro. La rete” è un interessante esempio di sinergia tra l’iniziativa dell’associazione Altrosud che attualmente opera nelle regioni centro-meridionali, e diversi istituti pubblici che in ciascuna regione ospitano uno speci- fico progetto. L’associazione culturale ha costruito sei diversi portali relativi alla musica in Abruzzo, Basilicata, Campania, Marche, Puglia e Umbria. Su ogni piattaforma si possono vedere, ascoltare e visionare estratti di documentazione relativa alla cultura etnoantropolo- gica regionale, grazie a delle copie digitali fornite da centri di studio, singoli ricercatori, fo- tografi e registi provenienti da tutta Italia e dall’estero. Le copie integrali dei materiali, re- 31 per un atlante degli archivi nell’era digitale lativi a ciascuna regione, sono consultabili solo nelle sedi locali – ad esempio l’Archivio di Stato di Napoli per la Campania23 o la Biblioteca Nazionale di Bari per la Puglia. In questo modo il progetto federa portali tematici e istituti rendendo accessibile una documentazio- ne locale altrimenti non presente in regione. Le registrazioni etno-antropologiche fatte nel secondo dopoguerra da studiosi come Diego Carpitella, Alan Lomax, Ernesto de Martino e destinate al pubblico ristrettissimo degli specialisti nazionali e internazionali, diventa oggi patrimonio condiviso e richiesto da un pubblico più ampio24. Grazie alla digitalizzazione il documento torna lì dove era stato realizzato e si assiste alla ridistribuzione geografica delle registrazioni nei luoghi originari della memoria. Le pratiche di digitalizzazione favorisco- no anche l’interscambio con il territorio, archivi come Home Movies - Archivio nazionale del film di famiglia a Bologna o i progetti promossi dalla Fondazione Pellicani a Venezia, sviluppano strategie interattive che coinvolgono il pubblico, proponendo agli utenti di do- nare25 delle immagini private per costruire una memoria condivisa. Questi ultimi segnano un punto limite alla nozione adottata in questa ricerca per “archivio”, e potrebbero essere anche descritti come “invented archives”26, ovvero archivi che raccolgono e digitalizzano materiali dispersi legati a tematiche regionali, sociali e culturali (industria, politica e sport) o a specificità tecniche. Li abbiamo considerati e inseriti nel settore archivi perché sono strutture che costituiscono delle collezioni, delle raccolte di documenti storici dispersi nella collettività dei cittadini che li ha creati senza alcun criterio scientifico. Sono iniziative che ordinano e strutturano tracce documentarie di un bacino omogeneo che altrimenti andrebbero perdute. La nozione di “portale”, che introduciamo nel paragrafo seguente, prevede invece dei sistemi di assembramento virtuale di fondi già preesistenti e conservati in archivi, che nelle architetture digitali trovano un nuovo ordine. Portali: geografie virtuali Una riflessione sulla natura e sul ruolo dei portali nel processo di valorizzazione del pa- trimonio novecentesco ha portato a modificare la struttura stessa dell’Atlante: si è scelto di inserire una sezione dedicata a questi strumenti informatici per dare ragione della doppia geografia che si crea tra gli archivi storici radicati nel territorio e la regione vir- tuale dei portali. Questi, gestendo fondi digitalizzati di vari enti, anche molto diversi e distanti fra loro, offrono delle rappresentazioni del patrimonio che non sarebbero possi- bili consultando i singoli archivi. Per questo sono presentati con delle schede apposite e raggruppati in una sezione separata, extrageografica o, meglio, considerati appartenenti a una sorta di geografia virtuale. Sotto l’indicazione “Portali” sono schedati i sistemi che condividono due caratteristiche fondamentali: dare accesso a risorse provenienti da diversi archivi e trasformare l’orga- nizzazione degli archivi originari, compiendo un vero e proprio lavoro di edizione dei documenti. Tra i portali figurano i motori di ricerca online che danno accesso a file multimediali e, a seconda dei casi, alle relative schede descrittive. Queste piattaforme web consentono vari metodi di ricerca e coordinano