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Patologia Cellulare - Citopatologia PDF

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HearteningRelativity

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University of Padua

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cellular pathology cell biology tissue homeostasis biology

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This document discusses cellular pathology and cytology. It covers cellular responses to damage, including adaptations and cell death. Homeostasis of tissues and cellular responses to stimuli are also addressed.

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Anche patologie causate da iperattività colinergica “autonomica” come iperidrosi palmare, iperidrosi ascellare, rinorrea, scialorrea, disfagia (spasmo dello sfintere esofageo superiore) possono essere trattate con la tossina botulinica. Si è osservato che pazienti sottoposti a iniezioni di BoNT a f...

Anche patologie causate da iperattività colinergica “autonomica” come iperidrosi palmare, iperidrosi ascellare, rinorrea, scialorrea, disfagia (spasmo dello sfintere esofageo superiore) possono essere trattate con la tossina botulinica. Si è osservato che pazienti sottoposti a iniezioni di BoNT a fini estetici hanno avuto una riduzione nella frequenza di emicranie croniche, patologia che riguarda la nocicezione nel SNC. Questo ha spinto i ricercatori a studiare maggiormente l’azione della BoNT a distanza tramite un trasporto retro-assonale attraverso i neuroni sensoriali. PATOLOGIA CELLULARE - CITOPATOLOGIA La cellula è il “paziente elementare” del quale si deve studiare la malattia, l’alterazione. Risposte cellulari al danno: Adattamenti cellulari (stimolo reversibile): rigenerazione, iperplasia, ipertrofia, atrofia, metaplasia (risposte lente). Morte cellulare (danno irreversibile): necrosi, apoptosi, necroptosi. Manifestazioni patologiche associate ad accumulo di materiale intra- ed extra-cellulare (risposte lente). OMEOSTASI TISSUTALE Il danno altera l’osmosi cellulare/tissutale. A sviluppo ultimato, le cellule che compongono un tessuto tendono a mantenere costanti nel tempo il numero, le dimensioni e l’aspetto differenziativo. I tessuti sono sistemi stazionari: le perdite devono eguagliare le entrate per mantenere l’omeostasi. Perdite: necrosi, apoptosi, fagocitosi di cellule morte Entrate: proliferazione di cellule con caratteristiche di staminalità da un comparto germinativo. Il mantenimento della differenziazione è necessario per l’omeostasi. Differenziazione delle cellule di un tessuto: caratteristiche morfologiche e funzionali acquisite durante lo sviluppo embrionale. Il danno cellulare deriva da alterazioni funzionali e biochimiche in uno o più componenti cellulari fondamentali (integrità delle membrane, livelli di ATP, sintesi proteica, integrità genoma, citoscheletro). La risposta cellulare agli stimoli lesivi dipende dal tipo di danno, durata e gravità. Le conseguenze di un danno dipendono dal tipo, dallo stato e dalla capacità adattativa della cellula coinvolta. RISPOSTE ADATTATIVE Adattamenti si verificano in risposta a: Aumentate o ridotte richieste funzionali Incrementata o diminuita stimolazione ormonale Stimoli patologici Adattandosi le cellule acquisiscono un nuovo equilibrio (omeostasi). Si verificano alterazioni della struttura e della funzione del tessuto. Gli adattamenti cellulari possono avvenire con alterazioni di: Dimensione Indice proliferativo Aspetto differenziativo Generalmente, si tratta di fenomeni limitati ad un distretto dell’organismo e solitamente reversibili. Il persistere di questi fenomeni può preludere all’insorgenza di patologie. 40 Rigenerazione, cioè la proliferazione per rimpiazzare le perdite Iperplasia, cioè l’aumento di numero di cellule Ipertrofia, cioè l’aumento di dimensione Atrofia, cioè la diminuzione di dimensione Metaplasia, cioè la sostituzione con un altro tipo cellulare RIGENERAZIONE Sostituzione delle cellule perdute con cellule dello stesso tipo. Oltre che in risposta ad un danno, può avvenire normalmente, ad es. il midollo osseo sostituisce sempre i globuli rossi ed i leucociti danneggiati. Non tutte le cellule hanno la stessa capacità di rigenerare. Classificazione di Bizzozzero del 1894: Tessuti a cellule perenni: es. t. muscolare cardiaco e nervoso formati da cellule con scarse capacità proliferative ed alta specializzazione. Tessuti a cellule stabili: es. endoteli, tessuti ghiandolari con capacità replicative dopo danno (fegato dopo epatectomia). Tessuti a cellule labili: epiteli di rivestimento che si rinnovano in continuazione (epidermide, mucose, endometrio), midollo. Compartimento germinativo continuamente funzionante. La proliferazione è affidata principalmente a cellule di tipo staminale che vanno incontro a divisione in risposta a fattori di crescita. La rigenerazione non è illimitata: esiste un orologio biologico che stabilisce per quante volte una cellula possa replicare. L’orologio è dato dai telomeri, pezzi di DNA non codificante posti agli estremi dei cromosomi che si accorciano ogni volta che la cellula replica. Quando si esauriscono la cellula non può più rigenerare. Le cellule somatiche normali non hanno attività telomerasica, questa è attivata invece nelle cellule tumorali. Le cellule germinali e staminali hanno attività telomerasica, ma solo le cellule germinali hanno livelli di enzima tali da stabilizzare completamente la lunghezza dei telomeri. SEGNALI DI RIGENERAZIONE CELLULARE Il segnale che “accende” il programma di replicazione cellulare è dato per la maggior parte dei casi dai fattori di crescita, dei polipeptidi di dimensioni variabili dai 5.000 ai 30.000 Dalton. Rilasciati nel microambiente, attivano specifici recettori sulla superficie cellulare. Hanno effetti terapeutici. Sono implicati nella carcinogenesi (protooncogeni). Anche gli stimoli nervosi facilitano la rigenerazione muscolare. L’aumento di dimensione di un tessuto/organo può avvenire in 2 modi: 1. Ipertrofia cellulare (aumento di dimensioni) 2. Iperplasia (aumento in numero di cellule) Cellule capaci di dividersi rispondono a una situazione di stress sia mediante iperplasia sia mediante ipertrofia, mentre in cellule che non sono in grado di dividersi (tessuti perenni, es. muscolo cardiaco) l’incremento di massa del tessuto è dovuto solo all’ipertrofia. In diversi organi, l’ipertrofia e l’iperplasia possono coesistere. La caratteristica fondamentale che distingue questi adattamenti dalla neoplasia è il fatto che una volta cessato lo stimolo, la situazione può tornare alla normalità → reversibilità e distrettualità. 