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NOZIONE ED OGGETTO DEL DIRITTO PENALE: il diritto penale si articola in una parte generale ed in una parte speciale. La parte generale ha come nucleo essenziale di riferimento il LIBRO I del codice penale, e dal punto di vista contenutistico fissa le regole fondamentali che servono per “costruire” q...

NOZIONE ED OGGETTO DEL DIRITTO PENALE: il diritto penale si articola in una parte generale ed in una parte speciale. La parte generale ha come nucleo essenziale di riferimento il LIBRO I del codice penale, e dal punto di vista contenutistico fissa le regole fondamentali che servono per “costruire” qualsiasi reato, detto anche illecito penale, il quale è la risultante dell’incrocio tra i principi generali qui contenuti e le singole incriminazioni contenute invece nella parte speciale. Mentre però risulta essere più o meno agevole l’individuazione della parte generale del diritto penale, lo è meno quella della parte speciale, dal momento che questa non si torva tutta nel codice penale, in cui si torva una parte minore distribuita tra il LIBRO II e il LIBRO III, ma si trova anche in legislazione extracodicistica. La distinzione tra la parte generale e la parte speciale del diritto penale ha radici profonde nella storia. In un contesto storico, la parte speciale, che riguarda gli specifici comportamenti proibiti o richiesti, è stata primaria. Questo perché per le autorità sovrane, il trasmettere divieti o ordini specifici era fondamentale per mantenere l’ordine sociale. Ad esempio, i banditori, che annunciavano le leggi nelle città con il tamburo, trasmettevano le disposizioni specifiche del sovrano, come le pene per determinati reati come il furto di pane, indicando le conseguenze precise di tali azioni. D’altra parte, la parte generale del diritto penale, che riguarda i principi e i concetti generali che sottendono l’intero sistema giuridico penale, è emersa in un secondo momento. Infatti, la nascita della parte generale del diritto penale come la conosciamo oggi è collegata alla fase della codificazione giuridica che si è verificata alla fine del XVIII e all’inizio del XIX secolo. Durante questo periodo, la codificazione è stata vista come un mezzo per fornire un apparato di garanzie per i cittadini, e la parte generale del diritto penale è emersa come insieme di regole fondamentali che devono essere rispettate affinché una persona sia considerata penalmente responsabile. Queste regole includono concetti come il dolo e la colpa, che determinano lo stato mentale e la responsabilità di un individuo per un reato. La parte generale del diritto penale è stata quindi vista come la “Magna Carta” dei diritti del soggetto che ha commesso un reato, poiché fornisce le basi per determinare se un individuo ha effettivamente violato le norme penali e deve essere ritenuto responsabile. Questo cambio di focus ha portato a una maggiore attenzione non solo ai comportamenti specifici che costituiscono reati, ma anche ai principi e ai concetti generali che sottendono il sistema giuridico penale nel suo complesso. Il diritto penale non ha una sua propria materia predeterminata, nel senso che non ha un oggetto della sua disciplina facilmente identificabile a priori; il diritto penale, per sua natura in realtà in gran parte si appoggia a diversi rami dell’ordinamento e quindi si appoggia al diritto civile, pubblico, amministrativo, commerciale… apprestando a taluni rapporti giuridici uno specifico trattamento che è legato alla salvaguardia di alcuni beni considerati essenziali. Quindi non si può sapere prima quale è l’ambito di estensione del diritto penale e rispetto a quali settori il diritto penale si esprime, in un certo senso si può dire che non esiste una materia penale predeterminata o predeterminabile. Però analogamente occorre mettere in luce come non vi è settore del diritto che non conosca la presenza di sanzioni penali e quindi dell’intervento del diritto penale. Questo comporta che, sebbene una parte significativa delle norme penali sia contenuta nel codice penale stesso, molte altre disposizioni si trovano disseminate in varie branche del diritto. Inoltre, neppure la presenza di una norma all’interno dello stesso codice penale garantisce di essere al cospetto di una norma penale, sicché nello spesso codice penale sono presenti non soltanto reati, ma anche illeciti penali amministrativi. LE NORME PENALI INCRIMINATRICI: Come si fa a comprendere se si è o meno al cospetto di una norma penale? La gran parti delle norme penali sono norme penali INCRIMINATRICI, si tratta di norme che prevedono il precetto, cioè la regola di condotta 1 che deve essere rispettata, e la sanzione, che trova applicazione nell’eventualità in cui venga violato il precetto. Sinonimi di “norma penale incriminatrice” ovvero norma penale in senso stretto, sono reati o illeciti penali. L’utilizzo del termine “reato penale” è ridondante perché ogni reato è per definizione penale. Per questo motivo si utilizza direttamente “reato” per indicare un illecito di natura penale, dal momento che il reato è una violazione della legge penale e comporta una sanzione penale. Tuttavia, per chiarezza e precisione, si può dire “illecito penale” per specificare che si tratta di un comportamento punito dalla legge penale, soprattutto quando si sta facendo un confronto con altri tipi di illeciti, dal momento che l’illecito è un termine più ampio che si riferisce a qualsiasi comportamento contrario alla legge o alle regole, ma non necessariamente con implicazioni penali. Nel diritto penale, il principio di legalità (“nullum crimen, nulla poena sine lege”) stabilisce che un comportamento può essere considerato reato solo se esiste una legge che lo definisce come tale. Questo principio assicura che solo la legge scritta (codice penale, leggi speciali) possa qualificare un comportamento come reato, a differenza di altri rami del diritto che possono basarsi su consuetudini e usi, come ad esempio il diritto civile. Quindi un reato è identificato attraverso una norma incriminatrice che descrive un comportamento vietato e prevede una sanzione penale. Il diritto penale, con le sue sanzioni severe, interviene come ultima risorsa per proteggere interessi che non possono essere adeguatamente tutelati dagli altri rami del diritto. Ai sensi dell’articolo 39 del codice penale, i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, distinzione che si basa sulle differenti pene per essi rispettivamente stabilite; quindi, il criterio distintivo delle due fattispecie è rinvenibile nella sanzione prevista, ma non è il medesimo articolo che opera questa distinzione di pene, bensì vi è un rinvio implicito, e cioè non c’è un rinvio dichiarato, ad un’altra disposizione del codice, ossia l’articolo 17, il quale prevede che: - Le pene principali stabilite per i delitti sono: o la pena di morte: Nella formulazione originaria del codice penale del 1930, durante il periodo fascista, il legislatore voleva dare al diritto un’impronta particolarmente severa. Per i reati più gravi, ossia i delitti, nei casi di particolare gravità era prevista la pena di morte. Questa pena non esiste più nel nostro ordinamento dal 1944 per i reati comuni. Dopo la caduta del fascismo nel 1943, un governo provvisorio in Italia emanò una serie di atti normativi, tra cui uno che eliminava la pena di morte, sostituendola con l’ergastolo in tutti i casi in cui era prevista. Con l’entrata in vigore della Costituzione italiana, l’articolo 27 sancì che la pena di morte