i documenti di diversi archivi in base a tematiche giuliano sergio 32 specifiche. I portali nazionali realizzati dal Ministero MiBACT come Cultura Italia, Internet Culturale, e il Sistema archivistico nazionale - SAN, sono stati uno strumento indispen- sabile allo sviluppo della presente ricerca. Queste piattaforme permettono un accesso preferenziale ai materiali audiovisivi in base a opzioni geografiche o tipologiche (moda, musica, architettura, industria ecc.)27. Pur non analizzando le modalità della digitalizza- zione dei diversi archivi, esse offrono una visione convergente su gran parte del patri- monio italiano, garantendo un’informazione capillare e dando conto di molti progetti di informatizzazione. A questi vanno aggiunti i progetti locali di catalogazione e digitalizzazione, spesso pro- mossi o sostenuti dalle istituzioni regionali, come, tra gli altri, il SIRPAC del Centro regio- nale di catalogazione e restauro dei beni culturali della Regione Friuli Venezia Giulia, il SIRBEC della Regione Lombardia, l’IBC - Istituto per i beni artistici culturali e naturali dell’Emilia-Romagna, l’AFT - Archivio fotografico toscano, il CRICD - Centro regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione dei beni culturali della Regione Sicilia, il Censimento fondi fotografici della Regione del Veneto. Esistono, inoltre, vere e proprie reti di archivi nazionali, come i centri aderenti a INSMLI - Istituti per la storia della Resi- stenza e della società contemporanea in Italia, che offrono una geografia legata a eventi storici come la seconda guerra mondiale28. Altri portali possono essere descritti più correttamente come delle vere e proprie mo- nografie online: spesso sono progetti nati da singoli archivi che hanno selezionato un percorso tematico o storico all’interno del loro patrimonio, corredato con testi e schede di approfondimento, come per il portale “Alcide De Gasperi nella storia d’Europa”, organiz- zato dall’Istituto Luigi Sturzo. In casi come questo è presente una doppia schedatura, una relativa all’archivio – nel nostro esempio l’Archivio Sturzo – l’altra nella sezione Portali, con le schede sui progetti da questo promosso, specificando in tutte i relativi rimandi. Questo sistema di rinvii consente al lettore di verificare l’uso editoriale che gli archivi fan- no dei propri fondi attraverso i progetti di digitalizzazione. Sono schedati come “portali” anche i siti di navigazione delle mostre nate da ricerche documentarie che rimangono solo nella loro veste online, ad esempio “Fare gli italiani”, concepita per il 150° anniver- sario dell’Unità d’Italia. Per un Atlante immaginario, modelli possibili La questione a cui non può rispondere questo volume riguarda la forma che prenderà domani la documentazione del secolo appena trascorso, in che modo si farà storia. La ri-mediazione a cui assistiamo non è che il primo livello di un processo che rende digi- tale, malleabile, la memoria collettiva che abbiamo ricevuto in eredità: ogni archivio sta diventando materiale disponibile, entra a far parte di una collezione virtuale che costitui- rà una nuova struttura narrativa. Sono possibilità impensabili fino a pochi anni fa, che prefigurano scenari ancora sconosciuti. Le architetture fisiche e informatiche – portali, padiglioni e musei – stanno progettando tecnologie e strategie per valorizzare questo pa- trimonio. Ognuno inventa la sua formula, sperimenta soluzioni diverse con installazioni 33 per un atlante degli archivi nell’era digitale interattive e altri sistemi di fruizione, poiché non esiste ancora un’estetica dell’archivio digitale. Il secolo breve ripeterà se stesso attraverso la digitalizzazione degli archivi e si an- nuncia molto più lungo e invasivo di quello che si credeva. I suoi documenti perdono la mera funzione testuale, ormai sono reliquie destinate a essere riprodotte e diffuse ovun- que. Film, registrazioni, fotografie, cartoline, manifesti, sono oggetti che rivelano un’au- ra imprevista, una patina che va oltre i contenuti e fa percepire il passato. La tecnologia, riproducendo e moltiplicando gli originali, aumenta il potere del