Sociolinguistica PDF

Summary

This document provides lecture notes on sociolinguistics, focusing on the relationship between linguistic phenomena and social factors. It discusses the influence of society on language and the functional roles of language in social contexts. The notes also cover perspectives on language and identity construction, contrasting traditional and innovative viewpoints. Various aspects of linguistics, such as formal aspects and practical application are also mentioned.

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Sociolinguistica ([email protected]) Lezione I: 26.02.2024. Sociolinguistica: interazione tra studi di linguistica generale e la società. Come il contesto influenza le nostre scelte linguistiche, come noi ci esprimiamo linguisticamente. Oggetto d...

Sociolinguistica ([email protected]) Lezione I: 26.02.2024. Sociolinguistica: interazione tra studi di linguistica generale e la società. Come il contesto influenza le nostre scelte linguistiche, come noi ci esprimiamo linguisticamente. Oggetto della disciplina: la sociolinguistica studia il rapporto tra fenomeni linguistici e specifici fattori sociali. L’influenza che la società e i fatti sociali hanno riguardo ai fatti linguistici La funzione sociale che la lingua svolge Berruto e Cerruti (2019: 3): “La SL si occupa dei rapporti tra lingua e società, e quindi dei fatti e dei valori sociali connessi alla lingua e ai suoi usi; il suo carattere essenziale sta nel vedere i sistemi linguistici inseriti nella vita della società. Tratta quindi 🡪 I. sia della correlazione tra fenomeni linguistici e determinati fattori sociali, II. sia dell’influenza che la società e i fatti sociali hanno riguardo ai fatti linguistici e delle conseguenze che tale influenza produce [fatti sociali -> fatti linguistici] III. sia della funzione sociale che la lingua ha e delle azioni che attraverso essa si svolgono” [fatti linguistici -> fatti sociali] Al terzo punto: fatti linguistici 🡪 fatti sociali ⮚ Visione funzionalista: la lingua, in quanto strumento di comunicazione, consente l’organizzazione sociale e ne riflette le strutture. ⮚ Visione costruttivista: attraverso le interazioni linguistiche i parlanti negoziano le loro identità sociali e i significanti rilevanti all’organizzazione sociale. La costruzione linguistica dell’identità: Ogni realizzazione del comportamento linguistico di un parlante può essere considerata un atto di identità con il quale il parlante si riconosce e si definisce come appartenente a un determinato gruppo e si colloca in una certa posizione all’interno dell’organizzazione sociale Da questo punto di vista le lingue rappresentano il luogo in cui i parlanti agiscono sulla società e costruiscono la propria identità sociale. Lezione II: 27.02.2024. Nella sociolinguistica ci sono due modi per capire la nostra identità: 1. Una più tradizionalista e quindi funzionale dove noi siamo e perciò ci comportiamo in questo modo, in una relazione di causa-effetto. 2. La visione più innovativa è quella dove noi costruiamo la nostra identità perciò costruttivista dove noi costruiamo il nostro carattere, identificandoci con un gruppo, decidiamo consapevolmente di indentificarci con quel gruppo. La lingua è uno dei fattori prediletti per esprimere l’identità sociale [e costruirla], anche perché interagiamo comunicando, ossia attraverso la lingua. La lingua diventa uno dei vettori più utili per esprimere la nostra identità, ma anche per costruirla. Un caso classico è chi cerca di abbandonare il proprio accento regionale e adottare un italiano più pulito per non essere associato alla propria regione. Altro caso chi decide di esacerbare (esasperare) i tratti regionali per rimarcare i propri tratti in una determinata zona. Fattori psicologici fanno in modo che le persone decidano di agire in un caso, piuttosto che in un altro. Dai fatti sociali a quelli linguistici o viceversa, ma in generale ci sono discipline che per loro natura decidono di puntare la lente sui fatti sociali ma altri anche sulla componente linguistica. Studi del primo tipo come la sociologia che può tener conto anche di fatti linguistici, il secondo orientamento è un tipo di linguistica che tiene conto anche dei fatti sociali. O sociologia o linguistica, si applica una linguistica tenendo conto dei fatti sociali, influenzati sempre dal linguaggio. La posizione della sociolinguistica: essa fa parte di una delle branche della linguistica, una fra molte. E queste branche applicate sono molte diverse, che a volte si avvicinano quasi alla medicina ad altri ambiti più teorici come interpretazione dei contesti. La linguistica ha una “doppia anima” cioè come la più scientifica delle materie umanistiche e la più umanistica delle materie scientifiche. Questa visione nasce anche dal fatto che la linguistica è molto varia in quanto esistono molte branche diversificate. Questo è riflesso che da un lato la linguistica cerca il rigore nel modello teorico, è discreto (o è x o non è x, non esistono continuum, p o b), formale (cerca di essere e creare teorie applicabili). Dall’altro lato occuparsi di lingua significa tener conto anche del fatto che c’è variabilità tra i dati. Continuum tra ambiti formali e non (sede d’esame e chiacchiera con gli amici), storico (fiorentino di Dante e l’italiano di oggi, c’è stata un’evoluzione graduale). Il continuum può essere anche sociale (età [non è un fattore discreto] che si comportano in modo diverso), continuum antropologico e psicologico. Quindi il continuum è molto difficile da studiare con modelli teorici e formali, serve quindi più flessibilità e adattamento tipico di materie umanistiche. Se si volessero suddividere alcuni degli ambiti della linguistica: più formale: la fonetica, fonologia, morfologia, sintassi, neurolinguistica meno formale: sociolinguistica, linguistica percettiva. Un’altra distinzione è quella tra linguistica interna e linguistica esterna, che fanno riferimento al parlante. Dentro al parlante, quindi isolato dal contesto, oppure la linguistica esterna che riguarda le relazioni che il parlante ha con gli altri parlanti. Questa è una formulazione fatta per la prima volta da Saussure. Interna: cerca di isolare la lingua da altri fattori, senza il “rumore” di altri fattori. Si studia il lessico in quanto un insieme di lessemi con un significato proprio (suono e contenuto), si guarda alla grammatica del parlante in quanto una serie di regole interiorizzate che permette di produrre frasi e parole ben formate, la dimensione più scientifica della linguistica che riguarda anche alla dimensione biologica del linguaggio cioè per esempio perché l’uomo ha la facoltà del linguaggio e gli animali no- studi se il linguaggio sia dovuto a fattori genetici oppure che sono nati in manera egualitaria in tutti, ma che l’uomo ha sviluppato. Anche la dimensione psicologia ossia come il bambino elaborata il linguaggio a cui viene esposto. Esterna: guarda alla dimensione sociale, storica e culturale del linguaggio. La dimensione storica riguarda sul perché le lingue mutano nel tempo. Dimensione culturale dove ad esempio in alcune lingue native ci sono parole tabù che non possono essere pronunciate per motivi culturali. Divisione tra langue e parole di Saussure 🡪 la langue, intesa come un sistema di segni che formano il codice di un idioma, va distinta dalla parole, cioè dall'atto linguistico del parlante, che è "individuale" e "irripetibile". Qual è il rapporto tra la sociolinguistica e la linguistica generale? Due possibili posizioni: posizione debole per cui la sociolinguistica è un settore della linguistica, una delle sue branche / orientamenti; posizione forte: nessuno studio linguistico è valido se non prende in considerazione i fatti sociali, i fattori contestuali / esterni sono sempre presenti nella linguistica. E quindi ogni studio è permeato dall’aspetto sociale. -orientamento formale e funzionale: l’orientamento formale è quello della grammatica generativa, il linguaggio si basa su delle capacità innate dell’uomo per cui dentro di noi già dalla nascita abbiamo dei principi di base e abbiamo delle regole che poi vengono interiorizzate dai parlanti. Quindi il bambino mano a mano che ascolta parlare, input, desume tutte le regole della propria L1. Queste regole sono interiorizzate (il parlante le conosce, le applica ma spesso non ne ha consapevolezza e di solito non vengono nemmeno insegnate a scuola perché i bambini le imparano correttamente – ad esempio: quando poter usare un soggetto nullo o meno). Con questo punto di vista il linguaggio viene visto anche come un aspetto autonomo rispetto ad altri ambiti dell’individuo – formale perché ci sono le regole. Funzionale: il focus è sulla funzione della lingua. Dove non ci sono regole vere e proprie interiorizzate ma i parlanti compongono le frasi scegliendo gli elementi e le combinazioni che sono funzionali al loro scopo. In base allo scopo sfruttiamo le nostre capacità linguistiche per arrivare al nostro scopo. Lo scopo molto spesso non riguarda le questioni linguistiche in sé, ma ha a che vedere con la vita quindi le nostre frasi sono sempre determinate alle funzioni che vogliamo la lingua svolga. Esempio: Sviluppo e nascita della sociolinguistica: cosa c’era prima della sociolinguistica? E come ci si arriva? La linguistica in quando disciplina scientifica nasce nel 1800 e nasce come glottologia (linguistica storica) e quindi si guarda alle lingue in una dimensione diacronica. I primi glottolici sono affascinati dal fatto che l’italiano ed il sanscrito siano due lingue imparentate. Ma come si è arrivati in questa differenziazione? Nasce l’idea che esiste una protolingua che è alla base del latino, del greco, delle slave, ecc… essa viene chiamata INDOEUROPEO. I primi studi per cercare di capire perché le lingue si sono differenziate bisogna prima cercare di capire com’era fatto l’indoeuropeo. Dalle “figlie” alla lingua madre, e questo porta a chiedersi anche come le lingue si sono mutate nel tempo. La metodologia usata è il metodo comparativo, che mira a trovare le corrispondenze sistematiche (ogni volta che avrò un certo dato esso sarà ripresentato con la stesa variazione nello stesso contesto fonologico). La ricostruzione dell’indoeuropeo: La glottologia è un approccio scientifico perché formula delle regole che si possono falsificare, perché fanno delle predizioni. La regola più importante è quella della regolarità del mutamento: “se si scopre che in un determinato contesto una lingua ha mutato un determinato suono da X a Y, allora questo mutamento deve avvenire sempre, in questo specifico contesto”. → «ineccepibilità delle leggi fonetiche» (in realtà esistono delle eccezioni a questa regola, ma anche queste sono state sistematizzate e si applicano in maniera abbastanza rigida). Inizi Novecento: il primo motivo è che i glottologi guardavano maggiormente alle lingue morte (latino, sanscrito) quindi essi si basavano su testimonianze scritte. Quando si inizia a guardare anche alle lingue vive si vede che ci sono della variazione anche minime che non sono concorde con la regola sistematica trovata fino ad allora. Sfugge quindi qualcosa, bisogna trovare altri approcci. Il secondo motivo, una volta che si è ricostruito l’indoeuropeo il lavoro era finito. Quindi una volta ottenuto l’indoeuropeo, in che modo si è mutata la lingua? Come hanno fatto a mutare? I glottologi guardavano alle lingue come qualcosa di asettico. Per rispondere a questa domanda serve una teoria sincronica, e serve un’attenzione al parlante perché è esso il motore del cambiamento. Un esempio famoso di attenzione del parlante viene presentato da Gilliéron: cura il primo atlante linguistico. Egli parla di una terapia linguistica per cui dice che ci sono certi casi in cui i parlanti intervengono sulla lingua, modificando volontariamente dei tratti che sono diventati problematici. Egli presenta la parola “ape”: il latino ‘apis’ mentre in francese si rischiava di arrivare alla sola pronunciazione di una vocale. Quindi i parlanti curavano la lingua che rischiava di diventare troppo ambigua. È proprio il parlante che decide un cambiamento, la fonte del cambiamento. Diventa quindi