Chirurgia addominale PDF
Document Details
Uploaded by GlisteningYeti
University of Insubria
Tags
Summary
This document provides an index and summary of abdominal surgery topics, including abdominal wall pathologies, hernias, and various organs. It has a comprehensive structure with headings and sections.
Full Transcript
2 Indice Chirurgia addominale Sommario Indice Chirurgia addominale........................................................................................................................ 0 PATOLOGIE della PARETE ADDOMINALE............................................
2 Indice Chirurgia addominale Sommario Indice Chirurgia addominale........................................................................................................................ 0 PATOLOGIE della PARETE ADDOMINALE...................................................................................................... 1 PATOLOGIA ERNIARIA.................................................................................................................................. 2 LAPAROCELE...............................................................................................................................................13 ESOFAGO....................................................................................................................................................15 STOMACO e DUODENO...............................................................................................................................33 VIE BILIARI..................................................................................................................................................48 PANCREAS..................................................................................................................................................61 FEGATO......................................................................................................................................................73 IPERTENSIONE PORTALE.............................................................................................................................90 INTESTINO TENUE.......................................................................................................................................95 COLON E RETTO........................................................................................................................................102 CANALE ANALE.........................................................................................................................................119 APPENDICITE ACUTA.................................................................................................................................131 ILEO..........................................................................................................................................................136 ADDOME ACUTO......................................................................................................................................141 PERITONITE..............................................................................................................................................143 EMORRAGIE del TRATTO GASTROENTERICO.............................................................................................145 INFARTO INTESTINALE..............................................................................................................................147 MILZA.......................................................................................................................................................151 ITTERO......................................................................................................................................................156 Riassunto e Schemi:..................................................................................................................................163 0 PATOLOGIE della PARETE ADDOMINALE Dal punto di vista anatomo-chirurgico, la parete addominale viene distinta in antero-laterale e postero-laterale. I limiti della parete antero-laterale sono in alto, i margini dell’arcata costale e l’apofisi xifoidea in basso, le creste iliache, i legamenti inguinali e la sinfisi pubica lateralmente, due linee verticali congiungenti le creste iliache con il margine dell’arcata costale Dal punto di vista topografico, la parete antero-laterale si può suddividere in nove regioni: ipocondrio destro, epigastrio, ipocondrio sinistro; fianco destro, mesogastrio, fianco sinistro; fossa iliaca destra, ipogastrio, fossa iliaca sinistra. In sezione trasversale, la parete antero-laterale risulta costituita dai seguenti piani sovrapposti di tessuti: cute tessuto sottocutaneo (strato adiposo, strato membranoso) muscoli rivestiti dalle fasce peritoneo L’anatomia topografica degli strati muscolo-aponeurotici della parete addominale è particolarmente importante, poiché è a questo livello che si costituiscono i tramiti di passaggio delle principali ernie addominali. Da ciascun lato, la parete muscolare è costituita dai muscoli larghi (obliquo esterno, obliquo interno, trasverso) e dal muscolo retto: il muscolo obliquo esterno è il più superficiale e presenta fibre dirette dall’alto in basso, dalle regioni laterali verso la linea mediana. Nella parte inferiore dell’addome, esso termina con un’aponeurosi assai estesa, il cui limite inferiore è notevolmente ispessito a costituire il legamento inguinale (del Poupart), che decorre dalla spina iliaca antero-superiore alla sinfisi pubica il muscolo obliquo interno è situato posteriormente all’obliquo esterno e presenta fibre con decorso ortogonale rispetto a quest’ultimo. La sua terminazione aponeurotica si sdoppia al di sopra della linea semicircolare e va a costituire la guaina dei muscoli retti. Nel maschio, alcuni fasci di tale muscolo si uniscono ad altri fasci originati dal tubercolo pubico per formare il muscolo cremastere il muscolo trasverso origina lateralmente dalla fascia lombo-dorsale e le sue fibre hanno decorso orizzontale. La terminazione aponeurotica mediale partecipa alla costituzione della guaina del muscolo retto al di sopra della linea semicircolare. Una propaggine di tale muscolo si inserisce sulla sinfisi pubica per formare, con il muscolo obliquo interno, il tendine congiunto. Dietro al m. trasverso si trova la fascia trasversale che, sotto la linea semicircolare, dove manca la guaina posteriore dei muscoli retti, costituisce l’unica struttura fasciale che chiude l’orifizio interno del canale inguinale il muscolo retto origina dalla superficie anteriore della 5^-6^-7^ costa e si inserisce inferiormente sul margine anteriore della sinfisi pubica La parete antero-laterale dell’addome è vascolarizzata dalle ultime 6 arterie intercostali, dalle 4 arterie lombari e dalle arterie epigastriche superiori e inferiori. I muscoli larghi sono innervati da rami T7-L1. I nervi ileo-inguinale e ileo- ipogastrico innervano la regione inguinale e lo scroto. I limiti della regione postero-laterale sono: in alto, le ultime due coste in basso, la cresta iliaca medialmente, il rachide lombare lateralmente, una linea verticale che decorre dalla spina iliaca antero-superiore al margine costale Tale parete presenta tre strati muscolari: lo strato superficiale comprende il grande dorsale e l’obliquo esterno lo strato medio comprende il muscolo sacrospinale, il muscolo obliquo interno ed il dentato postero-inferiore lo strato profondo comprende il quadrato dei lombi e il grande psoas La vascolarizzazione della parete lombare è fornita dalla 12^ arteria intercostale e dalle arterie lombari. La parete lombare presenta alcune aree di debolezza, attraverso le quali si possono fare strada le ernie: - il triangolo di Petit è delimitato dal muscolo grande dorsale, dall’obliquo esterno e dalla cresta iliaca - il quadrilatero di Grynfelt è delimitato dal margine laterale dei muscoli spinali e del muscolo quadrato dei lombi, dal margine posteriore del muscolo obliquo interno, dalla 12^ costa e dal margine inferiore del muscolo dentato postero-inferiore 1 PATOLOGIA ERNIARIA Si definisce ernia la fuoriuscita di un viscere, o di una parte di esso, rivestito dai suoi tegumenti, dalla cavità in cui è normalmente contenuto, attraverso un'area di debolezza della parete, o attraverso un orifizio o un canale naturale. Il termine ernia deriva dal greco hernios, che significa ‘bocciolo’. Le ernie addominali sono frequenti: si calcola che ne sia affetto circa il 5% della popolazione –in Italia siamo circa 60 milioni, quindi circa 3 milioni di persone sono affette da patologia erniaria, cumulativamente (tra quelli operati e quelli che non lo sono ancora stati). Le ernie di manifestano a ogni età, con massina incidenza nel neonato e nell’anziano. Classificazione. Secondo un criterio eziopatogenetico, le ernie di possono distinguere in congenite e acquisite: le ernie congenite derivano da un difetto o da un arresto di sviluppo di una porzione della parete addominale. I momenti fisiopatologici fondamentali sono - la mancata obliterazione di un tragitto anatomico durante lo sviluppo - un aumento della pressione endo-addominale le ernie acquisite si sviluppano a partire da aree di debolezza circoscritte della parete addominale, in seguito a sforzi che aumentano la pressione endoaddominale. I momenti fisiopatologici fondamentali nella formazione delle ernie acquisite sono - la formazione di un’area di lassità, di debolezza intrinseca dei tessuti muscolo-aponeurotici - la predisposizione anatomica - l’aumento della pressione endoaddominale Un’ulteriore classificazione delle ernie le suddivide in: interne: la fuoriuscita di un viscere o parte di esso dalla sua sede naturale avviene all’interno della cavità addominale, per cui non è evidente; sono abbastanza rare e in genere vengono diagnosticate con metodologie radiologiche, che consentono di rilevare spazi anomali entro la cavità addominale in cui i visceri si vanno ad infilare; sono prevalentemente coinvolti il piccolo intestino e l’ileo esterne: sono classiche protuberanze, tumefazioni del contenuto della parete addominale che tendono a fuoriuscire e ad apparire superficialmente a livello cutaneo Vi sono alcune regioni della parete addominale in cui le ernie si manifestano con massima frequenza; quelle di maggiore interesse chirurgico sono le regioni inguinale, crurale, ombelicale e la linea alba, semilunare di Spigelio, lombare, otturatoria. La regione inguinale rappresenta in assoluto la zona dove si manifestano più frequentemente le ernie (75%), seguita dalle regioni crurale (15%), ombelicale (5%) ed epigastrica (3%). Patogenesi, fattori di rischio. Nella patogenesi delle ernie si riconoscono cause predisponenti e cause determinanti. Cause predisponenti sono rappresentate da malformazioni congenite della parete addominale, quali la pervietà del dotto peritoneo-vaginale nel caso dell’ernia inguinale e l’incompleta chiusura della parete a livello ombelicale nel caso dell’ernia ombelicale. Nel sesso maschile è molto più frequente l’ernia inguinale (circa il 90% dei casi), poiché il dotto peritoneo-vaginale, a fianco del quale scende il testicolo per raggiungere la posizione definitiva, e che normalmente