Summary

This document discusses plant diseases, their causes, classification, and the plant's response mechanisms. It covers various types of pathogens, including fungi, bacteria, and viruses, and the different ways they affect plants. It explains the physiology of plants and the symptoms of diseases, as well as methods of resistance in plants.

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BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALLA DIFESA DELLE PIANTE / Modulo 1 Malattie delle Piante e Perdite Alimentari Le malattie delle piante causano perdite alimentari significative, circa il 40% delle colture viene perso a causa di infezioni, dove i funghi rappresentano il problema maggiore con il 20-30% delle...

BIOTECNOLOGIE APPLICATE ALLA DIFESA DELLE PIANTE / Modulo 1 Malattie delle Piante e Perdite Alimentari Le malattie delle piante causano perdite alimentari significative, circa il 40% delle colture viene perso a causa di infezioni, dove i funghi rappresentano il problema maggiore con il 20-30% delle perdite, seguiti da batteri (5-10%) e virus (5-10%). Questo scenario rende indispensabile lo sviluppo di metodologie sostenibili rispetto agli agrofarmaci tradizionali, i quali presentano problematiche come la pressione selettiva sui patogeni, che evolve per superare le resistenze delle piante. Inoltre, gli agrofarmaci contribuiscono all'inquinamento ambientale, contaminando le falde acquifere. Persino l'agricoltura biologica, che usa il rame come difesa, solleva preoccupazioni, dato che il rame è un metallo pesante con impatto negativo sull'ambiente. Tipi di Patogeni Funghi: sono i principali patogeni delle piante e provocano una vasta gamma di malattie. Batteri: anche se meno numerosi rispetto ai funghi, sono difficili da controllare. Virus: difficili da combattere, anche se causano meno malattie in termini di specie. Classificazione delle Malattie Le malattie delle piante possono essere classificate in due grandi categorie: 1. Malattie parassitarie, causate da organismi viventi come funghi, batteri, virus e insetti. 2. Malattie non parassitarie, dovuti a fattori ambientali non viventi, come siccità, temperature estreme o carenze nutrizionali. Ogni cinque anni viene stilata una Top Ten dei patogeni delle piante, che cambia frequentemente a causa dei cambiamenti climatici e della globalizzazione. Questi fattori favoriscono l'emergere di nuovi patogeni e il loro spostamento in nuove aree. Ad esempio, Colletotrichum, un fungo che prima era presente solo in alcune specie vegetali, sta ora causando problemi in molte altre specie. Fisiologia della Pianta e Sintomi di Malattia Una malattia è qualsiasi deviazione della fisiologia della pianta sana che può colpire radici, fusti, foglie o frutti. Alcune malattie possono essere locali (limitandosi a una parte della pianta), mentre altre sono sistemiche e si diffondono attraverso il sistema vascolare della pianta, provocando sintomi gravi come: Clorosi: ingiallimento delle foglie dovuto a carenza di clorofilla. Marciumi: deterioramento dei tessuti, spesso causato da necrotrofi. Galle: crescite anomale dei tessuti vegetali. Cancri: lesioni localizzate nel legno di alberi o arbusti. Alcuni esempi di sintomi causati da malattie locali includono: Macchie fogliari: causate da funghi, batteri o virus, appaiono come aree scolorite o necrotiche (tessuti morti) su una parte delle foglie. Queste macchie possono essere piccole o espandersi, ma rimangono limitate a una zona specifica della foglia. Marciume radicale locale: colpisce solo una parte delle radici. Anche se il danno non è sistemico, la pianta può avere difficoltà nell'assorbire acqua e nutrienti in quella zona, con effetti negativi sul suo vigore. Cancro localizzato: è una lesione circoscritta che si forma generalmente su rami o tronchi. È spesso causato da batteri o funghi e porta a tessuti necrotici nella zona colpita, ma può non estendersi a tutta la pianta. Crescita stentata in alcune parti: una parte della pianta può apparire meno sviluppata o presentare deformazioni a causa di infezioni che bloccano il flusso di nutrienti in una zona circoscritta. Resistenza delle Piante 1 Le piante possiedono meccanismi di resistenza naturale contro i patogeni, e raramente si ammalano. Un'importante difesa è la resistenza non ospite, in cui una pianta non è suscettibile a un determinato patogeno. Questa resistenza è spesso orizzontale, non specifica per specie, e si basa su caratteristiche strutturali e biochimiche della pianta. Ad esempio: Cuticola: strato protettivo ceroso che copre la superficie esterna delle piante. Parete cellulare: costituita da cellulosa, lignina e pectina, fornisce una barriera fisica contro l'intrusione di patogeni. Penetrazione dei Patogeni I patogeni possono penetrare nelle piante in due modi: 1. Passivamente: attraverso aperture naturali come stomi, lenticelle o ferite. 2. Attivamente: utilizzando enzimi o altre sostanze per degradare la barriera della pianta e invaderla. Sistema Immunitario delle Piante Le piante hanno due livelli principali di difesa contro i patogeni, noti come PTI ed ETI: 1. PTI (Pattern-Triggered Immunity): È il primo livello di difesa della pianta. Si attiva quando la pianta riconosce i PAMP (Pattern-Associated Molecular Patterns), molecole associate ai patogeni. Questa immunità è generica e ha un basso costo energetico. 2. ETI (Effector-Triggered Immunity): Se il patogeno supera il PTI, entra in gioco il secondo livello di difesa. La pianta riconosce specifici effettori (molecole prodotte dai patogeni per neutralizzare le difese della pianta) e attiva una risposta più potente, ma energeticamente costosa. Questi meccanismi di difesa delle piante sono rappresentati da un modello chiamato modello a zigzag, che descrive l'evoluzione dinamica delle interazioni tra piante e patogeni, in particolare per quanto riguarda i patogeni biotrofi. Il modello a zigzag si basa sull'idea che la difesa delle piante avviene attraverso una serie di fasi alternate tra il riconoscimento del patogeno e la risposta difensiva della pianta. Tuttavia, in parte questo modello è considerato superato, poiché la rigida distinzione tra i vari "pathways" (vie metaboliche e difensive) non riflette la complessità reale delle interazioni pianta-patogeno. Si basa, appunto, su due fasi principali: 1. PTI (Pattern-Triggered Immunity): La pianta riconosce molecole estranee associate ai patogeni (PAMPs) e attiva una difesa precoce. 2. ETI (Effector-Triggered Immunity): Il patogeno rilascia effettori per evadere la difesa, ma la pianta risponde con meccanismi più forti e specifici. In generale, i meccanismi difensivi della pianta si differenziano per intensità, estensione dell'azione, e momento di attivazione (difese preesistenti o precoci). Inoltre, questi meccanismi possono variare a seconda del tipo di patogeno e della natura della difesa, che può essere strutturale (es. pareti cellulari rinforzate) o biochimica (es. produzione di sostanze antimicrobiche). Classificazione organismi Gli organismi possono essere classificati in base al loro tipo di nutrizione in: Autotrofi, organismi capaci di sintetizzare sostanze organiche autonomamente a partire da sostanze inorganiche, come i minerali, tramite processi come la fotosintesi o la chemosintesi. Eterotrofi, organismi che non sono in grado di produrre autonomamente le sostanze organiche e quindi devono procurarsele già formate dall'ambiente esterno. Tra gli eterotrofi si distinguono: o Saprotrofi, che si nutrono di materia organica morta o in decomposizione. Questi organismi non sono in grado di causare malattie. o Parassiti, che vivono a spese di organismi viventi, causando malattie. 2 I parassiti possono essere ulteriormente classificati in base al loro tipo di interazione con le piante in: o Parassiti biotrofi sono organismi che devono mantenere un contatto continuo con un ospite vivente per sopravvivere. Questi parassiti si nutrono senza uccidere immediatamente le cellule dell'ospite, causando sintomi lievi ma che possono portare a significative perdite economiche. I biotrofi penetrano nelle piante utilizzando strutture specializzate chiamate austori, che permettono loro di assorbire i nutrienti dalle cellule senza causare la morte immediata. Non producono tossine ed enzimi litici. Gli esempi includono alcuni funghi fitopatogeni, come quelli che causano il mal bianco (oidio), e i fitovirus. Col tempo, la perdita continua di nutrienti e funzioni cellulari può portare alla morte della pianta ospite. I biotrofi tendono ad avere un numero ridotto di ospiti e non possono vivere senza di essi; se l'ospite manca, possono sviluppare strutture di resistenza. o Parassiti necrotrofi sono organismi che si nutrono di tessuti morti. Questi parassiti uccidono le cellule dell'ospite attraverso la produzione di enzimi litici, che degradano le strutture cellulari, e si nutrono dei prodotti della decomposizione. I necrotrofi hanno un alto numero di ospiti e una bassa specializzazione. Un esempio tipico è Botrytis cinerea, che provoca la muffa grigia nelle fragole. I necrotrofi possono vivere come saprofiti su tessuti morti e generalmente causano sintomi gravi come marciumi e avvizzimenti. Esiste una categoria intermedia di parassiti chiamata emibiotrofi. Questi parassiti, all'inizio del processo infettivo, si comportano come biotrofi, mantenendo la vitalità delle cellule ospiti. Tuttavia, in un certo punto del loro ciclo vitale, passano a un comportamento necrotrofo, producendo sostanze che causano la morte delle cellule dell'ospite. Un esempio di parassita emibiotrofo è Spilocaea pomi, responsabile della ticchiolatura del melo. I Funghi: Caratteristiche Biologiche e Ciclo Patogenetico Struttura e Caratteristiche Cellulari I funghi sono organismi eucarioti con struttura multinucleata e citoplasma continuo. Presentano crescita bidimensionale volta a colonizzare il substrato. Le loro cellule sono racchiuse da una parete cellulare composta da chitina, un polimero che li distingue dalle piante, le quali invece hanno pareti cellulari di cellulosa. La loro membrana cellulare è simile a quella degli altri eucarioti, ma la parete cellulare è altamente porosa, consentendo il passaggio di molecole fino a 5 kDa. Nutrizione per assorbimento: I funghi si nutrono rilasciando enzimi litici che digeriscono esternamente il substrato, per poi assorbirne i nutrienti. Si sviluppano in modo bidimensionale, rivestendo il substrato con una rete di filamenti chiamati ife, il cui insieme forma il micelio. Carboidrato di riserva: A differenza delle piante, il carboidrato di riserva nei funghi è il glicogeno, non l’amido. Crescita e Dinamicità Genomica Le ife sono filamenti tubulari con crescita apicale, ossia l’estremità dell'ifa è la zona di crescita attiva. Qui si concentrano mitocondri e strutture per la sintesi della membrana e della parete cellulare. Le ife si ramificano e formano un fitto reticolo che consente al fungo di colonizzare il substrato. Più ife formano un micelio. I funghi presentano una dinamicità genomica che permette loro di adattarsi rapidamente. I nuclei presenti nello stesso citoplasma possono fondersi e scambiarsi materiale genetico. Questo scambio avviene anche tra funghi diversi, grazie alla fusione delle ife, permettendo a funghi di acquisire nuovi tratti genetici e adattarsi a condizioni ambientali variabili. Stili di Vita I funghi presentano tre principali stili di vita: Saprofiti: Decompongono materiale organico morto, contribuendo al riciclo dei nutrienti negli ecosistemi. Simbionti: Vivono in simbiosi con altri organismi, come nelle micorrize, dove instaurano una relazione mutualistica con le piante. Parassiti: Attaccano organismi viventi per nutrirsi dei loro tessuti, causando malattie alle piante e ad altri esseri viventi. 