il parlante al centro dell’attenzione e non la lingua come uno strumento asettico. ⮚ Il superamento della linguistica storica come paradigma di ricerca: a inizi ‘900 le ricerche nell’ambito della linguistica storica iniziano a declinare. Figura emblematica: Ferdinand de Saussure (1857-1913); visto come ispiratore della sociolinguistica. Ossia come il primo che mette al centro il parlante e considera anche gli aspetti sociali quando parla di linguistica. Saussure stesso inizia come glottologo, tiene dei corsi presso la sua università dal quale esce il libro. Egli porta cambiamenti importanti ossia il passaggio dalla diacronia alla sincronia (riguarda esattamente ad un momento, senza una dimensione storica). Un altro cambiamento è che si passa dalla comparazione tra lingue allo studio sistematico di una singola lingua. [teoria del sostrato] Sintesi di tre corsi tenuti da Saussure a Ginevra, redatta da due suoi allievi. Con Saussure si inaugura lo strutturalismo. Dicotomie saussuriane: ⮚ Sincronia vs. diacronia ⮚ Langue vs. parole ⮚ Significato vs. significante ⮚ Paradigmatico vs. sintagmatico La vera rivoluzione è che con Saussure è il parlante ad essere al centro dell’indagine. Langue e parole: Langue: essa è definita come lingua a livello sociale e a livello collettivo. La langue è costituita da tutti i parlanti che parlano italiano sia nel presente, che nel passato e nel futuro. La langue è strettamente collegata con la società. Il singolo parlante non può cambiare la langue (uno che decide che x significherà y), ma la collettività di italofoni possiedono questo codice comune, l’italiano in quanto langue. Consegue che essendo la langue un prodotto della società essa non può riguardare un solo parlante, tutti noi condividiamo la stessa langue che è un’unità di per sé non mutabile; statica, stabile, immutabile, conservativa e sopra-individuale. La parole: è tutto ciò che si trova in un contesto specifico. Sono le realizzazioni specifiche del parlante, sono le produzioni del parlante ed anche a seconda del momento (diversi contesti: formale, informale, se siamo stanchi). Nella parole ci sono lapsus, frasi lasciate a metà, difetti di pronuncia, l’uso di determinati riempitivi (cioè, eeehh…), scelta lessicale. La parole è concreta: dinamica, innovativa, flessibile Lezione III: 28.02.2024. Saussure fonda lo strutturalismo -> no alla comparazione, ma all’indagine di una lingua sola in sincronia. Langue: concetto di lingua astratta, essa non è mai parlata ma è un ideale che va al di sopra delle singole realizzazioni. Parole: intesa come la messa in uso concreto del sistema linguistico astratto. Langue: sociale, significa che essa è condivisa da una comunità di parlanti, che può essere piò o meno grandi a seconda della lingua e della comunità. Il singolo parlante non saprà mai tutti i termini (esempio: lessico specifico di alcuni ambiti; parole di tutti i dialetti d’Italia) di una langue. Langue vs. faculté de langage: la langue è un’entità sociale, di carattere storico e culturale. La faculté de langage: istinto naturale, dovuto alla nostra anatomia. Essa è già data dalla natura alla nascita. Essa ci permette di apprendere la lingua, di articolare il pensiero (interno), per comunicare e per socializzare (esterno). Saussure introduce anche l’opposizione tra linguistica interna vs. linguistica esterna. Di cosa NON si occupa la sociolinguistica? In generale la linguistica esterna può spiegare la variazione delle forme diverse scelte dal contesto, ma non può spiegare i casi in cui ci sono delle regole precise che non possono essere trasgredite. La linguistica esterna spiega la variazione, ma non spiega perché in molti casi non c’è variazione. Quando si parla di linguistica interna si nomina lo studioso Chomsky con le sue ricerche della prospettiva internalista. Egli cambia l’approccio con le lingue -> come la lingua può essere appresa dai bambini? Il linguaggio viene imparato in maniera naturale, non esplicita. Sono attività del neonato che avvengono naturalmente, come istinto. Negli anni ’50, per quanto vigeva l’acquisizione del linguaggio, si credeva che una lingua veniva appresa a forza di sentire e ripetere più e più volte la stessa parola. Il bambino imita, quindi. Per Chomsky i bambini non si limitano ad imitare ciò che sentono, ma c’è molto di più. Distinzione tra competence e performance: La competence non è una competenza astratta (langue) ma essa è l’insieme di regole che abbiamo interiorizzato nella nostra L1. Non sono consapevoli, esse sono dentro di noi. Non vi facciamo ricorso direttamente ma utilizziamo per produrre o interpretare le parole Performance: caso concreto, tutti gli atti linguistici che facciamo sono performance influenzate dalla competence. Non è data dalla società ma è data da ogni singolo individuo. Colorless green ideas sleep furiously -> non ha senso, ma è perfettamente grammaticale. Siamo in grado di interpretare e di formare frasi nuove, e capire se esse seguono una giusta regola grammaticale. Ls nostra grammatica interna si basa su regole, e quindi non si basa solo su quello che abbiamo sentito. La povertà dello stimolo -> i bambini hanno un’evidenza positiva ridotta (poca esperienza di lingua rispetto a quelle che un parlante ha) ed un’evidenza negativa nulla (i bambini sanno cosa possono dire, ma non quello che non possono dire. Quindi non ha modi diretti di capire cosa si può dire, bisogna desumerlo dall’input). L’input, come tutti gli atti di parole, è pieno di lapsus, ripetizioni quindi quando parliamo nella quotidianità ripetiamo le parole, lapsus solitamente con i bambini. Nonostante queste “penalizzazioni” riescono comunque ad apprendere la lingua L1 dice Chomsky dimostra che abbiamo una LAD che è innato e ci predispone ad acquisire il linguaggio. Visto che il linguaggio è un istinto il bambino presenta subito attenzione al linguaggio e cerca di analizzarlo per cercare di capire quali siano le regole. L’acquisizione in una prospettiva internalista: i bambini, di qualsiasi comunità linguistica, acquisiscono la lingua della propria comunità in modo completamente naturale (se non ci sono patologie linguistiche). Tutti con la stessa efficienza. Le caratteristiche principali sono l’assenza di un insegnamento esplicito, la povertà dello stimolo, assenza di evidenze negative (quando ci sono il bambino non le coglie) presenza di un periodo critico (dopo una certa età non c’è modo di acquisire in modo spontaneo una lingua). La competenza del parlante: la competenza si può definire come l’insieme delle conoscenze implicite ed intuitive che un parlante ha della propria lingua. Riguardano tutti i livelli della lingua (grammaticale o agrammaticale?). La competenza è implicita ed intuitiva. Queste conoscenze implicite riguardano tutti i livelli di lingua: fonologia, morfologia, sintattica e semantica. Non fa parte della grammatica interiore le regole insegnate dalla scuola (grammatiche arbitrarie insegnate da istituzioni, secondo criteri soggettivi e non legati a grammatica). Competenza morfologica: come formare le parole, creare avverbi, capire parole mai sentite prima, formare parole che seguano le corrette regole grammaticale. Competenza sintattica: esempio di Chomsky -> le idee verdi incolori dormono furiosamente. La prima fase è una presupposizione Nella seconda è un obbligo Come parlanti nativi riusciamo a distinguere i due tipi di doveri. Qual è la regola sintattica che me lo fa capire? Lezione IV: 04.03.2024. La competenza e la linguistica interna: L’esistenza di proprietà così sottili e di cui i parlanti non sono solitamente consapevoli suggerisce che la lingua non possa essere appresa solo attraverso meccanismi imitativi, né attraverso l’insegnamento esplicito. ⮚ Possiamo guardare al linguaggio come un sistema complesso di conoscenze interne alla mente del parlante che i membri della specie umana sono geneticamente predisposti ad acquisire naturalmente, senza insegnamento esplicito (visione internalista, mentalista). Della L1 abbiamo una conoscenza implicita, mentre di tutte le altre una conoscenza esplicita; tranne nel caso di bilinguismo in quel caso entrambi vengono definite come L1. La L1 non è appresa attraverso l’imitazione (produrre frasi sentite in passato) e nemmeno basiamo la conoscenza della L1 in maniera esplicita. Grammatica universale: idea che esista una grammatica universale, cioè la nostra competenza interiore e che nella visione tradizionale è composta da due elementi: Principi -> immutabili ed uguali per tutti, in tutte le lingue del mondo. Parametri -> punto in cui le lingue variano I parametri sono i punti di variazione, ad esempio un parametro è il soggetto nullo. Lingue che lo permettono e non. I parametri devono essere insegnati perché cambiano da lingua a lingua. Secondo la visione tradizionale il bambino ha i parametri, ma cerca input dall’esterno (ipotesi) per vedere i parametri di quella lingua. Vengono poi “fissati i parametri” cioè impostati in un certo modo. I parametri in una lingua sono numerosi, dunque il bambino nasce già conoscendo i parametri? Uno dei modi per spiegare l’acquisizione del linguaggio in così breve tempo è introducendo i parametri a cascata. Cioè impostando un parametro abbiamo 5 parametri impostati in quel modo (a cascata) quindi il bambino risparmia tempo e meno sforzo cognitivo. L’esistenza di categorie universali dimostra che i principi sono innati. Una prova a favore della GU: il dover contare le parole va contro i principi generali della sintassi. La linguistica interna è necessaria: quella esterna può spiegare la variazione nel contesto ma non ci spiega le proprietà invarianti della facoltà di linguaggio, né la variazione tra lingue (parametri). Questi aspetti devono essere indagati nell’ottica della linguistica interna. a. I principi: Poiché non variano, non ha senso chiedersi se la loro variazione correli con caratteristiche sociali. Es. ▪ Ricorsività ▪ Dipendenza dalla struttura ▪ per gli universali implicazioni b. I parametri: poiché la variazione tra lingue non è determinata dal contesto, non possono essere spiegati dalla linguistica esterna La ricorsività: possibile di inserire nuovi elementi in una frase già fatta, all’infinito. Generativo: grazie a questa possibilità noi possiamo produrre frasi all’infinito. La dipendenza della struttura Universali implicazionali, a livello tipologico (confrontando i parametri tra lingue non della stessa famiglia). Greenberg (tipologo) egli sostiene due universali: assoluti ed implicazionali (se una lingua ha la proprietà x, allora avrà anche la proprietà y) faccio un’implicazione. Rapporto implicazionale: la derivazione presuppone la flessione, ma viceversa non vale: Vo -> italiano, inglese testa a sinistra Ov -> giapponese, latino testa a destra In entrambi i casi la testa è il verbo, solo che l’oggetto può essere inserito prima o dopo. Queste sono le uniche due possibilità, tutte le lingue del mondo rientrano in questi due gruppi. Un altro esempio di universale implicazionale è l’Overt Pronoun Constraint (OPC) cioè restrizione sui pronomi realizzati fonologicamente -> In inglese questo principio non esiste, perché l’inglese ha sempre l’obbligo di esprimere un soggetto. Come si acquisisce questa proprietà? Acquisita da sé, senza molto presentata quindi si riesce a dedurre questa regola a partire dall’input, anche se esso è poco presentato. Essa è una regola che non si insegna a scuola o in maniera esplicita ma essa è acquisita in maniera implicita. Limiti alla variazione: i parametri. Responsabili del fatto che le lingue sono diverse e che ognuna di loro ha diversi parametri. Lezione V: 05.03.2024. Lingua e società Siamo partiti dalla definizione dell’oggetto della sociolinguistica il rapporto tra fenomeni linguistici e specifici fattori sociali. Procedendo in maniera analitica, si distinguono differenti possibili modi in cui società e lingua si collegano. L’influenza tra lingua e società è bidirezionale, esse si influenzano sempre assieme. Sono intrecciate quindi c’è sempre una qualche influenza in entrambe le direzioni. Un’ultima posizione “nichilista” / estrema, è che non vi sia alcuna relazione diretta tra questi due