Turbomacchine - Parte 1 PDF
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2019
Nencioni Leandro
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Questo documento descrive le turbomacchine, definendole come dispositivi che trasferiscono energia da o verso un fluido in movimento grazie all'azione dinamica di palette, ed illustra i principi fondamentali della loro progettazione. Si analizzano i componenti chiave, le forze in gioco e le differenze tra aerodinamica interna ed esterna. Descrive anche i metodi di calcolo del lavoro specifico e le perdite in queste macchine.
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Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica Turbomacchine Anno accademico 2018-2019 Nencioni Leandro 7013849 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Introduzione: Ciò che ci interessa inizialmente è la definizione di turbomacchina. Una delle definizi...
Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica Turbomacchine Anno accademico 2018-2019 Nencioni Leandro 7013849 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Introduzione: Ciò che ci interessa inizialmente è la definizione di turbomacchina. Una delle definizioni più completa è quella per cui una turbomacchina è definita come un dispositivo all’interno del quale l’energia viene trasferita da un fluido o verso un fluido, che scorre all’interno delle turbomacchine, e questo trasferimento di energia viene realizzato mediante l’azione dinamica di palettature in movimento. Un’altra definizione che si può trovare le definisce come un gruppo di dispositivi in grado di manipolare un fluido per comprimerlo o farlo espandere ed a seguito di questa espansione o compressione del flusso l’energia può essere estratta o fornita al fluido stesso. Al giorno d’oggi le turbomacchine sono molto diffuse e le si possono trovare in numerosi dispositivi che vanno dai turbocompressori (a) per la sovralimentazione dei motori a combustione interna, ai motori aereonautici (c) fino ai ventilatori o fan dei classici elettrodomestici (b). Nonostante i costi di queste macchine possano variare da 200-300 euro fino a qualche milione di euro, i principi che stanno alla base della progettazione di queste sono comuni a tutte. I componenti fondamentali di una turbomacchina sono le palettature che possono essere mobili o fisse (blades quando si fa riferimento alle palettature rotoriche e vanes quando si fa riferimento alle palettature statoriche). Le palettature mobili impartiscono una forza e una certa quantità di moto, la componente tangenziale di questa forza è associata ad una certa coppia attorno all’asse della macchina. Se le palettature sono rotanti a questa coppia è associata una certa potenza secondo la relazione potenza = coppia x pulsazione. Questa può essere una potenza motrice o una potenza operatrice. Nelle turbomacchine il meccanismo fisico secondo la quale la coppia e la forza vengono generate e scambiate è la deflessione del flusso, quindi generalmente il flusso viene deflesso, ovvero ne viene cambiata la sua direzione per ottenere l’effetto utile desiderato. In generale si può però affermare che le forza che la palettatura esercita sul fluido e viceversa sono ottenute grazie ad una riduzione dell’area di passaggio ed a variazioni di raggio nel caso delle macchine radiali. I profili aerodinamici che si impiegano nelle turbomacchine, specialmente nei compressori assiali, sono molto simili agli airfoil, ovvero ai profili impiegati nella aerodinamica esterna per realizzare le ali degli aerei. Questo è legato al fatto che in passato siccome le conoscenze sull’aerodinamica esterna erano maggiormente avanzate, ci furono numerosi tentativi che avevano lo scopo di adottare le nozioni che si avevano a disposizioni per l’aerodinamica esterna ed applicarle a quella interna. In generale però ci sono numerose differenze che fanno sì che la trattazione dell’aerodinamica esterna ed interna non risultino equivalenti. Una delle principali differenze è legata alla deflessione del flusso, infatti, mentre nel caso dell’aerodinamica esterna questa è locale (poiché il flusso esterno è indisturbato) e già a poca pag. 2 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine distanza dal profilo aerodinamico il flusso ha riacquisito la propria condizione, nel caso di aerodinamica interna la deflessione che si ottiene è permanente, la schiera di pale deflette il flusso. Tale deflessione permane anche a distanza molto grandi rispetto alla schiera di palette. Altra differenza importante è legata alla definizione delle condizioni esterne infatti mentre nell’aerodinamica esterna è molto semplice definirle, poiché queste sono proprio le condizioni di flusso indisturbato (T e P dell’aria all’altitudine cui si fa riferimento), nel caso dell’aerodinamica interna le condizioni di riferimento sono le condizioni di ristagno, ovvero pressione totale e temperatura totale in ingresso ad ogni schiera (poiché non possiamo definire un free-stream, ovvero un flusso indisturbato). Un’altra considerazione riguarda gli angoli di flusso, infatti mentre per un’ala questi risultano poco variabili lungo l’ala stessa, quando si ha a che fare con una turbomacchina, specialmente un compressore assiale, la variazione dell’angolo di flusso può essere anche molto rilevante. Un altro aspetto ancora è quello legato alla resistenza aerodinamica indotta, nel caso dell’aerodinamica esterna il flusso al fine di produrre una certa portanza deve sempre avere una certa resistenza aerodinamica associata nota come drag. Nel caso di aerodinamica interna invece non abbiamo a che fare con fenomeni di resistenza aerodinamica ma si ha lo sviluppo dei cosiddetti flussi secondari i quali sono sinonimo di perdite. L’ultimo aspetto è legato alla sperimentazione, infatti quando si parla di aerodinamica esterna si realizzano delle gallerie del vento in cui si cerca di riprodurre il comportamento dell’ala di un velivolo accoppiata con la fusoliera. In generale però è sempre difficile riprodurre un comportamento reale poiché per quanto la galleria del vento sia grande c’è sempre una determinata influenza delle pareti della galleria stessa sull’accuratezza dei risultati. Per quanto riguarda invece l’aerodinamica interna la difficoltà sta principalmente nel riprodurre le condizioni di perfetta periodicità. Generalmente infatti le palettature di un compressore o di una turbina hanno una simmetria angolare, ovvero sono alloggiate su un albero e sono distribuite uniformemente su 360° con un certo passo. Questo fa sì che se non ci sono distorsioni nel flusso in ingresso e questo è perfettamente periodico allora ci si ritroverà un flusso perfettamente uguale in ogni vano palare e perciò è come se si avesse a che fare con una schiera infinita di pale. Questo in qualche modo limita la sperimentazione poiché nel caso in cui si vogliano testare differenti profili non potendo andare a realizzare un prototipo a causa del costo elevato, l’unica soluzione è adottare una schiera di pale rettilinea, ma poiché per riprodurre il comportamento di una schiera rotorica sarebbe necessaria una schiera rettilinea ed infinta di palette allora è chiaro che avremo una perdita di accuratezza nella sperimentazione. Se si va ad analizzare il flusso all’interno di una turbomacchina ci si accorge subito che questo è di tipo non stazionario. Questa caratteristica è legata all’interazione tra schiere rotoriche e statoriche le quali inducono nel flusso una fluttuazione delle variabili del fluido nell’intero campo di moto (P,T,v,….). Queste fluttuazioni possono essere distribuite su un campo anche molto ampio di frequenze. È possibile inoltre individuare molto facilmente alcune frequenze caratteristiche come la cosiddetta blade passing frequency, ovvero la frequenza di passaggio delle palette, che dipenderà dal numero di palette dello stadio e dalla velocità di rotazione. Altre frequenze di interesse possono essere dovute alla formazione di zone calde che provengono dal combustore note come hot-spot. Esistono poi delle armoniche a frequenza ancora più basse come quelle legate al transitorio della macchina, ma anche frequenza più elevate come quelle associate al moto turbolento del flusso. pag. 3 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Una importante osservazione che ci permette di capire come mai la non stazionarietà del flusso è una condizione necessaria al funzionamento di una turbomacchina la si può ricavare dalla scrittura dell’equazione dell’energia nella sua forma più elementare, ovvero per un flusso adiabatico isoentropico, lungo una stream-line (linea di corrente). Sotto queste ipotesi l’equazione dell’energia assume la forma seguente: Dove in particolare ℎ0 rappresenta l’entalpia totale, p la pressione statica e ρ la densità. In particolare, la derivata temporale dell’entalpia totale è pari al rapporto 1/densità per la derivata parziale della pressione statica nel tempo. Questa ci dice sostanzialmente che affinché sia possibile variare l’entalpia totale nelle turbomacchine è necessario che sia presente un campo di pressione statica variabile nel tempo e perciò che il flusso sia non stazionario. Sappiamo inoltre che una delle equazioni fondamentali delle turbomacchine è l’equazione di Eulero che ci dice che in condizioni adiabatiche (nessun scambio termico) il lavoro specifico è uguale alla variazione di entalpia totale specifica, dove quest’ultima può essere espressa mediante rappresentazione del triangolo di velocità. Perciò se non si ha a che fare con un campo di pressione variabile nel tempo non sarà neanche possibile avere a che fare con una variazione dell’entalpia totale specifica e perciò non potremmo garantire uno scambio di lavoro tra fluido e macchina. Molto spesso per valutare il lavoro specifico non si tiene conto del fatto che il flusso sia non stazionario ma si tende a ignorare questa condizione ed usare i triangoli di velocità per valutare il lavoro scambiato. Questo è reso possibile grazie al fatto che ci si può considerare solidali al riferimento assoluto ed inerziale quando si va a studiare il flusso nello statore, mentre ci metteremo nel sistema relativo non inerziale quando andiamo a studiare il flusso nella palettatura rotorica. Sfruttando questo cambiamento del SDR si introducono i triangoli di velocità e si può stimare il lavoro specifico andando a vedere le variazioni dei triangoli tra ingresso ed uscita della macchina. Questo naturalmente introduce degli errori nel calcolo ma permettono di ottenere una stima abbastanza corretta del lavoro scambiato. Nell’immagine abbiamo a sinistra i triangoli di velocità del compressore centrifugo, mentre a destra abbiamo un triangolo di velocità di un compressore assiale in cui è possibile valutare il lavoro specifico come variazione della componente tangenziale della velocità assoluta, perciò graficamente siamo in grado di valutare se il rotore sta facendo o meno lavoro. Lo scambio di energia tra flusso e palettatura avviene mediante uno scambio di azioni di pressione e sforzi di taglio sulla superficie palare. Si parla di sforzi normali per individuare le azioni di pressione e sforzi tangenziali o di taglio per indicare gli sforzi associati alle azioni viscose. Le perdite in generale sono associate alle componenti del tensore di stress tangenziali ovvero associate agli sforzi di taglio. L’insieme di questi sforzi sono quelli responsabili della generazione pag. 4 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine delle forze nel sistema, se si volesse perciò determinare la forza risultante su una palettatura statorica o rotorica sarebbe necessario conoscere tutte le