vintage: sommerse ed esaltate dalle loro copie digitali, le tracce analogiche assurgono a un nuovo statuto, com- piendo quel passaggio “dai documenti ai monumenti” invocato da Foucault alla fine degli anni sessanta29. Sono quelli gli anni in cui nasce l’esigenza di una storiografia statistica e comparativa: “la memoria collettiva si valorizza – scriveva Jacques Le Goff –, si organizza in patrimonio culturale. Il nuovo documento viene immagazzinato e maneggiato nelle banche dei dati. Occorre una nuova scienza che è ancora ai suoi primi balbettamenti e che deve rispondere contemporaneamente alle esigenze del calcolatore e alla critica della sua sempre crescente influenza sulla memoria collettiva”30. In passato i rinnovamenti dei sistemi di comunicazione – come la diffusione della te- levisione e della videocamera o quelle precedenti della fotografia e del cinema – hanno portato a sperimentazioni linguistiche e visive delle forme di comunicazione e di me- moria. Anche la dimensione narcisistica del web, la speranza di poter contribuire con la propria storia alla memoria collettiva che resterà della nostra epoca, trova un’antici- pazione nelle avanguardie degli anni sessanta e settanta. Gli artisti si erano interessati alla produzione delle immagini di massa appropriandosi dei sistemi comunicativi per creare riviste, album, cartoline, registrazioni audiovisive che documentassero la propria attività estetica, le azioni, gli eventi, ma anche la dimensione quotidiana, relazionale e privata, in un’utopica unione di arte e vita. Le parole d’ordine di quel periodo – informa- re, documentare e comunicare – oggi sono l’oggetto di tecnologie digitali sempre più diffuse. Smartphone e computer offrono la possibilità di registrare e spedire documenti delle nostre esperienze quotidiane a basso prezzo, software e applicazioni editano quei documenti in gabbie preconfezionate, uniformando in palinsesti con annunci pubbli- citari le pratiche di registrazione del “fare” che gli artisti avevano sperimentato grazie a un allargamento dell’esperienza attraverso i media. I lavori di quegli anni sviluppavano strategie di storytelling attraverso fotografie, riviste e documenti, rivelando un’aura dei materiali, degli impaginati, delle illuminazioni, del tipo di grana e di stampa. Gli artisti sono stati i primi a rendersi conto che i media sono “oggetti” portatori di memoria, che il loro “corpo” visivo e tattile condiziona la percezione con una presenza che ha costruito i tempi e i luoghi comuni della nostra società. Presentati oggi, decontestualizzati e rilet- ti, influenzano l’immaginario collettivo, permettono connessioni impreviste tra la storia come scienza e l’esperienza emotiva della memoria. Le sperimentazioni degli anni sessanta a cavallo tra memoria collettiva e personale sono diventate la sfida obbligatoria che ci impone il digitale. Quelle opere ci hanno insegnato che la forma dei documenti rivela stili ed epoche lontane, aspetti che possono essere utilizzati per comporre nuove narrazioni e coinvolgere il pubblico meglio di qualsiasi presentazione razionale. Molte delle ricerche più interessanti degli ultimi anni aprono giuliano sergio 34 un confronto tra le tecnologie virtuali della memoria e i loro antichi modelli, il museo e l’archivio. Sono progetti che considerano i media come vestigia capaci di coinvolgere le comunità e di sollecitarne la storia. Le narrazioni che nascono sono archivi di immagini, installazioni effimere che offrono la possibilità di un racconto condiviso. Esporre nel museo opere in “forma di archivio” significa interagire con la memoria collettiva, creare un allestimento che non presenti solo degli oggetti, delle opere, ma un sistema di comu- nicazione. Ospitata nel museo, strutturata nel libro e nel catalogo, la forma archivio offre un’autonomia di senso, impone una coerenza che definisce appartenenze e identità. Ciò che ci coinvolge è la presenza del passato, vissuto attraverso quello stesso immaginario mediatico che lo ha creato, e che ci consente di riviverlo. L’Atlante offre una mappatura dei documenti potenzialmente disponibili; quanto questo