fattori. Posizione molto forte che è difficilmente difendibile se è formulata in questa maniera estrema. Una variazione di questa posizione: c’è relazione tra aspetti sociali e linguistici ma è prematura (mancano mezzi e conoscenze) per caratterizzare in maniera chiara questo rapporto. - Scientificità della linguistica, nel nostro la sociolinguistica: alcuni aspetti dello studio riguardano aspetti scientifici (fonetica, neurolinguistica). Nella sociolinguistica non è stato apportato nessuno approccio scientifico, per dare quindi una maggiore oggettività e validità ai dati ci si avvale dei dati statistici quantitativi (con numeri importanti di partecipanti) in maniera simile a come si fa nelle scienze sociali. Se noi pretendiamo alla sociolinguistica delle risposte scientifiche non le possiamo avere, abbiamo però un avvicinamento sempre più forti a criteri scientifici e oggettivi che si basa maggiormente sul numero importante dei partecipanti. I diversi possibili approcci: micro-sociolinguistica -> riguarda la sociolinguistica in senso stretto, che non guarda al di fuori della propria disciplina ma si concentra sulle questioni chiave della sua materia. La sociolinguistica in senso stretto ha come relazione i fatti linguistici e società e ha la funzione di capire come la lingua funziona tra parlanti / locutori. In ambito interno. la macro-sociolinguistica (sociologia del linguaggio) -> cerca di andare oltre e guarda la società in quanto tale. Si guarda alle strutture sociali più in generale. La micro-sociolinguistica è lo studio di piccoli gruppi di parlanti, la macro-sociolinguistica dove entrano in gioco anche altri fattori. Questa opposizione viene usata a volte anche in senso stretto. A volte in micro-sociolinguistica si ha con uno studio di piccoli gruppi di parlanti mentre la macro-sociolinguistica guarda a gruppi più ampi. La scelta di piccoli o grandi gruppi si basa molto sul tipo di domanda che ci si pone, ognuno con i propri vantaggi e svantaggi. Un piccolo gruppo di parlanti permette di andare molto in profondità nella domanda, è un quadro preciso ma parziale perché riguarda poche persone. Tutto dipende dalla domanda di ricerca e la metodologia più adatta per poter rispondere alla domanda di ricerca. Approcci alla sociolinguistica: approcci classici (cioè i primi ad essersi formati. Formano la spina dorsale della branca) in opposizione agli approcci più recenti (che si sono sviluppati per vari motivi, ad esempio sulle dinamiche di base ne sappiamo molto quindi non insistere ma la voglia da parte dei ricercatori per battere nuove strade e battere strade diverse). Approcci classici: correlazionale e interpretativa. Questi approcci riprendono la direzione di base cioè la direzionalità. La prima, correlazionale: prende gli aspetti sociali come fattori indipendenti. Noi prendiamo gli aspetti sociali come dati (determinati, non modificati) e guardiamo come questi agiscono sui fatti linguistici (variabili dipendenti). Non si guarda la variazione sociale (non mi interessa, la dò per scontata) e vedo come essa influenza le scelte linguistiche. La direzione è dalla società alla lingua. Interpretativa: cambia approccio, la lingua che va alla società. Essa guarda come i parlanti utilizzano dei mezzi linguistici per costruire la loro realtà sociale (identità, solidarietà, distacco). In questo approccio si guarda al parlante che utilizza mezzi linguistici per creare società. Ha nel suo inventario una serie di fatti linguistici e sceglie ciò che per lui è più adatto nei vari contesti sociali. La lingua crea la società, visione estrema perché certi fattori sociali sono già dati, come l’età, che influenzano inevitabilmente la lingua. Approcci più recenti: sociolinguistica percettiva -> percezione che i parlanti stessi hanno dell’ambiente linguistico. Secondo questo approccio non si guarda più come la lingua influenza la società o il contrario, ma si prendono dei parlanti e si interrogano su come interpretano i dialetti, o le differenze di pronuncia. È una cosa che ogni giorno facciamo, in quanto parlanti abbiamo delle categorie su come si possa delimitare la geografia linguistica dei diversi dialetti. Questo non significa che si ha la realtà, perché i parlanti partono da ipotesi soggettive. Chi studia questo approccio ne è consapevole, quindi non ci si affida ai parlanti. A chi studia interessa cosa pensano i parlanti e quali sono i criteri che influenzano i parlanti (su quali basi il parlante pensa che certi tratti linguistici non siano simili ai suoi perciò pensa ad una delineazione [esposizione, descrizione sommaria degli aspetti principali di una situazione o dei punti essenziali di un problema] della sua geografia linguistica, quali sono i criteri su cui si basano queste classificazioni / opinioni). Oppure perché i parlanti differiscono in varianti belle e brutte? Chi associa alla musicalità, chi pensa alle occlusive come una lingua meno bella. Indicando anche fattori extra-linguistici cioè come questa varietà viene vista – varietà in questo caso di pronuncia. Si parla anche di linguistica fatta da non linguisti (folk [profani, che non hanno conoscenza]) linguistics), tutti i parlanti hanno un’opinione sulla lingua. Il focus della materia è sugli atteggiamenti riguardo alla lingua, è un interesse di ricerca del tutto diverso da quelli visti fino ad ora. Sociolinguistica cognitiva: si è sviluppata in un ambito cognitivista La linguistica cognitiva guarda su come la lingua riflette le nostre immagini mentali, cioè le immagini sul mondo che abbiamo cioè come segmentiamo le cose del mondo e come le esprimiamo attraverso la lingua. Anche definita costruttivista perché a livello mentale come ci costruiamo la realtà [reinterpretazione della realtà]. In questo caso si passa da una tappa intermedia che è la nostra mente, non c’è più un rapporto indiretto lingua-società ma importante è la tappa intermedia con la mente, ossia come essa interpreta la realtà. Categorie mentale del parlante, e come l’attività linguistica rispecchia la composizione socio-demografica di una società. Socio-fonetica: mentre la sociolinguistica percettiva dà una visione globale della lingua, la sociofonetica si concreta sulle realizzazioni di certi fonemi. La sociofonetica può essere definita come un’area di studio che integra i principi, le teorie, i metodi della fonetica con quelli della sociolinguistica. Solo la realizzazione concreta di determinati fonemi, lasciando da parte la sintassi e altro. La sociofonetica si avvale di strumenti sperimentali come ad esempio la variazione di produzione di un fonema tra uomini e donne, di chi vive in un quartiere ricco e uno povero. Varietà fonetica sulla base della variabilità sociale. Sociolinguistica storica: lo scopo principale è studiare e analizzare / indagare e dare conto delle forme e degli usi in cui la variazione può manifestarsi in una data comunità linguistica nel tempo e in quanto particolare funzioni, usi e tipi di variazione si sviluppano all'interno di particolari lingue, comunità linguistiche, gruppi sociali, reti e individui. Il punto principale è l’estensione storica di questi studi. La variabile storica può essere di due tipi: la sociolinguistica storica può essere di due tipi. 1. Sincronica -> si può studiare la situazione sociolinguistica di un determinato periodo, tipo il milanese del 1300. 2. Diacronica -> come cambiò la situazione sociolinguistica in una determinata comunità, per esempio a Milano dal ‘300 al ‘600. Possiamo vedere come il fiorentino abbia cambiato gli usi linguistici di Milano. Nel ‘300 poca influenza del fiorentino, e molto più presente nel ‘600. Un presupposto fondamentale della sociolinguistica storica è che le dinamiche che valgono oggi valevano anche allora. Relazione tra società e lingua, il prestigio è però un assunto teorico. In questi studi si dà particolarmente peso delle testimonianze di parlanti semicolti (riferimento di persone che hanno dei rudimenti di scrittura come mercanti). Il vantaggio di studiare queste persone è il fatto che scrivevano (hanno lasciato tracce) e i loro approcci alla lingua non sono mediati dal modello della scuola o del latino, o ancora dalla volontà di scrivere un buon italiano, quindi sono testimonianze più genuine. I tipi testi che si guardano in questo ambito sono le biografie, i diari, appunti di mercanti, testimonianze a processi. Ecolinguistica: il prefisso eco: dal greco ambiente. Essa rientra in una corrente recente, che riguarda anche altri tipi di studio. Prende l’avvio dal fatto che buona parte delle nostre scienze sociali sono nate nel mondo occidentale e si sono sviluppate soprattutto in questa area geografica e quindi danno per scontati certi automatismi che sono validi per le nostre culture ma non valgono per dinamiche in altri continenti (diversa scala di gerarchizzazione, cosa è importante). E quindi essa si pone l’obiettivo di superare una visione parziale condizionata dalla cultura occidentale e cerca di ricostruire ambiti linguistici che sono più lontani / andare oltre il mondo occidentale. Obiettivo è inquadrare l’ambiente sociale, fisico e culturale di qualsiasi lingua. Una scheda più generica che si possono applicare a tutti gli ambiti, descrivere e documentare qualsiasi società e qualsiasi lingua si parli in quelle società. Concetti di base: varietà di lingua: termine che si usa moltissimo in sociolinguistica, ma anche un concetto intuitivo. Una varietà di lingua si può definire come un insieme coerente di elementi (forme, strutture, tratti, ecc…) di un sistema linguistico che tendono a presentarsi in concomitanza con determinati caratteri extralinguistici, sociali. È quindi sempre un’entità che presuppone una correlazione tra fatti linguistici e fatti non linguistici, e deve essere caratterizzata sulla base di entrambi. Una definizione più tecnica di varietà di lingua è: un insieme solidale di varianti di variabili sociolinguistiche. ⮚ Fattore linguistico: espressione tipica ⮚ Fattore sociale: età, zona geografica Lezione VI: 06.03.2024. Delimitazioni tra varietà linguistiche diverse: quando si classifica la realtà esterna, bisogna trovare delle delimitazioni che sono semplici quando la distinzione è discreta; per esempio italiano e tedesco. A livello della linguistica, i continuum che dobbiamo limitare possono essere più complicati, soprattutto quando si deve bipartirlo. Ci sono due casi classici in cui la situazione non è facile da chiarire e quindi bisogna distinguere due criteri. Lingua e dialetto: c’è una legge in Italia che considera le lingue di minoranza (friulano, sardo) come lingue per cui si danno anche finanziamenti, ma ad esempio il dialetto veneto non viene considerata come lingua. Si aprono anche discussioni di politica Un secondo tipo di distinzione è quello tra lingue vere e proprie imparentate: ci possono essere due lingue molto simili ma che da un punto di vista politico vengono viste come due lingue diverse, ma anche caso opposto dove due lingue diverse vengono considerate varianti della stessa lingua. Lingua e dialetto: una definizione di lingua -> qualunque sistema linguistico presso un gruppo di parlanti come manifestazione della facoltà umana del linguaggio [con questa definizione potremmo considerare il veneto come una lingua]. dialetto -> differente con “dialect” in inglese. Dialetti come veneto o napoletano da un punto di vista linguistico non hanno nulla di meno delle lingue ufficiali. Anche i dialetti hanno delle regole soltanto che i parlanti non ne sono consci perché esso non viene insegnato a scuola e per questo a volte nasce l’idea di una lingua non puramente tale. Cosa cambia tra lingua e dialetto? Non cambiano le caratteristiche interne, ma le caratteristiche esterne. Che sono appunto quelle sociolinguistiche: l’italiano ha un maggior prestigio dei dialetti, l’italiano è l’unica lingua dello scritto formale ed ufficiale. I dialetti non hanno una diffusione dello scritto, o se ci sono delle produzioni di nicchia. L’italiano è usato per la comunicazione sovra-regionale. Un altro criterio è la produzione letteraria, i dialetti possono esserlo ma è comunque più limitata ed è più calante. La distinzione tra lingua e dialetto