si chiude dopo la nascita, in taluni individui rimane pervio la gravidanza, per l’aumento di pressione endoaddominale e per l’indebolimento della parete, che può esitare in una diastasi dei muscoli retti. Uno degli esercizi che viene raccomandato alle donne post-gravidanza è la ginnastica per rafforzare i muscoli addominali per ricostruire l'integrità e la capacità contenitiva della parete addominale, in seguito allo stress a cui è stata sottoposta la parete addominale durante la gravidanza. Dopo gli interventi chirurgici, il tono muscolare della parete addominale deve essere ripreso tramite ginnastica. La cicatrice chirurgica impiega circa 1 mese a completarsi / formarsi e circa altri 2 mesi per consolidarsi (consolidamento del tessuto cicatriziale); è quindi corretto dire ai pazienti post-chirurgici di tornare all'attività quotidiana normale evitando gli sforzi dopo 1 mese e a riprendere a fare ginnastica in palestra dopo 3 mesi. 2 fattori ereditari di debolezza della parete addominale, specialmente a livello delle strutture muscolo- aponeurotiche delle regioni inguinale e crurale (es. sindrome di Marfan, sindrome di Ehlers-Danlos). E' importante essere a conoscenza di malattie a carico del connettivo eventualmente presenti nel paziente, ma anche di malattie non direttamente correlate alla patologia erniaria che però possono avere un qualche rapporto con essa: ad esempio, un paziente con una malattia autoimmune, che non è strettamente correlata all'ernia, assume alte dosi farmaci corticosteroidei, che hanno un effetto lesivo sul tessuto muscolare; per questo motivo, tale paziente potrebbe avere una predisposizione allo sviluppo di ernie conseguente all’indebolimento ‘acquisito’ delle strutture connettivali l’età: l’assottigliamento e l’indebolimento della parete muscolo-aponeurotica sono tipiche dell’anziano; i difetti di sviluppo della parete addominale predispongono alla patologia erniaria del neonato; gli sforzi predispongono alla patologia erniaria dell’adulto il rapido dimagrimento, che provoca un indebolimento dei tessuti: quando il paziente volontariamente o non volontariamente perde peso, in realtà ha una perdita sostanzialmente di massa magra (= tessuto muscolare) che comporta un indebolimento della parete. Tra le cause determinanti si riconoscono gli sforzi che aumentano la pressione endoaddominale (pianto, tosse, defecazione, sollevamento di pesi), che sono critici soprattutto per l’estrinsecarsi delle ernie nel bambino e nel neonato, in quanto sottopongono la parete addominale, magari già intrinsecamente debole, ad una sollecitazione meccanica e ad un’ipossigenazione progressiva l’ascite voluminosa l’insufficienza respiratoria cronica: l'ipossia che consegue all'insufficienza respiratoria cronica coinvolge in primis l'apparato cardio-circolatorio, ma interessa anche tutte le strutture che vanno incontro ad ipossigenazione, comprese quelle muscolari. Tant'è che il paziente affetto da insufficienza respiratoria cronica tipicamente è un paziente con una scarsa qualità di muscoli, che fa fatica a camminare perché ha poco tono muscolare, una scarsissima riserva muscolare, anche a livello della parete addominale. Questa condizione è considerata come causa predisponente e determinante della formazione di ernie, oltre che essere un fattore di rischio per le recidive. i traumi della parete addominale, che provocano indebolimento o rilasciamento delle normali strutture aponeurotiche. Sono un problema molto spesso misconosciuto. Se il paziente, soprattutto in età giovanile, subisce dei traumi che indeboliscono la parete addominale e provocano un aumento improvviso della pressione endoaddominale, si può avere l'erniazione di un viscere. La fuoriuscita sotto pressione così rapida può portare alla sofferenza veloce dell'ansa intestinale che esce dalla porta erniaria; se misconosciuta, si può arrivare ad una lesione di tipo ischemico dell'ansa stessa e quindi a peritonite Anatomia patologica. Gli elementi costitutivi fondamentali di un’ernia sono la porta, il sacco e il contenuto: la porta è l'orifizio o il tragitto attraverso cui fuoriesce il viscere erniato; è rappresentata da un anello muscolo-aponevrotico, i cui margini sono denominati i pilastri della porta erniaria. È importante ricordarsi che si tratta di un anello muscolo-aponevrotico per due motivi: 1. durante la contrazione della parete addominale, può esserci una compressione / uno stringimento su quello che è l'organo erniato, che può causare degli insulti di tipo ischemico 2. nel momento in cui il chirurgo deve riparare quel tessuto, deve ridurre il contenuto erniato e ricostruire l'integrità di questo orifizio appoggiandosi sui margini della porta, che sono margini di fascia muscolare, che tiene il sacco è il rivestimento del viscere erniato; è rappresentato da un'estroflessione del peritoneo parietale, al quale si associano degli involucri accessori (porzioni di tessuto muscolare, aponevrotico, connettivale e adiposo) sospinti dal sacco e a esso aderenti. Presenta tre parti: il colletto, cioè la porzione in rapporto con i pilastri della porta erniaria, il corpo e il fondo. 3 A livello del colletto il sacco presenta degli ispessimenti determinati dalla flogosi cicatriziale, denominati stigmate di Cloquet; l’infiammazione e l’ispessimento del colletto possono ridurlo a un cercine anaelastico, importante nella patogenesi dello strozzamento dell'ernia. Talora il sacco riveste solo parzialmente i visceri erniati, in relazione al fatto che normalmente una parte della superficie di tali visceri è extraperitoneale; l’ernia viene allora definita da scivolamento (per esempio, ernia da scivolamento del sigma) il contenuto è costituito dai visceri erniati. Quasi tutti i visceri addominali possono erniare, eccetto quelli saldamente fissi in posizione extraperitoneale. Particolarmente frequenti sono le ernie delle anse dell’intestino tenue e del grande omento, visceri dotati di grande mobilità. Complicanze. L’ernia può andare incontro fondamentalmente a cinque tipi di complicanze: - l’intasamento è l’accumulo di contenuto intestinale nelle anse dell’intestino erniato che non può progredire nel lume. Tale complicanza determina l’aumento progressivo di volume del viscere erniato, l’irriducibilità dell’ernia e l’insorgenza di occlusione intestinale meccanica; rappresenta un’indicazione all’intervento chirurgico d’urgenza. Le ernie in cui è più frequente il problema dell'intasamento con occlusione intestinale sono quelle in cui il contenuto è più solido, come possono essere quelle coinvolgenti il sigma, in cui frequentemente l'intasamento e l'occlusione intestinale sono piuttosto precoci, mentre le ernie del piccolo intestino più difficilmente daranno luogo ad intasamento perché il materiale a questo livello è più liquido e riuscirà a passare anche se il lume è millimetrico - l’infiammazione, che può essere acuta o cronica. L’infiammazione acuta è rara, mentre molto più frequente è la flogosi cronica, determinata da piccoli traumi persistenti - l’incarceramento è l’irriducibilità che si manifesta in seguito alla formazione di aderenze tra contenuto, sacco e porta erniaria. A causa dell’instaurarsi di processi infiammatori cronici, si vengono a formare delle aderenze tra i visceri erniati, il sacco, gli involucri accessori e i tegumenti: la comparsa di tessuto fibrotico lungo il tragitto erniario impedisce il rientro dell'ernia in modo assoluto, seppur senza compromissioni vascolari. Un’ernia incarcerata può rimanere asintomatica per un tempo indeterminato senza dare grossi problemi, fintantochè l'intestino riceve comunque un apporto vascolare adeguato e continua a funzionare normalmente entro il sacco erniario - lo strozzamento è una complicanza grave che può verificarsi in seguito a uno sforzo. Si verifica più facilmente nelle ernie con porta erniaria costituita da un cercine muscolo-aponeurotico rigido, quali sono le ernie crurali, le ernie ombelicali e quelle della linea alba. E’determinato dall’improvvisa costrizione del peduncolo vascolare del contenuto erniario a livello della porta; ciò comporta grave ostacolo circolatorio a livello del viscere erniato (stasi venosa da compressione), con progressivo edema e infarcimento emorragico dei contenuti nel sacco, fino alla necrosi ischemica del contenuto in poche ore. Compaiono inizialmente i segni e i sintomi dell’ileo meccanico; più tardi, per la comparsa di peritonite, si manifesta ileo paralitico. 4 Ulteriori e temibili complicanze dello strozzamento sono la gangrena e la perforazione del viscere strozzato; ciò comporta una grave peritonite, soprattutto se il contenuto è costituito da un’ansa dell’uintestino che può riversare contenuto fecale nel cavo peritoneale, dando origine a una peritonite stercoracea, gravata da un’elevata mortalità per shock settico - la rottura è una complicanza che si verifica in seguito a grave trauma a carico dell’ernia, che può causare lo scoppio di un’ansa intestinale erniata o la rottura dell’omento erniato. Quadro clinico. Le ernie della parete addominale hanno un quadro sintomatologico abbastanza vario; comunque, nella maggior parte dei casi, le ernie sono asintomatiche, se non per la sensazione di fastidio e/o di peso e di distensione cutanea che conferiscono alla zona della tumefazione. Si rendono clinicamente manifeste allorchè vanno incontro a complicanze, come nel caso di intasamento (> ileo meccanico) o di strozzamento (> sofferenza ischemica dell’ansa erniata, con ileo meccanico e rischio di perforazione con peritonite). Spesso il paziente riferisce di aver vissuto un episodio doloroso durante uno sforzo e di aver notato da allora la fuoriuscita di un’ernia, piuttosto che di un gonfiore o di una tumefazione. All'esame obiettivo si può repertare una tumefazione più o meno evidente, della quale è bene indagare la riducibilità anche tramite manovra di taxis (manovra di riduzione manuale da eseguire sempre con estrema cautela; consiste nella palpazione graduale, con movimenti circolari, che permette la riduzione del contenuto tramite il rientro del viscere in cavità addominale attraverso la porta erniaria). Tipicamente, l’ernia si rende più evidente con la stazione eretta (soprattutto nel caso delle cosiddette punte erniarie), perchè in clinostatismo la forza di gravità richiama all'interno della cavità addominale i visceri fuoriusciti e disorienta la diagnosi, non rendendo visibile la tumefazione all'ispezione. Solitamente l’ernia non è dolente (a meno che non sia complicata), perciò ad esempio la manovra di esplorazione del canale inguinale può risultare fastidiosa ma non particolarmente dolente. Caratteristica è la percezione di una sensazione di impulso: facendo eseguire al paziente una manovra di torchio addominale (un colpo di tosse o una spinta come per andare di corpo) per aumentare la pressione endo-addominale, si sente col dito l'impulso pulsorio perché si sforza e si induce l'ernia a manifestarsi. L’ernia viene definita riducibile se è possibile riposizionarne nella cavità addominale il contenuto; è irriducibile nel caso contrario. La condizione di irriducibilità di un’ernia può avere tre cause: ernome volume del contenuto erniario; in tal caso, i visceri erniati hanno perso il diritto di domicilio nel cavo addominale incarceramento, per la