41 CAUSE DI IPERTROFIA/IPERPLASIA Aumentata richiesta funzionale (ipertrofia del muscolo cardiaco e scheletrico) Stimolazione ormonale (ipertrofia muscolare dell'utero in gravidanza e iperplasia della mucosa uterina durante il ciclo o della ghiandola mammaria durante l’allattamento) Stimolazione delle difese biologiche (iperplasia di organi linfoidi, per esempio linfonodi) Aumentata nutrizione (aumento del tessuto adiposo) 9 aprile 2024 IPERTROFIA L’ipertrofia è un aumento delle dimensioni di un organo o di un tessuto dovuto all’aumento delle dimensioni delle cellule che lo costituiscono. Il numero delle cellule non varia, quindi il rapporto DNA/peso tissutale diminuisce. L’ipertrofia può essere fisiologica o patologica: Fisiologica: compensatoria e/o ormonale Patologica: compensatoria Un esempio di ipertrofia fisiologica compensatoria è quella del muscolo scheletrico per aumento del carico di lavoro. L’ipertrofia è legata ad un aumento del numero dei sarcomeri, mitocondri e estensione del reticolo sarcoplasmatico. Un esempio di ipertrofia fisiologica ormonale è la stimolazione estroginica della muscolatura liscia della parete uterina in corso di gravidanza. IPERTROFIA DEL MUSCOLO CARDIACO Ipertrofia cardiaca fisiologica adattativa: avviene negli atleti in seguito ad allenamenti intensi e prolungati. Questi individui hanno: Normale ECG Modesto spessore della parete No accumulo di collagene Ipertrofia reversibile L'esercizio fisico provoca uno stato di crescita fisiologica equilibrata del cuore. Così come la crescita del cuore che avviene durante lo sviluppo, essa è caratterizzata da un profilo uniforme di crescita della parete ventricolare e del setto, ed è accompagnata da un aumento di dimensione delle camere (ipertrofia eccentrica). Le principali cause di ipertrofia patologica sono: Ipertensione Insufficienza valvolare (pervietà delle valvole cardiache e/o grossi vasi) Stenosi valvolare Infarto (l’insulto ischemico porta a morte di alcuni cardiomiociti e quelli residui limitrofi ipertrofizzano per compensare il deficit funzionale) Cardiomiopatie familiari IPERTROFIA CARDIACA PATOLOGICA (SOVRACCARICO EMODINAMICO CRONICO) L’insufficienza cardiaca è un difetto nella capacità del cuore di pompare adeguatamente il sangue in risposta alla richiesta sistemica. Conseguenze: affaticamento, dispnea e/o edema 42 È indotta da una serie di stimoli patologici fra cui ipertensione persistente, infarto del miocardio o ischemia associata a patologie coronariche, insufficienza o stenosi valvolare, miocardite, difetti congeniti La maggior parte di questi stimoli induce prima una fase di ipertrofia cardiaca, nella quale i singoli miociti aumentano di dimensioni per cercare di compensare la sua funzione di pompa e diminuire la tensione della parete ventricolare L’ipertrofia cardiaca patologica da ipertensione o stenosi aortica o valvolare produce ipertrofia di tipo concentrico, in cui la parete ventricolare e il setto si ispessiscono con una diminuzione netta delle dimensioni delle camere cardiache. Questo rimodellamento macroscopico è associato, a livello cellulare, ad un maggiore aumento di spessore del miocita rispetto alla lunghezza (aggiunta di sarcomeri in parallelo). Caratteristiche dell’ipertrofia concentrica: Aumento dello spessore sia delle pareti che del setto Diminuzione netta delle dimensioni delle camere ventricolari Aumento di spessore dei miociti conseguente ad un’aggiunta di sarcomeri in parallelo L’ipertrofia patologica può però produrre anche un fenotipo di crescita eccentrica dilatativa (es. cardiomiopatie dilatative). Tale risposta è il risultato di una crescita patologica del miocita più in lunghezza, con aggiunta predominante di sarcomeri in serie. A livello macroscopico, la parete ventricolare ed il setto si assottigliano e le camere si dilatano. Caratteristiche dell’ipertrofia eccentrica dilatativa: Una diminuzione dello spessore delle pareti e del setto Un aumento netto delle dimensioni delle camere ventricolari. Un aumento in lunghezza dei cardiomiociti con aggiunta di sarcomeri in serie TIPI DI IPERTROFIA CARDIACA 43 MECCANISMI BIOCHIMICI DI IPERTROFIA DEL MIOCARDIO Le fibre muscolari possiedono meccanocettori che percepiscono lo stiramento durante la contrazione cardiache. La loro attivazione è il principale meccanismo che causa l'ipertrofia fisiologica. Nell’ipertrofia patologica, oltre allo stimolo meccanico (e.g. ipertensione) sono coinvolti induttori (agonisti, e.g. ormoni α-adrenergici, angiotensina, IGF-1) che attivano vie di trasduzione per la sintesi delle proteine contrattili, ciò è legato ad un aumento di dimensioni e performance. Nell’ipertrofia di tipo patologico questi segnali culminano anche nella trascrizione di geni normalmente attivi nello sviluppo embrionale e spenti nel tessuto adulto. Per esempio, è espressa la β-miosina (miosina embrionale) a scapito dell’α-miosina. In alcuni casi l’ipertrofia cardiaca patologica è maladattiva causando insufficienza cardiaca, aritmie, infarto. Dal punto di vista molecolare l’ipertrofia cardiaca possiede alcuni tratti distintivi: Riattivazione di geni fetali: questi geni nella vita fetale codificano per proteine contrattili (es: isoforme miosina) che ad un certo punto vengono sostituite da isoforme adulte. L’ipertrofia patologica si accompagna alla riattivazione di questi geni, i quali tuttavia sono inadatti a sostenere l’attività contrattile del cuore adulto. Switch metabolico: si passa da un metabolismo ossidativo (più efficiente) ad uno glicolitico (tipico del cuore fetale). Inoltre, nell’ipertrofia patologica si assiste ad uno sbilanciamento tra massa cardiaca e irrorazione, poiché all’aumento di volume dei cardiomiociti non corrisponde una neoangiogenesi; questo deficit dell’irrorazione comporta quindi un danno ischemico e di conseguenza la morte dei cardiomiociti (necrosi → infarto), i quali vengono sostituiti da materiale fibrotico. Questa fibrosi può portare ad insufficienza cardiaca, ad aritmie ed a morte improvvisa. IPERPLASIA È l’aumento del numero di cellule, principalmente labili, in un organo o in un tessuto. L’iperplasia è molto spesso il risultato di un’aumentata richiesta funzionale con conseguente produzione di un numero di cellule per reagire allo stimolo. Le cellule perenni rispondono con l’ipertrofia. Anche l’iperplasia può essere fisiologica o patologica: Fisiologica o Compensatoria (e.g. in seguito ad epatectomia parziale, anche se il tessuto epatico è normalmente a cellule stabili) o Ormonale: a seguito di aumento della stimolazione ormonale (epitelio ghiandolare della mammella alla pubertà, durante la gravidanza e l’allattamento, utero-endometrio durante il ciclo mestruale) Patologica o Ormonale (eccessiva stimolazione ormonale; es. iperplasia dell’endometrio per eccesso di estrogeni) o Riparazione delle ferite (da eccesso di fattori di crescita) o Iperalimentazione induce iperplasia delle cellule adipose nel giovane o Stati infiammatori 44 IPERPLASIA FISIOLOGICA COMPENSATORIA/RIGENERATIVA Proliferazione cellule epatiche dopo epatectomia parziale per asportazione di un lobo, l’altro lobo aumenta di volume per compensare il tessuto asportato. Non si ha coinvolgimento cellule staminali intra-epatiche o da precursori midollari, ma