era già presente nell’Antica Grecia: glossa, dal greco: lingua [greco, egiziano…quelle che definiamo come lingue in italiano] diàlektos: come il dorico e l’attico, alcune varietà del greco parlate al tempo. Quello che i greci chiamavano diàlektos oggi la chiameremo varietà, da un punto di vista linguistico. Fino ad Alessandro Magno il “greco” era un insieme di sistemi. Dopo le conquiste di Magno il greco diviene lingua franca (lingua usata da chi viene da paesi diversi) per questo motivo il greco viene semplificato e spogliato da tutte le varietà / connotata regionalmente e definita koiné diàlektos (parlata comune). L’Impero Romano nasce come estensione di un’unica città. Si estende però il centro dell’Impero che è sempre Roma, questo vale per ogni punto di vista anche linguistico. A Roma parlavano latino, che si espande insieme alle conquiste dell’esercito. A Roma la distinzione era più netta: la lingua parlata dalla classe dirigente (senatori e famiglie in vista) era la lingua ufficiale, mentre tutte le altre varianti sono considerate rozze e poco raffinato. Non c’era proprio un concetto definito di dialetto / variante ma c’era solo il latino (parlare bene) e tutto il resto (varianti) era il parlare male, e perciò non gli si dava molta importanza. Anche i romani stessi, che però appartenevano ad un ceto povero [plebei], non parlavano un latino come quello della classe elitaria. Solo chi aveva studiato riusciva a parlare un latino pulito (motivo culturale), per motivi geografici le varie colonie si adattano con la loro parlata alla lingua ufficiale. Il termine lingua può essere considerato in maniera diversi, già ai tempi di greci e romani. In un primo caso: la lingua è un sistema standardizzato (come ad esempio l’italiano con le sue regole specifiche di grammatica, morfologica). Al contrario i dialetti non sono standardizzati e quindi variano da città a città. Lingua in una seconda eccezione può essere considerata come un insieme di sistemi collegati. In questo caso l’italiano è un termine tetto perché tutte le varietà dell’italiano fanno parte dell’italiano stesso. E il termine dialetto generalmente può essere utilizzato per fare riferimento ad un sistema che non è standardizzato che però può essere un sistema collegato ad altri sistemi tra loro collegati. - Distinzione tra varietà imparentate: questo solitamente riguarda da un punto di vista politico. Ad esempio il serbo ed il croato, alla base della differenziazione ci sono dei criteri esterni. Serbia e Croazia fanno riferimento a sistemi culturali diversi ad esempio anche la religione, rispettivamente la Croazia è cattolica, mentre la Serbia è ortodossa. Hanno avuto anche storie di dominazione differente. Le due lingue utilizzano anche un sistema di scrittura diverso: il croato si scrive con alfabeto latino, mentre il serbo si scrive con grafia cirillica. Le differenze grafiche amplificano le differenze linguistiche. Fino agli anni ’90 Serbia e Croazia facevano entrambe parte della Jugoslavia. Dopo la separazione hanno voluto amplificare la distinzione tra lingue soprattutto sul lessico. Il caso dei prestiti è abbastanza interessante, perché la Croazia ha la possibilità di farsi influenzare maggiormente dai paesi limitrofi. L’Istria e la Dalmazia hanno avuto una forte influenza veneziana [il croato ha tanti prestiti dal veneziano], nell’entroterra, verso la zona di Zagabria, la lingua è stata influenzata dall’Impero Austriaco e quindi ci sono molti prestiti dal tedesco. Urdu e Hindi 🡪 parlate rispettivamente tra Pakistan ed India. Esse si scrivono con alfabeti diversi, la prima in arabo e la seconda dall’alfabeto che proviene dal sanscrito. Una situazione simile si ha anche tra il bulgaro ed il macedone. Linguisticamente esse sono due varietà molto affini della stessa lingua, hanno poche differenze tra di loro. Per motivi politici si creano situazioni di tensione. A livello globale ci sono pure casi opposti a quelli visti fino ad ora: i linguistici considerano le due come due lingue differenti ma per motivi politici si decide di unirle. Ad esempio cantonese e mandarino: i parlanti non si capiscono tra di loro, non c’è rapporto. La fonetica anche essa è molto differente. Ma essendo la Cina un paese molto autoritario decide di voler unire sotto di sé tutti e decide di considerare il cantonese e mandarino come una stessa lingua. Si impone una identificazione tra le due lingue, come se fossero una variante. Si nota come una varietà può essere considerata una lingua o un dialetto, il tutto viene deciso in maniera arbitraria. Spesso la volontà politica influenza la volontà linguistica. Comunità linguistica: un insieme di parlanti che condividono determinati aspetti relativi ad una lingua. Ci sono diversi approcci per giungere ad una definizione di questo tipo: il primo approccio / parametro cerca di utilizzare metodi oggettivi per definire la situazione. Per esempio tutti coloro che hanno la stessa L1, oppure in base alla delimitazione geografica. Oppure, si può fare in base alla geografia. Un secondo approccio / parametro: comunità definite in termini di atteggiamenti sociali rispetto alla lingua (per esempio chi condivide che un certo tratto linguistico abbia un determinato valore, o chi partecipa a un insieme di norme condivise). Terzo parametro: comunità definite in termini di interazione sociale regolare (presuppone delle reti relativamente chiuse) -> è fondamentale il riferimento a un’autoconsapevolezza sociopsicologica. comunità linguistica -def. di Berruto & Cerruti-> “un insieme di persone, di estensione indeterminata, che condividano un qualche grado di padronanza e di esposizione a uno stesso insieme di varietà di lingua e che siano unite da qualche forma di aggregazione socio-politica”. A queste considerazioni si lega il concetto di repertorio linguistico. Esso è un insieme delle risorse linguistiche / varietà possedute dai membri di una comunità linguistica, cioè la somma delle varietà di una o più lingue impiegate presso una comunità sociale. ◼ Repertorio italiano è costituito dalle lingue e varietà di lingua usate dai cittadini italiano: - l’italiano e le sue varietà - i dialetti italo-romanzi con le sue varietà - le lingue minoritarie con le loro varietà Talvolta ci si può riferire anche al repertorio linguistico individuale (cfr. anche le biografie linguistiche). Lezione VII: 11.03.2024. L’identità e lingua della Val Resia, Ricorso all’ONU contro lo Stato: scontro tra una visione dal basso e una dall’alto. Il repertorio linguistico è l’insieme di tutte le varietà possedute da una comunità, in questa definizione si parla delle somme di varietà che possono far capo a una o più lingue che appartengono ad una comunità più o meno ampia. Ad esempio il repertorio italiano: italiano standard, italiano formale e colloquiale, i dialetti italo-romanzi con le loro varietà e le lingue minoritarie. Il repertorio linguistico non è altro che un elenco di varietà parlate da una comunità. Si può parlare di varietà anche di una singola persona, e si usano le biografie linguistiche. Si intervista qualcuno ma l’attenzione è sul rapporto della persona con le lingue (come si sono apprese le lingue? Qual è la lingua degli affetti?). Molto spesso le biografie linguistiche vengono fatte a persone immigrate che hanno un repertorio più interessante, rispetto ad un monolingue. In base alla definizione di repertorio non esistono comunità monolingue. Si applica un concetto di bilinguismo più ampio: ci viene a contatto con due varietà di lingue. Infatti, si dice che a livello mondiale più della metà della popolazione è bilingue o plurilingue. [italiano formale ed informale, è raro che uno non abbia un repertorio ampio]. Dall’altro lato è vero che nessuno di noi conosce tutte le varietà dell’italiano (dialetti), quindi il repertorio linguistico è una somma di tutte le varietà che riguarda tutta la comunità e non solo un singolo soggetto. Quindi il repertorio linguistico è un elenco, ma non sono giustapposte dove tutti hanno lo stesso valore. Una varietà può essere alta e bassa: compresenza che si lega a varietà sociali e culturali diverse. Alto e basso: si utilizzano questi due termini. La varietà alta si usa per indicar e le varianti dotate di prestigio, infatti si usano in contesti formali, colti, standard e tipici di situazioni codificate. Basso: indica le varianti che non sono quelle prestigiose, che sono poco accurate (formali), e generalmente si utilizzano in situazioni rilassate, familiare, amicali, non sorvegliate. Spesso abbreviati con a(lti) e b(assi). C’è però una terza varietà che si trova nel mezzo indicato anche come m (mezzo). Le classi sociali che hanno studiato meno si ritrovano nella fascia bassa, ma non hanno nemmeno una destrezza nel muoversi nel continuum. Si fa più fatica ad adeguarsi alle situazioni, situazioni dove non prevedono l’uso del codice basso viene comunque utilizzato, la stessa storia non è per chi appartiene ad una fascia sociale alta. A -> italiano standard B -> dialetto Non si tratta di un continuum così evidente, perché c’è uno stacco più netto. Situazioni colloquiali vedono uso del dialetto, mentre situazioni più formali vedono l’italiano standard. Situazioni formali possono prevedere comunque il dialetto, esso può essere esteso a più contesti, ad esempio visita dal medico. Il dialetto però al massimo si parla con la famiglia, forse più i nonni. Ed in tutti gli altri contesti c’è l’italiano. La tendenza non è statica, ma dinamica. Come saremo tra 10 anni? Se ci si volesse concentrare solo sull’italiano, senza dialetto, potremmo avere: a-> italiano formale (esami universitari, discorsi pubblici) e b-> italiano colloquiale (amici, famiglia). A metà potremmo trovare un italiano “semi-formale”: non è quello che si parla in famiglia, ma nemmeno per fare un colloquio. La varietà interna è molto diffusa e si utilizza molto. Tutti noi condividiamo con la comunità le diverse varietà se appartengono a -a oppure -b. Nella realtà concreta ci sono molte più serie di varietà intermedie tra quella più alta e più bassa. Le basi della ricerca in sociolinguistica: VARIABILI: come si configurano le variabili in sociolinguistica? Di per sé le variabili sono quei fattori che possono cambiare a secondo dell’individuo e situazione e che cambiando influenzano anche gli usi linguistici. Essi hanno delle ricadute anche da un punto di vista linguistico, quindi. Quando si guarda gli individui è importante tener conto che le variabili sociali possono essere in alcuni casi fisse (genere, luogo di provenienza) cioè che è sempre la stessa. Ci sono poi variabili che poi possono variare spesso gradualmente (età). E poi variabili momentanee, cioè legate al contesto specifico. Ad esempio: il grado formalità, è destinato a cambiare spesso nel corso della giornata. Non c’è un cambio diretto di direzione, non è sempre la stessa (tipo l’età), ma da formale a non formale e viceversa. Variabili indipendenti in sociolinguistica sono quelle variabili date dai parlanti e che vanno ad influenzare le variabili dipendenti che sono le caratteristiche linguistiche. Le variabili indipendenti della sociolinguistica? Stratificazione sociale, appartenenza ad un certo gruppo sociale, l’età, genere, variabili geografiche (collocazione spaziale / luogo di abitazione / provenienza). Solitamente queste variabili collaborano tra di loro, bisogna cercare di decifrare se una situazione presenta una collaborazione tra o più variabili indipendenti che producono un certo fatto. Strato sociale 🡪 concetto che ereditiamo dai secoli passati, per il passato era molto più facile da determinare perché la mobilità sociale era molto ridotta (chi nasceva in un determinato strato sociale moriva lì, anche per più generazioni). Nel passato era quindi più facile classificare la società, in maniera ben definita e chiara dove nessuno aveva dubbi su dove un certo soggetto appartenesse (clero, borghesia, classe media). A partire dal 1950 vi è più mobilità sociale, quindi il concetto diventa molto più complicato. Lo strato sociale diventa più fluido e con una definizione meno netta. Oggi uno strato viene definito sulla base di molti fattori che concorrono, inoltre