3 Questa versatilità nello stile di vita è resa possibile dalla flessibilità genomica, che consente ai funghi di adattarsi rapidamente a nuovi ambienti o di diventare patogeni anche in specie precedentemente non colpite. Modificazioni delle Ife Alcune ife si modificano in strutture specializzate, utili per i processi di infezione e colonizzazione: Appressori: Strutture che esercitano pressione sulla cuticola della pianta, consentendo al fungo di penetrare attivamente nel tessuto vegetale. Austori: Strutture invaginate che permettono al fungo parassita di assorbire nutrienti direttamente dalle cellule ospiti. Sclerozi e clamidiospore: Forme di resistenza che permettono al fungo di sopravvivere in condizioni avverse. Ciclo di Vita e Riproduzione dei Funghi La riproduzione dei funghi è un processo complesso che avviene principalmente attraverso la formazione di spore, strutture specializzate che consentono la dispersione e la sopravvivenza del fungo in condizioni avverse. La capacità dei funghi di riprodursi sia sessualmente che asessualmente li rende particolarmente adattabili a vari ambienti e condizioni. 1. Riproduzione Asessuata Nella riproduzione asessuata, un singolo organismo genitore produce spore mitotiche che si diffondono e germinano senza la fusione di nuclei da individui diversi. Questo tipo di riproduzione consente una rapida proliferazione e colonizzazione dell'ambiente. Spore mitotiche (o conidi): Derivano dalla semplice divisione mitotica delle cellule fungine, dando origine a nuove spore geneticamente identiche al genitore. Mitosporici: Sono quei funghi che si riproducono esclusivamente in modo asessuato, come alcune specie di muffe. Le spore asessuate vengono rilasciate nell’ambiente, germinano e danno origine a una nuova rete di ife. Il ciclo di riproduzione asessuata permette ai funghi di diffondersi rapidamente in condizioni ambientali favorevoli, poiché non richiede la presenza di un secondo individuo. 2. Riproduzione Sessuata La riproduzione sessuata nei funghi comporta la fusione di nuclei da due individui geneticamente diversi (solitamente da ife di "segno" opposto, cioè compatibili). Questo processo introduce variabilità genetica, aumentando la capacità del fungo di adattarsi a nuovi ambienti o condizioni difficili. La riproduzione sessuata segue tre fasi principali: Plasmogamia: La fusione dei citoplasmi di due cellule sessuali provenienti da individui diversi. Cariogamia: La fusione dei due nuclei aploidi, che forma un nucleo diploide. Meiosi: Il nucleo diploide subisce una divisione meiotica, riducendo il numero di cromosomi e producendo spore sessuate aploidi geneticamente diverse dal genitore. I funghi che si riproducono sessualmente generano spore sessuate, che possono essere: Ascospore: Nei funghi appartenenti agli Ascomiceti, come il lievito e la muffa verde, le ascospore si formano all'interno di strutture chiamate aschi. Basidiospore: Nei Basidiomiceti, come i funghi a cappello, le spore sessuate si formano su strutture chiamate basidi. Queste spore sessuate, una volta rilasciate, germinano e formano una nuova rete di ife. 4 3. Germinazione delle Spore Dopo un periodo di dormienza, le spore (sia sessuate che asessuate) possono germinare quando le condizioni ambientali sono favorevoli, come presenza di umidità, temperatura adeguata e substrato nutriente. Durante la germinazione, la spora sviluppa una prima ifa che si ramifica e dà inizio alla crescita del micelio. Questa fase iniziale è cruciale per la colonizzazione del substrato. Crescita apicale: Le ife crescono in modo apicale, ossia all’estremità, estendendosi e ramificandosi per esplorare e assorbire i nutrienti dal substrato. Questa crescita permette al fungo di colonizzare velocemente nuove aree. 4. Spore di Resistenza In alcune condizioni avverse, come carenza di nutrienti, temperature estreme o siccità, i funghi possono formare spore di resistenza: Clamidospore: Spore con pareti spesse, che permettono al fungo di sopravvivere in condizioni sfavorevoli. Le spore di resistenza possono rimanere dormienti per lunghi periodi, germinando solo quando le condizioni diventano nuovamente favorevoli. 5. Anastomosi e Scambio Genetico Un altro meccanismo fondamentale per la variabilità genetica nei funghi è l’anastomosi. Durante la crescita, le ife di individui diversi possono fondersi, permettendo lo scambio di nuclei e materiale genetico tra loro. Questo meccanismo contribuisce alla dinamicità genomica, favorendo la rapida evoluzione dei funghi e la loro capacità di adattarsi a nuovi ambienti e ospiti. Ciclo della Malattia nei Patogeni delle Piante Il ciclo della malattia causata da patogeni delle piante segue una serie di fasi comuni, che variano leggermente a seconda del tipo di patogeno (funghi, batteri, virus). Queste fasi costituiscono il ciclo della malattia: 1. Inoculo: La fonte del patogeno (spore per i funghi, cellule batteriche, virioni o fitoplasmi) viene disseminata nell'ambiente. La diffusione può avvenire attraverso vento, acqua, vettori (come insetti) o tramite contatto diretto con altre piante. 2. Adesione: Il patogeno aderisce alla superficie della pianta ospite. Questo passaggio è fondamentale perché il patogeno possa avvicinarsi alle barriere fisiche e chimiche della pianta. 3. Riconoscimento, solitamente mediato da molecole prodotte dal patogeno e dalla pianta; 4. Penetrazione: Il patogeno penetra nei tessuti vegetali attraverso ferite naturali, aperture stomatiche o tramite la creazione di strutture specializzate (come gli appressori nei funghi o le tossine nei batteri necrotrofi). Alcuni virus richiedono l'aiuto di vettori insetti per la penetrazione. 5. Colonizzazione: Il patogeno inizia a moltiplicarsi e a nutrirsi dei tessuti dell'ospite. La colonizzazione può essere: o Intercellulare (tra le cellule) o intracellulare (all'interno delle cellule) per i funghi; o Vascolare (nei vasi del floema o xilema) per batteri e virus; o Superficiale (come con alcuni batteri e funghi che vivono sulla superficie della pianta). 6. Sintomi: Dopo un periodo di incubazione, la pianta sviluppa sintomi visibili come necrosi, avvizzimenti, macchie fogliari o deformazioni. Il tipo di sintomo varia in base al patogeno e alla parte della pianta colpita. 7. Evasione: Il patogeno completa il suo ciclo producendo nuovi inoculi (spore fungine, cellule batteriche, virioni) che vengono rilasciati nell'ambiente per infettare nuove piante. Nei patogeni policiclici, ciò porta a cicli multipli di infezione all'interno di una stessa stagione di crescita. Diffusione delle Malattie 5 Diffusione passiva: Le spore fungine o i batteri possono essere trasportati dal vento, dall’acqua o da vettori come insetti. Vettori biologici: Insetti come afidi e mosche bianche possono trasportare patogeni, soprattutto virus, da una pianta all’altra. Riconoscimento e Resistenza Durante il processo di infezione, la pianta tenta di riconoscere le molecole estranee (effettori) prodotte dal patogeno. Se il riconoscimento avviene tempestivamente, la pianta può attivare difese innate, ma molti patogeni evolvono meccanismi per eludere questo riconoscimento, ritardando l'attivazione delle difese. Colonizzazione La colonizzazione da parte di patogeni vegetali varia significativamente tra funghi, batteri e virus, ciascuno con strategie distintive per infettare e propagarsi all'interno delle piante. Funghi I funghi patogeni possono adottare due principali modalità di colonizzazione: biotrofica e necrotrofica. I funghi biotrofi (come gli oidi e le ruggini) si stabiliscono su tessuti viventi, mantenendo la pianta ospite in vita per un lungo periodo. Utilizzano strutture specializzate come gli appressori per penetrare la cuticola e formano austori all'interno delle cellule vegetali per assorbire nutrienti senza uccidere immediatamente le cellule. Al contrario, i funghi necrotrofi (come Botrytis cinerea) causano una rapida morte cellulare attraverso la secrezione di enzimi litici e tossine, nutrendosi dei tessuti morti. La loro colonizzazione spesso porta a sintomi gravi come marciumi e necrosi. Batteri I batteri patogeni possono colonizzare le piante attraverso due modalità principali: parenchimatica e vascolare. I batteri parenchimatici (es. Xanthomonas spp.) infettano i tessuti parenchimatosi, causando sintomi come macchie fogliari e marciumi. Essi spesso entrano nelle piante attraverso stomati o ferite e possono diffondersi via il fluido intercellulare. I batteri vascolari (es. Clavibacter michiganensis) colonizzano i vasi xilematici e floematici, ostacolando il trasporto di acqua e nutrienti e provocando avvizzimenti e necrosi. I batteri patogeni spesso secernono esotossine che danneggiano ulteriormente i tessuti vegetali. Virus I virus patogeni hanno una modalità di colonizzazione completamente diversa. Non sono in grado di replicarsi al di fuori delle cellule vegetali, quindi penetrano attraverso ferite o sono trasmessi da vettori come insetti (es. afidi) o strumenti contaminati. Una volta all'interno della cellula, i virus si replicano nel citoplasma o nel nucleo, utilizzando il meccanismo cellulare dell'ospite per produrre nuove particelle virali. La colonizzazione virale avviene principalmente all'interno delle cellule, diffondendosi attraverso i plasmodesmi (canali citoplasmatici tra cellule adiacenti) e il floema (tessuto di trasporto delle sostanze nutritive), causando sintomi come mosaico fogliare, deformazioni e necrosi. I virus non causano direttamente la morte cellulare immediata, ma compromettono le funzioni cellulari e riducono la vitalità della pianta. Manifestazione dei Sintomi e Evasione del Patogeno Dopo la colonizzazione, iniziano a manifestarsi i sintomi della malattia. Nei funghi, la manifestazione coincide spesso con la evasione del patogeno, ovvero il rilascio di spore o altre forme di propaguli nell'ambiente. Questa fase segna il completamento del ciclo del patogeno e la sua ricerca di nuovi ospiti. Ciclo di Infezione: Monociclico e Policiclico Patogeni monociclici: Questi patogeni completano solo un ciclo di infezione per stagione. Generalmente, si tratta di patogeni che infettano tessuti vascolari o che dipendono da condizioni specifiche per il loro sviluppo. Esempi sono i patogeni vascolari, come Verticillium dahliae, che causa il "verticillium wilt". Poiché non possono produrre nuovi cicli di infezione durante la stessa stagione, si sviluppano e diffondono più lentamente. 6 Patogeni policiclici: I patogeni policiclici, come alcuni funghi fogliari o virus, possono generare molti cicli di infezione durante una sola stagione di crescita, producendo inoculi secondari. Questi patogeni trovano numerosi ospiti attorno a loro, e quindi possono diffondersi rapidamente e in modo esponenziale. Esempi di patogeni policiclici sono Botrytis cinerea (muffa grigia) e Puccinia spp. (ruggine). Disseminazione e Monitoraggio delle Malattie I patogeni si diffondono nell'ambiente tramite inoculi come spore (funghi) o insetti vettori (virus). La disseminazione può avvenire attraverso vento, acqua o insetti. Le organizzazioni internazionali, come l'EPPO (European and Mediterranean Plant Protection Organization), monitorano la diffusione dei patogeni e li classificano in: A1: patogeni non presenti in un determinato stato, ma con alto rischio di arrivo. A2: patogeni già presenti in una regione ma in fase emergente. Immunità delle piante Le piante non sono dotate dello stesso tipo di sistema immunitario dei mammiferi. L’uomo ha due tipi di sistema immunitario: uno innato, ereditato geneticamente, e un adattivo, che si sviluppa nel corso della vita in risposta a nuovi patogeni. Il sistema immunitario adattivo è dinamico, si arricchisce ogni volta che incontriamo un nuovo patogeno e si adatta alle informazioni innate, sviluppando una risposta specifica grazie agli anticorpi che riconoscono gli antigeni. Le piante, invece, possiedono solo un sistema immunitario innato. Esse nascono già dotate di tutte le informazioni necessarie per sviluppare forme di difesa. Questo sistema non cambia nel corso della vita e presenta grandi differenze rispetto a quello innato dei mammiferi, poiché le piante sono sessili. Di conseguenza, hanno sviluppato meccanismi di difesa più potenti. Il sistema immunitario innato delle piante si divide in due grandi categorie: 1. Difese strutturali (o meccaniche): le barriere fisiche come la cuticola, le pareti cellulari lignificate e le cere impediscono la penetrazione dei patogeni. 