formazione di aderenze tra i visceri erniati, il sacco, gli involucri e i tegumenti strozzamento Nelle ernie non complicate, il contenuto si può riposizionare in cavità addominale con la manovra di riduzione manuale (manovra di taxis); se i visceri fuoriescono di nuovo nel sacco rapidamente quando il paziente si pone in ortostatismo, oppure in seguito al minimo sforzo che aumenta la pressione endoaddominale, l’ernia viene definita incontenibile. Per fare diagnosi, in caso di ernia clinicamente evidente l’esame obiettivo è sufficiente; non è necessario differenziare ernie dirette da indirette a livello pre-operatorio (è una finezza che non influisce assolutamente sul trattamento). Approfondimenti diagnostici (per lo più esame ecografico della regione incriminata) si rendono necessari solo in caso di dolore di dubbia origine, specie se localizzato in regione inguinale. Cenni di terapia. L'approccio chirurgico per il trattamento delle ernie consiste fondamentalmente nel riposizionamento in sede del sacco e del contenuto erniario e nella sintesi del difetto di parete, solitamente tramite l’utilizzo di protesi; 5 si basa sull’applicazione del principio della tailored surgery, che prevede di scegliere la tecnica più adatta al paziente e al tipo di difetto parietale, soprattutto per quel che riguarda: - l’anestesia, che può essere locale, epidurale oppure totale - il tipo di ricovero: si passa dal caso di ernie molto piccole, non complicate, che possono essere affrontate in regime di day-surgery, fino a patologie erniarie decisamente più complesse per cui sicuramente il tipo di ricovero cambia - l’eventuale impiego di una rete di fissaggio (colle, punti, plug o fiocchetti) - il tipo di approccio chirurgico (laparotomico, laparoscopico) - il tipo di difetto da correggere Il concetto di plastica erniaria ‘tension-free’ è scaturito fondamentalmente dalla messa in discussione dell’antico concetto secondo il quale l’unico tessuto aponeurotico valido e utilizzabile che si può reperire superiormente nel canale inguinale è il tendine congiunto e che solo l’avvicinamento di quest’ultimo al legamento inguinale è l’elemento fondamentale per la tenuta dell’ernioplastica. Purtroppo il tentativo di riavvicinare queste strutture, così come proposto dalle classiche tecniche di riparazione autologa dell’ernia, causa inevitabilmente tensione sulla linea di sutura. I fautori della tecninca tension-free ritengono che proprio questa tensione sia la causa dell’eventuale rottura della sutura o dei tessuti, nonché il primo fattore eziologico della possibile recidiva erniaria. Pertanto si è diffuso il concetto di riparazione senza tensione, che implica l’utilizzo di materiale protesico sotto forma di rete ed eventualmente di un tappo per occludere la porta erniaria. Il materiale più utilizzato per la tessitura delle reti attualmente in commercio è il monofilamento derivato dal nylon – prolene o propilene. Quindi, in un intervento di plastica erniaria senza tensione, anziché suturare le pareti della porta erniaria, si giustappone alla parete indebolita una rete in prolene sottile e morbida, ma assai robusta; nelle maglie della rete si sviluppa rapidamente tessuto connettivale, che la rennde inamovibile, oblitera la porta e rinforza la parete. ERNIA INGUINALE E’ la fuoriuscita di un viscere (o di parte di esso), rivestito dai suoi tegumenti, dalla cavità in cui è normalmente contenuto, attraverso il canale inguinale. Rappresenta la forma di ernia più frequentemente riscontrata (75% di tutte le ernie diagnosticate) ed insorge più spesso nei maschi (90%). La regione inguinale appartiene alla parete addominale antero-laterale. I limiti anatomici sono rappresentati dal legamento inguinale, dal margine laterale del muscolo retto e da una linea orizzontale idealmente tracciata dalla spina iliaca antero-superiore al margine laterale del muscolo retto. I due punti di repere della regione inguinale sono la spina iliaca antero-superiore e il tubercolo pubico. La linea ideale che congiunge tali punti è detta linea di Malgaigne, che corrisponde alla proiezione cutanea del legamento inguinale e serve a delimitare la regione inguinale (posta superiormente) dalla regione crurale (posta inferiormente). Il canale inguinale attraversa a tutto spessore la parete addominale, verso il basso e medialmente; è un tragitto che, nell’adulto, ha una lunghezza di circa 5 cm; è appiattito e presenta quattro pareti: - anteriore, costituita dall’aponeurosi del muscolo obliquo esterno - posteriore, costituita dalla fascia trasversale (che si fissa al margine posteriore del legamento inguinale e che, a questo livello, è rinforzata dal legamento interfoveolare lateralmente e dal tendine congiunto medialmente) - superiore, costituita dai bordi inferiori del muscolo obliquo interno (e trasverso) - inferiore, corrispondente al legamento inguinale Il canale inguinale inizia posteriormente con l’anello inguinale interno; esso è sottoperitoneale e corrisponde a un'evaginazione della fascia trasversale che, in tale punto, si continua nel maschio con la tonaca vaginale comune del cordone spermatico, mentre nella femmina va ad avvolgere il legamento rotondo dell'utero. E’ delimitato medialmente dal legamento interfoveolare e dai vasi epigastrici inferiori; è protetto in alto e lateralmente dall'arco aponevrotico del muscolo trasverso e dalle fibre del muscolo obliquo interno. L'anello inguinale esterno, che si apre entro lo scroto nel maschio e dentro il grande labbro nella femmina, è delimitato lateralmente e medialmente dai pilastri, rispettivamente laterale e mediale, dell'aponeurosi del muscolo obliquo esterno dell'addome; superiormente è circoscritto dalle fibre arciformi che collegano i due pilastri medesimi; inferiormente è formato dal legamento inguinale riflesso (del Colles), proveniente dal muscolo obliquo esterno eterolaterale. 6 Nel canale inguinale decorre nell’uomo il funicolo spermatico e nella donna il legamento rotondo dell’utero. Il funicolo spermatico, attraversando il canale inguinale, passa da una posizione endoaddominale retroperitoneale alla posizione sottocutanea all'ingresso della borsa scrotale. È avvolto dai seguenti elementi: - la fascia cremasterica, una propaggine della parete inferiore del muscolo obliquo interno - il muscolo cremastere, formato di fasci longitudinali di fibre che sono dipendenza del muscolo obliquo interno dell'addome e che, contraendosi, hanno il compito di sollevare il testicolo - la tonaca vaginale comune (fascia spermatica interna), corrispondente a un'estroflessione della fascia trasversale, la quale riveste posteriormente il muscolo trasverso dell'addome. Esso è composto dalle seguenti formazioni: - dotto deferente: cilindrico, di consistenza dura, di colorito biancastro, è facilmente distinguibile alla palpazione - arterie spermatica interna (ramo dell'aorta) ed esterna (ramo dell'epigastrica inferiore) - arteria deferenziale (ramo dell'arteria vescicale superiore, che decorre aderente al dotto deferente) - vene del testicolo che formano il plesso pampiniforme - vasi linfatici del testicolo - nervi genito-femorale e ileo-inguinale 7 Una delle possibili conseguenze dell'ernia inguinale è l'infertilità maschile, dovuta alla compressione cronica sui vasi spermatici da parte del contenuto erniario che porta ad un ipoflusso e quindi all’ischemia cronica dei testicoli, i quali riducono la produzione di spermatozoi. Il testicolo, nella sua discesa nello scroto, è accompagnato da un'estroflessione del peritoneo (dotto peritoneo- vaginale) che, a sviluppo ultimato, si oblitera nella parte funicolare, mentre nella parte testicolare forma la tonaca vaginale del testicolo: l'incompleta o mancata obliterazione del dotto è alla base di alcune forme di ernie inguinali congenite. Vista dall’interno dell’addome, sulla superficie peritoneale la parete della regione inguinale presenta pliche convergenti dalla pelvi verso l’ombelico: 1. la plica mediana è il residuo dell’uraco (legamento ombelicale medio) 2. lateralmente vi è la plica del residuo dell’arteria ombelicale (legamento ombelicale mediale) 3. ancora più lateralmente vi è la plica dei vasi epigastrici (legamento ombelicale laterale) Tali pliche delimitano bilateralmente tre fossette, rilevanti dal punto di vista anatomo-chirurgico: - fossetta inguinale esterna, corrispondente all’anello inguinale interno, attraverso cui protrudono le ernie inguinali oblique esterne; è situata lateralmente alla plica dei vasi epigastrici - fossetta inguinale media, situata tra i vasi epigastrici (laterali) e il residuo dell’arteria ombelicale (mediale), che corrisponde al triangolo di Hesselbach; le ernie che penetrano in tale fossetta sono le ernie dirette - fossetta inguinale interna, situata tra il residuo dell’uraco (mediale) e il residuo dell’arteria ombelicale (laterale), che dà passaggio alle ernie inguinali oblique interne; è rinforzata dal tendine congiunto e dal muscolo retto: ciò spiega la relativa rarità dell’ernia obliqua interna. Esistono tre varietà di ernie inguinali, che si distinguono in base alla localizzazione dell’orifizio della porta erniaria e a seconda della direzione con cui il sacco erniario attraversa il tragitto inguinale: - l’ernia inguinale obliqua esterna rappresenta il tipo di ernia che si osserva più frequentemente. Il sacco entra nel canale inguinale attraverso l’anello inguinale interno, lateralmente alla plica dei vasi epigastrici inferiori. Il momento fisiopatologico è rappresentato dallo sfiancamento dell’anello inguinale interno, riferibile a un abnorme rilasciamento delle strutture connettivali della fascia trasversalis.In base all’estensione dell’ernia è possibile distinguere le seguenti varietà: punta d’ernia, quando il sacco occupa appena l’orifizio inguinale interno ernia interstiziale, quando il sacco discende fino a impegnare il sanale inguinale bubbonocele, se il sacco attraversa completamente il canale inguinale e sporge nel tessuto sottocutaneo, fuoriuscendo dall’orifizio inguinale esterno oschiocele o ernia inguino-scrotale, se il sacco discende fin dentro lo scroto 8 - l’ernia inguinale diretta è legata alla debolezza della parete posteriore del canale inguinale in corrispondenza del triangolo di Hesselbach, laddove l’unico supporto è fornito dalla fascia trasversalis. La porta erniaria è la fossetta inguinale media. L’ernia diretta aumenta lentamente di volume e non raggiunge solitamente grandi dimensioni, perché è contenuta in parte dalla fascia trasversalis e dall’aponeurosi del muscolo obliquo esterno. Nelle ernie dirette di vecchia data, gli anelli inguinali esterno ed interno si avvicinano sempre di più, fino a consentire al dito di entrare direttamente nel cavo addominale - l’ernia inguinale obliqua interna è un’ernia poco frquente che, fuoriuscendo, impegna la fossetta inguinale mediale, dirigendosi verso l’orifizio inguinale esterno. La porta d’ingresso è ampia, pertanto l’ernia si strozza raramente. Il contenuto è spesso rappresentato dal tessuto adiposo prevescicale e dalla vescica. L’ernia si presenta come una tumefazione che protrude attraverso la parete addominale, rivestita dai tegumenti. Se non si sono manifestate complicanze, l’ernia non è dolente né spontaneamente né alla palpazione; solitamente il paziente riferisce