Oncologia (Gibellini) Lezione 2 PDF
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Facoltà di Medicina e Chirurgia
Ferretti G., Ferretti M., Finotti
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This document contains notes on oncology, covering topics including the genetic basis of tumors, and different types of tumors. It discusses tumour incidence, the difference between benign and malignant tumours, and the role of genes in tumorigenesis.
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Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 Riassunto di cosa abbiamo detto la lezione precedente: Ci sono delle differenze nell’incidenza geografica dei tumori La principale differenza tra tumori benigni e maligni è...
Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 Riassunto di cosa abbiamo detto la lezione precedente: Ci sono delle differenze nell’incidenza geografica dei tumori La principale differenza tra tumori benigni e maligni è che i tumori maligni invadono localmente il tessuto e colonizzano i tessuti a distanza formando metastasi e la metastasi è anche la principale causa di morte relativamente ai tumori. È stato poi detto che i tumori sono la seconda causa di morte in generale nel mondo (e negli Stati Uniti ed in Italia) dopo le malattie cardiovascolari e che i tumori maligni si classificano in alcuni tipi e che c'è un particolare tipo di tumore maligno che è più frequente, di derivazione epiteliale, gli altri sono presenti però sono decisamente più rari e sono quelli di derivazione mesenchimale, neuroectodermica, sistema emopoietico. I tumori di cui non è possibile stabilire il tessuto di origine li abbiamo definiti anaplastici; invece, quelli che non rientrano nelle categorie sono detti atipici di cui un esempio è il melanoma. Si era poi parlato del grado e dello stadio tumorale che sono degli indicatori che permettono di capire e di quantificare sostanzialmente l’aggressività clinica di un tumore e di valutare l’estensione del tumore primario e la sua diffusione nei linfonodi o eventualmente anche negli organi di distanti e quindi delle metastasi. Di questa lezione manca un aspetto importante che è quello di definire perché i tumori sono malattie su base genetica, cioè, sono dovuti a mutazioni che si verificano a carico del DNA. ORIGINE GENETICA DEI TUMORI Le prove dell'origine genetica dei tumori si sono accumulate nel corso degli anni, nel corso dei decenni e sono aumentate soprattutto negli ultimi anni proprio grazie all’introduzione di quelle super tecnologie omiche che permettono un sequenziamento massivo del DNA soprattutto e poi anche dell'RNA. Con queste tecnologie è stato possibile capire e avere la conferma del fatto che i tumori sono malattie su base genetica e il danno iniziale, quindi le mutazioni iniziali, sono dovute prevalentemente a fattori ambientali (agenti fisici, agenti chimici, agenti biologici...), possono essere dovute a errori nella replicazione del DNA che non vengono riparati oppure possono essere anche ereditate nella linea germinale dalla madre o dal padre. Quindi la prima mutazione predisponente nell'ambito di alcuni tipi di tumori che vengono definiti ereditari può essere ereditata e quindi una singola cellula del nostro organismo accumula una serie di mutazioni che la convertono in una cellula tumorale e poi da quella cellula tumorale può originarsi un tumore. Almeno nelle prime fasi iniziali di sviluppo di un tumore, i tumori sono monoclonali quindi tutte le cellule che costituiscono il tumore nelle prime fasi, a livello subclinico, sono tutte identiche a quella prima cellula che è stata mutata; poi mutazioni successive che vengono acquisite nel corso del tempo genereranno una massa tumorale che è costituita da cellule tumorali estremamente eterogenee una con l'altra, però nelle prime fasi iniziali i tumori si dice che sono monoclonali. 1 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 Dunque le mutazioni alla base dei tumori sono sostanzialmente subletali, cioè causano un danno genetico che però non è letale. Queste mutazioni avvengono prevalentemente a livello di 4 specifiche classi di geni (in questa lezione si parlerà di una di queste): I protooncogeni che sono geni che codificano per proteine coinvolte tipicamente nella proliferazione cellulare. I geni oncosoppressori che codificano per proteine anche queste coinvolte nella proliferazione cellulare che però la inibiscono e quindi sono, a differenza dei protooncogeni, dei freni alla crescita cellulare, infatti nei tumori sono spesso inattivati. I geni che codificano per proteine coinvolte nell’apoptosi. I geni che codificano per proteine coinvolte nel riparo del DNA. Mutazioni a carico di questi geni sono sostanzialmente le principali mutazioni alla base dei tumori e successivamente si vedrà il concetto della tumorigenesi, cioè lo sviluppo del tumore e la sua progressione. Questo processo è un processo multistep che richiede diversi anni, alcuni decenni per svilupparsi ed essere visibile dal punto di vista clinico. Le prove dell'origine genetica dei tumori sono numerose, si sono accumulate nel corso degli anni e poi ci sono state diverse conferme. Nella diapositiva a lato sono riportate alcune delle più importanti: - molti tumori comuni hanno anche una base ereditaria, quindi in alcuni casi possiamo ereditare nella linea germinale, dal padre o dalla madre, la prima mutazione