Psicologia della Percezione - Appunti PDF

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Bruna Dante

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psicologia della percezione teorie della percezione organizzazione percettiva psicologia

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Questi appunti trattano modelli teorici della percezione, esplorando le prospettive empiristiche, della Gestalt, del New Look e della percezione diretta. Vengono descritti principi di organizzazione percettiva, come vicinanza, somiglianza, chiusura e continuità di direzione, e il ruolo dell'attenzione in questi processi. L'obiettivo è di comprendere la complessità della percezione come processo di rielaborazione e interpretazione degli input sensoriali.

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PSICOLOGIA DELLA PERCEZIONE Prof.ssa Bruna Dante Modulo 1 MODELLI TEORICI DELLA PERCEZIONE -Primi studi e correnti di pensiero. Percepire = catturare informazioni dall’ambiente e...

PSICOLOGIA DELLA PERCEZIONE Prof.ssa Bruna Dante Modulo 1 MODELLI TEORICI DELLA PERCEZIONE -Primi studi e correnti di pensiero. Percepire = catturare informazioni dall’ambiente esterno e attribuirgli un senso. Percezione = il risultato di una serie di processi complessi che si realizzano nel nostro cervello in modo automatico e implicito. La relazione fra l’individuo e il mondo esterno è resa possibile grazie alla funzione percettiva. Questo è oggetto di interesse per molti studiosi. Von Helmholtz, tedesco, 1867: Teoria Empiristica. È sulla base dell’esperienza e dell’apprendimento che è possibile percepire il mondo, le persone, gli oggetti, con i quali entriamo in contatto abitualmente. È importante l’esperienza passata. Da questa derivano i nostri contatti con il mondo che a loro volta danno vita alle sensazioni elementari. Le sensazioni provocate da eventi esterni arrivano al nostro cervello in modo impreciso e informe; vengono quindi elaborate grazie all’esperienza e alle conoscenze, vengono collegate fra loro, integrate e ridefinite dando loro una configurazione ordinata e organizzata. Sono meccanismi di inferenza inconscia a guidare questa organizzazione volta a unire il miscuglio di sensazioni che vengono dal mondo esterno al bagaglio di conoscenze dell’individuo. La scuola della Gestalt, al contrario, dà una importanza marginale sia alle esperienze passate che alle aspettative, alle credenze degli individui. Ritiene che il significato degli oggetti percepiti dipenda soprattutto da principi interni di organizzazione del campo percettivo di natura innata. Gli stimoli in sé possono essere interpretati in maniera disorganizzata e composti da più parti. Queste parti però si organizzano in maniera automatica a formare un campo percettivo sulla base delle dinamiche interne delle forze che li compongono secondo il principio dell’autodistribuzione automatica. Ci sono alcuni principi che permettono di percepire gli stimoli con cui ci rapportiamo come un insieme coerente e ben strutturato. Il movimento del New Look, nato negli USA da Bruner, Postman e Mc Ginnies, osserva, al contrario, che è l’individuo a essere un attivo costruttore dei propri vissuti percettivi. La percezione per loro è frutto dall’incontro tra gli stimoli esterni e le attese, i valori e gli interessi del soggetto. In presenza di uno stimolo complesso, il soggetto procede alla sua identificazione e categorizzazione, basandosi su elementi e indizi acquisiti dal proprio ambito relazionale, dalle proprie caratteristiche personali e motivazionali. 1 Gibson, con le teorie della percezione diretta (ecologiche) dice che il soggetto è in grado di cogliere immediatamente le informazioni provenienti dal mondo circostante senza dovere ricorrere a nessun processo di elaborazione, dato che le informazioni sono già presenti nella stimolazione percepita dal soggetto stesso. Questo non deve rielaborare in maniera costruttiva il percepito e non deve integrarlo. Deve solamente cogliere le informazioni percettive disponibili nell’ambiente. L’informazione sensoriale è già perfetta e completa. Noi siamo in grado di riconoscere l’oggetto, ma anche siamo capaci di riconoscere ciò che l’oggetto è in grado di fare, o ciò che ci permette di fare. Gibson afferma che sono gli oggetti che rappresentano per noi qualcosa, ci danno qualcosa. E usa il termine affordance (disponibilità) dell’oggetto: per es: una penna offre l’affordance di scrivere, una sedia l’affordance di scrivere, ecc. Non dobbiamo chiederci come facciamo a riconoscere gli oggetti, ma capire come ci rapportiamo noi stessi con gli oggetti. Neisser: considerato il padre della psicologia cognitiva, definì il cervello come un elaboratore di informazioni, come un computer. Elaborò la teoria del ciclo percettivo che prevede schemi nella mente dell’individuo. Questi schemi dirigono l’attenzione e l’esplorazione dell’ambiente producendo delle anticipazioni e quindi preparando il soggetto a ricevere determinati tipi di informazione e a cogliere quelle più pertinenti per i suoi scopi. - L’organizzazione percettiva. Attraverso l’organizzazione percettiva, la nostra mente può coordinare, strutturare e organizzare il flusso continuo di stimoli al fine di percepirli in maniera unitaria e coerente. L’Attenzione guida questo complesso processo organizzativo: può dirigere l’attività mentale su specifici stimoli accuratamente selezionati; può variare a seconda dello stimolo, del tipo di contesto, delle inclinazioni e aspettative del soggetto derivanti da impulsi interni, interessi, motivazioni, stati emotivi, esperienze passate. Per es: se mi trovo a una festa piena di stimoli, lì si può verificare la funzione selettiva dell’attenzione che sarà rivolta a cosa mi interessa, se sento nominare il mio nome, con un’azione di filtraggio. Posso escludere cosa non mi interessa, ma anche rivolgere l’attenzione di nuovo a qualcosa che sento che mi può interessare, anche se prima non ci facevo caso. Questo fenomeno è chiamato Effetto cocktail party. In qualche modo, la nostra mente percepisce tutti gli stimoli, ma ne elabora in modo completo solo uno alla volta, avendo a disposizione una quantità limitata di canali per l’elaborazione. Rimane però sensibile alle caratteristiche rilevanti degli altri stimoli. La Teoria del Filtro: il soggetto riceve più messaggi concorrenti, per es. nell’ascolto dicotico (= sentire due suoni nello stesso momento). L’attenzione seleziona un messaggio e a questo solo permette di passare alle successive fasi di elaborazione dell’informazione. L’Effetto Stroop: è un ritardo nei tempi di risposta, o in generale, un peggioramento della prestazione: si fornisce questo test: ci sono i nomi di alcuni colori ma scritti con un colore diverso dalla parola (es: bianco scritto in rosso, giallo scritto in blu): al soggetto si chiede di leggere il nome del colore con cui è scritta la parola, e non la parola. Per es: giallo scritto in blu, io devo leggere blu. Si vanno a prendere le informazioni già presenti in memoria, familiari, che il nuovo stimolo va ad attivare. Sono coinvolti degli automatismi, cioè stimoli tanto familiari da risultare necessari a livello di elaborazione sensoriale. 2 Gli psicologi della Gestalt formularono dei principi (leggi) di organizzazione di cui le persone usufruiscono quando si trovano a percepire una scena, per descrivere e dar conto del modo in cui organizziamo e unifichiamo gli elementi di una totalità percettiva. Legge della pregnanza o Legge della buona forma: enunciata da Koffka nel 1935 è meglio conosciuta come Legge della buona Gestalt. Fra le diverse organizzazioni geometricamente possibili, si realizzerà effettivamente quella che ha la forma migliore, più semplice, più stabile. Es: la casetta regolare e quella con le finestre e le porte asimmetriche; un cerchio e un esagono sovrapposti e distanziati. Il modo con cui percepiamo è un processo di rielaborazione e interpretazione di input sensoriali che si attivano attraverso i sensi, in riferimento a principi o buone forme “scritti” nel nostro cervello. Fra gli individui ci sono varie differenze, ma tutti sono accomunati dalle stesse regole e principi percettivi: ciò è una buona base per la relazione, la comunicazione e la comprensione reciproca. Es. del cubo visto da 3 angolazioni. La legge della pregnanza ci fa percepire il cubo 3D come figura tridimensionale e non come una serie di trapezi e triangoli, perché il cubo è la soluzione percettiva più semplice, la Gestalt migliore. Nella 3a figura si percepisce un esagono formato da 6 triangoli uguali, invece che un cubo 3D, perché anche in questo caso c’è una buona Gestalt con una figura piatta. Con un po’ di concentrazione possiamo vedere la figura a sinistra (il cubo 3d) come una serie di trapezi e triangoli come figura piana; e nella figura a destra, fissandola al centro, un cubo 3D. Wertheimer, 1923, in seguito alla legge della buona forma, ideò una serie di fattori di unificazione del campo percettivo. - vicinanza; - somiglianza; - chiusura; - continuità di direzione; -principio del destino comune; - esperienza passata; principio della connessione uniforme. - I fattori di organizzazione del campo percettivo secondo gli psicologi della Gestalt. Queste regole fanno sì che venga organizzato il campo percettivo (visivo ma non solo). Le leggi di raggruppamento (o organizzazione) della Gestalt sono: 1- principio della vicinanza (la figura con le strisce verticali scure e bianche). Detto anche principio della prossimità. In campo percettivo, gli elementi che sono vicini fra di loro appaiono come raggruppati insieme. La maggior coesione è determinata dalla minore distanza fra di loro. A parità di condizioni, le parti più vicine di un insieme percettivo si organizzano nella formazione di un margine, dando luogo a delle unità figurali. Cioè: le parti del campo percettivo che sono vicine, tendono a organizzarsi, ad attrarsi come unico elemento percettivo. 2- principio della somiglianza (la figura con i cerchi neri e poi bianchi e poi ancora neri). Gli elementi vengono uniti in forme con tanta maggior coesione quanto maggiore è la loro somiglianza. Per es. elementi, colori o simboli che visivamente collegano un’info a un’altra aiutano nella visione per es. di un sito con tanti contenuti. A parità di condizioni, si tende a creare delle unità percettive tra elementi con un aspetto simile. Cioè: in presenza di una immagine composta da elementi stimolo diversi fra loro, quelli più simili tendono a essere percepiti come unità. Musatti, anni ‘30. ha esteso questo concetto chiamandolo fattore del destino comune, prendendo in considerazione anche il movimento. Il movimento costituisce un importante fattore di somiglianza. 3 Il fattore di somiglianza si può estendere al comportamento stesso degli oggetti di un campo percettivo e al loro movimento relativo. Si costituiscono in unità quelle parti del campo visivo che si muovono insieme o in modo simile. 3- principio della chiusura (la figura tipo parentesi quadrate ). Si tende a percepire come unità le linee articolate in modo da formare delle figure chiuse per una naturale predisposizione mentale a completare le info mancanti. Per es. linee tratteggiate che si percepiscono come continue o come margini chiusi, perché la mente tende a fornire le info mancanti per chiudere una figura. Se troviamo parti delimitate da margini chiusi tendiamo a percepirli come unità, cioè come figure, a differenza di quelle con i margini aperti. Si percepiscono come figure uniche quegli elementi che sono delimitati da una cornice. 4- principio della continuità di direzione (figura dei tre aerei messi a triangolo che vanno tutti in alto a dx e figura di due linee ondulate che si incrociano al centro). Una serie di elementi posti uno di seguito all’altro, vengono uniti in forme in base alla loro continuità di direzione. A parità di condizioni, si vede come unità percettiva l’organizzazione lineare che prevede minori interruzioni: questo è uno dei fattori più rilevanti nell’organizzazione percettiva. 