senso di peso o di stiramento e fastidio in corrispondenza della tumefazione erniaria. La diagnosi di ernia si fonda sui reperti dell’anamnesi e dell’esame obiettivo; solo raramente è necessario ricorrere all’esame ecografico. Nei neonati e nei bambini, anche se l’esame obiettivo è negativo, si deve sospettare l’esistenza di un’ernia se viene riferita dai parenti l’osservazione di una tumefazione in una delle zone erniarie. L’esame obiettivo delle regioni inguinale e crurale, che sono le sedi più frequenti di ernia, si effettua esaminando il paziente inizialmente in posizione ortostatica e successivamente in decubito supino. All’esame ispettivo l’ernia si presenta come una tumefazione della parete dell’addome, di forma variabile ma tendenziamente rotondeggiante, di dimensioni variabili, con limiti che sfumano nel tessuto sottocutaneo, ricoperta dalla cute. Nel caso in cui al momento dell’ispezione non vi sia tumefazione erniaria visibile, è opportuno invitare il paziente a eseguire la manovra del torchio addominale o a tossire, perché ciò facilita la fuoriuscita della tumefazione erniaria; in tal modo, il riempimento del sacco erniario avviene progressivamente dal colletto verso il fondo. In assenza di complicanze, alla palpazione l’ernia presenta una consistenza molle ed elastica con superficie liscia se il contenuto è intestinale, mentre è di consistenza parenchimatosa con superficie irregolarmente granulosa se il contenuto è l’omento. Alla palpazione si apprezza la continuità della tumefazione erniaria con la parete addominale. Per esplorare il canale inguinale, il dito esploratore deve essere fatto scivolare dolcemente tramite l'orifizio inguinale esterno, fino all'avvertimento di uno stop - che sarà tanto più precoce quanto più grossa è l'ernia all'interno del canale stesso - che impedisce un'ulteriore progressione del dito nel canale. Potrebbe anche succedere che il canale inguinale venga esplorato completamente senza sentire nulla o sentendo uno stop che si potrebbe definire essere forse l'anello inguinale interno. Nel caso in cui l’ernia sia ridotta, è opportuno invitare il paziente a tossire perché, appoggiando la mano o il dito esploratore a livello della porta erniaria, si potrà percepire l’impulso determinato dalla fuoriuscita del contenuto. La diagnosi differenziale tra ernia obliqua esterna, diretta ed obliqua interna si può effettuare valutando la direzione con cui viene percepito dal dito esploratore l’impulso del sacco erniario, quando il paziente tossice: - nell’ernia inguinale obliqua esterna, l’impulso viene rilevato dalla punta del dito - nell’ernia diretta, esso viene rilevato dal dorso della prima e della seconda falange del dito - nell’ernia inguinale obliqua interna, l’impulso viene percepito più medialmente Bisogna inoltre fare diagnosi differenziale tra ernia inguinale e tumefazioni di altra natura che si possono manifestare a livello della regione inguinale e dello scroto, come varicocele, idrocele, neoplasie del testicolo. L’ernia lasciata a sé aumenta progressivamente di volume e può andare incontro a complicanze. 9 La terapia delle ernie può essere conservativa palliativa o chirurgica radicale. - la terapia conservativa consiste nell’applicazione di una contenzione elastica della regione, mediante la quale si può mantenere ridotta l’ernia; è da considerarsi una terapia palliativa consigliabile solo ai pazienti in condizioni generali compromesse, per i quali l’intervento chirurgico radicale presenta un rischio troppo elevato. Infatti, l’applicazione del cinto erniario comporta un trauma cronico da compressione sull’ernia, che può talora determinare l’insorgenza di complicanze quali la flogosi dell’ernia e il suo strozzamento - la terapia radicale è chirurgica e prevede l’identificazione e l’isolamento del sacco erniario, la riduzione del contenuto nel cavo addominale, l’asportazione o l’affondamento del sacco e la chiusura della porta erniaria mediante sutura plastica della parete addominale inguinale, con o senza rete sintetica di rinforzo. L’intervento chirurgico deve essere seseguito d’urgenza in caso di complicanze quali l’intasamento, lo strozzamento e la rottura dell’ernia. Se compare strozzamento o intasamento erniario, in aggiunta alle manovre precedentemente elencate è necessario eseguire la chelotomia d’urgenza, ossia l’incisione e lo sbrigliamento del cercine strozzante della porta erniaria. Le principali complicanze che un’ernia inguinale può dare dopo un intervento chirurgico sono legate - al rischio di recidiva: nel 10-15% dei casi, la recidiva può essere dovuta o alla scelta di una tecnica chirurgica non particolarmente appropriata, oppure per predisposizione del paziente (lassità congenita dei tessuti) - al dolore cronico: nel canale inguinale decorrono i nervi genito-femorale ed ileo-inguinale. Di norma dovrebbero essere visualizzati durante l’intervento di ernioplastica come delle piccole banderelle biancastre e preservati. Se vengono sezionati durante l’intervento, non succede nulla: puòal massimo comparire una zona di iposensibilità. Il dolore cronico insorge nel momento in cui i nervi vengono trazionati oppure fissati erroneamente alla rete o inglobati in alcuni punti di fissaggio della rete: in questo caso, il nervo rimane vitale, ma è e continua ad essere maltrattato da uno scorretto posizionamento della protesi; l’irritamento cronico che ne consegue determina l’insorgenza del dolore cronico stesso 10 ERNIA CRURALE E’ sempre un’ernia acquisita, da debolezza. E’ più frequente nella donna, probabilmente per motivi di conformazione anatomica: nella donna, infatti, la maggiore larghezza del bacino e una lacuna dei vasi femorali più ampia favoriscono la formazione di un’ernia a livello crurale. Si manifesta solitamente in età adulta, presentandosi con una sintomatologia caratterizzata da dolori che insorgono prevalentemente durante la stazione eretta o in seguito a sforzi che aumentano la pressione endoaddominale; il dolore si attenua in decubito supino e alla flessione della coscia. All’esame obiettivo si apprezza una tumefazione rotondeggiante di 2-4 cm di diametro, palpabile al di sotto della linea di Malgaigne. La superficie della tumefazione è solitamente liscia o granulosa, in relazione al contenuto viscerale o omentale. L’ernia crurale protrude attraverso il canale crurale per indebolimento della porzione di fascia trasversalis che normalmente lo occlude. Il canale crurale è un tramite corto (1-2 cm), diretto dall’alto in basso, medialmente e anteriormente, delimitato - superiormente dal legamento inguinale - inferiormente dal muscolo pettineo e dal legamento di Cooper - medialmente dal legamento lacunare di Gimbernat - lateralmente dalla vena femorale Queste strutture rappresentano i margini della porta erniaria; a eccezione della vena femorale, essi sono rigidi e la loro inestensibilità favorisce l’incarceramento e lo strozzamento dell’ernia crurale. Il sacco erniario, impegnandosi nel canale crurale, sospinge davanti a sé il grasso preperitoneale ed emerge attraverso la fascia lata nella fossa ovale, sotto il legamento inguinale e lateralmente al tubercolo pubico. A ridosso del sacco, sul versante laterale si trova costantemente una linfoghiandola denominata linfonodo di Cloquet. A volte, data la ristrettezza della porta, solo una porzione della parete di un’ansa intestinale si fa strada nel sacco, costituendo così un’ernia laterale che può divenire incarcerata e strozzata (ernia di Richter o di Littrè). La diagnosi differenziale tra ernia crurale e linfoadenopatia può essere talora difficile. ERNIA OMBELICALE Le ernie ombelicali si possono presentare in età neonatale o nell’adulto. Si distinguono quattro varietà di ernie ombelicali, che si differenziano in base all’epoca di insorgenza, agli elementi morfologici costitutivi e per le manifestazioni cliniche: - l’ernia embrionale (onfalocele) è dovuta ad aplasia della parete addominale per arresto dello sviluppo. L’ernia è presente alla nascita: attraverso una breccia della parete addominale fuoriescono i visceri rivestiti dall’amnios, poiché è assente il peritoneo parietale - l’ernia fetale è presente alla nascita e appare come un ampio difetto imbutiforme della parte centrale della parete dell’addome. Origina da una chiusura incompleta della parete addominale, dopo che la cavità peritoneale si è costituita. Il rivestimento dei visceri erniati è pertanto rappresentato solo dal peritoneo e non dalla cute. - l’ernia ombelicale neonatale è ricoperta da cute e si manifesta entro pochi giorni o poche settimane dalla caduta del moncone ombelicale. Compare nel margine superiore dell’anello ombelicale, è facilmente riducibile e aumenta di volume quando il bambino piange, tossisce o defeca; è asintomatica e raramente si strozza. Il più delle volte è causata da una difettosa adesione tra i residui cicatrizzati del cordone e dell’anello ombelicale e tende a guarire spontaneamente con l’aiuto di un tampone compressivo - l’ernia ombelicale dell’adulto si estrinseca nella porzione superiore dell’anello ombelicale. In genere tende progressivamente ad aumentare di volume; può ulcerarsi e infettarsi. La diagnosi differenziale si pone con le tumefazioni ombelicali e periombelicali, le più frequenti delle quali sono i limpomi. Hanno la tendenza a incarcerarsi e strozzarsi. La terapia radicale è chirurgica. 11 ERNIA EPIGASTRICA (della LINEA ALBA) Le ernie epigastriche si manifestano nel tratto di linea alba compreso tra l’apofisi xifoidea dello sterno e l’ombelico. Iniziano come una protusione di tessuto adiposo preperitoneale attraverso smagliature della linea alba; se la soluzione di continuo della linea alba che costituisce la porta erniaria è sufficientemente ampia, oltre al grasso preperitoneale fuoriesce una vera e propria ernia, il cui sacco peritoneale contiene solitamente omento e talora anse intestinali. Sotto la spinta della pressione endoaddominale e a causa dell’inestensibilità dei margini della porta erniaria, l’ernia epigastrica può facilmente andare incontro a incarceramento e talora a strozzamento. Clinicamente l’ernia epigastrica si presenta come una tumefazione di dimensioni relativamente piccole (1-4 cm di dimaetro), talora molto dolente e spesso non riducibile a causa dell’incarceramento. Il trattamento radicale delle ernie epigastriche è chirurgico. Si esegue mediante incisione longitudinale mediana lungo la linea alba: si isola il sacco, lo si apre, si riduce il contenuto dopo averne constatato la vitalità, si lega il sacco al colletto e si escide. ERNIA DI SPIGELIO Questa vaerità di ernia è sempre acquisita; si fa strada nel punto in cui si incontrano i vasi epigastrici inferiori e la linea semilunare di Spigelio - l’ernia protrude nell’area in cui i muscoli larghi dell’addome si congiungono con le loro aponeurosi, a livello del margine laterale del retto, all’altezza dell’angolo esterno dell’arcata di Douglas. L’ernia è difficilmente palpabile, sia perché è confinata nello spessore della parete, sia perché è di piccole dimensioni. La terapia è chirurgica e consiste nel correggere il difetto di parete: si riduce il contenuto erniario, si reseca il sacco peritoneale e si sutura poi la fascia del muscolo retto con quella dei muscoli larghi. ERNIA OTTURATORIA E’ un’ernia rara che si osserva soprattutto nelle donne anziane; dopo aver attraversato il canale otturatorio, essa protrude nella regione supero-mediale della coscia, al di sotto del muscolo pettineo. L’esordio della sintomatologia è quasi sempre improvviso, con un quadro di occlusione intestinale accompagnato da dolore alla faccia mediale della radice della coscia. La diagnosi di ernia otturatoria viene solitamente posta allorchè questa va incontro a strozzamento, determinando la comparsa dei segni clinici di occlusione intestinale, accompagnati da dolore spontaneo e alla palpazione in corrispondenza del triangolo dello Scarpa e all’atteggiamento antalgico di flessione della coscia. La terapia è chirurgica, con via di accesso crurale che consente l’isolamento del sacco erniario a livello del canale otturatorio; si effettua quindi la riduzione del viscere erniato, la legatura e l’exeresi del sacco e la sutura della porta erniaria. 