non è ammessa, costituzionalizzando il divieto precedentemente stabilito da una legge ordinaria. Tuttavia, vi era un’eccezione per i casi previsti dalle leggi penali militari di guerra. Il codice penale militare di guerra prevedeva la pena di morte fino alla metà degli anni ‘80. Successivamente, anche questa eccezione fu eliminata con una modifica costituzionale. Oggi, la pena di morte non è ammessa in nessun caso nel sistema giuridico italiano. o l’ergastolo che attualmente è la pena più grave presente nel nostro ordinamento. Tradizionalmente, l’ergastolo era considerato una pena a vita, nota anche come pena perpetua. Tuttavia, oggi, salvo casi eccezionali che danno luogo a quello che si chiama ergastolo ostativo, l’ergastolo non può più essere definito una pena perpetua. Questo perché esistono varie possibilità che permettono la risocializzazione del reo, riducendo di fatto la durata effettiva della pena. o la reclusione, ossia la pena detentiva temporanea per i delitti, implica che il soggetto condannato deve scontare un periodo privato della propria libertà personale. Tuttavia, diversamente da come si potrebbe pensare, questa pena non viene sempre scontata in carcere. 2 In alcuni casi, a determinate condizioni, la reclusione può essere scontata presso la propria abitazione, tramite la detenzione domiciliare. o la multa, ossia il pagamento di una sanzione di natura pecuniaria. Storicamente, il diritto penale si è concentrato sulla privazione della vita o della libertà personale del condannato. Tuttavia, viene appunto prevista una pena alternativa per i delitti, ossia la multa. Questa sanzione, che comporta il pagamento di una somma di denaro, mostra che il diritto penale non si traduce sempre e necessariamente in carcere o in restrizione della libertà personale. La multa, quindi, è una sanzione penale al pari della reclusione o dell’ergastolo, sottolineando l’esistenza di conseguenze differenti dalla perdita della libertà personale. - Le pene principali per le contravvenzioni sono: o l’arresto, ovvero la privazione della libertà personale, ma normalmente per periodi molto più brevi rispetto a quelli previsti per la reclusione; quindi mentre in senso comune significa semplicemente catturare qualcuno, in diritto penale indica una sanzione specifica. Nel contesto del diritto penale sostanziale, l’arresto è una sanzione negativa legata alla responsabilità penale per una contravvenzione. o l’ammenda, anch’essa consistente nel pagamento di una sanzione pecuniaria. Quindi il diritto penale si occupa di stabilire quali comportamenti sono considerati illeciti penali, cioè reati. Questi reati sono definiti da norme penali incriminatrici, che descrivono le azioni proibite e le relative sanzioni. Quando una norma rende penalmente rilevante una violazione, siamo di fronte a un illecito penale. Per identificare un reato, si utilizza un criterio formale: si esamina la norma per vedere se essa prevede una pena principale. Se la norma menziona una pena, possiamo determinare che si tratta di un reato e capire se è un delitto o una contravvenzione. Questo sistema serve a garantire che tutti i cittadini, non solo i giuristi, possano sapere se una certa condotta è considerata un reato e quali potrebbero essere le conseguenze penali. Le norme penali incriminatrici sono fondamentali nel diritto penale in quanto definiscono quali comportamenti sono vietati e stabiliscono le conseguenze legali per la loro violazione. Queste norme delineano chiaramente le azioni o le omissioni che costituiscono reato, le quali possono ledere beni giuridici protetti dalla legge. Una caratteristica peculiare delle norme penali è l’enunciazione delle sanzioni prima dei presupposti della responsabilità penale. Questo significa che spesso le norme iniziano con la descrizione delle pene principali che sono previste per la violazione della norma stessa. Questo approccio serve a fornire chiarezza immediata sulle conseguenze legali di determinati comportamenti; è un aspetto strutturale che mira a rendere il diritto penale più chiaro e facilmente comprensibile per tutti i cittadini. A titolo esemplificativo ricordiamo l’articolo 650 del codice penale il quale che sancisce che: “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro” Visto l’esplicito riferimento all’ammenda, si comprende in modo immediato che si è al cospetto di una contravvenzione, è proprio il primo articolo del Libro III dedicato appunto alle contravvenzioni. Come abbiamo precedentemente meso in luce la identificazione della materia penale presenta una sfida significativa, in quanto non esiste una singola sede dove il diritto penale è interamente racchiuso. Molte norme penali non si trovano nel codice penale stesso, e la presenza di un articolo all’interno del codice penale non garantisce automaticamente che si tratti di una norma penale. Questo perché a partire dagli anni ‘70 sono 3 avvenuti processi di depenalizzazione, durante i quali alcuni reati sono stati trasformati in illeciti di natura amministrativa. Abbiamo detto che buona parte delle norme penali sono norme penali incriminatrici e che queste si identificano per la gran parte di esse mediante il criterio formale della pena principale, quello di esaminare quale sia la conseguenza prevista per la violazione di una regola di condotta. Questo criterio formale è definito negli articoli 17 e 39 del Codice Penale italiano. Quindi esemplificando se in una norma si trova il riferimento ad una pena principale, si è in presenza di una norma penale incriminatrice. Non tutte le norme penali sono incriminatrici nel senso tradizionale. Nel nostro sistema giuridico, oltre alle pene, esistono anche misure di sicurezza che possono essere applicate in seguito alla commissione di un reato. Queste misure di sicurezza rappresentano un’altra classe di sanzioni negative per la violazione di una regola di condotta. Nel contesto del Codice Penale italiano, le misure di sicurezza sono disciplinate specificamente agli articoli 199 fino al 240bis. A differenza delle pene, le misure di sicurezza non sono semplici sanzioni punitive, ma sono destinate a proteggere la società dalla pericolosità dell’autore del reato. Tuttavia, come le pene, anche le misure di sicurezza possono essere applicate solo da un giudice, il quale deve stabilire che il soggetto ha effettivamente commesso un reato. Quindi, le norme che disciplinano le misure di sicurezza sono considerate norme penali nel nostro ordinamento giuridico, poiché sono strettamente legate alla commissione di un reato e sono regolate all’interno del Codice Penale. Le norme che prevedono conseguenze civili derivanti dalla commissione di un reato costituiscono un terzo gruppo di norme strettamente legate al diritto penale, tanto da essere considerate vere e proprie norme penali. Queste norme sono disciplinate nel Codice Penale italiano, precisamente agli articoli 185 e successivi. Dal momento che la commissione di un reato che abbia cagionato un danno, sia questo patrimoniale o non patrimoniale, fa sorgere nei confronti dell’autore del reato L’OBBLIGO DI RISARCIMENTO DEL DANNO MORALE E DEL DANNO PATRIMONIALE ed eventualmente l’obbligo di restituire l’oggetto del reato. Infine, sono da considerarsi norme penali, quelle che riguardano l’obbligazione legata alle spese di mantenimento del condannato in carcere. È fondamentale determinare se una norma appartiene al diritto penale non solo per una questione di classificazione formale, ma perché il diritto penale ha un insieme di regole e principi distinti