Politiche per l'ambiente riassunto PDF

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This document summarizes environmental policies, exploring the relationship between society and the environment. It examines concepts such as nature, territory, and environment using various perspectives. It also analyses the different scales of time and space involved in environmental problems.

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POLITICHE PER L’AMBIENTE: DALLA NATURA AL TERRITORIO (M.Bagliani, E. Dansero) CAPITOLO 1: LE RAPPRESENTAZIONI DELL’AMBIENTE Il concetto di ambiente è molto ambiguo anche a causa dei diversi contesti in cui viene utilizzato. Spesso si fa riferimento all’ambiente esterno a un d...

POLITICHE PER L’AMBIENTE: DALLA NATURA AL TERRITORIO (M.Bagliani, E. Dansero) CAPITOLO 1: LE RAPPRESENTAZIONI DELL’AMBIENTE Il concetto di ambiente è molto ambiguo anche a causa dei diversi contesti in cui viene utilizzato. Spesso si fa riferimento all’ambiente esterno a un dato oggetto osservato. Lo schema più semplice prevede la scomposizione dell'Ambiente in: l’ambiente biotico (il mondo vivente) l’ambiente abiotico (il mondo inanimato) che viene suddiviso a seconda del suo stato fisico in: ▪ solido (litosfera che comprende suolo e sottosuolo) ▪ gassoso (atmosfera) ▪ liquido (idrosfera) In proporzione alla grandezza della Terra, troposfera (bassa atmosfera) e idrosfera sono molto sottili. Il mondo vivente è situato nella biosfera, che comprende la superficie terrestre, i mari e la troposfera. Possiamo individuare l’antroposfera, che comprende non solo l’insieme degli esseri umani, ma anche lo spazio costruito. L’ambiente rappresenta un sistema dinamico di relazioni funzionali dirette o indirette che interagiscono tra esseri umani, altri esseri viventi e mondo inorganico. L'Ambiente è un modello multi-disciplinare ovvero abbraccia varie discipline (ecologia, biologia...). Malcevschi, ecologo, ha proposto una sistematizzazione dei significati dell’ambiente in una prospettiva transdisciplinare. Il suo modello concettuale va collocato in un dibattito che alla fine degli anni 80 affrontava il problema di come definire, misurare e valutare gli impatti ambientali di determinate opere umane: siamo nell’ambito della Valutazione di impatto ambientale (VIA), uno strumento concettuale e una norma ambientale allo stesso tempo. Possiamo distinguere i differenti concetti di ambiente sulla base di tre variabili: Gli elementi costruttivi del sistema ambientale (aria, acqua, popolazione umana ecc.) Le relazioni tra gli elementi costruttivi e l’esistenza o meno di un centro del sistema di relazioni, che potrebbe essere l’uomo o una specie animale o vegetale e che funzioni come parametro costante rispetto a cui valutare le relazioni delle altre variabili L’esistenza di filtri percettivi tra gli elementi costitutivi e le loro relazioni I concetti: Habitat: esprime la posizione di centralità di una certa specie all’interno del contesto ambientale in cui essa vive e si riproduce. Il suo studio fornisce una conoscenza approfondita della presenza delle specie animali e vegetali di un determinato territorio costituendo un indispensabile supporto conoscitivo nell’analisi delle problematiche relative al governo del territorio e dell’ambiente. Ecosistema: insieme degli organismi viventi e dei fattori abiotici presenti in un dato ambiente e le relazioni che legano fra di loro tali elementi. Designa una rete di relazioni che 1 non presuppone un centro, ponendo tutti gli elementi sullo stesso livello e focalizzando l’attenzione sui flussi di materia ed energia che legano le diverse componenti. Territorio: sistema ambientale governato da un soggetto e presuppone un centro del sistema di relazioni; questo centro è il soggetto che governa e può rappresentare l’intera società. Natura: denota il modo in cui il mondo esterno agli esseri umani viene percepito da un soggetto culturale. È un concetto particolarmente complesso: negli ultimi decenni si è diffuso, a proposito di essa, un approccio costruttivista, infatti si pensa che la natura non sia data, bensì costruita socialmente. Tale costruzione può essere intesa in due sensi: da un lato la natura è costruita materialmente dall’uomo, che nel tempo ha esteso la propria influenza su tutta la superficie terrestre; dall’altro è il concetto di natura stesso ad essere riconosciuto come costruito, a seconda del contesto socio-culturale, del periodo storico e del clima ideologico nel quale esso prende forma ed è utilizzato. Paesaggio: indica il modo in cui un dato ambiente, fisicamente riconoscibile e considerato nella sua globalità, viene percepito da un dato soggetto culturale. Anche questo termine indica una costruzione culturale da collocarsi nello spazio e nel tempo. Questa definizione è coerente con quella presente nella Convenzione Europea del Paesaggio del 2000* che lo designa come “una determinata parte di territori, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e delle loro interrelazioni”. Ambiente soggettivo (o ambiente vissuto): vengono considerate le modalità con cui i singoli individui percepiscono l’ambiente esterno. *[Convezione Europea del paesaggio del 2000: ha come obiettivo quello di superare la visione riportata nella definizione (determinata parte del territorio), che viene considerata riduttiva, per affermare come qualsiasi parte di territorio possa essere considerata paesaggio. La Convenzione tenta di superare le ambiguità sulle 3 differenti visioni del paesaggio, proponendo un’integrazione a queste definendo il paesaggio nei termini di un sistema complesso di relazioni. Le tre visioni sono: ▪ Naturalista: ha una concezione del paesaggio nei termini di un ecosistema complesso, in cui l’attenzione si concentra sulle relazioni tra le componenti naturali del sistema piuttosto che all’interazione. ▪ Culturalista: accoglie una serie di prospettive differenti, accomunate dal considerare il paesaggio nei termini di un paesaggio culturale, espressione di un rapporto tra società e ambiente sedimentatosi nel tempo e rintracciabile attraverso l’archeologia. ▪ Fenomenologica: introduce l’elemento soggettivo all’interno della concezione del paesaggio. Questo viene concepito come una rappresentazione soggettiva, carica dei significati e dei valori che determinati attori assegnano al paesaggio stesso. ] I problemi ambientali in gran parte derivano dal fatto che gli uomini percepiscono l'ambiente come un'habitat a loro servizio senza considerare le relazioni tra i vari elementi che lo compongono (es. disboscamento indiscriminato). Un habitat a servizio degli esseri umani, considerato in modo 2 riduttivo come miniera e discarica a supporto di uno sviluppo industriale che fino a pochi decenni fa non si poneva alcun problema di limite. Si tratta di una concezione antropocentrica e tecnocentrica. Ognuno di questi significati dell’ambiente costituisce una rappresentazione differente delle relazioni tra società e ambiente e un modello diverso di analisi di tali relazioni, che seleziona le informazioni significative in relazione al tipo di prospettiva adottato. In questo senso, secondo Malcevschi, l’ambiente si configura come un sistema di sistemi, ciascuno definito con un’ottica specifica in relazione all’’ambito disciplinare. E' molto interessante il concetto di quadro ambientale nel quale un'elemento ambientale trascende dal suo essere e assume un significato maggiore per la società (un fiume non è solo acqua che scorre ma serve per irrigare o è causa di inondazioni). Noi non abitiamo lo spazio, e nemmeno l’ambiente naturale, ma un territorio, cioè un ambiente profondamente trasformato dall’azione umana. In termini generali, possiamo dunque dire che il territorio è un artefatto sociale che comprende la fisicità della superficie terrestre come “materia prima” sulla quale opera l’agire collettivo. Il paesaggio da terra a territorio avviene attraverso una stratificazione progressiva e incoerente. Abbiamo tre concezioni di territorio che si incrociano nelle politiche pubbliche e che sono rilevanti nel concettualizzare problemi e politiche ambientali: Territorio delle competenze, su cui si esercita il potere e l’esercizio politico-amministrativo. Ha molta rilevanza dal punto di vista delle politiche ambientali, in quanto esse derivano dal concorso dell’azione di una pluralità di soggetti, pubblici e non che agiscono a scale diverse e con diversi territori di competenza. Territorio come patrimonio, frutto dell’evoluzione storica, concorre a definire l’identità locale, permettendo la mobilizzazione degli attori sulla base della percezione di un destino comune in funzione della comune eredità storica. Ha rilevanza in quanto è alla base di un generale processo di rivalutazione del “locale”, tra visioni nostalgiche e regressive e visioni aperte al futuro che riconoscono come ogni tradizione sia frutto di ibridazioni culturali. Territorio come progetto, viene enfatizzata la tendenza al cambiamento che richiede la ridefinizione di obiettivi condivisi di cambiamento. Il territorio è quindi allo stesso tempo un ambito di competenza, un patrimonio e un progetto. Tutto ciò in un processo continuo di produzione di territorio, ovvero di territorializzazione. Essa è quindi una chiave di lettura utile per comprendere e rappresentare il processo di trasformazione e adattamento dell’ambiente terrestre da parte della specie umana. La sfida per il futuro è la costruzione di una territorializzazione intrinsecamente sostenibile, che sappia incorporare la complessità ambientale. Si possono avere alterazioni degli equilibri naturali locali o globali, oppure di breve o di lungo periodo. Tali alterazioni possono essere reversibili, cioè essere assorbite da retroazioni di riequilibrio degli ecosistemi terrestri, oppure irreversibili, con effetti squilibranti di lungo periodo. È possibile avere situazioni caratterizzate da effetti rilevanti alla scala locale e minimi o nulli a livello sovralocale e globale. In altri casi la soluzione locale di taluni problemi ambientali può andare a discapito di altri luoghi. Questo può avvenire, da un lato, perché in questi territori vengono scaricati gli effetti ambientali negativi prodotti da altre aree. Dall’altro lato numerosi sono i casi di territori locali che 3 importano risorse naturali ed ecosistemiche da altri luoghi. Per comprendere la complessità delle relazioni tra società e ambiente, sia necessario considerarle nella loro dinamica temporale e nella loro organizzazione spaziale. Gli strumenti utilizzati sono le scale temporali e spaziali, con cui si comprendono i problemi ambientali e si costruiscono e analizzano le relative politiche. SCALE TEMPORALI: all’origine di molti problemi ambientali risiede la non considerazione o la sottovalutazione dell’importanza delle scale temporali. Gran parte dei problemi ambientali derivano proprio da differenze che riguardano i diversi tipi dell’ambiente della società. La società umana ha conosciuto una brusca accelerazione nella relazione con l’ambiente naturale a partire dalla rivoluzione industriale e della relativa territorializzazione. Ci sono voluti diversi decenni perché si cominciasse a prendere coscienza e si costruisse concettualmente il “problema ambientale”- che emerge introno agli anni 60 in alcuni paesi industrializzati – e ancora alcuni decenni perché il dibattito si affermasse e si consolidassero le politiche ambientali. SCALE SPAZIALI: è importante considerarle