5- principio del destino comune (la figura con le linee verticali vicine e una linea obliqua che gli passa dietro). Gli elementi che hanno un movimento solidale tra loro, e differente da quello di altri elementi, vengono uniti in forme. Tendono a unificarsi le linee con la stessa direzione o orientamento o movimento, secondo l’andamento più coerente, a difesa delle forme più semplici e più equilibrate. Gli elementi del campo visivo che si muovono nella medesima direzione appaiono come raggruppati insieme. 6- legge dell’esperienza passata (la lettera E maiuscola bianca con i bordi scuri). Elementi che fanno parte del bagaglio della nostra esperienza passata che abitualmente associati fra di loro tendono a essere uniti in forme. Per es. se la figura dell’esempio fosse osservata da un soggetto che non conosce il nostro alfabeto, egli non potrebbe vedere la lettera E, in questa serie di linee scollegate. Quindi la strutturazione del campo percettivo avviene anche sulla base delle nostre esperienze passate: viene favorita la costruzione di oggetti a noi familiari, che abbiamo già visto in precedenza. Se un dato campo percettivo può essere organizzato in più modi, tenderemo a organizzarlo secondo la forma per noi più familiare. Questo fattore è meno determinante degli altri ed entra in gioco solo quando non è in concorrenza con altri fattori. Il fattore dell’esperienza passata è predominante, di solito, in situazioni debolmente organizzate che permettono abbastanza facilmente il realizzarsi di diverse configurazioni o raggruppamenti dei propri elementi: in questo caso è molto più facile che il campo percettivo sia organizzato in base all’esperienza passata. 7- il principio della connessione uniforme (figure con le palline nere dentro un ovale e palline nere connesse fra loro da una barretta). Quando una regione è connessa con un’altra con le stesse proprietà visive, come la luminosità, il colore, la tessitura o il movimento, questa è percepita come una singola unità. Le due palline collegate da una barretta sembrano raggruppate insieme perché interconnesse. Questo principio può essere più potente del principio di vicinanza. Secondo questo, dovremmo raggruppare insieme le palline più vicine e non quelle più lontane. I principi della Gestalt descrivono il modo in cui organizziamo l’ambiente percettivo secondo l’esperienza quotidiana. Descrivono il funzionamento stesso del nostro sistema visivo che si è 4 evoluto in un ambiente che era sicuramente mutevole e imprevisto, ma che presentava anche tante costanti, date dalle leggi della fisica. 8- il principio della costanza percettiva è visto come fenomeno psicologico facilitante il lavoro di organizzazione percettiva della mente. La costanza percettiva. È un fenomeno che consente di percepire invariate le caratteristiche di un oggetto, anche quando la proiezione retinica dello stesso oggetto ha l’effetto di variare di grandezza e forma al variare dei rapporti spaziali fra l’oggetto e l’osservatore. La tendenza è di mantenere invariata l’identità dell’oggetto, anche per la grandezza o la forma anche in caso di variazioni. Nonostante i cambiamenti dell’immagine dovuti alle condizioni di osservazione, l’oggetto è percepito secondo le sue caratteristiche conosciute. Nonostante cambino i requisiti di stimolazione dei recettori sensoriali, lo stimolo ci appare identico. Per es. percepiamo un oggetto con la sua forma, dimensioni, colore: le caratteristiche riconosciute saranno le medesime anche se l’oggetto viene visto da una differente prospettiva o distanza o illuminazione: lo riconosciamo ugualmente. Es: c’è un libro con la copertina bianca. Se esposto a una luce naturale, lo percepiamo come bianco. Se viene illuminato da una luce rossa, la copertina appare rosa. Ma noi sappiamo che il colore della copertina è bianco. La costanza percettiva si esprime in: - costanza cromatica = la tendenza a percepire gli oggetti con un colore stabile e costante nonostante l’illuminazione possa variare anche molto. Se un foglio bianco viene illuminato da una luce rosa, continuerà ad apparirci come bianco perché il nostro cervello tiene conto del fatto che l’ambiente è illuminato da una luce rosa. - costanza di grandezza = se un oggetto viene allontanato dal punto di osservazione, il cervello elabora la sua visione ancora nelle sue dimensioni reali, anche se l’immagine retinica è cambiata. La costanza di grandezza risulta dalla relazione tra la dimensione reale dell’immagine retinica e la probabile distanza dell’oggetto, rilevabile con l’ausilio degli indizi di profondità. - costanza di forma = a seconda dell’angolazione della visuale, la forma dell’oggetto nella retina cambia molto, ma noi possiamo riconoscere comunque l’oggetto percepito. La costanza di forma si evince dalla correlazione tra la forma dell’immagine retinica e la probabile dell’oggetto, anche essa rilevabile con l’ausilio degli indizi di profondità. Il fenomeno della costanza percettiva veniva considerata dagli psicologi strutturalisti come un fenomeno spontaneo di autoregolazione. Gli psicologi gestaltisti considerano l’importanza dell’esperienza e lo reputano come un processo di adattamento, finalizzato a mantenere stabile la realtà, dato che l’individuo ha l’esigenza di avvertirla come stabile. La percezione dello spazio, o della distanza, o della profondità. La percezione dello spazio = la percezione dei singoli oggetti attraverso i loro requisiti spaziali e geometrici, come dimensioni, volume, orientamento; e altri elementi come le distanze sia tra gli oggetti stessi, che tra oggetto e osservatore. È il modo in cui percepiamo il mondo, la posizione relativa degli oggetti nello spazio e la dimensione effettiva degli oggetti presenti all’interno del nostro campo visivo: il mondo è il 3D. Le 5 informazioni retiniche con cui lavorano i nostri occhi, invece, hanno carattere bidimensionale 2D. Il nostro cervello percepisce in 3D con l’aiuto di altri indizi sensoriali forniti dall’ambiente circostante. Questi indizi sono di tre categorie: indizi fisiologici; indizi pittorici; indizi di movimento. *indizi fisiologici = convergenza degli occhi e disparità delle immagini retiniche. Grazie a esse si verifica la visione stereoscopica (la percezione del rilievo di un oggetto che si ha in conseguenza della visione binoculare) che consente sia la percezione della distanza che della profondità. Gli indizi fisiologici provengono sia dalla posizione dei nostri occhi, sia dalla disparità binoculare. Dunque inidizi fisiologici = convergenza, accomodazione, disparità binoculare. Vediamoli nel dettaglio. °Convergenza = quando fissiamo un oggetto, la posizione degli occhi converge sull’oggetto stesso così che la sua proiezione retinica cada esattamente sulla fovea, per cogliere dettagli e colore dell’oggetto; mentre la periferia retinica non può. Se l’oggetto è più vicino, l’angolo con cui gli occhi devono convergere sull’oggetto è più grande. Es: mettiamo un dito davanti a noi e avviciniamolo al naso: gli occhi si incroceranno, cioè convergeranno, con un angolo maggiore. Altro es: se fissiamo consecutivamente un oggetto vicino e uno lontano, la convergenza cambierà rapidamente: avvicinare e allontanare una matita davanti agli occhi di una persona. La differenza di convergenza tra le due fissazioni serve al cervello per stabilire quale oggetto si trovi vicino e quale lontano: a un angolo di convergenza maggiore corrisponde una distanza minore dell’oggetto dagli occhi. °Accomodazione (Accomodamento) = quando guardiamo un oggetto, la sua immagine deve essere messa a fuoco con massima precisione sulla retina. L’accomodamento lo fa il cristallino che è dietro la pupilla ed è una lente trasparente e flessibile: può quindi essere curvato a opera di muscoli che si chiamano intrinseci o ciliari, che sono sempre in azione. Il cervello è in grado di sfruttare con molta precisione le info provenienti dai muscoli ciliari: la tensione muscolare che agisce sul cristallino rappresenta un indizio per il cervello sulla distanza alla quale si trova un oggetto rispetto a noi. °Disparità binoculare = le proiezioni retiniche provenienti dai due occhi si sovrappongono in una buona parte del campo visivo: ciò che vediamo in quella parte del campo visivo è costituita da due immagini sovrapposte lievemente, risulta quindi dalla fusione delle due proiezioni retiniche sovrapposte. La corteccia visiva primaria V1 di entrambi gli emisferi, ricevendo info da entrambi gli emicampi visivi dei due occhi, può utilizzare queste informazioni sulle differenze provenienti dai due occhi, non solo come indice per stabilire la distanza di un oggetto, ma anche perché le due immagini lievemente diverse sovrapposte danno luogo a un’ unica rappresentazione del campo visivo che risulta dalla fusione di due punti di vista lievemente diversi. L’occhio dx vede differentemente dall’occhio sx. Le info provenienti dai due occhi vengono utilizzate dal cervello per stabilire la distanza di un oggetto ma soprattutto per determinare un’unica rappresentazione del campo visivo per effetto della combinazione dei due punti di vista leggermente diversi. Es: chiudo un occhio e guardo da quell’altro: il mondo intorno sembrerà meno profondo specie riguardo a ciò che è più vicino. La diversità dei due occhi permette di attribuire allo spazio esterno una sua fisicità e tridimensionalità (da qui nuove tecnologie tipo il cinema in 3D e la realtà virtuale). Tutti e tre gli indizi fisiologici hanno un raggio d’azione di circa 6-10 metri. Oltre, non ci aiutano nello stimare la distanza e la profondità degli oggetti. Comunque siamo in grado di valutare distanze e profondità anche a distanze maggiori, perché oltre agli indizi fisiologici ce ne sono altri che ci aiutano a percepire distanza e profondità: gli indizi pittorici, prospettici, cinetici. Questi sono detti anche monoculari poiché si possono ricavare anche da una sola proiezione retinica. 6 *indizi pittorici = ci aiutano a percepire la profondità in un quadro, in una foto, in tv, ma soprattutto nella vita reale. Gli indizi pittorici sono: interposizione; dimensione; ombreggiatura. Vediamoli nel dettaglio. °Interposizione = quando un oggetto nasconde una parte di un altro oggetto. Il primo oggetto viene colto come il più vicino dei due. °Dimensione = quando ci sono due oggetti della stessa dimensione. Se uno di essi ci appare più grande dell’altro, avremo la percezione che l’oggetto più grande sia più vicino e quello più piccolo più lontano. In mancanza di altri punti di riferimento, la costanza di grandezza, non ha modo di realizzarsi. Per es. per strada: una persona lontana ci appare più piccola, ma non è realmente più piccola: è una persona normale ma più lontana. Il cervello questo lo sa. Questo fenomeno è chiamato costanza di grandezza = oggetti di dimensioni uguali, ma che proiettano immagini retiniche di dimensioni differenti continuano a essere percepite della stessa dimensione ma poste più lontano. °Ombreggiatura = ci aiuta a capire la dimensione 3D di un oggetto quando un fascio di luce colpisce un oggetto 3D: alcune parti risultano più chiare, cioè più illuminate e altre più scure. L’ombreggiatura è un effetto che può conferire una sembianza tridimensionale a una figura piatta. *indizi prospettici = sono quelle distorsioni del campo visivo dovute alla distanza. Questi indizi ci aiutano a percepire correttamente la posizione degli oggetti molto lontani. E sono: il gradiente di tessitura; la prospettiva aerea; la posizione rispetto all’orizzonte. °Gradiente di tessitura = gli oggetti con trama più fitta appaiono più lontani. Es: una spiaggia di ciottoli, in lontananza diventano sempre più vicini. Trama di superficie = tessitura. Il progressivo infittirsi degli elementi caratterizzanti la tessitura è detto gradiente di tessitura. Esso è un ottimo indicatore della distanza. °Prospettiva aerea = gli oggetti più distanti appaiono meno nitidi degli oggetti più vicini. Es: se guardiamo le montagne, quelle dietro sono più chiare, meno nitide, perché l’aria contiene particelle microscopiche di polvere e umidità che fanno apparire gli oggetti lontani sfuocati o nebbiosi: questo effetto viene usato per giudicare la distanza. °Prospettiva lineare = le linee parallele tendono a convergere all’aumentare della distanza. Es: una strada o dei binari di fronte a noi: sembrano convergere all’orizzonte. La prospettiva lineare rappresenta un indizio di profondità così intenso da darci l’idea di essere in uno spazio tridimensionale. *indizi di movimento = cinetici. Le info provenienti dal movimento sono molto importanti per la nostra percezione della profondità. Il movimento di un osservatore all’interno dell’ambiente e il movimento degli oggetti rispetto all’osservatore sono utili per percepire correttamente e rapidamente l’ambiente stesso. Essi sono: la parallasse di movimento e l’effetto cinetico di profondità. °La parallasse di movimento PM si ha quando, ogni volta che ci muoviamo, gli oggetti vicini ci appaiono scomparire rapidamente dietro di noi, mentre gli oggetti più distanti sembrano muoversi più lentamente. Es: in auto lungo un rettilineo o in treno: se si guarda fuori dal finestrino, gli oggetti più vicini a noi sembrano scorrere più velocemente rispetto agli oggetti più lontani. Ciò serve all’uomo per stabilire la distanza degli oggetti mentre ci muoviamo. °L’effetto cinetico di profondità = se un osservatore si muove di lato, alcuni oggetti vengono nascosti da altri, mentre appaiono oggetti che prima erano nascosti. Ciò ci serve per capire quale oggetto si trovi davanti ad altri mentre ci muoviamo. Se muovendoci vediamo che un oggetto viene nascosto da un altro, l’oggetto occludente è più vicino rispetto all’oggetto occluso. 