che lo differenziano dagli altri rami del diritto: - non retroattività delle norme penali: nel diritto penale, le norme incriminatrici e quelle che comportano sanzioni per il reo non possono mai essere applicate retroattivamente. Ciò significa che una legge nuova non può punire un comportamento che è avvenuto prima della sua entrata in vigore. Questo principio garantisce la certezza del diritto e protegge i diritti dei cittadini da cambiamenti improvvisi nella legge. - divieto di analogia in malam partem: a differenza di altri rami del diritto, nel diritto penale non è ammessa l’analogia in malam partem, cioè l’applicazione analogica delle norme che possa risultare sfavorevole per il reo. Questo significa che non si possono estendere interpretazioni o applicazioni delle leggi penali in modo che possano danneggiare i diritti dell’individuo oltre quanto espressamente previsto dalla legge. Quindi conoscere se una norma appartiene al diritto penale o ad un altro ramo del diritto non è solo una questione di classificazione formale, non serve solo a fare uno sfoggio definitorio, ma determina anche l’applicazione di principi fondamentali che caratterizzano il diritto penale. Questi principi assicurano che le leggi penali siano equamente applicate, rispettando i diritti dei cittadini e mantenendo l’integrità del sistema giuridico. 4 Oltre alle norme penali incriminatrici, il diritto penale richiede una serie di altre regole che sono cruciali per il suo corretto funzionamento. Il diritto penale si basa su un insieme complesso di norme, che includono norme penali incriminatrici e non incriminatrici. È importante comprendere la natura giuridica di queste norme per distinguere se sono norme penali non incriminatrici o se appartengono ad ambiti non penali, poiché questo determina l’applicazione di regole specificamente penali. Il diritto penale non si limita alle norme incriminatrici, ma include anche un complesso di norme di disciplina generale che stabiliscono le condizioni e le modalità per l’applicazione delle sanzioni penali. Queste norme sono fondamentali per il corretto funzionamento delle norme penali incriminatrici e includono diversi principi chiave, ad esempio: - Prima di applicare una norma penale, è necessario verificare se il soggetto colpevole possiede determinate qualità, capacità, età o qualifiche soggettive che rendono applicabile la norma stessa. - È essenziale capire se il soggetto attivo ha agito con determinate intenzioni, come il dolo (volontà di commettere il reato), o se la sua azione ha portato direttamente alla conseguenza prevista dalla legge. - Si deve accertare se l’oggetto della condotta criminosa è stato effettivamente colpito, ad esempio se la vittima è una persona umana. Queste norme di parte generale disciplinano il funzionamento delle norme penali incriminatrici, assicurando che il diritto penale sia applicato in modo giusto ed equo. Cambiamenti in queste norme, come l’espansione delle condotte punibili o l’introduzione di sanzioni più severe, non possono avere effetto retroattivo o essere applicati tramite analogia. Il diritto penale quindi non è esclusivamente punizione, ma talvolta costruisce delle ipotesi, le principali delle quali sono proprio nella parte generale del codice penale, che rendono non penalmente rilevante, non illecito dal punto di vista del diritto penale, un fatto che altrimenti lo sarebbe. Esempio: omicidio, chiunque cagiona la morte di un uomo è punito, ma potrebbe capitare il caso che una persona ne uccida un’altra, eppure per la legge penale non commetta un reato, esempio della legittima difesa. Sono norme di liceità che servono a costruire una norma penale complessa, perché per spiegare la legittima difesa, si devono prendere in considerazione gli articoli 575 e 52, al fine di costruire la fattispecie. Le norme che disciplinano la non punibilità e l’estinzione del reato rappresentano un’altra importante componente del diritto penale sostanziale. Queste norme gestiscono situazioni in cui, nonostante il reato sia stato commesso e tutti i suoi elementi siano presenti, il fatto diventa non punibile per varie ragioni. Un esempio noto è quello della prescrizione del reato, dove il passare del tempo porta alla perdita del diritto dello Stato di perseguire penalmente il reo per un fatto commesso molti anni prima. Queste norme non solo influenzano la punibilità dei reati, ma definiscono anche i limiti temporali entro cui un reato può essere perseguito. Sono parte integrante del diritto penale sostanziale perché regolano le condizioni sotto cui il sistema giuridico decide di non punire una condotta ritenuta criminosa in altre circostanze. Il diritto penale quindi: - ha una disciplina che si qualifica per il modo con il quale protegge determinati beni giuridici, attribuendo alla violazione di una determinata condotta una sanzione più elevata, - ma prevede che tale sanzione possa essere irrogata solo mediante la sottoposizione del soggetto ritenuto responsabile della commissione di un fatto costituente reato, ad un procedimento penale, nel quale lo stato interviene mediante la predisposizione di organi giudicanti ad hoc, nonché mediante l’intervento del Pubblico Ministero. Per queste ragioni se volessimo collocare il diritto penale in una categoria tra privato e pubblico, fa certamente parte del DIRITTO PUBBLICO, e se volessimo provare a dare una definizione del diritto penale, potremmo affermare che si tratta di un complesso di norme volte alla prevenzione di determinate condotte ritenute illecite, di tratta della funzione preventiva del diritto penale, ed alla eventuale applicazione di specifiche sanzioni in qualche modo restrittive della libertà personale, in capo ai soggetti che abbiano commesso fatti costituenti reato, funzione repressiva del diritto penale. 5 I RAPPORTI CON LE ALTRE DISCIPLINE: - Il rapporto tra diritto penale sostanziale e diritto processuale penale è fondamentale, poiché entrambi sono interconnessi e complementari. Superate le vecchie contrapposizioni sul carattere accessorio o strumentale del processo rispetto al diritto penale, oggi si comprende che entrambi sono indispensabili l’uno per l’altro. Le finalità perseguite attraverso norme penali sostanziali possono essere efficacemente realizzate anche attraverso l’adeguata modulazione degli istituti processuali. Chi considera il diritto penale senza il diritto processuale penale o viceversa avrebbe una visione parziale e incompleta. Questo è evidenziato dal fatto che nei sistemi universitari europei e anglosassoni esiste solitamente un’unica materia e un unico docente per diritto e procedura penale, riflettendo la loro stretta interdipendenza. Nonostante le forti interazioni, è necessario distinguere tra norme penali sostanziali e norme penali processuali, data l’esistenza di differenze significative di disciplina. Questo è particolarmente evidente per quanto riguarda la successione nel tempo delle norme penali, l’applicazione dell’analogia e la prescrizione. Nonostante la collocazione formale delle norme possa suggerire una distinzione netta tra diritto penale nel codice penale e diritto processuale penale nel codice di procedura penale, ci sono casi in cui queste linee non sono così chiare. Ad esempio, nel codice penale troviamo norme che regolano il rinnovamento del giudizio, aspetto tipicamente processuale, mentre il patteggiamento, disciplinato dal codice di procedura penale, è considerato da molti un istituto di diritto sostanziale. - Il rapporto tra diritto penale e diritto