nello studio del funzionamento dei sistemi ecologici. Questo concetto è molto utilizzato sia nelle scienze ambientali sia nelle scienze sociali. Questo modo di designare la scala, si sovrappone, creando problemi, con le scale della politica. Un’utile sistemazione è quella proposta dai geografi Sheppard e Mc Master, che distinguono 5 tipi di scale: Scala cartografica: si riferisce al rapporto tra misura sulla carta e misura sul terreno; può essere espressa in forma grafica o numerica. Esprime un rapporto di riduzione. Questa scala non pregiudica né taglia dello spazio di riferimento, né quello della carta. Scala osservazionale: si riferisce all’estensione spaziale di un’area di studio. Nello studio di un determinato fenomeno o problema ambientale la scelta della scala di osservazione è cruciale. Una scala di osservazione troppo piccola, rischia di non far vedere effetti ambientali presenti su spazi maggiori, così come una scala troppo grande rischia di diluire tali effetti. Scala operazionale: si riferisce all’estensione spaziale a cui un certo processo opera nell’ambiente. Determinati incidenti in attività antropiche possono avere una scala operazionale molto ampia o globale, che può essere contenuta da misure di prevenzione, sicurezza o intervento post-evento catastrofico. L’estensione spaziale dei fenomeni ambientali si incrocia con la scala operazionale dei processi antropici. Scala di misura (o risoluzione): si riferisce alle più piccole parti distinguibili di un oggetto. È indipendente dalle altre scale, anche se in qualche modo è intrecciata con la scala cartografica. Il livello di risoluzione dipende dal problema, dalle informazioni disponibili e da quelle rilevanti da selezionare rispetto al problema stesso. Scala prodotta o costruita nell’azione sociale: scala utilizzata molto nelle scienze sociali e su cui si concentra il dibattito attuale in ambito geografico e politico, parlando di costruzione e politiche di scala. Tale scale può essere, a sua volta intesa come: ▪ Taglia: si pensa al Mediterraneo, regione costruita nel tempo come scala di azione delle politiche. ▪ Livello: si pensa ai piani di bacino usati in Italia per gestire la politica delle acque; si tratta di una scala prodotta come taglia che si è affermata anche 4 come livello gerarchico di competenze, sovraordinate e trasversali. ▪ Relazione: considera il concetto di locale non come sinonimo di piccolo e circoscritto, ma come livello intermedio tra un singolo individuo, oggetto o fenomeno e il globale. Si mette in evidenza l’importanza di adottare non una scala fissa ma un approccio multiscalare e transcalare. In particolare l’approccio transcalare appare il più appropriato per comprendere l’intreccio complesso di una pluralità di processi sia ambientali che sociali. MATRICE DELLE PROSPETTIVE GEOGRAFICHE Esiste un modello concettuale che consente di rappresentare geograficamente i diversi problemi ambientali e le relative politiche. Il rapporto Rediscovering Geography: New Relevance and Society, pubblicato nel 1997 dal National Research Council degli USA, identifica tre prospettive chiave al centro della disciplina, che si intrecciano con tre principali ambiti di sintesi e differenti modalità di rappresentazione spaziale. È uno schema pre-teorico, che consente di orientare la ricerca evidenziando le possibilità di adottare una prospettiva geografica nell’analisi di un determinato problema o fenomeno. Graficamente si tratta di un cubo sui cui lati sono distinti: 1. I modi geografici di guardare il mondo (asse orizzontale) ❖ INTEGRAZIONE LOCALE: considerata come un problema ambientale si intreccia con altri fatti in un determinato contesto locale. Usiamo il concetto di locale per indicare un livello intermedio tra il singolo individuo e il globale, per cui esso può riferirsi a una città, una regione, uno stato, un continente. ❖ INTERDIPENDENZE TRA LUOGHI: tale modalità mette in risalto come problemi ambientali e politiche possono legare tra loro località anche molto lontane, quindi spesso molti luoghi sulla terra sono sottoposti a un rischio molto elevato legato ai cambiamenti climatici e le loro sorti dipendono da ciò che accade in altri luoghi. ❖ INTERDIPENDENZE TRA SCALE: tale modalità mette in evidenzia le relazioni tra le diverse scale operazionali e prodotte, dal locale al globale. 2. Gli ambiti di sintesi spaziale (asse verticale) ❖ DINAMICHE AMBIENTALI (es. cambiamento climatico) ❖ DINAMICHE AMBIENTE-SOCIETÀ (es. processi antropici di inquinamento) ❖ DINAMICHE UOMO-SOCIETÀ (es. elevata mobilità spaziale fondata sul trasporto privato) 3. I modi della rappresentazione spaziale: tutto quello elencato sopra può essere descritto e rappresentato facendo ricorso a diverse modalità della rappresentazione spaziale, utilizzate nella descrizione e nell’analisi dei problemi ambientali e nella costruzione, monitoraggio e valutazione delle politiche 5 ambientali. Si tratta del terzo asse ❖ Rappresentazione matematica per rappresentare il processo di diffusione spaziale di un determinato inquinante o i flussi di risorse che caratterizzano il metabolismo di un sistema socio-economico oppure, gli effetti economici e ambientali di una determinata politica di contenimento del traffico automobilistico locale. ❖ Rappresentazione verbale che descrive gli effetti di un determinato incidente. ❖ Rappresentazione visuale, attraverso la rappresentazione cartografica di un determinato problema ambientale o degli effetti di una politica, o le mappe culturali che indicano i luoghi che assumono particolari significato di un individuo o una popolazione. ❖ Rappresentazione cognitiva, riguarda i processi mentali con cui i singoli individui rappresentano lo spazio e l’ambiente. ❖ Rappresentazione digitale, utilizzando le altre modalità di rappresentazione spaziale, aumentandone notevolmente le potenzialità, soprattutto mettendole in relazioni tra di loro. CAPITOLO 2 – LA QUESTIONE AMBIENTALE: UNA LETTURA IN CHIAVE SISTEMICA Alla base del funzionamento di tutti gli esseri viventi e dei sistemi che essi formano, vi è il flusso di energia proveniente dal Sole che incide sul nostro Pianeta. La scienza che studia le trasformazioni dell’energia è la termodinamica. La prima legge della termodinamica, nota come il principio generale di conservazione dell’energia, afferma che l’energia totale esistente nell’universo sotto varie forme non cambia; essa si può solo trasformare da una forma all’altra in modo tale che il totale delle varie forma rimanga costante. In sostanza, si afferma che non può esserci una macchina che produca energia dal nulla e che questa non può essere né cresta né distrutta. La seconda legge stabilisce che l’energia non può trasformarsi liberamente da una forma all’altra e che l’energia termica può passare liberamente da una sorgente calda a una più fredda. L’energia sotto forma di calore è degradata, in quanto non tutto il calore può essere trasformato in lavoro: la parte residua resta allo stato di calore, passando ad una temperatura più bassa. Entropia: concetto introdotto nel 1865 per evidenziare la tendenza spontanea dell’energia verso la forma di calore, cioè verso la sua degradazione e quindi la sua dispersione nell’ambiente. La funzione termodinamica dell’entropia misura il grado di dispersione dell’energia. Le trasformazioni tendono a verificarsi spontaneamente in direzione dell’entropia crescente, cioè verso il massimo grado di dispersione. Il massimo di entropia, è uno stato in cui l’energia è completamente degradata e non è più capace di fornire lavoro, cioè lo stato di equilibrio di un sistema. Nel caso di un sistema aperto bisogna sempre combinare l’entropia negativa prodotta all’interno del sistema con l’entropia positiva scaricata da questo sull’ambiente e calcolare il valore totale dell’entropia. Questi sistemi aperti vengono chiamati strutture dissipative, cioè strutture lontane dall’equilibrio termodinamico, che mantengono il loro ordine interno in virtù dell’utilizzo di grandi quantità di energia prelevate dall’esterno, utilizzate all’interno e, infine, reimmesse verso l’esterno 6 sotto la forma degradata di calore. L’apparente “equilibrio” del sistema deriva dal fatto che la sua configurazione non cambia sostanzialmente nel tempo, ossia la presenza e la dinamica delle celle convettive permane: questo tipo di stato è chiamato stazionario. Il termine di ecosistema e la sua prima definizione tecnica compaiono in uno studio del 1935 di Tansley. Parallelamente si è evoluta l’ecologia: scienza che studia gli ecosistemi. Viene definita dal suo fondatore (Ernst Haeckel) come la scienza dei rapporti tra gli organismi e il mondo esterno, nel quale possiamo riconoscere i fattori della lotta per l’esistenza. Solo all’inizio del Novecento diventa un disciplina distinta dalle altre, distinguendosi in “ecologia vegetale” ed “ecologia animale”. Ecosistema: insieme degli organismi viventi e dei fattori abiotici presenti in un dato ambiente nonché dalle relazioni che legano fra di loro tali elementi. Una definizione più completa è quella usata nella Convenzione sulla Biodiversità, secondo cui un ecosistema è “un complesso dinamico di piante, animali e comunità di micro-organismi e dell’ambiente abiotico circostante, che interagiscono come una unità funzionale”. L’ecosistema costituisce l’unità funzionale di base in ecologia. Le sue componenti sono: Esseri viventi (comunità biotica) Esseri non viventi (comunità abiotica) I flussi di energia Le loro interazioni Gli ecosistemi sono quindi dei sistemi ecologici al cui interno componenti biotiche e abiotiche sono collegate al proprio ambiente attraverso una serie di legami, alcuni dei quali sono retroattivi. Con il termine di retroazione o feedback si intende un’azione o un effetto causato dal sistema che interviene sul sistema stesso. Possono esistere due tipi di retroazioni: Retroazione negativa quando i risultati del sistema tendono a smorzare gli eventi che li hanno causati, generando un comportamento stabile. Retroazione positiva quando i risultati del sistema tendono ad amplificare gli eventi che li hanno causati, generando un comportamento instabile e divergente. Da un punto di vista termodinamico l’ecosistema è una struttura dissipativa caratterizzata da ben precise dinamiche del flusso di energia che la attraversa e dei flussi e dei ricicli della materia presenti. Nel caso di un semplice ecosistema, l’energia proveniente dal sole subisce i seguenti passaggi: a. La luce solare è catturata dagli organismi autotrofi che la utilizzano per autocostruirsi, ossia per formare la propria materia organica. Essi vengono detti anche produttori primarie rappresentano il primo livello trofico, ossia il primo dei diversi passaggi di energia che avvengono all’interno dell’ecosistema seguendo la catena alimentare. La trasformazione della luce in biomassa avviene attraverso il processo di fotosintesi. b. L’energia chimica immagazzinata nella materia organica degli autotrofi viene utilizzata dagli animali che si cibano di essi. Tale energia passa al livello trofico successivo, rappresentato dagli erbivori, detti anche consumatori primari. Si tratta di organismi eterotrofi perché non sono in grado di autoprodurre la propria biomassa direttamente dall’energia solare, ma devono utilizzare quella degli organismi di cui si nutrono. c. Una frazione di tale energia passa al livello trofico successivo, quello dei carnivori, o 7 consumatori secondari, anch’essi