sarà realmente disponibile dipenderà dalle “regole del gioco” che si stanno definendo in questi anni: in che misura potremo superare i limiti commerciali, legali e tecnici che ancora proteggono i documenti limitando la loro circolazione? Riusciremo a trovare una politica digitale comune che porti a una memoria visiva e sonora (quasi) universalmente accessibile? Se gli artisti del secolo scorso forniscono delle indicazioni, oggi la digitaliz- zazione ci pone di fronte a una quantità di documenti che non è comparabile con quella a disposizione quarant’anni fa. Il compito dei musei attuali, come quello del progetto M9, è di editare questa massa di archivi per dare nuova forma alla memoria. L’Atlante ha cercato a suo modo di offrire una testimonianza anche visiva delle possibilità legate alla trasformazione del patrimonio documentario. Le schede inviate agli archivi erano accompagnate da una richiesta di tre immagini a scelta per illustrare la pubblicazione. L’adesione è stata straordinaria e non siamo riusciti a dare spazio a tutte le offerte, ma la sequenza delle immagini, per la quantità e la qualità, per le differenze di stili e di generi, per le sorprese che ci riserva a ogni pagina, dà comunque un’idea del potere storico ed estetico che si cela nei nostri archivi e che l’Atlante vorrebbe mostrare prima ancora che descrivere. 1. W. Benjamin, Sul concetto di Storia, trad. lità. Estetica e immaginazione interattiva, cabile del volume, http://m9museum. it. a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Torino, Milano, Raffaello Cortina, 2014. it/doc_files/M9_Progetto%20culturale. Einaudi, 1986, p. 23. pdf, soprattutto pp. 265-350. Per un appro- 4. M9 Progetto culturale è una pubblica- fondimento del rapporto tra l’Atlante e il 2. T. Berners-Lee, N. Shadbolt, There’s gold to zione interna alla Fondazione di Venezia, progetto museale M9 si veda, in questo vo- be mined from all our data, in“The Times”, coordinata da Guido Guerzoni e stampa- lume, il testo di Guido Guerzoni, che mi ha 31 dicembre 2011. L’articolo è stato subito ri- ta nel giugno 2011. Il documento presen- incaricato della presente ricerca e che rin- preso dalla brochure dell’engineering The ta nell’ultima sua parte le Ricerche in cor- grazio insieme a Fabio Achilli, direttore del- Open Data. Choosing Framework. Processi so, con un’ampia sezione dedicata alle mo- la Fondazione di Venezia, che ha voluto for- strumenti e metodi per la selezione dei da- stre e ai musei – confluita poi nel volume temente questo progetto. ti giusti, 1, 2012. Cfr. in generale anche M. Fi- Museum on the map. 1995-2012, a cura di nizio, La miniera degli open data pubblici, in G. Guerzoni, Torino, Fondazione di Vene- 5. Sulla public history si vedano tra gli altri i “Il Sole 24 Ore”, 9 marzo 2015 e il sito, da po- zia/Umberto Allemandi, 2014 – e una se- numerosi contributi di Serge Noiret, come co inaugurato, dall’Agenzia per l’Italia di- zione finale in cui lo scrivente raccoglie- il recente Storia Pubblica Digitale, in “Za- gitale (AGID), sugli open data della pubblica va l’embrione della presente ricerca, re- pruder. Storie in Movimento”, 36, 2015, che amministrazione: http://www.dati.gov.it/ datta all’epoca grazie anche alla collabo- presenta un’ampia bibliografia internazio- dataset. razione di Giulia Francescon, Elisa Bra- nale sulla questione, e il volume L’histoire mati e Alessandra Savino, che deside- contemporaine à l’ère numérique - Contem- 3. Cfr. P. Montani, Tecnologie della sensibi- ro qui ringraziare. Cfr. la versione scari- porary History in the Digital Age, a cura di F. 35 per un atlante degli archivi nell’era digitale Clavert e S. Noiret, Bruxelles, Berna, Berlino, Intellectual Paradigm for Archives, in “Archi- ma, Reflex, 1997; Gli archivi fotografici delle Francoforte, New York, Oxford, Vienna, Pe- varia”, 19, 1984-1985, pp. 28-49. Soprintendenze, tutela e storia: territori ve- ter Lang, 2013. neti e limitrofi, atti della giornata di studio 12. La consapevolezza che ogni archivio (Venezia, 29 ottobre 2008), a cura di A.M. 6. Sulla nozione di ri-mediazione e sul con- storico prima di ogni