distribuzioni di pressione e di sforzi di taglio sulla superficie della palettatura (mediante integrazione si ricava la risultante). Questo approccio fornisce un risultato esatto ma non è immediato conoscere la distribuzione delle pressioni e degli sforzi di taglio sulla superficie palare (impossibile sperimentalmente), si deve infatti ricorrere alla fluidodinamica computazionale per cui è possibile andare a discretizzare il dominio di calcolo che si va ad analizzare, risolvere le equazioni del flusso attraverso i vani palari (Navier- Stokes), ed infine ricavare la soluzione puntuale che ci dice come variano la pressione e gli sforzi di taglio puntualmente. Sebbene sia possibile ricorrere ad approcci di questo tipo, si tratta di una metodologia scomoda che richiede tempi di calcolo molto lunghi. Un altro metodo integrale importante è quello basato sul volume di controllo nel quale si fa ad effettuare un bilancio della quantità di moto. Il principio di conservazione della quantità di moto ci dice che la variazione della quantità di moto attraverso un volume di controllo arbitrariamente definito è uguale alla risultante delle forze che agisce sulla superficie del volume di controllo. Se siamo perciò in grado valutare la variazione della quantità di moto attraverso la superficie possiamo ricavare la risultante delle forze senza dover conoscere la distribuzione di pressione e di sforzi di taglio puntuale. Naturalmente questo metodo fornisce risultati approssimativi e richiede che siano soddisfatte alcune ipotesi importanti come quella di flusso stazionario, flusso uniforme sulle superfici di controllo, e così via. pag. 5 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine 1) Meccanismi di perdita all’interno di una turbomacchina: Per capire quali sono i principali meccanismi di perdita nelle turbomacchine è ancora necessario partire dallo studio dell’aerodinamica esterna, poiché storicamente i progettisti che si occuparono dell’aerodinamica interna sono partiti dalle conoscenze già fondate dell’aerodinamica esterna. In quest’ultima la misura dell’efficienza, che in questo caso è più una perdita di prestazioni è la resistenza aerodinamica, ovvero il cosiddetto drag. In generale però l’obiettivo di un profilo alare non è quello di ottenere una minima resistenza aerodinamica, ma quello di avere un valore minimo del drag con un massimo valore di portanza. Quello che infatti stabilisce l’efficienza aerodinamica è proprio il rapporto lift/drag. Lo scopo del progettista è infatti l’ottenimento del massimo lavoro scambiato e delle minime perdite. Inizialmente si cercò perciò di applicare la conoscenza della resistenza aerodinamica alle palettature, il problema che si incontra però è legato al fatto che, al fine di definire un drag è necessario definire anche una direzione preferenziale. Come sappiamo infatti nell’aerodinamica esterna il drag è la forza che si oppone all’avanzamento quindi avremo a che fare con una direzione di avanzamento, una forza diretta in tale direzione e con verso concorde all’avanzamento stesso che è rappresentata dalla spinta fornita dai motori, una forza che si oppone all’avanzamento che è proprio il drag ed infine un effetto utile rappresentato dalla portanza diretta perpendicolarmente alla direzione di avanzamento. Mentre nel caso dei flussi esterni la scelta della direzione prevalente del flusso è banale lo stesso non vale nel caso di flussi interni, perché in generale in un flusso interno una forza che agisce nella direzione del moto delle pale è essenziale poiché si abbia scambio di lavoro tra fluido e palettatura. Tuttavia, questa forza è essenziale anche al fine di ottenere delle variazioni di pressione. In generale in una turbomacchina non si ha a che fare con una direzione preferenziale poiché questa varia localmente e le forze che agiscono in questa direzione risultano essenziali per ottenere l’effetto desiderato e pertanto non possono essere definite come drag. Oltre a quelli viscosi nel caso dell’aerodinamica interna ci sono numerosi altri contributi che determinano effetti dissipativi. Tra questi si deve infatti tener presente che la quasi totalità dei flussi con cui si ha a che fare nelle turbomacchine sono flussi disuniformi e presentano delle zone in cui pressione e temperatura sono più o meno alte. La disuniformità in generale può essere radiale o circonferenziale. pag. 6 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Se si ha a che fare con un flusso disuniforme in maniera circonferenziale e si vuole a valle ottenere un flusso che sia uniformato il processo di miscelamento è un processo che per flussi viscosi determina delle perdite legate alle dissipazioni di energia e per effetto di tale dissipazione si ha un incremento dell’entropia anche in assenza di superfici solide e di generazione di forze. Dovremo perciò introdurre un concetto generale che ci consenta di studiare e descrivere le perdite all’interno di una turbomacchina. La quantità che in generale ci permette di descrivere la generazione delle perdite è quella grandezza nota come Entropia. L’Entropia è una funzione di stato o termodinamica e rappresenta la quantità che ci consente di determinare nella maniera più corretta la generazione delle perdite. Quando si ha a che fare con una turbina per esempio l’efficienza isoentropica è valutabile come rapporto tra lavoro reale e lavoro isoentropico, ovvero lavoro in assenza di perdite. Da questa definizione si capisce che tutti gli effetti che ci allontanano da una condizione isoentropica (ovvero da un mantenimento dell’entropia costante) sono quelli responsabili della generazione delle perdite. In generale l’entropia di un sistema può essere aumentata per due effetti principali: Mediante un meccanismo di scambio termico, se trasferisco calore al sistema questa aumenterà, viceversa se sottraggo calore dal sistema questa può essere anche ridotta; Per irreversibilità di tipo termodinamico, ovvero per dissipazione di tipo viscoso; Quando si studiano le turbomacchine molto spesso si fa l’ipotesi di flusso adiabatico, questo non perché questa ipotesi viene sempre verificata ma perché è un’ipotesi di lavoro utile, ed eventualmente gli effetti dello scambio termico possono essere aggiunti successivamente. Quando perciò si sfrutta questa ipotesi la variazione di entropia è unicamente legata alle irreversibilità di tipo termodinamico e ciò ci consente di semplificare il problema. Le proprietà che rendono l’entropia “attraente” dal punto di vista dello studio delle perdite sono: 1) È un’Invariante Galileiana, ovvero la quantità è la stessa in qualunque sistema di riferimento in cui la si vada a studiare, ovvero non esiste una entropia assoluta ed una relativa e non ne esiste una componente statica ed una dinamica; 2) È additiva, ovvero se si va a valutare l’incremento di entropia in un certo componente e poi si valuta l’incremento in modo indipendente nel componente successivo alla fine si possono sommare i due contributi per ottenere l’incremento complessivo di entropia nei due componenti. L’entropia è una funzione di stato e come tale non ci interessa il valore iniziale né quello finale, ma unicamente la variazione rispetto allo stato iniziale che rappresenta la perdita interna al sistema. Esistono però anche degli svantaggi nell’impiego dell’entropia come parametro di studio delle perdite in una turbomacchina, in particolare uno di questi è rappresentato dall’impossibilità di poterla misurare direttamente (mentre si può misurare la pressione statica, quella dinamica, la temperatura, ma non l’entropia). Questa infatti può essere unicamente determinata dalla misurazione di altre variabili, ad esempio mediante la misurazione di temperatura e pressione è possibile poi stimare l’entropia. Questa rappresenta una grande limitazione ed ha portato i progettisti ad impiegare, al fine di determinare le perdite nella macchina, coefficienti di perdita che non dipendono dall’entropia. In generale quando si ha a che fare con un gas perfetto, un flusso adiabatico ed una palettatura stazionaria, ovvero uno statore, la variazione di entropia può essere espressa come: pag. 7 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Nel caso in cui la temperatura totale si mantiene costante allora la variazione di entropia si riconduce nella forma: Se infine si ha a che fare con piccole variazioni di pressione statica allora la variazione di entropia può essere approssimata nella forma: Perciò storicamente si definiscono dei coefficientei di perdita basati sulla differenza di pressione totale tra ingresso ed uscita come: Questi coefficienti di perdita sono definiti a numeratore dalla differenza di pressione totale tra ingresso ed uscita ed a denominatore presentano un termine che dimensionalmente rappresenta sempre una pressione, ma tale quantità è del tutto arbitraria e serve solamente ad adimensionalizzare i coefficienti (non ha un significato fisico vero e proprio). Tipicamente si impiega come denominatore una pressione dinamica in ingresso se si parla di un compressore, mentre si impiega una pressione dinamica in uscita se si fa riferimento ad una turbina. Il fatto che la definizione di coefficiente di perdita varia tra turbina e compressore ci fa capire come il denominatore sia del tutto arbitrario ed abbia come unico scopo quello di adimensionalizzare i coefficienti di perdita. Il motivo per cui si preferisce impiegare coefficienti di perdita di questo tipo rispetto all’entropia è legato alla comodità di utilizzo, infatti questi sono facilmente determinabili a partire dalle misure sperimentali. Per determinare infatti l’entropia per esempio dovrei misurarmi la T e la P e determinare poi l’entropia, se invece impiego coefficienti di questo tipo mi basterà determinare la pressione totale a monte ed a valle (a valle avrò un campo di moto disuniforme perciò dovrò mediare la pressione). Un coefficiente di perdita così definito ha anche un’altra importante proprietà infatti è relativamente indipendente dagli effetti di comprimibilità in un ampio range di numero di Mach, purché questo sia subsonico. Questo sostanzialmente vuol dire che fino ad un numero di Mach critico, ovvero quel numero di mach che determina la formazione di sacche di flusso soniche nel vano palare, il coefficiente di perdita è circa costante. Tuttavia, questo coefficiente non è quello che conviene impiegare per vari motivi. Un altro coefficiente molto impiegato in fase di progetto è quello che viene chiamato come “Kinetic Coefficient” o “Entalphy Loss Coefficient”, ovvero un coefficiente di perdita di entalpia o di energia cinetica. Questi sono definiti come: pag. 8 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Questi coefficienti rappresentano la variazione di entalpia statica tra la fine della trasformazione e l’entalpia statica isoentropica sempre a termine della trasformazione. Il tutto viene rapportato alla differenza di entalpia totale ed entalpia statica in ingresso per un compressore e in uscita per una turbina, perciò anche in questo caso abbiamo a che fare con due coefficienti. Inoltre, questi vengono usati sia per schiere statoriche che per schiere rotoriche (in questo caso sono definiti per palettature statoriche). Se volessi esprimerli per palettature rotoriche dovrei considerare al posto delle grandezze totali assolute le grandezze totali relative. Anche questi coefficienti hanno però un difetto, legato al fatto che non si tratta di invarianti galileiane, infatti dovrò variare le quantità a numeratore e denominatore (passano da grandezze assolute alle relative e viceversa) al variare del sistema di riferimento, ovvero passando dallo studio