eterotrofi. d. Vi sono ecosistemi in cui sono presenti ancora uno o due livelli di consumatori superiori (onnivori, predatori apicali). e. Quando gli organismi dei diversi livelli trofici muoiono la loro biomassa non viene sprecata ma è utilizzata dai decompositori che, come scarto, reimmettono nel sistema i diversi nutrienti e composti chimici che erano presenti nella materia organica. Gli ecosistemi sono caratterizzati da proprietà e comportamenti che ne determinano gli aspetti qualitativi: Diversità: in particolar modo è molto importante la biodiversità, cioè la totalità dei patrimoni genetici, delle specie e degli ecosistemi presenti sulla terra. Il metodo più facile per misurare la diversità è quantificare il numero di specie identificabili in un campione rappresentativo della comunità. Sono stati proposti degli indici di diversità che permettono di calcolare la distribuzione della specie ad ogni scala territoriale. Stabilità del sistema: proprietà dell’ecosistema stesso di resistere alle situazioni di disturbo mantenendo la propria situazione di equilibrio. Può essere intesa in senso statico o in senso dinamico: ▪ Resistenza: quando un ecosistema è in grado di assorbire una pressione esterna conservando quasi totalmente le proprie strutture e funzioni. Può essere passiva, se i fattori esterni possono entrare nel sistema senza provocare risposte negative; attiva quando il sistema mette in moto processi interni in grado di conservare lo stato iniziale. Si tratta del fenomeno dell’omeostasi che indica la capacità di un organismo di conservare stabile la propria condizione rispetto al cambiamento delle condizioni esterne. ▪ Resilienza: quando un ecosistema dopo una perturbazione esterna è in grado di ritornare al proprio stato originale, riprendendo le proprie caratteristiche essenziali. Malleabilità: ampiezza dell’intervallo entro cui il sistema può ristabilirsi dopo aver subito una pressione. Sensibilità: è una caratteristica che esprime le dimensioni della risposta a impatti di origine esterna; si parla di aree sensibili per indicare quelle aree che sono oggetto di particolari strumenti di tutela o che registrano la presenza di specie di particolare rilevanza. Fragilità: esprime la facilità con cui un sistema può subire modifiche irreversibili. Capacità di carico: rappresenta il numero di organismi o individui di una determinata specie che può essere indefinitamente mantenuto da un ecosistema o da un’area che ospita più ecosistemi. Gli indicatori più utilizzati per creare uno schema capace di render conto delle differenziazioni ambientali sono: la natura del terreno, il clima, la vegetazione, a volte usati singolarmente, altre volte in associazione. Un modo di classificare gli ecosistemi è quello che prende origine dal concetto bioma. I biomi costituiscono le principali zone ambientali del pianeta caratterizzate da una particolare copertura vegetale. La chiave attraverso cui si riconoscono i diversi biomi della Terra è fondamentalmente l’aspetto della vegetazione associato a elementi climatici. 8 A partire dagli anni Sessanta, numerosi studi, si sono focalizzati su classificazioni differenti, basate sul concetto di ecoregione: porzione di superficie terrestre o acquatica relativamente larga contente un assemblaggio caratteristico di comunità naturali che hanno in comune la maggior parte delle specie, delle dinamiche e delle condizioni naturali. Il concetto di ecoregione è utilizzato per lo studio dello stato dell’ambiente e come strumento per la pianificazione ambientale. I servizi ecosistemici sono le condizioni e i processi attraverso cui gli ecosistemi e le diverse specie che li compongono, sostengono la vita umana. Essi sono alla base della produzione di numerosi beni ecosistemici, tra cui le varie tipologie di cibo, il foraggio, il legname, le fibre naturali, molte essenze e principi farmaceutici e altre ancora. Inoltre gli ecosistemi provvedono alle funzioni ecosistemiche di supporto alla vita (produzione dell’ossigeno atmosferico ecc.). Gli studi del Millenium Ecosystem Assessment, hanno distinto i servizi ecosistemici raggruppandoli in 4 principali funzioni, ciascuna comprendente numerosi servizi: 1. Servizi di supporto: indicano quelle funzioni che sono alla base di tutti gli altri servizi ecosistemici. Si differenziano dagli altri servizi perché i loro impatti sugli esseri umani sono indiretti o avvengono su tempi lunghi, mentre cambiamenti nei servizi delle altre categorie hanno effetti diretti e immediati. ❖ Produzione primaria ❖ Produzione dell’ossigeno atmosferico ❖ Formazione e mantenimento dei suoli ❖ Controllo dell’erosione ❖ Regolazione del ciclo dell’acqua e dei cicli biogeochimici ❖ Formazione e mantenimento dell’habitat 2. Servizi di produzione: riguardano i beni ottenuti dagli ecosistemi. ❖ Produzione di cibo e fibre ❖ Produzione di combustibili ❖ Produzione di principi biochimici (farmaci) ❖ Produzione di risorse ornamentali (pelli, conchiglie ecc.) 3. Servizi di regolazione: si riferiscono a quei beni e servizi che derivano dalle diverse attività di regolazione attuate dagli ecosistemi. ❖ Controllo qualità dell’aria ❖ Purificazione dell’acqua ❖ Regolazione del clima ❖ Impollinazione ❖ Decomposizione dei rifiuti organici ❖ Protezione da uragani e eventi marini estremi 4. Servizi di tipo culturale: si tratta di vantaggi e benefit non materiali che riguardano aspetti di tipo culturale, spirituale, estetico, ricreativo. ❖ Diversità culturale ❖ Valori spirituali e religiosi ❖ Valori estetici 9 ❖ Sento del luogo ❖ Attività ricreative LIMITI: l’approccio è basato su una visione antropocentrica, ossia come la natura sia utile agli esseri umani. I diversi ecosistemi sono legati tra loro, alla scala planetaria, da una fitta rete di interazioni e retroazioni, che riguardano lo scambio di materia, energia e informazione Lovelock fu il primo a introdotte, negli anni 60, l’idea che l’insieme degli ecosistemi alla scala globale fosse caratterizzato da proprietà simili a quelle di un sistema vivente (Teoria di Gaia). La sua idea nasceva dall’osservazione che la Terra era l’unico pianeta del sistema solare con un’atmosfera in forte squilibrio chimico: ricca di ossigeno e gas. L’ipotesi che poi fu successivamente confermata fu quella che sosteneva che l’ossigeno vi permanesse in percentuali costanti grazie alla continua reimmissione di nuovo ossigeno da parte degli ecosistemi. Oggi si parla di geofisiologia e scienza del sistema terra, per descrivere questo genere di studi che focalizzano le proprie ricerche sull’interazione tra organismi viventi e componenti non viventi alla scala planetaria. Per risorsa naturale si intende tutto ciò che esiste in natura e che può essere utilizzato dagli esseri umani per trarne un qualche tipo di vantaggio o profitto. Oggi le risorse naturali, secondo una definizione basata sulla possibilità di ricostruzione della risorsa stessa rispetto ai tempi scala umani, possono essere distinte nelle seguenti categorie: Risorse non rinnovabili: diverse risorse minerarie, ma anche combustibili fossili. Tali risorse possono essere distinte in riciclabili (minerali ed elementi chimici che possono essere riciclati e riutilizzati dopo l’impiego iniziale) e non riciclabili (combustibili fossili, che una volta bruciati non possono più essere usati). Risorse rinnovabili: risorse che possono essere ricostituite grazie all’azione degli ecosistemi. Esistono dei vincoli legati agli utilizzi di risorse da parte delle società umane: Finitezza delle risorse non rinnovabili Finitezza dei tassi di erogazione delle risorse rinnovabili: l’erogazione dei servizi naturali e la ricostruzione delle risorse naturali rinnovabili da parte degli ecosistemi avviene secondo ritmi ben definiti che non possono essere accelerati a piacere dagli esseri umani. Capitale naturale: “stock di ecosistemi naturali che provvede un flusso di beni e servizi ecosistemici per il futuro”. La distinzione tra ciò che naturale e ciò che è artificiale non è né agevole né univoca. In questi ultimi decenni si è diffusa la chiave di lettura del metabolismo sociale; il termine metabolismo vuol dire trasformazione, come un insieme di processi interni a un sistema, dovuti alla capacità auto- organizzativa del sistema stesso e volte alla sua ricostruzione e al suo mantenimento continuo. Il concetto di metabolismo può quindi essere utilizzato nel caso di organismi viventi ed ecosistemi. Il 10 suo uso per i sistemi socio-economici serve per indicare tali sistemi come strutture dissipative, dotate quindi di forte integrazione e organizzazione interna. Nella figura 2.6 sono illustrati gli aspetti di questa chiave di lettura, secondo cui i sistemi socio-economici comprendono una sfera di causazione naturale o biofisica, governata dalle leggi naturali, che si riproduce e rigenera attraverso processi biofisici e una sfera di causazione culturale o simbolica, che si riproduce e rigenera attraverso processi di comunicazione simbolica. Queste due sfere si sovrappongono parzialmente, in corrispondenza delle strutture biofisiche della società che includono la popolazione umana, ma anche le infrastrutture fisiche. Un sistema socio-economico è un ibrido che comprende un sistema culturale e una componente materiale. Per mantenere riprodurre le proprie strutture biofisiche tale sistema, attraverso un’azione di colonizzazione, preleva risorse dalla componente naturale. Con il termine “metabolismo” si indica l’insieme dei diversi scambi di energia e materia che avvengono tra gli ecosistemi (naturali e colonizzati) e la società. Grazie ai concetti esposti è possibile analizzare i diversi sistemi socio-economici per individuare le modalità di sostentamento più tipiche delle differenti organizzazioni della società rispetto all’utilizzo di risorse, alla crescita della popolazone e alle istituzioni economiche. La tabella illustra le tre principali modalità di sostentamento succedute nel corso della storia: cacciatori-raccoglitori, società agraria, società industriale. La chiave di lettura del metabolismo sociale trova collocazione nelle riflessione sulla territorializzazione: le relazioni metaboliche coincidono con quella parte delle relazioni di territorializzazione rivolte verso le esteriorità e mediate dalla causalità fisica. Il concetto di metabolismo è importante per individuare le diverse modalità di sostentamento più comuni nella storia, che sono: Cacciatori-Raccoglitori: si tratta di un tipo di territorializzazione caratterizzata da un 11 basso ricorso alla tecnologia per l’estrazione e l’utilizzo delle risorse naturali. Il metabolismo viene definito sistema a energia solare incontrollata poiché, in modo simile agli altri organismi eterotrofi, i cacciatori raccoglitori utilizzano i prodotti della fotosintesi senza esercitare alcuna azione per la riproduzione delle risorse stesse. Avevano una dieta onnivora. Le attività di estrazione delle risorse erano legate a procacciare il cibo (semi e grossi animali) e alla costruzione di ripari. Il ritorno energetico era molto basso, però malgrado l'apparente assenza di impatto sulla natura, molte specie animali si sono estinte(mammut) e molte ecosistemi su scala locale sono andati distrutti(incendi). Società agricole tradizionali: nascono con l'insediamento stabile in un dato territorio dato anche dall'aumento demografico e da una diminuzione di resa della caccia. Le prime forme di agricoltura si limitavano a coltivazioni periodiche. Rispetto ai