12 LAPAROCELE Per laparocele si intende la fuoriuscita di un viscere (o di parte di esso) dalla cavità nella quale è normalmente contenuto attraverso una breccia della parete addominale corrispondente ad una precedente incisione chirurgica che, a causa di una cicatrizzazione inadeguata, è andata incontro a cedimento, permettendo l’estrinsecarsi dell’ernia. Costituisce una complicanza post-operatoria nel 2% degli interventi addominali (laparotomici). La sua incidenza è particolarmente frequente in caso di infezione della ferita chirurgica. L’infezione comporta infatti il cedimento di parte della sutura del piano muscolo-aponeurotico: a tale livello, dopo la guarigione dell’infezione, residua un’area di debolezza della parete addominale, caratterizzata dal mancato avvicinamento dei lembi muscolo-aponeurotici. Dopo guarigione e consolidamento della ferita a livello cutaneo e sottocutaneo, il contenuto endoaddominale rivestito dal peritoneo, sotto l’impulso della pressione endoaddominale, si fa strada attraverso la breccia del piano muscolo-aponeurotico; si costituisce così un sacco peritoneale che protrude a livello sottocutaneo. Altri fattori predisponenti all’insorgenza del laparocele sono - difetto di tecnica chirurgica di sutura della laparotomia - tensione eccessiva delle suture - broncopatia cronica ostruttiva ed episodi di tosse violenta - malattie dismetaboliche (diabete, insufficienza renale), che rallentano i processi cicatriziali - distrofie tissutali (= degenerazione strutturale e funzionale) - malattie croniche con discrasie (patologie del sangue o del midollo osseo) L'evoluzione del laparocele è lenta e progressiva, ma a volte può essere già evidente anche dopo 15-20 giorni dall’intervento: se c'è un cedimento della ferita chirurgica per il mancato consolidamento dei punti (in genere legato ad un deficit della tecnica chirurgica), allora la fuoriuscita del viscere si verificherà rapidamente. Il sacco peritoneale spesso è pluriconcamerato perché, nella ferita chirurgica, ci sono dei punti con dei ponti cicatriziali che hanno tenuto e dei punti invece che non hanno tenuto da cui escono sacchi erniari; questo impone al chirurgo di esplorare l'intera ferita precedentemente causata. La localizzazione più frequente dei laparoceli è a livello della linea mediana, sia per la maggior frequenza delle incisioni laparotomiche in tale sede, sia per ragioni di tipo meccanico. Infatti, le incisioni chirurgiche longitudinali presentano un maggior rischio di laparocele rispetto a quelle trasversali perché sono ortogonali alle linee di forza dell’attività contrattile della muscolatura addominale (la parete addominale ha una funzione di contenimento dei visceri che si esplica mediante linee di forza orizzontali e oblique). Le conseguenze più importanti dei laparoceli voluminosi sono - insufficienza respiratoria cronica con aumento del lavoro respiratorio: in corrispondenza di ogni contrattura della parete addominale, si verificano un aumento della pressione endoperitoneale e un’azione di compressione sul diaframma, che si distende e si innalza. La perdita di solidità della linea di ancoraggio anteriore dei muscoli larghi sui muscoli retti e sulla linea alba comporta un’alterazione della dinamica respiratoria. Se la muscolatura della parete addominale viene ad essere completamente sovvertita e mal inserita, per esempio per sfiancamento, l’organo “parete addominale” non può più svolgere la sua funzione contenitiva e respiratoria; perché esso funzioni correttamente è infatti necessario che: i muscoli larghi siano correttamente inseriti la pressione addominale sia normale In condizioni normali, la contrazione diaframmatica è controbilanciata da una pressione endoaddominale di circa 10 cm di H2O; in presenza di un laparocele voluminoso della linea mediana, tale pressione tende ad annullarsi per mancanza della contropressione della parete addominale. 13 I muscoli retti, con il passare del tempo, ruotano sul loro asse longitudinale di circa 90°, fino ad assumere una posizione ortogonale rispetto a quella originale; tale disposizione anomala non consente di aumentare la pressione endoaddominale e compromette i movimenti del diaframma - insufficienza vascolare venosa, conseguente sia a deficit di pompa (per aumentato lavoro respiratorio) sia a diminuito ritorno al cuore, per inginocchiamento della VCI sotto l’effetto dell’aumentata pressione endoaddominale - tendenza alla distensione dei visceri cavi e alterazione della peristalsi - tendenza all’ipotrofia della muscolatura addominale I laparoceli comportano inoltre l’insorgenza di complicanze a livello dei visceri protrusi nel sacco, quali incarceramento (e quindi irriducibilità) o strozzamento del laparocele. E’ possibile classificare i laparoceli in rapporto alla mobilità del loro contenuto: - laparoceli riducibili o mobili: sono quelli in cui i visceri fuoriescono nel sacco in conseguenza dei movimenti respiratori e degli aumenti di pressione endoaddominale, senza aderire al sacco stesso - laparoceli fissi o incarcerati: sono quelli in cui i visceri sono aderenti al sacco e non sono più riducibili nell’addome; quest’ultima condizione predispone allo strozzamento. La diagnosi di laparocele si pone in base all’anamnesi di pregresso intervento chirurgico laparotomico e sulla scorta dei reperti dell’esame obiettivo; questo mette in evidenza una tumefazione a livello di una cicatrice laparotomica, talora dolente, che protrude in seguito all’aumento della pressione endoaddominale. Nel caso del laparocele però il paziente deve essere studiato meglio di quanto si faccia in caso di ernia (in cui solitamente è sufficiente quanto emerge dall’esame obiettivo), al fine di essere portato al tavolo operatorio con un programma ben preciso: correggere un laparocele è talvolta complesso e bisogna arrivare in sala operatoria preparati dal punto di vista tecnico. Indagini e trattamenti pre-operatori che si eseguono solitamente sono: esami ematochimici di routine, ECG e visita radiologica, RX del torace in due proiezioni, PFR e visita fisiatrica, fisiokinesiterapia respiratoria, EGA, ecotomografia addominale, EGDS e colonscopia. La terapia può essere contenitiva nel caso in cui il paziente rifiuti l'intervento chirurgico e/o se il laparocele è ancora in fase iniziale e di piccole dimensioni (> lo scopo è quello di ‘non peggiorare la situazione’). La terapia radicale del laparocele è chirurgica e consiste essenzialmente di due fasi: - l’isolamento del sacco del laparocele con riduzione del contenuto (conseguente all’incisione, che di solito viene fatta nella sede della cicatrice precedente, e all’apertura dei vari piani della parete addominale, fino all’individuazione del difetto) - la riparazione del difetto della parete addominale A questi tempi chirurgici fondamentali è spesso necessario aggiungere la resezione di parte dell’omento, se questo rimane tenacemente adeso al sacco del laparocele. LAPAROTOMIA = (gr. lapara, ventre e tomè, incisione) incisione chirurgica della parete addominale anteriore che permette l’accesso alla cavità addominale e agli organi in essa contenuti. 14 ESOFAGO L’esofago è un organo muscolare cavo a esclusiva funzione motoria, controllato da uno sfintere superiore e da uno sfintere inferiore, che si estende dal margine inferiore della cartilagine cricoidea (6^ vertebra cervicale) allo stomaco (10^ vertebra toracica). La sua lunghezza è di circa 25-30 cm, con variazioni individuali. All’osservazione endoscopica si osservano dei restringimenti fisiologici, detti crico-faringeo, aortico e iatale.Viene suddiviso in cervicale, toracico e addominale. Esso discende anteriormente alle vertebre, occupando la loggia posteriore del mediastino. Nel collo presenta una deviazione verso sinistra, per riportarsi lungo la linea mediana nel suo tratto toracico; nella sua porzione più distale, si dirige nuovamente a sinistra prima di impegnarsi nello iato diaframmatico davanti all’aorta. Queste deviazioni dalla linea mediana sono importanti dal punto di vista chirurgico, essendo l’esofago cervicale più facilmente aggredibile con un’incisione latero-cervicale sinistra, la porzione toracica tramite una toracotomia destra, a esclusione del tratto più distale che è più facilmente aggredibile tramite toracotomia sinistra o un approccio toraco- addominale sinistro. L’esofago è lassamente legato alle strutture adiacenti tramite un tessuto fibroalveolare per tutta la sua lunghezza. Superiormente, le fibre della muscolatura longitudinale dell’esofago si inseriscono alla cartilagine cricoidea. La riflessione pleurica sopradiaframmatica è in diretta continuazione con la pleura mediastinica ed è separata dalla porzione più distale dell’esofago da un ispessimento della fascia endotoracica, che costituisce la membrana freno-esofagea (del Bertelli). Questa importante membrana fibroelastica fissa l’esofago distale sul piano longitudinale, pur permettendone i continui spostamenti sul piano verticale solidali con la respirazione. Essa costituisce, inoltre, un importante fattore nel controllo del meccanismo antireflusso gastroesofageo. L’esofago riceve un apporto arterioso abbastanza scarso, e questo è un limite dal punto di vista chirurgico, in quanto non vi è la possibilità di avere circoli collaterali a disposizione per l’operazione. Non esiste infatti un’arteria esofagea propriamente detta; siste piuttosto una rete costituita da numerose piccole arterie che penetrano nella parete esofagea lungo tutto il suo decorso: - rami dell’arteria tiroidea inferiore - arterie bronchiali - rami che emergono direttamente dall’aorta nella porzione toracica - rami dell’arteria gastrica sinistra e dell’arteria frenica inferiore sinistra per l’estremità distale 15 Il drenaggio venoso affluisce alle vene tiroidee inferiori del collo e alle vene azygos ed emiazygos nel torace. L’esofago distale costituisce il più importante distretto in cui avviene la comunicazione tra il sistema portale e il sistema cavale ed è il sito in cui possono presentarsi le varici nei pazienti affetti da ipertensione portale. Il fatto che non esistano circoli collaterali dell'esofago deve far capire che, in sede di intervento chirurgico, salvo in casi particolari di neoplasie esofagee intratoraciche, non esiste la possibilità di resecare un tratto di esofago e ricongiungere poi tra loro le due estremità (prossimale e