Capitolo 3: Il Tradeunionismo

Il sindacalismo rivoluzionario si differenzia dal riformismo e dal marxismo, proponendo una lotta diretta per il rovesciamento della società capitalista.

L'obiettivo finale del sindacalismo rivoluzionario è la creazione di una società autonoma dei lavoratori, senza intermediari politici o statali.

Lo sciopero generale è l'arma principale del sindacalismo rivoluzionario, concepito per distruggere il sistema capitalista.

Il sindacalismo rivoluzionario enfatizza l'autonomia operaia, rifiutando qualsiasi subordinazione politica.

I sindacati rivoluzionari includono tutti i lavoratori, indipendentemente da professione, origine o lingua.

I sindacati rivoluzionari funzionano anche come istituti educativi, preparando i lavoratori alla gestione della società post-capitalista.

Nonostante l'obiettivo utopico, il sindacalismo rivoluzionario ha spesso adottato un approccio pragmatico nelle vertenze, negoziando con i datori di lavoro e governi per migliorare le condizioni lavorative.

Il sindacalismo rivoluzionario ha avuto successo in vari paesi, come gli Stati Uniti, l'America Latina e l'Italia.

Il sindacalismo socialista democratico, nato nel XIX secolo, si è sviluppato come un movimento che mirava a superare il capitalismo e i sistemi politici liberali attraverso riforme graduali e democratiche, senza ricorrere alla violenza e rispettando i principi di libertà.

L'obiettivo di questo sindacalismo è la creazione di una società incentrata sul lavoro, conciliando il miglioramento delle condizioni dei lavoratori con una partecipazione attiva al sistema economico e politico.

Il sindacalismo socialista democratico ha una doppia identità: forte radicamento tra i lavoratori, che sono i protagonisti della vita sindacale, e una rappresentanza di classe che promuove una nuova coscienza operaia e la formazione di una dirigenza del lavoro.

I sindacati di questo tipo prediligono strumenti pacifici come contratti collettivi, scioperi e accordi, puntando anche a coinvolgere i lavoratori nella gestione delle imprese per aumentare la produttività e la competitività.

Il sindacalismo socialista democratico ha una forte dimensione politica, intervenendo come lobby per ottenere riforme per i lavoratori o collaborando con partiti e movimenti politici affini, senza rinunciare alla propria autonomia.

Il sindacalismo socialista democratico promuove una rete di istituzioni mutualistiche e cooperative, sostenendo i lavoratori anche al di fuori del contesto professionale.

Il sindacalismo marxista-leninista si differenzia per il suo stretto legame con la politica, essendo subordinato alla strategia del partito comunista.

Il sindacalismo marxista-leninista crede che la lotta sindacale e quella politica siano inseparabili, in quanto solo un cambiamento politico radicale può risolvere i problemi del lavoro in modo definitivo.

Il sindacalismo cristiano si è dissociato dal corporativismo cattolico negli anni '30, riaffermando la propria autonomia dai governi e mantenendo relazioni indipendenti con i partiti popolari e democristiani.

Il sindacalismo cristiano si è diffuso in Asia e America Latina dopo la Seconda Guerra Mondiale, spesso guidato da attivisti formati in organizzazioni confessionali come la Gioventù Operaia Cattolica (JOC).

Negli anni '60, alcuni sindacati cristiani hanno rimosso i riferimenti espliciti al cristianesimo dai loro statuti, un processo chiamato "de-confessionalizzazione".

La CFTC francese si è divisa in CFDT, orientata verso il socialismo autogestionario, e la CFTC maintenue, che è rimasta fedele alla tradizione cristiana.

Il rapporto tra il sindacalismo e la politica ha oscillato tra fasi di separazione e interazione.

Nel XIX secolo, le Trade Unions hanno iniziato chiedendo il riconoscimento della libertà di associazione e della contrattazione collettiva.

Le Trade Unions hanno esercitato una crescente pressione politica sui governi nel XIX e XX secolo, culminando nella fondazione del Labour Party nel 1906.

Il Labour Party e i sindacati hanno avuto un rapporto conflittuale durante i governi di Margaret Thatcher e Tony Blair.