cacciatori-raccoglitori, hanno attuato e attuano una costante gestione degli ecosistemi: questo metabolismo viene definito come sistema a energia solare controllata. La biomassa rappresenta la fonte di energia di gran lunga maggiore. Una delle caratteristiche più importanti di questo tipo di territorializzazione è l’elevato livello di rinnovabilità che la caratterizza. Si basa sul rispetto dei principi ecologici di funzionamento degli ecosistemi: in primo luogo quello della conservazione della sostanza organica nel suolo, perseguita soprattutto attraverso la rotazione delle colture e l’apporto di concime organico naturale. Il rispetto di tale principio era facilitato dal fatto che gli appezzamenti erano di limitate dimensioni e caratterizzati da colture integrate. Questo metabolismo comporta una sistematica colonizzazione degli ecosistemi attraverso la domesticazione di numerose specie, che si traduce in cambiamenti nella configurazione e diffusione spaziale degli ecosistemi. Società agricole industriali: con l’avvento della rivoluzione industriale il metabolismo socioeconomico cambiò. La fonte primaria di energia non è più rappresentata dal flusso di energia solare trasformato in biomassa dalla fotosintesi, bensì dall’immenso bacino energetico del carbone prima e del petrolio e del gas naturale in seguito. Grazie alla disponibilità di energia e ai progressi tecnologici, si assistette a una progressiva meccanizzazione delle attività nel settore agricolo che portò a una specializzazione colturale. Si affermò la grande impresa agroindustriale che prevede una stretta integrazione fra agricoltura e industria alimentare. L’unità di studio della chiave di lettura sistemica del metabolismo applicata all’attività agricola è l’agroecosistema, ovvero un sistema usato a scopi agricoli, che risulta dalla sovrapposizione di interventi antropici sull’ambiente naturale. Sono ecosistemi particolari: controllati dagli esseri umani nella loro struttura e funzionalità, e sono instabili, per cui richiedono continui contributi energetici e materiali sussidiari per il loro mantenimento. I flussi energetici che alimentano i sistemi agricoli sono due: quello naturale, cioè l’energia solare che costituisce un flusso illimitato; quello ausiliario, immesso dall’esterno. Le differenze tra agroecosistemi e gli ecosistemi naturali o seminaturali sono: 1. Energia ausiliaria, che aumenta o sostituisce l’energia solare, è introdotta e controllata dagli esseri umani: nelle forme di agricoltura tradizionale è il lavoro umano e animale, mentre nell’agricoltura industriale si configura come l’utilizzo dei carburanti ed energia elettrica per i macchinari; 12 2. Materia ausiliaria, rappresentata dall’immissione di fertilizzanti, pesticidi e altre sostanze chimiche; 3. Diversità degli organismi 4. Le piante e gli animali dominanti che sono controllati dalla selezione artificiale più che dalla selezione naturale. Si aggiunge anche l’immissione di organismi geneticamente modificati (OGM). 5. Asportazione della biomassa Nelle nazioni sviluppate vi è stata una progressiva sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla salubrità dei prodotti agricoli che arrivano “in tavola”. Questo aumento della consapevolezza ha portato numerose reazioni nel settore rispetto a: Nuove modalità di organizzazione e gestione delle attività agricole: agricoltura biologica (produzione di alimenti e fibre in modo socialmente, economicamente e ambientalmente sano, escludendo l’impiego di mezzi chimici), produzione agricola integrata (sistema di produzione che per ottimizzare la qualità del prodotto e salvaguardare l’ambiente e la salute umana, privilegia tecniche colturali di tipo agronomico e di lotta guidata), e agricoltura biodinamica (prevede un’azienda autosufficiente in tutto, dove le attività agricole sono calendari e dove vengono impiegati preparati particolari con scarso uso di sostanze chimiche, ma con l’uso di fertilizzanti e anti infestanti). Problematica OGM: OGM è per definizione un essere vivente nel quale è stata modificata una porzione di patrimonio genetico, allo scopo di ottenere nuove caratteristiche, non presenti nell’organismo originario. Politiche messe in atto dall’UE: Politica Agricola Comune (PAC), che consiste in una serie di norme e regole che disciplinano la produzione, gli scambi e la lavorazione dei prodotti agricoli. L’introduzione dell’agricoltura industriale nei Paesi in via di sviluppo si è verificata a partire dagli anni Sessanta con la rivoluzione verde: enorme programma di modernizzazione dell’agricoltura, mirato a ridurre il problema della fame nel mondo incrementando la produzione agricola ricorrendo alla meccanizzazione, adottando nuove varietà di cereali ibridi e usando fertilizzanti. Questa ha portato ad un progressivo accorpamento dei campi in vaste aree coltivate meccanicamente, al ricorso ai prodotti chimici e all’abbandono delle colture diversificate. Vi è stata anche una rivoluzione blu, ovvero il ricorso sistematico all’acquacoltura, per incrementare la produzione di cibo da destinare alle popolazioni più povere. Le società industriali sono caratterizzate da un sistema di approvvigionamento energetico completamente diverso. Gli elementi energetici e di materia delle società industriali sono enormemente maggiori rispetto a quelli delle società agricole tradizionali. Il rapporto industria – ambiente occupa una posizione centrale nel dibattito sui programmi ambientali. Abbiamo 3 diversi atteggiamenti: ecologia passiva, in cui l’ambiente rappresenta esclusivamente un vincolo, da rispettare per non incorrere in penalità di vario genere (economiche, legali, d’immagine ecc.); 13 ecologia attiva, in cui si intravedono i potenziali vantaggi rappresentati dal vincolo ambientale (opportunità di nuovi mercati, nuovi prodotti, vantaggi competitivi sulla concorrenza ecc.); ecologia integrata, in cui l’ambiente viene assunto al rango di variabile strategica, alla stregua cioè dei tanti fattori chiave nella gestione d’impresa (acquisti, personale, tecnologia, innovazione, ecc.). Questa ripartizione non riflette una evoluzione lineare e progressiva che, attraverso fasi successive, caratterizza tutti i paesi, ma è piuttosto da intendersi come quadro concettuale utile per individuare i differenti approcci. Il termine ecologia industriale fu introdotto per la prima volta nel 1973, ma la nascita di questa disciplina è fatta risalire a una pubblicazione le 1989. Uno dei maggiori obiettivi della riorganizzazione delle attività produttive riguarda il passaggio da un sistema economico di tipo lineare a una economia circolare. L’organizzazione tradizionale della produzione è basata su un flusso lineare di risorse: dalle materie prime al prodotto al rifiuto (figura 2.8). Al contrario negli ecosistemi naturali ogni ciclo è chiuso: il rifiuto di un organismo diventa l’alimento di un altro. In una ipotetica economia circolare, la materia dovrebbe entrare in un circolo di continuo riutilizzo, proteggendo così l’ambiente, sia dal lato del prelievo delle sue risorse, sia dal lato della immissione di output e rifiuti (frecce che chiudono i cicli figura 2.8). Il concetto di economia circolare comporta sia l’ottimizzazione ambientale dei prodotti nei processi di produzione e durante la loro vita operativa sia il riutilizzo dei prodotti stessi a fine del ciclo di vita e dei relativi rifiuti, come nuove fonti di approvvigionamento di materie prime e di semilavorati, oppure nuove fonti energetiche. La rappresentazione dell’economia circolare dovrebbe determinare una profonda revisione del sistema industriale e del ruolo del produttore in particolare, cui viene attribuita una responsabilità per l’intera vita del prodotto, che si concretizza nell’obiettivo di ridurne l’impatto ambientale in ciascuna fase che il prodotto stesso attraversa, dalla culla alla tomba (figura 2.9). È possibile identificare tre diversi livelli di intervento, la cui sequenza rappresenta anche l’evoluzione dell’atteggiamento del mondo 14 imprenditoriale rispetto alla legislazione ambientale e alle pressioni dell’opinione pubblica e dei movimenti ambientalisti in particolare. 1) Interventi sul processo produttivo Trattamenti a valle (es.: depuratore) = consistono nel convertire un output indesiderato in un altro output più facile da smaltire, in quanto meno tossico, meno ingombrante, oppure in forma riciclabile. Sono interventi giunti al termine del ciclo produttivo volti a trasformare l’emissione indesiderata in forme più gestibili. Essi richiedono investimenti in capitale e altri input, nel breve periodo quando non sono disponibili altre tecnologie di riduzione delle emissioni. Recuperi a valle (riutilizzo degli scarti) = sono interventi al termine del processo produttivo, realizzati riutilizzando le emissioni invece di smaltirle. Consente di ridurre sia le materie prime impiegate nel processo, sia le emissioni totali rilasciate nell’ambiente esterno. Incrementi di efficienza (nel processo produttivo, minimizzazione dei rifiuti e delle emissioni) = si tratta di ottimizzare il processo produttivo, operando a diversi livelli: riducendo l’ammontare di energia richiesto, oppure aumentando l’efficienza della trasformazione dei materiali dalla materia prima al prodotto finito, ottenendo un riduzione degli output utilizzati. Sostituzione di materiali utilizzati nel processo produttivo (es.: ricorso a fonti rinnovabili) = questa strategia è volta a ridurre il potenziale impatto ambientale di una emissione piuttosto che ridurne la quantità prodotta. Radicale ridisegno del processo produttivo = è possibile ridurre l’impatto ambientale modificando i processi produttivi, introducendo nuovi processi o sostituendo particolari fasi della produzione. 2) Cambiamenti nei prodotti Mutamenti nei materiali che compongono il prodotto (senza mutare il disegno di base del prodotto stesso) Ridisegno del prodotto per limitarne l’impatto ambientale del processo produttivo Ridisegno del prodotto per ottenere un minore impatto ambientale nell’uso dello stesso Ridisegno del prodotto per accrescerne la recuperabilità e ridurne di conseguenza gli impatti negativi a fine vita Ridisegno della durabilità del prodotto 3) Ridisegno radicale dell’insieme produzione consumo = ridisegno sia dei processi sia dei prodotti allo stesso tempo. Si tratta di partire da una particolare classe di processi o prodotti, dalla rete interconnessa di attività di produzione e consumo volta a soddisfare un determinato bisogno umano. L’applicazione dei principi dell’ecologia industriale ha portato numerosi risultati positivi. Abbiamo comunque dei limiti: il primo è rappresentato dalla finitezza delle risorse non rinnovabili e dai tassi di erogazione di quelle rinnovabili che sono fissi e non possono essere accellerati. Il secondo limite riguarda le effettive possibilità di riciclo: le risorse non rinnovabili possono essere non riciclabili o riciclabili ma nel caso di riciclaggio ci sono dei limiti in quanto richide grosse quantità di energia. 