digitalizzazione deve Spiazzi, L. Majoli e C. Giudici, Crocetta del temporaneo dibattito filosofico attorno al- preventivamente essere trattato con la ca- Montello (TV), Terra Ferma, 2010; A. Andrei- la questione si rimanda a due lavori fon- talogazione scientifica e la conservazione, ni, P. Clemente, I custodi delle voci. Archivi damentali di riflessione e sintesi di Pietro per procedere allo studio delle sue peculia- orali in Toscana: primo censimento, Firenze, Montani: L’immaginazione intermediale. rità e della storia delle sue collezioni, è alla Idast, 2007 (“Toscana Beni culturali”, 8); Be- Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mon- base di nuove indicazioni metodologiche, ni fotografici. Archivi e collezioni in Piemon- do visibile, Roma-Bari, Laterza, 2010; Id., Tec- ad esempio in ambito fotografico. A que- te e in Italia, a cura di D. Brunetti, Torino, nologie della sensibilità, cit. sto proposito si veda la Normativa ff - fon- Centro Studi Piemontesi, 2012; Guida agli di fotografici. Strutturazione dei dati e nor- archivi audiovisivi in Italia, in “Annali della 7. Il riferimento è a Georges Didi-Huberman, me di compilazione, a cura di E. Berardi, C. Fondazione Archivio audiovisivo del mo- citato a questo proposito in T. Serena, La Giudici, C. Frisoni e T. Serena, progetto che vimento operaio e democratico”, 7, 2005; profondità della superficie, una prospettiva l’ICCD sta portando avanti per la cataloga- S. Esposito, Telebiella e niente fu più come epistemologica per “cose” come fotografie e zione dei fondi fotografici con lo studio di prima. Storia della prima tv privata italiana, archivi fotografici, in Archivi fotografici. Spa- un’apposita scheda. Roma, Centro di documentazione giorna- zi del sapere, luoghi della ricerca, in “Ricerche listica, 2010; S.S. Phillips, The Papal Collec- di storia dell’arte”, numero monografico a 13. Per correttezza segnaliamo che ci so- tion of Photographs in the Vatican Library, cura di C. Caraffa e T. Serena, 106, 2012, p. 61. no pochissimi casi di inserimenti succes- Roma, Biblioteca apostolica vaticana, 2012; sivi, dovuti a segnalazioni di colleghi che W. Brunetto, Piccolo vocabolario etnomusi- 8. Sulla riflessione teorica contemporanea ringrazio. Altri aggiornamenti risalgono al- cologico. Forme, stili, repertori e contesti del- ricordiamo alcuni contributi che stanno la metà del 2014: sarebbe stato impossibi- la musica di tradizione orale italiana, Roma, definendo il dibattito italiano e internazio- le avere un aggiornamento simultaneo di SquiLibri, 2012; Venezia: la tutela per imma- nale: A. Ardovino, Raccogliere il mondo. Per tutte le schede alla stessa data, l’indicazio- gini. Un caso esemplare dagli archivi della una fenomenologia della rete, Roma, Caroc- ne di dicembre 2014 rimane quella di riferi- Fototeca Nazionale, a cura di P. Callegari e ci, 2011; Lo stato dell’arte. L’esperienza esteti- mento per la grande maggioranza di esse. V. Curzi, Bologna, Bononia University Press, ca nell’era della tecnica, a cura di M. Carbo- 2005; Studi e ricerche sulla fotografia nel ni e P. Montani, Roma-Bari, Laterza, 2013; N. 14. Tomassini, Vita nuova di vecchi media, biellese, “Bollettino DocBi”, 3, 2014. Nell’e- Carr, Internet ci rende stupidi? Come la re- cit., p. 397. state 2015 è uscito un prezioso volume Il te sta cambiando il nostro cervello, trad. it. web e gli studi storici. Guida critica all’uso Milano, Raffaello Cortina, 2011; D. Cecchi, La 15. Su questa distinzione si veda R. Ro- della rete, a cura di R. Minuti, Roma, Carocci, costituzione tecnica dell’umano, Macerata, senzweig, The road to Xanadu. Publicand 2015, con saggi di Rolando Minuti, Stefano Quodlibet, 2013; M. Ferraris, Documentalità, private Pathways on the History Web, in Id., Vitali, Alessandro Cristofori, Guido Abbatti- Roma-Bari, Laterza, 2009; Id., Anima e iPad, Clio Wired. The future of the past in the di- sta e Serge Noiret, uno strumento prezioso Parma, Guanda, 2011; H. Jenkins, Cultura gital age, New York, Columbia Universi- che sarebbe stato utilissimo allo sviluppo convergente, trad. it. Milano, Apogeo, 2007; ty Press, 