distale) rimaste, ma si può procedere solamente con un'esofagectomia totale. Questo perchè non si riuscirà mai a ricreare un circolo vascolare sufficiente a supportare la porzione di esofago rimasta – se non nel caso in cui la porzione 'avanzata' sia quella addominale, che potrebbe eventualmente essere sostentata da parte del sistema gastrico. I vasi linfatici formano un esteso plesso mucoso e sottomucoso tra loro ampiamente comunicanti. I linfonodi di drenaggio sono raggruppati in tre stazioni: - la prima è costituita dai linfonodi posti ai lati dell’esofago (iuxtaesofagei) - la seconda stazione è composta dai linfonodi mediastinici - la terza, procedendo in senso cranio-caudale, dai linfonodi cervicali profondi, sovraclaveari, tracheo- bronchiali e celiaci In linea generale, il drenaggio linfatico dei 2/3 superiori dell’esofago si dirige verso la regione cervicale, mentre il terzo inferiore drena in direzione della regione sottodiaframmatica. Lo sfintere esofageo superiore è costituito dal muscolo crico-faringeo (parte del m. costrittore inferiore della faringe). L’orientamento trasversale dei fasci del muscolo crico-faringeo e quello obliquo dei fasci muscolari del costrittore inferiore del faringe delimitano uno spazio di relativa debolezza, noto come triangolo di Killian. Esso è considerato come il più frequente luogo di formazione dei diverticoli faringo-esofagei. Il corpo dell’esofago è costituito da quattro tonache: esterna, muscolare, sottomucosa e mucosa. I due piani muscolari del terzo superiore dell’esofago sono costituiti da muscolatura striata; distalmente si osserva una graduale sostituzione con fibrocellule muscolari lisce. La tonaca sottomucosa è molto lassa, in modo da consentire la dilatazione dell’esofago durante il passaggio del cibo. La tonaca mucosa è rivestita da un epitelio squamoso pluristratificato non cheratinizzato. Il passaggio dall’epitelio liscio, squamoso dell’esofago all’epitelio cilindrico dello stomaco forma una linea netta di demarcazione, con andamento a zig-zag, detta linea Z. La giunzione esofago-gastrica è l’unica area dell’apparato digerente in cui strutture cavitarie in continuità hanno opposti valori pressori; tale differenza è mantenuta da un meccanismo controllato dallo sfintere esofageo inferiore, il quale consente la presenza di una pressione positiva intragastrica e di una pressione negativa intratoracica, prevenendo così l’aspirazione del contenuto gastrico in esofago. In condizioni fisiologiche, il tono dello sfintere e le sue eventuali variazioni sono controllati da fattori miogeni, meccanici, neurogeni, ormonali e farmacologici. La manometria esofagea ha permesso di registrare le variazioni pressorie ai vari livelli dell’esofago indotte dall’atto della deglutizione. Tali variazioni pressorie rispecchiano fedelmente l’attività contrattile muscolare. - in condizioni di riposo, la pressione basale del corpo dell’esofago è negativa e lo sfintere prossimale e quello distale sono chiusi - solo il momento iniziale della deglutizione viene promosso dalla contrazione volontaria dei muscoli della lingua, che spingono il bolo triturato indietro verso il faringe. Ciò dà avvio a una contrazione involontaria della muscolatura del faringe in direzione di quella crico-faringea: lo sfintere superiore si rilascia momentaneamente per permettere al bolo di impegnarsi nell’esofago prossimale - l’ingresso del bolo nel primo tratto dell’esofago è accompagnato dalla partenza di un’onda peristaltica primaria. Lo sfintere inferiore si rilascia non appena viene raggiunto dall’onda peristaltica primaria, pochi secondi dopo l’inizio della deglutizione. 16 Una lesione patologica esofagea è, in genere, sospettabile per la presenza di alcuni sintomi specifici: - disfagia: è la sensazione di arresto della progressione del bolo durante la deglutizione. La disfagia per i cibi solidi (ortodossa) indica una patologia importante che può essere organica o funzionale, mentre la disfagia esclusivamente per i liquidi (paradossa) è dovuta con maggiore probabilità a un disordine della motilità esofagea. La difficoltà alla deglutizione può essere occasionale o variabile nella sua gravità; una disfagia persistente e progressiva indica invece un restringimento organico del lume esofageo. Questa è, in genere, associata a rigurgito. Nei casi in cui la disfagia giunga a essere completa, i pazienti sono incapaci di deglutire anche la saliva, con conseguente scialorrea - rigurgito: è la risalita spontanea e l’emissione retrograda attraverso le fauci di materiale inghiottito ma non pervenuto allo stomaco, quindi non digerito, senza attivazione della muscolatura in senso antiperistaltico. Si presenta spesso quando il paziente è in posizione supina nel corso della notte. Il materiale che refluisce nel faringe e nella bocca durante la notte può essere aspirato inavvertitamente dal paziente, provocando una polmonite ab ingestis - scialorrea: è un aumento della secrezione di saliva, condizionato da una stimolazione riflessa vagale ed associata alla disfagia di grado elevato (es: per ostacolo meccanico o funzionale dell’esofago) - odinofagia: è la comparsa di dolore localizzato generalmente nella regione retrosternale conseguente alla deglutizione di particolari cibi solidi o liquidi. La sua presenza denota spesso una malattia organica, più comunemente un’esofagite. Le bevande molto calde o contenenti acido citrico, caffè e cibi molto piccanti sono frequentemente causa di odinofagia - pirosi: è il bruciore retrosternale, una sensazione urente (> il paziente avverte un gusto acido o amaro in bocca, con conseguente salivazione riflessa che può evolvere in scialorrea) che può essere dovuta al reflusso del succo gastrico, lesivo per la mucosa esofagea su cui provoca un’esofagite. L’insulto chimico è aggravato dal mancato svuotamento del materiale refluito, conseguente al disordine della motilità (discinesia) indotto dall’esofagite stessa - dolore toracico: il dolore toracico anteriore di origine esofagea, descritto come costrittivo o a spasmo (a poussé), è simile a quello dell’angina pectoris; può irradiarsi posteriormente al dorso, alla mandibola, all’orecchio e al braccio sinistro. Questo tipo di dolore è comunemente riscontrato in pazienti con esofagite da reflusso o disordini della motilità esofagea. Sebbene l’esofago non sia accessibile all’esame fisico, l’esame obiettivo dei pazienti con malattia esofagea deve scrupolosamente controllare l’eventuale presenza di - segni di calo ponderale - pallore secondario ad anemia (secondaria a stillicidio ematico cronico) - tumefazioni latero-cervicali e sovraclaveari - anomalie alla percussione e all’auscultazione del torace - presenza di masse epigastriche - epatomegalia con o senza ittero Talora, nei pazienti con reflusso e rigurgito posturale, possono essere presenti sintomi di origine polmonare, come accessi di tosse e ripetute infezioni polmonari dovute a polmoniti ab ingestis. Indagini per lo studio dell’esofago. La radiografia del torace è necessaria in tutti i pazienti che presentano una sintomatologia esofagea per poter escludere una polmonite ab ingestis, individuare un allargamento mediastinico che può suggerire un coinvolgimento linfonodale ed evidenziare qualsiasi ombra nei tessuti molli o livelli idroaerei (stomaco intratoracico, acalasia). Nei pazienti in cui vi sia il sospetto di una peforazione esofagea o di deiescenza anastomotica intratoracica, una radiografia del torace è indispensabile per evidenziare l’eventuale presenza di enfisema mediastinico e versamento pleurico. L’esame standard che si esegue in elezione è la radiografia dell’apparato digerente con pasto opaco. L’indagine, eseguita ponendo il paziente in posizione di Trendelenburg, consente di individuare con discreta accuratezza la presenza del reflusso e dimostrare la presenza di perforazione esofagea o di deiescenza di anastomosi chirurgica. 17 Il bario, se fuoriesce dal lume esofageo, può indurre la formazione di mediastiniti di origine chimica, pertanto spesso si preferisce utilizzare in questi casi un mezzo di contrasto idrosolubile (Gastrografin). L’endoscopia con strumento flessibile fornisce un’ottima visualizzazione e permette un concomitante esame dello stomaco. L’esofagoscopia deve essere proposta in tutti i pazienti che presentino disfagia o altri sintomi specifici. Essa fornisce utili informazioni nei casi di esofagite, indicandone la gravità o la presenza di complicanze, e permettendone la classificazione in stadi. E’ inoltre di fondamentale importanza nell’identificazione di neoplasie esofagee. Sia la biopsia del tessuto presunto neoplastico sia la citologia del liquido di lavaggio sono usate per la diagnosi di lesione maligna. Le biopsie sono anche necessarie per identificare l’epitelio di Barrett nei pazienti con malattia da reflusso di lunga durata. Le prove di funzionalità comprendono la manometria e la pH-metria. La manometria consiste fondamentalmente nella registrazione della pressione intraesofagea. Un catetere viene introdotto per via nasogastrica e il profilo dell’attività pressoria dello stomaco, della giunzione cardio- esofagea, dell’esofago a vari livelli e infine dello sfintere superiore e del faringe vengono regisrati mentre il catetere viene ritiraro lentamente di 5 cm in senso caudo-craniale. Per la pH-metria, dopo una manometria preliminare che accerta la localizzazione dello sfintere esofageo inferiore, un indicatore di pH viene inserito 5 cm sopra lo sfintere. L’elettrodo è collegato a un collettore di dati portatile su cui il paziente può registrare in tempo reale gli episodi dolorosi, i pasti, la posizione eretta o quella supina. Una volta installato, il paziente può svolgere la sua normale attività quotidiana. Il monitoraggio è continuo per 24 ore, dopo le quali i dati ottenuti dal collettore vengono trasferiti in un computer per l’analisi. Il software utilizza i dati in due modi: si ottengono l’analisi degli episodi di reflusso e i tempi complessivi di esposizione totale dell’esofago all’acido. Si può così definire il numero di eventi/ore, la loro durata media ed il numero degli episodi più lunghi di reflusso. Episodi di reflusso acido prolungato che insorgono prevalentemente in posizione supina durante la notte sono solitamente associati a un difetto della capacità di svuotamento dell’esofago. DISCINESIE L'esofago, come le restanti parti del tubo digerente, è interessato dal propagarsi di onde di contrazione (peristalsi), che si sviluppano in modo da determinare la comparsa di zone di rilasciamento (in cui trova spazio in bolo, ancora di consistenza semi-solida) e zone di contrazione (che permettono l'avanzare del bolo all'interno del lume). Con la definizione ‘malattia funzionale dell’esofago’ o discinesia esofagea si indica un disturbo motorio caratterizzato da alterazioni della normale attività peristaltica, senza ostruzione organica del lume. L’acalasia rappresenta il principale disordine della motilità esofagea. Consiste nel mancato rilasciamento del LES durante la deglutizione, assenza o incoordinata attività peristaltica nel terzo distale dell’esofago e progressiva dilatazione dell’esofago. L’incidenza della malattia è eguale nei due sessi, colpisce individui nella fascia di età compresa tra i 20 e i 60 anni, con un picco di incidenza