15 WATER FOOTPRINT = indicatore di contabilità ambientale in termini fisici, misura la quantità di acqua utilizzata nelle diverse fasi di produzione di un bene. Negli anni ’70 venne proposta un’espressione per spiegare quantitativamente i cambiamenti negli impatti ambientali e le forze che sono alla base di tali cambiamenti: I = P x A x T, dove: I rappresenta la quantità totale di impatti ambientali in una certa regione. P indica la popolazione misurata in abitanti: all’aumentare della popolazione, a parità degli altri fattori, gli impatti locali crescono perché più persone consumano. A è l’iniziale di affluence e quantifica i consumi pro capite. T rappresenta il fattore tecnologico e indica l’impatto ambientale generato per produrre una unità di bene consumato. L’equazione IPAT può aiutare a comprendere e districare le diverse dinamiche. Permette di quantificare gli usi di risorse rinnovabili e servizi naturali in termini di ettari di ecosistemi utilizzati dalle diverse popolazioni per soddisfare i propri consumi. SISTEMA URBANO: È importante considerare anche il metabolismo dei sistemi urbani, essi sono presenti in tutti i continenti e oggi più della metà della popolazione planetaria vive in città e tale percentuale è destinata a crescere. La differenza tra ecosistemi naturali e i sistemi socio-economici è massima nelle città: secondo Odum, il sistema urbano si distingue dagli ecosistemi per il fatto di essere un sistema incompleto e dipendente da ampie aree limitrofe per l’energia, il cibo, le fibre, l’acqua e gli altri materiali. Odum evidenzia che la città è caratterizza da: - Un metabolismo molto più intenso per unità di area, che richiede un flusso in entrata molto più consistente di energia concentrata. - Una grande richiesta di materie in entrata per gli abitanti e da destinare alla produzione industriale. - Un’uscita molto più elevata di sostanze di rifiuto, spesso difficilmente biodegradabili o ad alta tossicità. Odum arriva a definire la città moderna come un vero “parassita dell’ambiente rurale” dato che le aree urbane non sono in grado di produrre la biomassa necessaria al proprio sostentamento, di estrarre i minerali necessari alle diverse produzioni e di purificare l’aria, l’acqua e gli altri scarti che producono. L’ecosistema urbano è quindi un sistema in costante squilibrio energetico e di materia nei confronti di un ambiente esterno che è diventato sempre più esteso. CAPITOLO 3 – I FENOMENI DI DEGRADAZIONE DELL’ AMBIENTE Il metabolismo socio-economico delle società attuali, caratterizzato dell’estrazione di risorse naturali, dalla loro movimentazione e lavorazione e dall’emissione dei diversi prodotti di scarto e rifiuti, ha prodotto numerosi fenomeni di degradazione dell’ambiente. Tra i più importanti ricordiamo: - L’inquinamento (atmosferico, idrico, del suolo, di natura fisica tipo le radiazioni) - La deforestazione 16 - La degradazione del suolo e la desertificazione - La perdita di biodiversità - La riduzione dello zono stratosferico - Il cambiamento climatico - Alterazione di numerosi cicli biogeochimici. INQUINAMENTO Con questo termine si indica l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento di beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi (Direttiva UE 2008). Le attuali politiche ambientali tendono a prevenire, ridurre ed eliminare, per quanto possibile, l’inquinamento intervenendo innanzitutto alla fonte, e garantendo una gestione accorta delle risorse naturali, nel rispetto del principio “chi inquina paga”. INQUINAMENTO ATMOSFERICO Si intende lo stato della qualità dell’aria conseguente all’immissione di sostanze di qualsiasi natura in misura e condizioni tali da alterarne la salubrità e da costituire pregiudizio diretto o indiretto per la salute dei cittadini o danno ai beni pubblici o privati. Gli inquinanti atmosferici possono essere primari, ossia liberati nell’ambiente come tali, o secondari, quando si formano successivamente in atmosfera attraverso reazioni chimico- fisiche, come l’ozono. Sono distinti in due gruppi principali: inquinanti di origine antropica e inquinanti naturali. I principali inquinanti sono il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo e azoto, il benzene, l’ozono, il particolato. I modi con i quali tali sostanze sono prodotte e liberate sono molti e diversi. Le conseguenze dell’inquinamento atmosferico si riscontrano sia sulla salute umana sia sull’ambiente stesso. Gli inquinanti atmosferici concorrono alla formazione di alcuni fenomeni come: smog fotochimico (dovuto all’azione di ossidi di azoto, ossidi di carbonio, ozono e altri composti organici volatili sotto l’azione della radiazione solare), l’effetto serra e le piogge acide. INQUINAMENTO IDRICO Le cause principali dell’inquinamento idrico sono: scarichi urbani, scarichi industriali e attività agricole. Le principali conseguenze sono rappresentate dai fenomeni di consumo di ossigeno, eutrofizzazione (azione fertilizzante che provoca l’aumento del fitoplancton), effetti fisici e meccanici, tossicità ed effetti patogeni. INQUINAMENTO DEL SUOLO La contaminazione del suolo può causare profonde alterazioni dei suoi squilibri chimici e biologici. È causato dell’utilizzo di pesticidi e altre sostanze tossiche in agricoltura; dallo scarico diretto di sostanze inquinanti da parte di industri e dalle attività estrattive. Le sostanze chimiche più comuni sono: metalli pesanti (piombo, cromo, rame, zinco…), diossine e furani, pesticidi, fertilizzanti, solventi e idrocarburi. I principali effetti di questo tipo di inquinamento sono: ❖ Alterazione dell’ecosistema suolo, attraverso la modificazione degli equilibri 17 chimico, fisico e biologico del suolo. ❖ Passaggio dell’inquinamento dal suolo alle falde acquifere sottostanti ❖ Contaminazione globale, causata dall’immissione di inquinanti nel suolo. I suoli contaminati possono essere recuperati attraverso procedimenti di bonifica. INQUINAMENTO DI NATURA FISICA Forme di inquinamento così denominate perché causate dall’esposizione ad agenti fisici che interagiscono con l’individuo e si propagano nell’ambiente: radiazioni ionizzanti, campi elettromagnetici, rumore, vibrazioni, inquinamento luminoso e radiazioni UV. ❖ Radiazioni ionizzanti: generata da materiale radioattivo; ❖ Inquinamento acustico: insieme dei rumori prodotti in un determinato contesto spazio-temporale, tale da porre in pericolo la salute di chi li percepisce e a compromettere la qualità dell’ambiente; ❖ Inquinamento elettromagnetico ❖ Inquinamento luminoso: consiste nell’alterazione della quantità naturale della luce presente nell’ambiente notturno provocata dall’immissione di radiazioni luminose di origine antropica. DEFORESTAZIONE Le foreste sono la componente centrale dei cicli biogeochimici e la fonte dei servizi ecologici essenziali per il benessere degli esseri umani. Con il termine deforestazione si intende la conversione di foreste ad altri utilizzi del terreno o la riduzione di lungo termine del tasso di copertura delle chiome sotto la soglia del 10%. Tali processi hanno determinato una diminuzione sia nell’estensione sia nella qualità delle foreste. Foreste primarie: non sono mai state tagliate o che, una volta ricresciute, non sono state alterate dalle attività umane o da disastri naturali. Forniscono nicchie ecologiche per una moltitudine di animali selvatici, presentano molti tronchi morti ancora piantati nel suolo che forniscono habitat e rifugi per molte specie. Foreste secondarie: risultano dalla ricrescita della vegetazione in seguito alla rimozione degli alberi a causa di attività umane o disastri naturali. Alcune zone di foresta secondaria sono state convertite in capi coltivati o in coltivazioni arboree. Si tratta di piantagioni o boschi artificiali formati da alberi della stessa altezza, età e specie, tagliati e ripiantati a cicli regolari. Il taglio di ampie zone forestali implica anche una drastica diminuzione delle precipitazioni medie annue a livello locale e quindi un microclima maggiormente caldo e asciutto, fattore che favorisce il fenomeno della desertificazione. La desertificazione può avere cause: DIRETTE ▪ Espansione agricola: sempre più coltivatori si concentrano in determinate aree di foresta, convertendole ad aree agricole rivolte a fini commerciali e di sussistenza. ▪ Estrazione del legname ▪ Realizzazione di infrastrutture ▪ Incendi 18 INDIRETTE ▪ Aumento attività economiche ▪ Rapida crescita demografica ▪ Bassa consapevolezza del valore delle foreste ▪ Densità di popolazione ▪ Immigrazione ▪ Instabilità politica Negli ultimi anni la stabilizzazione della superficie forestale nella fascia temperata ha favorito la deforestazione ai tropici. La questione foreste ha rappresentato un tema controverso nel 1992 alla Conferenza su Ambiente e Sviluppo delle Nazioni Unite, che fallì nel raggiungere un accordo. Fu invece promossa la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste, documento non vincolante che definisce differenti azioni per la salvaguardia del patrimonio forestale e che fu da stimolo per una serie di iniziative a livello internazionale. La Commissione mondiale sulle Foreste e lo Sviluppo Sostenibile (1999) ha lavorato perché si sviluppassero pratiche per una cosiddetta “gestione sostenibile delle foreste”, definibile come la capacità di mantenere o aumentare il contributo delle foreste al benessere umano. Tuttavia, le politiche di gestione sostenibile delle foreste non sono ancora riuscite a mitigare in maniera apprezzabile i trend negativi che contraddistinguono le foreste del pianeta, specialmente quelle tropicali. DEGRADAZIONE DEL SUOLO E LA DESERTIFICAZIONE Per suolo si intende lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da componenti minerali, organici, acqua, aria e organismi viventi. Esso rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua, e ospita gran parte della biosfera. Le sue funzioni sono molteplici ed essenziali per gli equilibri ecologici: per esempio, determina il tipo di coltura che può essere ospitata e svolge un ruolo come habitat, salvaguarda le acque sotterranee le acque sotterranee dall’inquinamento ecc. Vista l’importante le funzioni dovrebbero essere tutelate, invece spesso sono limitate o impedite da processi di degradazione del suolo. Il degrado del suolo è spesso causato dalle attività umane. Il risultato è minor fertilità del suolo, una capacità inferiore di trattenere l’acqua ecc. Le principali minacce alle funzioni del suolo sono: Compattazione, che altera in modo profondo la porosità del suolo e le sue proprietà ideologiche. Diminuzione della sostanza organica, che si innesca con l’erosione del suolo e quindi con il distacco delle particelle superficiali di terreno ricche di sostanze organiche, riducendo la fertilità del suolo. Perdita di biodiversità, i suoli contengono organismi capaci di degradare gli agenti inquinanti e di svolgere il ruolo di antagonisti naturali a organismi dannosi e malattie. Salinazione, consiste nell’accumulo di sali nel suolo fino a impedire lo sviluppo delle colture. Erosione idrica, consiste nella perdita dello strato più superficiale del terreno a causa dell’azione dell’acqua piovana o del vento. 