7 Affinché si possa verificare la percezione visiva di movimento, è che nello stato della stimolazione della retina avvenga una modificazione temporale, ma questa non deve essere né troppo lenta, né troppo rapida: deve verificarsi nel rispetto delle soglie dato che esiste una soglia inferiore e una soglia superiore di velocità per la percezione del movimento. La percezione del movimento. La percezione del movimento è una capacità importantissima per la sopravvivenza adattiva. Il movimento porta con sé informazioni vitali per tutti gli organismi. Ci permette di difenderci da situazioni di pericolo. La maggior parte degli stimoli provenienti dall’ambiente e con i quali ci relazioniamo è in movimento. È importante porvi attenzione e saperli riconoscere. La capacità di percepire il movimento è accuratissima nell’uomo, più della capacità di riconoscere gli oggetti. Sapere riconoscere gli stimoli in movimento dipende dalla differenza fra distanza assoluta e distanza relativa sulla retina. Mentre la periferia del campo visivo percepisce delle forme indistinte non identificabili. La nostra attenzione è fortemente diretta verso il movimento, anche se questo avviene alla periferia del campo visivo dove la percezione è meno dettagliata ed è approssimativa. Le illusioni di movimento. (figura tipo fungo viola e giallo con esagoni, con una sfera a sx e una sfera incavata a dx). Questa immagine è immobile, ma sembra che si muova. La nostra capacità di percepire il movimento a volte può sbagliare. Si parla delle illusioni di movimento: quando ci sembra di vedere oggetti fermi che si muovono, o viceversa. Questi equivoci percettivi non sono sbagli del nostro sistema percettivo, ma effetti che dipendono dall’organizzazione del nostro sistema percettivo. La percezione del movimento avviene quando la proiezione sulla retina cambia posizione. Il nostro cervello usa altre indicazioni, per es. la relazione fra lo stimolo percepito e lo sfondo, basato sull’illuminazione e velocità del movimento percepito, e non basandosi semplicemente sul confronto tra i movimenti percepiti dalla retina. Le illusioni di movimento sono importanti proprio perché ci fanno capire come funziona il nostro sistema di percezione del movimento. L’illusione del movimento (studio condotto dal Barrow Neurological Institute dell’Arizona), è realizzata da microsaccadi, cioè micromovimenti oculari che si attivano durante l’osservazione dell’immagine, tanto che l’occhio umano ne compie fino a 500/s. -Effetto autocinetico. Capita che percepiamo come in movimento uno stimolo o un oggetto che è in realtà immobile. L’effetto autocinetico è interessante: un effetto percettivo illusivo che si verifica così: guardando fisso nel buio una sorgente luminosa, possiamo avere dopo qualche secondo la sensazione che quel punto si stia muovendo (per es. quando si crede di avere avvistato un ufo). L’effetto autocinetico si verifica quando, in assenza di punti di riferimento vicini, un oggetto sembra muoversi da solo. Per es: pongo una luce ferma (una sigaretta accesa o un led) appoggiata su un tavolo e creo il buio completo nella stanza. Mi metto a qualche metro di distanza dalla luce e la fisso per qualche secondo. A un certo punto mi accorgo che la luce inizia a muoversi e non posso impedirlo. Anche se so che l’oggetto è assolutamente fermo. Da un punto di vista psicologico è che questo fenomeno può essere soggetto a suggestione. Cioè si può indurre una persona a vedere un particolare significato nel movimento dato dall’effetto autocinetico. Le condizioni ottimali per osservare l’illusione sono le seguenti: - l’ambiente deve essere il più buio possibile. - il punto luminoso deve essere l’unico oggetto ben visibile. - non muovere gli occhi volontariamente mentre si fissa il punto luminoso. - il punto luminoso deve essere piccolo ma forte da essere percepito quando lo si fissa. 8 - la prova di osservazione deve essere abbastanza prolungata. Per questo fenomeno non c’è ancora una spiegazione universalmente accettata. Secondo alcune ipotesi, l’effetto autocinetico potrebbe essere causato da questi piccoli movimenti inconsapevoli dello sguardo, inconsapevoli ma responsabili dello spostamento del punto luminoso sulla retina, che di per sé non è una condizione idonea per provocare la percezione del movimento; infatti quando, in una situazione statica, spostiamo lo sguardo da un punto all’altro, tutto si muove sulla retina, ma la scena rimane correttamente statica. Da un punto di vista psicologico questo fenomeno può essere soggetto a suggestione, a dimostrare che i fattori top down possono influenzare anche le illusioni di movimento. -Il movimento indotto. Quando il soggetto percepisce il movimento dell’oggetto, mentre invece a muoversi è lo sfondo. Es: notte nuvolosa, luna. Sembra che si muova la luna, invece sono le nuvole che si stanno muovendo. Il movimento indotto, dunque, consiste nel fatto che un oggetto immobile sembra muoversi quando a muoversi è invece un oggetto vicino. Succede quando l’oggetto in movimento (le nuvole) ha una dimensione maggiore rispetto all’oggetto stazionario e in assenza di punti di riferimento stazionari vicini. Abbiamo la tendenza naturale a credere che sia l’oggetto più piccolo a muoversi (la luna). Anche l’illusione del treno: ci troviamo su un treno e fissiamo il treno che passa nel binario accanto: è difficile stabilire quale dei due treni si stia muovendo. Di solito abbiamo info aggiuntive come per es. il rapporto dello stimolo con lo sfondo che si basa sulla luminosità e velocità del movimento percepito. -Il movimento stroboscopico o apparente. Wertheimer, fondatore della teoria della Gestalt, nel 1912, spiegò il fenomeno attraverso un metodo sperimentale. È un fenomeno percettivo “effetto phi” o “beta movimento”: si ottiene dall’accensione in rapida successione di un certo numero di lampadine. L’effetto verrà percepito come una luce in movimento, per es. le lucine di Natale. Secondo Wertheimer e Korte, l’impressione di movimento si ha solo in seguito a intervalli ottimali di tempo e di spazio fra i due stimoli, e per valori ottimali di intensità dei medesimi stimoli. Questo fenomeno è alla base della tecnica cinematografica: si ha la percezione del movimento con degli stimoli statici messi in sequenze molto ravvicinate. Il risultato è che l’organizzazione del percepito è talmente veloce che da fisso diventa dinamico, in movimento. Si dimostra così che il processo percettivo è il risultato di una complessa organizzazione che veicola i nostri processi di pensiero. L’impressione globale e totale degli oggetti non è data solo dalla somma degli elementi o delle parti. Il fatto che il movimento apparente sia semplicemente ricostruito a livello mentale è dimostrato sperimentalmente dall’evidenza che la scia che sembra esserci fra le posizioni dell’oggetto in movimento apparente è sfocata, sbiadita e irriconoscibile. In effetti essa è solo il completamento mentale di un intervallo vuoto fra una presentazione e l’altra. - Adattamento al movimento. Se guardiamo fisso un oggetto in movimento costante, ci accorgeremo che dopo un po’ diminuisce la nostra sensibilità nel percepire il movimento in quella direzione: si realizza un effetto di adattamento al movimento del nostro sistema percettivo, perché il movimento costante ci darà l’idea che gli oggetti vadano più lenti. Per es. quando si guida in autostrada. Dopo un po’ ci adatteremo al flusso ottico (cit* Gibson) e quindi il mondo intorno a noi sembrerà muoversi sempre più lentamente. 9 Le illusioni visive – Quando l’oggetto è difforme dall’oggetto percepito. L’esperienza percettiva non è passiva e immediata. Consta di differenti stadi successivi. È caratterizzata da alcune discrepanze tra lo stimolo fisico e ciò che percepiamo. Ciò lo si nota per es. di fronte ad alcuni fenomeni naturali, o figure particolari create ad hoc. Per es. la dimensione della luna: la si vede più grande quando si trova vicino all’orizzonte e più piccola quando si trova in alto nel cielo notturno. Questa è un’illusione perché la luna non cambia dimensioni ed è sempre alla stessa distanza dalla terra. Negli anni sono state create delle illusioni ottiche che mostrano quanto sia profonda la differenza tra la realtà fisica e ciò che esperiamo. Le illusioni ottiche possono essere per contrasto di colore. La nostra percezione dei colori e dei contrasti non è determinata semplicemente dal colore della figura, ma anche dal contesto e dal colore dello sfondo. Le illusioni più conosciute sono le illusioni ottico geometriche. es. figura di un rettangolo con due quadrati dentro: il rettangolo (sfondo) sfuma da sinistra verso destra andando dal grigio al nero. I due quadrati appaiono a sx grigio più scuro e a dx più chiaro ma in realtà sono uguali: è la gradazione dello sfondo che ne determina la luminosità relativa. Illusioni famose: Muller-Lyer; Ponzo; Poggendorf; Zollner; Orbison; Ebbinghaus. 10 Ciò che percepiamo non è quasi mai una fotografia perfetta della realtà. Bisogna abbandonare la prospettiva del realismo ingenuo a favore di una prospettiva costruttivistica. La prospettiva costruttuvistica vede la percezione umana (e anche animale) non come un fenomeno passivo semplicemente determinato dagli stimoli fisici, ma bensì come un atto di costruzione. A partire dalla realtà fisica, la realtà mentale è costruita attivamente e completata dal nostro cervello, a partire dalle credenze, aspettative, e regole imposte dal nostro sistema percettivo, determinate dalla struttura stessa del sistema nervoso. Prima della prima metà dell’Ottocento, la percezione veniva considerata come qualcosa di naturale e automatico. In seguito, la percezione viene sempre più considerata un problema, un oggetto di studio e non un semplice dato di fatto. Alcune delle problematiche più rilevanti della percezione: -Come si costruisce a livello fenomenico l’unità propria dell’oggetto fisico? Quando vediamo un oggetto, lo percepiamo come un tutt’uno, qualcosa di definito, formato da più parti ma che sono strettamente collegate fra loro. Invece i raggi di luce che colpiscono la retina sono tutti separati e indipendenti fra di loro, e colpiscono la retina su molti differenti recettori separati. Gli studi in campo neurofisiologico mostrano chiaramente che l’immagine rilevata dalla retina viene segmentata e smembrata non appena essa raggiunge la corteccia cerebrale. Successivamente, l’informazione visiva viene ricostruita in altre aree distinte della corteccia cerebrale e quindi vengono analizzati separatamente la forma, il colore, il movimento ecc. Quindi l’unità dell’oggetto non è data, ma è costruita attivamente dal cervello. - Perché le dimensioni di un oggetto rimangono invariate a livello fenomenico quando invece la proiezione retinica di un oggetto