amministrativo, in passato sembrava essere abbastanza netta la distinzione, partendo dal presupposto che: o Nel diritto amministrativo la sanzione viene inflitta dalla stessa pubblica amministrazione, mentre nel diritto penale deve sussistere l’intervento del giudice o Nel diritto amministrativo vige il principio di discrezionalità, in base al quale la pubblica amministrazione può rinunciare all’applicazione della sanzione, mentre le sanzioni penali devono applicarsi necessariamente in presenza delle condizioni richieste. o Nel diritto amministrativo, a differenza del diritto penale, le sanzioni pecuniarie non sono convertibili Si tratta dunque apparentemente di due settori che hanno solo un piccolo punto di contatto, ma questa distinzione è da qualche anno venuta un po’ in crisi, nel senso che tra il diritto penale e il diritto amministrativo, in mezzo si è collocata una terza materia, che prima non esisteva, ma che oggi rappresenta un tertium genus di diritto, messo a confine, tanto che lo si chiama diritto penale amministrativo. Negli anni ‘70, il legislatore si è reso conto che un diritto penale con migliaia di incriminazioni aveva gravi limitazioni sia sul versante preventivo che su quello repressivo. Da un lato, era difficile che i cittadini conoscessero tutte queste leggi, mentre dall’altro era improbabile che le rispettassero tutte, provocando un effetto simile all’inflazione normativa. Inoltre, il peso delle molte incriminazioni, ha attenuato l’efficacia del sistema, soprattutto nella sua funzione di repressione, poiché l’applicazione del diritto penale avviene solo attraverso il processo penale, che richiede risorse considerevoli. Il legislatore si è reso conto di aver esagerato nell’uso del diritto penale, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questa tendenza paradossale era un riflesso dell’eccessivo utilizzo della leva del diritto penale, che, in un certo senso, fu una conseguenza paradossale del contesto democratico. In democrazia, a differenza delle dittature, dove il potere impone leggi ristrette e limitate, il diritto penale si espande per regolare aspetti che possono essere rilevanti si, ma non essenziali. Questo fenomeno è stato riflesso anche nel codice penale, che ha subito un ampliamento delle sue disposizioni. 6 Le democrazie tendono a rincorrere le leggi penali principalmente perché rispondono alle aspettative dell’elettorato. Gli elettori spesso sostengono l’idea che ci sia bisogno di più leggi penali e reati per affrontare determinati problemi sociali e comportamenti indesiderati. Di conseguenza, il potere politico si adegua a questa percezione aumentando il numero di incriminazioni e ampliando il campo di intervento del diritto penale. Dal secondo dopoguerra fino al 1977, c’è stato un marcato ricorso al sistema penale, con un significativo aumento delle incriminazioni. Successivamente, il legislatore ha iniziato a percepire i limiti di questa politica e ha avviato un’operazione di depenalizzazione. Tuttavia, raramente elimina completamente i reati esistenti, perché modificare o abolire norme penali può essere interpretato negativamente dall’opinione pubblica. Quindi, spesso opta per trasformare gli illeciti penali in illeciti penali amministrativi: il comportamento rimane vietato, ma la sanzione non è più penale, bensì amministrativa. A volte, invece, il legislatore reagisce aumentando le pene o introducendo nuovi reati per rispondere a nuove sfide sociali o percepiti aumenti della criminalità. Il codice penale quindi si presenta come un terreno di costante cambiamento, con aggiunte e eliminazioni di norme nel corso del tempo. Nel 1981, con l’approvazione della legge 689, l’Italia ha avviato un significativo processo di riforma del diritto penale. Questa legge ha stabilito che non costituiscono reato e che sono soggette a sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda, ad eccezione: - Dei delitti e delle contravvenzioni per le quali, nelle ipotesi aggravate, sia prevista la pena detentiva, anche in via alternativa - Dei delitti punibili a querela di parte, ancorché sia prevista la sola pena della multa. Furono con tale legge fissati per la prima volta principi generali valevoli per le sanzioni amministrative. Questa forma di depenalizzazione si è intensificata nel tempo, con interventi legislativi significativi come la riforma del 1999, che ha eliminato dal panorama giuridico italiano il cosiddetto “diritto cavalleresco”, una disciplina che non era più considerata reato. Gli illeciti penali amministrativi rappresentano fatti che, sebbene un tempo considerati reati, non sono più punibili penalmente ma sono sottoposti a sanzioni amministrative più severe rispetto al diritto amministrativo ordinario, ma meno severe rispetto al diritto penale. Queste norme giuridiche si collocano a metà strada tra il diritto penale e quello amministrativo: ereditano il principio di legalità e l’irretroattività dal diritto penale, mentre adottano il principio di responsabilità solidale dal diritto amministrativo, a differenza della responsabilità penale personale sancita dall’articolo 27 della Costituzione italiana. A differenza del procedimento penale, la constatazione di un illecito non avviene davanti al giudice penale, ma piuttosto davanti al giudice civile. Questo sistema combina regole caratteristiche del diritto penale con altre del diritto amministrativo, motivo per cui è definito come un terzo genere normativo. Quindi, è stato istituito un sistema intermedio e misto tra diritto penale e amministrativo, che si è sviluppato principalmente attraverso la legge n. 561 del 28 dicembre 1993 (trasformazione di reati minori in illeciti amministrativi) e il decreto legislativo n. 507 del 30 dicembre 1999 (che ha depenalizzato reati minori e riformato il sistema sanzionatorio). Recentemente, il decreto legislativo n. 8 del 15 gennaio 2016, attuando la delega della legge n. 67 del 28 aprile 2014, ha trasformato in illecito amministrativo tutti i reati punibili solo con multa o ammenda, purché non previsti dal codice penale. Alcune materie sensibili sono rimaste escluse da questa trasformazione, come edilizia, 7 ambiente, salute e sicurezza sul lavoro, con l’eccezione di alcuni reati come gli atti osceni e le pubblicazioni indecenti. La coesistenza di sanzioni penali e penali-amministrative nel nostro sistema è gestita mediante il principio di specialità. Tuttavia, se le due sanzioni dovessero essere considerate coincidenti nella loro natura, potrebbero sorgere problemi di sovrapposizione della risposta sanzionatoria, come evidenziato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza Grande Stevens e altri contro Italia del 4 marzo 2014. - La distinzione tra illecito penale e illecito civile nel nostro ordinamento è formalmente determinata dal criterio dell’identificazione dei reati, come stabilito dall’articolo 39 combinato con l’articolo 17; un reato è identificato dalla presenza di una delle pene principali menzionate, e solo in questo caso si configura un reato. La commissione di un reato può portare non solo a conseguenze penali dirette, ma anche a conseguenze civili. Il Titolo VII del Libro I del codice penale, intitolato “Delle sanzioni civili”, precisamente agli articoli 185 e seguenti, è interamente dedicato a queste conseguenze. Secondo il principio generale dell’articolo 2043 del codice civile, qualsiasi atto illecito, doloso o colposo, che provoca ingiustamente un danno a un’altra persona, obbliga colui che ha commesso l’atto a risarcire il danno. L’articolo 2059 