19 Impermeabilizzazione, la copertura del territorio con materiali impermeabili impedisce parzialmente o totalmente le funzioni vitali del suolo. Contaminazione: può essere diffusa quando interessa aree molto vaste e consiste nell’insieme di fenomeni che apportano al suolo sostanze inquinanti, oppure può essere puntuale, quando è causata da perdite e sversamenti industriali, da una non corretta gestione dei rifiuti ecc. I numerosi processi di degrado descritti possono concorrere allo sviluppo del complesso fenomeno della desertificazione, ovvero il degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause fra cui le variazioni climatiche e le attività antropiche. Le cause antropiche sono rappresentate dal sovrasfruttamento delle risorse idriche, dagli incendi, dall’agricoltura intensiva, dalla zootecnica, dall’urbanizzazione, dal turismo, dalle discariche e dalle attività estrattive. Fra le cause naturali hanno un ruolo importante le variazioni climatiche, la siccità e l’erosività della pioggia. Data l’importanza del suolo e la necessità di evitarne l’ulteriore degrado, oltre a varie politiche comunitarie che aiutano a difenderlo, l’Europa ha adottato la Strategia tematica per la protezione del suolo (2006) al fine di aprire la strada alla creazione di uno strumento legislativo che affronti meglio il tema. PERDITA DI BIODIVERSITÀ Per diversità biologica o biodiversità si intende la varietà della vita sulla Terra. Non esiste un concetto univoco di biodiversità, per questo è possibile individuare tre livelli interpretativi/scale: Biodiversità genetica: relativa alle differenze esistenti a livello genetico, tali da rendere diversi fra loro gli individui all’interno di una data specie; Biodiversità specifica: relativa alla diversità tra specie che popolano un dato ambiente; Biodiversità ecosistemica: relativa alla complessità di un ecosistema e delle relazioni esistenti tra le sue componenti. La biodiversità rappresenta quindi il patrimonio naturale vivente del pianeta, alla base della nostra stessa sopravvivenza e del nostro benessere. Le componenti ambientali biotiche forniscono una fonte insostituibile di risorse per l’uomo: ossigeno per la respirazione, cibo per il nutrimento, fibre naturali per i tessuti, materie prime per la produzione di energia e medicinali. Gli stessi servizi ecologici essenziali sono sostenuti dalla biodiversità. La varierà biologica rappresenta inoltre un sistema di “emergenza”, capace di assicurare la sopravvivenza degli organismi viventi rispetto ai cambiamenti locali e globali. Al contrario la perdita e l’impoverimento della biodiversità possono alterare gli equilibri degli ecosistemi, con il rischio di innescare un processo di degrado tale da coinvolgere l’intero pianeta. Nel corso della storia sono sempre esistiti periodi critici per la biodiversità, ma si stima che la scomparsa della biodiversità biologica non sia mai stata così rapida. Le cause determinanti della perdita di biodiversità risiedono nell’impatto delle attività umane e nella crescente richiesta di risorse e servizi naturali da parte del sistema socio-economico, al fine di sostenere la produzione, il consumo e il commercio di prodotti e servizi. Le minacce antropologiche alla biodiversità sono raggruppate nelle seguenti categorie: 20 Perdita, frammentazione o trasformazione di habitat: sono dovute all’abbattimento delle foreste o alla distruzione delle zone naturali per spazio ad attività agricole, pascoli, aree industriali ecc. Sovrasfruttamento delle specie: le cause principali sono rappresentate dall’attività venatoria e della pesca, alle quali si aggiungo i fenomeni di bracconaggio e di pesca illegale. Inquinamento Diffusione di specie o geni invasivi: dovuta all’introduzione volontaria o fortuita, in un dato territorio, di un organismo non originario di quell’area, perché importato da altre zone o perché geneticamente modificato (OGM). Cambiamenti climatici Importanti sono le relazioni tra fenomeno della deforestazione e la perdita di biodiversità poiché, specialmente ai tropici, l’avanzare della prima comporta impatti negativi sulla biodiversità. Le preoccupazioni riguardanti la perdita di biodiversità e il riconoscimento del suo ruolo fondamentale nel supportare la vita umana, ha spinto alcuni Paesi, tra cui l’Italia, ad aderire alla Convenzione sulla Diversità Biologica, adottata a Rio nel 1992. Gli obiettivi prefissati sono in particolare 3: 1. La conservazione della diversità biologica 2. L’uso sostenibile delle sue componenti 3. L’equa divisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. In ambito europeo due sono le Direttive fondamentali per la conservazione della biodiversità: Direttiva Uccelli: per la protezione degli uccelli selvatici Direttiva Habitat: sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e fauna selvatiche. Ha come obiettivo anche la creazione di una rete ecologica europea, denominata Rete Natura 2000, costituita da zone speciali di conservazione (ZSC) e dalle zone di protezione speciale (ZPS) Nell’ambito italiano il riferimento di base per la conservazione della biodiversità è la Legge quadro sulle aree protette del 1991, alla quale si affiancano vari provvedimenti volti alla tutela della fauna e della flora, alla regolamentazione della caccia, alla protezione delle specie marine, alla tutela del patrimonio forestale ecc. Il testo detta i principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese. Le principali categorie di aree protette sono: Parchi nazionali, parchi naturali regionali e interregionali, riserve naturali; Zone umide di importanza internazionale, disciplinate dalla Convenzione Ramsar; Zone di protezione speciale; Zone speciali di conservazione; Altre aree naturali protette (parchi suburbani, oasi delle associazioni ambientaliste…). RIDUZIONE DELL’ OZONO STRATOSFERICO È uno strato di gas che si trova a circa 15 km al di sopra della superficie terrestre. Esso è un gas tossico, ma riveste un ruolo fondamentale nella protezione di tutti gli esseri viventi dai raggi ultravioletti provenienti dal sole. Il fenomeno della riduzione dell’ozono stratosferico interessa sia 21 gli aspetti riguardanti la protezione sanitaria della popolazione sia le interconnessioni con i cambiamenti climatici. Nel 1985 si inizia a parlare di buco dell’ozono, quando, attraverso le immagini da satellite fu scoperta una forte diminuzione dell’ozono stratosferico al di sopra dell’Antartide. Non si tratta però di un vero e proprio buco, ma di un assottigliamento dei normali livelli di ozono presenti nella stratosfera, iniziato nei primi anni Settanta. Le cause naturali della variazione dell’ozono sono legate principalmente all’attività solare (macchie solari), alle variazioni del vento solare e alle variazioni del flusso solare incidente sull’alta atmosfera terrestre, ad anomalie metereologiche e alle interazioni energetiche tra stratosfera e troposfera. La causa determinante è rappresentata dalle attività umane, in particolare, dall’emissione di composti chimici dannosi per l’ozono →clorofluorocarburi: gas inventati negli anni Venti e abbondantemente utilizzati soprattutto come refrigeranti per impianti frigoriferi e condizionatori d’aria. Per evitare l’ulteriore immissione in atmosfera di questi componenti le nazioni industrializzate firmarono la Convenzione di Vienna al fine di vietare progressivamente l’uso dei CFC. Nel 1987 fu firmato il protocollo di Montreal, entrano in vigore nel 1989. Gli obiettivi previsti dal protocollo di Montreal sono a rischio per diversi fattori: Assoggettamento agli obblighi da parte dei Paesi in via di industrializzazione; Produzione e utilizzo di sostanze pericolose da parte della Russia, anche se firmataria del Protocollo; Esistenza di un mercato nero delle sostanze pericolose, alimentato in particolare dalle industrie attive in Cina, India e Russia. I provvedimenti presi non rappresentano tuttavia la soluzione definitiva al problema, in quanto i gas sono persistenti. La legislazione italiana, sulle orme dei regolamenti europei, ha definito i tempi di eliminazione progressiva, dell’utilizzo, produzione, commercializzazione, importazione ed esportazione delle sostanze considerate lesive dell’ozono stratosferico. IL CAMBIAMENTO CLIMATICO Per cambiamento climatico l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico- voluto dalle Nazioni Unite) intende un qualsiasi cambiamento del clima nel tempo, dovuto alla variabilità naturale o come risultato di attività umane. Invece, la definizione dell'UNFCC restringe il significato a quei cambiamenti attribuibili direttamente o indirettamente all'attività umana, causati da alterazioni della composizione globale dell'atmosfera, che si aggiungono alla variabilità naturale osservata del clima per periodi di tempo comparabili. Nel 2007 è stato approvato il Quarto Rapporto di Valutazione dell'IPCC e le principali conclusioni del documento sono: Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile Tale riscaldamento è molto probabilmente dovuto all'aumento delle concentrazioni di gas serra di origine antropica. Le analisi effettuate dal Rapporto evidenziano che il riscaldamento del sistema climatico dell'ultima metà del secolo sia inusuale e ciò è dimostrato dai dati disponibili sui seguenti principali fenomeni: Aumento delle temperature medie globali dell'aria e degli oceani Scioglimento diffuso di neve e ghiaccio 22 Innalzamento del livello del mare medio globale In entrambi gli emisferi si è assistito a una progressiva diminuzione dei ghiacciai montani e delle calotte polari della copertura nevosa. Anche tali scioglimenti hanno contribuito all'innalzamento del livello del mare. Oltre a questi fenomeni principali sono stati osservati numerosi altri cambiamenti del clima nel lungo periodo, sia alle scale continentali, sia alle scale regionali. In particolare si riscontrano: Siccità più lunghe e più intense in aree sempre più estese a partire dagli anni Settanta Aumento di periodi secchi Venti occidentali più intensi alle medie latitudini a partire dagli anni Sessanta Maggiore frequenza di forti precipitazioni Aumento dell'attività dei cicloni tropicali intensi nel Nord Atlantico e in altre regioni a partire dal 1970. Un'importante conclusione del Rapporto dell'IPCC sostiene che la maggior parte dell'aumento delle temperature medie globali della metà del XX secolo è molto probabilmente dovuta all'aumento delle concentrazioni di gas serra di origine antropica. A questo è connesso il fenomeno dell'effetto serra, per cui l'atmosfera si comporta come una serra, che lascia penetrare luce e trattiene calore, meccanismo che permette una temperatura media per tutto il globo di circa 15°C. I principali gas serra sono il biossido di carbonio, il metano e l'ossido nitroso. Contribuiscono inoltre altri gas presenti in quantità minori nell'atmosfera, come l'ozono e il CFC, generati da diversi processi industriali. Molti sistemi naturali stanno risentendo dei cambiamenti climatici regionali; gli effetti dei cambiamenti climatici, però, si osservano anche sulla salute e sulle attività umane. Sintetizzando, i principali impatti sull'ambiente naturale e umano dovuti ai cambiamenti climatici in atto sono i seguenti: Incremento della temperatura Innalzamento del livello dei mari Scioglimento di ghiacciai, calotte glaciali e banchisa polare Variazioni nelle precipitazioni, con incremento dell'intensità e della frequenza dei fenomeni estremi Maggior rischio di alluvioni e siccità, perdita di biodiversità, pericoli per la salute umana Danni a settori economici legati all'energia, ai trasporti, alla silvicoltura, all'agricoltura e al turismo. Secondo le proiezioni sugli impatti futuri, i fenomeni descritti sono destinati a peggiorare. Anche se gli impatti dei cambiamenti climatici varieranno a seconda delle regioni, complessivamente imporrano costi economici e sociali che aumenteranno nel tempo con l'innalzamento delle temperature globali. Durante la Conferenza di Rio del 1992, 145 Paesi sottoscrissero la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, finalizzata a stabilire la concentrazione dei gas serra in atmosfera. I principali impegni furono il monitoraggio delle emissioni di gas serra, la definizione