un reinserimento nel ciclo cellulare delle cellule epatiche stesse. IPERPLASIA FISIOLOGICA ORMONALE Proliferazione dell’epitelio ghiandolare della mammella femminile in gravidanza e durante l’allattamento. Una volta conclusa l'allattamento le cellule in eccesso sono eliminate per apoptosi. La formazione di un callo costituisce un altro esempio di iperplasia fisiologica: il callo è considerato una risposta fisiologica ad uno stimolo meccanico di lieve entità. L’iperplasia è a carico delle cellule dell’epidermide ed è associata alla formazione di uno spesso strato corneo ricco di cheratina. IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA Molto comune, interessa soprattutto gli anziani, consiste in un aumento del numero delle cellule epiteliali della prostata con formazione di noduli nella zona periuretrale. L’iperplasia spesso determina anche un aumento delle dimensioni della ghiandola. I noduli tendono a comprimere l’uretra e questo provoca una frequente tendenza alla minzione. L’iperplasia prostatica non è una condizione precancerosa: ci possono essere delle evoluzioni tumorali, ma non c’è legame stretto tra le due condizioni. IPERTROFIA/IPERPLASIA PATOLOGICA DA ECCESSIVA STIMOLAZIONE ORMONALE Il gozzo tiroideo è il risultato di una combinazione di ipertrofia e iperplasia a carico delle cellule della tiroide. Si verifica quando l’ipofisi stimola in modo eccessivo la tiroide quando questa non è in grado di produrre sufficienti livelli di ormoni tiroidei per mancanza di iodio. La psoriasi è un esempio di iperplasia patologica: lo spessore della cute aumenta in seguito ad uno stimolo infiammatorio autoimmune. L’iperproliferazione della mucosa intestinale, definita pseudopolipo intestinale (polipo iperplastico), è un esempio di iperplasia patologica. Tipico di quadri infiammatori intestinali cronici, come la rettocolite ulcerosa o il morbo di Crohn. Morfologicamente il polipo appare come un’estroflessione della mucosa e della sottomucosa. IPERTROFIA/IPERPLASIA DEL TESSUTO ADIPOSO Tessuto adiposo ipertrofico: aumento delle dimensioni degli adipociti, numero invariato. Associata a obesità nell’età adulta. Tessuto Adiposo iperplastico: aumento del numero degli adipociti. Associato a obesità giovanile. IPOPLASIA, IPOTROFIA, ATROFIA Riduzione del volume di un organo o di un tessuto per riduzione delle dimensioni e del numero delle cellule che lo compongono (ipoplasia o ipotrodia del tessuto). L’ipotrofia è la perdita reversibile di parte del citoplasma funzionante della cellula. L’atrofia rappresenta il tentativo della cellula di adattarsi alle modificazioni dell’ambiente che la circonda, riducendo le sue dimensioni e quindi le sue funzioni. Si tratta di meccanismi di “risparmio energetico”. Le cause di atrofia comprendono: Ridotta attività funzionale, come nel caso di atrofia muscolare in seguito a frattura. 45 Ridotto apporto ematico, come l’atrofia cerebrale in pazienti affetti da aterosclerosi. Ridotto apporto nutritivo, nell’iponutrizione tutti gli organi vanno incontro ad atrofia. Perdita dell’innervazione, atrofia del muscolo scheletrico. Anche per tossine botuliniche. Perdita della stimolazione da parte di ormoni o fattori di crescita, come nel caso della castrazione, che porta all’atrofia ad es. della prostata. ATROFIA CEREBRALE DA RIDOTTO APPORTO EMATICO IN PAZIENTI AFFETTI DA ATEROSCLEROSI In caso di occlusione di un vaso neuronale, per esempio per la deposizione di una placca aterosclerotica. ATROFIA DEL MUSCOLO SCHELETRICO DA DENERVAZIONE In caso di denervazione, l’atrofia non è casuale ma coinvolge tutte le fibre appartenenti alla stessa unità motoria (= innervate dallo stesso motoneurone). Le atrofie dipendono da uno squilibrio tra produzione (anabolismo) e distruzione (catabolismo) di materiali presenti nel citoplasma. Ciò coinvolge soprattutto il metabolismo delle proteine cellulari, che possono risultare diminuite per ridotto apporto (iponutrizione), o per aumentata distruzione. L’aumento dei meccanismi proteolitici può essere duplice: Extra-lisosomiale: richiede l’intervento dell’ubiquitina e del proteasoma Intra-lisosomiale (autofagia) SISTEMA DI DEGRADAZIONE UBIQUITINA-PROTEASOMA La degradazione di una proteina attraverso il sistema ubiquitina-proteasoma coinvolge 2 fasi successive: 1. Legame covalente di catene di ubiquitina (almeno 4) al substrato proteico 2. Degradazione della proteina così coniugata nel proteasoma 26S (ubiquitina viene riciclata) Le proteine da degradare sono ‘marcate’ tramite legame covalente dell’ubiquitina per la distruzione selettiva in complessi proteolitici chiamati proteasomi. L’ubiquitina è una proteina piccola di 76 aa, compatta e conservata (→ meccanismo importante). Un legame isopeptidico lega il terminale carbossilico dell’ubiquitina (Gly) al gruppo e-amino di un residuo di lisina della proteina che deve essere degradata. Il legame dell'ubiquitina alla proteina che deve essere degradata è dipendente dall'ATP. Sono coinvolti tre enzimi, chiamati E1, E2 e E3: Ubiquitin-Activating Enzyme (E1) Ubiquitin-Conjugating Enzyme (E2) Ubiquitin-Protein Ligase (E3), famiglia numerosa di enzimi coinvolti in numerose patologie, in grado di riconoscere moltissimi substrati diversi. Più ubiquitine vengono aggiunte a formare una catena di ubiquitine. Il C-term di ciascuna ubiquitina è legato all’ε- amino gruppo di una lisina (Lys48) dell’ubiquitina seguente. Una catena di 4 o più ubiquitine marcano le proteine per la degradazione al proteasoma (l’attacco di una singola ubiquitina ad una proteina ha altri effetti regolatori). In generale, multipli di ubiquitina legati attraverso la lisina 48 (Lys48) costituiscono un segnale che avvia la proteina alla degradazione nel proteasoma. Quando l’ubiquitinazione avviene a livello di altri residui di lisina dell’ubiquitina, il significato biologico è in generale diverso. Destino della proteina bersaglio in base al tipo di ubiquitinazione Poli-Ub (Lys48): degradazione nel proteasoma Mono-Ub: es. istoni: regolazione espressione genica, endocitosi, traffico vescicolare 46 Poly-Ub (Lys63): risposta a stress, riparo DNA Il legame con Ub è reversibile (DUB, enzimi deubiquitinanti). L’ubiquitinazione ha anche un ruolo nel regolare l’espressione genica (es. l’azione di NFkB richiede l’inibizione del suo inibitore da parte del proteasoma). I proteasomi sono componenti chiave dell’omeostasi cellulare, mutazioni che interferiscono con il normale funzionamento del proteasoma sono letali. Sono componenti chiave dell’omeostasi cellulare: Turnover di proteine a breve emivita Eliminano proteine mal ripiegate o danneggiate Ruolo nella regolazione del ciclo cellulare (degradazione proteine stimolanti la proliferazione cellulare che hanno esaurito la loro funzione) Coinvolti nella sopravvivenza cellulare (eliminazione molecole pro-apoptotiche) COINVOLGIMENTO DEL SISTEMA-UBIQUITINA PROTEASOMA NELLA PATOGENESI DI ALCUNE MALATTIE 1. Morbo di Parkinson: mutazioni nella proteina parkin (E3 Ub-ligasi) sono associate a forme precoci della malattia. Accumulo nei corpi di Lewy. Autofagia difettiva. 