varia di dimensione a seconda della distanza? Per es: perché una persona viene percepita della stessa altezza sia che si trovi vicina, che lontana. Una figura lontana risulta in una proiezione retinica molto più piccola di una figura vicina, ma la persona ci sembra avere sempre la stessa altezza. Il nostro sistema percettivo non si basa unicamente sulla proiezione retinica (sulla stimolazione fisica), sennò le persone lontane ci sembrerebbero dei nani. - Come si crea a livello fenomenico la tridimensionalità o corporeità degli oggetti? Il mondo ci appare tridimensionale. Ciò dovrebbe essere impossibile dato che, a livello retinico, il mondo è piatto. La retina è bidimensionale, piatta: esiste un solo strato di fotorecettori; tutto ciò che vediamo è proiettato su una superficie piatta, come una televisione. La tridimensionalità è ricostruita attivamente dal nostro cervello. - Come è possibile percepire il movimento? O meglio, un oggetto in movimento come un oggetto unico che si muove e non come diverse entità che si susseguono l’un l’altra nello spazio e nel tempo? Quando osserviamo un oggetto in movimento, esso colpisce la retina in punti diversi in momenti successivi. Se la percezione fosse un atto passivo e meccanico, dovremmo percepire gli oggetti in movimento come tanti oggetti separati nel tempo e nello spazio. - In che modo i bisogni, le motivazioni, le aspettative, la conoscenza del mondo influiscono sulla percezione? Ci si chiede se vediamo il mondo in un certo modo perché abbiamo imparato a vederlo così oppure perché ci aspettiamo di vederlo in un certo modo. Le aspettative e la conoscenza influiscono fortemente sul risultato dell’atto percettivo. Gli approcci moderni usano il metodo sperimentale. Tramite metodi comportamentali, attraverso lo studio dei correlati neurali della percezione e 11 l’indagine stessa del sistema nervoso e di quelle aree corticali connesse, direttamente o indirettamente, con la percezione. Il problema della percezione delle qualità espressive e della causalità. L’efficacia espressiva degli oggetti. La percezione dell’oggetto più complesso, ovvero dell’individuo; di altri individui. La percezione di altri individui, del prossimo, è detta Percezione Sociale. Ci rapportiamo con gli altri ogni giorno e ci avvaliamo di abilità che ci permettono di cogliere i comportamenti degli altri e di confrontarli con i nostri, attraverso un processo chiamato empatia: riuscire a cogliere l’espressività dei comportamenti degli altri, attraverso la condivisione dello stesso stato d’animo. Gli psicologi della Gestalt mettono maggiormente in risalto l’importanza della struttura dell’evento, rispetto all’ipotesi invece che sia l’apprendimento alla base della comprensione dell’espressione, siano essi oggetti o persone. La comprensione degli altri si basa sulla legge dell’isomorfismo (tra oggetto fisico e la sua rappresentazione mentale) senza grandi difformità tra la situazione percettiva e il significato concettuale della conoscenza. Metzger, 1966: possiamo cogliere negli oggetti una serie di qualità di varia natura: -qualità primarie (o semplici, o sensoriali) specifiche per ciascun organo di senso e sempre presenti anche negli episodi percettivi più semplici. -qualità secondarie (o formali o globali) si sviluppano sull’insieme della rappresentazione ed emergono dall’esame totale e a loro volta comprendono qualità strutturali come la conformazione dell’oggetto. La percezione del tempo. A volte abbiamo la percezione che il tempo non passi mai, altre che passi troppo in fretta. È un fenomeno complesso quello che genera a livello psicologico l’esperienza e la consapevolezza del processo temporale. Sono coinvolti i seguenti fattori: 1. senso della durata del tempo = facoltà di determinare la durata di un certo lasso di tempo, capacità di valutare la durata relativamente breve di un determinato spazio temporale senza ricorrere a strumenti. 2. orientamento temporale = indica la personale propensione a collocarsi in una dimensione temporale senza ricorrere a strumenti. 3. orizzonte temporale o prospettiva = esprime più che altro un vissuto psicologico dell’individuo, interpretando la sua sensibilità nel rappresentare le dimensioni del presente, passato, futuro, sulle quali sarà in grado di articolare il suo comportamento avendo il fattore temporale grande influenza nel determinare aspettative future sulla base di esperienze passate. Altri fattori che influenzano la percezione. Gli psicologi della Gestalt dimostrano che il processo percettivo non è frutto delle sole informazioni provenienti dall’esterno, dai sensi, ma dipende anche da fattori interni, cioè da come la nostra mente tende a elaborare tali informazioni. Intervengono sia fattori bottom up dal basso in alto, cioè dai dati ai contenuti mentali e fattori top down dall’alto al basso, cioè dai contenuti mentali ai dati. Si chiama set percettivo l’accordo fra le tendenze mentali che creano la percezione. Insieme ai principi della Gestalt sono determinanti anche le nostre conoscenze del mondo, lo stato mentale del 12 momento e anche ciò che desideriamo percepire. La percezione è determinata anche da altri fattori come quelli personali, soggettivi e sono: -le differenze personali (o la personalità) di chi percepisce influenzano molto il risultato di ciò che percepiamo. -i bisogni organici hanno una grande valenza nel determinare la prospettiva di ciò che è percepito. -punizioni e ricompense: hanno determinato molto ciò che è percepito data l’aspettativa di un tornaconto. -il valore che l’individuo attribuisce agli oggetti ha una forte influenza sulla prontezza a riconoscere gli oggetti stessi. -il valore intrinseco dell’oggetto determina l’importanza attribuita alla cosa percepita. MODULO 2 TEORIE DI PSICOLOGIA DELLA PERCEZIONE La teoria della Gestalt: nascita della scuola di Berlino. Anni ‘30. Dalla Germania viene importata negli USA la psicologia della Gestalt. Essa apre la strada all’elaborazione percettivo-cognitiva degli stimoli da parte degli individui. La Gestalt pone enfasi su fenomeni, su come l’individuo li percepisce e li vive. Si abbandona l’idea della “tabula rasa” e il paradigma della scuola di Lipsia di Wundt, che riconduceva l’esperienza psicologica a singoli elementi costitutivi. La mente ha la capacità innata di strutturare attivamente la realtà. La conoscenza non è più il semplice risultato della combinazione passiva dei singoli stimoli: ma il tutto è più della somma delle parti (legge della formazione NON additiva della totalità e legge della pregnanza, della buona forma). La percezione è quella funzione cognitiva che ci permette di acquisire informazioni per conoscere il mondo in cui viviamo. È un complesso processo di selezione, costruzione e interpretazione con cui la nostra mente può scegliere, avvalendosi di specifiche leggi, le sensazioni più importanti per noi in una certa situazione, organizzandole in maniera chiara e coerente e comprensibile. C’è differenza fra le info che la nostra mente riceve attraverso il processo percettivo e ciò che percepiamo. Normalmente si pensa che la realtà sia ciò che osserviamo, ascoltiamo e tocchiamo: ma questo è il realismo ingenuo, che va superato. La percezione è un complesso che prevede una attività organizzativa, e non una evoluzione casuale. Il concetto di forma è al centro di tutto il pensiero tedesco nella prima parte del XX secolo (1900). Gestalt = forma = rappresentazione = configurazione. La psicologia della Gestalt, della forma, è stata usata in Germania fra gli anni Venti e gli anni Trenta, sulla scia del lavoro di Wertheimer. Altri autori, Koffka e Kohler, seguono il lavoro di Wertheimer. Essi prendono la direzione opposta dei lavori di Mill e Von Helmholtz, che dominavano all’epoca. Questi ultimi vedevano la percezione come la combinazione di sensazioni elementari. Invece per i sostenitori della Gestalt, la percezione passa attraverso il riconoscimento di forme globali e non attraverso un assemblaggio di dettagli. Nella percezione, il tutto ha la precedenza sulle parti. La Gestalt stabilisce che il tutto di qualsiasi cosa è più grande delle sue parti. I concetti di Wertheimer, Koffka e Kohler nel XX secolo hanno stabilito le basi per uno studio moderno della percezione. In sintesi: La Gestalt: nasce nel ‘900 in Germania. Gli esponenti sono Wertheimer, Koffka e Kohler. La mente ha un sistema innato di archiviazione di immagini, basato sull’organizzazione delle sensazioni. Gli 13 autori affermano che la percezione dipende per lo più dalle relazioni fra gli elementi di un’immagine. E scoprono le leggi di organizzazione percettiva o della configurazione, che sono uguali in ogni individuo. Articolazione Figura/Sfondo. Si adotta un particolare metodo di indagine, con la Gestalt, detto Metodo Fenomenologico. Prima, lo studio della percezione era solo tramite l’introspezione: si chiedeva al soggetto di riportare quello che vedeva. Il metodo fenomenologico è molto simile al metodo sperimentale attuale. Ovvero: si testa la validità di una ipotesi, riproducendo un fenomeno, spesso in laboratorio e variando un parametro. Esso è implicito nella ipotesi. Il risultato dell’esperimento convalida o meno l’ipotesi. La Gestalt operava ponendo il soggetto sperimentale di fronte a particolari stimoli, preventivamente manipolati e modificati; annotavano poi le impressioni riferite dai soggetti sulle percezioni relative alle MODIFICHE effettuate sullo stimolo fisico. Non sugli stimoli, ma sulle modifiche. Metzger, 1930 = “ganzfeld”: un campo percettivo costruito sperimentalmente per studiare la psicologia della percezione. Se un soggetto osservato a scopo sperimentale veniva posto davanti a un campo visivo omogeneo creato opportunamente, la percezione della superficie da parte del soggetto non era piatta, ma appariva come uno spazio tridimensionale che si estendeva in tutte le direzioni. Si dimostrò quindi che il livello di percezione visiva più semplice non è una superficie piatta, bensì uno spazio tridimensionale. Ciò mise in crisi l’approccio associazionistico, dimostrando che in assenza di stimoli strutturati vi è già la costruzione attiva di una forma, o meglio di un campo, dotato di una corporeità. Successivamente, ci fu nella costruzione percettiva la differenziazione del campo visivo in figura e sfondo: si concentrarono sulla nostra capacità di distinguere in uno spazio percettivo una figura in primo piano da uno sfondo che la circonda. ES: il disegno viso/vaso di Edgar Rubin. È uno degli esempi chiave dell’organizzazione figura/sfondo, l’assegnazione dei bordi, e il suo effetto sulla percezione della forma. In questo disegno, la forma percepita dipende in modo critico dalla direzione in cui viene assegnato il bordo, fra le regioni bianche e nere. Se i bordi sono assegnati verso l’interno, la regione bianca centrale viene vista come vaso davanti a uno sfondo nero. Se i bordi sono assegnati verso l’esterno, vedremo due volti neri che si guardano su uno sfondo bianco. Il sistema visivo si stabilirà su UNA delle due figure. L’imaging cerebrale mostra che, se si notano i volti, è attivo il lobo temporale, nella regione selettiva del viso. Un’altra condizione che influisce è la convessità o concavità dei margini. Si tende a riconoscere come figura quella che ha i margini convessi. Anche l’orientamento spaziale è importante. Si rilevano più facilmente le zone del campo i cui assi coincidono con le direzioni orizzontali e verticali dello spazio. Quando nessuna di queste dimensioni favorisce una zona né l’altra, abbiamo le così dette figure reversibili. In questi casi è l’impostazione soggettiva dell’osservatore, dove dirige la propria attenzione, a dare rilevanza a una parte del campo visivo invece che a un’altra. Questa caratteristica rende le figure ambigue: buon materiale di studio che mostra che la percezione è un processo attivo. Le figure reversibili (ambigue) sono dette anche multistabili: o si vede una cosa, o si vede un’altra. L’inversione figurale è attuata dal soggetto, mentre la figura, l’oggetto osservato, non cambia. L’organizzazione figura/sfondo. È molto importante nella Gestalt. Sarà figura tutto ciò che porremo sotto attenzione. Questo