2. Difese biochimiche: la produzione di molecole antimicrobiche come i fitoalessine, i peptidi antimicrobici (AMPs) e gli enzimi degradanti come le glucanasi e le chitinasi. Queste molecole sono spesso tossiche per i patogeni e svolgono un ruolo fondamentale nell'immunità delle piante. Il sistema innato delle piante è uguale per tutte le cellule: ogni cellula ha la stessa forma di difesa, che non è specifica per foglie, radici o fiori. Tuttavia, quando una cellula entra in contatto con un patogeno, può inviare segnali alle altre cellule, anche distanti, potenziandone le difese. Questa forma di difesa è indotta, ha una durata breve e una bassa intensità, ma la difesa principale si verifica localmente, nella cellula a contatto con il patogeno. Penetrazione e riconoscimento dei patogeni I patogeni possono penetrare nelle piante attivamente o passivamente. Dopo la penetrazione, le piante sono in grado di riconoscere il microrganismo con cui sono in contatto e distinguere se si tratta di un patogeno o di un simbionte/endofita (microrganismi benefici). Questo riconoscimento iniziale avviene tramite le stesse molecole, indipendentemente dal fatto che il microrganismo sia patogeno o benefico. Due livelli di difesa Una volta riconosciuto il patogeno, le piante attivano due livelli di difesa: 1. PTI (Pattern-Triggered Immunity): Questo è il primo livello di difesa, meno intenso, e funziona contro gruppi tassonomici ampi di patogeni. Si basa sul riconoscimento di elementi generici, come la flagellina (nei batteri) o la chitina (nei funghi). Questa difesa è definita orizzontale, perché è generica e comune a molti organismi. Tuttavia, alcuni patogeni possono superare questa difesa mascherando i loro elementi di riconoscimento o rilasciando tossine. 2. ETI (Effector-Triggered Immunity): Questa è una difesa più specifica ed energeticamente costosa. Entra in gioco quando i patogeni producono molecole chiamate effettori, che sono in grado di superare la PTI. La pianta riconosce questi effettori e attiva la difesa verticale. Questo meccanismo può ricordare quello degli anticorpi nei mammiferi, ma è geneticamente e molecolarmente diverso. 7 Il processo di attivazione delle difese vegetali segue il modello a zigzag, descritto in un articolo del 2006. Il modello a zigzag descrive l'interazione dinamica tra pianta e patogeno. La difesa comincia con la PTI, ma se il patogeno elude questa difesa con effettori, la pianta risponde con l'ETI, aumentando progressivamente l'intensità delle sue risposte difensive. Questo ciclo di riconoscimento e contro- attacco continua fino a che uno dei due organismi prevale. PAMP e MAMP I PAMP (Pathogen-Associated Molecular Patterns) sono molecole caratteristiche di patogeni, come la chitina o la flagellina. Quando includiamo anche microrganismi non patogeni, parliamo di MAMP (Microbe-Associated Molecular Patterns), e la risposta che si attiva è chiamata MTI (MAMP-Triggered Immunity). Questo livello di difesa è responsabile del successo evolutivo delle piante, in quanto la condizione di malattia è un'eccezione, grazie alla PTI. La PTI si basa su componenti vitali per i microrganismi, che non possono mutare facilmente, come la chitina o la flagellina. ETI e instabilità evolutiva La seconda forma di resistenza nelle piante è chiamata resistenza verticale. Si sviluppa quando alcuni genotipi di patogeni riescono a superare la prima linea di difesa della pianta, la cosiddetta PTI (Immunità Innata Mediata da PAMP). Questo avviene perché i patogeni sono in grado di mascherare le molecole di riconoscimento della pianta oppure di produrre molecole tossiche che indeboliscono la difesa orizzontale. Gli individui patogeni che riescono a superare la PTI, lo fanno producendo effettori, molecole necessarie per neutralizzare la resistenza orizzontale della pianta. In questo stadio, la pianta si trova in una condizione di suscettibilità. Tuttavia, se è in grado di riconoscere questi effettori prodotti dal patogeno, può attivare una seconda forma di resistenza, nota come ETI (Immunità Mediata da Effettori). L'ETI è una risposta più specifica, in cui la pianta riconosce direttamente gli effettori batterici. Anche se questo meccanismo può ricordare, per specificità, il sistema antigene-anticorpo degli animali, dal punto di vista genetico e molecolare funziona diversamente. L'evoluzione della resistenza verticale è considerata instabile, perché si basa su un singolo fattore di riconoscimento. Inoltre, è relativamente facile per il patogeno cambiare i propri effettori, dato che questi fanno parte dei metabolismi secondari e non sono essenziali per la sopravvivenza della cellula. Sotto una forte pressione selettiva, il patogeno può quindi mutare o perdere i suoi effettori. Quando un patogeno è in grado di essere riconosciuto dalla pianta, si dice che è avirulento. In questa situazione, la reazione tra il patogeno e la pianta è definita incompatibile, perché la pianta riesce a attivare le sue difese e a respingere l'infezione. Tuttavia, se il patogeno riesce a mutare i suoi effettori o a perderli completamente, la pianta non riesce più a riconoscerlo. In questo caso, il patogeno diventa virulento, e la pianta torna a essere suscettibile all'infezione. Questo fenomeno è conosciuto come ETS (Effector-Triggered Susceptibility). In altre parole, ETS descrive la situazione in cui il patogeno, modificando i suoi effettori, riesce a eludere il sistema immunitario della pianta, permettendo così all'infezione di svilupparsi. Anche la pianta, nel tempo, può evolvere e produrre nuovi recettori per riconoscere i nuovi effettori del patogeno, rinnovando la sua resistenza. Gli effettori sono molecole prodotte da patogeni che sopprimono il sistema di difesa della PTI (Immunità Innata Mediata da PAMP). Anche se sono considerati elicitori, il loro ruolo è specifico, in quanto mirano a neutralizzare le risposte immunitarie della pianta. Gli elicitori sono molecole o fattori che stimolano una risposta immunitaria negli organismi, specialmente nelle piante. Possono essere di origine biotica, come le molecole prodotte dai patogeni (ad esempio, i PAMP), o di origine abiotica, come fattori ambientali che causano stress (come la siccità o la salinità). 8 I PAMP (Pattern-Associated Molecular Patterns) sono un tipo di elicitori, ovvero molecole generiche che scatenano una reazione immunitaria nella pianta, attivando le difese contro patogeni. Tra gli elicitori, possiamo includere anche quelli che provocano stress abiotico, i quali influenzano le risposte immunitarie delle piante. L’immunità delle piante può essere classificata in base a diversi criteri, come durata, intensità, specificità e se la resistenza è preesistente o indotta. Sia la PTI che l'ETI (Immunità Mediata da Effettori) presentano componenti sia preesistenti che indotte. PTI In patologia vegetale, il riconoscimento dei patogeni è cruciale. I recettori delle piante riconoscono i PAMP. Tra i PAMP (Pattern-Associated Molecular Patterns), le piante riconoscono diverse molecole a seconda del tipo di patogeno. Nei virus, ad esempio, le piante riconoscono le proteine del capside o l'RNA virale. Per i batteri, i PAMP includono la flagellina, i lipopolisaccaridi e il peptidoglicano (PGN). Nei funghi, si possono identificare vari PAMP, come la chitina e gli enzimi litici. Questi PAMP vengono riconosciuti da recettori chiamati PRR (Pattern Recognition Receptors). I recettori PRR sono sempre attivi, ovvero sono costitutivi. I PRR possono trovarsi nell'apoplasto, lo spazio extracellulare tra le cellule vegetali, dove possono facilmente interagire con i PAMP che provengono dai patogeni. Alcuni PRR possono anche avere un dominio extracellulare, il che significa che parte della loro struttura si estende all'esterno della cellula, facilitando il riconoscimento dei PAMP, poiché i PAMP vengono riconosciuti all'interno dell'apoplasto dei tessuti vegetali. I PAMP possono essere rilasciati in modo attivo, come gli enzimi litici prodotti dai funghi, oppure possono essere presenti passivamente, come la chitina o i frammenti di chitina generati mentre il patogeno avanza, grazie all'azione delle chitinasi prodotte dalle piante. Altri esempi di PAMP includono gli elongation factors dei funghi. Un caso specifico è la flagellina, che viene percepita dal recettore FLS (Flagellin Sensing). In particolare, i primi 22 amminoacidi della coda N-terminale della proteina flagellina sono riconosciuti dai PRR. Inoltre, le elicitine sono proteine extracellulari prodotte dagli oomiceti, come la peronospora della patata, e le xilanasi sono enzimi litici prodotti dai funghi. Queste interazioni tra PAMP e PRR sono fondamentali per attivare le risposte immunitarie delle piante contro i patogeni. 9 Molti dei recettori PRR (Pattern Recognition Receptors) nelle piante non sono stati ancora caratterizzati in modo dettagliato. Tuttavia, alcuni di essi sono stati identificati attraverso studi su mutanti naturali delle piante che non riescono a riconoscere specifici PAMP. Questi studi hanno permesso di confrontare le piante suscettibili (che subiscono l'infezione) con quelle resistenti (che riescono a difendersi). DAMP (Damage-Associated Molecular Patterns) Oltre ai MAMPs o PAMPs, le piante possono riconoscere anche i DAMPs (Damage Associated Molecular Pattern) elicitori endogeni. Queste sono molecole rilasciate da cellule danneggiate, che spesso scatenano la PTI. Perché un sistema immunitario si attiva contro propri componenti? In teoria è contraddittorio, in pratica molto conveniente, perchè sono molecole che si generano sempre quando c’è un patogeno e non sono specifiche di un patogeno, quindi non richiedono recettori specifici e poi i patogeni non li possono sorpassare. I DAMPs si dividono in due classi: 1. cDAMP: Molecole costitutive della cellula, come frammenti di DNA o pareti cellulari. 2. iDAMP: Molecole prodotte appositamente come segnali di pericolo, spesso specifiche di alcuni taxa. Quando un patogeno invade una pianta, iniziano diverse reazioni di difesa. Inizialmente, abbiamo proDAMPs (Damage-Associated Molecular Patterns) come ad esempio la parete cellulare sana. Questi segnali di pericolo vengono attivati dal riconoscimento del patogeno e si trasformano in cDAMPs (cell wall-derived DAMPs), come ad esempio frammenti di parete cellulare danneggiata a causa dell'infezione. Contemporaneamente, gli proiDAMPs (Induced DAMPs) percepiscono i cambiamenti, come variazioni nel flusso di calcio, e si trasformano in veri e propri iDAMPs (Damage-Associated Molecular Patterns). Questi DAMPs sono molecole che indicano stress o danno cellulare. Tutti questi segnali (cDAMPs e iDAMPs) vengono riconosciuti dai recettori PRR (Pattern Recognition Receptors), attivando così le risposte immunitarie della pianta. Questo meccanismo consente alla pianta di rispondere rapidamente al danno e di attivare le difese appropriate contro il patogeno. 