di palettature rotoriche a statoriche e viceversa. Inoltre, un altro difetto è legato al fatto che si possano avere variazioni di entalpia anche al variare del raggio della macchina (per macchine che presentano variazioni di raggio non è l’entalpia che si conserva ma la Rotalpia). In generale possiamo anche definire un altro coefficiente di perdita, e poiché in precedenza abbiamo visto che l’entropia è una funzione fondamentale nello studio delle perdite in turbomacchina, possiamo definire un coefficiente noto come “Entropy Loss Coefficient”: Questo coefficiente di perdita consente di evitare i difetti che caratterizzano tutti i precedenti coefficienti di perdita introdotti, ed allo stesso tempo garantisce i pregi della funzione entropia come l’additività e l’invarianza di osservatore. Il numeratore di questo coefficiente è dato dal prodotto della temperatura statica al termine della trasformazione per la variazione di entropia tra ingresso ed uscita (Nel piano h-s la T è la pendenza della curva isobara). Mediante alcuni passaggi si può dimostrare che questo coefficiente di perdita è legato al coefficiente di perdita di energia cinetica, o di entalpia, dalla relazione seguente: La differenza tra i due coefficienti adimensionali è dell’ordine di circa 10−3, ovvero l’1per mille, questo sostanzialmente vuol dire che i due coefficienti di perdita sono molto simili tra loro, perciò molto spesso si preferisce ricorrere al coefficiente di perdita di energia cinetica (o entalpia) poiché più facilmente determinabile. Riassunto lezione [In generale possiamo riassumere il tutto dicendo che esistono coefficienti di perdita basati sulla pressione totale e sull’entalpia o energia cinetica (sono equivalenti) e inoltre si è visto come definire un coefficiente di perdita basato sull’entropia che rappresenta la grandezza fisica migliore per valutare le perdite all’interno di una turbomacchina, purtroppo però non sempre viene usata e si preferisce spesso ricorrere all’impiego degli altri coefficienti di perdita, a causa della difficoltà di determinazione dell’entropia stessa. ] pag. 9 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Vogliamo adesso studiare quali sono i principali meccanismi di perdita che si generano all’interno della schiera di una turbomacchina, sia compressori che turbine. Storicamente al fine di poter valutare le perdite all’interno di un vano palare si ricorre al cosiddetto Breakdown, ovvero una scomposizione delle perdite, cioè si cerca di ridurre un problema molto complesso in sotto- problemi più semplici da analizzare. Generalmente le correlazioni di perdita che si introducono devono avere un significato fisico ben preciso, cioè ci devono saper dire quali sono le tendenze delle prestazioni della macchina in relazione con certi parametri. Le perdite classicamente si dividono in più categorie: 1) Le perdite di profilo: si intendono le perdite bidimensionali legate allo sviluppo di uno strato limite sulla superficie della pala e in alcuni casi si possono includere in questa categoria anche le perdite legate al bordo di uscita che sono valutabili anche a parte; 2) Perdite per Endwall: si intende le perdite legate all’interazione del flusso con le superfici della cassa e del mozzo della macchina. Comprendono quelle che si chiamano perdite per flussi secondari (non si chiamano secondarie perché sono meno importanti ma perché si riferiscono ad un flusso che non è il flusso primario); 3) Perdite per Leakage: sono le perdite legate ai flussi di trafilamento; 4) Perdite per onde d’urto: Si hanno solamente nel caso in cui il flusso sia transonico all’interno del vano palare; 5) Se la schiera di palettature viene raffreddata la superficie della pala sarà caratterizzata dalla presenza di alcuni fori che servono per il Feelcooling, ovvero per introdurre flussi di raffreddamento, in questi casi ci saranno delle perdite aggiuntive che andranno valutate. In generale la suddivisione delle perdite in turbomacchina rappresenta un’approssimazione perché chiaramente ciascuna di queste perdite influenza le altre e quindi in generale valutare i vari contributi mediante una sovrapposizione degli effetti porta alla nascita di errori nella valutazione stessa. Sfruttando la sovrapposizione degli effetti è possibile comunque, introducendo una certa approssimazione, determinare la perdita complessiva nella macchina. La determinazione delle perdite avviene perciò mediante delle opportune relazioni, ma naturalmente questo non è l’unico modo, infatti sfruttando alcune misure sperimentali oppure introducendo delle simulazioni CFD tridimensionali è possibile valutare direttamente la perdita complessiva, con maggiore accuratezza. Consideriamo adesso in particolare le varie tipologie di perdite elencate in precedenza: Perdite di profilo Le perdite di profilo sono generate dai profili palari, perciò dalla geometria dell’airfoil, ad una certa distanza dalle pareti di endwall, ovvero ad una certa distanza dalle pareti di cassa e mozzo. Generalmente al fine di valutare correttamente le perdite di profilo, il flusso viene considerato bidimensionale, ovvero si trascura la componente radiale e le stime che si possono fare si basano su metodi 2D, su test in galleria del vento e su calcoli di strato limite. Perdite per Endwall Queste perdite nascono, anche se solo in parte, dalla generazione di flussi secondari, i quali sono a loro volta generati dall’effetto dello strato limite che si genera proprio sulle pareti di cassa e mozzo. La presenza dello strato limite genera un flusso a bassa energia e quantità di moto. Questo flusso viene costretto a passare nel vano palare dove c’è un gradiente di pressione necessario allo scambio del lavoro, e subisce un trattamento diverso rispetto al flusso principale e questo fa sì che nascono delle componenti di velocità che non sono dirette pag. 10 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine nella direzione del flusso principale, ovvero si assiste alla nascita di un flusso detto secondario. Perdite di questo tipo non nascono direttamente dai flussi secondari ma sono date da una combinazione di più fattori e perciò può essere complesso separarle dalle perdite di profilo e da quelle di trafilamento, applicando la sovrapposizione degli effetti. L’approccio classico per la valutazione delle perdite di profilo non si può applicare in questo caso perché queste perdite sono dovute a effetti tridimensionali, mentre lo studio dello strato limite si presta bene ad un caso bidimensionale. Perdite per Leakage Sappiamo che in una turbomacchina gli elementi che costituiscono lo stadio sono in moto relativo tra loro, infatti abbiamo a che fare con palettature fisse e rotanti. Questo fa sì che all’interfaccia tra una superficie fissa ed una rotante, al fine di non avere interferenza devo garantire un certo gioco, noto come “Clearance”. Perdite di questo tipo sono presenti in ogni turbomacchina ma possono variare in funzione della tipologia di palettatura, in particolare infatti esistono palettature dotate di tettuccio dette anche shrouded, e palettature prive invece di questo tettuccio dette unshrouded. Generalmente queste perdite vengono generate sulle estremità delle pale in prossimità degli endwall, perciò nell’applicazione della sovrapposizione degli effetti risulta complesso andare a separare gli effetti delle perdite di Leakage da quelle legate ai flussi secondari proprio perché vanno ad interagire nella stessa zona del campo di moto. In generale tutte queste varie tipologie di perdite sono tra loro paragonabili in termini di ordine di grandezza e in generale sono funzione di: 1) Del tipo di macchina; 2) Dal rapporto dell’altezza della pala e la sua corda (aspect ratio); 3) Dall’entità del gioco tra tip della pala e superficie della cassa (tip clearance), maggiore è il tip clearance maggiori saranno le perdite; Come abbiamo già detto le varie perdite sono comparabili in termini di ordini di grandezza ad eccezione di alcuni casi particolari, per esempio per bassi valori di aspect ratio (pronuncia aspect rescio) si ha una dimensione predominante della pala che porta ad avere perdite di flusso secondario molto più grandi rispetto alle perdite di profilo. Altro caso particolare è quello in cui l’aspect ratio è tale da avere un’altezza della pala molto più grande della corda allora le perdite di profilo potrebbero essere predominanti (casi di questo tipo si hanno quando l’altezza della pala è predominante rispetto alla corda come nelle pale degli ultimi stadi di turbine a vapore o nelle pale degli stadi di bassa pressione di turbine aeronautiche) rispetto a quelle legate ai flussi secondari. Vediamo adesso come possiamo valutare le varie categorie di perdite, sfruttando la funzione di stato entropia. Il primo passo da compiere è quello di capire da cosa dipendono queste perdite perché in questo modo sarà poi possibile andare a limitarle e contenerle. Valutazione delle perdite di profilo: Le perdite di profilo sono sempre presenti all’interno di una turbomacchina e sono legate alla presenza di uno strato limite che si sviluppa sulla superficie della pala. Per valutarle è possibile andare a considerare la produzione di entropia per unità di superficie, indicata come S. Il termine 𝑆̇ rappresenta invece la velocità con cui l’entropia viene prodotta e può essere valutata integrando per uno strato limite bidimensionale attaccato al profilo, lungo la coordinata assiale (o meglio lungo l’ascissa curvilinea), tra zero e delta, dove delta rappresenta pag. 11 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine l’altezza dello strato limite, il prodotto tra densità, velocità ed una differenza di entropia (entropia locale meno entropia al bordo dello strato limite): 𝜏𝑦𝑥 rappresenta lo sforzo di taglio che si genera all’interno dello strato limite e che nel caso bidimensionale è la derivata parziale rispetto ad y della velocità per la viscosità dinamica. 