2. Virus del papilloma umano produce una proteina E6 che si lega ad un enzima E3 facilitando la sua associazione con p53. Maggiore degradazione di p53 che favorisce la genesi del cancro alla cervice uterina. 3. La sindrome di von Hippel-Lindau (tumori, soprattutto renali e vascolari) è indotta da danno genetico di una E3 chiamata VHL tumor suppressor. 4. Inattivazione del proteasoma in alcuni tipi di tumori impedisce l’attivazione di NFkB che media l’espressione di geni coinvolti nella sopravvivenza cellulare. AUTOFAGIA La parola “autofagia” origina dalle parole greche “auto = sé stesso”, e “phagein = mangiare”; si può tradurre quindi con “mangiare se stesso”. L'autofagia è un pathway molecolare fondamentale per la conservazione dell'omeostasi cellulare e dell'omeostasi dell'organismo. Serve a riciclare le componenti cellulari, sia per la normale omeostasi, sia per garantire la sopravvivenza della cellula in condizioni di stress. Questa strategia si ritrova in tutti gli organismi, da quelli meno sviluppati a quelli più evoluti, e ciò significa che è un meccanismo di straordinaria importanza. L’autofagia (in particolare gli autofagosomi) è stata descritta da un punto morfologico negli anni ‘60 da C. de Duve (scopritore dei perossisomi e lisosomi), ma la sua importanza è stata compresa solo di recente grazie all’identificazione dei geni che la regolano. “Life is an equilibrium state between synthesis and degradation of proteins” - Yoshinori Ohsumi, 2016 Nobel Prize in Physiology or Medicine “for his discoveries of mechanisms for autophagy”. Molti ortologhi dei geni ATG sono stati scoperti in mammiferi, insetti, vermi e piante. L’autofagia probabilmente era la strategia di sopravvivenza che utilizzavano i primi organismi unicellulari: in assenza di nutrienti esterni, essi degradavano componenti non del tutto essenziali in quel momento, anche interi organelli. Decidevano di fare a meno di qualcosa che in scala gerarchica era meno importante, e di sfruttare i prodotti di degradazione per creare energia o produrre qualcos’altro. L’autofagia non è mai un processo distruttivo e basta, è sempre un distruggere per riutilizzare. Negli organismi superiori l’autofagia svolge anche funzioni più specializzate. Ad esempio, riveste un ruolo di rimodellamento durante l’embriogenesi, quando produciamo molte più connessioni tra cellule rispetto a quelle 47 di cui abbiamo bisogno. Grazie all’autofagia si consolidano soltanto quelle che servono mentre le altre, ridondanti, vengono eliminate. Svolge un’azione di “controllo di qualità” della cellula: come l’eliminazione di organelli danneggiati o vecchi, di patogeni e di inclusioni citoplasmatiche dovute all’età o a stress di varia natura. Serve a cambiare rapidamente forma e funzione della cellula, ovvero controlla il differenziamento cellulare. Ruolo nella presentazione dell’antigene, e nella protezione dall’apoptosi. 11 aprile 2024 È il più importante sistema di degradazione intracellulare nel quale porzioni di citoplasma e organelli sono trasportati a un organello degradativo (lisosoma) per la degradazione e l’eventuale riciclaggio delle macromolecole risultanti. Con autofagia basale si intende l’autofagia deputata alla rimozione di proteine a lunga emivita (turnover) e di organelli danneggiati. L’autofagia può anche essere indotta in condizioni di stress (es: mancanza di nutrienti, di fattori di crescita o stress ossidativo). È coinvolta in un ampio numero di malattie e alcuni dei geni implicati nell’autofagia svolgono il ruolo di tumor suppressor. A differenza del sistema ubiquitina-proteasoma, durante l’autofagia possono essere eliminati lipidi, acidi nucleici, proteine, e strutture macromolecolari come aggregati proteici o interi organuli. AUTOFAGIA DURANTE IL DIGIUNO Quando l’autofagia è indotta dalla mancanza dei nutrienti si ha una massiccia degradazione proteica nei muscoli al fine di derivare amminoacidi che il fegato può convertire a glucosio attraverso il processo di gluconeogenesi e mantenere costante la glicemia. I topi KO per i geni dell’autofagia Atg5 e Atg7 muoiono entro 24 ore dalla nascita. Questo indica che questi due geni sono essenziali per la sopravvivenza durante il primo giorno dopo la nascita quando l’autofagia è l’unico meccanismo che fornisce nutrienti all’organismo. Esistono 3 tipi di autofagia: Microautofagia Autofagia mediata da chaperoni Macroautofagia Micro- e macro-autofagia coinvolgono un rimodellamento delle membrane cellulari, questo non avviene nel terzo caso. MICROAUTOFAGIA Componenti citosolici vengono inglobati da invaginazioni della membrana dei lisosomi e degradati al loro interno. È un processo continuamente attivo importante per il turnover di membrane e per il mantenimento delle dimensioni e delle composizioni degli organelli. AUTOFAGIA MEDIATA DA CHAPERONI (CHAPERONE-MEDIATED AUTOPHAGY, CMA) Le proteine non correttamente ripiegate espongono un motivo KFERQ (il 30% delle proteine cellulari possiede questa sequenza aminoacidica) che permette il riconoscimento da parte di un sistema di chaperoni e co- chaperoni come ad esempio HSP70. Il complesso si lega a LAMP-2A sulla membrana del lisosoma che trasloca la proteina mal ripiegata nel lume lisosomiale dove sarà degradata. 48 Non rimodellamento di membrane ma intervento di proteine citoplasmatiche e specificità di legame. Livello basale di CMA che aumenta in condizioni di stress (digiuno, stress ossidativo, sostanze tossiche). MACROAUTOFAGIA Prevede la formazione di un autofagosoma, all’interno del quale troviamo citoplasma, proteine e organelli, che fonderà con il lisosoma, contenente gli enzimi digestivi, portando al processo degradativo. Nello step iniziale viene formato il fagofaro, a partire da pressoché tutte le membrane cellulari (RE, Golgi, MP), che si accresce fino a racchiudersi in una struttura completa detta autofagosoma. L’accrescimento del fagoforo avviene per fusione di vescicole lisosomiali per formare un autolisosoma. Sono stati identificati circa 30 geni (chiamati geni Atg) coinvolti in vari passaggi del processo autofagico. Questi geni sono conservati in lievito, piante e uomo. I prodotti dei geni Atg sono associati alla membrana del fagofaro durante la sua formazione e guidano diversi step: 1. Initiation & Nucleation: materiale da eliminare circondato da una membrana di isolamento (fagoforo). Membrana derivata da GA, endosomi, ER, mitocondri, PM. 2. Elongation: la nascente membrana si accresce e fonde all’estremità e forma autofagosoma. 