10 Esempi di cDAMPs: I cDAMPs (cell wall-derived Damage-Associated Molecular Patterns) includono molecole come: Cutina Componenti della parete cellulare Nucleotidi extracellulare (ATP, ADP, DNA) Glutammato Glutatione Histoni Metanolo Esempi di iDAMPs: Gli iDAMPs (Induced Damage-Associated Molecular Patterns) possono essere di natura proteica o aromatica. Un esempio significativo è la sistemina, un peptide di 18 aminoacidi derivato dalla degradazione C-terminale della proteina prosistemina presente nel citosol. Altri iDAMPs includono i PIP, generati dalle proteasi delle piante, e il peptide RALF, che gioca un ruolo cruciale nella difesa delle piante. Quando RALF viene processato da un propeptide e diventa extracellulare, viene interpretato come un segnale per attivare la PTI (Immunità Innata Mediata da PAMP). DAMPs e MAMPs sono elicitori (anche se sotto questo termine ricadono anche fattori abiotici, come UV, o altri induttori anche di sintesi). Anche se molto diversi DAMPs e MAMPs attivano vie di difesa precoci comuni anche se possono essere diverse per intensità e durata. 11 Riconoscimento e Risposta Immunitaria I DAMPs, i MAMPs (Microbe-Associated Molecular Patterns) e i PAMPs (Pathogen-Associated Molecular Patterns) sono tutti considerati elicitori. Una volta riconosciuti, attivano modifiche post-traduzionali su specifiche proteine, principalmente coinvolgendo chinasi, che portano a fosforilazioni di molecole. Questo processo innesca una cascata di attivazione fino all’espressione di nuovi geni che codificano per elementi di difesa. La PTI può persistere per diversi giorni. È stato dimostrato che la PTI può essere sfruttata commercialmente, ad esempio tramite l'uso di chitosano, un componente presente in funghi e insetti. Quando applicato alle piante, il chitosano può indurre la PTI anche in assenza di patogeni, preparando così la pianta a rispondere prontamente nel caso di un'infezione. 1- Riconoscimento 2- Modifiche postraduzionali (P) 3- Trasduzione del segnale al nucleo 4- Accumulo fitoalesine, ROS, PR proteins 5- Rinforzo pareti cellulare Recettori PRR e Meccanismi di Riconoscimento I recettori PRR (Pattern Recognition Receptors) sono recettori proteici che svolgono un ruolo fondamentale nel sistema immunitario delle piante. Questi recettori sono costitutivi, il che li rende difficili da studiare. Nella maggior parte dei casi, sono costituiti da proteine con domini extracellulari e possono essere sia completamente extracellulari sia dotati di porzioni ancorate alla membrana. Molti PRR presentano anche una porzione intracellulare che è responsabile della trasmissione del segnale. Tutti i recettori della PTI (Immunità Innata Mediata da PAMP) condividono caratteristiche simili: sono proteine modulari, formate da moduli disposti in diverse combinazioni. I PRR possono essere suddivisi in due grandi classi: 1. RLK (Receptor-Like Kinases): Questi recettori possiedono un dominio chinasi intracellulare e sono noti come S-T chinasi. 2. RLP (Receptor-Like Proteins): Questi recettori non possiedono un dominio chinasi intracellulare. Se presente, il dominio intracellulare media altre interazioni. Entrambe le classi presentano un dominio extracellulare e un dominio transmembrana. La combinazione di questi domini consente una vasta gamma di possibilità di riconoscimento. Quindi… RLK (Receptor-Like Kinases) I RLK sono recettori che svolgono un ruolo cruciale nel riconoscimento dei patogeni nelle piante. La loro struttura è composta da tre domini principali: 1. LRR Domain (Leucine-Rich Repeat): Questo dominio è caratterizzato da ripetizioni di sequenze ricche in leucina, un amminoacido idrofobico. Le LRR consentono il riconoscimento specifico dei PAMPs e degli elicitori. 12 2. TM Domain (Transmembrane Domain): Questo dominio attraversa la membrana cellulare, collegando la parte extracellulare del recettore (dove avviene il riconoscimento dei segnali) alla parte intracellulare. 3. Kinase Domain: Situato nella porzione intracellulare, questo dominio è responsabile dell'attività chinasi del recettore. Una volta attivato, può fosforilare altre proteine, avviando una cascata di segnali che portano alla risposta immunitaria della pianta. Quindi, la denominazione "LRR-RLK" riflette questa combinazione di domini, evidenziando la loro struttura e funzione nel riconoscimento delle molecole patogene e nella trasduzione del segnale. RLP (Receptor-Like Proteins) I RLP, invece, presentano una struttura diversa: 1. Dominio di Ricezione Extracellulare: Questo dominio consente il riconoscimento dei PAMPs, simile a quello dei RLK, ma non ha la capacità di attivare un'attività chinasi. 2. TM o JM Domain (Transmembrane o Juxtamembrane Domain): il dominio intracellulare può essere presente, ma non è coinvolto nella trasduzione del segnale attraverso un'attività chinasi. 3. Mancanza di Dominio Chinasi: A differenza dei RLK, i RLP non possiedono un dominio chinasi. Tuttavia, possono ancora trasmettere segnali attivando altre proteine intracellulari attraverso interazioni diverse. Anatomia del Dominio di Leucina (LRR) Il dominio di leucina (LRR) è una struttura proteica caratteristica presente in molti recettori di piante e animali, fondamentale per il riconoscimento di molecole patogene. Ecco una spiegazione dettagliata della sua anatomia e funzionalità: Struttura del Dominio LRR 1. Ripetizioni di Leucina: o Il dominio LRR è composto da una serie di ripetizioni di sequenze di aminoacidi che contengono leucina. Le leucine, essendo idrofobiche, si dispongono in modo da formare un’elica o una struttura β, contribuendo a stabilizzare la forma tridimensionale del dominio. 2. Struttura a Cassetta: o Il LRR ha una struttura a "cassetta" con una disposizione ricorrente che conferisce un aspetto ondulato o a spirale. Questa architettura è spesso descritta come "a griglia", con la leucina posizionata in modo alternato lungo il perimetro della struttura. 3. Diverse Lunghezze e Variabilità: 13 o I domini LRR possono variare notevolmente nella lunghezza e nella composizione, a seconda della specificità del recettore e del tipo di molecola che deve riconoscere. Le variazioni nelle sequenze aminoacidiche tra i vari LRR possono influenzare la specificità del riconoscimento. 4. Superficie di Riconoscimento: o La superficie esterna del dominio LRR è coinvolta nel riconoscimento delle molecole bersaglio (PAMPs e DAMPs). La conformazione specifica di questi domini consente loro di legarsi a vari ligandi, attivando così la risposta immunitaria. Funzione del Dominio LRR Riconoscimento Specifico: Il dominio LRR gioca un ruolo cruciale nel riconoscimento di segnali esterni, come PAMPs e effettori dei patogeni, attivando meccanismi di difesa nelle piante. Interazioni con Altri Domini: Spesso, il dominio LRR lavora in sinergia con altri domini recettoriali, come il dominio chinasi, per trasmettere segnali all'interno della cellula. Anatomia del Dominio LysM Il dominio LysM (Lysine Motif) è un altro importante dominio proteico coinvolto nel riconoscimento delle molecole patogene, in particolare nel riconoscimento della chitina e del peptidoglicano. Ecco una panoramica dettagliata della sua anatomia: Struttura del Dominio LysM 1. Motivo Conservato: o Il dominio LysM è composto da circa 40-60 aminoacidi e presenta una struttura tipica di ripetizioni di motivi di lisina. La sua sequenza è altamente conservata tra diverse specie. 2. Struttura Secondaria: o I domini LysM possono adottare una conformazione a β-foglietto o a elica, ma la struttura prevalente è spesso quella a β-foglietto, che permette un'interazione efficace con le molecole bersaglio. 3. Superficie di Legame: o Il dominio LysM presenta siti di legame specifici per la chitina e il peptidoglicano. La lisina, insieme ad altri residui carichi positivamente, facilita il riconoscimento e l'interazione con le molecole caricate negativamente presenti nelle pareti cellulari dei patogeni. Funzione del Dominio LysM Riconoscimento della Chitina: Il dominio LysM è fondamentale per il riconoscimento della chitina, un componente strutturale della parete cellulare di molti funghi. Questo riconoscimento attiva risposte immunitarie nelle piante. Interazioni con Altri Recettori: I domini LysM possono lavorare in combinazione con altri recettori per mediare risposte immunitarie, contribuendo alla complessità e all'efficacia del sistema immunitario vegetale. I PRR possono avere funzioni diverse a seconda del partner con cui si associano. I PRR in genere non agiscono soli ma in complessi multiproteici che si combinano diversamente per riconoscere diversi target. Esempi di PRR Ad esempio, CERK1 riconosce la chitina in Arabidopsis. Un altro esempio di PRR è FLS2. FlS2 è un LRR-RLK scoperto paragonando ecotipi e mutanti di arabidopsis insensibili alla flagellina. Ha un dominio 28 x LRR extracellulare e un dominio chinasico intracellulare. Il riconoscimento per la flagellina stimola l’associazione a BAK1 (brassinosteroid insensitive assicioated kinase 1), a cui segue la fosforilazione di e attivazione di un’altra chinasi, BIK1 (Botrytis 14 Induced Kinase 1) che viene così rilasciata dal complesso e attiva una cascata del segnale che arriva al nucleo, culminando nell'espressione di geni responsabili della sintesi delle fitoalessine. Un altro tipo di riconoscimento avviene con i frammenti di chitina e peptidoglicano, che sono riconosciuti da recettori con domini LysM. Alcuni funghi, come Cladosporium fulvum, producono una proteina chiamata AVR4, che maschera la chitina, impedendo il riconoscimento da parte del recettore, sorpassando così la PTI. Esempio di Lectina Un altro esempio di PRR (Pattern Recognition Receptor) sono le lectine, che riconoscono una varietà di PAMPs, in particolare quelli con componenti zuccherini. Un caso specifico è rappresentato dal gene FAMBL1 nelle fragole, che viene attivato nei frutti acerbi in risposta all'infezione da parte del patogeno Colletotrichum. Questo gene è espresso prevalentemente nei frutti bianchi, che sono resistenti alla malattia, mentre non si attiva nei frutti rossi, che risultano più suscettibili. FAMBL1 codifica per una lectina capace di legare il mannosio; quando il frutto matura, il gene perde funzionalità, aumentando così la vulnerabilità della pianta. La proteina prodotta da FAMBL1 ha un peptide segnale che ne consente la secrezione extracellulare. Per indagare ulteriormente sulla funzionalità del gene, sono stati effettuati esperimenti di silenziamento genico nei frutti bianchi e di overespressione nei frutti rossi, utilizzando una trasformazione transiente con Agrobacterium. I risultati hanno mostrato che nei frutti bianchi silenziati, l'apressorio del fungo penetra più facilmente rispetto al controllo con il gene non silenziato, suggerendo che FAMBL1 sia cruciale per proteggere i frutti acerbi dall'infezione fungina. Inoltre, l'overespressione della lectina in frutti rossi ha dimostrato un ritardo nella penetrazione dell'apressorio, confermando che questa proteina gioca un ruolo protettivo. L'effetto benefico della lectina è stato osservato anche per un altro patogeno Botrytis cinerea (in foglie e stoloni). Meccanismi di Segnalazione Dopo il riconoscimento di PAMPs da parte dei recettori PRR, si attivano una serie di modifiche post-traduzionali mediate da chinasi, in particolare dalle MAPK (Mitogen-Activated Protein Kinases). Questo processo segna l'inizio di una cascata di segnali intracellulari che preparano la pianta a rispondere all'infezione. Flusso di Calcio e Attivazione delle Chinasi Quando un patogeno viene riconosciuto, si verifica un incremento del flusso di calcio (Ca²⁺) dal vacuolo al citoplasma. Questo aumento di calcio attiva proteine che legano il calcio (calmodulina) e attiva chinasi (Calcium Dependent Protein