𝜕𝑣 Il termine 𝜏𝑦𝑥 può essere interpretato come il lavoro viscoso convertito in calore alla 𝜕𝑦 temperatura locale T che compare nell’espressione. Sulla base di queste considerazioni l’espressione introdotta di 𝑆𝑎̇ rappresenta la valutazione della dissipazione viscosa sottoforma di calore. La valutazione delle perdite di profilo può essere valutata introducendo un coefficiente adimensionale detto coefficiente di dissipazione ottenuto dal rateo di produzione di entropia normalizzato con un prodotto di una densità per una velocità al cubo. In particolare la velocità a denomiatore rappresenta la velocità al bordo dello strato limite e può perciò essere misurata semplicemente. Ripasso strato limite (non svolto ma necessario per il proseguimento): Il caso più semplice che possiamo studiare per ripassare la teoria dello strato limite è quello di flusso viscoso su lastra piana. In generale si possono fare una serie di considerazioni: 1) In virtù delle condizioni di aderenza la velocità in corrispondenza della parete è nulla, ovvero 𝑢|𝑦=0 = 0; 2) La velocità aumenta in maniera monotona lungo la coordinata x e tende al valore infinito; 3) Ad una distanza molto breve rispetto alla parete la velocità avrà assunto già un valore prossimo a quella del flusso indistrubato U; Introduciamo le definizioni di spessore di spostamento: pag. 12 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Per capire a cosa fa riferimento questa quota dobbiamo considerare un esempio: Si consideri infatti la pareta in figura con il corrispondente strato limite. A causa della condizione di aderenza e del profio di velocità presente all’interno dello strato limite di parete si forma un difetto di velocità e perciò di portata rispetto al caso del flusso indisturbato fuori dallo strato limite (il flusso indisturbato fuori dallo strato limite può essere considerato come un flusso non viscoso). Lo spessore di spostamento di starto limite 𝛿 ∗ rappresenta la quota fisica in direzione y del quale dovrei traslare la superficie nel caso di flusso non viscoso per avere la stessa portate rispetto al caso viscoso in cui si ha un difetto di portata. Infatti se considero il caso di flusso non viscoso non ha più senso parlare di strato limite ed il profilo di velocità sarà costante con velocità pari a quella del flusso indisturbato U anche in prossimità della parete (vedi immagine in basso a sx). Profilo di velocità per flusso non Profilo di velocità per flusso viscoso, assenza di condizione di viscoso con difetto di velocità parete e strato limite di parete e presenza di strato limite di parere Il profilo di velocità di un flusso viscoso invece presenza una condizione di aderenza e perciò un profilo di velocità caratteristico di uno strato limite di parete. E’ chiaro che nel caso di flusso non viscono non avendo un difetto di velocità ed un difetto di portata (stretta conseguenza del difetto di velocità), quest’ultima sarà più alta rispetto al caso di flusso viscoso con stato limite di parete. Per eguagliare le due portate dovrò ridurre quella del caso di flusso non viscoso (senza strato limite di parete) e lo posso fare alzando la superficie e perciò riducendo la sezione del tubo di flusso (una riduzione della sezione determinerebbe una pag. 13 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine conservazione della portatata a causa dell’incremento della velocità, ma nel nostro caso la velocità rimarrà costante ed uguale a quella del flusso indisturbato U perciò la portata si ridurrà). Questo parametro viene descritto dallo spessore di spostamento 𝛿 ∗. Introduciamo ora lo spessore di spostamento di quantità di moto: Anche in questo caso dobbiamo capire il significato fisico del parametro introdotto. Questo facendo riferimento alla descrizione precedente rappresenta la quota di cui si dovrebbe spostare la parete in direzione y nel caso non viscoso per avere lo stesso flusso di quantità di moto rispetto al caso di flusso viscoso con strato limite di parete. Fine ripasso strato limite _____________________________________________________________________ L’utilità di avere un coefficiente adimensionale sta nel fatto che un coefficiente di questo tipo per uno strato limite turbolento dipende poco da i parametri dello strato limite, come lo spessore dello strato limite, lo spessore di quantità di moto, lo spessore di spostamento dello strato limite. Questi parametri hanno un importante significato nello studio dello strato limite ed in particolare il termine H (shape factor), ovvero il rapporto tra spessore di spostamento e spessore di quantità di moto. Questi parametri integrali hanno molte utilità nel descrivere le caratteristiche dello strato limite, in particolare lo shape factor serve infatti a verificare che uno strato limite sia laminare o turbolento. In generale se H assume valori superiori a 2,2-2,4 allora lo strato limite è laminare se invece H è nell’ordine di 1,2-1,4 allora avremo a che fare con uno strato limite turbolento. Il coefficiente di dissipazione perciò dipende poco dai parametri integrali dello strato limite mentre ne dipende molto quello che viene chiamato skin friction, ovvero l’adimensionalizzazione di 𝜏𝑦𝑥. Se questo infatti, che ha le dimensioni di una pressione, viene diviso per una quota cinetica (es di quota cinetica: 𝜌𝑔ℎ che si misura in Pa), assume allora la forma dello skin friction. In generale perciò per uno strato limite turbolento un fattore di forma che va da 1,2 ad circa 2 ed un numero di Reynolds (il pedice teta indica che il numero di Reynolds è basato sullo spessore della quantità di moto) che varia tra 1000 e 100 000, un’espressione che si può impiegare per il coefficiente di perdita è la seguente: Nell’immagine si può notare l’andamento del coefficiente di dissipazione in funzione del numero di Reynolds (teta). Si possono distinguere principalmente tre differenti curve, dove in particolare quella indicata in rosso è quella a pressione costante, ovvero con uno strato limite che si sviluppa in assenza di gradienti di pressione, la curva superiore è invece quella per cui si ha a che fare con pag. 14 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine un gradiente di pressione avverso, ed infine l’ultima curva, quella più in basso è quella che fa riferimento al caso in cui lo strato limite si sviluppa in un ambiente in cui è presente un gradiente di pressione favorevole. Il gradiente di pressione perciò influenza le perdite ed in particolare il gradiente di pressione avverso (curva in alto) ha delle perdite maggiori rispetto invece ad uno strato limite che viene accelerato. Se facciamo riferimento al caso di pressione costante, per valori del Re maggiori di 1000, si ha un andamento che viene opportunamente approssimato dall’equazione introdotta precedentemente. Altri sviluppatori suggeriscono invece di assumere valori costanti del coefficiente di dissipazione per numeri di Re maggiori di 1000. In uno strato limite accelerante invece il coefficiente assume valori più contenuti, mentre nel caso di strato limite diffondente si hanno valori del coefficiente più alti. Quando si ha a che fare con strati limite laminari invece siamo al disotto di numeri di Re pari a 1000 e perciò ci troviamo nella parte sinistra del grafico. Nel caso laminare il coefficiente di dissipazione ha una maggiore dipendenza rispetto allo spessore dello strato limite e una formulazione che viene impiegata comunemente vale: Dove 𝛽 è un coefficiente moltiplicato per l’inverso nel Re teta. Per uno strato limite laminare è possibile far riferimento ad un principio di autosimilarità. Mentre lo strato limite turbolento non è autosimilare, quello laminare lo è, ovvero è possibile descriverlo sempre con la stessa espressione scalando il profilo di velocità, perciò avremo bisogno di una sola equazione per descrivere lo strato limite sull’intera superficie, fintanto che questo rimane laminare e che il gradiente di pressione che agisce sullo strato limite sia nullo (Caso di Blausius di strato limite su lastra piana in assenza di gradiente di pressione). Quando sullo strato limite agisce un gradiente di pressione positivo o negativo allora la formulazione di Blausius non è più valida ma comunque lo strato limite laminare gode ancora del principio di autosimilarità perciò si possano generare delle famiglie di profili dette di Polhousen che servono per descrivere uno strato limite laminare in presenza di gradiente di pressione avverso. In particolare, 𝛿 rappresenta lo spessore dello strato limite e perciò 𝜆 è di facile determinazione. Beta è un parametro derivato ed è espresso da una parabola funzione di 𝜆. Poiché gli strati limite laminari sono più comuni in flussi acceleranti (perché i flussi acceleranti tendono a mantenere lo stato laminare e ritardano la formazione di turbolenza) questo valore di 𝛽, per rappresentare lo strato limite laminare viene assunto circa pari a 0,2. 𝜆 infatti, varia tra -12 e 12, e quando è nullo allora ci troviamo su una lastra piana in assenza di gradiente di pressione, quando è negativo vuol dire che si ha a che fare con gradienti di pressione avversi, quando invece è positivo vuol dire che si ha a che fare con gradienti di pressione favorevoli. Se questo viene convertito nel coefficiente beta, inserendolo nella relazione che li lega, questo varia tra circa 0,15 e 0,22, dove quest’ultimo è l’estremo che corrisponde alla massima accelerazione. pag. 15 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Generalmente perciò per strati limite laminari si assume 𝛽 = 0,2 e si impiega la relazione precedente: Se perciò riportiamo l’andamento del coefficiente di dissipazione in funzione del Re teta su tutto il campo dei numeri di Re possibili, allora abbiamo che i massimi valori si hanno per uno strato limite laminare. Quando lo strato limite è turbolento invece viene usata l’altra espressione per il coefficiente di dissipazione e la dipendenza è nettamente inferiore. Può essere interessante capire cosa succede nel range che va da circa 300 a 1000 di numero di Reynolds, range in cui possono coesistere sia strati limite laminari che turbolenti. Generalmente quando si ha a che fare con un flusso che investe una superficie piana inizialmente lo strato limite sarà laminare, via via che si sviluppa sulla lastra piana, ad una certa distanza dal bordo di attacco lo strato limite diverrà turbolento a causa di una transizione. Questa non avviene sempre per lo stesso valore di Re, ma dipende anche da fattori esterni, come il livello di turbolenza, la pressione, ettc. Esiste perciò una zona di transizione in cui lo strato limite può essere sia laminare che turbolento. La zona dai 300 a circa 1000 Re è la cosiddetta zona di transizione, in cui è interessante notare come il coefficiente di dissipazione assuma valori molto diversi. In genere la differenza dei valori assunti dal coefficiente di dissipazione tra laminare e turbolento è notevole (da 2 a 5 volte) e perciò rappresenta un ostacolo importante nella correttezza della stima del coefficiente (se sbaglio a considerare lo stato dello strato limite ottengo errori notevoli nella stima del coefficiente di dissipazione). Gli effetti della comprimibilità del flusso sono invece molto contenuti, perciò nel range del numero di Mach che generalmente caratterizza le turbomacchine (difficilmente si supera M=2) gli effetti di comprimibilità sono trascurabili. Se vogliamo valutare la generazione totale di entropia nello strato limite possiamo andare ad integrare il coefficiente di dissipazione lungo la superficie palare. La generazione totale di entropia perciò sarà vista come la sommatoria estesa alla suction side SS e pressure side PS, dove l rappresenta la lunghezza della pala misurata su una coordinata curvilinea, dell’integrale del coefficiente di dissipazione moltiplicato dalla densità e dalla velocità al cubo diviso per la temperatura, questo integrale rappresenta la generazione totale di entropia. Questa può essere facilmente determinata, specialmente se il coefficiente di dissipazione è costante, nota infatti la distribuzione di velocità, la densità e la temperatura è facile risolvere pag. 16 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine l’integrale. La generazione di entropia totale può essere poi convertita in un altro coefficiente di perdita che assume un’espressione nella forma seguente: In particolare, si può osservare la presenza della portata a denominatore definita come la densità per g, ovvero il passo palare per una velocità di riferimento: Sostituendo nella definizione del coefficiente quella di portata e quella della generazione totale di entropia si ricava una espressione interessante nella forma: Dove in particolare risultano interessanti i due termini evidenziati. Il termine 1 è quello in cui la velocità compare elevata al cubo, questo vuole dire che le zone della superficie palare in cui le velocità sono più alte sono responsabili di elevate perdite. Le velocità più alte generalmente si trovano in prossimità della suction side, ovvero del lato della paletta in depressione. Il coefficiente di perdita legato all’entropia dipende perciò dal cubo della velocità e perciò maggiore è la velocità maggiore sarà il coefficiente di perdita legato all’entropia. L’altro termine interessante è quello a moltiplicare l’integrale individuato con 2, in cui abbiamo a numeratore la lunghezza della superficie