del codice civile specifica che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi stabiliti dalla legge. Inoltre, per tutti i reati che causano un danno patrimoniale o non patrimoniale, il responsabile e le persone che devono rispondere in base alla legge civile sono obbligati al risarcimento. Questa disposizione non solleva problemi di sovrapposizione o di doppia punizione per lo stesso nucleo di illecito (bis in idem), poiché le sanzioni sono di natura profondamente diversa: quelle penali sono disciplinate dal diritto penale, mentre quelle civili sono regolate dal diritto civile. Nel 2016, il legislatore ha compiuto un passo significativo distinguendo ulteriormente il diritto penale dal diritto civile. Questo è stato fatto tramite un’operazione di trasformazione di alcuni reati non particolarmente gravi in illeciti civili. Questa operazione ha sostanzialmente eliminato la natura penale di tali reati, sostituendola con un illecito civile, il quale prevede il pagamento di una somma di denaro diretta allo Stato. Si tratta infatti di una sanzione pecuniaria civile ed è commisurata secondo le regole tipiche del diritto penale: - I criteri di commisurazione sono simili a quelli contenuti nell’articolo 133 del codice penale e cioè gravità della violazione, reiterazione dell’illecito, arricchimento del soggetto responsabile, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito, personalità dell’agente, condizioni economiche dell’agente, pur mantenendo un approccio simile a quello giudiziale penale - L’obbligo di pagare la sanzione non si trasmette agli eredi Questa trasformazione ha introdotto una figura nuova: un illecito civile irrogato dal giudice civile, ma con un orientamento che richiama le modalità di giudizio tipiche del diritto penale. Sembra quindi che sia stata introdotta una ulteriore disciplina intermedia, quella dell’illecito penale civile. Il diritto penale è considerato una scienza positiva poiché si basa sullo studio e sull’interpretazione delle norme giuridiche vigenti in un determinato ordinamento giuridico. Nel contesto italiano, lo studio del diritto penale si concentra sulle norme stabilite dal legislatore italiano, che hanno plasmato il sistema giuridico penale nel paese. Questo rende il diritto penale italiano specifico e adattato alle esigenze e alle peculiarità della società e della cultura italiane. Il diritto penale si distingue anche per la sua tendenza all’autarchia, cioè alla capacità di regolarsi autonomamente all’interno del proprio ambito normativo. Questa caratteristica è dovuta al fatto che 8 il diritto penale stabilisce norme e sanzioni specifiche per i comportamenti considerati criminosi o illeciti, senza dipendere direttamente da altre branche del diritto o da normative esterne per la sua operatività. La singola disposizione deve quindi essere interpretata al fine di ricostruire i concetti generali, ossia i dogmi. La dogmatica è quella specifica funzione della scienza penale che serve a costruire i concetti generali, sulla base del tessuto normativo vigente. Il legislatore fa delle scelte di politica criminale, cioè si tratta di scelte politiche, ma legate al diritto penale. La distinzione tra dogmatica e politica criminale è fondamentale e non dovrebbe essere confusa. Mentre la dogmatica si concentra sulla interpretazione e applicazione delle norme giuridiche esistenti nel diritto penale, la politica criminale si occupa delle decisioni politiche che influenzano la legislazione penale e la sua applicazione. Quando si parla di politica criminale, è essenziale considerare un approfondito apporto di conoscenze. Questo contributo di conoscenze non si limita alla comprensione storica delle norme nel tempo (conoscenza diacronica), ma oggi richiede anche una prospettiva comparatistica. Questo è particolarmente vero quando si affrontano temi di riforma che possono avere impatti su scala internazionale o che presentano punti di contatto con sistemi giuridici diversi da quello italiano. La diversità normativa tra paesi confinanti può infatti influenzare l’efficacia delle norme penali italiane. Di conseguenza, la politica criminale deve valutare attentamente la situazione specifica in Italia, considerando anche le implicazioni e le lezioni apprese dalle esperienze di altri paesi. Questo approccio comparatistico aiuta a formulare politiche penali più efficaci e adattate al contesto nazionale, migliorando la coerenza e l’efficacia del sistema giuridico penale nel suo complesso. Il diritto penale non si limita a questioni tecniche e procedurali; affronta anche temi profondi che richiedono riflessioni di natura filosofica. Questo terzo profilo di analisi nel diritto penale tocca argomenti fondamentali che spesso conducono a scelte normative e hanno radici culturali che si intrecciano con la filosofia del diritto. In campo penale, emergono due categorie di individui: - Persone capaci di agire e di autodeterminarsi: Questi individui sono considerati liberi e responsabili delle proprie azioni. - Persone non libere di agire, determinate o costrette: Queste persone, sebbene abbiano commesso un reato, non sono considerate pienamente responsabili a causa delle circostanze che le hanno spinte a commettere l’atto. In questo caso, punirle con una pena sarebbe eccessivo perché non hanno agito con piena libertà. La risposta a questa situazione è l’applicazione di misure di sicurezza anziché sanzioni penali. Questa distinzione richiama fortemente la filosofia del diritto, poiché esplora concetti come la libertà individuale, la responsabilità morale e giuridica, e l’equilibrio tra giustizia e misericordia nel trattamento dei trasgressori. È interessante notare che molti grandi penalisti del passato non si limitavano allo studio del diritto penale, ma affrontavano anche questioni filosofiche fondamentali. Questo connubio tra diritto penale e filosofia del diritto evidenzia come entrambi i campi si intersechino nella ricerca di risposte etiche e giuridiche alle sfide della condizione umana. Ci sono ulteriori materie che presentano notevoli punti di contatto con il sistema penale e queste sono: - Criminologia, ossia una disciplina fondamentale che si occupa delle cause e delle dinamiche del crimine, nonché del comportamento dei soggetti che commettono reati. Per i penalisti, questa scienza non solo spiega le motivazioni dietro le condotte criminali, ma guida anche la legislazione penale e l’attuazione pratica delle indagini. Tradizionalmente, il diritto e il processo penale si sono concentrati principalmente o esclusivamente sul potenziale autore del reato, trascurando spesso la vittima e le relazioni tra autore e vittima. Le indagini criminologiche hanno rivitalizzato l’attenzione sulla figura della vittima, dando origine a una sotto-disciplina nota come vittimologia. Questo approccio ha aiutato a superare l’approccio normativo tipico del diritto penale, aprendo la strada a una comprensione più completa delle dinamiche criminali. 