Kinases (CDPKs)che generano segnali diretti al nucleo. Il calcio a livello citoplasmatico passa da nanomolare a micromolare. Tra i primi geni ad essere indotti nella PTI abbiamo una serie di fattori di trascrizione tra cui WRKY che è una famiglia fattori di trascrizione ampia che regola l’espressione di molti geni di difesa. Depolarizzazione e Alcalinizzazione L'apertura dei canali del calcio porta anche all'apertura dei canali per il cloruro (Cl⁻) e il potassio (K⁺), provocando un processo di alcalinizzazione del apoplasto (insieme anche ai flussi di H+) (questi ioni entrano dentro la cellula). Questa depolarizzazione della membrana cellulare viene percepita come un segnale di pericolo, attivando ulteriori risposte immunitarie, come la produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e ossido nitrico (NO). Queste molecole svolgono un ruolo cruciale nel rafforzamento della parete cellulare e nel potenziamento della difesa della pianta. Cascate di Fosforilazione delle MAPKs Le MAPKs attivano cascate di fosforilazione che amplificano la risposta alla presenza di un patogeno. Queste vie di segnalazione coinvolgono diversi livelli di chinasi che si attivano a cascata, culminando nell'espressione di geni legati alla difesa e nella sintesi di fitoalessine, proteine antimicrobiche e altre molecole di difesa. Esempio di attivazione di BIK1 e RBOH Una delle principali chinasi caratterizzate è BIK1, la cui fosforilazione ha un impatto diretto sulla proteina RBOH (Respiratory Burst Oxidase). Questa ossidasi ossida NADPH buttando gli elettroni sull’ossigeno producendo radicali 15 idroperossidi producendo poi acqua ossigenata mediante la perossido desmutasi, che è un tipo di ROS. La produzione di ROS non solo contribuisce al rinforzo della parete cellulare, ma attiva anche il metabolismo ormonale, favorendo la sintesi di fitoalessine e l'espressione di geni legati alla difesa. Monitoraggio del Calcio Per studiare i flussi di calcio in queste risposte, si utilizzano piante geneticamente modificate per esprimere una proteina chiamata equorina, che emette fluorescenza in presenza di calcio. Questo approccio consente di visualizzare e misurare i cambiamenti nei livelli di calcio attraverso grafici noti come "firme del calcio", che mostrano l'intensità della fluorescenza nel tempo, fornendo informazioni preziose sulle dinamiche del segnale di calcio durante l'interazione pianta-patogeno. ETS : EFFECTOR TRIGGERED SUSCEPTIBILITY La PTI (Immunità Innescata dai PAMPs) è la forma basale di resistenza che agisce come selezione contro organismi patogeni e non patogeni, basata su caratteristiche generali di questi microbi che si trovano a livello di taxa. Con questa forma di difesa, le piante riescono a difendersi dalla maggior parte degli organismi patogeni. Gli organismi patogeni che riescono a superare questa prima resistenza sono in grado di mascherare queste strutture generali o secernere sostanze tossiche, riuscendo così a superare il filtro della PTI. Una volta superata la PTI, la pianta entra in una fase di suscettibilità, detta ETS: effector triggered susceptibility, che rappresenta il secondo stadio del modello a ZIGZAG. La suscettibilità si manifesta attraverso meccanismi di attacco, in cui gli agenti principali sono gli effettori. Gli effettori sono in grado di sopprimere i meccanismi di difesa della pianta. Nelle prime definizioni, gli effettori erano descritti come proteine secrete attraverso il sistema di secrezione di tipo 3 dei batteri. Oggi, il termine "effettori" viene utilizzato in modo più ampio e include non solo proteine batteriche, ma anche altre molecole, non necessariamente proteiche. Pertanto, qualsiasi molecola utilizzata dal patogeno per silenziare il sistema immunitario della pianta può essere considerata un effettore. Gli effettori possono essere di tipo proteico, ossia di natura peptidica, quali enzimi che degradano la parete cellulare (CWDE) o apoplastici, o altre proteine citoplasmiche che mettono KO i sistemi di difesa delle piante, o di tipo non proteico quali metaboliti secondari, dette tossine più o meno specifiche per l’ospite, o RNA (di cui parlremo più avanti). Effettori Proteici CWDE (Cell Wall-Degrading Enzymes): Enzimi come Cel (cellulasi), Xyl (xilanasi) e PG (poligalatturonasi) che degradano la parete cellulare delle piante. Avr Proteins (Avirulence Proteins): Proteine come AvrPto, Avr4, Avr2, e Avr3a Effettori Non-Proteici Tossine: Molecole come ToxA (da Pyrenophora tritici-repentis) e Fumonisina che causano danni alle cellule vegetali. RNA Molte molecole che entrano in gioco dopo la PTI (Immunità Innescata dai PAMPs) sono molecole che partecipano anche nella PTI stessa. Infatti, PTI ed ETI (Immunità Innescata da Effettori) utilizzano spesso gli stessi meccanismi molecolari; ciò che le differenzia è l’intensità con cui questi componenti operano, nonché la rapidità e l'intensità con cui le difese si attivano. I patogeni che superano la PTI vengono definiti "compatibili" o "adattati", poiché stabiliscono una reazione compatibile con la pianta. Mentre la PTI è una forma di resistenza orizzontale e quantitativa, caratterizzata da un basso dispendio energetico e da un'azione che si estende a gruppi tassonomici ampi, l’ETI rappresenta una resistenza verticale e qualitativa, in quanto è altamente specifica e si attua a livello di specie, mirando a una specifica razza di patogeno. L’ETI è considerata una resistenza di tipo assoluto, poiché la pianta esprime questa forma di difesa e non presenta malattia. La PTI, invece, può essere vista come una forma di tolleranza, poiché può comportare modifiche fisiologiche nella pianta. L’ETI (Immunità Innescata da Effettori) si basa sulla teoria del "gene per gene" di Flor, proposta nel 1955. Questa teoria, sviluppata da un botanico applicato alla patologia vegetale, studiava l'ereditarietà della ruggine nel lino. La ruggine è una malattia che colpisce molte specie vegetali, causando notevoli danni, soprattutto nelle coltivazioni. Il sintomo caratteristico è la formazione di pustole arancioni sulle piante. Nelle popolazioni di lino, alcuni genotipi non presentavano la malattia. Incrociando i genotipi resistenti con quelli suscettibili, la resistenza si ereditava in modo monogenico. Secondo questa teoria, il patogeno interagisce con la pianta secondo il paradigma del gene per gene. La resistenza dipende da coppie complementari di geni, ereditati come dominanti, presenti in varietà di piante e in razze di patogeni fungini. Nelle piante, questi geni sono denominati geni R (di resistenza), mentre nei patogeni si 16 trovano i geni avr (di avirulenza). Questi geni erano complementari, poiché ogni gene di resistenza (R) nelle piante riconosceva un gene di avirulenza (avr) nei patogeni. La resistenza veniva espressa da parte della pianta solo se i geni di resistenza solo erano in forma dominante. Il patogeno per esprimere la sua virulenza doveva esprimere questi geni avr in forma dominante e questi geni, se interagivano con piante che esprimevano geni di resistenza in forma dominate, venivano riconosciuti e quindi venivano bloccati. In questo caso si verificava un tipo di interazione incompatibile. La malattia si verificava tutte le volte che questo riconoscimento non poteva esprimersi: il gene di resistenza era contenuto in forma recessiva; il gene di virulenza era contenuto in forma recessiva. Quando la pianta che possiede un determinato gene R in forma dominante incontra un patogeno che possiede il corrispettivo gene avr in forma dominante si verifica INCOMPATIBILITA’ dell’interazione e quindi NO MALATTIA, o RESISTENZA. Quando si verifica una qualsiasi mutazione nei geni R o avr, o la perdita di entrambi o anche uno solo dei di geni nella pianta o nel patogeno, allora l’interazione è COMPATIBILE, si ha MALATTIA e comparsa dei sintomi. Tutte le volte in cui avevamo tutte e due i componenti erano presenti si verificava una reazione di tipo incompatibile. Questo tipo di interazione non è facile da studiare dal punto di vista molecolare, poiché coinvolge molecole molto diverse e specifiche, a differenza della PTI, in cui intervengono molecole generiche. Di conseguenza, è necessario studiare singolarmente i diversi patosistemi, ciascuno con le proprie specificità molecolari. Identificare questi fattori è complesso anche perché entrano in gioco quando c'è resistenza, momento in cui non si osservano sintomi. Inoltre, se ci sono sintomi, il tessuto è spesso già necrotico, rendendolo difficile da analizzare. I geni Avr sono meno raggruppati (clusterizzati) rispetto ai geni di resistenza delle piante, il che li rende più difficili da identificare. C'è una maggiore caratterizzazione sui geni di resistenza delle piante rispetto a quelli di avirulenza nei patogeni. La resistenza delle piante ai patogeni è un aspetto cruciale per l'agricoltura e la produzione alimentare. Le piante resistenti riducono l'uso di pesticidi e aumentano la resa. Per questo motivo, la ricerca si è concentrata maggiormente sull'identificazione dei geni di resistenza (R) per selezionare o modificare piante con migliori capacità difensive. I geni di resistenza sono modulari, mentre i geni di avirulenza sono molto diversi e spesso codificano per piccole proteine globulari. Ogni volta che un gene di virulenza (Avr) e un gene di resistenza (R), entrambi dominanti, sono presenti, si avrà una reazione compatibile che deve avvenire localmente e in maniera rapida. Al contrario, quando il gene Avr e il gene di resistenza si trovano in una condizione di recessività alternata, o entrambi sono recessivi, si avrà una reazione incompatibile. Nelle piante, esiste una grande famiglia di geni di resistenza (R genes) caratterizzata da un'ampia diversità allelica. Questa diversità consente alle piante di riconoscere un'ampia gamma di geni di avirulenza dei patogeni, mantenendo così l'ETI (Immunità Innescata da Effettori) attiva. La presenza di varianti alleliche diverse garantisce una risposta immunitaria più flessibile e adattabile, permettendo alle piante di reagire rapidamente ai patogeni in evoluzione e 17 proteggersi efficacemente da nuove infezioni. I geni R nelle piante sono codificati da famiglie geniche numerose e sono polimorfici (presenti in diverse forme alleliche). Il problema principale nei programmi di breeding, sulla resistenza, riguarda la loro lunga durata, soprattutto per quanto concerne le piante arboree. Un'altra difficoltà è rappresentata dal fatto che i geni AVR sono sottoposti a una forte pressione selettiva, il che rende i geni di resistenza facilmente superabili dal patogeno. Un esempio è la Phytophthora infestans della patata, che ha una notevole capacità evolutiva grazie alla sua frequente riproduzione sessuale, rendendo il miglioramento genetico particolarmente difficile. Nei programmi di breeding, basati sull'incrocio tra piante resistenti e suscettibili, specialmente nelle colture alimentari, si è quasi raggiunto il limite massimo di sfruttamento delle risorse genetiche disponibili. Nelle piante che possiedono un serbatoio di geni di resistenza, si cerca di accumulare più geni di resistenza per affrontare i patogeni, il che allunga significativamente i tempi di breeding. Ad esempio, nella vite, è emersa la necessità di creare varietà più resistenti, dando origine a un progetto di incrocio tra viti selvatiche e viti europee. Le viti selvatiche erano resistenti all’oidio e alla peronospora. Questo programma è durato 30 anni e ha prodotto 9 nuove varietà. Tuttavia, solo una di queste, (il vino Fernè), ha avuto successo commerciale. Col tempo, però, anche questo vitigno ha richiesto gli stessi trattamenti degli altri, poiché il patogeno ha superato le resistenze. Pertanto, il breeding, soprattutto