palare ed a denominatore il passo palare proiettato. Si nota come le perdite di profilo sono legate ad un qualcosa dato dal rapporto passo corda. Perdite per spessore finito al bordo d’uscita: Queste perdite sono legate al fatto che il profilo ha chiaramente una lunghezza finita e quando perciò questo termina (non terminerà mai a spigolo vivo) avremo un certo raggio di raccordo (circolare o ellittico). [Nell’immagine sono riportati i vettori velocità del flusso in prossimità del bordo d’uscita del profilo] Quando il flusso arriva al bordo d’uscita il profilo termina bruscamente e si generano due vortici. Questa regione si genera poiché il flusso in arrivo dal profilo ad un certo punto separa sul lato superiore e su quello inferiore. Nel punto di separazione la pressione statica tende ad equivalersi poiché il PS ed il SS si congiungono (si dice che il carico palare va a chiudersi). pag. 17 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine A valle della zona in cui avviene la separazione abbiamo una zona di ricircolo che genera una regione dalla forma triangolare detta Triangolo d’acqua morta (Dead air region). Questi vortici tendono poi a ridursi e ad una certa distanza tendono a riunirsi ed a miscelarsi, questa regione è detta anche Regione di base (Base region). Questa zona rappresenta una generazione di perdite e può essere studiata mediante il diagramma seguente: In questo diagramma il coefficiente di perdita viene espresso in funzione del numero di Mach all’uscita della superficie palare, da valori intorno a 0,5-0,6 fino a valori che raggiungono M=2, perciò fa riferimento ad una schiera che può funzionare sia in condizioni subsoniche che transoniche (si parla di una turbina perché il M di uscita è transonico). Nel diagramma viene inoltre riportato il coefficiente di perdita totale (rappresentato dalla curva con i cerchietti), le perdite di strato limite o perdite di profilo (curva con le croci) che tendono a ridursi all’incrementare del numero di M (come visto in precedenza), le perdite per onda d’urto (rappresentate dalla curva con le x, Shock Loss) che iniziano a comparire anche per valori del numero di Mach subsonici in uscita (vuol dire che nel vano palare nonostante nel bordo d’uscita il M sia subsonico ci sono delle zone supersoniche) e che tendono ad incrementare una volta che il M in uscita diviene supersonico. Infine, ci sono le perdite di miscelamento (rappresentate dalla linea nera continua) che rappresentano una frazione importante rispetto alle perdite di profilo e tendono ad incrementare (a differenza delle perdite di profilo) all’aumentare di M. Facendo perciò un bilancio approssimativo possiamo affermare che circa il 30% delle perdite totali in condizioni di M subsonico e 50% in condizioni supersoniche sono rappresentate dalle perdite di miscelamento. Nell’immagine a fianco possiamo osservare il meccanismo di generazione delle perdite per spessore finito del bordo d’uscita. Nella prima si osserva infatti lo strato limite nel SS e nel PS, a valle (ad una distanza pari a 10 diametri) i due strati limite si sono ricongiunti ma permane una scia e perciò le perdite sono molto dipendenti dal miscelamento dei due strati limite. pag. 18 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Generalmente per valutare le perdite prodotte in questa zona si va a valutare il cosiddetto Base pressure, o pressione di base. Nel diagramma sottostante viene riportato l’andamento della pressione statica lato PS e lato SS in funzione della distanza misurata lungo la superficie della paletta. Quando si arriva al bordo di uscita dai due lati la pressione statica tende a mantenersi la stessa e nella regione del bordo di uscita la pressione assume un valore circa costante (base region). Questa pressione viene detta Pressione di Base e viene espressa mediante un coefficiente noto come Base pressure coefficient: Questo è definito come la differenza tra la pressione di base e la pressione di riferimento, il tutto normalizzato da una quota cinetica di riferimento che può essere valutata sia per valori a valle del profilo, come la pressione di riferimento, oppure per valori a monte del punto di separazione. La caratteristica della pressione di base è che questa è sempre più bassa rispetto alla pressione a valle, infatti nella regione di base la pressione scende per poi incrementare a valle dove i flussi si miscelano. Questo fa sì che i valori del coefficiente di base siano negativi e vadano da -0,1 a -0,2. Se la pressione nella regione di base fosse uguale alla pressione di riferimento non si avrebbero perdite per bordo d’uscita. Il valore del coefficiente dipende perciò dallo stato dello strato limite che arriva al bordo d’uscita (perciò se è laminare, se è turbolento o se è separato), dalla forma del bordo d’uscita della paletta e dal rapporto tra il diametro di raccordo del bordo d’uscita e lo spessore dello strato limite. Se il flusso inoltre fosse non viscoso (assenza di strato limite) il coefficiente di pressione di base sarebbe positivo piuttosto che negativo, nei casi reali è negativo e perciò vuol dire che nella zona considerata si ha una produzione di entropia e perciò si hanno perdite. Per valutare le perdite di miscelamento si può sfruttare un approccio che si basa sulla conservazione della quantità di moto attraverso un certo volume di controllo. Le informazioni che si ricavano sono approssimative ma danno un’idea di come si generano le perdite di questo tipo. pag. 19 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine L’immagine precedente rappresenta un modello molto semplice del vano palare (le due lastre rappresentano due profili della stessa schiera). Sulla parte superiore si ha il lato in depressione, la sezione in B rappresenta la sezione di gola. Considerando il volume di controllo ABCDEF ed applicando una conservazione della massa (equazione di continuità) ed una conservazione della quantità di moto (equazione conservazione della quantità di moto) è possibile valutare le perdite legate al miscelamento. In questo modello il bordo di uscita è rappresentato da uno spessore finito che indichiamo con t, la schiera è calettata di un angolo 𝛼 ed ha un passo che è dato dalla dimensione w proiettata e perciò il termine w/cos 𝛼 rappresenta il passo nella direzione tangenziale (il segmento FC è il passo proiettato lungo l’angolo di stagger). Il segmento BC rappresenta il tratto scoperto della suction side della paletta successiva. Il flusso viene assunto uniforme nella gola AB (ovvero con un profilo di velocità costante) e nel tratto ED, queste condizioni però non sono valide nella realtà. Le superfici CD ed EF sono superfici di periodicità, perciò per esempio il flusso sulla superficie EF sarà caratterizzato da avere una velocità, una pressione ed un angolo che sono perfettamente uguali a quelle del flusso sulla superficie CD. I parametri integrali dello strato limite, sia legati al lato in pressione che in depressione vengono chiamati con le lettere 𝛿 ∗ per lo spessore di spostamento e 𝜃 per lo spessore di quantità di moto e sono detti complessivi perché riguardano sia SS che PS. La pressione che agisce nel tratto AF, bordo di uscita, sarà schematicamente la pressione di base che considereremo costante e la chiameremo con 𝑝𝑏 , mentre la pressione che agisce nel tratto BC, lato scoperto della SS la chiameremo come 𝑝𝑠. Questa in particolare non potrà essere nella realtà costante ma ai fini del calcolo potremo considerare una pressione mediata oppure assumerla direttamente come costante. Per effetto del fatto che il flusso sulla SS si deve, ad un certo tratto del vano palare, ricongiungersi con il flusso della PS, l’angolo di flusso in uscita non è l’angolo di flusso ideale. Questo angolo di deviazione del flusso che indichiamo con la lettera 𝛿 è generalmente piccolo (da qualche frazione di grado ad un grado circa). Il flusso in particolare verrà considerato stazionario ed incomprimibile, in cui la stazionarietà ha lo scopo di facilitare il calcolo, mentre l’incomprimibilità permette di ricavare delle relazioni semplificate. Andiamo perciò ad applicare le equazioni di conservazione al volume di controllo: 1) Equazioni di continuità: Questa esprime la costanza della portata attraverso due superfici del volume di controllo (soltanto 2 perché nelle superficie EF e CD non abbiamo flussi di massa e anche nell’eventualità in cui si avessero la massa che entrerebbe da una delle due superfici eguaglierebbe quella uscente dalla superficie opposta e perciò il bilancio sarebbe ugualmente nullo), ovvero le superfici AB ed ED. Applicando l’equazione si ricava: Si può notare che la sezione di passaggio a primo membro è data come differenza del tratto di dimensioni w-t e del termine 𝛿 ∗ rappresentante lo spessore di quantità di moto complessivo delle due superfici, che va a ridurre la sezione di passaggio effettiva (in particolare questa è una lunghezza perché la profondità che permette di determinare l’area di passaggio è uguale sia a primo che a secondo membro e perciò viene semplificata). pag. 20 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine La portata che esce dalla sezione ED è data dalla densità per la sezione data da 𝑤 / cos 𝛼 per la velocità del flusso proiettata normalmente alla superficie, perciò avendo a che fare con un angolo di deviazione 𝛿 la deviazione sarà data da 𝑉2 cos(𝛼 − 𝛿). Da questa relazione si ottiene la componente di velocità considerata uniforme normale alla superficie ED, ovvero quella che ci permette di individuare la portata in uscita. Possiamo introdurre una serie di semplificazioni, infatti generalmente l’angolo di deviazione 𝛿 è piccolo (circa 1 grado o meno), perciò sviluppando con le formule di sommazione per archi del coseno si ricava: cos(𝛼 − 𝛿) cos 𝛼 cos 𝛿 + sin 𝛼 sin 𝛿 cos 𝛼 cos 𝛿 sin 𝛼 sin 𝛿 sin 𝛼 sin 𝛿 = = + = cos 𝛿 + cos 𝛼 cos 𝛼 cos 𝛼 cos 𝛼 cos 𝛼 = cos 𝛿 + sin 𝛿 tan 𝛼 Poiché l’angolo di deviazione 𝛿 ≈ 0, allora sviluppando il seno e coseno con Taylor ricaviamo che: Poiché per 𝛿 ≈ 0 abbiamo: 𝛿2 𝛿4 cos 𝛿 ≈ 1 − + +... 2 64 𝛿3 𝛿5 sin 𝛿 ≈ 𝛿 − + +... 