9 Un concetto cruciale introdotto dalla criminologia è quello della “cifra oscura”, che indica i reati che non sono noti alle autorità pubbliche. Ad esempio, nei casi di violenza sessuale e abusi sui minori, la cifra oscura è significativa, evidenziando che molti casi non vengono riportati ufficialmente. Le indagini criminologiche utilizzano metodi statistici anonimi per stimare la reale portata di questi crimini, fornendo dati che spesso differiscono significativamente dalle statistiche ufficiali. Ad esempio, si stima che una grande parte degli abusi non avvenga per mano di estranei, ma in contesti di conoscenza tra autore e vittima. Queste scoperte hanno implicazioni legislative importanti, poiché inducono a prendere misure preventive mirate per prevenire tali situazioni. Inoltre, la proiezione criminologica aiuta a identificare i tipi di autori di reato e ad adottare strategie legislative più informate e efficaci. In sintesi, la criminologia non solo arricchisce la comprensione del comportamento criminale, ma gioca anche un ruolo fondamentale nell’orientare la politica criminale verso una risposta più equilibrata e consapevole alle sfide della criminalità contemporanea. - antropologia criminale, notevolmente influenzata dalle teorie di Cesare Lombroso, è una disciplina che ha avuto un impatto significativo nel campo del diritto penale, sebbene molte delle sue ipotesi siano state superate nel corso del tempo. Lombroso, un medico italiano del XIX secolo, è famoso per aver sostenuto l’idea che fosse possibile identificare i “delinquenti nati” in base a certe caratteristiche somatiche e psicologiche, che credeva fossero indicative di una predisposizione al crimine. Questa visione ha avuto conseguenze nel diritto penale, in quanto ha influenzato la legislazione sulle misure di sicurezza, che mirano a proteggere la società dalle persone considerate pericolose in base a queste caratteristiche presunte innate. Tuttavia, la teoria di Lombroso è stata ampiamente criticata e superata nel corso del tempo, poiché non tiene conto della complessità e della varietà dei fattori che contribuiscono al comportamento criminale. Nonostante ciò, l’antropologia criminale continua a essere una disciplina di studio che può offrire indicazioni pratiche. Un esempio storico notevole è il caso del “Mostro di Firenze”, in cui la polizia italiana ha lavorato per identificare e catturare il criminale seriale Piero Pacciani, accusato di una serie di omicidi di coppie. In questo caso, l’antropologia criminale ha contribuito a orientare le indagini, anche se l’approccio oggi è molto diverso rispetto all’epoca di Lombroso, basandosi su metodologie scientifiche moderne e approcci interdisciplinari. - antropologia criminale, notevolmente influenzata dalle teorie di Cesare Lombroso, è una disciplina che ha avuto un impatto significativo nel campo del diritto penale, sebbene molte delle sue ipotesi siano state superate nel corso del tempo. Lombroso, un medico italiano del XIX secolo, è famoso per aver sostenuto l’idea che fosse possibile identificare i “delinquenti nati” in base a certe caratteristiche somatiche e psicologiche, che credeva fossero indicative di una predisposizione al crimine. Questa visione ha avuto conseguenze nel diritto penale, in quanto ha influenzato la legislazione sulle misure di sicurezza, che mirano a proteggere la società dalle persone considerate pericolose in base a queste caratteristiche presunte innate. Tuttavia, la teoria di Lombroso è stata ampiamente criticata e superata nel corso del tempo, poiché non tiene conto della complessità e della varietà dei fattori che contribuiscono al comportamento criminale. Nonostante ciò, l’antropologia criminale continua a essere una disciplina di studio che può offrire indicazioni pratiche. Un esempio storico notevole è il caso del “Mostro di Firenze”, in cui la polizia italiana ha lavorato per identificare e catturare il criminale seriale Piero Pacciani, accusato di una serie di omicidi di coppie. In questo caso, l’antropologia criminale ha contribuito a orientare le indagini, anche se l’approccio oggi è molto diverso rispetto all’epoca di Lombroso, basandosi su metodologie scientifiche moderne e approcci interdisciplinari. - Medicina legale, che consiste nell’utilizzazione di nozione mediche ogni volta che è necessario per il diritto. È una disciplina che si concentra principalmente su aspetti di natura medica e scientifica, fornendo dati obiettivi che sono fondamentali per il diritto penale. Tradizionalmente considerata un ausilio del diritto penale, la medicina legale oggi è riconosciuta come una scienza autonoma. Essa 10 fornisce contributi essenziali nelle indagini e nei processi penali, utilizzando conoscenze mediche per analizzare prove fisiche, determinare cause di morte, valutare lesioni e fornire perizie che possono essere decisive per la giustizia. - Psicologia giudiziaria che indaga le varie manifestazioni psicologiche dei diversi soggetti che prendono parte ad un procedimento penale, nello specifico si occupa delle reazioni e dei comportamenti delle persone coinvolte nei processi giudiziari. Studia come le testimonianze, le vittime, i testimoni e gli imputati reagiscono e interagiscono con il sistema giudiziario. Questa branca della psicologia è cruciale per comprendere la capacità di intendere e volere degli imputati, valutare la credibilità delle testimonianze e fornire consulenza sugli aspetti psicologici del comportamento criminale. - Tecnica di investigazione criminale che utilizza tutti i mezzi che le scienze rendono disponibili per l’accertamento del reato e per la identificazione dell’autore stesso LE PRINCIPALI FONTI DI COGNIZIONE DEL DIRITTO PENALE: queste sono: il codice penale, la legislazione extracodicistica e la Costituzione; tra queste si instaurano rapporti: - Di tipo verticale, o gerarchico, tra la Costituzione e tutte le fonti di rango di legge ordinaria, un problema comune a tutti gli altri rami dell’ordinamento, nel senso che le seconde non devono essere in contrasto con la prima, per non incorrere nella dichiarazione di illegittimità costituzionale. - Di tipo orizzontale, o paritetico dal momento che accanto al codice penale, vi è un vasto arcipelago di norme esterne che compongono il diritto penale, rendendo il panorama normativo particolarmente esteso e articolato. IL CODICE PENALE Il vigente codice penale è il Codice Rocco, dal nome del Ministro della giustizia Alfredo Rocco, che lo introdusse nel 1930, sostituendo il precedente Codice Zanardelli del 1889. Questo codice è strutturato in tre libri e contenente originariamente 734 articoli, ora diventati 853, con 85 articoli abrogati. Dunque, è agevole ricordare che: gli articoli da 1 a 240-bis riguardano la parte generale, gli articoli da 241 a 649-bis disciplinano i delitti, gli articoli da 650 a 734-bis prevedono le contravvenzioni. Ciò guida immediatamente alla materia regolata. Invece, la parte speciale, nel codice Rocco, è distribuita nel libro secondo e nel libro terzo. Più precisamente, il libro secondo si occupa “dei delitti in particolare” (artt. 241-649-bis), mentre il libro terzo si dedica alle “contravvenzioni in particolare” (artt. 650-734-bis). Il Codice Rocco è stato oggetto di dibattito riguardo alla sua connessione con il regime autoritario fascista in cui nacque e il suo rapporto con la Costituzione repubblicana del 1948. Nonostante numerose modifiche normative e vari progetti di riforma, il codice del 1930 rimane il testo normativo di riferimento. Questo codice, pur avendo un’impronta autoritaria, era tecnicamente ben scritto grazie al contributo dei migliori giuristi italiani dell’epoca, scelti da Alfredo Rocco, il Ministro della Giustizia di allora; la parte generale del codice penale italiano ha sempre rispettato principi fondamentali del sistema liberale, come la riserva di legge, il divieto di analogia e la irretroattività delle norme penali, principi che erano invece vulnerati dalle legislazioni autoritarie naziste e sovietiche, questi sono indici rivelatori che mostrano che non era un codice completamente oppressivo. In confronto al codice Zanardelli del 1889, che aveva un’impostazione liberale e garantista, il codice Rocco del 1930 era più severo. Il codice Rocco reintrodusse la pena di morte, che il codice Zanardelli aveva abolito, e aumentò le pene per vari reati (ad esempio, il furto era punito con tre anni di reclusione nel codice Zanardelli, mentre nel codice Rocco la pena era aumentata a cinque anni). Questo inasprimento sanzionatorio rifletteva la volontà dello stato fascista di esercitare un controllo più forte sulla popolazione. In sintesi, continuava a rispettare e garantire le libertà individuali, pur con un’impostazione più severa rispetto al suo predecessore. 