oggi è molto semplice poter cambiare strato sociale. Ci sono due soluzioni, possibili da applicare anche insieme: si cercano criteri da poter misurare (reddito) e dall’altro lato si cerca di sommare diversi fattori e vedere complessivamente a che categoria una persona appartiene (somma di criteri, non solo uno). I criteri che di solito vengono presi in considerazione solitamente sono criteri economici (facilmente misurabili), c’è quindi anche il tipo di occupazione (lavoro che ti permette un reddito più o meno alto) e poi ci sono anche le risorse materiali (il numero ed il valore di immobili e mobili posseduti). Nella situazione concreta però non si chiedono mai troppo spesso queste cose (dati sensibili) che possono portare ad indispettire l’intervistato. Nel mondo idealizzato sarebbe la prassi, mentre nel mondo reale è più difficile riuscire ad avere certe variabili. Criteri educativi: c’è una correlazione tra criterio educativo e l’aspetto economico. Fanno parte dei criteri educativi: la scolarizzazione (titolo di studio raggiunto), accesso e fruizione di beni culturali (libri, teatro). Criteri antropologico-culturali: modelli di comportamenti e stili di vita, abitudini di consumo, valori di riferimento e aspirazioni sociali. Gruppo sociale: mentre la classe sociale è concepita in termini di scala sociale / gerarchia, il gruppo sociale guarda a come è suddivisa la società. Queste divisioni sono giustapposte. L’appartenenza a un gruppo sociale presuppone solitamente un comune stanziamento territoriale: Quindi concrete possibilità di interazione tra individui Condivisione di esperienze, valori e aspettative Esistenza implicita o esplicita di norme condivise I gruppi sociali possono essere di vario tipo, possono basarsi su diversi criteri. È importante tener conto che un gruppo sociale può definirsi come tale (definire la propria identità all’interno) quindi si è coscienti a chi appartiene a quel gruppo sociale. Ma molti vengono definiti appartenenti ad un gruppo sociali in quanto definiti dall’esterno in maniera arbitraria e quindi si sono molti più legami impliciti che espliciti. Gli appartenenti ad un determinato gruppo condividono una serie di variabili linguistiche, essi le condividono. Le varietà che sono tipiche di un determinato gruppo sociale vengono chiamate SOCIOLETTO o DIALETTO SOCIALE (anche sé è meglio utilizzare il primo termine). Lezione VIII: 12.03.2024. Le varianti linguistiche: lessico: gruppi sociali collegati da un interesse particolare e quindi utilizzano un lessico specializzato. socioletto (definito meno come dialetto sociale): definiti dal lessico, ma definito anche da altri tratti. Da un certo punto di vista la società può essere vista come una somma di gruppi sociali. Dove esistono gruppi ristretti (famiglia) o allargati (collettività religiosa, italo-americani negli US). Ognuno di noi può appartenere a più gruppi sociali – non si ha un’appartenenza unica. Al contrario di strato sociale, per sua definizione ne apparteniamo solo ad un tipo. Caratteristiche gruppi sociali: in-group vs. out-group si è notato che molto spesso l’uso linguistico di ognuno di noi può cambiare sia se cambiamo a membri dello stesso gruppo sociale (in-group); se si parla con membri esterni al gruppo (out-group). La comunicazione in-group è definita come we-code, mentre la comunicazione out-group viene definita come they-code. Sono usati più o meno come sinonimi. L’uso di un we-code, codice condiviso, viene vista come garanzia di appartenenza ad un gruppo ed anche di identità ad un determinato gruppo e di conseguenza di escludere / porre dei confini a chi non fa parte del gruppo. We-code: over tourism spazi che strabordano di turismi, si è notato che i residenti di queste zone anche quando sono giovani tendono ad utilizzare e a mantenere di più la lingua locale, che permette di dimostrare che loro non sono turisti (visti in senso negativo) ma fanno parte della comunità locale. Serve per rimarcare la “autoctonia” di chi ci vive. Un gruppo sociale che in un paese ha un certo paese è un gruppo etnico. Esso è un concetto molto problematico: è multiforme (in base al paese e può avere caratteristiche molto differenti). Anche in sociolinguistica è molto complicato perché la definizione nasce negli Stati Uniti. In America gli italo-americani, irlandesi e ebrei vengono visti come gruppo etnico. Questo fenomeno è stato studiato negli US. Da un lato si ha una visione tradizionale per cui un gruppo etnico è un gruppo statico (ci appartieni dalla nascita) e ne rimani per tutta la vita. Chi è parte di un gruppo etnico dimostra una serie di comportamenti che ha ereditato dal gruppo, linguistico e non. Una visione più recente per la quale un gruppo etnico ha una visione più dinamica (chi sente l’appartenenza o meno, magari sono di seconda / terza generazione). Dinamica nel senso che è aperta, nel senso che ci si può identificare di più o di meno ad un gruppo etnico in base alla propria storia. Il gruppo etnico sviluppa un proprio senso come tale dal basso, può essere costruito per reazione. Ci si sente etichettati in un modo e si costruisce un gruppo, in questo caso si parla ETNOLETTO. La dinamica dell’etnoletto si intreccia con le dinamiche di in-group ed out-group, queste dinamiche sono fondamentali anche nei gruppi etnici. In molti casi l’etnoletto deriva da una lingua tipizzata, o fossilizzata. Etnoletto deriva da una interlingua (lingua imitata). Il concetto di interlingua in quanto tale si è sviluppato negli studi di linguistica applicata ed è un concetto sviluppato nel ’72 da Larry Selinker. Egli si basava su una nuova visione degli errori nell’apprendimento linguistico. Inizialmente la visione tradizionale di un errore era semplicemente colpa dello studente che non voleva imparare perché pigro. La visione contrastiva prevedeva che gli errori nella L2 erano dovuti al fatto che fosse differente dalla loro L1 [si pensa che un italiano sbaglierà sempre certe regole grammaticali inglesi perché differenti dall’italiano]. Un’altra visione psico-linguistica: l’errore è un naturale prodotto del processo di apprendimento. Per superare la visione contrastiva solitamente si suggerisce di “dimenticarsi” della propria L1 per performare meglio. Ma studi dimostrano che non sempre è così, si possono fare comunque degli errori nella L2 anche se è famiglia della L1. Così come si è dimostrato che non sempre si sbaglia nella L2 anche quando non assomiglia alla L1. Corder pubblica “The significance of learners’ errors” dove dimostra che l’errore è sistematico, e testimonia lo stadio di apprendimento di una L2. L’errore dimostra che il parlante sta metabolizzando e facendo proprie le regole della L2. L’errore ci dimostra che il parlante sta facendo delle ipotesi sulla propria L2, e applica la propria capacità linguistica alla nuova lingua. Gli errori quindi sono indipendenti dalla L1. Da questa analisi dell’errore si arriva all’interlingua. Essa infatti è un sistema linguistico a sé stante (ha una sua sintassi, fonologia, morfologia: è una lingua completa e compiuta) che risulta (nasce) dal tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una norma della Lingua obiettivo (gli apprendenti cercano di produrre una frase nel passato e in certi casi faranno delle frasi corrette, in altri casi ancora non avranno magari appreso pienamente certe regole e quindi la produzione al passato sarà sbagliata). L’interlingua è caratterizzata da cinque processi: 1. TRANSFER LINGUISTICO: noi abbiamo un’influenza dalla L1, ripetiamo nella L2 delle strutture della nostra L1 – traduzione letterale italiano-tedesco. 2. TRANSFER DI INSEGNAMENTO: sono errori dovuti al fatto che le regole date dall’insegnante erano troppo generali. Sono errori che fanno parte dell’apprendimenti, gli studenti tendono a sovra estendere le regole dell’insegnamento. 3. STRATEGIE DI ACQUISIZIONE: tutti gli sforzi che si possono evitare o ottimizzate vengono evitati, esso viene definito principio di economia. Se sono un apprendente mi concentro prima sulla parte fondamentale della lingua e ignorerò altri elementi della lingua – per cercare di “lavorare di meno” – e l’apprendente lo rifinirà dopo. Ad esempio gli articoli: le lingue slave non hanno l’articolo, quindi parlando in italiano tenderanno a non utilizzarlo. 4. STRATEGIE DI COMUNICAZIONE: se sto apprendendo una lingua cerco aiuto / utilizzo una parafrasi per farmi capire dai nativi di quella lingua. Chiamo in aiuto la persona con cui sto parlando. 5. SOVRAESTENSIONE DI REGOLE DI L2: sovraestendendo alcune regole grammaticali anche in occasioni che non lo prevedono. L’interlingua è la somma di tutti questi processi, interlingua: lingua parlata dagli apprendenti e che è completamente differente dalla lingua parlata dai nativi. Interlingua: sistema a sé, formata da = GU + elementi della L1 + elementi della L2. Continuando con l’apprendimento diminuiscono gli elementi della L1 e aumentano quelli della L2, fino ad arrivare ad un punto ideale per la quale si abbandona l’interlingua e si adotta la lingua parlata come quella di un nativo. Caratteristiche principali dell’interlingua: 1. Sistematicità: gli errori sono dovuti a uno dei cinque processi 2. Dinamismo: creatività nell’apprendimento di L2 In sincronia, l’interlingua è considerata un sistema linguistico in sé conchiuso. L’interlingua può evolvere / svilupparsi sempre di più fino ad arrivare a lingua nativa oppure fossilizzarsi (avanziamo fino ad un certo livello e poi non avanziamo più; ad esempio una lingua studiata a scuola, nel caso di persone immigrate c’è un grande sforzo nel riuscire a comunicare con gli altri quando si arriva a farsi capire dagli altri non si è più stimolati migliorare la propria lingua, molto spesso in maniera inconscia). Esempio di etnoletto basato su interlingua: Verbo secondo: regola per la quale le frasi principali hanno tutte i verbi come secondo costituente. Nel “kiezdeutsch” (tedesco di quartiere) la regola non viene rispetta, probabilmente perché gli immigrati non riescono ad abituarsi a questo tipo di regola tedesca. Ci sono quindi certe violazioni sistematiche alle regole del tedesco. Questo tratto era in origine tipico della comunità immigrata (soprattutto a Berlino), ma poi si è diffuso tra la generazione giovane metropolitana (tra loro ci possono essere anche tedeschi nativi), come uno slang 🡪 esempio di interlingua fossilizzata. Quando si parla di varietà di lingua condivisa solo da uno specifico gruppo si parla di lingue speciali. Le lingue speciali caratterizzano un determinato gruppo sociale, vengono usate come we-code e quindi in in-group. Sono caratterizzate soprattutto da un punto di vista lessicale (l’italiano dei medici: quando si scrive un referto, solo in determinate occasioni). È una lingua per gli altri difficile da comprende da un punto di vista lessicale. Lingue speciali (o sottocodici) possono essere anche nel linguaggio burocratico e degli ingegneri, prevede quindi lessemi specifici. Le lingue speciali si distinguono per i loro lessemi, ma non per la morfologia, fonologia o la sintassi. È la particolarità lessicale che caratterizza i linguaggi speciali. Gerghi 🡪 varietà di lingua che ha subito delle trasformazioni lessicali in maniera voluta. Le trasformazioni hanno lo scopo di farsi capire tra di loro (we-code) e non farsi capire a chi non appartiene al gruppo / escludere gli altri. E proprio per questo ultimo punto si solidifica l’identità del gruppo, mascherare le parole volutamente rende il gruppo più compatto. Si tratta anche in questo caso di differenze dalle lingue per un solo punto di vista lessicale. Risemantizzazione speciale: si prende una parola già esistente e gli si associa un altro significato. Per esempio: rosso può significare moneta d’oro. Posso esserci neologismi cioè parole che non esistono e create appositamente. In altri casi si prendono prestiti da altre lingue e riutilizzate nella lingua. Ristrutturazione: come ad esempio troncamento, “neca” per cane. Lo scopo principale è quella del mascheramento, perché la volontà principale è quella di non farsi capire. Linguaggio usato soprattutto dalla malavita. Generalmente la sintassi non presenta