2011, segnalato da Noiret, in Storia della presente ricerca e che non a caso esce H. Rheingold, Smart mobs, trad. it. Milano, Pubblica Digitale, cit. quasi in contemporanea con essa. Raffaello Cortina, 2003; Teorie dell’imma- gine, a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Mi- 16. Sulla storia dell’archivio storico e della 18. Archivi d’impresa in Piemonte, a cura di lano, Raffaello Cortina, 2009; C. Shirky, Sur- sua inventariazione si veda almeno A. Rat- D. Brunetti e T. Ferrero, Torino, Centro Stu- plus cognitivo, trad. it. Milano, Codice, 2010; ti, L’Archivio Storico INA. Analisi delle possi- di Piemontesi, 2013; Valori di Marca: mu- D. Weinberger, La stanza intelligente, trad. bilità offerte dal nuovo software, in “Atlan- sei, collezioni e archivi d’impresa, a cura di E. it. Milano, Codice, 2013. Per un’introduzio- ti”, 18, 2008, pp. 241-248, e la presentazione Manzato, A. Prandi e C. Tullio, Venezia-Trevi- ne agli studi più aggiornati sulla storiogra- online http://www.generali.it/Chi-Siamo/ so, Regione del Veneto/Unindustria, 2008; fia degli archivi fotografici si veda Archivi Altro/Archivio-Storico/Archivio-Storico/. G. Bonfiglio Dosio, Archivi d’impresa: studi e fotografici. Spazi del sapere, luoghi della ri- proposte, Padova, Cleup, 2003; Nove100: ar- cerca, cit. 17. Per Paolo Costantini - Fotografia e raccol- te, fotografia, architettura, moda, design, a te fotografiche, C.R.I.BE.CU., a cura di T. Se- cura di A.C. Quintavalle e G. Bianchino, Mi- 9. C. Caraffa, Pensavo fosse una fototeca, in- rena, Pisa, Scuola Normale Superiore di Pi- lano, Skira, 2010; V. Calabrese, Gli archivi di vece è un archivio fotografico, in Archivi fo- sa, 1999 (“Quaderni”, 8-9); A. Benedetti, Gli impresa nel Biellese: dal censimento delle tografici. Spazi del sapere, cit., p. 38. archivi delle immagini. Fototeche, cineteche fonti al portale degli archivi del tessile e del- e videoteche in Italia, Genova, Erga, 2002; la moda, Pisa, Titivillus, 2011. 10. Dietro lo sviluppo di questi studi si de- Id., Gli archivi sonori. Fonoteche, nastrote- ve leggere un’articolata cultura storiogra- che e biblioteche musicali in Italia, Genova, 19. A questo proposito vorrei ringraziare fica e di storia della fotografia e dei me- Erga, 2000; Id., Il cinema documentato. Ci- personalmente Corinna Giudici per avermi dia, come chiarisce in modo impeccabile il neteche, musei del cinema e biblioteche ci- messo a conoscenza della giornata di studi saggio di L. Tomassini, Vita nuova di vecchi nematografiche in Italia, Genova, Cinete- Gli Archivi fotografici delle Soprintendenze media: le fotografie storiche in rete fra di- ca Griffith, 2002; Id., Gli archivi della scien- svoltasi nel 2011 e di avermi parlato della ri- vulgazione e ricerca, in “Ricerche Storiche”, za. Musei e biblioteche della scienza e del- cerca interna sugli archivi fotografici delle XXXIX, 2009, pp. 363-437, che in un’ampia la tecnologia in Italia, con B. Benedetti, Ge- soprintendenze dell’Emilia-Romagna. Una introduzione alla questione offre un excur- nova, Erga, 2003; Immagini e memoria: gli ricerca che prevedeva una scheda con cam- sus del rapporto tra storiografia e fotogra- archivi fotografici di Istituzioni culturali del- pi molto simili a quella adottata per que- fia (pp. 365-379). la città di Roma, atti del convegno (Roma, sta ricerca, indicazione che mi ha consen- Palazzo Barberini, 3-4 dicembre 2012), a cu- tito di collaborare più facilmente con i sin- 11. Caraffa, Pensavo fosse una fototeca, cit., ra di B. Fabjan, Roma, Gangemi, 2014; Ar- goli funzionari delle soprintendenze. p. 38. A questo proposito Caraffa rimanda a chivi fotografici italiani: 600 fondi e raccol- T. Cook, From information to Knowledge. An te di immagini, a cura di M. Bastianelli, Ro- 20. Va specificato che per il taglio scelto giuliano sergio 36 dalla presente ricerca non sono presenti chnm.gmu.edu/essays-on-history-new- gli istituti che, pur conservando materiale media/essays/?essayid=9). audiovisivo e fotografico, abbiano avviato progetti di digitalizzazione solo rispetto a 27. Altro strumento online realizzato dal documenti