6 120 Trascurando i termini di ordine superiore: cos 𝛿 ≈ 1; sin 𝛿 ≈ 𝛿 L’angolo di deviazione in particolare si può ricavare andando ad applicare la conservazione della quantità di moto in direzione y, dove in particolare i tratti EF e BD (detti anche contorni di periodicità) non forniscono contributo perché attraverso queste superfici si ha un flusso entrante uguale a quello uscente e perciò si ha contributo totale nullo e quindi gli unici contributi sono quelli in direzione y dei tratti CF e ED. Scrivendo tale equazione si ricava: Come ci si arriva: Consideriamo il volume di controllo: pag. 21 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine In particolare, possiamo osservare che per l’equazione di continuità la velocità che si considera deve essere quella normale alla superficie di controllo, e questo giustifica la presenza del termine a secondo membro 𝑉2 cos(𝛼 − 𝛿) (componente di 𝑉2normale al tratto DE). Per quanto riguarda invece l’equazione della quantità di moto in direzione y a primo membro si considerano le forze agenti sulla superficie di controllo (date da pressione per superficie di azione) in direzione y. Possiamo notare come i contributi di pressione agenti sulle superfici CD e AE non sono considerati poiché si semplificano a vicenda, mentre è necessario considerare la forza generata dall’azione della pressione 𝑝𝑠 nel tratto scoperto del vano palare (BC), agente in direzione y, e la componente della forza agente in direzione y dovuta alla pressione 𝑝2 (ovvero pressione fuori dal vano palare) che vale : 𝑤 𝑝2 sin 𝛼 = 𝑝2 𝑤 tan 𝛼 cos 𝛼 A secondo membro dell’equazione abbiamo la variazione di quantità di moto, ma in particolare poiché si considera la direzione y, allora in ingresso, poiché il flusso è diretto lungo x non avremo contributi. Stessa cosa non vale nella sezione di uscita in cui il flusso è diretto inclinato dell’angolo di deviazione e perciò fornisce un contributo in direzione y. Quando si scrive questo contributo è necessario fare attenzione all’equazione. Quando infatti si trova il termine 𝑣̅ , dobbiamo considerare la componente di velocità in direzione y (nel nostro caso 𝑉2 sin 𝛿), quando invece troviamo il termine 𝑣̅ ∙ 𝑛̂ , si intende la proiezione del vettore velocità nella direzione normale alla superficie di controllo, che nel nostro caso è il tratto DE e vale 𝑉2 cos(𝛼 − 𝛿). Sostituendo con quanto ricavato dall’equazione di continuità si ricava l’espressione cercata. dove (𝑝𝑠 − 𝑝2 ) rappresenta la pressione nel tratto scoperto (𝑝2 è infatti la pressione che agisce fuori dal vano palare), 𝑤 tan 𝛼 rappresenta invece il tratto BC. Il termine a secondo membro rappresenta invece la variazione di quantità di moto tra ingresso ed uscita in direzione y. In questo modo possiamo ricavare l’angolo di deviazione: La cosa interessante che possiamo notare è che l’angolo di deviazione dipende dalla pressione che si instaura nel tratto scoperto del vano palare, ovvero nel tratto BC. pag. 22 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Il valore di questa pressione è variabile in funzione della pressione nella sezione di gola BF, ovvero 𝑝1 e fuori dal vano palare ovvero 𝑝2 perciò possiamo prendere in considerazione alcuni casi particolari estremi, per esempio: a) Se 𝑝𝑠 = 𝑝2 , ovvero ho una pressione costante nel tratto scoperto del vano palare pari alla pressione a valla allora l’angolo di deviazione è nullo; b) Se 𝑝𝑠 = 𝑝1, ovvero ho una pressione nel tratto scoperto del vano palare cosante e pari alla pressione di gola, allora ho un angolo di deviazione negativo; Nella realtà avremo una situazione intermedia. L’equazione della quantità di moto può essere scritta in direzione x, ottenendo: [In particolare, il termine −𝜌𝑉1 2 𝜃 rappresenta la perdita di quantità di moto in ingresso dovuta allo spessore di quantità di moto, ovvero legata alla presenza di uno strato limite di parete che non si considera, infatti nel termine (w-t) non abbiamo considerato lo spessore dello strato limite che però viene considerato in termini di quantità di moto. I segni delle quantità di moto dipendono dal versore normale alla superficie, in ingresso abbiamo una quantità negativa poiché il flusso entra ma il versore normale alla superficie è opposto, mentre in uscita abbiamo un contributo positivo perché 𝑉2 è concorde al versore normale uscente dalla superficie di controllo. I segni dei contributi di pressione si valutano invece in base al sdr xy vedi immagine precedente. Mediante una serie di relazioni matematiche è possibile ricondurre la relazione ad una forma più comoda in funzione del coefficiente di perdita di pressione totale: 𝑉1 2 Dove in particolare si ricorda che le pressioni totali sono date da 𝑝01 = 𝑝1 + 2 𝜌 , grazie all’ipotesi di flusso incomprimibile e lo stesso vale per la pressione totale in 2, mentre pag. 23 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine (𝑝𝑏 −𝑝01 ) 𝐶𝑝𝑏 = 𝜌𝑉1 2⁄ ; 2 Sfruttando l’equazione di continuità ed inserendola all’interno dell’equazione ottenuta è possibile 𝑉 eliminare il rapporto tra le velocità 𝑉2 , ma questi calcoli matematici risultano molto complessi a 1 meno che l’angolo di deviazione non risulti essere nullo, cosa che nella realtà non è vera però spesso questo è molto piccolo e l’approssimazione è perciò valida. Se questo è nullo la soluzione è semplice e consente di avere un risultato direttamente commentabile. In particolare, ricordiamo che un angolo di deviazione nullo comporta che la pressione nel tratto scoperto della “suction side” (SS) risulti essere equivalente alla pressione di uscita 𝑝2. Sfruttando un’approssimazione di questo tipo il coefficiente di perdita legato al mixing è dato dalla somma di tre coefficienti ed è esprimibile mediante la cosiddetta relazione di mixing: NOTA: Come ci si arriva Da cui si ricava facilmente che: 𝑝01 − 𝑝02 −𝐶𝑝𝑏 𝑡 2𝜃 𝑡 𝛿∗ 2 𝜁= = + +( + ) 𝜌𝑉1 2⁄ 𝑤 𝑤 𝑤 𝑤 2 Questa relazione risulta molto comoda perché ancora rappresenta una scomposizione degli effetti tramite la somma di tre contributi adimensionali, e cerca di evidenziare quali sono i contributi che vanno ad incidere sul miscelamento. pag. 24 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Il primo termine è dovuto alla pressione di base perciò minore sarà questa (ed il coefficiente di pressione di base sarà più negativo) e maggiore risulterà il primo termine (infatti il coefficiente è (𝑝𝑏 −𝑝01 ) espresso come e 𝐶𝑝𝑏 = 𝜌𝑉1 2⁄ perciò se la pressione di base 𝑝𝑏 è molto piccola il coefficiente è 2 negativo e poiché nella relazione di mixing presenta un meno davanti, questo avrà nella relazione un contributo positivo, perciò torna il ragionamento per cui più piccola è la pressione di base maggiore è il primo termine). Abbiamo poi un secondo termine in cui 𝜗 rappresenta lo spessore di quantità di moto degli strati limite a monte del bordo di uscita mentre t è lo spessore del bordo di uscita stesso. Questo termine rappresenta il contributo di perdite di miscelamento dovute allo strato limite che proviene da monte già sviluppato. Il terzo termine nasce dall’interazione dello spessore di spostamento di strato limite e lo spessore del bordo di uscita t. Ciascuno di questi termini influisce in modo differente sulle perdite, in particolare, per quanto riguarda il primo termine questo è legato alla pressione di base ed al termine t e perciò il contributo diventa importante quando lo spessore del bordo di uscita è grande (per esempio nelle palettature di turbine in cui lo spessore del bordo è grande rispetto alla dimensione della gola della pala stessa). Fisicamente non è semplice stabilire se la sia la pressione di base molto bassa a generare delle perdite di miscelamento o addirittura la pressione di base sia una conseguenza diretta del miscelamento, quello che però possiamo dire è che se si tenta di ridurre la cosiddetta zona di acqua morta adottando un bordo di uscita ellittico, piuttosto che circolare o troncato di netto per esempio è possibile ritardare la separazione del bordo di uscita e perciò ridurre le perdite per pressione di base. Se perciò il bordo di uscita avesse spessore t nullo il primo termine si annullerebbe, ma si avrebbero comunque perdite legate alla generazione degli strati limite sulla SS e sulla PS, dettati dalla presenza del secondo termine. In compressori assiali lo spessore del bordo di uscita può essere molto sottile ed anche nei profili di turbina di bassa pressione, questo fa sì che il secondo termine della relazione di mixing risulti essere dominante: Al fine di valutare qualitativamente questo termine si considera l’entropia che viene prodotta tra gola e bordo di uscita. L’entropia prodotta dagli strati limite a monte del bordo di uscita può essere valutata mediante il cosiddetto “Entropy thickness”, rappresentato dal termine 𝑇∆𝑆𝑇𝐸. L’espressione dell’”entropy thickness” è data dalla relazione seguente: Questo ci dice sostanzialmente che l’entropia generata a monte del bordo di uscita è uguale ad un termine dipendente dal cubo della velocità. L’entropia che invece viene prodotta nella sezione a valle (individuata da 2) è legata allo spessore della quantità di moto degli strati limite stessi e può essere indicata come: pag. 25 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine L’entropia perciò incrementa tra la gola e la sezione di uscita e la sua variazione (incremento) può essere valutata con il termine 𝑇 ∆𝑆𝑚𝑖𝑥 come: Questo incremento di entropia è dovuto al miscelamento degli strati limiti di SS e PS e rappresenta una perdita che può essere valutata intorno al 15% delle perdite di mixing, quando il bordo di uscita è sottile o addirittura può essere valutata oltre il 20% quando lo strato limite è prossimo alla separazione. Il terzo termine della relazione di mixing, ovvero: Dipende dallo spessore di spostamento dello strato limite e dallo spessore del bordo di uscita t ed in particolare per i compressori il bordo di uscita è sottile ma lo strato limite che si genera può essere molto spesso, a causa della diffusione che avviene tipicamente nei compressori, e perciò questo determina che anche il suo spessore di spostamento sia importante con conseguente predominanza del terzo termine della relazione di mixing (il termine relativo alla pressione di base sarebbe invece piccolo, ma le perdite di mixing risulterebbero ugualmente grandi a causa del grande contributo del 3° termine). Questo termine può essere valido anche se lo strato limite arriva a separazione purché la pressione statica a monte del bordo di uscita possa essere assunta come uniforme. Nel caso in cui lo strato limite sia molto spesso, o addirittura sia prossimo alla separazione 𝛿 ∗ sarà molto maggiore rispetto allo spessore del bordo di uscita e perciò questa espressione può essere approssimata come segue: Questo sostanzialmente significa che, solo nel caso in cui si abbia a che fare con strati limite separati o molto spessi, il contributo del terzo termine della relazione di mixing risulterà essere importante. Questo viene giustificato dal fatto che uno strato limite che ha uno spessore tale da ridurre del 10% la sezione di passaggio vista dal flusso incide in termini di perdite di miscelamento solamente per l’1%. Se si fa riferimento al diagramma a destra, questo presenta sulle ascisse lo spessore della scia (comprensivo della separazione, vedi immagine nel grafico) rispetto al passo palare, mentre sulle ordinate riporta il coefficiente di perdite dovute al mixing. La linea tratteggiata rappresenta le perdite tipiche per flusso attaccato, ovvero quanto il coefficiente di perdita varrebbe se il flusso fosse attaccato. Se il flusso invece è separato, lo spessore della scia comprendente la separazione dovrà diventare almeno 1/8 (si vede perché l’intersezione tra retta costante e curva avviene circa a 0,125, ovvero per w/s=0,125, cioè quando w=0,125s, ovvero quando w è circa 1/8 di s, perché 12,5 è 1/8 di 100) del pag. 26 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine passo al fine di cominciare ad eguagliare le perdite dovute allo sviluppo degli strati limite tipici del flusso attaccato. Questo vuole unicamente sottolineare il fatto che la separazione dello strato limite, al fine di fornire un contributo di perdita importante deve assumere valori di spessore molto grandi. Le perdite perciò sono legate al miscelamento degli strati limite, i quali miscelano all’interno di una scia che si forma a valle del bordo di uscita. Queste scie possono miscelarsi all’interno di un ambiente più o meno complesso all’interno di una turbomacchina perché queste sono soggette a variazione di sezione e perciò di velocità e pressione. Questo vuol dire che il miscelamento non avviene come nel caso ideale in un condotto a sezione costante e pressione costante, ma avviene spesso in un condotto a sezione e pressione variabile e questo ha chiaramente un importante impatto in termini di perdite. Se facciamo riferimento alle equazioni integrali della quantità di moto, combinate con l’equazione di continuità, per una scia di miscelamento otteniamo un’espressione del tipo: In cui ∆𝑝0 rappresenta la perdita di pressione totale, x è la lunghezza misurata lungo la scia, H è il fattore di forma della scia e V è la velocità. Questa relazione perciò correla la perdita di