predisponente, poi sono necessarie ulteriori mutazioni somatiche che si accumulano all'interno di una cellula di un particolare tessuto per poi dare origine a un tumore. Quindi il fatto che molti tumori comuni abbiano anche una base ereditaria ci dà una prova del fatto che i tumori sono malattie su base genetica - Ci può essere in alcuni casi una predisposizione genetica a sviluppare determinati tipi di tumori, per esempio ci sono delle mutazioni a carico di p53 che se ereditate dalla mamma o dal papà possono predisporre a sviluppare una sindrome chiamata di Li-Fraumeni. È una sindrome per cui si possono sviluppare diversi tipi di tumori (tumore del polmone, tumore della mammella, …) in età molto precoce: vent'anni, trent'anni, quarant'anni. Un altro esempio (non è riportato nell’immagine) sono le mutazioni a carico di BRCA1 e BRCA2 e questo tipo di mutazioni sono state trovate anche in alcuni personaggi famosi come Angelina Jolie e più recentemente Bianca Balti, le quali sono state nominate dalla stampa perché hanno subito in un primo caso, soprattutto Angelina Jolie, un intervento chirurgico protettivo proprio perché ha scoperto di avere delle mutazioni su BRCA1 che ha ereditato da sua mamma morta per tumore all'ovaio. Queste mutazioni per l’inattivazione di BRCA1 e anche di BRCA2 determinano un aumentato rischio di sviluppare tumore alla mammella e tumore all’ovaio; l’aumentato rischio vuol dire anche del 50/80% in più rispetto alla popolazione generale, quindi è un rischio molto aumentato. Angelina Jolie essendo a conoscenza di questa mutazione è andata incontro ad una mastectomia bilaterale (rimozione del seno) e ovariectomia (rimozione delle ovaie). Bianca Balti ha fatto la stessa cosa: mastectomia poi non aveva ancora fatto in tempo a fare l’ovariectomia ed ha sviluppato un tumore all'ovaio per mutazioni a carico di BRCA1 E BRCA2. Ci sono dunque delle 2 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 mutazioni a carico di geni, in genere oncosoppressori, che se vengono ereditate dalla mamma o dal papà predispongono a sviluppare alcune sindromi tumorali e si ha perciò un rischio notevolmente più aumentato rispetto alla popolazione generale di sviluppare un certo tipo di tumore e questa è di nuovo una dimostrazione che i tumori hanno una base genetica. - Specifiche anomalie cromosomiche, in particolare le traslocazioni, sono rilevate solo nelle cellule tumorali - C’è un aumentato rischio di sviluppare alcuni tumori nelle persone che hanno delle sindromi dovute a mutazioni a carico di geni che codificano per proteine coinvolte nella riparazione del Dna. un esempio è l’atassia teleangectasia che dà uno spettro di sintomi caratteristici di quella malattia ed in aggiunta c'è un maggiore rischio di sviluppare determinati tipi di tumori perché, in questo caso specifico, viene persa una proteina che si chiama ATM che è coinvolta nella riparazione del DNA, perdendo ATM gli errori nella replicazione del DNA che non vengono riparati possono essere causa di tumore. - Le tecnologie omiche, quindi di sequenziamento del DNA ci hanno permesso di capire come ci siano alcune mutazioni specifiche per determinati tipi di tumore. Queste ed altre evidenze indicano che i tumori sono malattie su base genetica e sono dovuti a mutazioni: per i 2/3 circa queste mutazioni sono dovute ad errori che si verificano nella replicazione del DNA e che non vengono riparati, per 1/3 circa sono mutazioni dovute a fattori ambientali (radiazioni UV, radiazioni ionizzanti, agenti chimici, agenti biologici). Ci sono vari tipi di mutazioni e quelle che forniscono alla cellula tumorale gli hallmarks, cioè i suoi tratti distintivi, sono mutazioni definite driver e sono estremamente importanti, in grado di fornire alle cellule tumorali un vantaggio competitivo sulle cellule normali: una maggiore proliferazione cellulare e spesso incontrollata, una maggiore resistenza all’apoptosi, determinate caratteristiche metaboliche che consentano alla cellula di sostenere questa elevata replicazione cellulare, instabilità genomica e quindi un progressivo accumulo di mutazioni e anche una tendenza a replicarsi in maniera quasi indefinita. Ci sono poi altre mutazioni che in genere avvengono in geni coinvolti nel preservare l’integrità del genoma, che sono normalmente presenti nelle prime fasi della tumorigenesi e sono definite mutazioni passenger. Infine, ci sono mutazioni che avvengono in geni che codificano per proteine che hanno un ruolo importante più che altro nel microambiente tumorale e quindi eventualmente mutazioni in cellule del sistema immunitario oppure in cellule come fibroblasti. 