attorno ai 45 anni di età; è virtualmente assente nei bambini e negli anziani. La alterazion funzionali di questa malattia sono: - assenza di onde peristaltiche (o peristalsi non coordinata) nel terzo inferiore dell’esofago - incompleto rilasciamento del LES - pressione del LES a riposo solitamente elevata (ipertonia) Dal momento che le funzioni del faringe e dello sfintere superiore sono integre, il bolo alimentare viene introdotto in esofago normalmente, ma la muscolatura esofagea manca della capacità di far progredire il contenuto; inoltre, mancando la coordinazione tra onda peristaltica e apertura del LES, il bolo si arresta a livello della giunzione cardiale, che rimane chiusa. L’ingresso del cibo nello stomaco avviene solo quando la pressione idrostatica del contenuto esofageo è in grado di superare l’ostruzione funzionale a livello del LES. 18 Con il progredire dello stadio della malattia, l’intero esofago si dilata e si allunga, sino ad assumere, negli stadi avanzati, vari aspetti – a fiasco, fusiforme, sigmoideo (dolicomegaesofago). L’alterazione della peristalsi esofagea è conseguente a un danno dell’innervazione parasimpatica dell’esofago: il deficit consiste in una degenerazione, riduzione di numero o completa assenza delle cellule gangliari a livello del corpo dell’esofago, che si mantengono invece normali a livello del LES. L’acalasia è una malattia progressiva che si manifesta con disfagia per i cibi sia liquidi che solidi, rigurgito e dolore toracico anche a distanza dall’assunzione di cibo. La disfagia presenta un esordio graduale: all’esordio della malattia, quando la dilatazione dell’esofago è minima, essa è accompagnata da odinofagia e da episodi di intenso dolore toracico a insorgenza spontanea. Successivamente, con l’instaurarsi di una maggiore dilatazione esofagea e della consistente stasi del cibo in esofago, i sintomi più frequenti diventano l’alitosi, le eruttazioni e il rigurgito. Il dolore toracico o retrosternale viene descritto come crampiforme, irradiato posteriormente e al giugulo, mimando un’angina pectoris; può essere talmente severo da indurre il paziente a una riduzione dell’introduzione di cibo, con conseguente calo ponderale. Non infrequente è la pirosi; il singhiozzo generalmente insorge durante il pasto e scompare dopo l’ingestione di liquidi o l’induzione di rigurgito; verosimilmente, è la conseguenza della distensione esofagea con stimolazione di fibre afferenti vagali. L’acalasia viene sospettata tramite un’anamnesi accurata e, in genere, la diagnostica strumentale permette una rapida diagnosi: - la radiografia del torace in ortostatismo può suggerire la presenza di acalasia per l’assenza della bolla gastrica nel 50% dei pazienti e un aumento dell’ombra mediastinica secondaria alla sovradistensione dell’esofago - il test principale è rappresentato dallo studio radiologico del transito esofageo con mezzo di contrasto, che rileva la dilatazione del viscere, l’assenza di contrazioni peristaltiche coordinate, l’alterato svuotamento esofageo (aspetto disomogeneo della parete causato dalla coesistenza di cibo, saliva e bario) e l’aspetto “a coda di topo” della giunzione esofago-gastrica - la manometria esofagea mostra sempre una normale conduzione della sequenza peristaltica a livello del tratto prossimale, mentre evidenzia aperistalsi a livello della porzione distale. Normalmente la pressione a livello sfinteriale varia da 20-30 mmHg (pressione basale) a 0 mmHg (durante il passaggio del cibo); in presenza di acalasia, la pressione basale può essere anche il doppio di quella normale e durante la deglutizione non scende mai a 0 mmHg (= condizione di ipertono - la presenza di disfagia severa deve imporre l’esclusione di una patologia organica dell’esofago, dalla neoplasia alla stenosi, ai diverticoli esofagei, e pone l’indicazione a effettuare un’EGDS. Il corpo 19 esofageo appare dilatato, atonico, spesso tortuoso, generalmente con mucosa normale; la presenza di stasi cronica induce eritema, friabilità mucosa, ispessimento ed erosioni Il trattamento di elezione per l’acalasia è eminentemente chirurgico, tramite - dilatazione della giunzione esofago-gastrica per via endoscopica, in cui si utilizza un palloncino per mettere in trazione le fibre muscolari; lo sfiancamento si ottiene solo dopo ripetute sedute (4 o 5 volte) e non è solitamente risolutiva - iniezione di sostanze miorilassanti (es botulino): consiste nell’iniezione di miorilassanti per via endoscopica in sede sfinteriale; il suo effetto transitorio obbliga il ripetersi del procedimento a distanza di 3 o 6 mesi. Le recidive raggiungono circa il 60-70% dei pazienti trattati, da cui si evince che non è una tecnica risolutiva, potendo inoltre portare al reflusso gastro-esofageo. - miotomia extramucosa per via chirurgica: unico procedimento definitivo, solitamente attuato in via laparoscopica, consiste nella resezione dei fasci di tessuto muscolare liscio circostanti l’esofago distale (circa 6 cm sopra e sotto lo sfintere), lasciando intatta la sottostante mucosa. I fasci muscolari divaricati dell’esofago vengono fissati con punti staccati al pilastro diaframmatico e al fondo gastrico; successivamente, il fondo gastrico viene apporto anteriormente (fundoplicatio) a copertura della miotomia La miotomia extramucosa è l’unica terapia efficace e con risultati eccellenti; si registra un incidenza di reflusso gastro- esofageo solo nel 15% dei pazienti trattati, di mortalità nell’1% e di grave rischio di una perforazione accidentale (con conseguente mediastinite) nel 6%. DIVERTICOLI ESOFAGEI Il diverticolo è, per definizione, l’estroflessione della parete di un viscere cavo – in questo caso, della parete dell’esofago. I diverticoli esofagei possono essere definiti, sulla base dell’origine, congeniti o acquisiti. I diverticoli congeniti sono molto rari e rappresentano forme di duplicazione dell’esofago. I diverticoli acquisiti possono essere classificati secondo criteri che tengono conto: - dell’eziologia, per cui si riconoscono diverticoli da pulsione, dovuti a una graduale estroflessione, attraverso un’area di debolezza della parete muscolare, della mucosa e sottomucosa del viscere, per effetto di un’elevazione patologica della pressione intraluminale diverticoli da trazione, dovuti all’attrazione esercitata da un processo di retrazione cicatriziale esterno secondario a processi infiammatori contingui alla parete del viscere (linfoadenopatie infiammatorie in regione tracheo-bronchiale). - dell’istologia, per cui si riconoscono diverticoli veri (se sono presenti tutte le tonache della parete dell’esofago) e diverticoli falsi (se la parete del diverticolo è coperta solo da parte degli strati anatomici del viscere cavo) - della topografia, cioè della parte di esofago a livello della quale si estrinseca il diverticolo; si riconoscono quindi a livello cervicale, diverticoli faringo-esofagei (diverticoli di Zenker) a livello toracico, diverticoli medio-toracici o iuxtabronchiali a livello degli ultimi 10 cm di esofago, diverticoli epifrenici Il diverticolo faringo-esofageo (di Zenker) è quello di più frequente riscontro (65%). E’ un diverticolo da pulsione, generalmente secondario a un’incoordinazione faringo-esofagea o, più raramente, a un disordine della motilità esofagea. E’ tre volte più frequente nel sesso maschile e generalmente insorge in età media e avanzata (70-75 anni). Le discinesie faringo-esofagee che si ritiene siano alla base del meccanismo patogenetico della lesione sono - incoordinazione faringo-esofagea (es: contrazione dello UES prima che la contrazione faringea si sia completata) - ipertono dello UES - mancato rilasciamento dello UES all’atto della deglutizione 20 - reflusso gastroesofageo; l’associazione tra diverticoli di Zenker e reflusso gastro-esofageo è stata riscontrata da Belsey nel 42% dei casi e da Skinner nel 50% dei casi; le diverse incidenze sono da ricondurre al diverso tipo di esame cui si sottopone il paziente (nel 30-40% dei casi, si tratta comunque di manometria esofagea) - discinesia secondaria ad altri disordini della motilità esofagea, quali acalasia e spasmo diffuso Il diverticolo ha una parete sottile formata da mucosa e sottomucosa (per cui può essere definito un diverticolo falso). Si presenta come un’estroflessione mucosa lungo la linea mediana della parete posteriore, a livello della giunzione faringo-esofagea, tra le fibre del muscolo costrittore inferiore del faringe e le fibre trasversali del muscolo crico-faringeo (triangolo di Killian), al di sopra dello UES. Quest’area rappresenta una zona di minor resistenza, sia per la particolare disposizione delle fibre muscolari, sia per la minor rappresentazione della componente muscolare a favore invece di un abbondante tessuto adiposo. Dal momento che la protusione posteriore è delimitata dalla colonna vertebrale, il diverticolo ingrandendosi si viene a trovare a lato della linea mediana, in genere a sinistra, dietro l’esofago. Con l’aumento di dimensioni, la tasca tende ad assumere una posizione longitudinale e declive, comprimendo e dislocando l’esofago anteriormente, sino ad allinearsi con il faringe. Di conseguenza, il cibo ingerito entra più facilmente nel diverticolo che nel lume esofageo. La disfagia, il rigurgito, la ruminazione e la tosse all’assunzione di cibo diventano sempre più frequenti. In seguito alla compressione dell’esofago, la disfagia diventa sempre più grave, compaiono attacchi di tosse, rigurgito posturale, faringiti, alitosi, raucedine e anoressia. Il materiale ingerito può accumularsi nel diverticolo al punto di renderlo, in rare circostanze, palpabile in posizione latero-cervicale sinistra, dove la palpazione provoca un rumore di gorgoglio. Le complicanze cui possono andare incontro i diverticoli faringo-esofagei sono - complicanze comuni a qualsiasi tipo di diverticolo: - intasamento, ostruzione e infiammazione (diverticolite) - perforazione - emorragia, sanguinamento - ascesso (> flemmone del collo) - fistolizzazione (fistola esofago-cutanea o esofago-tracheale) - complicanze settiche dell’apparato respiratorio (polmonite ab ingestis) - possibile insorgenza di carcinoma (> meno dell’1% dei diverticoli di Zenker può degenerare in carcinoma: a causa della continua e cronica irritazione da parte del bolo alimentare stagnante nei confronti della mucosa esofagea diverticolare, l’epitelio esofageo va dapprima incontro a metaplasia e, successivamente, diventa displastico e infine tumorale. Il riscontro endoscopico/radiografico di irregolarità ed erosioni al transito e di un aspetto iperemico della mucosa devono far nascere il sospetto di degenerazione neoplastica del diverticolo) - fenomeni da compressione di strutture nervose - disfonia, per compressione del nervo laringeo ricorrente - miosi, per compressione della catena simpatica - disturbi sincopali, per compressione del nervo vago e del plesso carotideo 21 La diagnosi viene fatta tramite esame radiografico mirato del collo (o del torace) con mezzo di contrasto. Visto il rischio di rottura/perforazione, si preferisce di solito usare un mdc idrosolubile (Gastrografin). L’esofagoscopia è controindicata o va eseguita con precauzioni particolari da un esaminatore esperto, poiché lo strumento tende a infilarsi direttamente nel diverticolo e, per