particolarità rilevanti rispetto alla lingua di riferimento. Un caso di gergo: è il verlan, parlato in Francia. Esso è caratterizzato da inversione di sillabe, metatesi, troncamento (diffuso particolarmente dalla seconda guerra mondiale in poi). Il “gergo della politica / dell’economia”, anche detto politichese, e il “gergo giovanile” non sono dei veri gerghi, sono piuttosto dei linguaggi settoriali (simili alle lingue speciali). Lezione IX: 13.03.2024. Fattori demografici: 1. Età 2. Rapporto con la lingua (nativo/ non nativo) 3. Sesso / genere 4. Luoghi di nascita e di residenza 5. Convivenza di più lingue Età: non in ordine numerico, ma solitamente si divide in fasce. Si creano quindi classi di età, stabilendo dov’è il confine. C’è sempre una delimitazione arbitraria. Non si è sempre sicuri da quando finisce l’età giovane / adulti o anziani. Cambia da vari fattori, e dalle società. Non sono quindi fasce già pre-delimitate. Bisogna scegliere le classi di età: più classi di età (ogni 5 anni) ci darà un quadro più attinente, ma da un punto di vista statistico non si avrebbero abbastanza partecipanti per ogni classe. Viceversa da un punto di vista statistico avremo un quadro rappresentativo ma dall’altro lato il quadro sarà più sfocato / meno nitido. Età permette di fare una ricerca di tipo diacronica: in tempo reale ed in tempo apparente. La variabile dell’età da questo punto di vista è molto importante perché alla domanda “perché mutano le lingue?” si può tracciare un percorso. A seconda del contesto potremmo applicare la metodologia del tempo reale: un paese con due analisi in due differenti atti temporali 🡪 dati chiari che mi permette di capire il cambiamento nel tempo. Debolezza: per riuscire ad avere dei dati bisogna aspettare vari anni [probabilmente tra qualche anno le metodologie di linguistica potrebbero cambiare e i dati non essere più utili]. La seconda modalità è quella del tempo apparente: è uno studio che si fa in un unico momento, prevede indagini fatte nello stesso momento su più generazioni / classi di età. La lingua parlata dagli anziani sarà la lingua attuale, quella dei giovani del presente e quella dei bambini sarà quella del futuro (passato, presente, futuro). Debolezza: si dà per scontato che il modo in cui tutte e tre le fasce di età parlano ora lo faranno per il resto della loro vita (ipotesi forte). Assunto di base è che i giovani sono innovatori cioè tendono a cambiare la norma, mentre gli anziani sono conservatori nel senso che mantengono la norma e conservano forme ed usi. >linguaggio cristallizzato nel tempo: questo è vero per fonetica e fonologia, o almeno cambia pochissimo. Il lessico è un sistema aperto: impariamo nuove parole nel corso della nostra vita, sono frequenti anche neologismi. In qualche modo ci sono parole che non vengono più utilizzate perché rimpiazzate da altre che però mantengono sempre lo stesso significato. Mentre il sistema fonetico è un sistema chiuso (tabella IPA): sistema solido che raramente cambia. L’unico fono che cambia nel corso della vita è la vibrante (-r). esso è un fono che può avere molte rappresentazioni (-r alla francese, italiana, tedesca…) e lì ci possono essere delle innovazioni. Gruppo dei pari: quando si parla di età, un concetto fondamentale è il gruppo dei pari (=parità). I coetanei che condividono abitudini e atteggiamenti, partecipano a tipi di frequentazioni e attività comuni e hanno la stessa (più o meno) posizione nella struttura sociale. Ne deriva una convergenza anche in ambito (socio) linguistico. La nozione di un gruppo di pari è usata particolarmente per i gruppi di adolescenti. Labov: in molti contesti, l’influenza dei compagni (gruppo di pari) è più forte di quella dei genitori. Generalmente una persona nelle sue attitudini linguistiche un giovane assomiglia di più ad altri giovani e meno da quella dei genitori. Il gruppo di pari influenza il soggetto, distaccandosi da quella dei genitori. Il raddoppiamento fonosintattico: tra pari, quindi, il RF ha la funzione di marcare dei gruppi di appartenenza e contribuisce a delimitare un certo tipo d’identità. Strumento per distinguere tra gruppi diversi all’interno dei giovani. Serve per ribadire l’appartenenza / non appartenenza ad un determinato gruppo. Lingua dei giovani: in qualche misura è sempre esistita, ma è stata studiata in maniera sistematica dagli anni ’90 in poi. Categoria dei “giovani”, intesa in due modi cioè come classe di età e come appartenenza a un gruppo di pari. La lingua dei giovani è caratterizzata soprattutto dal punto di vista lessicale: - forestierismi (molti termini presi in prestito dalla Spagna), - metonimie, metafore (galattico= qualcosa di grandioso, come una galassia), cambi di significato / estensione, - gergalismi, - variazione anche a livello regionale (modi per dire «bocciare» o «marinare - la scuola») La lingua dei giovani cambia velocemente, quindi cosa succede con queste espressioni? Sopravvivono o no? Molti sono innovazioni effimere e quindi hanno successo con un gruppo di giovani, ma quando subentrano l’altro / nuova generazione di gruppi di giovani spesso i termini si tengono come testimonianza del passato: ad esempio matusa. Altri termini invece dopo essere stati introdotti dalla lingua dei giovani, si diffondono ed entrano nell’italiano colloquiale. Come ad esempio: sclerare, limonare, sgamare, palloso / che palle, fancazzista. Termini che hanno avuto “fortuna”. È difficile predire quali termini verranno dimenticati e quali entreranno nel linguaggio colloquiale, solo il tempo può evidenziarlo. La lingua degli anziani: fenomeno molto meno studiato, meno evidente. Incidono molto fattori come salute, memoria, educazione, censo. In generale, si caratterizzano per un maggior uso del dialetto. Parlanti nativi / non nativi: non solo immigrati ma anche come chi ha L1 rappresentata dal dialetto. La lingua degli anziani si lega anche alla questione dell’italofonia. In molte regioni italiane, solo la generazione media e giovane sono in maggioranza parlanti nativi dell’italiano. Lingua degli anziani: Molto meno studiata, e molto meno evidente incidono molto fattori come salute, memoria, educazione, censo ▪ In generale, si caratterizzano per un maggiore uso del dialetto ▪ In italiano, molti anziani si caratterizzano per l’uso di lessemi ormai desueti (per es. guardare la puntata ‘guardare un telefilm/fiction’, Sisal ‘totocalcio’, l’hanno detto per televisione ‘l’hanno detto in televisione’) e per un maggiore uso di dialettalismi Gli anziani hanno spesso una maggiore competenza nel dialetto locale. Sesso e genere: i due termini non indicano la stessa cosa. Il sesso riguarda il punto di vista biologico, mentre il genere riguarda il punto di vista socio-culturale. Tra genere e sesso c’è una forte corrispondenza, ma non è totale. Ci sono casi in cui una persona si identifica con un genere differente dal sesso, chi non si identifica in nessun genere. Perché il genere ci interessa? Uomini e donne, con una serie di studi, hanno usi linguistici diversi. La lingua viene trattata in maniera diversa a seconda del genere. In particolare le donne: hanno la tendenza ad usare un lessico con forme di prestigio, tendenza verso forme standard e in generale tendono di più verso forme conservative quindi sono meno innovatrici degli uomini. Lezione X: 18.03.2024. Negli studi di sociolinguistica si guarda maggiormente al genere, e non al sesso. In genere è stato mostrato che le donne tendono a forme / varietà di prestigio. Tendono di più verso le forme standard (dialetti parlati più dagli uomini che dalle donne) e una maggior tendenza verso le forme conservative questo perché molto spesso le forme conservative sono le forme dello standard – sono quindi tre fattori collegati tra di loro. Altri fattori influiscono sulle scelte sociali come ad esempio il gruppo sociale. Ma nello stesso gruppo si nota che le donne cercano di evitare forme stigmatizzate (forme meno prestigiose). Questa caratteristica è stata definita e studiata da molti studi -> “stereotipo di genere” è legata da una determinata forma di collegamenti che riguarda il genere. Dal punto di vista della grammatica (lingua utilizzata per parlare con altre persone) ci sono altri presupposti pragmatici: le conversazioni vengono impostate in modo diverso e ci si aspetta che essa sia anche in parte diversa. L’interazione delle donne tendente alla cortesia (aspetto a cui viene dato più peso, a livello linguistico) e l’interazione tra donne ha maggior peso la condivisione fatica, sentimenti ed emozioni. Studi fatti negli anni ’70, infatti stereotipi, ma trovano comunque una sorta di conferma nei dati. Il genere ha qualche ruolo nel mutamento linguistico? È stato visto che le donne hanno un ruolo ambivalente. Il mutamento inizia sempre con una innovazione (tratto nuovo) che può diventare parte della comunità o morire. In inglese si è visto che quando un’innovazione è censurata allora le donne hanno un comportamento più conservativo e tendono a non utilizzarla (la rifiutano), in modo spontaneo e senza rifletterci. Quando un’innovazione non è censurata perché non è stata osservata, tematizzata dalla società [modifiche sottotraccia, non tanto percepite] le donne si mostrano più innovatrici degli uomini – sempre meccanismi inconsci, automatismi. L’innovazione neutra quindi vede le donne come più innovatrici, come motore del mutamento. Proprio per questo doppio atteggiamento si parla di paradosso di genere: donne più conservative e più innovatrici = non si allontanano dallo standard, mentre gli uomini sono meno sensibili a questione dello standard / più aperti ad innovazioni controcorrente. Le donne sono più innovatrici quando c’è un mutamento dall’alto (varietà prestigiosa che ha accolto / introdotto innovazione [innovazione associata a qualcosa di prestigioso] allora le donne sono più rapide / pronte ad accogliere le innovazioni). Questo è un fattore importante perché nel mutamento diacronico, essendo i bambini cresciuti con il linguaggio femminile delle madri, influenza molto le generazioni future. Questi tipi di studi sono state fatte nei paesi anglofoni, ma in Italia ancora pochi studi (concentrati maggiormente sul dialetto). Le inchieste di Trudgill a Norwich: slide [forma substandard: non fa parte dello standard] La variabile di genere è importante, ma solitamente sono i gruppi di mezzo che sono più sensibili alle questioni di prestigio (si orientano in maniera differente maschi e femmine). Serie di ipotesi sul perché le donne si comportano in questo modo rispetto agli uomini: (ipotesi tutte in parte vere e che concorrono, da ricordare che sono eseguite negli anni ’70 con meno parità di genere) -Le donne sono più consce dello status sociale perché sono meno sicure (faticano a mettersi nella società) e perché hanno una rete sociale meno sviluppata (meno opportunità di avere a che fare con ambienti formali). -Una seconda ipotesi: la posizione delle donne è generalmente inferiore a quella degli uomini e subordinata. -Gli uomini sono giudicati per quello che fanno, mentre le donne sono giudicate per il loro apparire e questo comprende anche gli usi linguistici. -Le donne sono più sensibili ai segni esteriori dello status sociale. -La volontà di ascesa sociale è più forte nelle donne. -Spesso la parlata della working-class ha connotazioni di mascolinità: le donne hanno bisogno di distanziarsi da questa parlata. La variabile di genere a Trondheim: talvolta la variabile di genere si intreccia con quella dell’età (lingua dei giovani). In norvegese standard, i prestiti sono accentati sull’ultima sillaba. Forse: la tendenza della società norvegese è quella di aver un maggior equilibrio / parità tra i generi. Quando le differenze di genere diminuiscono, diminuiscono anche le differenziazioni linguistiche. La variabile spaziale: variabile molto importante in Italia, la geografia come influenza degli usi linguistici. Luogo di nascita: primi anni di vita, più formativi da un punto div vista linguistico. Residenza: dove si vive abitualmente, talvolta corrisponde con il luogo di nascita. Abitazione: dove si vive in maniera occasionale, sporadica (studente fuori sede). Quando si parla di