di piani nazionali per mitigare il cambiamento climatico, lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie ecologiche, lo 23 sviluppo della ricerca e lo scambio di informazioni, la promozione di corsi professionali e della sensibilizzazione sul tema dei cambiamenti climatici. Da allora, periodicamente le parti si incontrano nella Conferenza delle Parti (COP); nella sessione del 1997 in Giappone è stato adottato il Protocollo di Kyoto, che fissa obiettivi di emissione vincolanti per i Paesi industrializzati che l'hanno ratificato. Per contrastare e reagire al cambiamento climatico, sono necessari due tipi di strategie, cosiddette di "mitigazione" e "adattamento". Le strategie di mitigazione agiscono sulle cause dei cambiamenti climatici, e sono volte soprattutto alla riduzione delle emissioni di gas serra. Accanto alle politiche di mitigazione è comunque fondamentale prevedere anche programmi di adattamento, che agiscono sugli effetti dei cambiamenti climatici. ALTERAZIONE DI NUMEROSI CICLI BIOGEOCHIMICI La vita sulla Terra dipende da determinate condizioni ed è basata su scambi altamente organizzati di materia ed energia tra gli organismi e il loro ambiente. Per quanto riguarda la materia, la biosfera è un sistema chiuso: esclusi apporti eccezionali, la quantità degli elementi chimici sulla Terra può essere ritenuta costante nel tempo. Di conseguenza, il pianeta è caratterizzato da un continuo riutilizzo degli elementi naturali. Esiste quindi un costante riciclo di materia tra componenti biotici e abiotici, i quali rappresentano i fattori fisici e chimici che influenzano gli organismi viventi. Gli elementi chimici, detti anche nutrienti, sono presenti in diversa misura nei vari organismi. La circolazione dei nutrienti tra le componenti viventi e quelle non viventi rappresenta una delle funzioni più importanti degli ecosistemi. Poiché tale circolazione coinvolge organismi viventi, processi geologici e processi chimici, i cicli che ne risultano sono chiamati cicli biogeochimici. Il ciclo biogeochimico è quindi un percorso, attraverso l'ambiente fisico e biologico, seguito in natura da ogni singola sostanza essenziale alla vita. Fra i principali cicli biogeochimici sono da ricordare quello del carbonio, quello dell'acqua, dell'azoto e del fosforo. Ognuno è caratterizzato da processi peculiari, con i quali ovviamente le attività umane interferiscono, determinando alterazioni e relative conseguenze nei cicli stessi. Si possono distinguere cicli atmosferici e cicli sedimentari a seconda che i nutrienti si accumulino principalmente in atmosfera e negli oceani oppure nelle rocce sedimentarie e altri tipi di rocce. I cicli possono essere inoltre perfetti, se comprendono i tre comparti della biosfera/atmosfera, litosfera e idrosfera, o imperfetti. L'energia non può essere riciclata: essa attraversa i sistemi in modo unidirezionale ed è convertita da forme concentrate di alta qualità a forme disperse e meno utilizzabili di bassa qualità. Negli ecosistemi, il processo di fotosintesi clorofilliana converte l'energia solare in energia chimica disponibile per il metabolismo degli organismi. Il trasferimento di energia e di nutrienti da un organismo all'altro avviene attraverso la catena alimentare, ossia la sequenza di organismi, ciascuno dei quali rappresenta una fonte di cibo per il successivo. CICLO DELL'ACQUA L’acqua è il principale mezzo di trasporto dei nutrienti all’interno degli ecosistemi o fra di essi, in quanto è un solvente per molti composti. Il ciclo idrologico è di fondamentale importanza anche per gli altri cicli biogeochimici. I principali processi di riciclo e purificazione dell’acqua sulla Terra sono: 24 Evaporazione: trasformazione dell’acqua in vapore acqueo ad opera dell’energia solare; Traspirazione: evaporazione dell’acqua dalle radici alle foglie delle piante; Trasporto del vapore acqueo in varie parti della superficie terrestre da parte dei venti; Condensazione: vapore acqueo trasformato in goccioline d’acqua; Precipitazioni Infiltrazione: spostamento dell’acqua nel suolo; Percolamento: flusso dell’acqua nel suolo; Scorrimento superficiale: ritorno verso fiumi, laghi ecc. CICLO DEL CARBONIO Carbonio è l’elemento più tipico dei sistemi biologici. Esso è estratto dal biossido di carbonio dell’atmosfera ed è utilizzato dalle piante e dal fitoplancton, attraverso la fotosintesi clorofilliana. Al termine del ciclo, tramite i processi di respirazione e di decomposizione degli organismi, una parte dell’anidride carbonica è nuovamente liberata nell’atmosfera; un’altra parte invece rimane nel suolo. Il ciclo è suddiviso in due sottocicli, uno sulla terraferma e uno nel mare che hanno in comune l’atmosfera come serbatoio di anidride carbonica. CICLO DELL'AZOTO È il più complesso dei cicli biogeochimici della Terra. L’azoto molecolare non può essere assorbito e usato direttamente come nutriente dalle piante pluricellulari e dagli animali. Le piante riescono in fatti ad assimilare l’azoto inorganico solo se è presente sotto forma di ammoniaca o nitrati, mentre gli animali se lo procurano dalle piante o dagli erbivori. La conversione dell’azoto, in composti (ammoniaca e nitrati) che possono entrare nelle reti alimentari, è effettuata da: fulmini, batteri presenti nelle acque e nel suolo. Successivamente i nitrati, assimilati dalle piante verdi e trasformati in composti organici dell’azoto entrano nella dieta animale. Anche questo ciclo subisce alterazioni a causa delle attività umane, che hanno più che raddoppiato la quantità dell’azoto negli ecosistemi terrestri e marini: ad esempio, piogge acide, disboscamento e bruciando le praterie, immissione in atmosfera di grandi quantitativi di ossidi di azoto durante le combustioni ecc. CICLO DEL FOSFORO Permette lo spostamento del fosforo attraverso l’acqua, la crosta terreste e gli organismi viventi. Il fosforo diventa disponibile per gli organismi viventi attraverso la degradazione delle rocce e l’esposizione dei sedimenti degli oceani poco profondi. L’alterazione del ciclo da parte dell’uomo è dovuta a varie attività: estrazione di grandi quantità di minerali fosfatici per produrre fertilizzanti inorganici e detergenti, i quali raggiungono poi i laghi, fiumi ecc.; alla riduzione del fosforo disponibile nelle foreste tropicali a causa della rimozione delle piante. Lo studio dei cicli biogeochimici e delle cause e conseguenze delle alterazioni dovute all’uomo ci forniscono un importante insegnamento: quasi tutti gli ecosistemi naturali si basano sui seguenti principi: 25 Utilizzo dell’energia solare come propria fonte di energia (rinnovabile); Riciclo di nutrienti, essenziali per il metabolismo degli organismi viventi. Questi due principi fondano la loro stessa necessità sulla struttura e sulla funzione degli ecosistemi naturali, sulla legge di conservazione della materia e sulle leggi dell’energia, e rappresentano delle linee guida o “suggerimenti” della natura su come l’umanità possa vivere in maniera più sostenibile sulla Terra. IL PROBLEMA DEMOGRAFICO Secondo molti studiosi, quello demografico rappresenterebbe il principale problema ambientale. Con la crescita della popolazione, gli esseri umani stanno infatti sfruttando una percentuale sempre più elevata di risorse offerte dalla biosfera. Questo provoca una continua trasformazione del territorio, l’alterazione dei cicli biogeochimici e la modificazione della biodiversità. Negli ultimi 50 anni le idee sul rapporto tra popolazione e sviluppo economico, diritti umani e protezione dell’ambiente sono notevolmente evolute e sono state affrontate per la pria volta in maniera organica a livello internazionale nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e Sviluppo istituita dall’ONU. Il rapporto finale affermò che nel lungo periodo i tassi di crescita della popolazione non sarebbero stati sostenibili rispetto all’ammontare delle risorse naturali per sostenerla. Il più importante momento di confronto sulla questione demografica è rappresentato dalla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo, tenutasi al Cairo nel 1994, e organizzata dall’UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Riconosce la necessità di prendere provvedimenti per sradicare la povertà e riconosce anche il delicato equilibrio tra popolazione e risorse naturali; sottolinea che la possibilità per la crescente popolazione di soddisfare i bisogni essenziale dispenda dalla salute egli ecosistemi. CAPITOLO 4 – RAPPRESENTARE L’ AMBIENTE A partire dagli anni sessanta, a causa delle problematiche ecologiche, è nata una esigenza conoscitiva in campo ambientale che è cresciuta inizialmente in campo internazionale per poi diffondersi anche a livello nazionale: l’informazione ambientale costituisce un supporto importante per attuare politiche ambientali e strategie di sviluppo sostenibile. Dalla fine degli anni 70 i diversi organismi internazionali e gli istituti statistici internazionali si sono impegnati per raccogliere informazioni in campo ambientale, per collegare le conoscenze del sistema naturale con quelle del sistema socio-economico. Gli studi si sono articolati in due direzioni: la raccolta di informazioni quantitative sull’ambiente, che poi vengono fatte confluire in specifici rapporti sullo “stato dell’ambiente”. lo studio e l’applicazione di metodologie e di modelli di integrazione della component ambientale nei conti economici nazionali, sia con l’introduzione dei cosiddetti “conti satellite” sia attraverso lo sviluppo di sistemi di contabilità ambientale paralleli definiti in unità fisiche. È importante la conoscenza sull’ambiente, a tutte le scale geografiche, a cui si cerca di rispondere con vare attività strutturate, designate come reporting ambientale. Questa dicitura raccoglie un 26 materia organica persa durante il raccolto e i processi produttivi che trasformano la materia prima fino al prodotto finale. - Analisi eMergetica (energia incorporata), si basa sul concetto di energia (interpretato da un punto di vista fisico e biologico) per riportare a un denominatore comune le diverse pressioni antropiche eserciate sull’ambiente. Essa stima la quantità di natura utilizzata per produrre un certo bene o servizio economico andando a conteggiare i differenti servizi naturali coinvolti, direttamente e indirettamente, nella creazione del bene o servizio stesso, traducendone in unità eMergetiche, ossia nell’equivalente di energia solare che è stata necessaria, nel corso del tempo, per creare quel bene o prodotto. Rappresentare l’ambiente: una riflessione critica sugli indicatori Gli indicatori e le diverse metodologie sopra presentate per analizzare l’ambiente, non sono in grado di fornire informazione pure e oggettive, ma sono caratterizzati da vari livelli di soggettività, da assunzioni implicite, da scelte metodologiche. Le informazioni che producono disegnano una delle tante possibile rappresentazioni dell’ambiente. La parola rappresentare crea una riflessione critica sugli strumenti di analisi dell’ambiente. CAPITOLO 5 – L’EVOLUZIONE DEL RAPPORTO AMBIENTE-SVILUPPO Il rapporto ambiente-sviluppo ne sottende un altro più profondo che attraversa tutto il corso della storia umana: la relazione uomo-natura. Definendo provvisoriamente lo sviluppo come un concetto dinamico, implicante trasformazioni qualitative più che quantitative della società, allora lo studio del rapporto ambiente-sviluppo può essere concepito come l’esame delle evoluzione del rapporto uomo-natura