la sottigliezza della parete, il rischio di perforazione è elevato. La stadiazione della patologia è importante soprattutto per la decisione circa l’approccio terapeutico da adottare; in particolare, i diverticoli stadiati al I e II stadio non hanno indicazione all’intervento: - I stadio (forma a spina di rosa): il diverticolo è di piccole dimensioni (2-3 mm), perpendicolare all’asse principale dell’esofago; il paziente è asintomatico, quindi di solito il riscontro è occasionale - II stadio (forma a mazza da golf) : il diverticolo ha dimensioni di 7-8 mm, comunque < 1 cm, e si dispone perpendicolarmente all’asse dell’esofago; in genere il paziente è asintomatico - III stadio: il diverticolo ha dimensioni >1 cm e segue l’asse principale dell’esofago, esercitando su di esso una compressione tale da determinare un’impronta sulla parete posteriore dell’esofago, senza tuttavia dislocare il lume del viscere anteriormente - IV stadio: il diverticolo è talmente voluminoso che, all’esame radiografico, il mezzo di contrasto disegna quasi esclusivamente il suo profilo, e non quello dell’esofago; il lume dell’esofago è evidentemente dislocato anteriormente Scopi del trattamento chirurgico del diverticolo sono - eliminare eventuali ostruzioni e la correlata disfagia - prevenire ulteriori complicanze. Gli interventi chirurgici attuabili mediante un approccio latero-cervicale sinistro sono: - miotomia crico-faringea (incisione del muscolo cricofaringeo per circa 4 cm) senza resezione del diverticolo, realizzata in caso di diverticoli di piccole dimensioni - diverticolotomia, spesso associata a miotomia crico-faringea; è necessaria in caso di ampi diverticoli - sezione sotto guida endoscopica del setto (diverticolotomia), indicata in pazienti anziani ad alto rischio chirurgico portatori di volumosi diverticoli. E’ un trattamento mini-invasivo, che non richiede un’anestesia generale perché viene fatta in sedazione. Consiste nella sezione del setto tra diverticolo e lume esofageo, condotta per via endoscopica. Si fa passare una starter (suturatrice meccanica) dal cavo orale fino all’esofago: una branca della starter va all’interno del diverticolo, mentre l’altra entra all’interno dell’esofago e, in questo assetto, si dà un punto di sutura. Il risultato è la messa in comunicazione della sacca diverticolare con il lume esofageo: non essendoci più il colletto, si avrà solamente un esofago dilatato a livello cervicale. Eventualmente si può completare con una miotomia dello UES. - diverticolopessi , ormai superata; consiste nella sospensione verso l’alto del diverticolo (sospensione della sacca diverticolare in posizione antideclive alla fascia prevertebrale), in modo che il bolo alimentare non possa più passare all’interno del sacco Di solito la preparazione all’intervento non è necessaria, se non per quel che riguarda l’antibiotico-profilassi (> si somministra un antibiotico mezz’ora prima dell’intervento). In caso di un diverticolo ampio, è utile svuotarlo: se, durante l’intervento, si ha la sensazione che il diverticolo sia ripieno di ingesti, lo si svuota prima di dare il colpo di starter con la suturatrice, perché la presenza di residui alimentari tra la suturatrice e l’esofago può comportare dei problemi di tenuta della sutura. L’intervento di diverticolectomia (= exeresi del diverticolo con suturatrice meccanica) dura 30-40 min: - si pone il collo del soggetto in iperestensione, così da portare l’esofago in posizione più anteriore - si fa un’incisione latero-cervicale sinistra, seguendo il bordo mediale del muscolo sternocleidomastoideo e procedendo dall’angolo della mandibola fino al giugulo; si incide a sinistra perché, essendo l’esofago cervicale più spostato a sinistra, anche il diverticolo sarà in questa sede 22 - si usano due divaricatori manuali per divaricare il muscolo sternocleidomastoideo e lateralizzare il fascio vascolo- nervoso del collo - dopo aver spostato medialmente il lobo tiroideo sinistro, si seziona il muscolo digastrico, al fine di permettere un maggior accesso alla loggia dell’esofago cervicale - a questo punto, si va a cercare il diverticolo: lo si isola completamente, fino alla base dell’esofago cervicale, e lo si pone in trazione con una pinza apposita per l’esofago, facendo attenzione alla sua estremità molto delicata - a questo punto si posiziona una suturatrice meccanica alla base del diverticolo, dove c’è il suo colletto, collocandola longitudinalmente all’asse dell’esofago cervicale. Mantenendo trazionato il diverticolo, si da il colpo di suturatrice (con 3 file di grafts) - infine, si fa emostasi e si chiude. La diverticolectomia può essere associata alla miotomia, al fine di curare anche la causa della formazione del diverticolo, cioè un’eccessiva pressione e un non rilasciamento del muscolo. La tecnica attualmente più diffusa prevede l’uso di pinze per divaricare e rompere le fibre muscolari della zona. Tolto il diverticolo, per testare l’integrità e la tenuta della sutura durante l’anestesia, si posiziona un piccolo sondino a livello del faringe e si chiede all’anestesista di instillare del blu di metilene (colorante) o dell’aria. Se il colorante macchia il campo operatorio, vuol dire che la sutura non è stata fatta correttamente, per cui bisogna rinforzarla nel punto in cui ha ceduto permettendo la fuoriuscita del blu di metilene. Sempre più spesso si preferisce l’aria al colorante, perché quest’ultimo, essendo viscoso, spesso non riesce a superare le soluzioni di continuo più piccole, non permettendone quindi la visualizzazione. In questo caso, si riempie il campo operatorio di acqua, si chiede all’anestesista di mettere un sondino nel quale insufflare dell’aria: se compaiono delle bollicine, significa che c’è un problema di tenuta della sutura. Le principali complicanze post-operatorie sono - mediche: polmonite post-operatoria, infarto - chirurgiche (8%): danno del nervo ricorrente, danno vascolare (es del fascio vascolo nervoso del collo), infezione di ferita, fistole La mortalità è del’1,2% e non è legata all’intervento in sè, ma alle comorbidità del paziente; una recidiva del diverticolo si registra nel 3,6% dei casi. I diverticoli medio-toracici rappresentano il 15% di tutti i diverticoli dell’esofago; si sviluppano a livello della biforcazione tracheale, dispondendosi con un andamento perpendicolare all’esofago toracico. Sono di tre tipi: congeniti, da trazione e da pulsione. - i diverticoli congeniti sono rari e rappresentano una variante della duplicazione esofagea - i diverticoli medio-esofagei da trazione costituiscono la maggioranza e sono secondari ad aderenze fibrose createsi tra parete dell’esofago e linfonodi divenuti sclerotici per antichi processi infiammatori, di eziologia prevalentemente tubercolare. Dotati di parete muscolare, spesso sono multipli e di piccole dimensioni, non aumentano di volume e raramente sono sintomatici - la maggior parte dei diverticoli toracici da pulsione è secondaria a disordini della motilità esofagea, che provocano un persistente aumento della pressione intraluminale dell’esofago, con conseguente erniazione della mucosa attraverso un’area di debolezza della parete. Questi diverticoli sono sprovvisti di parete muscolare. 23 Ai fini diagnostici, la manometria esofagea deve sempre essere eseguita per rilevare il livello e il grado di compromissione del disordine motorio responsabile della formazione del diverticolo. All’indagine radiologica si possono spesso rilevare calcificazioni indicative del processo tubercolare passato che ha indotto la formazione delle aderenze (diverticoli da trazione). Le complicanze dei diverticoli medio-toracici sono dovute all’infiammazione della sacca e alla perforazione e conseguente mediastinite che possono verificarsi in seguito a ingestione di corpi estranei. I diverticoli asintomatici non necessitano di terapia. In quelli sintomatici, l’intervento chirurgico prevede una toracotomia destra, seguita dalla resezione del diverticolo con sutura della parete dell’esofago ed eventuale miotomia se la manometria ha evidenziato il tratto affetto dal disordine motorio. Sono detti epifrenici quei diverticoli situati negli ultimi 10 cm dell’esofago toracico, a livello del passaggio tra l’esofago toracico e quello addominale. Non sono molto frequenti (rappresentano il 20% di tutti diverticoli esofagei) e sono considerati, per le loro dimensioni, forma, posizione declive e struttura della parete, costituita da mucosa e sottomucosa, come appartenenti al gruppo acquisito da pulsione. L’insorgenza è correlata all’aumento di pressione intraesofagea secondario sia a un disordine della motilità esofagea sia a un’ernia iatale con reflusso gastroesofageo. Il diverticolo epifrenico può essere del tutto asintomatico o essere identificato occasionalmente nel corso di un’indagine radiologica del primo tratto del tubo gastroenterico. Nei pazienti sintomatici è possibile riconoscere una fase prodromica caratterizzata da pirosi, digestione difficile e singhiozzo; solo successivamente compaiono i sintomi più tipici, quali alitosi, disfagia, dolore toracico, rigurgito e pirosi. Il quadro radiologico è simile ai diverticoli medio-toracici da pulsione, con presenza di estroflessione sacciforme adagiata sul diaframma. La manometria è necessaria per chiarire il disordine motorio primario. L’approccio chirurgico per la cura dei diverticoli epifrenici è simile a quella impiegata per i diverticoli medio- toracici – ossia, intervento di diverticolectomia con tecnica toracoscopica. ESOFAGITI e MRGE Con il termine di esofagite viene definito un complesso di lesioni esofagee, di tipo acuto o cronico, caratterizzato da lesioni di tipo irritativo e non neoplastico. Le lesioni di prevalente interesse chirurgico sono le esofagiti da agenti chimici o fisici e le esofagiti peptiche da reflusso gastroesofageo. Gli agenti chimici causano una necrosi coagulativa della mucosa e dei tessuti sottostanti: - l’ingestione di alcali comporta, a livello orofaringeo ed esofageo, una necrosi dei tessuti con liquefazione e successiva saponificazione (necrosi colliquativa) - le sostanze acide solitamente non producono gravi lesioni a livello esofageo, poiché il pH alcalino ivi presente in parte tampona l’ingerito; dove la sostanza permane più a lungo provoca lesioni che si estendono in profondità, sino alla completa perforazione del viscere (necrosi coagulativa) La lesione provocata dall’agente chimico va incontro a un processo di riparazione, durante il quale è possibile riconoscere una fase acuta (caratterizzata da coagulazione tissutale, reazione infiammatoria, trombosi intravasale e infezione batterica secondaria), una fase subacuta (in cui si ha la lisi del materiale necrotico con sostituzione da parte di tessuto di granulazione) ed una fase cronica (in cui la maturazione e la retrazione del tessuto fibroso esitano nella formazione di stenosi cicatriziali di diversa estensione). La MALATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO è una condizione causata dall’eccessiva e patologica risalita spontanea del contenuto gastrico in esofago. Ha una prevalenza compresa tra il 10-20%, con un’incidenza di 5 casi per 1000 persone/anno. La malattia compare più frequentemente con l’avanzare dell’età ed è associata all’obesità e al fumo di sigaretta.