3 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 In buona sostanza tutti i tipi di tumori possono essere classificati in tre modi diversi: Tumori sporadici: nella maggior parte dei casi quando si sente parlare di tumori in familiari e conoscenti si tratta di tumori sporadici che costituiscono il 75/80% di tutti i tumori. Questi sono dovuti a mutazioni somatiche spontanee che si accumulano in una cellula dell'organismo che da normale diventa tumorale Tumori ereditari: costituiscono circa il 5/10% del totale e tra questi rientra l’esempio nominato precedentemente di Angelina Jolie e di Bianca Balti. Questi tumori sono ereditari perché la prima mutazione, quella che predispone l'individuo, viene ereditata dalla linea germinale quindi dalla madre o dal padre, poi ulteriori mutazioni somatiche a livello di una cellula, a livello di un tessuto determinano la comparsa o meno del tumore. In questo caso vengono ereditate però delle mutazioni di geni ad alta penetranza e ciò significa che il rischio di sviluppare un determinato tipo di tumore è molto maggiore rispetto al rischio presente nella popolazione generale Tumori familiari: costituiscono il 15% del totale e la familiarità si riferisce alla situazione in cui uno o più casi di tumore sono presenti nella stessa famiglia in assenza di una componente genetica rilevante, come nel caso dei tumori ereditari. In questo caso la tendenza all’aggregazione familiare può essere dovuta essenzialmente a due fattori (se ad esempio in una famiglia compaiono due tumori a due sorelle): il primo può essere esposizione a condizioni ambientali simili oppure il secondo può essere la segregazione familiare di geni mutati a bassa penetranza che aumentano un po’ la suscettibilità a sviluppare un certo tipo di tumore. In questo caso però, a differenza dei tumori ereditari, si ha un moderato aumento del rischio rispetto alla popolazione generale, proprio perché si tratta di geni a bassa penetranza; invece nel caso dei tumori ereditari si ha un forte aumento del rischio. Nella maggior parte dei casi quando si sente parlare di tumori si tratta di quelli sporadici, significa che una cellula del nostro organismo ha accumulato per vari motivi una serie di mutazioni che hanno permesso la trasformazione della cellula normale in cellula neoplastica e poi da lì in un processo multistep di tumorigenesi si è formata una massa tumorale. Nel secondo punto invece, si parla di tumori ereditari perché viene ereditata una mutazione a livello di un gene, tipicamente un oncosoppressore, e quella prima mutazione è presente in tutte le cellule dell'organismo, poi sono necessarie altre mutazioni somatiche a livello di una particolare cellula in un particolare tessuto per far sì che si sviluppi un tumore. ONCOGENI Ora si passa alla seconda lezione che è quella relativa agli oncogeni. Con la prima lezione sono state definite alcune caratteristiche epidemiologiche dei tumori, è stato definito cos’è un tumore, è stata descritta la differenza tra tumori benigni e maligni, sono stati classificati i tumori maligni, è stato descritto cos'è il grado e lo stadio tumorale, è stato descritto perché i tumori sono malattie su base genetica. La seconda lezione è più lunga in termini di numero di slide e verrà affrontata tra questa lezione, quella successiva e forse anche quella dopo ancora. In questa lezione verranno dette alcune cose su come sono stati scoperti gli oncogeni, poi verrà data la definizione di oncogene, sarà descritto come i protooncogeni diventano oncogeni e poi 4 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 verranno fatti degli approfondimenti, parlando di specifici oncogeni che sono particolarmente importanti perché coinvolti in molti tipi di tumori o perché coinvolti in un tumore specifico e con caratteristiche specifiche che è bene sapere. In particolare, faremo un approfondimento su ABL, su Myc, il recettore di EGF, ERB2, RAF, RAS, KIT, RET e BCL2. SCOPERTA DEGLI ONCOGENI Partiamo dalla scoperta degli oncogeni: sono pochissime diapositive che di solito non vengono chieste mai. Il termina oncogene è stato utilizzato per la prima volta circa negli anni 60 del secolo scorso per indicare geni di origine virale in grado di causare il cancro in animali da laboratorio oppure nell'uomo. All'epoca si riteneva che la causa della trasformazione di una cellula normale in cellula tumorale fosse dovuta a geni presenti in virus che infettavano le cellule animali o le cellule umane. La scoperta degli oncogeni è valsa il premio Nobel per la medicina ad alcuni scienziati, uno di questi è Francis Peyton Rous che ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 1966. Piccola parentesi riguardo all’attualità: pochi giorni fa è stato annunciato il premio Nobel per la medicina di quest'anno per la scoperta dei micro RNA, che sono dei regolatori dell’espressione genica e l'anno scorso hanno vinto Katalin Karikò e Drew Weissman per la scoperta dei vaccini ad mRNA che sono stati utilizzati nella pandemia Covid. In realtà la tecnologia dei vaccini ad mRNA era già nota da oltre vent'anni perché inizialmente i vaccini ad mRNA si era tentato di utilizzarli a scopo terapeutico nel cancro. Quindi Francis Peyton Rous nel 1966 vinse il premio Nobel per la medicina perché diversi anni prima, all'inizio del 1900 quando aveva trent'anni, scoprì che nei polli un particolare tipo di sarcoma1 poteva essere indotto in un pollo sano. Questo era possibile o trapiantando le cellule tumorali, quindi prendendo le cellule tumorali da un pollo malato e trapiantandole nel pollo sano oppure iniettando un agente submicroscopico che era stato precedentemente ottenuto dalle cellule tumorali. Solo dopo si scoprì che questo agente submicroscopico era un virus ed è stato definito il virus del sarcoma di Rous e da quel momento in avanti è stato dimostrato in diversi animali domestici o da laboratorio, come ci fossero in effetti diversi tipi di virus in grado di convertire una cellula normale in una cellula neoplastica e quindi di causare un tumore. Nell’immagine di seguito si vede una coltura di cellule: quelle intorno che hanno una morfologia più allungata sono cellule normali, sane e invece