implica un meccanismo cerebrale elaborato di analisi locale. Sarà sfondo 14 ciò che non sottoporremo a questo genere di messa a fuoco e lo analizzeremo con meccanismi meno potenti di quelli impiegati nella discriminazione globale. Gli effetti di questa opposizione: - Lo sfondo fa parte del campo per il fatto che è indifferenziato e per definizione senza limite. - Lo sfondo è caratterizzato da un’esistenza soggiacente alla figura, che lo fa sembrare più lontano rispetto al soggetto dell’opera. Rubin dimostra che i nostri occhi percepiscono come figura ciò che è più piccolo, racchiuso, che presenta margini regolari ed è simmetrico. Abbiamo una propensione verso la regolarità. - La figura è maggiormente oggettuale e tende sempre a catturare di più l’attenzione rispetto allo sfondo. - Lo sfondo sembra essere costruito di un materiale senza forma che continua indefinitamente dietro la figura. - La figura viene percepita come davanti allo sfondo. - Il margine, il confine che separa la figura dallo sfondo, il bordo sembra sempre appartenere alla figura e non allo sfondo. - Le figure relativamente più piccole, costituite da forme chiuse, più dense, tendono a essere più semplici o pregnanti, convesse. - Nelle figure ambigue, multistabili, non è possibile percepire contemporaneamente entrambe le configurazioni: si possono vedere alternativamente, mai simultaneamente. Il nostro cervello filtra l’immagine in base a una serie di dati che fanno parte della nostra esperienza personale. A quel punto identifichiamo una delle due figure, e il resto automaticamente è reso uno sfondo. Ciò si verifica anche a livello uditivo: per es. a una festa rumorosa, se il nostro nome viene pronunciato, il brusio diventa sfondo e il nome appare davanti. Cherry ha nominato questo effetto fenomeno del cocktail party. I fattori di organizzazione del campo percettivo contengono anche una connotazione additiva e si sono evoluti insieme agli altri aspetti della cognizione per aiutarci a dare ordine al mondo circostante. Es: foto dei dalmata con lo sfondo a pallini. Si riesce a distinguere bene i 5 dalmata dallo sfondo. La Gestalt ha contraddistinto lo studio della percezione per tutta la prima metà del Novecento. E dava importanza alle caratteristiche fisiche degli stimoli, la loro organizzazione intrinseca e anche all’esperienza precedente del soggetto che percepisce. Dagli anni ‘60 e ‘70 compare l’Approccio Cognitivista: nell’ambito della psicologia cognitiva si sviluppano nuovi approcci allo studio della percezione. È attraverso i processi cognitivi che lo stimolo strutturato, grazie alle conoscenze in memoria, viene riconosciuto. Ci sono delle modalità: - Bottom Up, dal basso verso l’alto, cioè una elaborazione che parte dai sensi, dai dati sensoriali, dalle singole parti dello stimolo. - Top Down, dall’alto verso il basso, cioè un’elaborazione guidata dai concetti, basata sulle rappresentazioni contenute in memoria. La scelta della modalità, se bottom up o top down dipende dal contesto in cui è inserito l’oggetto percepito e dal grado di conoscenza che l’osservatore ne ha. Il processo di denominazione dello stimolo percepito, può essere raggiunto solo attraverso un confronto tra l’input sensoriale e la rappresentazione mentale dello stimolo. Nell’elaborazione bottom up il processo di confronto parte dal basso e procede fino a quando lo stimolo viene strutturato nella sua interezza e può essere verificata la corrispondenza con la rappresentazione interna dello stimolo. 15 La Teoria di Gibson (a favore dell’elaborazione bottom up). Ogni stimolo possiede info sensoriali sufficientemente specifiche per renderne possibile il riconoscimento senza l’intervento dei processi cognitivi superiori. Perché ogni stimolo avrebbe un proprio ordine interno che ne consentirebbe una percezione diretta. Gibson propose che nelle configurazioni di radiazioni ottiche che colpiscono la retina (che egli definisce assetto ottico) vi sono tutte le info sensoriali necessarie a rendere possibile il riconoscimento, senza che vengano attivati i processi cognitivi superiori. Nella teoria di Gibson ci sono alcuni assunti centrali: - il concetto di assetto ottico a rappresentare il modo corretto di descrivere uno stimolo. - è il movimento dell’osservatore a determinare le info fondamentali per la percezione. - l’informazione che rimane costante anche quando l’osservatore è in movimento è detta informazione invariante ed è la più importante per l’assetto ottico. - la percezione deriva direttamente dalla informazione invariante. La configurazione in cui si organizza la luce proveniente dall’ambiente circostante determina l’assetto ottico, la cui importanza secondo Gibson sta nel modo in cui questa struttura cambia a seconda del movimento dell’osservatore. Gibson introduce il concetto di assetto ottico ambiente. Esso è costituito dalla struttura della luce che colpisce la retina e anche dal cambiamento di questa complessa struttura (retina) quando ci si muove nell’ambiente. Il movimento in un ambiente fa cambiare prospettiva che a sua volta genera informazioni diverse, sia sulla posizione degli oggetti che su particolari dell’immagine che non erano visibili precedentemente. L’insieme di queste informazioni date dal contesto e dal movimento dell’osservatore, viene detto assetto ottico ambiente. Gli elementi del campo visivo assumono una forma diversa o una posizione diversa a seconda del movimento dell’osservatore ed è questo che, per Gibson, fa ottenere la percezione. Ci sono delle caratteristiche che non mutano anche se il punto di osservazione cambia e ciò genera le informazioni invarianti che originano da tre importanti fonti. -Gradiente di tessitura. -Struttura del flusso ottico. -Rapporto di orizzonte. Ciò dà origine alle informazioni invarianti. 1. il gradiente di tessitura: per es. un prato erboso o una spiaggia di ciottoli: gli elementi appaiono più fitti quanto più sono distanti. L’info invariante ci dà un indizio diretto sulla profondità e la distanza, invariabilmente dalla nostra posizione di osservazione. Quest’ultima per la informazione invariante non è importante. 2. la struttura del flusso ottico è la strutturazione del flusso degli stimoli che dall’ambiente giungono all’occhio di un soggetto osservatore mentre è in movimento. Es: su un treno e guardiamo fuori = gli oggetti più vicini alla linea ferroviaria passeranno più velocemente rispetto agli elementi più lontani. Questo effetto ottico è detto parallasse di movimento. Essa è per Gibson un’importante fonte di informazione invariante che ci permette di individuare la posizione e la distanza degli oggetti grazie al movimento del punto di osservazione. 3. il rapporto di orizzonte = se due oggetti di uguale dimensione poggiano su una superficie piatta, il loro rapporto di orizzonte sarà il medesimo. Per es: 5 pali del telegrafo hanno lo stesso piano di orizzonte e quindi ne deduciamo che sono grandi uguali. Se accanto a loro troviamo un albero che invece ha un rapporto di orizzonte maggiore di quello dei pali del telegrafo, ne deduciamo che l’albero è più alto dei pali. 16 Il rapporto di orizzonte non cambia anche quando ci avviciniamo agli oggetti: è un’informazione invariante, critica, per Gibson, per decifrare e percepire i rapporti spaziali tra gli elementi caratterizzanti il campo visivo e le loro dimensioni relative. L’informazione invariante è molto importante perché è percepita direttamente. Le così dette invarianti strutturali informano l’individuo sulle proprietà costanti delle superfici e sulla loro organizzazione nell’ ambiente: posizione, forma, dimensione, composizione. Anche se l’osservatore si muove, l’organizzazione delle superfici nell’ambiente, i loro colori, non cambiano. Nonostante i cambiamenti nel tempo, abbigliamento e contesto, una persona familiare sarà riconosciuta. Gibson però non sa spiegare come un soggetto sia in grado di riconoscere e nominare un oggetto. Per es: come possiamo dire che una penna sia una penna e non un altro oggetto che gli somiglia? Gibson risponde che la percezione visiva non avviene mai nel vuoto, ma che gli oggetti che percepiamo sono sempre inseriti in un determinato contesto, il quale a sua volta, offre molti altri indizi importanti e indispensabili affinché sia possibile effettuare il riconoscimento. Il contesto è importante. Ed è determinato da: * la situazione fisica, dunque il luogo. * lo stato psicologico, emotivo, dunque benessere, malessere, rabbia, paura. * lo stato fisiologico, dunque eccitazione, sete, fame, stanchezza. La combinazione di questi tre fattori con l’assetto ottico in continuo cambiamento ci fa riconoscere l’oggetto, ma anche ciò che l’oggetto è in grado di fare o ci permette di fare. Gli oggetti rappresentano per noi qualcosa, ci danno qualcosa, delle possibilità e questo determina la nostra capacità di riconoscerli e identificarli. Anche l’ordine interno ( costituito dalla distribuzione spaziale e temporale dello stimolo ) permette una diretta disponibilità al suo riconoscimento. Gibson chiama questa disponibilità dello stimolo “Affordance”. = ciò che permette all’osservatore di estrarre le caratteristiche che definiscono l’uso e le finalità dell’oggetto percepito. Affordance dell’oggetto = es: la penna offre l’affordance di scrivere, una sedia di sedersi ecc. Ma se questi stessi oggetti si trovano in un contesto differente, oppure le nostre mete e obiettivi contingenti sono diversi, la penna può essere un oggetto che serve per tirare su qualcosa da terra, la sedia per lanciarla in uno scatto di ira ecc. Quindi non è tanto importante il come facciamo a riconoscere un oggetto, ma è più importante capire come ci rapportiamo noi stessi agli oggetti. La nostra capacità di riconoscere gli oggetti dipende anche dal valore che attribuiamo agli oggetti. L’affordance non si basa solo sui fattori fisici dell’oggetto, ma anche sullo stato psicologico dell’osservatore. Un oggetto può cambiare la sua affordance originaria. Critiche alla teoria: Le illusioni ottiche dimostrano che le sole caratteristiche dello stimolo non permettono una sua corretta percezione. Gibson dice che le illusioni ottiche sono quasi ed esclusivamente da laboratorio e non sono presenti in natura dove la percezione deve essere studiata. A Gibson interessavano soprattutto i processi percettivi che avvengono nell’ambiente naturale. È per questo che la teoria della percezione diretta viene anche definita “Teoria Ecologica Della Percezione”: la teoria di Gibson è detta anche Teoria della Percezione Diretta. Questa non è in grado di spiegare tutti i risultati della ricerca. Ma nel corso degli anni, studi neurofisiologici avvaloreranno parte della teoria di Gibson: si è visto che alcune aree della corteccia extrastriata posseggono gruppi di neuroni specifici che rispondono solo quando si presenta un oggetto specifico per es. un volto o un albero. Alcuni oggetti specifici che vediamo frequentemente sarebbero percepiti direttamente tramite aree specializzate della corteccia. 