3. Maturation & Degradation: autofagosoma matura a steps: fusione con endosomi precoci (anfisoma) e quindi coi lisosomi (autolisosoma); degradazione materiale e riciclo. L’insulina e il fattore di crescita IGF-1 attivano l’enzima PI3K, che a sua volta attiva la ATK, entrambe chinasi. ATK, simultaneamente, stimola la sintesi proteica attivando mTOR e blocca il fattore di trascrizione FoxO3, induttore dei processi autofagico e proteolitico con proteasomi. La chinasi mTOR è importante per l’attivazione del processo anabolico, quindi la sua attivazione è mutualmente esclusiva con quella del processo autofagico. mTOR, in abbondanza di nutrienti, blocca l’attivazione della molecola iniziatrice del processo autofagico, fosforilando la chinasi ULK1/2. In condizioni di digiuno mTOR è bloccato nella sua attività chinasica, per cui ULK1/2 può dare inizio alla nucleazione del fagoforo. Tutte queste fasi dipendono da particolari proteine/complessi proteici codificati da geni Atg. REGOLAZIONE DELL’AUTOFAGIA L’autofagia è controllata da vari induttori e inibitori. In generale, aumenti di calcio citosolico sono induttori del processo autofagico in quanto campanello d’allarme di malfunzionamenti cellulari. L’autofagia è indotta anche da malfunzionamenti nei proteasomi o accumulo di proteine mal ripiegate, come anche l’infezione da parte di patogeni. Digiuno e denervazione inducono atrofia muscolare per autofagia. 49 MITOFAGIA Mitocondri danneggiati vengono eliminati per autofagia (mitofagia). Il danno ai mitocondri si può verificare in caso di: Ipossia Depolarizzazione (annullamento del gradiente protonico tra lo spazio intermembrana e la matrice del mitocondrio) Stato energetico alterato L’assenza di potenziale di membrana fa sì che la proteina PINK1 non possa più essere traslocata dal citosol alla membrana interna mitocondriale, in quanto dipende da un trasportatore voltaggio-dipendente. PINK si accumula quindi nella membrana mitocondriale esterna, dove arruola la proteina Parkin (E3 ligasi), che ubiquitina le Mitofusina 1 e 2, coinvolte nella fusione dei mitocondri. Quando queste proteine sono degradate, il network dei mitocondri si frammenta, indicando alla cellula una condizione di stress che attiva il processo di mitofagia. AUTOFAGIA E MALATTIE NEURODEGENERATIVE Alterazioni nella regolazione dell’autofagia possono contribuire allo sviluppo e alla progressione di molteplici patologie, come neurodegenerazioni, cancro, malattie genetiche e numerose altre. Gli studi si stanno principalmente concentrando nella patogenesi dei disordini neurodegenerativi come Alzheimer e Parkinson e muscolari. Numerosi autofagosomi (contenenti organelli/materiale da degradare) si potevano osservare post-mortem nel cervello di pazienti affetti da diverse malattie neurodegenerative. Successivamente si è capito che: L’accumulo di autofagosomi era conseguente il blocco del processo autofagico: accumulo di autofagosomi che non potevano fondersi con i lisosomi ed ultimare il processo di degradazione. L’autofagia è un meccanismo importante per preservare la salute dei neuroni (cellule terminalmente differenziate in cui il mantenimento di un buono stato cellulare è fondamentale). Nelle malattie neurodegenerative tale processo è alterato. L’alterazione del processo autofagico è responsabile della patologia. In un contesto patologico, si è visto che una stimolazione dell’autofagia porta ad un miglioramento della condizione in diversi modelli animali. AUTOFAGIA E CANCRO Alcuni geni autofagici vengono considerati dei tumor-suppressor genes, ovvero geni che, se mutanti (loss of function) o deleti, sono associati all’insorgenza di vari tipi di tumori. Es. Beclina1/ATG6 è deleto o non funzionante in diversi carcinomi (specialmente a prostata, ovaio e seno). In realtà, l’autofagia può anche essere sfruttata da una cellula neoplastica come meccanismo di sopravvivenza in condizioni particolari di stress, come il trattamento farmacologico o la mancanza di nutrienti. AUTOFAGIA ED INFEZIONE MICROBICHE Autofagia come meccanismo di difesa dell’ospite a seguito di infezione batterica o virale, per isolare, degradare, il microbo che ha infettato la cellula. Alcuni patogeni riescono a manipolare il processo autofagico per sopravvivere all’interno della cellula infettata formando una nicchia di sopravvivenza all’interno dell’autofagosoma. Bloccano la maturazione dell’autofagosoma, per esempio, impedendo la fusione col lisosoma. 50 AUTOFAGIA ED INVECCHIAMENTO Si è osservata una correlazione tra autofagia, restrizione calorica e longevità. I ricercatori hanno indotto restrizione calorica, ovvero digiuno intermittente, in topolini di laboratorio che erano privi (KO) dei geni autofagici; in questi casi non si osservava aumento di longevità. La restrizione calorica determina un aumento della longevità solo se il processo autofagico è funzionante. METAPLASIA Cambiamento reversibile dell’aspetto differenziativo di un tessuto, in risposta a diversi stimoli irritativi. Nella metaplasia un tessuto ben differenziato assume le caratteristiche di un altro tessuto altrettanto differenziato. Risposta adattativa che porta alla sostituzione di cellule più sensibili al danno con altre meno sensibili e in grado di sostenere condizioni avverse. La metaplasia è soprattutto frequente nelle zone di transizione fra un epitelio ed un altro, come alla giunzione fra cervice ed utero, o fra esofago e stomaco. La metaplasia non deriva da un cambiamento fenotipico di un tipo cellulare differenziato ma è il risultato di riprogrammazione di cellule staminali (progenitrici presenti nei tessuti normali o di cellule mesenchimali indifferenziate presenti nel tessuto connettivo per azione di una serie di citochine, fattori di crescita e componenti della matrice extracellulare Tessuti soggetti a metaplasia Epiteliale o Comparsa di epitelio squamoso pluristratificato ▪ nella trachea e nei bronchi per fumo di sigaretta o infiammazione cronica (da cilindrico ciliato) ▪ nell’endocervice in seguito ad infiammazione cronica ▪ nella mucosa dello stomaco in seguito a reflusso alcalino dal duodeno o Comparsa di epitelio cilindrico muco-secernente ▪ nella mucosa dell’esofago in seguito a reflusso acido dallo stomaco (esofagite da reflusso) Connettivale o Formazione di cartilagine, osso o tessuto adiposo (tessuti mesenchimali) in tessuti diversi ▪ miosite ossificante: è una miosite reattiva in risposta ad un trauma con formazione di tessuto osseo nell'ambito muscolare. METAPLASIA EPITELIALE INVERSA Barrett’s Esophagus da epitelio squamoso a cilindrico muco-secernente nei soggetti che soffrono di reflusso gastro-esofageo/acidità cronica. L’acidità cronica (ulcerazione) induce le cellule staminali a riprogrammarsi in epitelio intestinale. DISPLASIA Crescita disordinata più comune nelle cellule epiteliali squamose a seguito di danno cronico. Morfologicamente è caratterizzata da variazioni di dimensioni e forma delle cellule, disposizione disordinata nell’epitelio, modificazioni nucleari caratterizzate da ingrossamento, confini irregolari ed ipercromatismo dei nuclei La displasia è l’unica tra le alterazioni prima descritte che è considerata premaligna e può progredire in carcinoma (es. carcinoma a cellule squamose) se non trattata. Un esempio di displasia si verifica nella cervice uterina durante l’infezione da Papilloma virus. 