quelle al centro che hanno una morfologia più rotondeggiante ed appaiono più chiare sono cellule trasformate, infettate da RSV e trasformate in cellule tumorali. Si scoprì poi che in particolare il 1 tumore di derivazione mesenchimale 5 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 gene del virus del sarcoma di Rous, coinvolto in questo processo di trasformazione neoplastica e definito oncogene, era un gene (V sta per viral) virale SRC. Alcuni anni dopo, il premio Nobel per la medicina lo hanno vinto alcuni scienziati nel campo delle scoperte degli oncogeni: in particolare Michael Bishop e Harold Varmus hanno vinto il premio Nobel per la medicina nel 1989, quindi diversi anni dopo, perché nel 1975 hanno proposto una rivoluzione concettuale nel campo delle scoperte degli oncogeni: hanno scoperto che in realtà quegli oncogeni come v-src non sono propriamente di origine virale ma presumibilmente erano stati presi dal virus, dal genoma della cellula infettata e poi avevano subito delle mutazioni che li avevano convertiti in oncogeni. Bishop e Varmus di fatto hanno scoperto che la controparte normale degli oncogeni virali era già presente nel genoma delle cellule sane e in particolare nel caso di v-src nel genoma delle cellule animali era presente un gene che è poi stato chiamato c-src (c=cellular). Quest’ultimo se mutato poteva essere coinvolto nella trasformazione neoplastica delle cellule normali. Questo ed una serie di esperimenti (che la prof ci risparmia) di fatto ha dimostrato come nel genoma delle cellule degli animali da laboratorio domestici, ma anche nelle cellule dell'uomo siano presenti dei geni che sono stati poi definiti Protooncogeni che se mutati possono diventare degli oncogeni e avere un ruolo rilevante nella tumorigenesi. Quindi, gli oncogeni sono versioni mutate dei protooncogeni, i quali sono geni presenti nel nostro genoma, nel genoma delle cellule animali e sono generalmente geni che codificano per proteine coinvolte nella proliferazione cellulare. Sono geni fondamentali per permettere la crescita e la proliferazione delle cellule normali dell’organismo, ma il problema è che se vengono mutati diventano oncogeni e spesso questi codificano per la stessa proteina che però è iperattivata o iperespressa. Questo permette alle cellule tumorali di avere un vantaggio proliferativo e di crescita rispetto alle cellule normali. Quindi definizione e caratteristiche: i protooncogeni sono un gruppo di geni responsabili nelle cellule normali della proliferazione cellulare, le mutazioni nei protooncogeni determinano la conversione di questi in oncogeni e sono mutazioni tipicamente dominanti. Sia i protooncogeni che la controparte mutata, gli oncogeni, sono di fatto geni che codificano per proteine coinvolte nella proliferazione cellulare e quindi come tale sono spesso iper attivati o iper espressi nelle cellule tumorali. Normalmente la proliferazione cellulare nei nostri tessuti normali è regolata (non è regolata invece per esempio nelle forme tumorali) dai fattori di crescita, che se sono presenti interagiscono con dei recettori specifici sulla superficie di cellule bersaglio. L'interazione tra un fattore di crescita e il proprio recettore determina poi l'attivazione di una pathway di segnalazione intracellulare che porta in genere all'attivazione di fattori di trascrizione che migrano nel nucleo e qui attivano la trascrizione di geni specifici che sono quelli 6 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 che codificano tipicamente per cicline e chinasi-ciclina dipendenti. Quindi nel nostro organismo, nei nostri tessuti la proliferazione è anche regolata dai fattori di crescita. FUNZIONI PROTOONCOGENI I protooncogeni sono geni che codificano per proteine coinvolte in tutto l'asse di proliferazione, quindi, codificano per: fattori di crescita, recettori dei fattori di crescita, proteine coinvolte nella trasduzione del segnale, fattori di trascrizione e per cicline e chinasi-ciclina dipendenti. La stessa cosa vale per gli oncogeni, che sono versioni mutate dei protooncogeni e quindi sono geni mutati per: fattori di crescita, recettori di fattori di crescita, le proteine che sono coinvolte nell’apparato di trasduzione del segnale, fattori di trascrizione e per cicline e chinasi ciclina dipendenti. Nell’immagine si possono vedere alcuni esempi come il gene che codifica per il fattore di crescita derivante dalle piastrine che, se mutato, diventa un oncogeno oppure i geni per i fattori di crescita della famiglia del EGF (il fattore di crescita dell'epidermide), per il fattore di crescita dei fibroblasti, per i fattori di crescita della famiglia Wnt. Si tratta quindi di protooncogeni, geni normali che sono importanti per la proliferazione cellulare e che però quando vengono mutati diventano oncogeni. Quindi abbiamo geni che codificano per fattori di crescita, per proteine coinvolte nella trasduzione del segnale come RAS, ABL, SRC, RAF, MOS, per fattori di trascrizione come MYC, JUN e FOS e infine per cicline e chinasi-ciclina dipendenti. Ad oggi si conoscono circa 40 oncogeni nell'uomo, quindi importanti nella tumorigenesi e coprono tutto l'asse della proliferazione cellulare a partire dai fattori di crescita. Un numero particolarmente rilevante di oncogeni codifica per recettori di fattori di crescita ed in particolare sono recettori ad attività tirosina chinasica, cioè che possono fosforilare