nelle piante da frutto, rimane molto complesso. A livello molecolare, nell'ETI, l'evento più importante è la risposta ipersensibile, caratterizzata dallo scoppio ossidativo, che porta alla morte cellulare e impedisce la diffusione del patogeno. Lo stress ossidativo si verifica anche nella PTI, ma in modo meno intenso e meno precoce. GENI R e PROTEINE R Quando fu accettata la teoria del gene per gene, si credeva che ci fosse un'interazione fisica diretta tra i prodotti dei geni AVR del patogeno e i geni di resistenza della pianta, che poteva avvenire sia a livello intracellulare che extracellulare. Tuttavia, si è poi scoperto che spesso il riconoscimento non avviene in modo semplice e diretto. Il riconoscimento dei patogeni è più complesso e indiretto. Le proteine di resistenza sono modulari, composte da diversi domini che si combinano in modi differenti. In base alla loro localizzazione, possiamo distinguere geni R intracellulari o citoplasmatici. Un aspetto importante è la promiscuità dell'interazione: diversi effettori patogenici possono riconoscere lo stesso bersaglio, e le piante hanno evoluto più geni R in grado di riconoscere vari profili di un "sé modificato", generati dall'interazione di diversi effettori con lo stesso target. Questo meccanismo è spiegato dal "Guard Model", secondo il quale il bersaglio dell'effettore non è il prodotto diretto di un gene R, ma una proteina sorvegliata dai geni R. In assenza del gene R, questa proteina contribuisce alla fitness del patogeno. Il genoma delle piante presenta un numero molto elevato di copie di geni R, con una certa ridondanza, dovuta alla forte pressione selettiva esercitata dai patogeni. Questa pressione ha portato all'evoluzione di nuove capacità di riconoscimento nei confronti dei geni AVR del patogeno. Successivamente, si è compreso che, nella maggior parte dei casi, il riconoscimento avviene in modo indiretto: l'effettore patogenico altera un bersaglio intracellulare o extracellulare, e queste alterazioni vengono riconosciute dal prodotto dei geni di resistenza. Un effettore può essere ad esempio una proteasi fungina, il bersaglio di questo effettore è una proteina specifica della pianta che viene tagliata e questo prodotto viene riconosciuto dal gene R. Questo meccanismo è stato definito come il modello delle proteine di guardia, quindi i bersagli degli effettori sono queste proteine di guardia che vengono continuamente sorvegliate dalle proteine prodotte dai geni R. i prodotti dei geni R, a livello intracellulare o extracellulare, sorvegliano costantemente questi bersagli degli effettori. Ogni qualvolta viene percepita una modifica, si attivano tutte quelle vie molecolari che portano alla risposta ipersensibile. Le proteine R Le proteine R sono modulari e condividono alcuni componenti con i PRR coinvolti nella PTI. Queste proteine possono essere citoplasmatiche o di membrana. Le proteine citoplasmatiche hanno un sito di riconoscimento a livello intracellulare e in questo gruppo vengono riconosciute due tipi di proteine R: 1. TIR-NBS-LRR o TNL, possiedono all’ N terminale un dominio TIR (Toll/Interleukin-1 Receptor). Hanno un dominio NBS (Nucleotide-Binding Site), dove il nucleotide legato è l'ATP. I nucleotidi legati a queste proteine agiscono come interruttori per attivare o disattivare la risposta immunitaria. Se si trovano nella forma trifosfato sono attive, quindi sono attivate quando legano l’ATP. Quando abbiamo l’idrolisi da ATP ad ADP, la proteina è disattivata. Il legame tra GTP e ATP è un esempio di meccanismo di attivazione differente: il legame con ATP da origine ad uno switch rapido perché l’idrolisi da ATP ad ADP è veloce. L’idrolisi da GTP a GDP è uno switch che non risponde tanto a velocità, ma più che altro ad una necessità di precisione, in quanto è uno switch più lento. 18 Al C-terminale, troviamo un dominio LRR (Leucine-Rich Repeat), costituito da eliche alfa ripetute. Questo dominio si apre quando la proteina si attiva, quindi quando lega l’ATP. Quando invece abbiamo l’idrolisi da ATP a ADP il dominio si chiude. Esempi: geni L, come quelli studiati da Flor, agiscono contro patogeni come la ruggine del lino; gene R del tabacco che riconosce la replicasi del TMV (interazione di tipo diretto); gene RPS4 di Arabidopsis che riconosce AvrRPS4 (Pseudomonas syringae pv. Pisi). 2. LZ (o CC) -NBS-LRR o CNL, possiedono all’N terminale un dominio coiled coil o leucin zipper (tipico dei fattori di trascrizione). Il dominio coiled coil è fatto da due alpha eliche molto lunghe, ricco di leucine ha questa conformazione perché lega il DNA è un tipico dominio dei fattori di trascrizione. Hanno un dominio NBS che lega sempre l’ATP e un dominio LRR. Quindi abbiamo il legame dell’ATP a livello del NBS, il dominio LRR si apre ed interagisce con altre proteine con successiva interazione con il DNA mediante il dominio CC e conseguente azione sull’espressione genica. Ad esempio: Geni RPS2 e RPM1 di Arabidopsis che riconoscono avrRpt2 di P. syringae pv tomato e avrRpm1 di P. syringae pv. Maculicola Gene Mi di pomodoro efficace contro Meloidogyne incognita (nematode) TIR = Toll-interleukin receptor domain. Mediates protein protein interaction in interleukin receptor signalling. I domini modulari di queste proteine hanno una funzione ben specifica: ricevere un segnale e trasmetterlo per attivare la difesa della pianta. Le proteine R di membrana sono le più numerose e hanno la capacità di riconoscere gli effettori o i bersagli degli effettori nell'apoplasto, lo spazio extracellulare tra le cellule vegetali. Queste proteine possono anche svolgere un ruolo intercellulare (riconoscimento intercellulare di effettori), specialmente quando si trovano a livello della membrana del reticolo endoplasmatico. Queste proteine R sono molto simili ai PRR (Pattern Recognition Receptors) della PTI e spesso condividono gli stessi componenti, utilizzandoli in modi differenti. In genere, queste proteine riconoscono i bersagli degli effettori piuttosto che gli effettori stessi. Sebbene ci siano casi in cui riconoscono direttamente gli effettori, nella maggior parte delle situazioni il riconoscimento avviene in modo indiretto, cioè identificano il prodotto della modificazione di un bersaglio colpito dall’effettore. Questo tipo di riconoscimento indiretto è quello che si verifica più frequentemente. Ad esempio, i recettori Cf sono specifici per il patogeno Cladosporium fulvum nel pomodoro (produzione di maculature necrotiche nelle foglie). Questi recettori sono proteine R localizzate nel citoplasma e riconoscono effettori a livello intracellulare. I recettori Cf-2, Cf-4, Cf-5 e Cf-9, specifici per gli effettori Avr2, Avr4, Avr5 e Avr9 di Cladosporium fulvum, sembrano essere localizzati nel reticolo endoplasmatico, indicando così un meccanismo di riconoscimento di tipo intracellulare. PROTEINE ESCA o ‘DECOY’ Questo modello di riconoscimento indiretto è valido per molti casi, ma recenti scoperte hanno ampliato la nostra comprensione, rivelando che le proteine sorvegliate non sono sempre indispensabili per la virulenza del patogeno. In assenza del prodotto del gene R, o se l’effettore ha subito mutazioni che gli permettono di riconoscere un altro bersaglio, il mancato riconoscimento del bersaglio consente al patogeno di aumentare la propria virulenza e fitness, rendendolo più aggressivo e capace di superare i meccanismi di difesa della pianta. In alcuni casi, le piante hanno evoluto bersagli finti per confondere gli effettori del patogeno, inducendoli a interagire con molecole simili ai bersagli che non contribuiscono alla malattia. Questo modello è conosciuto come modello spia. Esso risponde a una problematica evolutiva: consideriamo una popolazione di piante, come un grano selvatico. In questa popolazione, alcuni genotipi esprimono particolari geni R, mentre altri non li possiedono o li hanno in forma recessiva. Quando individui privi della proteina R incontrano un patogeno che produce un effettore che interagisce con un bersaglio, questi individui sviluppano la malattia. Tali individui sono quindi sottoposti a una pressione evolutiva che li spinge a mutare il bersaglio affinché l’effettore non lo riconosca più. Nel contempo, ci sono individui che esprimono il gene R e, di conseguenza, producono le proteine R in grado di sorvegliare il bersaglio. Quando un patogeno entra in scena e produce un effettore che modifica il bersaglio, la proteina R riconosce la modifica e attiva le difese della pianta. Questi individui saranno sottoposti a una pressione selettiva opposta: anziché essere spinti a modificare il bersaglio per non essere riconosciuti, avranno una pressione selettiva che mira a rafforzare il riconoscimento dell’effettore, rendendo il meccanismo di difesa sempre più efficace. 19 Queste due pressioni selettive contrarie sulla superficie di interazione dell’effettore sulla proteina di guardia generano una situazione di instabilità evolutiva che può essere rilasciata a seguito dell’evoluzione di proteine ‘spia’ che si specializzano nel riconoscimento dell’effettore, ma non hanno nessuna funzione nello sviluppo della malattia o della resistenza. Le ‘spie’ imitano i bersagli degli effettori intrappolando il patogeno in un evento di riconoscimento. Queste molecole spia sequestrano l’effettore, hanno una mera funzione di riconoscimento. Sono proteine evolutesi nelle piante con lo scopo di mimare i veri bersagli degli effettori. Ossia sono falsi target creati per ‘confondere’ gli effettori. Queste esche sono coinvolte unicamente nella PERCEZIONE DELL’EFFETTORE Le proteine decoy possono originare dalla duplicazione genica dei bersagli di effettori e poi mutare per perdere la funzione nel riconoscimento oppure possono evolversi in modo indipendente, mimando i bersagli degli effettori. In pratica in questo modello i bersagli degli effettori imitano strutturalmente i bersagli funzionali, ma funzionano solo nel sequestrare gli effettori in assenza di geni R corrispondenti e così non contribuiscono alla fitness del patogeno. Agiscono in assenza di geni R. Questo modello si differenzia dal modello delle proteine bersaglio di guardia, la cui manipolazione ad opera dell’effettore contribuisce alla fitness del patogeno in assenza del gene R. È possibile tuttavia che agiscano anche in competizione con i bersagli degli effettori, in questo modo diminuiscono la fitness del patogeno. Nell'immagine, in alto vediamo gli individui che non hanno la proteina R, mentre in basso vediamo quelli che la possiedono. In questa situazione, possiamo osservare diversi scenari. 1. Assenza della proteina R: 20 o Effettore con bersaglio riconosciuto: L'effettore (in grigio) riconosce il suo bersaglio senza che vi sia sorveglianza da parte della proteina R, portando a un aumento della fitness del patogeno e, di conseguenza, alla malattia. o Effettore con più bersagli: Se l'effettore colpisce più bersagli non sorvegliati (nessuna proteina R evolve per riconoscerli), la malattia si manifesta comunque, ma la fitness del patogeno è maggiore poiché coinvolge più bersagli. Evoluzione di una proteina spia: o Quando la pianta evolve una proteina spia, questa compete con il bersaglio del patogeno. La proteina spia, però, non trasmette alcun segnale alla pianta, ma blocca l'effettore. In assenza della proteina R, ciò riduce l'aumento della fitness del patogeno, limitando i danni. 