51 15 aprile 2024 DANNI POSSONO REVERSIBILI E IRREVERSIBILI Il cardiomiocita di un atleta, la cui muscolatura scheletrica è sottoposta a carichi superiori rispetto a quelli di una persona normale, va incontro ad un processo di adattamento ipertrofico eccentrico, in cui la crescita è equilibrata. Questo processo richiede tempo ed energia per poter sintetizzare proteine, organelli e ATP. Nel momento in cui la richiesta di lavoro diminuisce, vengono attivati i sistemi autofagico e ubiquitina-proteasoma per ridurre questo dispendio energetico. Al contrario se lo stesso miocita va incontro ad un evento ischemico, momentaneo o permanente, non riceve più supporto in termini di ossigeno o di rimozione delle sostanze tossiche da parte dell’irrorazione sanguigna, causando danno rispettivamente reversibile o irreversibile. I principali cambiamenti a cui il cardiomiocita va incontro sono: la perdita della funzione e il ringonfiamento, tende inoltre a sviluppare accumuli di lipidi (steatosi). Le principali manifestazioni conseguenti ad un danno di tipo reversibile sono rigonfiamento e steatosi, se la condizione si protrae il danno diventa irreversibile. Talvolta lo stimolo nocivo è talmente intenso che la cellula muore senza attraversare uno stato di degenerazione. Il danno non è a livello del singolo cardiomiocita ma riguarda l’area in cui si è sviluppata l’ischemia, che diventa un focolaio infiammatorio per il rilascio del citoplasma. L’area esposta al danno, diventata necrotica per mancanza di irrorazione, viene sostituita da una cicatrizzazione fibrotica. Le conseguenze di uno stimolo dannoso dipendono da: Natura, durata e gravità dello stimolo dannoso/patogeno Tipo, stato nutrizionale, adattabilità, differenziazione e background genetico della cellula colpita La risposta può essere diversa anche in tipi cellulari molto simili: nel cardiomiocita il danno diventa irreversibile dopo 20-30 min di ischemia, mentre nel miocita del muscolo scheletrico il danno è irreversibile dopo >2-3 ore ischemia. Meccanismi biochimici di danno: Deplezione di ATP, ad esempio in seguito ad un blocco della sua sintesi Produzione di ROS eccessiva, non neutralizzabile dai sistemi endogeni di difesa Perdita dell’omeostasi del calcio Perdita dell’integrità delle membrane e dell’omeostasi ionica Danno mitocondriale Blocco sintesi proteica L'interferenza con uno qualsiasi di questi processi altera inevitabilmente anche gli altri perché interconnessi tra di loro. DANNO ISCHEMICO E IPOSSICO Il danno ischemico può avvenire a livello cardiaco, cerebrale e in diversi altri distretti. Il danno ischemico e ipossico è uno dei più frequenti tipi di danno. L’interruzione della perfusione di un determinato distretto causa danno a più livelli: la prima conseguenza ad una riduzione della perfusione è una diminuzione nei livelli di ossigeno, questo interferisce con la fosforilazione ossidativa nei mitocondri e quindi con la produzione di ATP nella cellula. Le conseguenze del blocco della sintesi di ATP sono diverse: 52 La più immediata conseguenza è l’incapacità della cellula di mantenere l’omeostasi ionica attraverso le pompe ATPasiche tra cui la pompa Na+. In particolare, vi è un afflusso di Ca2+ H2O e NA+ ed un efflusso di K+ che determinano un rigonfiamento generale della cellula, si rigonfia anche il RE e formazione di estroflessioni (blebs). Per compensare alla diminuzione di respirazione cellulare, la cellula aumenta l’attività della glicolisi anaerobia, una via metabolica meno efficiente e che porta ad una deplezione del glicogeno e ad una produzione di acido lattico. L’acido lattico abbassa il pH cellulare che causa, nel nucleo, condensazione della cromatina nucleare. La mancanza di ATP provoca il distacco dei ribosomi, quindi interruzione della sintesi proteica e accumulo di lipidi (steatosi). Le concentrazioni di Ca2+ sono mantenute da pompe ATP-dipendenti. Un aumento di Ca2+ citosolico in seguito ad una deplezione di ATP porta all’attivazione di fosfolipasi, proteasi, ATPasi ed endonucleasi in modo incontrollato. DANNO DA RADICALI LIBERI (VEDI PAGINA 7) Perossidazione lipidica: radicale idrossilico reagisce con gli acidi grassi insaturi dei fosfolipidi di membrana, formando dei radicali lipidici instabili (perossidi). Perdita dell’integrità di membrana. Danno alle proteine: radicale idrossilico può danneggiare le proteine che vanno incontro a frammentazione, legami crociati, aggregazione e degradazione (ossidazione gruppi–SH). Danno al DNA: I radicali possono causare rottura dei filamenti, mutazioni di basi e legami crociati tra filamenti. Se danno esteso i sistemi di riparo risultano insufficienti e la cellula muore. DANNO CELLULARE REVERSIBILE Tutte le cellule possiedono meccanismi che permettono loro di far fronte a cambiamenti delle normali condizioni ambientali. Quando i cambiamenti dell'ambiente vanno oltre la capacità delle cellule di mantenere l'omeostasi si produce un danno cellulare. RIGONFIAMENTO IDROPICO/DEGENERAZIONE VACUOLARE Il rigonfiamento idropico dipende da un aumento del contenuto citoplasmatico di acqua. Questo dipende dalle lesioni ai normali meccanismi che regolano il controllo della concentrazione ionica nel citoplasma (Na+). Questa regolazione si compie a 3 livelli: 1. Integrità della membrana plasmatica 2. Funzionamento delle Pompe ioniche (Na+/K+ ATPasi) 3. Sufficiente presenza/produzione di ATP DANNO IRREVERSIBILE Quando lo stimolo dannoso è di intensità o di durata che sovrasta i meccanismi normali di risposta cellulare, la lesione cellulare diviene irreversibile (morte cellulare). Si distinguono diverse modalità di morte cellulare: 53 Necrosi: morte “accidentale”, processo passivo. o Evento accidentale o Passivamente subito dalle cellule o Interessa gruppi di cellule o Dovuto a trauma, veleno, anossia… o La lisi della cellula causa fenomeni di infiammazione Apoptosi: morte “programmata”, processo attivo. o Evento programmato o Attivamente realizzato dalle cellule o Interessa cellule singole o Realizzato di norma in condizioni fisiologiche o La frammentazione della cellula e le modificazioni di superficie favoriscono la fagocitosi da parte delle cellule del sistema immunitario. Necroptosi: morte “programmata” per necrosi. Gli stimoli patologici che causano necrosi sono: Ischemia Tossine Traumi Iniezione → rigonfiamento cellulare e risposta infiammatoria Oltre agli stimoli fisiologici, anche stimoli patologici possono causare apoptosi: Danno al DNA/proteine Deprivazione di fattori di crescita → contrazione-raggrinzimento cellulare MORTE CELLULARE CON RIGONFIAMENTO: NECROSI Dal greco “νεкρoς” (morto). Si ha perdita dell’omeostasi ionica in seguito alla quale la cellula si rigonfia e lisa. La necrosi può essere definita come la morte di cellule o tessuti morfologicamente evidente e non è mai fisiologica. Le cause di necrosi possono essere: Esogene