11 Sono state poche le pronunce di illegittimità costituzionali riguardante le disposizioni di parte generale, è la parte speciale del codice che ha mostrato maggiormente l’impronta del regime fascista e infatti è stata la parte più soggetta a pronunce di incostituzionalità una volta entrata in vigore la Costituzione. Le modifiche più significative alla parte generale risalgono al 1944, quando, con un decreto legislativo luogotenenziale, la pena di morte fu sostituita con l’ergastolo e vennero reintrodotte le circostanze attenuanti generiche. Cosa accadde nello specifico? durante una seduta del Gran Consiglio del Fascismo, Benito Mussolini fu messo in minoranza, arrestato per ordine del Re, e il governo fu affidato a Pietro Badoglio. Con la caduta del fascismo, si intervenne rapidamente nel diritto penale per eliminare le caratteristiche più severe dell’impostazione autoritaria fascista. Le principali modifiche apportate riguardarono: - La pena di morte, uno degli aspetti più severi del codice Rocco. - L’impianto severo delle pene previste nella parte speciale del codice Con un decreto luogotenenziale, si abolì la pena di morte, sostituendola con l’ergastolo. Questo intervento, pur urgente, ebbe effetti paradossali. Idealmente, l’eliminazione della pena di morte per i reati più gravi avrebbe dovuto portare a una riduzione delle altre pene, ma ciò non avvenne. Un esempio emblematico di questa situazione è rappresentato dagli articoli del codice penale relativi all’omicidio. L’articolo 575, che disciplina l’omicidio comune, prevedeva una pena non inferiore a 24 anni di reclusione. Gli articoli 576 e 577 riguardavano gli omicidi più gravi, che in precedenza prevedevano l’ergastolo e la pena di morte rispettivamente. Con l’abolizione della pena di morte, i reati più gravi furono portati allo stesso livello degli omicidi intermedi, prevedendo l’ergastolo anche per questi ultimi. Questo livellamento delle pene creò una situazione dove reati di diversa gravità erano puniti allo stesso modo, evidenziando la necessità di una più ampia revisione del sistema penale. Oltre all’abolizione della pena di morte, il legislatore intervenne nel 1944 per rimodulare le pene per altri reati. Una misura importante fu la reintroduzione, in quanto erano già presenti nel codice Zanardelli, delle cosiddette circostanze attenuanti generiche. Queste circostanze si possono applicare a tutti i reati esistenti, non hanno un contenuto sostanziale predeterminato. In sostanza, il legislatore si rivolse ai giudici, dando loro la facoltà di applicare le circostanze attenuanti generiche quando ritenevano che la pena prevista fosse troppo severa. Questo significa che tutte le pene presenti nel nostro ordinamento possono essere ridotte fino a un terzo, a discrezione del giudice, attraverso l’applicazione di queste attenuanti. Questo intervento permise una maggiore flessibilità nel sistema penale, adattando le pene alla specificità di ogni caso concreto. Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, con la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica parlamentare, si iniziò a riflettere su quanto il Codice penale del 1930 fosse compatibile con la Costituzione. Emerse rapidamente che c’erano numerose antinomie tra le disposizioni del Codice penale e i principi costituzionali, Tuttavia, si verificò uno iato temporale significativo: la Costituzione fu promulgata nel 1948, ma la Corte Costituzionale, organo deputato a verificare la compatibilità delle leggi con la Costituzione, venne istituita solo nel 1956. Nel periodo intercorrente, molti giuristi sostennero che le norme della Costituzione fossero principalmente programmatiche, cioè principi generali che necessitavano di leggi attuative per diventare effettive. Questa teoria della distinzione tra norme programmatiche e norme precettive suggeriva che, sebbene la Costituzione stabilisse dei principi fondamentali, essi non potevano avere piena applicazione senza un ulteriore intervento legislativo specifico volto alla emanazione di leggi di attuazione Esempi di antinomie tra codice penale e Costituzione: - Il codice penale puniva lo sciopero, in quanto reato; con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, venne sancito il diritto dei lavoratori allo sciopero. Tuttavia, la Costituzione affermava che questo diritto doveva essere esercitato “nel quadro delle leggi che lo disciplinano”, una formulazione che lasciava spazio a interpretazioni e che collocava la norma a metà strada tra una disposizione percettiva e una programmatica. L’intervento della Corte Costituzionale fu cruciale in questo contesto. 12 La Corte, nel nostro ordinamento, può essere adita solo attraverso un procedimento incidentale, il che significa che una questione di costituzionalità deve essere sollevata durante un processo giudiziario ordinario. Nel corso degli anni, una serie di sentenze della Corte Costituzionale ha stabilito che, poiché lo sciopero è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione, non può essere trattato come un delitto. Questo processo giurisprudenziale ha gradualmente eliminato le disposizioni del Codice penale che punivano gli scioperi, riconoscendo pienamente il diritto dei lavoratori di scioperare. - Durante il periodo fascista, la libertà religiosa era regolata in modo che favorisse la religione cattolica, in linea con gli accordi stipulati con la Chiesa nel 1929, noti come Patti Lateranensi. In questo contesto, lo Stato italiano riconosceva il cattolicesimo come religione di Stato, mentre le altre credenze erano considerate “culti ammessi”. Questa distinzione comportava tutele differenziate dal punto di vista penale per le offese contro le religioni, con una protezione privilegiata per la religione cattolica. Con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, venne sancito il principio di uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dalla loro religione. La Costituzione stabiliva che non dovevano esserci differenze di trattamento tra le religioni, garantendo una tutela eguale per tutte le credenze religiose. Tuttavia, il legislatore non intervenne immediatamente per adeguare il Codice penale a questo principio costituzionale. Di conseguenza, ci vollero diverse sentenze della Corte Costituzionale per parificare il trattamento penale delle offese contro le diverse religioni. La Corte, attraverso il suo ruolo interpretativo e la revisione delle leggi esistenti, contribuì a eliminare le discriminazioni e a garantire che tutte le religioni ricevessero una protezione uguale, in conformità con i principi costituzionali di uguaglianza e libertà religiosa. - Durante il periodo fascista, il diritto di famiglia rifletteva un modello patriarcale, dove il “pater familias” aveva il potere decisionale predominante. Questo si traduceva in norme penali discriminatorie nei confronti delle donne rispetto