2. Presenza della proteina R: o Bersaglio sorvegliato: Quando il bersaglio è sorvegliato dalla proteina R, la pianta ottiene l'immunità poiché riconosce l'effettore. o Effettori con bersagli non sorvegliati: Anche in presenza di effettori che colpiscono bersagli non riconosciuti, è sufficiente che una sola proteina spia agisca come "sorvegliante" per garantire l'immunità. In questo caso, anche se non ci sono bersagli strettamente sorvegliati, la proteina spia viene riconosciuta dalla proteina R e attiva la difesa della pianta. In sintesi, in assenza della proteina R, le proteine spia competono con i bersagli degli effettori, riducendo la fitness del patogeno. In presenza della proteina R, le spie diventano fondamentali quando i bersagli non sono sorvegliati direttamente, poiché vengono comunque riconosciuti dalla proteina R e attivano la risposta immunitaria. È una strategia messa in atto dalle piante per diminuire l’aggressività dei patogeni quando non hanno una proteina R a disposizione. La presenza di queste proteine, che imitano i bersagli degli effettori, consente di superare l'instabilità evolutiva. Esse aiutano le piante, che si trovano nello stesso ambiente e sono esposte agli stessi patogeni, a prendere una direzione evolutiva coerente sia per i genotipi che possiedono la proteina R sia per quelli che ne sono privi. Queste proteine spia sono molto comuni, ma riconoscere se si tratta di un bersaglio spia o di un bersaglio effettivo è difficile. Un esempio è quello del pomodoro e del patogeno Cladosporium fulvum. Quando le spore del fungo si posano sulle piante di pomodoro suscettibili, si sviluppa la malattia. Le spore stimolano la produzione di inibitori di proteasi che hanno due bersagli: RCR3 e PIP1. Quando le spore raggiungono la pianta, si verifica la produzione di queste proteine, in particolare si accumula PIP1. In questo sistema, il bersaglio operativo è PIP1, che viene inibito dall’effettore. In assenza della proteina R, PIP1 aumenta la fitness del patogeno. Al contrario, RCR3 funge da spia: se RCR3 è assente, anche se PIP1 è presente, la proteina R non riesce a riconoscere l’effettore e di conseguenza si verifica la malattia. Quando invece il gene R è presente in forma dominante e anche RCR3 è attivo, RCR3 funge da spia e confonde il recettore, portando all’immunità della pianta. Non è facile dimostrare sperimentalmente se un bersaglio di un effettore sia un bersaglio operativo, come nel "guard model", o un bersaglio spia, come nel "decoy model". Per chiarire questo meccanismo, è necessario avere una comprensione completa di tutti gli elementi coinvolti: l'effettore del patogeno, la proteina R della pianta, il bersaglio operativo (quello che realmente aiuta il patogeno) e il bersaglio spia (che imita il bersaglio operativo per ingannare il patogeno). Gli esperimenti richiesti includono tecniche genetiche come il "knock-out" o il "knock-down" dei geni corrispondenti, che permettono di eliminare o ridurre l'espressione di questi elementi per osservare come cambiano le interazioni e la risposta della pianta. Cosa succede a valle del riconoscimento gene x gene? Le proteine R svolgono un ruolo cruciale nella resistenza delle piante attraverso due principali meccanismi di attivazione: 1. Azione di switch on e off: Le proteine R sono attive quando legate all'ATP e inattive quando legate all'ADP. Nella loro forma legata all'ATP, le proteine R sono pronte a interagire con i partner necessari per attivare le cascate di segnalazione che conducono alla ETI (Immunità Effettore-Indotta). Questo include l'espressione genica, la produzione di metaboliti secondari come le fitoalessine e l'attivazione di segnali ormonali, come l'acido salicilico e jasmonico per i patogeni biotrofi, e l'etilene per quelli necrotrofi. Questi segnali contribuiscono alla risposta immunitaria della pianta, portando alla morte cellulare programmata come meccanismo di difesa. 2. Azione di omo-oligomerizzazione: Le proteine R possono formare complessi oligomerici, un processo cruciale sia per la loro attivazione sia per la loro inibizione, a seconda del tipo di proteina R. L'oligomerizzazione è stata ben documentata, e una delle scoperte più significative è stata nel 2019, quando 21 è stata caratterizzata la struttura cristallografica del complesso proteico chiamato resistosoma ZAR1. Questo complesso proteico si oligomerizza e funge da canale del calcio, facilitando l'ingresso del calcio, che agisce come messaggero secondario nelle vie di segnalazione di difesa della pianta. Il processo di attivazione della proteina R inizia quando l'ATP si lega al dominio NBS (nucleotide-binding site), che a sua volta apre il dominio LRR (leucine-rich repeat), rendendolo disponibile per interazioni con altre proteine, scatenando una cascata di segnalazioni che culmina nella difesa della pianta. Il primo gene di resistenza (Hm1 di mais, gene R da mais resistenti al Cochliobolus carbonum (maculatura nera del mais)) è stato clonato negli anni '90, e ad oggi sono stati clonati circa 450 geni R. La maggior parte sono NB-LRR intracellulari o recettori di membrana, ma anche enzimi per detossificare tossine (e.g. Hm1), RLK, ubiquitine, e kinase-fusion proteins. In un genoma di pianta tipico ci sono centinaia di geni R che contano per circa il 2% del totale dei geni codificanti. Molti di questi sono stati studiati nelle Solanacee, specialmente in relazione alla resistenza alla peronospora. Questi geni rappresentano uno dei principali strumenti utilizzati per conferire resistenza genetica alle colture contro patogeni specifici. Questo approfondimento sul meccanismo delle proteine R è supportato da studi sulle loro strutture e funzioni, molti dei quali derivano dalle scoperte ottenute grazie alle tecniche avanzate di cristallografia. In conclusione: PAMP possono essere anche molto specifici, e non così generici come si pensava ETI e PTI possono essere robuste o deboli, quindi la loro intensità non è raffigurata bene dal modello zig zag Molti effettori agiscono a livello apoplastico e sono riconosciuti da PRR ETI e PTI non così distinte come risposte e segnali che scatenano Molti PRR e molti R identificati ancora non si sa con cosa interagiscano. N.B. Il modello ZIGZAG vale per patogeni biotrofi e eubiotrofi non per quelli necrotrofi Geni di suscettibilità Un gene di suscettibilità (S gene) è un gene che, quando espresso, facilita l'infezione da parte del patogeno, aiutandolo a superare le difese della pianta. Alcuni patogeni, per causare malattie, non solo devono superare le difese della PTI (immunità indotta dai pattern) della pianta, ma necessitano anche di attivare specifici geni nella pianta che ne favoriscono l'infezione. I geni di suscettibilità, quindi, funzionano all'opposto dei geni di resistenza (R genes). Questi geni, indotti dal patogeno, favoriscono la progressione dell'infezione e rappresentano uno svantaggio per la pianta quando vengono espressi. In molti casi, i geni di suscettibilità sono essenziali per lo sviluppo normale della pianta, ma vengono sfruttati dai patogeni. Un esempio ben studiato è il gene Mlo (Mildew resistance locus O), scoperto nel 1942. Ogni volta che la pianta entra in contatto con un patogeno, come quello responsabile della malattia del mal bianco (oidio), il gene Mlo viene espresso e contribuisce alla malattia. Il mal bianco è una malattia importante, soprattutto nella vite e nei cereali. Attacca tutte le parti verdi della pianta, inclusi i frutti quando sono ancora verdi. Il danno è causato dal fatto che le parti verdi della pianta vengono ricoperte da uno strato bianco che riduce la capacità fotosintetica della pianta. Anche se a volte viene definito come un patogeno epifitico (che vive sulla superficie della pianta), erroneamente, il patogeno in realtà inietta un austorio, una struttura che penetra nei primi strati della pianta e si nutre dei suoi succhi cellulari. Questa malattia è di estrema importanza nei cereali e, subito dopo la guerra, è stata studiata con metodi di mutagenesi per comprendere meglio il suo meccanismo. Tali mutanti venivano ottenuti con agenti chimici mutageni come l'etilmetansulfonato, che generano mutazioni random nel genoma. I semi mutati venivano piantati e osservati per il loro fenotipo. Le piante che mostravano resistenza venivano successivamente caratterizzate geneticamente. In questo caso, le varietà trattate erano di orzo. Le varietà di orzo resistenti, ottenute dalla mutagenesi, presentavano alcune caratteristiche distintive: 1. Presenza di piccolissime colonie di fungo sulle foglie. 2. Sviluppo di macchie necrotiche sulle foglie, anche in assenza del patogeno. 3. Una minore resa in granella, dovuta alla ridotta dimensione dei chicchi. 4. Produzione di papille sotto i siti di infezione, attraverso la deposizione di callosio, una risposta difensiva della pianta. 5. Coinvolgimento di flussi di calcio nel meccanismo di resistenza. 22 Questa scoperta richiamò l'attenzione sulle altre piante di orzo caratterizzate in precedenza negli anni '30. In quel periodo, furono organizzate delle spedizioni in Etiopia, una regione di alta altitudine e particolarmente piovosa. Migliaia di accessioni di orzo etiopico furono analizzate in seguito, e molte vennero riconosciute come mutanti nel locus Mlo. Queste accessioni provenivano soprattutto da una regione nel sud-ovest dell'Etiopia, dove le piante di orzo presentavano queste mutazioni con una frequenza dello 0,2-0,6%. Questa regione è conosciuta per le abbondanti precipitazioni, con più di 1500 mm di pioggia all'anno, e per la coltivazione dell'orzo ad altitudini di circa 1600 metri, sopra il limite boschivo. È una zona in cui la diversità genetica dell'orzo è massima, e probabilmente questa pressione ambientale ha favorito l'evoluzione di mutazioni nel locus Mlo, rendendo alcune piante resistenti al mal bianco. Quando furono effettuati gli studi di mutagenesi, i fenotipi resistenti all’oidio si rivelarono molto simili agli orzi etiopi. Presentavano macchie necrotiche di dimensioni variabili e una minore produzione di granella, che mostrava un range diversificato. Da queste osservazioni emerse che l’ereditarietà di questo carattere era recessiva e monogenica; pertanto, la resistenza si manifestava solo quando il gene responsabile era presente in forma recessiva. Questi studi furono ripresi dopo la guerra e la collezione di mutanti con i suddetti fenotipi si arricchì, includendo sia mutanti naturali che artificiali. Tutti questi mutanti furono caratterizzati e raggruppati in base a caratteristiche comuni. 1) Genotipo Il genotipo è conferito da una serie di mutazioni in alleli che non si completano. Il locus Mlo si localizza sul cromosoma 4 dell’orzo. Mlo non interferisce con altri geni regolatori della risposta a patogeni diversi, poiché è stato osservato che altre resistenze a diversi patogeni possono essere introgressi con successo tramite ibridazione tradizionale. È una resistenza ampia, efficace contro tutte le razze del patogeno. 2) Fenotipo I fenotipi dei mutanti resistenti Mlo presentano: Presenza di piccoli eventi di infezioni limitate sulle foglie. Tendenza a sviluppare maculature necrotiche o cloriche sulle foglie: questo è un effetto pleiotropico della funzione del gene Mlo. Piccoli eventi di necrosi: si osservano anche nelle foglie non inoculate; queste macchie necrotiche non sono collegate ai meccanismi molecolari della risposta ipersensibile. Invece, sono dovute a un effetto pleiotropico di questo gene. Mlo è coinvolto nel regolare diversi aspetti dello sviluppo della pianta, inclusa la giovinezza. Quando Mlo è inattivo (cioè quando il gene non è espresso), la pianta tende a invecchiare più rapidamente. Ridotta dimensione dei grani. La resistenza conferita da Mlo è universale, non specifica per razza, poiché funziona contro quasi tutte le razze di Blumeria graminis. Quando le piante Mlo sono infette da oidio, rimangono verdi, ad eccezione di piccole formazioni di colonie di mal bianco dovute alle infezioni delle cellule sussidiarie degli stomi. 