17 Un altro problema non risolto da Gibson è l’evidenza che il nostro sistema percettivo può spesso essere fallace, o portare differenti interpretazioni di una stessa immagine (es. illusioni ottiche, figure ambigue). Se la percezione è diretta e tutta l’informazione necessaria è già presente nell’assetto ottico, quindi nello stimolo, come si spiega che alcune immagini sono percepite diversamente da come sono fisicamente? Inoltre, non si spiega come sarebbe possibile (come accade in una figura ambigua), ricavare più interpretazioni percettive che si alternano. Altri autori quindi formularono teorie che tenessero maggior conto dei fattori cognitivi superiori della percezione. Modelli costruttivistici della percezione. Secondo il costruttivismo, l’acquisizione delle conoscenze è il risultato di una continua interazione fra la realtà e il soggetto. Le teorie a riguardo sono quelle top down di Gregory : l’individuo raccoglie i dati riguardanti la realtà che lo circonda e li interpreta. Queste interpretazioni lo aiuteranno a costruire il suo mondo personale e a usarlo come base per le interpretazioni a seguire. La Teoria Costruttivista afferma che i sensi veicolano l’informazione proveniente dalla realtà, ma che le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente sono ambigue e incomplete. Pertanto, il nostro cervello deve strutturarle e per farlo categorizza le info caotiche in concetti e interpretazioni. Secondo i Costruttivisti: per poter giungere alla percezione è necessario l’intervento di processi top down: cioè guidati dalle nostre conoscenze precedenti e le nostre aspettative. La percezione è un processo inferenziale che si basa sulla formulazione di ipotesi rispetto a ciò che vediamo o che stiamo per vedere. “Costruttivo” sta per “Additivo” = l’atto percettivo ha origine sicuramente dai dati sensoriali, ma affinché sia completato è necessario l’intervento di sistemi di elaborazione superiori in maniera inconscia e rapidissima. Le teorie top down affermano che la percezione è indiretta, dato che l’info per essere rappresentata correttamente deve essere processata al di là del livello sensoriale e fisico. Il costruttivismo si basa su questi assunti: - la percezione è un processo attivo e produttivo, che va oltre la semplice registrazione delle sensazioni. - la percezione emerge indirettamente come prodotto finale dell’interazione fra lo stimolo (dal basso) e le ipotesi, le aspettative, le conoscenze dell’osservatore (dall’alto). - la percezione è influenzata da fattori individuali. Non sempre è univoca, ci possono essere degli errori o interpretazioni differenti. Costruttivismo indica un orientamento secondo cui la realtà non può essere considerata come un qualcosa di oggettivo, indipendente dal soggetto, perché è il soggetto stesso che crea, costruisce, inventa ciò che crede che esista. I più importanti sostenitori del costruttivismo sono Gregory e Allport. I paradigmi costruttivisti della percezione provengono in parte dalla scuola della Gestalt, che si inserisce all’interno delle teorie costruttivistiche della percezione. Il concetto fondamentale del costruttivismo è che la conoscenza umana, l’esperienza, l’adattamento, sono caratterizzati da una partecipazione attiva dell’individuo. La Teoria di Gregory. Gregory apprezza di Gibson le idee sulla percezione delle relazioni spaziali tra gli elementi del campo visivo e considera anche lui importanti le informazioni invarianti presenti nell’ambiente. Ma 18 si oppone all’idea che la percezione sia un processo diretto e che non richieda l’intervento di processi cognitivi superiori. Gregory dice che spesso le info raccolte dagli organi di senso sono incomplete e non sufficientemente ricche perché la percezione abbia luogo. Gregory con la sua teoria costruttivista sostiene che la percezione significa andare oltre l’evidenza immediata dei sensi. L’uomo ha bisogno di una immagine continuamente aggiornata per conseguire una migliore interpretazione dei dati disponibili. Spesso si ha bisogno di integrare l’info sensoriale perché quella necessaria non è disponibile. A livello dell’occhio, tutto viene scomposto. Eppure noi percepiamo un mondo omogeneo senza traccia dei processi sottostanti. Gli occhi vengono colpiti da luci dirette o riflesse che si sviluppano in uno spazio tridimensionale. Tutto ciò giunge contemporaneamente ai nostri occhi. L’attenzione selettiva è il processo tramite cui selezioniamo alcuni stimoli da elaborare ulteriormente ignorando gli altri. Nella visione sono importanti i movimenti oculari, per dirigere la nostra attenzione. La maggior parte delle fissazioni oculari ha come oggetto le parti della scena che veicolano la quantità maggiore di info. Per Gregory la percezione comporta una ricerca dinamica della migliore interpretazione dei dati disponibili, un processo che egli definisce “controllo delle ipotesi”. La percezione consta in una continua ricerca della migliore interpretazione possibile dei dati sensoriali. Gregory si interessò dello studio delle illusioni visive e delle figure ambigue. Per es: il cubo di Necker. È una rappresentazione bidimensionale ambigua. Se lo si fissa a lungo senza distogliere lo sguardo, ci accorgeremo che cambia direzione senza che possiamo impedirlo. Questo fenomeno è detto switching percettivo. È un cubo con le due facce disegnate di uguali dimensioni. Questa immagine produce sulla retina una immagine che il cervello può interpretare in due modi che corrispondono alla visione di un cubo visto da posizioni diverse. Il cervello non sceglie e continua a oscillare fra l’una e l’altra. Il cervello dà all’immagine una congruenza, comunque. Gregory attribuisce il fenomeno all’ambiguità. Cioè la possibilità di interpretare in due modi differenti senza indizi per propendere per una o l’altra interpretazione. La proiezione retinica del cubo, cioè l’immagine che viene effettivamente proiettata sull’occhio, rimane sempre la stessa, ma la percezione cambia continuamente. Nella vita quotidiana questi stimoli ci appaiono stabili e coerenti perché il mondo reale offre ricche informazioni contestuali, tali da eliminare ogni ambiguità, quindi è facile formulare un’ipotesi veritiera della forma dello stimolo visivo: effettuiamo tali inferenze in maniera automatica e prevalentemente inconscia. Non è possibile percepire contemporaneamente due percetti. Deve sempre prevalere una interpretazione sull’altra: o l’una o l’altra. Es: l’immagine della giovane e della vecchia: si vede una giovane con viso girato verso destra. Se guardiamo bene il collarino della giovane equivale alla bocca della vecchia, con un grande naso e un grande mento: il nostro cervello guarderà o l’una o l’altra. La percezione rispecchia il mondo reale. Nel mondo reale la sovrapposizione di stati di un oggetto è impossibile. Tutte le facoltà cognitive, quindi anche la percezione, si sono sviluppate a scopo adattivo per rispondere alle esigenze dell’ambiente. Il nostro sistema percettivo per ogni organo di senso, si è sviluppato in un certo ambiente, per certe richieste fatte via via dall’ambiente alle specie in evoluzione. La percezione si è evoluta in modo da rispecchiare il mondo nella maniera più fedele possibile. Sappiamo che il mondo si presenta in oggetti univoci che non possono essere due entità diverse contemporaneamente. Allport: il set percettivo. Allport, anche lui costruttivista, ha introdotto il concetto di Set Percettivo. L’attenzione sarebbe influenzata da tendenze sistematiche ad opera del sistema percettivo. Estraiamo dal mondo 19 circostante quegli elementi che più ci interessano, sia in base alle nostre esperienze precedenti, sia motivazioni, e mete che abbiamo in un determinato momento. Es: se siamo appassionati di scarpe, è probabile che, passeggiando, si faccia maggiormente caso a quelle. Alcuni stimoli risaltano sullo sfondo delle informazioni sensoriali. Questa teoria è vicina al costruttivismo di Gregory: la percezione è un processo attivo nel quale le informazioni sono variamente interpretate e elaborate. Questo tipo di set ha molteplici funzioni e particolarità: esso è influenzato da motivazioni, emozioni, aspettative ed esperienze passate e serve a rendere più efficiente la percezione, infatti esso riduce il numero di alternative fra cui scegliere. La predisposizione verso uno stimolo rende la scelta più rapida. A cosa serve il set percettivo? A rendere più efficace la percezione riducendo il numero di alternative tra cui scegliere. Per es: ho fame. Quindi ho una motivazione momentanea. La scelta delle ipotesi formulate sarà più rapida ed efficiente rispetto alla situazione in cui si devono considerare tutte le alternative possibili. Ho fame, quindi mangio. Decido rapidamente. Ho una priorità rispetto a cosa percepire. Coren, 1987: L’importanza dell’induzione di un preciso Set Mentale. Es: la croce con un cerchio nel mezzo (o un quadrato). Se ai soggetti dell’esperimento veniva anticipato che avrebbero visto un cerchio, probabilmente avrebbero visto un cerchio; viceversa un quadrato. Se ai soggetti non veniva detto nulla, essi avrebbero visto un cerchio o non avrebbero visto nulla. Il cerchio sembra dunque essere il percetto dominante, quello più probabile, mentre il quadrato si realizza solo se si induce un preciso set mentale. Per Allport le aspettative sono come una scorciatoia per interpretare gli stimoli e facilitare l’interazione con l’ambiente. Il set è associato a diverse variazioni psicologiche quali la motivazione, l’emozione, il tipo di contesto, le credenze o i pregiudizi individuali. Alcune criticità delle teorie costruttivistiche: Nel cercare di spiegare la percezione al di fuori del laboratorio. Partendo dal presupposto che esistono delle precise predisposizioni individuali e che quindi la percezione deriva dal nostro set mentale, come è possibile che tutti vediamo il mondo in modo pressappoco simile? E se l’informazione dai nostri organi di senso è probabilmente incompleta, come è possibile che il mondo venga percepito generalmente in modo corretto? Gibson criticò molto i costruttivisti per via dei loro esperimenti in laboratorio, costruiti ad hoc e che secondo lui non descrivevano ciò che normalmente avviene quando percepiamo il mondo circostante quotidianamente. A differenza di Gibson, i costruttivisti dimostrarono come mai esistono le illusioni percettive, nonostante esse abbiano dei limiti. Per es. la freccia, illusione, di Muller-Lyer. Sebbene si crei un set restiamo come convinti che le alette messe all’esterno ci facciano apparire la freccia come più lunga. Nonostante il set, dovrebbe cambiare il risultato della percezione, il percetto. Invece spesso non è così. Queste teorie della percezione, sviluppatesi recentemente anche mentre si sviluppavano teorie di intelligenza artificiale e di neuroscienze, che includono tanto i processi top down che bottom up, sono dette Teorie Sintetiche della Percezione. Le Teorie Sintetiche della Percezione Dagli anni ‘70, successivamente alle teorie trattate sopra, si sviluppano due rami importanti della scienza moderna: lo sviluppo del calcolo digitale e la nascita della moderna neuroscienza. Ci saranno delle caratteristiche innovative. Si ricerca la corrispondenza con la struttura intrinseca del sistema nervoso, per verificare i correlati neurali dei processi trattati nelle teorie. Si ritenevano valide quando si dimostra che la struttura del cervello è in grado di percepire nel modo descritto dal 20 modello. Le recenti teorie si distinguono perché il loro sviluppo è stato spesso conseguenza di associazioni con modelli “simulati” digitalmente della percezione umana, dato che, se è possibile, creare un programma per computer in grado di percepire, potrebbe significare che coloro che hanno ideato il programma hanno capito il funzionamento della percezione umana. Inoltre si è contribuito con informazioni per lo sviluppo di software utilizzati per es. per il riconoscimento facciale. Un’altra importante caratteristica delle più recenti teorie della percezione è che queste tentano di superare la dicotomia tra modelli top down e bottom up, integrando idee da entrambi i modelli. Queste teorie vengono chiamate sintetiche perché sintetizzano, mettono insieme, concetti provenienti dai modelli precedenti. L’analisi tramite sintesi di Neisser. Neisser, psicologo americano nato in Germania, membro della National Academy of Sciences degli Usa, è considerato il padre della psicologia cognitiva. Sfida l’orientamento comportamentista, sviluppando un suo modello teorico. 