pressione totale con il gradiente di velocità ed il fattore di forma. Facciamo adesso riferimento al grafico sovrastante, in cui si rappresenta l’andamento del coefficiente di perdita di pressione totale in funzione della distanza dal bordo di uscita. Come si può notare per x=0 si ha il bordo di attacco, mentre per x=1 si ha il bordo di uscita in cui si può osservare la formazione della scia. All’aumentare della distanza rispetto al bordo di uscita si assiste ad un incremento delle perdite che però tendono a stabilizzarsi successivamente. Si possono osservare tre curve diverse, in cui la curva centrale è quella con gradiente di pressione nullo, perciò condotto a sezione costante, poi abbiamo la curva superiore che rappresenta il caso con sezione divergente e perciò conseguente diffusione (la presenza della diffusione e perciò del gradiente avverso di pressione presenta delle perdite di mixing superiori rispetto agli altri casi). L’ultima curva infine è quella che si ha nel caso di condotto convergente, ovvero in presenza di un gradiente favorevole di pressione. Il gradiente di pressione perciò ha un impatto fondamentale su quelle che sono le perdite dovute al miscelamento. pag. 27 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Produzione di Entropia in onde d’urto: Le onde d’urto in particolare si hanno solamente nei casi di flusso transonico nel vano palare e sono fenomeni irreversibili e come tali rappresentano delle fonti di entropia. L’entropia incrementa attraverso un’onda d’urto per un duplice effetto: a) Il primo effetto è dovuto alla presenza di uno scambio termico molto intenso (riscaldamento locale del flusso); b) Il secondo invece è legato agli sforzi viscosi normali molto intensi; L’onda d’urto solitamente è molto sottile ma allo stesso tempo la produzione di entropia attraverso un’onda d’urto può essere molto grande. Per valutare la produzione di entropia attraverso un’onda d’urto indicando con M il numero di Mach a monte dell’onda d’urto piana attraverso un gas perfetto e la produzione di entropia può essere espressa come: Dove R è la costante del gas e 𝛾 il rapporto tra i calori specifici. Trascurando gli ordini superiori (individuati dal secondo termine O, poiché questa relazione deriva da uno sviluppo di una funzione più complessa) la variazione di entropia va come 𝑀2 − 1 elevato al cubo. Ripasso onde d’urto: Il primo esempio che si deve introdurre per comprendere le onde d’urto prevede di considerare un emettitore di onde acustiche in moto a velocità costante v dentro ad un fluido. I cosiddetti fronti d’onda sono sferici e sono centrati nel punto in cui si trova l’emettitore nell’istante in cui l’onda acustica viene emessa. Se l’emettitore risulta avere velocità v=0 allora i fronti d’onda sono concentrici (figura1). Nel caso subsonico invece, ovvero con vM allora la posizione dell’emettitore è sempre esterna al fronte d’onda emesso perché l’emettitore si muove a velocità superiore rispetto alla velocità di propagazione delle onde acustiche pari ad M. Le onde si propagano all’interno di un cono, detto cono di Mach, ed in particolare la zona interna si chiama zona di azione, quella esterna è invece detta zona di silenzio. pag. 28 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Sulla base delle considerazioni fatte si capisce come un flusso supersonico ovvero ad una velocità superiore al Mach risenta delle perturbazioni prodotte da un’onda acustica solamente a valle dell’ostacolo. Se si fa per esempio riferimento ad un cuneo di semi- apertura infinitesima 𝑑𝜃, investito da un flusso supersonico, possiamo osservare che il flusso risente del cambio di direzione dovuto all’ostacolo solamente una volta attraversata la linea di Mach, che si diparte dal vertice del cuneo stesso (immagine a dx in basso). La stessa cosa non avviene nel caso di flusso subsonico (M 𝑉2 = − −−> 𝑉2 = sin 𝛼2 sin2 𝛼2 Sostituendo nella precedente si ottiene: 𝑚̇ 𝐿 2 𝑉𝜃2 𝑉𝜃𝐿 𝑚̇ 𝐿 2 𝑉𝜃2 𝑉𝜃𝐿 𝑇∆𝑆 = 𝑉2 (1 − ) = 𝑉2 1 − 𝑚̇ 𝑉2 2 𝑚̇ 𝑉𝜃2 2 ( sin2 𝛼2 ) Perciò infine si ricava l’espressione seguente: pag. 39 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine 1 Questa espressione può anche essere convertita in coefficiente di perdita dividendo per 𝑉2 2: 2 La perdita per Leakage può perciò essere valutata una volta che è nota la portata che fluisce attraverso la tenuta, il rapporto tra le portate, la velocità tangenziale della velocità di L. e anche l’angolo 𝛼2 e la velocità 𝑉𝜃2 che sono delle caratteristiche del flusso principale. L’espressione è valida sia per flussi incomprimibili che per flussi comprimibili a patte che il rapporto tra le portate sia valutato tenendo presente che sia comprimibile. Il coefficiente ricavato è valido nel caso di palettature Shrouded, ovvero dotate di tettuccio, se invece vogliamo valutare il coefficiente di perdita nel caso di palettature Un-Shrouded è necessario considerare che non si ha nessuna tenuta al tip della pala perciò la casistica è leggermente diversa. In generale per effetto del gradiente di pressione tra SS e PS il flusso tende ad essere spinto attraverso il gap che si crea tra cassa e tip della pala, e forma perciò un getto che può anche separare a seconda della dimensione dello spessore della pala. Se la pala ha un sufficiente spessore, dell’ordine di 4 volte la dimensione del gap, il flusso dopo la separazione può anche riattaccarsi alla superficie (nella prima immagina lo spessore della pala è grande e consente al flusso di riattaccarsi alla superficie, nella seconda lo spessore è piccolo, il flusso separa e si genera un ricircolo che dà origine ad un vero e proprio getto continuo). Una volta che il getto è passato al lato SS si genera un vortice perciò le perdite non sono tanto legate alla separazione ma alla formazione del vortice che va a rimiscelarsi con il flusso principale. Proprio in questa fase nascono i contributi di perdita maggiori. Il coefficiente di contrazione in questo caso è maggiore rispetto al caso con tettuccio e vale circa 0,8 se il flusso non riattacca, mentre cale circa 0,6 se invece il flusso riattacca. Le perdite in questo caso possono essere valutate andando a fare un bilancio in un certo volume di controllo tra SS e PS. Il modello prende in considerazione una generica pala con una velocità lato PS pari a 𝑉𝑝 ed una velocità lato SS pari a 𝑉𝑠. Consideriamo un elemento di portata infinitesimo che fluisce dal lato PS a quello SS, dove incontra un flusso che proseguo lungo la sua traiettoria con velocità 𝑉𝑠. Questo caso viene chiamato anche “Jet in acrossflow”, ovvero un getto che va a miscelarsi con un altro flusso trasversale. La portata di trafilamento viene determinata dalla differenza di pressione tra SS e PS, se perciò andiamo a scrivere l’espressione che considera l’incremento di entropia infinitesimo, in questo caso, dovuto al miscelamento di due flussi in questo caso essa assume una forma del tipo: 𝑉𝑝 La perdita, come si vede è legata alla velocità del flusso principale al quadrato e al rapporto di 𝑉 , 𝑠 dove 𝑉𝑝 è la velocità del flusso trafilato e 𝑉𝑠 è invece la velocità del flusso principale. pag. 40 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Se il flusso è incomprimibile devo valutare la portata di trafilamento attraverso un elemento di superficie infinitesimo dz, come: ̇ 1 𝑑𝑚𝐿 = 𝐶𝑑 𝑔 √2𝜌 𝜌(𝑉𝑠 2 − 𝑉𝑝 2 ) 𝑑𝑧 = 𝐶𝑑 𝑔 √𝜌2 (𝑉𝑠 2 − 𝑉𝑝 2 ) 𝑑𝑧 = 𝐶𝑑 𝑔 𝜌 √(𝑉𝑠 2 − 𝑉𝑝 2 ) 𝑑𝑧 2 Dove 𝐶𝑑 è il coefficiente di scarico (0,7-0,8), g è l’altezza della tip clearance (ovvero lo spazio tra tip e cassa), ed il salto di pressione dinamica è riferito a quello tra SS e PS. A questo punto possiamo scrivere la portata totale che fluisce attraverso il vano palare, dove questa sarà data da: Dove h rappresenta l’altezza mentre p rappresenta invece il passo del vano palare, mentre 𝑉2 cos 𝛼2 è la velocità che determina la portata principale. Sostituendo nell’espressione di partenza ed integrando lungo tutta la lunghezza del profilo, trasformando inoltre la relazione in un coefficiente di perdita normalizzando il tutto con una quota cinetica (1⁄2 𝑉 2 ), si ricava: 2 2 2 𝑉𝑝 𝑑𝑚̇ 𝐿 2 𝑉𝑝 𝐶𝑑 𝑔 𝜌 √(𝑉𝑠 − 𝑉𝑝 ) 𝑑𝑧 𝑇 𝑑𝑆 = 𝑉𝑠 (1 − ) = 𝑉𝑠 (1 − ) 𝑉𝑠 𝑚̇ 𝑉𝑠 𝜌𝑉2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 𝑉𝑝 2 𝑉𝑝 2 𝐶𝑑 𝑔 √𝑉𝑠 2 (1 − ) 𝑑𝑧 𝐶𝑑 𝑔 √(1 − ) 𝑑𝑧 𝑉𝑝 𝑉𝑠 2 𝑉𝑝 𝑉𝑠 2 = 𝑉𝑠 2 (1 − ) = 𝑉𝑠 3 (1 − ) 𝑉𝑠 𝑉2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 𝑉𝑠 𝑉2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 Integro il tutto lungo l’intera lunghezza: 𝐶𝑑 𝑔 𝐶 𝑉𝑝 𝑉𝑝 2 ∫ 𝑇 𝑑𝑆 = ∫ 𝑉𝑠 3 (1 − ) √(1 − 2 ) 𝑑𝑧 𝑉2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 0 𝑉𝑠 𝑉𝑠 1 Normalizzo dividendo tutto per la quota cinetica 2 𝑉2 2 : 𝑇 Δ𝑆 𝐶𝑑 𝑔 𝐶 𝑉𝑝 𝑉𝑝 2 𝜁= = ∫ 𝑉𝑠 3 (1 − ) √(1 − 2 ) 𝑑𝑧 1 2 1 2 𝑉𝑠 𝑉𝑠 2 𝜌𝑉2 2 𝑉2 𝑉2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 0 2 𝐶𝑑 𝑔 𝐶 3 𝑉𝑝 𝑉𝑝 2 = ∫ 𝑉𝑠 (1 − ) √(1 − 2 ) 𝑑𝑧 𝑉2 3 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 0 𝑉𝑠 𝑉𝑠 2 𝐶𝑑 𝑔 𝐶 3 𝑉𝑠 𝑉𝑝 𝑉𝑝 2 = ∫ (1 − ) √ (1 − ) 𝑑𝑧 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 0 𝑉2 3 𝑉𝑠 𝑉𝑠 2 𝑔 𝐶 1 𝑉𝑠 3 𝑉𝑝 𝑉𝑝 2 𝑑𝑧 = 2𝐶𝑑 ∫ ( ) (1 − ) √(1 − 2 ) ℎ cos 𝛼2 𝑝 0 𝑉2 𝑉𝑠 𝑉𝑠 𝐶 pag. 41 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Si ricava infine che: Note le velocità non è difficoltoso ricavare l’integrale (la dimostrazione non interessa per l’esame ma solamente ciò che viene da qui in poi). Nelle pale di turbine la velocità lato SS è circa uguale alla velocità di scarico perciò il rapporto 𝑉𝑠 𝑉𝑝 ≈ 1, mentre generalmente il rapporto 𝑉 ≈ 0,3. 𝑉2 𝑠 Con queste considerazioni possiamo valutare l’intero integrale intorno a valori di 0,65 e perciò assumendo un coefficiente 𝐶𝑑 ≈ 0,8 ricaviamo che il coefficiente di perdita ha lo stesso ordine di grandezza della Leakage area, ovvero del prodotto gC, dove g è l’altezza del tratto che separa il tip della pala dalla cassa mentre C è la lunghezza della corda della pala stessa, il tutto rapportato alla sezione della gola della pala rappresentata da: ℎ 𝑝 cos 𝛼2. Ricapitolando, se l’ordine di grandezza dell’integrale è circa 0,65 allora assumendo un 𝐶𝑑 ≈ 0,8 si ricava che il coefficiente di perdita vale circa: 2𝐶𝑑 𝑔 𝐶 𝑔𝐶 𝑔𝐶 𝑔𝐶 𝜁≈ 0,65 ≈ (2 × 0,65 × 0,8) = 1,04 ≈ ℎ 𝑝 cos 𝛼2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 ℎ 𝑝 cos 𝛼2 Il fatto che all’interno dell’integrale ci sia un termine elevato al cubo, vuole dire che le perdite saranno tanto maggiori tanto più sarà caricata la pala, questo è giustificato dal fatto che tanto più è carico il profilo palare tanto più alte saranno le velocità nel lato SS e tanto più basse perciò saranno le pressioni nel lato SS stesso. Questa stessa teoria è applicabile sia a compressori che turbine purché si scambino gli indici opportunamente. La teoria nonostante abbia introdotto numerose semplificazioni consente di stimare il valore della perdita effettiva rispetto al caso in cui non si abbia clearance, ovvero rispetto al caso in cui non ci sia un gioco tra pala e cassa. Molto spesso la perdita per clearance è anche espressa come una differenza di perdita di efficienza rispetto al caso in cui non si abbia clearance, questo modo di valutare le perdite ci dice che la perdita di efficienza rispetto al valore della clearance (generalmente la clearance si esprime come percentuale dell’altezza della pala, per esempio una clearance dell’1% vuol dire che il clearance stesso è un punto percentuale dell’intera altezza della pala) varia di circa 2-3 punti di efficienza per ogni punto percentuale di clearance rispetto all’altezza della pala, quindi rappresenta una perdita notevole. Questa incrementa anche all’incrementare del carico, come già detto. Perciò in generale troviamo qua sotto le espressioni dei coefficienti di perdita nel caso di palettature shrouded