3) Istologia I mutanti resistenti Mlo producono rapidamente una nuova parete cellulare nel sito di infezione, formando papille composte principalmente da callosio. Queste papille non si formano nelle cellule sussidiarie degli stomi, che devono mantenere l'elasticità durante gli scambi gassosi. La resistenza è quindi attribuibile a un fattore meccanico: le papille si formano più rapidamente e sono il doppio più spesse rispetto a quelle delle piante wild type (4,9 μm anziché 2,6 μm). Anche il flusso di Ca²⁺ citoplasmatico probabilmente promuove l’attività delle beta-glucosidasi deputate alla formazione della nuova parete cellulare. 4) Funzione Dalle prime osservazioni è emerso che Mlo è importante per regolare diversi fattori responsabili della formazione delle papille, inclusa la produzione di callosio e di altre sostanze in modo stratificato. La resistenza conferita da Mlo è di tipo meccanico, rendendo difficile la perforazione della parete cellulare da parte dell'infection peg degli oidi. Questa resistenza è efficace contro stress in cui è presente una penetrazione attiva da parte del patogeno, ma non per ruggini che penetrano attraverso gli stomi o per necrotrofi che digeriscono prima i tessuti e poi li colonizzano. La resistenza conferita dal gene Mlo in forma recessiva è molto ampia e non dipende dalla specie di mal bianco, conferendo così una resistenza generale contro tutte le razze. Quando il gene Mlo viene espresso nei wild type, la pianta non è in grado di sviluppare questa resistenza meccanica. Importanza dell'Oidio in Agricoltura e Ruolo del Gene MLO L'oidio è una malattia di fondamentale importanza in agraria, poiché provoca ingenti perdite economiche. Si tratta di una malattia specifica causata da patogeni biotrofi, che sviluppano strutture di resistenza quando l'ospite non è 23 disponibile. Esistono diverse specie di "mal bianco" adattate a specifiche specie di piante. Nonostante questa specializzazione, il gene MLO agisce in modo trasversale: l'infezione da oidio induce sempre una sovraespressione di questo gene. Silenziando il gene MLO, si può ottenere una resistenza estesa. In sintesi, il MLO rappresenta un elemento chiave nella risposta delle piante all'oidio, e la sua manipolazione può conferire resistenza a questa malattia. Clonazione e Caratterizzazione del Gene MLO Nel 1997 il gene MLO è stato clonato e ne è stata identificata la sequenza codificante. Questo risultato è stato ottenuto utilizzando mappe genetiche sul cromosoma 4, sfruttando la tecnica RLFP (Polimorfismo della Lunghezza dei Frammenti di Restrizione), clonando frammenti di cromosoma in una libreria YAC (Cromosoma Artificiale di Lievito), e infine utilizzando la RT-PCR per amplificare il cDNA dopo aver isolato l'RNA messaggero dall'orzo infetto. Grazie alla tecnica RACE (Amplificazione Rapida delle Estremità del cDNA), i ricercatori sono riusciti a identificare la sequenza codificante. Il gene codifica una proteina lunga 533 amminoacidi, con un peso molecolare di 60,4 kDa. Questa proteina è una G- proteina con sette domini transmembrana e presenta un dominio di legame per la calmodulina all'estremità N- terminale, regolato dai flussi di calcio. Successivamente, si cerca di individuare quali amminoacidi fossero responsabili del silenziamento genico in caso di mutazione. Attraverso studi istologici, si analizza la risposta ipersensibile nelle piante, che può essere visualizzata utilizzando il DAB (Diamminobenzidina), un colorante che si lega al perossido di idrogeno (H₂O₂). Dove il DAB è presente, precipita formando cristalli scuri, permettendo così di visualizzare la risposta ipersensibile. Un altro metodo per evidenziare questa risposta è la morte cellulare, che può essere visualizzata con l'uso di coloranti come il Tripan Blue, che colora di blu le cellule morte. Usando queste colorazioni, è possibile osservare cosa accade nei tessuti di orzo mutati con il gene MLO silenziato durante l'interazione con il patogeno. Quello che si osserva è che, quando MLO è silenziato, la risposta della pianta è molto confinata: si sviluppa una risposta ipersensibile precoce che riesce rapidamente a bloccare il patogeno. In questo studio, si scopre che esiste una proteina importante per il funzionamento di MLO, chiamata ROR. Quando MLO è recessivo e ROR è presente, si osserva una forte risposta ipersensibile (HR) che riesce a confinare efficacemente il patogeno, con una grande produzione di ROS (specie reattive dell'ossigeno). In questo caso, l'ospite è in grado di sviluppare l'ETI (Effector-Triggered Immunity, o Immunità Triggata dall'Effettore). Tuttavia, in assenza di ROR, la pianta non riesce a esprimere una risposta ipersensibile forte, come avviene invece nelle piante wild-type. Quindi, ROR è un gene necessario per il corretto funzionamento di MLO. Inoltre, MLO regola la senescenza: quando MLO è silenziato, le piante invecchiano precocemente e possono sviluppare macchie necrotiche. MLO ha il compito di mantenere il tessuto giovane, ed è proprio per questo che il patogeno lo induce. Essendo un parassita obbligato, il patogeno ha bisogno di un tessuto giovane e metabolicamente attivo per prosperare. Ruolo della Proteina ROR nell'Interazione MLO-Patogeno ROR1 è una proteina del citoscheletro, appartenente alla famiglia delle miosine. Questo è in perfetta armonia con il fatto che MLO rinforza meccanicamente le cellule e supporta l'intero macchinario cellulare necessario per la sintesi dei componenti della parete cellulare e per il trasporto degli organuli, come le fibrille di actina e miosina, nei punti in cui si verifica l'infezione. È stata identificata anche un'isoforma chiamata ROR2, che è una proteina t-SNARE coinvolta nel traffico vescicolare. Entrambi, ROR1 (miosina XI, coinvolta nel traffico vescicolare) e ROR2 (proteina t-SNARE), sono necessari in forma dominante per la resistenza di MLO all'oidio. È probabile che il traffico cellulare e secretorio, che comporta il riarrangiamento strutturale degli organuli ad esempio, la localizzazione dei perossisomi nel sito di penetrazione e la secrezione di molecole antimicrobiche, siano parte integrante della resistenza conferita da MLO. Inoltre, il calcio gioca un ruolo cruciale in questo processo, poiché nell'estremità N-terminale di MLO è presente un sito di legame per la calmodulina, come avviene per ROR. La resistenza di MLO può essere soppressa dall'uso di EGTA (L'EGTA (acido etilene-glicol-bis (β-aminoetilene) tetraidrofonico) è un chelante di ioni di calcio (Ca²⁺)), così come dall'aggiunta di calcio esterno. Effetti Pleiotropici e Resistenza nei Mutanti MLO Nei mutanti mlo si osserva un forte effetto pleiotropico, pur mantenendo la resistenza della pianta. MLO recessivo presenta un fenotipo pleiotropico caratterizzato da microlesioni necrotiche sulle foglie, senescenza precoce con clorosi fogliare, riduzione della resa e aumento della suscettibilità ai patogeni necrotrofi, probabilmente a causa dell'induzione della senescenza. Per questo motivo, nei programmi di breeding si ricorre a incroci con mutanti mlo attenuati, come mlo-11 (naturale etiope), mlo-12 e mlo-28 (indotti in laboratorio). Inoltre, esistono numerosi mutanti mlo disponibili in commercio. Nei mutanti mlo con un livello di silenziamento molto forte, si osserva una bassissima suscettibilità all'oidio, indicando quindi un'elevata resistenza a questa malattia. Tuttavia, questa elevata 24 resistenza è accompagnata anche da un forte effetto pleiotropico, che si traduce in altre conseguenze negative per la pianta. Ad esempio, i mutanti possono presentare microlesioni necrotiche, senescenza precoce e riduzione della resa agricola. Per questa ragione, nei programmi di miglioramento genetico (breeding) si preferiscono mutanti in cui gli effetti pleiotropici negativi si sovrappongono a un’adeguata resistenza. In altre parole, si cerca di selezionare varianti che mostrino un equilibrio tra la resistenza al patogeno e la minimizzazione degli effetti collaterali indesiderati. Questo approccio permette di sviluppare piante che non solo siano resistenti all'oidio, ma che mantengano anche buone caratteristiche agronomiche e produttive. In grafico, questa sovrapposizione può essere rappresentata visivamente: un'area in cui i tratti di suscettibilità e pleiotropia si intersecano può indicare mutanti ottimali, poiché offrono il miglior compromesso tra protezione contro la malattia e prestazioni vegetative generali. Le mutazioni che offrono un compromesso tra suscettibilità ed effetti pleiotropici sono diverse. Nel caso dell'orzo, sono stati identificati due mutanti, uno nell'allele mlo-11 e uno nell'allele mlo-9, che mostrano buone caratteristiche in entrambi gli aspetti. In generale, la malattia non presenta problemi durante l'inverno. Nel 2010 erano conosciuti circa 40 mutanti di MLO. La mutazione naturale dell'allele mlo-11 e quella indotta dell'allele mlo-9 sono le due mutazioni più utilizzate in agricoltura dal 1970-1980. Oggi, più della metà delle varietà di orzo primaverile in commercio in Europa centrale è immune al mal bianco grazie all'introgressione della resistenza mlo. Sebbene mlo sia stato introdotto anche in alcune varietà di orzo invernale, queste varietà non sono ancora state commercializzate per questo tipo di orzo (Czembor et al. 2016). Studi più recenti hanno rivelato che il gene di suscettibilità MLO regola negativamente il traffico vescicolare, che è fondamentale per la penetrazione del patogeno e per l'apposizione di callosio nelle papille. Inoltre, MLO è coinvolto nelle risposte di difesa dipendenti dall'actina, evidenziando ulteriormente il suo ruolo critico nelle interazioni pianta- patogeno. Negli anni '90 si è iniziato a esplorare il gene MLO al di fuori dell'orzo, scoprendo che è un gene importante per la resistenza all'oidio in varie specie. Di seguito sono riportati alcuni esempi: questo gene è stato studiato in molte specie di interesse economico, e sono stati identificati numerosi mutanti sia attraverso selezione naturale che mediante mutagenesi. Sono stati analizzati anche gli effetti pleiotropici sulla produzione. Attualmente si conoscono diverse forme alleliche di questo gene MLO: oltre 40 nell'orzo, 3 nel grano, 21 nella mela, 4 nella vite, 16 nel melone, 7 nel pisello, 2 nel peperone, 4 nella rosa, 3 nella fragola, 5 nel tabacco e 4 nel pomodoro. Queste informazioni sono state raccolte in una review pubblicata su MPMI nel 2017, che riporta le varie conoscenze relative alla resistenza all'oidio nelle diverse specie. Sfruttamento di MLO nella Vite Nella vite, l'infezione da oidio provoca sintomi visibili sulle foglie, che si disseccano, e sugli acini, che non crescono e si rompono, rendendo le piante suscettibili ad altre malattie. Le prime piante di vite editate per il gene MLO sono state sviluppate per contrastare questa malattia. Prima di arrivare al genome editing, è stato necessario condurre studi per identificare le mutazioni di MLO più convenienti da utilizzare. Attualmente, la tecnologia CRISPR-Cas9 per il genome editing è ampiamente consolidata nella vite. Tuttavia, prima di utilizzarla per silenziare MLO contro l'oidio, è fondamentale dimostrare l'efficacia del silenziamento di questi geni nella resistenza. Questo è particolarmente importante considerando che la famiglia genica di MLO è vasta e i vari geni possono avere effetti pleiotropici diversi e differenti efficacia contro l'oidio. In questo lavoro (Nature, Horticultural research, 2016), si riporta il knockdown di diversi geni MLO (VvMLO6, VvMLO7, VvMLO11 e VvMLO13) attraverso l'applicazione dell'RNA interference mediata da Agrobacterium e il loro effetto nella resistenza all'oidio. È interessante notare che VvMLO7, VvMLO11 e VvMLO13 sono trascrizionalme

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