In Polonia, il tradizionalmente comunista sindacato OPZZ si è adattato ai modelli occidentali, recuperando parte dei suoi iscritti.

Le politiche comunitarie dell'Unione Europea hanno contribuito a ridurre il divario sociale tra i paesi dell'Est e dell'Ovest, rianimando il movimento sindacale nell'Europa orientale.

Il sindacalismo rivoluzionario si distingue per il rifiuto dell'ordine politico esistente e per la sua aspirazione a sostituirlo con un controllo diretto da parte dei sindacati.

Il sindacalismo rivoluzionario aspira alla creazione di uno "Stato sindacalista", in cui i sindacati controllano le funzioni politiche, economiche e sociali dello Stato.

Il sindacalismo rivoluzionario ha sperimentato una rinascita durante le grandi lotte internazionali tra il 1968 e il 1973, con movimenti in diverse parti del mondo.

Il pan-sindacalismo e l'antagonismo sono forme del sindacalismo rivoluzionario che si sono diffuse negli anni '70 e '80, in particolare in Italia.

Il sindacalismo rivoluzionario, sebbene marginale, ha mantenuto una presenza tra alcuni gruppi di lavoratori, che continuano a contestare i sindacati più tradizionali.

Negli ultimi anni, si registra una polarizzazione politica nel mondo del lavoro, con alcuni lavoratori che si avvicinano ad ideologie estreme, sia di sinistra che di destra.

In questo tipo di sindacalismo, le organizzazioni sindacali sono strettamente legate allo Stato e al partito al potere, agendo come strumento per gestire i lavoratori e consolidare il potere del regime.

Il sindacalismo cristiano è caratterizzato da una stretta collaborazione con i partiti politici di ispirazione cristiana, ma mantiene una chiara separazione tra le due entità.

In paesi come la Germania, la Francia, l'Italia, il Belgio, i Paesi Bassi e la Svizzera, i sindacati cristiani e i partiti cristiani hanno collaborato a stretto contatto senza che uno fosse subordinato all'altro.

Nonostante la collaborazione con i partiti politici, i sindacati cristiani hanno sempre sottolineato la loro autonomia e indipendenza, con statuti che garantiscono la separazione di funzioni.

Negli anni '50 e '60, i sindacati cristiani hanno discusso internamente la necessità di separare le cariche sindacali da quelle politiche, con l'obiettivo di preservare l'autonomia del sindacato.

Le ACLI, un'organizzazione cattolica italiana, hanno abbandonato la tradizione dei deputati-sindacalisti nel 1969, seguendo il dibattito sui sindacati cristiani in Francia.

In paesi come l'Argentina e il Messico, il sindacalismo corporativo-nazionalista è stato influenzato da regimi autoritari, con i sindacati strettamente legati ai partiti al potere, come il peronismo in Argentina e il PRI in Messico.

Il sindacalismo corporativo-nazionalista è stato un fenomeno caratteristico di alcuni paesi latinoamericani con regimi autoritari e nazionalisti, dove il sindacato era subordinato allo Stato e utilizzato per gestire i lavoratori e consolidare il potere del regime.

Le imprese hanno adottato un sistema di gestione delle risorse umane che prevede relazioni dirette con i dipendenti, limitando il ruolo dei sindacati.

La delocalizzazione della produzione in paesi a basso costo del lavoro ha ridotto gli iscritti sindacali, in particolare nel settore manifatturiero.

La Banca Mondiale nel 1995 ha sostenuto la contrattazione collettiva decentrata a livello di impresa come chiave per migliorare la produttività.

I sindacati dovrebbero abbandonare comportamenti monopolistici e oppositivi, promuovendo la competitività attraverso la contrattazione d'impresa.

Il dibattito sul ruolo dei sindacati nella produttività è ancora aperto: alcuni sostengono la loro importanza, altri li vedono come un ostacolo.

Le crisi internazionali hanno riacceso l'attenzione sulla 'questione del lavoro' e la necessità di un ruolo più attivo dello Stato nell'economia.

Le crisi internazionali offrono un'opportunità per un ruolo rinnovato dei sindacati in termini di partecipazione ai processi decisionali.

I sindacati sono sempre più importanti per promuovere una maggiore equità e sostenibilità nelle relazioni lavorative.