a livello di residui di tirosina. Questi recettori hanno una porzione extracellulare che interagisce con il fattore di crescita poi una porzione transmembrana e poi una porzione citoplasmatica che permette la trasduzione del segnale. Quindi ad oggi conosciamo circa 40 oncogeni diversi che sono coinvolti nella maggior parte dei tumori umani e la maggior parte di questi codifica per recettori di fattori di crescita ed in particolare recettori ad attività tirosina chinasica. Nella maggior parte dei casi le oncoproteine, quindi le proteine codificate dagli oncogeni, hanno funzioni simili alla loro controparte normale però sono costitutivamente attivate e questo significa che sono sempre attivate: in una regolazione normale della crescita cellulare i fattori di crescita sono presenti per un determinato, limitato, periodo di tempo e quindi attivano la proliferazione cellulare per un breve periodo di tempo e poi il meccanismo si esaurisce; nei tumori invece queste proteine che derivano dagli oncogeni sono costitutivamente attive, quindi stimolano continuamente la proliferazione cellulare. Per riassumere i protooncogeni codificano per proteine coinvolte nella proliferazione cellulare come fattori di crescita, i loro recettori, proteine coinvolte nella trasduzione del segnale, fattori di trascrizione, chinasi e cicline. Se vengono mutati ad esempio da fattori ambientali, radiazioni ultravioletta, radiazioni ionizzanti, cancerogeni chimici, virus oncogeni, possono essere convertiti in oncogeni che codificano per proteine simili alle proteine di partenza che però sono costitutivamente attivate. 7 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 ORIGINE ONCOGENI Un protooncogene può diventare un oncogene in tanti modi diversi, cioè ci sono diversi tipi di mutazioni che convertono un protooncogene in oncogene: La traslocazione cromosomica è uno di questi tipi di mutazione. Il Protooncogene può essere traslocato dal cromosoma di partenza ad un altro cromosoma dove si viene a trovare, ad esempio, sotto il controllo di un nuovo promotore che è costitutivamente attivo e quindi quel protooncogene si trova a sua volta costitutivamente attivo e per questo motivo diventa un oncogeno. La traslocazione può anche spostare il protooncogene dal cromosoma di partenza ad un altro cromosoma e determinare la formazione di un gene chimerico. Successivamente sarà visto l'esempio di ABL che è un protooncogene che nella leucemia mieloide cronica nel 90% dei casi viene traslocato dal cromosoma 9 al cromosoma 22 e a livello del cromosoma 22 ABL si inserisce in maniera contigua ad un altro gene che si chiama BCR. Si forma così un gene di fusione che si chiama BCR-ABL e questo avrà un significato importante per la tumorigenesi. Per riassumere un protooncogene può diventare un oncogene per un evento di traslocazione, che può spostare questo gene sotto il controllo di un promotore molto attivo oppure può spostare il gene a ridosso di un gene codificante per un'altra proteina e questo può avere delle conseguenze per la tumorigenesi. Tabella 1 Tabella 2 8 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 L'amplificazione è un evento che può avvenire nel corso della replicazione del DNA. Generalmente quando il DNA nelle nostre cellule viene replicato si forma una copia di ogni singolo gene e può succedere che più copie dello stesso gene vengano prodotte nel corso della replicazione del DNA. Questo viene definito amplificazione e se ho più copie di un gene vuol dire che avrò un’aumentata espressione della proteina (“se ho un gene avrò al massimo una proteina, se ho 100 geni avrò 100 proteine”). Un altro meccanismo con cui si ha la conversione da protooncogene ad oncogene sono le mutazioni puntiformi. Le mutazioni possono avvenire nelle regioni che controllano l’espressione genica, promotori o enhancer, rendendoli maggiormente attivi e aumentando così la trascrizione oppure la mutazione si può riscontrare anche a livello della sequenza codificante del gene e in questo caso ci sono diverse mutazioni che rendono più attiva la proteina codificata da quel gene. Il proto-oncogene viene convertito in oncogene tramite degli eventi mutazionali che possono essere: traslocazione amplificazione genica mutazioni puntiformi nei promotori o enhancer mutazioni puntiformi nella sequenza codificante Nei primi tre casi il risultato è la trascrizione e traduzione di una maggiore quantità di proteina. Sono proteine con un ruolo nella proliferazione cellulare, quindi se viene prodotto più fattore di crescita, più recettore di quel fattore di crescita, ci sarà una maggiore proliferazione cellulare. In questo caso (forse intende la traslocazione visto che dopo ne parla nel linfoma di Burkitt) vengono codificate dall’oncogene delle proteine che sono iperattive, le mutazioni le hanno rese molto più attive della loro controparte normale oppure sono maggiormente resistenti alla degradazione. MYC, ad esempio, è un fattore di trascrizione che nelle cellule rimane per pochissimi minuti in forma attiva e poi viene subito degradato, questa regolazione avviene perché MYC ha un ruolo importante nella proliferazione cellulare. Ci sono mutazioni che rendono MYC molto più stabile, aumentando così il tempo nel quale rimane attivo come fattore di trascrizione per attivare la proliferazione cellulare. Esempi delle varie mutazioni Le traslocazioni cromosomiche sono molto