1967, “Psicologia Cognitivista”. In questo modello, i processi mentali interni (ignorati dal comportamentismo) erano molto importanti e anche studiati e misurati. Ciò grazie ai progressi dell’informazione, dei computer, e dei metodi sperimentali dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il comportamentismo studiava solo i comportamenti umani attraverso le risposte agli stimoli ambientali, disinteressandosi dei processi mentali. Neisser definisce la psicologia cognitiva come una metafora del cervello come elaboratore di informazioni, tipo computer, che poi rinnegò perché fuorviante. Propose una teoria secondo la quale la percezione procede come un ciclo, non è lineare, da un input a un output, bensì è un processo attivo, ciclico. L’osservatore è parte attiva, che controlla, modifica e ricontrolla costantemente l’input rispetto alle aspettative e la conoscenza precedente del mondo. Il concetto di Contesto diventa fondamentale: il contesto aiuta notevolmente la percezione poiché l’osservatore può crearsi delle aspettative in anticipo su ciò che si prepara a percepire. Il processo percettivo coinvolge contemporaneamente uomo e ambiente in modo circolare. L’uomo possiede dei piani mentali o cognitivi chiamati schemi anticipatori, derivanti da conoscenze pregresse. Questi schemi producono determinate aspettative e credenze che a loro volta guidano la nostra attività di esplorazione del mondo. Le conoscenze nuove che così si acquisiscono, a loro volta apportano modifiche a questi schemi anticipatori e quindi anche alle aspettative e credenze e al modo di esplorazione. Neisser concilia così le due posizioni bottom up (elaborazione guidata dai dati) e top down (elaborazione guidata dalle conoscenze). I dati in memoria (credenze, aspettative, schemi anticipatori) guidano la nostra attività di esplorazione (top down) e i nuovi dati acquisiti provenienti dall’esplorazione a loro volta modificano le nostre credenze e aspettative (bottom up). Per Neisser percepire non è uguale ad assegnare un oggetto a una categoria, ma costruire schemi adatti alle varie situazioni. Tali schemi possono subire continue modifiche in relazione alle nuove informazioni provenienti dall’ambiente. Il processo percettivo non è più governato da un andamento lineare, ma da un feedback (detto anello di retroazione): le info vengono raccolte grazie a uno schema (azione in avanti), ma quest’ultimo viene continuamente modificato dalle stesse (azione di ritorno, all’indietro) e condiziona le successive acquisizioni. Il ruolo giocato dalle anticipazioni sta proprio nella fase di ritorno, quando cioè è necessario adattare lo schema a una possibile variazione nel tipo di dato che sta per essere catturato. Secondo Neisser il ciclo percettivo è definito da differenti stadi o processi: 1- il primo stadio di tipo bottom up è la Selezione Preliminare. Secondo Neisser, una rappresentazione preliminare dei dati sensoriali avviene automaticamente e incoscientemente attraverso processi pre-attentivi. 2- il secondo stadio è rappresentato dalla Direzione. Se per l’osservatore nello stadio preliminare è presente uno stimolo più evidente rispetto agli altri, egli focalizzerà l’attenzione verso questo 21 stimolo. Ed effettuerà la costruzione di un modello percettivo, cioè di una rappresentazione mentale di oggetti o eventi probabili, rappresentazione che a sua volta scaturisce da schemi, cioè informazioni precedentemente memorizzate in situazioni analoghe. Questo tipo di processo è top down. L’osservatore confronterà in un secondo momento il modello percettivo con la rappresentazione preliminare, generata in precedenza da tale confronto. Si otterrà una rappresentazione detta intermedia, risultato dell’interazione tra il livello top down e il livello bottom up. 3- il terzo stadio, la Modificazione: se la scena corrisponde alle nostre aspettative, cioè se il confronto tra il modello percettivo e la rappresentazione preliminare risulta positivo, il risultato può essere considerato il prodotto finale della percezione. Se invece, il modello percettivo e i dati sensoriali non corrispondono perfettamente, il modello percettivo verrà modificato fino a che si avrà una perfetta corrispondenza. Il modello di Neisser è detto dell’Analisi tramite sintesi. In questa definizione la Sintesi opera dall’alto, genera un modello percettivo che si basa sulle nostre conoscenze precedenti del mondo. L’analisi, invece, procede dal basso per estrarre le informazioni sull’ambiente, è quella effettuata sui dati sensoriali. Molto importanti sono le dimensioni del movimento e del tempo. Con il movimento del soggetto si hanno continui cambiamenti nella disposizione ottica degli oggetti e ciò rende più chiara la realtà che si sta osservando. Il tempo è dunque fondamentale, perché ci vuole del tempo per percepire. Il Modello computazionale di Marr. Nel 1982, Marr, partendo da una coppia di immagini, arriva a una descrizione simbolica della scena vista. Cioè quel tipo di immagine mentale che si crea subito dopo avere aperto gli occhi davanti a una scena reale, ovvero quell’insieme di connessioni cognitive che ci porta a identificare gli oggetti. La Teoria di Marr identifica 3 livelli di spiegazione per la percezione visiva. Il livello più alto è quello computazionale, che è in relazione allo scopo della percezione. Il livello più basso è quello del substrato fisico, cioè il cervello. A livello intermedio vi sono gli algoritmi che si occupano dei processi dettagliati coinvolti nella percezione. 1-Il livello computazionale riguarda l’obiettivo che il sistema percettivo deve perseguire. Ci si chiede quale è il fine ultimo della percezione, perché si è voluta così, a cosa serve? 2-Il livello algoritmico riguarda i processi mentali implicati nella percezione. Quali sono i processi mentali che rendono possibile il percepire? 3-Il livello dell’Hardware riguarda i meccanismi neurofisiologici che rendono possibile l’elaborazione percettiva, cioè la struttura stessa del sistema nervoso e degli organi sensoriali. L’approccio di Marr è bottom up. Si focalizza prevalentemente sulla elaborazione sensoriale e sulla scomposizione delle immagini del SNC per ottenere le informazioni necessarie a percepire l’ambiente in maniera adeguata. Il modello prevede l’intervento di informazioni sui contenuti presenti in memoria precedentemente appreso e implica anche la collaborazione di fattori top down. Marr intendeva questa “conoscenza” come qualcosa di più generale, rifer ito alla conoscenza delle leggi fondamentali della fisica e della geometria. Es: una sedia con davanti una grossa scatola che ne copre una gamba, noi percepiamo ugualmente la sedia nella sua interezza. Perché la nostra precedente conoscenza fisica ci dice che la sedia deve avere quattro gambe, anche se in quel momento non le vediamo. 22 Ecco come la nostra conoscenza generale del mondo (che agisce top down) opera sull’input sensoriale (che agisce bottom up), ottenendo come risultato una sintesi percettiva. Marr propone che i processi coinvolti nella visione, producano una serie di rappresentazioni (= descrizioni ) che forniscono informazioni sempre più dettagliate sull’ambiente visivo. L’analisi dell’input sensoriale visivo procede in 4 stadi. 1. Descrizione dei livelli di grigio, in cui il sistema visivo estrae info sulla intensità della luce in ciascun punto del campo visivo. Ciò avviene sulla retina, dove l’immagine è scomposta in differenti livelli di luce (e colori) da parte dei fotorecettori. 2. L’abbozzo primario (primal sketch), che fornisce una descrizione bidimensionale dei principali cambiamenti di intensità luminosa dell’input visivo, incluse info sui profili, contorni e macchie. Questa rappresentazione è centrata sull’osservatore, cioè l’input visivo è descritto solo dal punto di vista dell’osservatore. 3. L’abbozzo 2.5D (2.5D sketch), che incorpora una descrizione della profondità e orientamento delle superfici visibili, utilizzando le info date dalla sfumatura, struttura, movimento, disparità binoculare ecc. Anche questo, come l’abbozzo primario, è centrato sull’osservatore. 4. La rappresentazione del modello 3D (3D model representation), che descrive tridimensionalmente le forme degli oggetti e la loro relativa posizione in un mondo che sia indipendente dal punto di vista dell’osservatore. È in questo momento che agiscono i fattori top down. Poiché questa rappresentazione comprende anche le parti nascoste dell’immagine e queste parti nascoste sono sintetizzate a partire dalle conoscenze che abbiamo del mondo. A questo stadio vedremo una sedia completa, un modello di sedia, che è completo, coerente e stabile, poiché riusciamo a dedurre le sue parti nascoste attingendo da ciò che sono le nostre “ipotesi” sul mondo, che, a loro volta, si basano sulle nostre conoscenze precedenti. Una completa rappresentazione della forma di un oggetto – e quindi dell’oggetto vero e proprio a livello descrittivo - non si può ottenere in un unico passo. Il processo di percezione delle forme segue, infatti, passi successivi. *Ottenimento delle immagini: per ripresa fotografica, videocamera o altri dispositivi, si raccoglie l’informazione dell’intensità luminosa. *Costruzione dell’abbozzo primario: dalle info sull’intensità luminosa ottenuta dalle immagini visive si riconoscono primitive geometriche e forme così da rendere possibile il riconoscimento delle superfici. *Costruzione dell’abbozzo 2.5D: utilizzando le info di profondità e orientamento delle superfici visibili si estraggono gli oggetti dal piano bidimensionale dell’immagine. *Costruzione del modello 3D: dalla posizione e dall’orientamento reciproco degli oggetti si esplicita e si collega l’intera rappresentazione della scena che viene ora vista in termini di descrizioni svincolate dalla posizione che hanno i relativi oggetti sull’immagine originale prelevata. Si ottiene in questo modo un modello descrittivo del mondo. L’abbozzo primario. Marr identifica due versioni dell’abbozzo primario: l’abbozzo primario grezzo e l’abbozzo primario completo. L’abbozzo primario grezzo contiene info sui cambiamenti di intensità luminosa della scena visiva. L’abbozzo primario completo si forma in seguito all’uso di queste info per identificare il numero e delineare le forme degli oggetti visti. I cambiamenti di intensità luminosa spesso forniscono info ambigue sul modo appropriato di organizzare un campo visivo. 23 Per es. in a) e b) i punti potrebbero essere raggruppati in modo orizzontale o verticale. Le linee c) potrebbero essere interpretate come due linee che si incrociano o come una linea a forma di V e una linea a forma di V invertita. ( o come un < o un > ). Mentre d) può essere vista come un cerchio o come un cerchio incompleto. La Teoria di Marr sull’abbozzo primario ricalca alcuni aspetti della Teoria della Gestalt e li utilizza per le proprie analisi. Uno dei principali interessi della Gestalt era l’organizzazione del campo visivo. La Legge della Pregnanza rappresenta il principio fondamentale della organizzazione percettiva: l’organizzazione del riconoscimento sarà sempre tanto buona, quanto lo consentiranno le condizioni contingenti. Per il gestaltisti l’aspetto giusto era il più semplice o il più conforme alle alternative a disposizione. I modelli sintetici sono stati oggetto di numerose critiche, specie perché questi modelli si sono concentrati principalmente sulla visione, ma non presentano un’adeguata spiegazione di come interagiscano i fattori top down con i fattori bottom up. Il modello di Marr è stato apprezzato anche da altri autori (Marr e Hildreth, 1980) che hanno ideato e prodotto programmi per computer in grado di simulare tale modello; programmi in grado di riconoscere gli oggetti che vengono presentati al computer. Precisiamo che, se il modello di Marr funziona quando lo si simula in un computer, questo non assicura e non rappresenta la prova che il sistema percettivo umano funzioni così. La critica mossa a Neisser invece riguarda l’interrogativo: Se la percezione scaturisce ed è determinata dalle esperienze passate e dalle aspettative, per quale motivo è possibile che riusciamo a percepire prontamente anche stimoli assolutamente inattesi, sui quali non si è avuto tempo di formulare aspettative che ne potessero favorire la percezione? 