ed un- shrouded: 1) Palettature Shrouded: 2) Palettature Un-Shrouded: pag. 42 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine I coefficienti di perdita dipendono in generale dalle varie componenti di velocità, dai vari angoli in gioco e dalle caratteristiche geometriche della schiera perciò a livello di progettazione preliminare queste formulazioni possono essere molto utili per valutare le perdite dovute al tip clearance. Dalle due relazioni ricavate possiamo notare che il flusso di Leakage è sempre guidato da una differenza di pressione (gradiente) ed in particolare nel caso di palettature un-shrouded la differenza di pressione che governa il flusso di Leakage è quella tra PS e SS. La presenza di clearance ovvero del gioco tra tip della palettatura e cassa della macchina consente il passaggio del flusso sotto l’azione del gradiente di pressione. Nel caso delle palettature shrouded invece il passaggio del flusso è impedito in prossimità del tip grazie al tettuccio della palettatura e quindi la differenza di pressione che governa il flusso di Leakage è quella tra monte e valle della schiera, infatti avremo una tenuta tra tettuccio e cassa ed in particolare questa può avere uno o più risalti. La differenza di pressione tra monte e valle della schiera determina perciò il passaggio di una certa portata di Leakage tra i risalti della tenuta. In generale possiamo dire che per la maggior parte delle palettature rotoriche le due principali differenze di pressione ovvero quella tra PS e SS e quella tra monte e valle della schiera possono essere comparate tra loro: 1) A parità di altezza geometrica del tip, la portata che trafila nei due casi sarà simile, ad eccezione del caso in cui si abbia a che fare con palettature rotoriche a basso grado di reazione (vuol dire un piccolo salto di pressione) in cui diviene predominante il gradiente di pressione tre PS e SS. In questo caso le palettature shrouded non risentono di perdite legate al flusso di Leakage e perciò sono molto vantaggiose; 2) Per quanto riguarda la portata che trafila questa risulta proporzionale alla differenza di velocità che si ha nei due casi, perciò per le palettature un-shrouded essa sarà dipendente dalla differenza di velocità tra SS e PS, mentre per le shrouded dipenderà dalla variazione della componente tangenziale di velocità tra monte e valle della schiera; 3) In generale anche le differenze di velocità sono comparabili ad eccezione delle schiere con basso grado di reazione, in cui si ha elevata deflessione. In questo caso la differenza di componente tangenziale di velocità tra monte e valle della schiera è molto grande rispetto alla differenza di velocità che si ha tra PS e SS. Sulla base di queste considerazioni sembrerebbe che la differenza tra una palettatura di tipo shrouded o un-shrouded sia minima, infatti le portate, le perdite e le velocità sono comparabili tra loro. In realtà la differenza esiste infatti se facciamo una valutazione delle due palettature a parità di clearance ci si accorge che le palettature di tipo shrouded avrebbero un vantaggio solamente per pale in cui si ha un salto di pressione tra monte e valle pari a zero, infatti scegliendo una palettatura shrouded si elimina completamente il flusso che trafila. Le palettature shrouded hanno comunque vantaggi infatti si possono introdurre più risalti nella tenuta e perciò si può andare a sfavorire il flusso di trafilamento. Nei casi in cui è possibile usare palettature shrouded ed in particolare quando è possibile introdurre un numero di risalti maggiore di uno, questo è molto vantaggioso rispetto alle palettature un-shrouded. Non sempre però è possibile usare palettature shrouded infatti porre un tettuccio su una palettatura rotante porta alla generazione di carichi centrifughi notevoli che esercitano trazione sulle palettature. Questo è un particolare problema per palettature con raggi ampi e che ruotano a velocità elevata, perciò in questi casi è necessario ricorrere a palettature un-shrouded. pag. 43 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine Un esempio in cui, nonostante i raggi siano molto ampi, si può ricorrere a palettature shrouded è quello delle turbine di bassa pressione per impieghi aereonautici in cui la turbina di bassa pressione è direttamente connessa al fan frontale senza un gear-box. Le velocità di rotazione contenute del fan frontale limitano le velocità periferiche e perciò è possibile ricorrere anche a palettature shrouded. Questo è un vantaggio dal punto di vista delle perdite ma non sempre lo è dal punto di vista del funzionamento infatti al fine di garantire un ottimo funzionamento di una turbina è necessario che le velocità periferiche siano alte, infatti il coefficiente di carico ha a denominatore una differenza di velocità periferica e perciò se queste sono molto basse si ha un coefficiente alto con una conseguente bassa efficienza. Quando è possibile perciò è preferibile usare palettature di tipo shrouded! Perdite per miscelamento di due flussi con caratteristiche diverse: Un altro meccanismo di perdita nelle turbomacchine è rappresentato dal miscelamento di due flussi con differenti velocità e caratteristiche termodinamiche. Anche in questo caso la perdita può essere valutata ricercando la generazione di entropia dovuta al miscelamento. Il modello che si usa è quello riportato nell’immagine seguente: In particolare, si possono notare due flussi che provengono da condotti differenti di cui sono note le sezioni, le temperature totali e le pressioni totali. I due flussi vengono a contatto nel piano C, in cui hanno una pressione statica comune ed il miscelamento sarà completato, ovvero otterremo nuovamente un flusso uniforme nel piano m, dove il flusso totale avrà una pressione totale ed una temperatura totale pari a 𝑃0𝑚 e 𝑇0𝑚. Le perdite da miscelamento possono essere individuate mediante un semplice bilancio sul volume di controllo, introducendo però delle ipotesi semplificative, tra queste: 1) La pressione statica uniforme nella sezione C rappresenta una approssimazione notevole infatti per avere pressione statica uniforme dovrei avere delle linee di flusso rettilinee cosa alquanto complessa nel caso di un miscelamento di due flussi; 2) Altra approssimazione che si introduce è l’assenza di attrito sulle pareti, perciò non si considerano le perdite dovute agli strati limite di parete; Sulla base di queste ipotesi possiamo valutare il numero di Mach dei due flussi tramite la relazione seguente dei comprimibili: Dove in particolare la pressione totale in ingresso 𝑃01 la conosciamo, la pressione statica uniforme in comune nella sezione “c” è nota 𝑃𝑐 , ed infine è noto anche il rapporto tra i calori specifici, perciò è facile calcolare il numero di Mach dei due flussi. Anche le portate possono essere determinate poiché sono note le velocità dei due flussi e le sezioni di passaggio perciò da esse possiamo anche valutare il flusso di quantità di moto nel piano pag. 44 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine C. Una volta che sono a conoscenza di tutto ciò posso scrivere la quantità di moto complessiva nel piano c del volume di controllo (in rosso). Questa deve essere eguagliata a quella che si ha nel piano m, 𝐼𝑚. Applicando l’equazione dell’energia tra il piano “c” ed il piano “m”, assumendo che il flusso sia adiabatico, possiamo scrivere che la T totale è la media pesata delle temperature totali nei due flussi con pesi le portate dei flussi stessi: A questo punto possiamo valutare la cosiddetta funzione di impulso con a numeratore la quantità di moto valutata in m con la precedente relazione. Si può osservare, mediante una serie di passaggi matematici come questa funzione in realtà sia funzione unicamente del numero di Mach nel piano m: La funzione di impulso è nota poiché è completamente nota la quantità di moto in m, ricavata inizialmente, ma anche i termini a denominatore sono noti completamente. Possiamo perciò ricavare dall’espressione della funzione di impulso il numero di Mach nella sezione m del flusso miscelato e con esso anche l’incremento di entropia. Noto perciò nel piano “m” il numero di Mach, la pressione statica (infatti poiché la sezione tra “c” ed “m” è costante allora la pressione statica tra “c” ed “m” è la stessa) e la temperatura totale, ovvero è completamento noto il flusso, possiamo ricavare la pressione totale (da pressione statica e Mach) e la conseguente perdita tra piano “c” e piano “m” come variazione di entropia. Possiamo notare come un bilancio basato sul volume di controllo senza avere dato informazioni sul processo di miscelamento (presenza di turbolenze, scie, stress elevati) consente, sfruttando le equazioni di conservazione, di ottenere un risultato numerico capace di valutare le perdite. Chiaramente sono state introdotte delle approssimazioni importanti. Ribaltando la formula della funzione di impulso si ricava un’equazione di quarto grado nel numero di Mach della sezione m: In particolare, dall’equazione si ricavano quattro soluzioni di cui due vengono scartate a priori poiché negative. Con le due soluzioni rimanenti, una subsonica M1 possiamo fare alcune considerazioni: pag. 45 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine 1) Se entrambe le correnti che si incontrano sono subsoniche (M 𝑝01 − 𝑝1 = 2 𝜌𝑉 2 ] L’efficienza dello stadio la posso esprimere come rapporto tra Work Input reale, ovvero il lavoro immesso nello stadio isoentropico (ovvero ideale) sottratto alle perdite di lavoro (legate in questo caso solamente alle perdite di profilo per l’Hp di palettature 2D) ed a denominatore avrò invece solamente il lavoro isoentropico (ovvero quello ideale): Le perdite possono essere espresse come perdite di pressione totale nello statore ∆𝑝0𝑆 sommate alle perdite di pressione totale nel rotore ∆𝑝0𝑅 , mentre il Work input viene espresso come prodotto della densità per il salto di pressione totale, perciò si ricava: Scegliendo tipicamente un grado di reazione R=0,5 (il grado di reazione ci dice come si ripartisce il salto entalpico tra statore e rotore), un coefficiente di flusso pari a ∅ = 0,6 ed una solidità tale da garantire un DF=0,45 possiamo ricavare le mappe che rappresentano l’andamento delle perdite, del salto di pressione, della solidità e del fattore di diffusione in funzione del coefficiente di carico: Possiamo innanzitutto notare che i due grafici in alto sono realizzati con un DF=0,45, perciò se si mantiene il DF costante e si va ad incrementare il coefficiente di carico si nota che le perdite tendono ad aumentare rapidamente con una conseguente riduzione dell’efficienza. Allo stesso pag. 51 Nencioni Leandro a.a. 2019/2020 – Corso di Turbomacchine modo si può notare che per mantenere il DF costante aumentando il coefficiente di carico è necessario un incremento della solidità della schiera ed è proprio questo incremento di solidità che porta le perdite a crescere. Nel diagramma in basso a sinistra si nota invece che se si va ad incrementare il coefficiente di carico, per un valore di questo pari a 0,37 si raggiunge il cosiddetto 𝑉2 Limite di De Haller, ovvero 1 − 𝑉2 2 ≈ 0,45. Questo vuol dire che oltre questo valore il flusso 1 potrebbe essere penalizzato perché si ha una diffusione eccessiva. Per quanto riguarda invece l’andamento del DF in funzione del coefficiente di carico possiamo dire che se si incrementa il carico a parità di rapporto di diffusione DF=cost. allora la solidità della schiera deve necessariamente crescere e questo comporta un incremento delle perdite ed una riduzione dell’efficienza. Un'altra informazione che si può ricavare da quest’ultimo grafico è che se fisso il caric