comuni in oncologia nelle neoplasie del sistema emopoietico, molto frequenti quindi nelle leucemie e nei linfomi. Sono frequentemente eventi inizianti la tumorigenesi e le conseguenze della traslocazione sono: aumentata espressione dell’oncogene, se questo viene trasferito sotto un promotore forte la formazione di una proteina chimerica con ruolo nella tumorigenesi ad esempio: MYC è normalmente traslocato in un particolare tipo di linfoma, detto di Burkitt, ABL è frequentemente traslocato nella leucemia mieloide cronica. Le traslocazioni sono comuni nei tumori emopoietici (si veda tabella 12), si formano geni di fusione che vengono trascritti e tradotti in proteine chimeriche, oppure i proto-oncogeni vengono trasferiti sotto promotori particolarmente attivi come il promotore del locus dell’immunoglobulina dei linfociti B o il locus 2 Non verrà chiesta all’esame 9 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 che codifica per il recettore dei linfociti T. In questo modo la traslocazione determina il passaggio da proto- oncogene a oncogene. Le traslocazioni cromosomiche sono state riscontrate anche nei tumori solidi come il sarcoma di Ewing, sarcoma pediatrico in cui viene traslocato il gene EWS dal cromosoma 11 al cromosoma 22 e lì ha un ruolo importante nella tumorigenesi. Le amplificazioni sono molto comuni nei tumori umani: MYC è amplificato nel 30% dei neuroblastomi (colpisce il SNP, frequente in età pediatrica), nel 15- 20% del tumore a piccole cellule del polmone, nel 20% nei tumori della mammella, nel 40% dei tumori dell’esofago, ma lo si trova amplificato in quasi tutti i tumori (ovaio, cervice, …) Anche ERBB1 e ERBB2 sono esempi di proto-oncogeni che vengono amplificati nei tumori umani e anche il gene che codifica per la β-catenina. Gli oncogeni più comunemente amplificati nei tumori umani sono: ERBB2 che è un recettore dell’EGF, amplificato nel tumore della mammella MYC amplificato nel neuroblastoma MDM2 gene che codifica per una proteina che controlla p53, amplificato in sarcomi e neuroblastomi AKT2 nel tumore dell’ovaio AKT3 nel melanoma gene che codifica per la β-catenina (CCND1) in diversi tipi di tumori, soprattutto del sistema gastro- intestinale, fegato, ma anche nei tumori del distretto testa-collo. Un altro meccanismo che trasforma un proto-oncogene in oncogene sono le mutazioni puntiformi, queste mutazioni possono avvenire negli elementi regolatori, quelli che controllano l’espressione di un proto- oncogene, oppure possono avvenire direttamente nella sequenza codificante di quest’ultimo. Le mutazioni possono essere classificate in base al tipo di mutazione, alle dimensioni e alle cause. Nella classificazione in base al tipo troviamo sostituzioni, inserzioni o delezioni. Le mutazioni puntiformi sono mutazioni di una singola base e sono dette anche mutazioni genetiche; invece, le mutazioni cromosomiche sono mutazioni che coinvolgono porzioni di cromosoma e le genomiche coinvolgono interi cromosomi. Le cause delle mutazioni possono essere spontanee oppure indotte da mutageni. ONCOGENI PRINCIPALI ABL E LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA Proto-oncogene che si trasforma in oncogene tramite traslocazione, il suo spostamento dal cromosoma 9 al cromosoma 22 è alla base della leucemia mieloide cronica. La leucemia mieloide cronica è una malattia che si instaura nel midollo osseo e viene definita cronica poiché progredisce lentamente. All’inizio rimane asintomatica e silente per alcuni anni, la transizione dalla fase cronica a quella avanzata, a sua volta suddivisa in una fase accelerata e una di crisi blastica, determina una progressione della malattia e nella fase di crisi blastica la sopravvivenza mediana di chi è affetto è molto bassa, circa dai 3 ai 6 mesi. La leucemia mieloide cronica è una patologia rara che si osserva generalmente in età avanzata (oltre i 60 anni). Nell’oltre 90% dei casi di persone affette, la causa della malattia è data da una traslocazione cromosomica che porta il proto-oncogene ABL dal cromosoma 9 al 22. Questa traslocazione genera un 10 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 cromosoma 22 anomalo che si chiama anche cromosoma Philadelphia, in cui ABL, ormai oncogene, si inserisce a ridosso della sequenza codificante per BCR, un’altra chinasi. La traslocazione avviene a livello delle cellule staminali del sistema emopoietico, cellule che differenziano nei progenitori mieloide e linfoide, queste a loro volta differenziano ulteriormente per originare tutte le popolazioni mature del sangue periferico: monociti, linfociti T e B, granulociti, piastrine e globuli rossi. Nella leucemia mieloide cronica c’è una fase cronica iniziale prevalentemente asintomatica, perché i progenitori, in cui è già presente la traslocazione, mantengono la capacità di differenziarsi nelle cellule mature. Si può quindi vedere in un paziente nelle fasi iniziali di questa patologia, seppur asintomatico, un aumento del numero di granulociti neutrofili. Dalla fase cronica si passa poi a quella avanzata, a sua volta divisa in fase accelerata e fase di crisi blastica, in cui la malattia progredisce più velocemente perché i blasti leucemici, quindi i progenitori leucemici, acquisiscono altre mutazioni oltre alla traslocazione già citata e perdono così la capacità di differenziare nelle cellule mature. Osservando uno striscio di sangue periferico di un paziente