geografia si pensa soprattutto a differenze regionali, ma non sono le uniche con variabile spaziali. È molto importante anche il contesto urbano e quello rurale. Anche all’interno della città possono esserci due usi linguistici differente importanti. Anche quartieri della stessa città possono divergere, già attestato da Dante con il “De vulgari eloquentia IX”. In alcuni casi si possono usare variabili regionali o provinciali, in altri casi essi devono essere molto più ristretti (Porta Maggiore e Borgo San Felice a Bologna). Visto che l’estensione può cambiare, quando si parla delle diverse aree che si mettono a confronto si parla di punto linguistico definita come unità minima socio-geograficamente rilevante dal punto di vista della geografia linguistica [grandi città possono avere al loro interno vari punti linguistici, mentre una campagna estesa per molti km può averne solo uno]. Spazio linguistico-> è il parlante stesso che si costruisce un’immagine dei confini geografici della propria varietà, fino a dove essa arriva. Mentre la visione classica vede il parlante come soggetto passivo, adesso invece ha un ruolo attivo cioè lui si costruisce il proprio spazio linguistico e vede confini più o meno grandi, più o meno netti. Ma il parlante quando si costruisce i suoi confini non si affida solamente alla geografia (mari, fiumi, montagne) ma altre caratteristiche. Il parlante ha una mappa mentale delle sue aree di pertinenza. Non è una variabile oggettiva, ma bisogna chiedere ai parlanti stessi quali siano i criteri su cui loro si basano. Altro ambito importante negli studi sociolinguistici è la migrazione, negli studi è un termine tetto che include tutta una serie di movimenti (immigrazione e emigrazione), ma anche chi si muove all’interno dello stesso paese (nord e sud, studenti fuorisede). Questo porta persone con attitudini linguistiche diverse ad avere contatto. Ogni movimento porta ad un contatto e quindi ad un quadro linguistico più complesso, sennò sarebbe una comunità linguistica statica. Questo porta a fenomeni di contatto: persone che entrano in contatto con persone che hanno usi linguistici diversi, questo può portare ad innovazioni e influenze. I fenomeni linguistici più comuni legati alle migrazioni sono: 1.perdita di lingua: una generazione che perde la lingua della generazione precedente; 2.lingue ereditarie e parlanti ereditari (heritage languages / heritage speakers): lingue dei genitori che sono venuti da un posto diverso, o lingue ufficiali del posto in cui si vive. 3.Logorio linguistico (Language attrition): molto studiato negli ultimi anni. Le lingue con cui siamo in contatto si influenzano tra di loro nella nostra mente. Di conseguenza, è facile che un elemento linguistico di una lingua entri in un’altra lingua: si parla di “influenza interlinguistica”. Il fenomeno di cui siamo più consapevoli è l’influenza della L1 a una L2, ma può accadere anche il fenomeno contrario: se parliamo spesso una L2, possiamo avere dei transfer anche da questa lingua. Lezione XI: 19.03.2023. no lezione Lezione XII: 20.03.2024. Logorio linguistico: la L2 guadagna spazio nella nostra mente, e per guadagnare spazio va ad intaccare la L1. Un secondo fenomeno, sempre legato all’immigrazione è la perdita di lingua: visione comunitaria e individuale. A livello comunitario quando una lingua viene persa si parla con metafora di una morte della lingua, soprattutto minoritarie. Le persone che conoscono questa lingua diventano sempre più anziane, non lo trasmettono alle nuove generazioni e questa lingua viene persa. Ci sono molte lingue che nella storia sono morte. Alcune lingue possono sopravvivere in alcune parti e morire in altre, si passa poi ad un restringimento progressivo fino a quando anche l’ultima area smette di parlare quella lingua – a volte richiede anche secoli. Come fare per non far morire una lingua? Si cerca di mettere in atto delle iniziative per preservare la lingua, ma ci sono varie variabili per ogni situazione. In generale si dimostra sempre difficile a meno che non ci sia proprio un cambio di pensiero nella popolazione. Prima di insegnarla a scuola, insegnarla a scrivere l’elemento forte ed anche più difficile è rendere interessante per i genitori rendere la lingua interessante. Quando inizia una dinamica di questo tipo è quando sono i genitori stessi che non trovano più utile insegnare la lingua di minoranza. Ma la perdita più frequente è quella di singoli individui -> il parlante non acquisisce la lingua dei genitori. Più contesti: migrazione, quindi i genitori non parlano la propria lingua ai figli perché per loro considerata poco utile. In più c’è anche la credenza, del tutto sbagliata, che se un bambino è esposto a due diverse lingue farà confusione (idea molto forte negli anni ’70 / ’80, infatti le maestre dicevano di non far imparare il dialetto ai bambini perché potevano confondersi) Il secondo contesto in cui può venire la perdita di lingua è quella della lingua di minoranza: una lingua di minoranza locale prima di scomparire nella comunità, scompare nel singolo. Se il gruppo dei giovani usa una lingua minoritaria / dialetto esso è più probabile che resista. Al contrario se il linguaggio dei giovani prevede un italiano standard allora il dialetto potrebbe scomparire nel loro uso linguistico. In questi casi si parla di semi-parlanti, o parlanti evanescenti 🡪 coloro che hanno una competenza passiva e una molto generica conoscenza attiva del dialetto: capaci di ripetere espressioni fisse, ma appena devono creare un’espressione nuova in dialetto hanno molta difficoltà. Questa competenza può essere più o meno evanescente a seconda del parlante e del proprio background linguistico. Parlanti ereditari -> immigrati, o parlanti migranti dello stesso paese se sono dialettofoni. Più in generali si parla di lingue ereditarie: ci sono diverse definizioni 1. Definizione ristretta: lingua parlata da parlante di seconda / terza generazione -> nonni con una lingua diversa, c’è uno sfondo migratorio. Anche solo un nonno o nonna che abbia trasmesso un minimo ai nipoti. Possono esserci persone in cui entrambi i genitori sono immigrati ma da paesi diversi. 2. Definizione più ampia: definisce come lingua ereditaria una lingua che non è ufficiale di una regione o di uno stato. Rientrano della definizione: i dialetti italiani, in America i pre-colombiani (lingua originaria, prima degli europei in America), il catalano da alcuni viene vista come lingua ereditaria perché la lingua ufficiale è lo spagnolo. La definizione più ampia esiste perché alcune dinamiche simili esiste in chi è figlio di immigrati e chi parla una lingua originaria. Ma ci sono anche delle differenze: culturali, presenza della lingua dei genitori per cui a livello linguistico possiamo osservare anche delle differenze. Dal punto di vista linguistico una differenza importante è che per le lingue ereditarie, parlate in altri paesi, ci sono altri paesi che la ritengono come lingua ufficiale (un italiano in America, e l’Italia). Se si parla una lingua nativa, originaria come il quechua nessun paese ha la lingua come ufficiale. Qual è il motivo per cui si adotta la definizione più ampia? Dal punto di vista linguistico c’è un punto condiviso: entrambe le definizioni hanno in comune il percorso evolutivo dei parlanti ereditari, e lo status della loro L1. Più in dettaglio: nei casi più comuni, i parlanti acquisiscono la L1 regolarmente nei primi anni di vita, perché vi sono esposti in famiglia. Quando inizia la scolarizzazione, però, la lingua ufficiale (che è la loro L2) sorpassa la loro L1 per quanto riguarda la competenza, perché: Hanno maggiore input in L2, tramite la scuola Sono esposti a più varietà di lingua (lingua scritta, lingua formale, lingua informale con gli altri alunni, …), mentre della L1 conoscono principalmente il dominio familiare e colloquiale subiscono gli effetti del gruppo dei pari, in cui si parla la L2 Un altro aspetto interessante -> si osserva spesso un’asimmetria tra i primi geniti e gli altri. I primi parlano meglio la lingua dei genitori rispetto agli altri figli. Qual è il motivo? Sono i primi geniti “colpevoli” di questa cosa. Il primo genito ha avuto un input di circa il 90% della lingua dei genitori nei primi anni di vita, andando poi a scuola assocerà la L2 alla lingua dei pari e a casa si stabilirà come lingue tra fratelli / sorelle la lingua della L2 in quanto appartenenti allo stesso gruppo di pari. Sono i primi geniti che portano a casa la lingua del posto, e questo fa sì che gli altri figli abbiamo molto più input della L2 rispetto al primogenito. I parlanti ereditari hanno una profonda differenza tra di loro in base a quello che è il loro livello di competenza. I parlanti ereditari hanno della propria L1 delle regole implicite / interiorizzate e di cui non si rendono conto, ma loro hanno un numero di regole minore rispetto ad un nativo, però hanno un accesso diretto. Quando si impara una lingua straniera: si ha una conoscenza esplicita delle regole [se ci chiedono il plurale in inglese sappiamo perfettamente esporlo, mentre se ci chiedono il plurale in italiano facciamo più fatica ad esporlo, nonostante siamo madrelingua]. La realizzazione di “anche” in parlanti ereditari dell’Italiano in Germania: Lezione XIII: 25.03.2024. Altri fenomeni legati alla compresenza di più lingue: Language crossing -> inserimento, all’interno del proprio discorso, di parole o espressioni prese da un’altra lingua, che normalmente non fa parte del proprio repertorio (per es. espressioni regionali di altre parti d’Italia, o parole da spagnolo o inglese). Superdiversità -> in un unico spazio ci sono innumerevoli unità linguistiche, possono esserci persone di varie origini con diversi background linguistici. Aree multilinguistiche, questo non significa che ognuno le parla tutte. Condividono lo stesso spazio. Polylanguaging -> fenomeno più raro, uso di elementi presi da più lingue (che spesso non si conoscono) all’interno di un discorso. Situazione comunicativa: ogni evento linguistico è composto da diversi elementi, tra cui: occasione, ambiente e scena, partecipanti Guardare ai partecipanti è importanti perchè essi svolgono l’accomodamento ossia il processo attraverso il quale ognuno dei parlanti adatta la propria produzione al modo in cui parla l’altro. Egli possono adattare il lessico, la pronuncia perché influenzanti da come parla l’altra PERSONA. Solitamente il fenomeno è inconscio, non ce se ne rende conto, in automatico. La definizione univoca può portare a due sbocchi differenti: convergenza -> parlare con chi non conosce bene l’italiano. distanziamento -> volutamente si prende le distanze da certe scelte lessicali o pronunce proprio per marcare la distanza tra me e l’altro. Si può avere in casi di confronto polemico, scontro verbale. Il distanziamento si può anche avere quando un certo gruppo vuole distanziarsi da un altro gruppo, quindi può essere questione anche di identità. Anche il distanziamento è un tipo di accomodamento. Alcuni concetti particolarmente importanti alla base sociale: Prestigio e stigma: Rete sociale Comunità di pratica Identità Prestigio: tratto giudicato positivamente da una comunità, essendo positivo suscita ammirazione e imitazione. I tratti (personali e sociali) che sono ritenuti desiderabili dai membri di una comunità godono di prestigio. Questi tratti si legano a caratteristiche linguistiche (alcune caratteristiche linguistiche sono viste come degli indicatori di uno status desiderabile), anche questi tratti linguistici diventano prestigiosi. Il prestigio è indiretto e derivato, non dipende da caratteristiche di linguistica interna. Non è che una certa pronuncia sia necessariamente prestigiosa o meno, ma dipende tutto da chi utilizza certe scelte linguistiche. Per questo motivo il prestigio linguistico è arbitrario. Il prestigio in ambito linguistico è stato studiato soprattutto da Weinreich che studiava il prestigio come una prospettiva di avanzamento sociale. E normalmente dovuto ad: atteggiamenti linguistici dei parlanti, valore di simbolo positivo di una varietà, la sua solida tradizione letteraria, varietà parlata dai gruppi sociali dominanti. Il