nelle diverse fasi che la società umana ha attraversato. Le ambiguità dello sviluppo Il concetto di sviluppo è uno dei più ambigui di tutto il campo delle scienze sociali. In biologia, cosi come nel linguaggio comune, il termine sviluppo descrive un processo attraverso il quale vengono rilasciate le potenzialità di un oggetto o di un organismo, fino al pieno raggiungimento della sua forma naturale e completa. Esso viene usato per spiegare la naturale crescita degli animali e delle piante. Molta rilevanza assunse l’identificazione della crescita con l’idea di progresso; l’idea di progresso implica che la civiltà sia progredita o lo stia facendo, nella direzione desiderata. Lo sviluppo deve essere visto in termini qualitativi, mentre la crescita in termini quantitativi. IDEOLOGIA DELLA MODERNIZZAZIONE Presenta lo sviluppo come un processo che ricrea il mondo industriale: industrializzato, urbanizzato, capitalista ed etnocentrico. Si considera per esempio il modello di Rostow (5 stadi: tradizionale, pre- decollo, decollo, strada verso la maturità, consumi di massa). Le caratteristiche di questo approccio sono: fede nell’evoluzionismo sociale e culturale illimitatezza delle risorse naturali razionalità economica regola il sociale e i rapporti con la natura la crescita industriale è indispensabile per lo sviluppo Questo approccio per molto tempo sarà il paradigma dominante delle teoria dello sviluppo, il loro fondamento risiede nell’assunto che lo sviluppo economico assicuri il progresso sociale e il 32 benessere dell’uomo, questa impostazione darà ben presto luogo al Produttivismo.Dal legame con l’evoluzionismo sociale deriva un triplice riduzionismo: un solo modello di sviluppo (che ha come fini la società capitalistica avanzata dei consumi) il fine è la crescita economica il benessere consiste nel consumo e nell’accumulo di merci Lo sviluppo “alternativo” Negli anni 60-70 comincia a manifestarsi una crescente insoddisfazione verso i modelli di sviluppo “tradizionali”, pensati soprattutto in termini di “crescita”. Abbiamo una rottura netta del paradigma della modernizzazione e si passa a quello della Dipendenza, cioè l’idea secondo cui sviluppo e sottosviluppo sono processi correlati e la presenza dell’uno comporta l’esistenza dell’altro. A partire dai primi anni ’90 e agli inizi del nuovo millennio il concetto di sviluppo (e i suoi critici) hanno trovato nuovi spazi di confronto nell’ambito del dibattito sul concetto di globalizzazione, cioè l’interdipendenza economica, l’internalizzazione dei mercati e delle imprese, l’informatizzazione e l’accesso ad Internet, i fenomeni migratori su scala globale, l’interazione, la conoscenza e il confronto-scontro tra culture differenti ecc. Vi sono visioni critiche che hanno posto in evidenza almeno due dimensioni secondo le quali possono essere articolate le diverse concezioni dello sviluppo: - Dimensione positiva-normativa = attiene alla distinzione tra lo studio dello sviluppo cosi come si presenta in una realtà empirica (dimensione positiva) oppure come dovrebbe essere (dimensione normativa). La teoria dello sviluppo dovrebbe essere in grado di valutare fini e mezzi e di elaborare sistemi di valori verso i quali tendere nella realtà, invece che soffermarsi a una osservazione del reale cercando una conformità alle leggi e alla teoria. - Dimensione formale-sostanziale = si riferisce al tentativo di misurare lo sviluppo. A un approccio, quello formale, che concepisce lo sviluppo in termini universali e con indicatori quantificabili, si contrappone un approccio dove lo sviluppo comporta cambiamenti sociali di natura più qualitativa e meno prevedibile. La letteratura che si è occupata del rapporto ambiente-sviluppo evidenzia due posizioni presenti nel dibattito nel corso degli ultimi 30 anni e si sono affermate le seguenti politiche ambientali: - Frontier economics = è l’approccio prevalente in molti paesi fino alla fine degli anni 60 e viene utilizzato per sottolinearla necessità di passare da un atteggiamento dell’economia della frontiera a una prospettiva dell’economia della navicella spaziale. La natura viene considerata come sorgente di risorse fisiche e come deposito dell’attività di produzione e consumo, l’economia appare così separata dalla natura. Tale approccio viene indicato antropocentrico e tecnocentrico. In questa impostazione lo sviluppo viene inteso in termini quantitativi e coincide con la crescita economica e industriale. - Deep ecology = questo paradigma sintetizza nuovi e vecchi atteggiamenti filosofici circa la relazione tra natura e attività umane, considerando aspetti etici, sociali e spirituali, ipotizzando percorsi di sviluppo in armonia con la natura. Altri autori si rifanno a un’altra distinzione simile a quella precedente: - Tecnocentrismo = regolazione, gestione e utilizzo razionali sono le modalità che contraddistinguono il rapportarsi all’ambiente. 33 - Ecocentrismo = esprime le posizioni più radicali e utopistiche con una visione conservativa della relazione società-natura dove quest’ultima indica il come comportarsi e spiega perché dobbiamo comportarci così. Inoltre si sono collocati altri approcci (protezione ambientale, gestione delle risorse, sviluppo sostenibile) in una progressione che ha visto una crescente integrazione dei sistemi economici, ecologici e sociali nelle definizioni dello sviluppo. Approccio della riparazione/protezione ambiente= è un’evoluzione del paradigma della frontier economics (la principale strategia è quella di legittimare l’ambente come esternalità economica). Nel corso degli anni 60 si è evidenziato come nelle economie più industrializzate vi fossero gravi problemi causati dalla crescita economica e dall’ industrializzazione spinta; uno dei principali problemi era l’inquinamento. Tale approccio nasce come reazione al diffondersi degli effetti sull’ambiente e si percepisce la necessità di trovare un compromesso (trade-off) tra l’ecologia e gli imperativi della crescita economica. Nei primi anni Settanta il dibattito ambientale va spostando l’attenzione sul tema del rapporto tra ambiente e sviluppo, a tal proposito vi sono state due grandi conferenze relative ai problemi ambientali, la conferenza di Stoccolma (dove emergono i problemi ambientali su scala internazionale e globale e momento di concettualizzazione dei problemi ambientali) e quella di Rio de Janeiro. Inoltre è stato pubblicato un rapporto “I limiti dello sviluppo” da parte del Mit per il club di Roma, che evidenziava sia il problema dell’inquinamento, sia il problema del depuramento delle risorse del pianeta. Il rapporto del Mit è stato largamente criticato per le sue irrealizzate previsioni, basate su simulazioni che tendevano a sottovalutare gli effetti potenziali del cambiamento tecnologico, dalla sostituzione di nuove risorse e dei meccanismi dei prezzi. Dunque accanto all’approccio precedente si delinea un nuovo approccio, ancora oggi dominante, quello della gestione delle risorse e del rischio. Esso è basato su una estensione della logica economica neoclassica, risiede nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie per incrementare la conservazione delle risorse in generale e l’efficienza energetica in particolare. All’ambiente viene attribuito un valore economico e quindi le risorse naturali devono essere inserite nella contabilità 34 nazionale, considerando accanto alle risorse economiche tradizionali (lavoro, capitale, infrastrutture) il capitale naturale, di cui deve essere ottimizzato lo sfruttamento. A causa di eventi catastrofici di origine industriale, importante diventa anche la gestione del rischio ambientale, viene definito da un lato cosa è accettabile e dall’altro si combinano le azioni di prevenzione, di riparazione e di protezione del pubblico da eventi catastrofici (protezione civile). Il pensiero sullo sviluppo è segnato da due mode successive: dopo anni di dibattito della crescita equilibrata e squilibrata, l’industrializzazione, la dipendenza, i basic needs, l’interdipendenza, lo sviluppo umano, lo sviluppo sostenibile si è guadagnato il ruolo di paradigma di riferimento per le politiche ambientali e territoriali (paradigma politico). Sviluppo sostenibile: tale concetto nasce grazie al Rapporto Brutland e indica uno sviluppo che soddisfi bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni. Esso implica due concezioni: - Il concetto di “bisogni”, in particolare dei bisogni essenziali dei poveri della Terra, ai quali va data assoluta priorità nelle scelte delle politiche da adottare. - Il riconoscimento delle limitazioni imposte dello stato della tecnologia e dall’organizzazione sociale alla capacità ambientale di soddisfare esigenze presenti e future. Altra conferenza importante è stata quella di Rio de Janeiro, nel 1992, relativa all’ambiente e allo sviluppo, con l’obiettivo di definire uno schema di azione per condurre l’insieme dei paesi della terra su un percorso di sviluppo sostenibile individuando compiti e contributi di ciascuno. Inoltre si dovevano stabilire l’entità degli aiuti (finanziari, operativi, di trasferimento di tecnologie) che i Paesi industrializzati avrebbero destinato ai Paesi poveri che avessero accettato di rendere le proprie economie compatibili con l’ambiente. Tale conferenza lanciò il concetto di sviluppo sostenibile. Altra conferenza avvenuta 10 anni dopo, nel 2002, è stata quella di Johannesburg, relativa allo sviluppo sostenibile, finalizzato a monitorare e valutare i progressi compiuti in dieci anni sulla strada della sostenibilità. Essa si basò sulla centralità del carattere inter-generazionale dello sviluppo. AGENDA 21 = approvata dalla Conferenza di Rio de Janeiro, rappresenta il programma d'azione dei governi per il ventunesimo secolo ed è il più rilevante documento programmatico. Si tratta di una raccolta di intenzioni, purtroppo non vincolanti e quindi priva di sanzioni in caso di inadempienza. Il documento si articola in 4 sezioni (dimensioni economiche e sociali, conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo, rafforzamento del ruolo delle forze sociali, strumenti di attuazione) e in 40 capitoli. Gli argomenti trattati riguardano le azioni contro la povertà, il problema demografico, i modelli di consumo, il problema del debito e quello delle spese militari, i temi della conservazione delle foreste, dell'approvvigionamento delle acque, i problemi dell'attuazione di un'agricoltura sostenibile nei PVS. I differenti profili della sostenibilità La crescita è intesa come un fattore quantitativo, misurabile con il reddito pro-capite, invece il termine sviluppo è di tipo qualitativo non solo dell'economia, ma di tutti gli aspetti della sfera sociale. Anche la sostenibilità deve essere vista come una pluralità di componenti, pensando allo sviluppo sostenibile come a un insieme di obiettivi costituito: 35 dall'integrità dell'ecosistema: occorre evitare che l'ecosistema subisca delle trasformazioni strutturali e irreversibili per effetto dell'azione umana. dal perseguimento dell'efficienza economica: in senso ecologico, ed è tanto più alta quanto più ridotto è l'uso delle risorse non rinnovabili e tanto più intenso è quello delle risorse non rinnovabili. dal principio di equità sociale, sia all'interno di una comunità (equità intragenerazionale), sia rispetto alle generazioni future (equità intergenerazionale, che caratterizza lo sviluppo sostenibile e cioè la s

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