affetto dalla leucemia mieloide cronica in fase avanzata, si nota un accumulo di progenitori indifferenziati della linea mieloide e della linea linfoide; nei due terzi dei casi si ha un accumulo di cellule immature mieloidi, nel terzo restante si ha accumulo di cellule immature linfoidi. Riassumendo: La traslocazione avviene in una cellula staminale del sistema emopoietico, la quale differenzierà in senso mieloide o linfoide. Nella fase cronica della malattia si ha un accumulo di granulociti neutrofili nel sangue e nelle fasi avanzate si ha un aumento delle cellule indifferenziate, ossia dei progenitori. Nella fase accelerata e in quella di crisi blastica si ha un aumento, progressivamente sempre più elevato, di queste forme immature che sono i blasti leucemici che portano la traslocazione BCR-ABL e ulteriori mutazioni. BCR E LA FORMAZIONE DI BCR-ABL Si può osservare l’organizzazione in esoni3 che codificano per ABL. ABL viene traslocato dal cromosoma 9 di partenza al 22 e il punto di rottura nel DNA che fa traslocare ABL è dopo il primo esone, generalmente dopo 3 gli esoni di un gene ne costituiscono la sequenza di mRNA che viene poi tradotto in proteina 11 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 1B o 1A, il concetto fondamentale è che nella traslocazione ABL perde il primo esone e questo è da tenere in considerazione. Nel caso di BCR la rottura è più complessa, si vede nuovamente l’organizzazione in esoni del gene codificante per BCR, questo ha diversi punti di rottura, quello rilevante nella leucemia mieloide cronica è il M-bcr (Major bcr) che si trova verso l’esone 5. Altri punti di rottura sono il m-bcr e il µ-bcr, rispettivamente minor e micro bcr e intervengono in altre leucemie, ad esempio la leucemia linfocitica acuta. Quando si ha un evento di traslocazione il DNA si rompe nel cromosoma di partenza e in quello di arrivo; il punto di rottura di ABL è dopo il primo esone, perde quindi il primo esone e mantiene tutti gli altri, BCR invece mantiene i primi esoni e perde gli altri. Il risultato è un gene di fusione BCR-ABL che determina la sintesi di una proteina che si chiama p210, poiché 210 kDA è il peso molecolare della proteina (nel caso della CML). A seconda del punto di rottura di BCR, si possono avere in altre forme di leucemia (leucemia linfocitica acuta), proteine di altre dimensioni. Si osserva il gene codificante ABL, il punto di rottura è vicino all’estremità 5’, viene perso solo il primo esone del gene; nel caso di BCR il punto di rottura è più centrale ma viene mantenuta la parte iniziale del gene. In blu si vede la parte iniziale di BCR seguita da quasi tutto il gene codificante per ABL, si forma quindi un gene di fusione che viene trascritto in mRNA e tradotto in una proteina di fusione che si chiama BCR-ABL, una oncoproteina, una proteina che troviamo solo nelle cellule tumorali, nei blasti leucemici, in questo caso della leucemia mieloide cronica. Questa proteina favorisce la proliferazione e la crescita cellulare di questi blasti leucemici. 12 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 Domanda della Prof: Se la proteina ABL deriva da un oncogene perché favorisce la trasformazione neoplastica di una cellula, essendo presente anche nelle cellule normali? Prendendo in esame l’organizzazione in domini della proteina, si nota la prima parte formata da BCR che è una chinasi, avente un dominio detto CC. Durante la traslocazione ABL viene portata a ridosso di BCR e si forma il gene di fusione. ABL è la porzione seguente BCR ed è una proteina ad attività tirosina-chinasica, ossia fosforila i residui di tirosina, ha un dominio di legame al DNA e due regioni dette SH3 e SH2. Questa è la proteina di fusione che si forma nei blasti leucemici e gli conferisce il vantaggio proliferativo. Il vantaggio è dato dal fatto che, in questa conformazione, tante proteine BCR-ABL possono trans-fosforilarsi e possono unirsi a livello del dominio CC: se interagiscono la chinasi di ABL fosforila un residuo di tirosina Y177 su BCR. La tirosina fosforilata diventa il punto di ancoraggio per una serie di proteine coinvolte nella trasduzione del segnale che determina l’attivazione di RAS, RAF e delle MAPchinasi. In particolare Y177 funge da punto di ancoraggio per GRB2 e SOS che a loro volta permettono l’attivazione di RAS, RAF e delle MAPchinasi che hanno un ruolo di rilievo nella proliferazione cellulare. BCR-ABL determina l’attivazione anche di un’altra pathway intracellulare, ossia quella regolata da JAK/STAT che hanno il ruolo di indurre la proliferazione e la sopravvivenza cellulare. Riassumendo: ABL è una tirosina-chinasi che viene traslocata a ridosso di BCR, si forma un gene di fusione che viene tradotto in una proteina di fusione dove ABL fosforila la tirosina 177 e questo determina l’attivazione di più pathway intracellulari coinvolte nella proliferazione cellulare. Domanda della Prof: Perché quando ABL è associato a BCR diventa una oncoproteina che è in grado di trasformare una cellula staminale normale in una neoplastica e perché invece quando ABL ha la sua attività normale non si ha questo effetto? Risposta: Quando la proteina ABL è intera, ossia è presente anche l’esone 1, esone perso nella traslocazione, esso codifica per una porzione N-terminale che permette una interazione intramolecolare a livello del dominio catalitico della chinasi. Ciò comporta che la tirosina chinasi di ABL in condizioni normali sia auto-inibita. In condizioni normali ABL non è in grado di fosforilare i suoi bersagli, neanche la tirosina di BCR; tuttavia, durante la traslocazione di ABL questo perde l’esone 1 che è il responsabile della conformazione di auto- inibizione. Senza l’esone 1 non è presente in ABL la porzione N-terminale che permette alla proteina di auto-inibirsi, perciò la proteina ABL è costitutivamente attiva. 