prestigio influenza la nostra scala del repertorio per cui ci sono varietà alte (più prestigiose) quelle basso meno prestigiose e meno imitabili da questo punto di vista. Il prestigio linguistico è solitamente indiretto (sociale, culturale, economico) che poi si riflette sulla lingua. In questo meccanismo consideriamo una certa varietà prestigiosa ma non siamo in grado di imitare la varietà prestigiosa nella sua interezza. Il prestigio di per sé riguarda una varietà nel suo complesso, ma noi ci concentriamo solo su alcuni tratti visti come particolarmente espressivi o caratteristici di questa varietà [tratti bandiera = tratti che riconosciamo con appartenente a quella varietà; la gorgia nella lingua toscana]. Quando si parla di prestigio si parla anche di stigma -> qualcosa di non prestigioso nel senso che ha un prestigio negativo, non desiderabile, che si preferisce prendere le distanze. Non è neutro, ma proprio negativo. Anche in questo caso valgono le stesse dinamiche del prestigio, quindi noi vediamo come stigmatizzato un gruppo sociale, economico. A questa varietà associamo i tratti più caratteristici di quella varietà, solo che in questa volta cerchiamo di tenere le distanze. Le persone tendono verso il prestigio, e tendono da allontanarli dallo stigma. Ma ci possono essere anche varietà neutre: non particolarmente prestigiose, ma nemmeno considerate come stigma. Prestigio e stigma è un continuum dove ci possono essere all’interno dei poli una serie di posizioni intermedie. Quando si parla di prestigio si cita l’esperimento della rotica in NYC Esperimento di labov -> L’arbitrarietà del prestigio: il prestigio di un determinato tratto linguistico non è un fattore intrinseco: la [r] era prestigiosa a NYC negli anni ’70 perché era associata a una varietà (e quindi a uno stile di vita) prestigiosa. I valori associati a un determinato tratto linguistico cambiano nel tempo, e tra società diverse. Cfr. la realizzazione di [r] a NYC e a Reading (UK): il quadro che emerge è opposto. Rete sociale: il secondo fattore importante è la rete sociale. Per rete sociale si intende l’insieme di legami che ci sono tra una persona di riferimento e tutte le altre persone con cui la persona interagisce. Si indica con ego la persona di riferimento. Le linee piene indicano contatti che effettivamente ci sono, mentre quelle tratteggiate indicano rapporti potenziali ma che non esistono, non ci sono dei legami diretti. Quando si descrive e misura una determinata rete sociale un fattore importante è la densità, essa indica quanti sono effettivamente i legami diretti. Densità = rapporti effettivi diviso i rapporti totali. Otteniamo un indice, con densità 1 significa che tutti parlano con tutti, e normalmente non succede. E nemmeno che la densità sia ad uno che sta a significare assenza totale di legame. La rete sociale permette di capire se le altre persone hanno contatti tra di loro o meno: una rete densa fa capire se gli altri parlanti hanno rapporti anche con gli altri e non solo con l’ego, è un fattore importante per capire le dinamiche interne. Un altro criterio, il secondo, è la molteplicità: al centro ego però ci sono alcune linee doppie cioè quando si hanno rapporti con una persona in due contesti diversi. In questo caso si calcolano le linee doppie all’interno del diagramma e la molteplicità viene calcolata tra le linee doppie diviso a tutti i rapporti. La molteplicità ci fa capire che c’è un repertorio stretto dai vari membri della rete (condividono più ambienti sociali). Nella realtà concreta le reti sono molto complesse e difficile da rappresentare. Di solito essa si coglie solo in parte o in maniera superficiale, una tendenza generale di ogni rete è che si nota che è molto densa all’incentro e nella periferia diventa meno densa e meno molteplice, rarefatta, meno fitta. Questo perchè nella parte centrale della rete ci sono solitamente i parenti stretti e amici intimi con cui condividiamo più di un ambiente (amici intimi che conoscono i nostri genitori, fratelli e sorelle, i parenti si conoscono tra di loro). Andando verso l’esterno, rete meno fitta, si trovano gli amici ma non quelli intimi con la cella confidenziale. Cella utilitaristica fatto da rapporti pratici: colleghi di lavoro, cassieri; sono molti ma sono rapporti nel complesso più superficiali. Cella nominale dove ci sono solo conoscenti, nominale solo perchè si conosce il loro nome, non c’è rapporto stretto o frequente. Cella allargata composto da rapporti superficiali, ma anche solo momentanei e che spesso non portano a qualcosa di più stretto. Perché è importate studiare le reti? Esse ci portano a capire meglio come avvengono i mutamenti linguistici. Reti a maglie strette e reti a maglie larghe -> quando una rete è a maglie strette ci sono meno cambiamenti linguistici, questo perché ci sono dinamiche in-group che portano all’uso costante di un determinato comportamento linguistico (che si distingue dall’out-group). Reti a maglie larghe dove non c’è un legame così stretto tra i vari membri, qui c’è un minor controllo sociale. I membri tra di loro non sentono la pressione di mantenere le dinamiche di quella rete e quindi sono più facilmente conquistabili da innovazioni perché appunto non hanno questa pressione di rimanere al gruppo di base. Quando si parla di queste dinamiche la rete non è l’unica, c’è età e genere che influisce. Sulla variazione ci sono una serie di variabili che intervengono, ma la rete è una tra queste. In generale si tratta di tendenza: reti a maglie larghe innovatrici, reti a maglie strette conservatrici – non sempre è vero. Contesto urbano e rurale è un altro fattore che può influenzare i comportamenti linguistici. Lezione XIV: 26.03.2024. Esempio di Labov, altro suo studio, uno dei padri della disciplina. The linguistic consequences of beeing a lame Lo studio è su una varietà inglese americano parlato in un quartiere di NY chiamato Harlem, parte di Manatthan che però confina con il Bronx. L’analisi di Labov è su AAVE African American Vernacular English, l’americano degli afroamericani e il suo obiettivo era di cogliere le caratteristiche di un parlato quotidiano, l’inglese di strada, e la variabile che stava a cuore a Labov era la rete sociale che può influire sulla varietà linguistica. Harlem è un quartiere popolare popolato da afroamericani ed è caratterizzata da una serie di alti e bassi di crescite economiche, e poi declino con alta criminalità e problematiche sociali, all’epoca. Oggi è meta di un nuovo gruppo sociale, di artisti e non è più lo stesso degli anni ‘70, quando fu lo studio Labov. Entra in gioco la rete sociale di cui Labov ricostruisce la rete sociale delle persone analizzate. Individua due tipi di membri della rete sociale: 1. i “jet” al centro della rete, i membri più attivi e più coinvolti. 2. i “lames” le persone alla periferia, in gran parte esclusi dalle dinamiche in-group. I lames restano isolati dai gruppi esistenti, non partecipano alla vita delle bande e hanno un ruolo marginale nella rete sociale di riferimento. Ci sono varie ragioni per cui sono isolati, vengono coinvolti meno nelle attività di gruppo. L’AAVE ha alcune caratteristiche tipiche: -ain’t invece di isn’t--- She ain’t eating -doppia negazione----- I don’t eat nothing Labov considera una serie di variabili, tra cui la pronuncia di –ing, la cancellazione di certe consonanti a fine parola. Labov vede la percentuale dell’uso delle forme standard, per tre gruppi: -i jet -lames -inwood (i bianchi) I bianchi usano quasi in tutti i casi, al 100 %, le forme standard. -In generale non basta appartenere allo stesso gruppo etnico per parlare uguale, ma ci possono essere delle variazioni interne. -visti i dati ottenuti, differenza tra jet e lames, bisogna notare che se studiamo una rete sociale di questo tipo, noi avremo accesso solo a parlare con i lame, i jest sono più diffidenti e respingono magari gli estranei, poco aperti. I lames sono più accessibili e approcciabili. Ma se studiamo solo i lames potremmo poi sovra estendere i risultati agli altri del gruppo, e quindi creare un errore perchè i jet parlano anche in maniera diversa. Innovatori e attuatori Labov individua due tipi di membri che svolgono un ruolo nelle innovazioni: -innovatori: quelli che accettano le innovazioni più facilmente proprio per la loro predisposizione periferica, più aperti da ciò che viene dall’esterno. Sono ai margini queste persone e non hanno molta possibilità di arrivare al centro del gruppo. Innovano ma non si diffondono ad altri perché non hanno un ruolo importante nel gruppo. -attuatori: sono loro che sono responsabili di un’innovazione che raggiunge tutto il gruppo. Ci si chiede se c’è qualche relazione tra gli attuatori e gli innovatori? Labov dice che ogni persona essendo una società mobile, ognuno di noi ha rapporto con tante persone, tanti giri diversi al di fuori del gruppo, per cui noi possiamo adottare dei tratti diversi e lo portiamo nel nostro gruppo. L’attuatore può entrare con qualche innovatore o con membri al di fuori del gruppo. Ci sono dei punti interessanti di questa analisi, ma punti problematici e difficili da spiegare ancora. Altro studioso: USA, Lousiana, comunità di Cajun La comunità Cajun è francofona che era stanziata in Canada, ma alcuni secoli fa si è poi spostata in America. Ad oggi sono una comunità bilingue ma parlano anche l’inglese, al punto che questa comunità sta passando direttamente al francese, alcuni però si oppongono e vogliono mantenere la loro identità etnica. Qua si parla di rete sociale chiusa quando si parla di parlanti che non sono mai usciti dal paese e i legami sono tutti nel paese, parlano di rete sociale aperta quando ci sono persone che hanno meno legame con il proprio paese ed hanno rapporti anche con altri paesi per motivi lavorativi magari. Il fenomeno che studiano in questo caso è quello delle fricative interdentali (th) che normalmente sono interdentali, ma in questa comunità sono realizzate come occlusive dentali, che è un tratto non standard dell’inglese. Le variabili di questo studio sono: uomo- donna/rete chiusa e aperta/ e gruppi di età. -Età: soprattutto nel caso delle reti aperte, esempio le donne, l’età fa le differenze in particolare la mezz’età. -Genere: nel complesso, gli uomini usano varianti occlusive più delle donne. -Rete: il fattore chiave, in interazione con il genere: le donne di rete aperta producono le occlusive molto meno delle donne di rete chiusa, mentre per gli uomini la produzione di occlusive è poco sensibile al tipo di rete. Posizione sociale delle lingue Un primo fattore è la posizione sociale (che posizione ha l’italiano tra le lingue europee?). Due concetti per definire la posizione sociale: 1. Status: è ciò che si può fare con una lingua. Riguarda più che si può fare teoricamente. 2. Funzione: quali usi effettivamente vengono associati ad una determinata lingua. Riguarda quello che si fa praticamente. Non sempre questi due concetti coincidono Esempio del GAELICO IRLANDESE È una lingua celtica parlata in alcune aree della UK, e il gaelico irlandese ha per gli irlandesi un grande valore simbolico. Viene insegnato a scuola ma è scarsamente parlato al di fuori della scuola. Nella Repubblica di Irlanda il 40% conferma di saperlo parlare, solo il 10% della popolazione lo parla regolarmente, e solo l’1,4% lo parla giornalmente, e le percentuali sono simili anche in Irlanda del Nord. Il gaelico irlandese ha uno status elevato, ma funzioni limitate, le funzioni in cui sono usate sono molto ridotte. - Tipi funzionali di lingua: Funzioni e status di una lingua si possono generalmente determinare considerando degli attributi di varia natura Tre ambiti - geopolitici: uso politico delle lingue; - sociodemografici: quanti parlanti ci sono ecc; -linguistici GEOPOLITICI -diffusione geografica Es: lingua policentrica, diffusione ampia che è riconosciuta come lingua nazionale in due o più paesi, e spesso ha sviluppato varietà diverse della stessa lingua, spesso ci sono delle norme diverse. Spesso si fa l’esempio del tedesco, ed è policentrica(Germania, Austria e Svezia) e ci sono almeno tre varietà

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