non iconografici, caso tipico di Ministero MiBACT è il SIUSA - Sistema in- molti Archivi di Stato che hanno promos- formativo unificato per le soprintendenze so importanti campagne di digitalizzazio- archivistiche, che dà accesso alle descrizio- ne di manoscritti antichi, incunaboli e regi- ni degli archivi privati e pubblici non stata- stri spesso consultabili online, senza intra- li. Il SIUSA è un portale indispensabile per prendere analoghi progetti rispetto ai pa- conoscere il patrimonio archivistico italia- trimoni fotografici che conservano. no e averne precisa descrizione; non è sta- to tuttavia incluso nel volume perché non 21. A questo proposito non si può non ri- offre accesso diretto ai documenti media- cordare l’importanza di una rivista come li, come invece fanno il SAN e altri porta- “AFT”, attualmente consultabile online, per li nazionali e locali. Da segnalare anche il il prezioso lavoro di studio e valorizzazione nuovo portale del Catalogo generale dei degli archivi fotografici. Per quanto riguar- beni culturali, interfaccia pubblica del SI- da gli archivi dei grandi nomi della fotogra- GECweb, sistema di gestione della catalo- fia degli ultimi cinquant’anni, si è scelto di gazione del patrimonio gestito dall’ICCD, non includere quelli ancora privati, segna- che tuttavia non era disponibile al mo- lando solo le opere degli autori presenti mento della ricerca. nelle collezioni pubbliche e nelle istituzio- ni private come musei, centri di documen- 28. Sulla rete dell’INSMLI cfr. Tomassini, Vi- tazione, agenzie e fondazioni. ta nuova di vecchi media, cit., pp. 388-396. 22. Trattando del patrimonio fotografico, 29. Così Michel Foucault aveva descritto Luigi Tomassini propone una classificazio- questo passaggio nel 1969: “La storia, nella ne delle varie tipologie di siti che offrono sua forma tradizionale, si dedicava a ‘me- immagini dividendole in: 1) siti istituziona- morizzare’ i monumenti del passato tra- li regionali o nazionali; 2) grandi siti privati; sformandoli in documenti, a far parlare 3) siti monografici; 4) siti di servizio; 5) siti quelle tracce che, in se stesse, non sono af- tematici; 6) siti di singoli privati o blogger. fatto verbali, o dicono tacitamente cose di- Questa suddivisione sviluppa un’analisi verse da quelle che dicono esplicitamente. di tipo funzionale. Diversamente l’Atlante Oggi invece la storia è quella che trasfor- ha preferito impostare la ricerca seguen- ma i documenti in monumenti e che [...] do una suddivisione geografica per diver- presenta una massa di elementi che biso- sificare il tipo di offerta a livello regionale, gna poi isolare, raggruppare, rendere perti- lasciando alle singole schede il compito di nenti, mettere in relazione, costituire in in- chiarire le specifiche caratteristiche di pre- siemi”, M. Foucault, Archeologia del sapere, sentazione online degli archivi. La distin- Milano, Rizzoli, 1970, pp. 13-14. zione proposta in questo lavoro è quindi tra gli archivi geograficamente localizzati 30. Cfr. J. Le Goff, Documento/Monumen- rispetto ai portali che si presentano come to, in Enciclopedia, V, Torino, Einaudi, 1978, architetture di ricerca web. Cfr. Tomassini, p. 42. Vita nuova di vecchi media, cit., pp. 388-396. 23. Segnaliamo che l’Archivio di Stato di Napoli non è stato inserito nelle schede perché non ha digitalizzato documenti fo- tografici relativi al Novecento. Ora, grazie all’iniziativa di “Archivio Sonoro”, è la sede dove si possono consultare documenti me- diali di altri istituti. 24. A questo proposito, in un futuro aggior- namento dell’Atlante sarebbe auspicabi- le poter inserire i dati di accesso dei diver- si portali e siti, per poter misurare l’interes- se e il tipo di pubblico che questi progetti di digitalizzazione riescono a raggiungere. 25. Vi sono diverse modalità di consegna, ma la finalità ultima è la digitalizzazione con liberatoria per conservare e utilizzare il documento riprodotto. 26. Su questa nozione Serge Noiret nel suo Storia Pubblica Digitale, cit., rimanda a Ro- senzweig, The road to Xanadu, cit. (http:// 37 per un atlante degli archivi nell’era digitale