13 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 ABL e BCR-ABL sono differenti per questo motivo in primis e anche per altri motivi: ABL è generalmente localizzata nel nucleo e non può fungere da ancoraggio per quelle proteine che abbiamo nominato in precedenza poiché GRB2, SOS, RAS, RAF sono citoplasmatiche. In condizioni normali la localizzazione nucleare di questa proteina insieme ad una bassa attività tirosina-chinasica determinano un’inattivazione della proteina. BCR-ABL si trova invece nel citoplasma e qui è costitutivamente attiva, perciò attiva continuamente la pathway di RAS, RAF e delle MAPchinasi, attivando così la proliferazione cellulare. TRATTAMENTI TERAPEUTICI Nel 90% dei casi di leucemia mieloide cronica si trova questa traslocazione 9-22 di ABL e le opzioni terapeutiche erano molto limitate, tra le quali figurava il trapianto di midollo osseo allogenico che però è un trattamento complicato, eseguito solo da alcuni centri specializzati e nei pazienti anziani non è una grande opzione terapeutica, inoltre siccome la maggior parte dei pazienti supera i 60 anni non risulta un’ottima terapia. Altre terapie erano basate sull’interferone o sulla chemioterapia. Il trattamento di questa leucemia è stato rivoluzionato con l’introduzione di farmaci specifici che sono degli inibitori specifici della tirosina-chinasi di ABL. IMATINIB Il primo inibitore si chiama IMATINIB mesilato o GLEEVEC e rappresenta il primo esempio di terapia per una neoplasia che è stata ideata dopo aver compreso il meccanismo molecolare alla base della malattia: dopo aver capito che nei blasti leucemici c’era una traslocazione BCR-ABL e ABL era costitutivamente attivata tramite un certo meccanismo molecolare, sono così stati costruiti degli inibitori specifici per la tirosina- chinasi di ABL. IMATINIB è un inibitore competitivo del sito di legame dell’ATP nella chinasi di ABL, di fatto inibisce la chinasi e provoca l’apoptosi dei blasti leucemici. La traslocazione genera un gene di fusione e di conseguenza una proteina di fusione, che ha attività chinasica costitutiva e fosforila substrati multipli per attivare in maniera costitutiva un segnale mitogeno. Con IMATINIB si blocca l’intera pathway fin da subito; si forma la proteina di fusione che però viene inibita e questo determina la morte cellulare per apoptosi delle cellule portatrici della traslocazione. IMATINIB rappresenta uno dei primi TKI (Tyrosin Kinase Inibitor) con attività inibitoria su ABL, ma in realtà è in grado di inibire anche la chinasi di Kit e quella del recettore di PDGF. Funziona nell’80% delle persone trattate in fase cronica, ha una risposta ematologica completa e una risposta citogenetica molto buona nei pazienti trattati in fase cronica. In fase avanzata IMATINIB funziona un po’ meno e un po’ meno bene, il trattamento è quindi meno efficiente e meno duraturo se i pazienti vengono trattati nelle fasi avanzate della malattia. IMATINIB rappresenta uno degli esempi più importanti di oncogene addiction, ossia dipendenza dall’oncogene. Significa che la tirosina chinasi del gene di fusione, ossia BCR-ABL, è talmente importante per la sopravvivenza e la crescita cellulare delle cellule tumorali da renderle dipendenti dall’attività chinasica costitutiva. Quando viene inibita, l’effetto terapeutico è molto efficace, questo perché le cellule tumorali dipendono per la loro sopravvivenza e la loro crescita da quella proteina. 14 Ferretti G., Ferretti M., Finotti Oncologia (Gibellini) Lezione 2 11/10/2024 IMATINIB è inoltre un farmaco importante perché presenta un follow up particolarmente lungo nella storia dei TKI. In figura si osserva una curva di Kaplan Meier dove si trova il numero di pazienti che sopravvive (in giallo quelli trattati con IMATINIB); nel 2017 si sono raggiunti i 10 anni di sopravvivenza per le persone trattate con questo tipo di farmaco. Generalmente in oncologia i follow up sono più brevi, di qualche mese oppure di pochi anni. Riassumendo: IMATINIB è importante perché: rappresenta il primo farmaco pensato dopo aver compreso il meccanismo molecolare alla base di una malattia, in questo caso la leucemia mieloide cronica funziona nei pazienti in fase cronica e quindi permette di evitare la progressione della malattia Tuttavia, anche per IMATINIB rimangono degli ostacoli: si possono creare resistenze a questo farmaco, mutazioni nei blasti leucemici che permettono a BCR-ABL di non essere più inibita da questo farmaco possibile permanenza di poche cellule leucemiche positive a BCR-ABL. La persistenza di queste cellule è definita malattia minima residua e nel momento in cui si dovesse interrompere il trattamento queste poche cellule positive potrebbero dare luogo nuovamente ad una crescita cellulare e quindi ad una leucemia. Al fine di risolvere il primo punto sono stati pensati, testati e approvati nella clinica degli inibitori di seconda generazione (DASATINIB), che possono sostituire l’IMATINIB nella terapia. 15