o fisiche (temperatura elevata, radiazioni) o chimiche (tossine, veleni) o biologiche (infezioni virali e batteriche) Endogene o ischemia o anossia o risposta immunitaria o risposta infiammatoria o intermediare dell’O2 (ROS) FASI DELLA NECROSI La necrosi è il risultato di una sequenza abbastanza stereotipata di eventi, che possiamo così riassumere: 1. La crisi bioenergetica: il danno ai mitocondri, che in molti casi è il primo evento della necrosi, porta all’interruzione della produzione di ATP. 54 2. La perdita dell’omeostasi ionica-volumetrica: il calo dell’ATP rende le pompe ioniche di membrana, che funzionano ad ATP, incapaci di mantenere i livelli intracellulari di Na+ e K+, causando: a. Aumento del Na+ intracellulare b. Richiamo di acqua dall’ambiente extracellulare c. Rigonfiamento cellulare d. Distensione della membrana plasmatica e. Rigonfiamento degli organuli f. Il tentativo di sopravvivere: la cellula cerca di rimanere in vita con la glicolisi, che produce anch’essa ATP 3. L‘aumento del calcio citosolico: dalla membrana plasmatica danneggiata e dal reticolo endoplasmico anch’esso danneggiato, e per il malfunzionamento delle pompe Ca2+-ATPasiche, il Ca2+ diffonde nel citosol 4. L’attivazione delle fosfolipasi Ca2+ dipendenti: le fosfolipasi attaccano le membrane, con conseguente: a. Distruzione dei fosfolipidi b. Disorganizzazione delle membrane 5. La generazione di un circolo vizioso: il danno delle membrane dipendente da fosfolipasi causa: 6. Ulteriore aumento di Ca2+ a. Attivazione di proteasi Ca2+ dipendenti come la calpaina che danneggiano le proteine strutturali b. Attivazione di endonucleasi con distruzione della cromatina c. Denaturazione proteica 7. La morte della cellula: la sequenza di eventi precipita fino a che la cellula non riesce a mantenere la sua omeostasi, la membrana plasmatica si rompe ed il contenuto cellulare si riversa all’esterno nel tessuto circostante QUADRI MORFOLOGICI DI NECROSI A. Cellule normali colorate con ematossilina ed eosina. C. Cellule in fase precoce di necrosi. aumento dell’eosinofilia citoplasmatica. picnosi. E. Il processo di necrosi continua. Eosinofilia. Carioressi. G. Eosinofilia. Cariolisi. Evidente rottura della membrana plasmatica. NECROSI COAGULATIVA La necrosi coagulativa è quella più comune e si sviluppa soprattutto nel cuore o nel rene, dove il tessuto diventa denso e opaco, e può avvenire anche nel fegato. L'evento che la caratterizza è la denaturazione delle proteine che precipitano formando una struttura densa. Se si osserva un tessuto in necrosi coagulativa, dopo qualche giorno si possono ancora riconoscere le varie strutture e i contorni delle cellule, quindi l’istologia viene mantenuta per qualche giorno. Nei preparati istologici il tessuto necrotico appare sotto forma di un’area compatta, amorfa, generalmente eosinofila, con pochi resti nucleari isolati. Questa è la tipica necrosi da danno ipossico. NECROSI COLLIQUATIVA La necrosi colliquativa è tipica del tessuto cerebrale che diventa molto liquido come una poltiglia. È una necrosi in cui la digestione enzimatica è prevalente, c'è un grosso rilascio di enzimi lisosomiali e il tessuto viene digerito in maniera importante. Non c'è una precipitazione delle proteine denaturate come nel primo caso, ma si crea una massa liquida viscosa. 55 NECROSI CASEOSA È considerata una variante della necrosi coagulativa. Tipica dei granulomi tubercolari (infezione da M. tubercolosis) del polmone. Nei pazienti affetti da questa infezione si ha la formazione di un granuloma e all'interno di questo granuloma si ha un tipo di morte che viene definita “caseosa” perché si ha questo materiale denso e biancastro. NECROSI GRASSA La necrosi grassa o steatonecrosi si genera perché vengono attivate le lipasi che vanno ad agire su tessuti dove ci sono depositi di grassi, come nel fegato e nel pancreas, e vanno a provocare una massiccia degradazione di lipidi con la formazione di una massa untuosa. APOPTOSI L’apoptosi è un processo che ha una grande importanza non solo nella patologia ma anche nella fisiologia (≠ necrosi). Rilevanza fisiologica: Omeostasi numerica nei tessuti. L’apoptosi ha un ruolo nella regolazione delle popolazioni cellulari. Mantenimento del numero di cellule in tessuti. Ricambio delle cellule epiteliali intestinali, sistema ematopoietico. Morte delle cellule dell’ospite che hanno esaurito la loro funzione (es. neutrofili durante la risposta infiammatoria acuta e linfociti al termine di una risposta immunitaria. In queste situazioni le cellule vanno incontro ad apoptosi in quanto prive dei necessari segnali di sopravvivenza). Fondamentale nello sviluppo embrionale (morfogenesi degli arti), un difetto nell’apoptosi porta a sindattilia (fusione delle dita). Sviluppo del sistema immunitario (tolleranza immunologica attraverso l’eliminazione di cloni di linfociti autoreattivi). Rimodellamento dei tessuti, ad esempio per permettere l’allattamento in seguito a parto. Nella metamorfosi degli anfibi il riassorbimento della notocorda e la sua sostituzione con vertebre coinvolge la morte fisiologica delle cellule. L’apoptosi svolge anche un ruolo chiave nella rimozione di cellule patologiche, ad esempio: Eliminazione di cellule infettate da virus/neoplastiche da parte dei linfociti T citotossici Autodistruzione di cellule cha hanno subito danno esteso al DNA Eliminazione di neuroni in alcune condizioni patologiche (es. morbo di Alzheimer e di Parkinson) dove avviene l’accumulo di proteine non correttamente ripiegate), nel qual caso si ha stress del reticolo endoplasmatico EVENTI CARATTERISTICI DELL’APOPTOSI Da un punto di vista morfologico: 1. Il citoplasma inizia a contrarsi in seguito alla proteolisi di filamenti di actina 2. La cellula va incontro a perdita d’acqua (shrinkage) e insolubilizzazione delle proteine citoplasmatiche 3. Il nucleo si condensa e, picnotico, e può frammentarsi. La cromatina viene degradata in modo regolare (laddering), con tagli a livello del DNA internucleosomico e così pure le proteine nucleari. 4. La cellula continua a contrarsi riducendosi ad una forma che permetta la facile eliminazione da parte dei macrofagi. Si verificano cambiamenti della membrana plasmatica favorenti la fagocitosi (traslocazione della fosfatidilserina dal foglietto interno all’esterno). Modificazioni della membrana si accompagnano alla comparsa dei cosiddetti BLEBS, rigonfiamenti vescicolari 5. Formazione dei corpi apoptotici, residui di cellule delimitati da membrana. 