24 La scomposizione dell’immagine secondo Marr: MODULO 3 Le modalità sensoriali. Il senso visivo. L’OCCHIO E LA VISIONE L’occhio è l’organo che recepisce stimoli visivi del mondo e forse è il senso più importante. L’occhio ha una forma più o meno sferica, diametro circa 20 mm. Nella parte anteriore è protetto dalla palpebra che impedisce il passaggio della luce (se chiusa). La parte più esterna dell’occhio è la cornea, è trasparente e permette alla luce di passare e colpire l’iride. L’iride è un anello di pigmento che determina i diversi colori degli occhi. Lo spazio fra la cornea e l’iride è riempito da una sostanza trasparente chiamata umor acqueo. Al centro dell’iride c’è la pupilla. La pupilla è un foro circolare dal quale la luce entra nel bulbo oculare. Le variazioni del diametro della pupilla, e quindi della quantità di luce che passa, sono regolate da due gruppi di muscoli che hanno sede nell’iride. I muscoli circolari che si trovano lungo la circonferenza dell’iride. E i muscoli radiali che si irradiano dall’iride verso la pupilla. Una contrazione dei muscoli circolari corrisponde a una diminuzione del diametro della pupilla. Una contrazione dei muscoli radiali dà luogo a un aumento di diametro della pupilla. Il diametro della pupilla non è regolato solo dalla luce, ma anche da fattori emotivi. All’interno del bulbo oculare, dietro la pupilla, c’è il cristallino. Il cristallino è dietro la pupilla ed è mantenuto nella sua posizione dai muscoli intraoculari. Svolge una funzione di rifrazione dei raggi di luce che lo attraversano. I raggi di luce subiscono una prima correzione attraversando la cornea. Ma è necessario il cristallino con l’accomodamento/accomodazione per far cadere il punto focale sempre in una unica posizione: la retina. Oggetti vicini all’occhio: il cristallino si ispessisce e fornisce così la forte rifrazione necessaria per situare il punto focale dei raggi luminosi sulla retina. Oggetti lontani dall’occhio: il cristallino diviene più sottile, perché più debole è la rifrazione necessaria per situare il punto focale sulla retina. Dopo il cristallino, la luce attraversa l’umor vitreo, raggiungendo il punto focale che si trova sulla retina. La retina. 25 È la membrana interna che ricopre la parte posteriore dell’occhio. Ci sono i coni e i bastoncelli = i fotorecettori. I fotorecettori assorbono la luce e la trasformano in informazione neurale. La luce trasformata in informazione neurale viene poi trasmessa – attraverso le sinapsi con le cellule dello strato intermedio e le cellule gangliari dello strato più interno – fino al nervo ottico. Sia i coni che i bastoncelli sono composti da 4 parti: terminazione sinaptica, nucleo cellulare, segmento interno, segmento esterno. La luce viene assorbita dal segmento esterno. È la forma di questa parte che conferisce il nome di cono o bastoncello. Differiscono anche per la loro distribuzione sulla retina. I coni sono maggiormente concentrati al centro della retina, nella fovea. I bastoncelli alla periferia della retina. I bastoncelli reagiscono in condizioni di luce debole e hanno quindi soglia bassa: permettono di vedere di notte, bassi livelli di luminosità = visione scotopica. Non sono sensibili al colore della luce. I coni reagiscono in condizioni di luce forte, hanno quindi soglia alta = visione fotopica. Sono sensibili alla lunghezza d’onda della luce, da cui dipende la nostra sensibilità alle variazioni di colore. Ci sono tre tipi di coni, ognuno sensibile a uno dei colori principali dello spettro: il rosso, il verde, il blu. La retina è formata da 6 strati sovrapposti, coinvolti nel processo di trasduzione del segnale luminoso. Gli strati scuri, detti nucleari, contengono i nuclei delle cellule. Gli strati chiari, detti plessiformi, contengono gli assoni e i dendriti delle cellule. Immaginiamo di tracciare il percorso dell’informazione visiva attraverso gli strati: Ci sono sei fasi. 1- la luce raggiunge lo strato più profondo della retina, dove ci sono le cellule gangliari e penetra tutti gli strati cellulari (come se andasse in fondo e poi tornasse indietro), fino a quello più superficiale. E poi raggiunge i fotorecettori: coni e bastoncelli. 2- la trasduzione della luce ( da impulso luminoso a impulso nervoso ) viene effettuata dai segmenti esterni dei coni e bastoncelli. Questi inviano i segnali attraverso le cellule che compongono lo strato nucleare esterno fino allo strato successivo attraverso gli assoni di questo strato. 3- nello strato plessiforme esterno, gli assoni dei fotorecettori entrano in contatto con i dendriti delle cellule bipolari e delle cellule orizzontali. Queste ultime sono interneuroni che interconnettono i fotorecettori tra loro orizzontalmente e permettono così l’integrazione e la fusione delle info provenienti dai fotorecettori. 4- l’elaborazione di questo input viene effettuata dalle cellule bipolari dello strato nucleare interno e dalle cellule orizzontali e trasmettono il segnale ai loro assoni. 5- nello strato plessiforme interno, gli assoni entrano in contatto con i dendriti delle cellule gangliari e con le cellule amacrine che sono interneuroni che integrano i segnali provenienti dai fotorecettori e distribuiscono il segnale alle cellule gangliari. 6- infine, i neuroni dello strato delle cellule gangliari mandano i loro assoni attraverso lo strato delle fibre ottiche al disco ottico. Nel disco ottico si mielinizzano per formare il nervo ottico. Cellule gangliari e campo ricettivo. Le cellule gangliari sono tipici neuroni sui quali convergono le info provenienti dai fotorecettori. Le cellule gangliari sono in numero minore dei fotorecettori. Un gran numero di fotorecettori possono convergere (inviare info) su una sola cellula gangliare. Nella fovea si concentra la maggior quantità di fotorecettori, con conseguente massima acuità visiva. Nella zona periferica della retina minore quantità. Nella fovea esiste quasi un rapporto 1:1 tra i fotorecettori e le cellule gangliari (1 fotorecettore per ciascuna cellula gangliare). Nella periferia della retina (che è anche la periferia del campo visivo), invece, vi sono molti fotorecettori per ciascuna cellula gangliare. La relazione fra fotorecettori e cellule gangliari permette di formulare il concetto di campo ricettivo di una cellula gangliare, di forma circolare, costituito dall’insieme di fotorecettori che convergono, cioè che inviano informazioni, verso una singola cellula gangliare. 26 Al centro del campo visivo (fovea) i campi recettivi sono molto piccoli (circa 1grado) e sono fortemente sovrapposti (un dato punto cade in più di un campo ricettivo), invece nella periferia del campo visivo (e quindi della retina) i campi ricettivi sono più grandi (3-5 gradi) e si sovrappongono di meno. Le cellule gangliari sono sensibili alla luce che cade in una specifica parte del suo campo ricettivo. Le cellule gangliari possono essere di tipo centro on- periferia off (cellule ON); oppure centro off-periferia on (cellule OFF). On e Off si riferiscono al fatto che queste cellule si depolarizzano in risposta allo spegnimento della luce – off – più glutammato; o all’accensione della luce – on – meno glutammato. Il glutammato è il neurotrasmettitore dei fotorecettori. In un dato punto del campo visivo ci saranno sia cellule On che cellule Off e quindi campi ricettivi antagonisti con l’effetto di ridurre la risposta a campi di luce uniformi e rafforzare la risposta ai contrasti di luce e quindi ai dettagli e i contorni dell’immagine. Serve per effettuare una amplificazione dei contrasti di luce, poiché, in corrispondenza dei contorni di un’immagine, si avranno alcune cellule On che si attivano e tante cellule Off tutto attorno che invece si disattivano, facendo risaltare di più l’attivazione delle cellule On. Nei mammiferi, la maggior parte delle cellule gangliari della retina, hanno un campo recettivo centro periferia con un centro On o un centro Off. Queste possono essere suddivise in base al loro aspetto, alle loro connessioni e alle loro proprietà elettrofisiologiche. Nell’uomo: le cellule gangliari sono state suddivise in due tipi principali: - le cellule gangliari di tipi M (magnus) Magnocellulari. - le cellule gangliari di tipi P (parvus) Parvocellulari. - le cellule M costituiscono circa il 10% della popolazione totale delle cellule gangliari, mentre le cellule P costituiscono la maggior parte del resto (sono di più). Le cellule P: - campi ricettivi più ampi; conducono potenziali d’azione più rapidamente lungo il nervo ottico e sono più sensibili a stimoli a basso contrasto. Le cellule M: - rispondono alla stimolazione del loro campo ricettivo con una carica transiente di potenziali di azione, mentre le cellule P rispondono con una carica sostenuta e prolungata per tutta la durata dello stimolo. L’opinione prevalente è che le cellule M siano importanti per la sensibilità alla Forma più grossolana, (i contrasti di luce), alla Disparità Binoculare e alla detezione Movimento. Mentre le cellule P siano più sensibili alla Forma e ai dettagli fini e sono alla base della visione dei Colori (i contrasti di luce), della Disparità binoculare (la profondità), ma non al Movimento. Organizzazione della retina e percezione. La retina rappresenta già di per sé il processo percettivo, come organo recettoriale altamente complesso, perché essa comprende diversi sistemi paralleli di elaborazione: il sistema dei coni (visione fotopica) parallelo a quello dei bastoncelli (visione scotopica) e il sistema P (visione dei colori, delle forme e della profondità) parallelo al sistema M (visione del movimento, della forma grezza, della profondità). È già a livello retinico che si verifica una codifica separata e parallela dei quattro canali di informazione dell’immagine (forma, colore, movimento, disparità binoculare). La retina contribuisce a rappresentare in maniera diversificata la nostra percezione del mondo così: - sappiamo che i coni sono concentrati prevalentemente nella fovea sulla quale cade il centro del campo visivo. Di conseguenza la nostra acuità visiva sarà ai massimi livelli al centro del campo visivo e mediamente scarsa nella periferia. 27 - questo è un processo inconsapevole, dato che con i movimenti oculari rivolgiamo la fovea verso l’oggetto che attira la nostra attenzione. Ma se proviamo a non muovere gli occhi, potremo notare che la periferia del campo visivo è molto confusa e di colore poco definito, determinando che nella periferia del campo visivo non si vede quasi niente, anche se ciò non sembra. - i bastoncelli ci consentono di vedere quasi al buio, in situazioni di bassa luminosità, sono distribuiti soprattutto nella periferia della retina e quindi nella periferia del campo visivo: la visione notturna è nettamente migliore nella periferia del campo visivo rispetto al centro. Il processo è inconsapevole. Infatti, quando siamo al buio, i nostri occhi e capo si muovono in maniera rapida e automatica, con l’intento di fare cadere gli oggetti nella periferia del campo visivo. Inoltre, al buio, non riusciamo a vedere i colori (visione acromatica) poiché i bastoncelli sono sensibili solo alle variazioni di luminosità assoluta e non ai colori. C’è una parte dei bulbi oculari che non è utile alla visione, una piccola parte della retina, alla periferia, dove non ci sono recettori. Si chiama Punto Cieco o Macchia Cieca. Questa viene perfezionata durante il corso del processamento retinico attraverso l’integrazione delle parti contigue al punto cieco. Avere il punto cieco è normale e non compromette la visione. Dopo l’arrivo alle Cellule Gangliari, l’info visiva viene raccolta nel Nervo Ottico, costituito dagli assoni di tutte le cellule gangliari. Il nervo ottico si incrocia a livello del Chiasma Ottico. E poi raggiunge il Talamo (oltre che altri centri nervosi). Da qui è riproiettata alla corteccia cerebrale. Le vie visive centrali. È un insieme di strutture che, partendo dalla retina, collegano il bulbo oculare al cervello nella sua porzione occipitale. Sono strutture sensoriali e percettive che permettono la visione delle immagini grazie alla ricezione di un impulso luminoso, il suo trasferimento sotto forma di impulso elettrico e formazione della sensazione visiva con conseguente interpretazione. Sono formate da: Nervo Ottico; Chiasma Ottico; Tratto Ottico; Corpo Genicolato Laterale (CGL o NGL); Radiazioni Ottiche di Gratiolet. Il nervo ottico è il II paio di nervi cranici, origina dalla confluenza delle fibre ottiche retiniche in corrispondenza della papilla ottica. La papilla ottica è la testa del nervo ottico. Il nervo ottico rappresenta la prosecuzione del secondo neurone di conduzione. I nervi ottici dei due occhi si uniscono a livello del chiasma ottico. Il chiasma ottico è una struttura ovale che rappresenta il punto di unione tra il nervo ottico dell’occhio destro e il nervo ottico dell’occhio sini

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