56 L’apoptosi, a differenza della necrosi, non innesca infiammazione e colpisce cellule isolate che vengono eliminate per fagocitosi dai fagociti professionali o da cellule epiteliali contigue. SEGNALI “FIND-ME” AND “EAT-ME” NELLE CELLULE DI MAMMIFERO La cellula, durante l’apoptosi, espone e rilascia dei segnali molecolari (detti find-me/eat-me signals) che invitano alla fagocitosi dei corpi apoptotici: LPC: lisofosfatidilcolina CX3CL1: chemochina S1P: sfingosina-1-fosfato Nucleotidi: ATP, UTP I nucleotidi sono rilasciati dalla cellula apoptotica in seguito all’attivazione delle caspasi 3 e 7 che tagliano la pannexina 1 (PANX1), un canale transmembrana che in seguito a questo cambiamento conformazionale fa passare ATP e UDP. Si parla di programma apoptotico perché: Viene portato avanti attivamente, cioè con dispendio di energia È innescato da induttori specifici Richiede l'azione dei prodotti specifici di alcuni geni ESECUZIONE DELL’APOPTOSI Indipendentemente dallo stimolo iniziale, l’apoptosi culmina nell’attivazione di proteasi specifiche che degradano i componenti della cellula e causano le alterazioni che abbiamo appena visto. Queste proteasi si chiamano Caspasi (cysteinyl aspartate-specific proteinase), possiedono una cisteina nel sito catalitico e catalizzano il clivaggio in corrispondenza di residui di acido aspartico. Esistono due classi di Caspasi: Caspasi iniziatrici (caspasi 2, 8, 9, 10) - sono le prime ad intervenire dando inizio alla cascata proteolitica che attiva altre pro-caspasi. Caspasi effettrici (caspasi 3, 6, 7) - attaccano proteine indispensabili per la sopravvivenza cellulare, attivano alcune DNAsi e procaspasi iniziatrici, che contribuiscono ad amplificare la cascata enzimatica. Queste caspasi effettrici sono responsabili della proteolisi di proteine cellulari chiave come actina, laminina portando ai cambiamenti morfologici tipici di una cellula che va in apoptosi. VIA INTRINSECA (MITOCONDRIALE) Attivata da stress come danni al DNA, tossici ed assenza di fattori di crescita. Vari danni attivano dei sensori di stress in membrana (appartenenti alla famiglia Bcl2) che a loro volta attivano membri pro-apoptotici della famiglia Bcl2: BAX e BAC. Questi si inseriscono nella membrana mitocondriale e fanno uscire il citocromo c dallo spazio intermembrana. Il Cyt C, a questo punto, forma un complesso con Apaf-1. Questo provoca un cambiamento nella conformazione di Apaf-1 che permette l'assemblaggio con altre 6 proteine identiche andando a formare un complesso omoeptamerico chiamato apoptosoma. Le proteine Apaf-1 possono così reclutare tramite i loro domini CARD le pro-caspasi 9 attivandole. 57 16 aprile 2024 VIA ESTRINSECA È attivata da recettori di morte che riconoscono ligandi prodotti dal sistema immunitario come FasL o TNF. In seguito al legame con il ligando (es. FasL) l'oligomerizzazione del recettore (es. Fas) di morte porta al reclutamento della proteina adattatrice citoplasmatica FADD mediante il death domain (DD). FADD recluta la pro-caspasi 8. Si forma una piattaforma chiamata DISC (che comprende il complesso formato da recettore, proteina adattatrice e pro-caspasi) che consente l'oligomerizzazione di procaspasi-8, che porta 2 omodimeri nelle immediate vicinanze, attivando un processo autocatalitico. La caspasi 8, una volta attivata, può: Attivare caspasi effettrici Attivare nel citoplasma proteine pro- apoptotiche che vanno ad attivare proteine analoghe sulla superficie del mitocondrio, causando l’uscita del citocromo c (via intrinseca). La via estrinseca è innescata da segnali di morte ma si attivano quasi sempre sensori di danno all’interno della cellula. IMPORTANZA DELLA RELAZIONE FAS/FASL I linfociti T citotossici (CTL) e le cellule NK uccidono cellule infettate da virus anche attraverso questa via. Ad es. cellule infettate da HIV esprimono più recettore Fas in membrana. Dopo aver agito, le cellule effettrici del sistema immunitario, cioè CTL e cellule NK, devono essere eliminate per controllare la risposta immunitaria, fanno questo attivando l’espressione del recettore Fas in membrana. Certi tumori solidi (polmone, colon, seno) evadono il sistema immunitario “down-regolando” il recettore Fas nelle cellule alla loro periferia bloccano i linfociti T che cercano di eliminare il tumore. È il principale meccanismo di eliminazione dei cloni T self reattivi durante la maturazione del sistema immunitario. L’attivazione delle caspasi è un fenomeno che è sottoposto a diversi livelli di controllo, per evitare attivazioni accidentali che porterebbero a morte involontaria la cellula. La regolazione dell’apoptosi è data dall’equilibrio tra proteine pro-apoptotiche (BID, BAX e BAC) ed anti-apoptotiche (BCL-2 e BCL-XL) che possono bloccare entrambe le vie. Eterodimerizzazione: la dimerizzazione di una proteina pro-apoptotica con una anti-apoptotica porta all’inattivazione della prima. La proteina pro-apoptotica in forma libera induce invece l’apoptosi 58 APOPTOSI E PATOLOGIE UMANE Aumentata apoptosi: in malattie neurodegenerative, AIDS Difettiva apoptosi: cancro, malattie autoimmuni, infezioni virali NECROPTOSI Recentemente si è identificato un nuovo processo di morte cellulare controllato geneticamente (cioè programmata, quindi simile all’apoptosi) caratterizzata da: rigonfiamento cellulare e degli organelli (swelling), culminante con la rottura della cellula dispersione del materiale cellulare (quindi simile alla necrosi, induce infiammazione) Questa forma di necrosi regolata è stata chiamata necroptosi (o necrosi programmata) Si presenta come una vera e propria necrosi, in cui la cellula muore per squilibrio ionico, che però non è indotta da un danno generico ma da una via specifica di segnale. È una forma di morte cellulare specifica dei vertebrati e potrebbe essersi evolutivamente originata dall’apoptosi come una difesa addizionale verso i patogeni. La necroptosi agisce anche come suicidio cellulare necessario (per bloccare l’espansione del patogeno) e alternativo all’apoptosi (caspasi-indipendente), nel caso l’apoptosi non possa essere attuata, come durante infezioni virali in cui vengono prodotte proteine virali in grado di bloccare le caspasi (come CrmA, cytokine response modifier protein A, del virus del vaiolo; vIRA, viral inhibitor of RIP activation, di hCMV) → Non è fisiologica, ma sempre associata a condizioni patologiche. MOLECOLE COINVOLTE NELLA NECROPTOSI Lo stimolo necroptotico (TNF) si lega al suo recettore (TNFR) e recluta altre molecole adattatrici (TRADD, TNFR1- associated death domain). Al complesso viene reclutato RIPK1 (Receptor-Interacting Protein Kinase 1) che, a sua volta, recluta RIPK3. In assenza di caspasi 8 attiva (per blocco della via estrinseca, FADD), le due proteine chinasi si auto- e transfosforilano a vicenda, formando un grosso complesso strutturato a microfilamenti (amyloid-like) chiamato necrosoma. Nel necrosoma viene reclutato ed attivato MLKL (Mixed Lineage Kinase domain-Like) che, dopo fosforilazione da parte di RIPK3, oligomerizza e forma una struttura fibrillare che si inserisce in diverse membrane lipidiche (organelli e PM), permettendo la fuoriuscita di materiale cellulare. Ciò attiva la risposta infiammatoria. Tra questi, vengono liberati segnali «find me» e «eat me» che reclutano macrofagi che eliminano i detriti cellulari per pinocitosi/fagocitosi. 59

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