agli uomini, soprattutto per quanto riguarda le condotte sessuali. Ad esempio, mentre il tradimento da parte del marito non era punito penalmente, la donna che tradiva il marito commetteva un reato chiamato adulterio. L’uomo, invece, poteva essere punito solo nel caso in cui vivesse con la moglie e l’amante sotto lo stesso tetto, perché questo comportamento era considerato dannoso per il sostentamento della famiglia e per l’immagine della famiglia stessa. Nonostante ciò, era permesso al marito fornire una casa separata alla concubina, senza che ciò costituisse reato. Queste norme penali rappresentavano chiaramente un trattamento discriminatorio e una violazione del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione del 1948. Tuttavia, non fu il legislatore a intervenire immediatamente per correggere queste disparità, ma la Corte Costituzionale. Attraverso una serie di sentenze, la Corte Costituzionale iniziò a eliminare queste discriminazioni. In particolare, una delle sentenze più significative riguardò il caso di una donna arrestata per adulterio. La Corte, con questa e altre decisioni, dichiarò incostituzionali le norme che punivano solo le donne per adulterio, contribuendo così a unificare il trattamento delle condotte sessuali di uomini e donne e a promuovere un modello giuridico di famiglia basato sull’uguaglianza dei coniugi. Da tali esemplificazioni si evince come in virtù dell’intervento della corte costituzionale mutò drasticamente l’impianto originario del codice penale. Ma come sono stati ordinati i reati all’interno del codice penale? il legislatore del codice penale ha scelto di ordinare i reati secondo il criterio del bene giuridico tutelato. Questo approccio permette di classificare i reati in base alla categoria del bene protetto, facilitando così la comprensione e l’applicazione delle norme. 13 Ad esempio, il legislatore ha scelto di tutelare la persona, e ha allora dato luogo ai delitti contro la persona; all’interno della categoria dei delitti contro la persona, il legislatore ha ulteriormente suddiviso i reati seguendo una gerarchia basata sulla gravità del bene leso: - delitti contro la vita: Si considerano i reati che attentano direttamente alla vita umana, come l’omicidio. - delitti contro l’incolumità fisica: Qui rientrano i reati che minacciano l’integrità fisica della persona senza necessariamente mettere in pericolo la vita, come le lesioni personali. - delitti contro la sfera morale: Questi reati riguardano la protezione della dignità e dell’onore della persona, come la diffamazione e l’ingiuria. Questa organizzazione dei reati riflette una gerarchia dei valori sociali e morali che il codice penale intende proteggere, partendo dai diritti fondamentali della persona fino ad arrivare alla tutela della sua sfera morale. Ma si è usufruito di ulteriori criteri per la classificazione dei reati, ad esempio: - le modalità di realizzazione della condotta penalmente rilevante - il soggetto attivo del reato - l’oggetto materiale della condotta - i motivi sottostanti all’agire criminoso Nel codice rocco i reati sono tati organizzati utilizzando il modello della cd. progressione discendente, e cioè il legislatore in linea con in linea con la visione dell’epoca italiana, ha posto come primo argomento di tutela lo Stato. Questo è evidente nel Libro Secondo del Codice, che si apre con il Titolo Primo dedicato ai “Delitti contro lo Stato”. Questa scelta indica che il legislatore considerava cruciale proteggere lo Stato da minacce esterne e da movimenti interni che potessero destabilizzarlo o minarne le fondamenta. Questo Titolo Primo contiene una serie di reati particolarmente severi nella risposta sanzionatoria. Le pene previste sono spesso molto gravi, anticipando la soglia di indennità, il che significa che vengono punite condotte che potrebbero mettere in pericolo lo Stato anche prima che si realizzi effettivamente un danno concreto. Questa anticipazione nella sanzione mira a scoraggiare e prevenire atti che potrebbero minare l’ordine e la sicurezza dello Stato. Quindi il legislatore parte dalla tutela dello stato e via via arriva alla tutela della persona. A tale modello si contrappone il modello della progressione ascendente in base alla quale i codici penali si aprono con i reati contro la persona e si arriva alla fine alla tutela delle funzioni sovrane dello stato. Tra questi due antipodi vi è la progressione alternata, modello adottato Zanardelli in cii i due piani di tutela si danno ripetutamente il cambio. Vediamo quindi come sono svariate le modalità con cui si possono ordinare i reati all’interno del codice, la scelta può essere diversa, perché dipende dalla volontà del legislatore, ma anche dal messaggio che vuole trasmettere. Il modello adottato dal legislatore italiano, che abbiamo detto va sotto il nome di progressione discendente, è antitetico rispetto alla Costituzione, la quale invece tende ad una lettura in chiave personalistica tanto è vero che i primi articoli di questa, ossia l’articolo 2 e 3 riguardano la tutela dei diritti individuali della persona. Dobbiamo comunque mettere in luce come il legislatore del 1930 ha tendenzialmente dato luogo ad un codice “padrone” se così possiamo dire della materia penale, tutti i reati sono lì inseriti. Partendo dal presupposto che molto spesso il legislatore fa un uso simbolico della legislazione penale, per trasmettere un messaggio sociale o politico, piuttosto che per affrontare problemi concreti di criminalità o violazioni gravi. Questo si traduce nella creazione di numerosi reati, alcuni dei quali potrebbero sembrare eccessivi o non necessariamente meritevoli di una sanzione penale severa, e conduce dunque ad un eccesso di norme penali, che va sotto il nome di panpenalismo, ossia la tendenza crescente di utilizzare la legislazione penale per sanzionare un numero sempre maggiore di condotte, a volte anche di scarso rilievo sociale o etico. Questo fenomeno ha portato a un “processo inflazionista del diritto penale”, caratterizzato dalla proliferazione e dall’incremento esponenziale delle norme penali incriminatrici. Infatti il processo inflazionista del diritto penale si manifesta con la continua aggiunta di nuove norme penali, che ampliano notevolmente il campo di applicazione della 14 legge penale. Questo fenomeno può portare a un allargamento eccessivo del diritto penale, con il rischio di criminalizzare comportamenti che non rappresentano una minaccia significativa per l’ordine sociale o per i diritti fondamentali dei cittadini. Inoltre, l’elevato numero di reati e sanzioni penali può diluire l’efficacia e il rispetto delle norme penali, rendendo più difficile il loro adeguato rispetto e applicazione. Posso infatti sorgere delle implicazioni negative, come ad esempio: - una minore deterrenza, infatti quando troppi comportamenti sono criminalizzati, diventa difficile per le persone rispettare tutte le norme, riducendo l’efficacia della legge penale - un eccessivo carico per il sistema giudiziario, infatti l’eccesso di reati può sovraccaricare il sistema giudiziario, impedendo di concentrarsi sui casi più gravi e significativi. - il sovraccarico normativo può anche portare a una perdita di credibilità del sistema giuridico agli occhi dei cittadini, che potrebbero percepire le norme penali come ingiuste o non pertinenti. L’instabilità politica e la frequente rotazione dei governi in Italia hanno contribuito significativamente al fenomeno del panpenalismo e al processo inflazionista del diritto penale. Ecco come ciò si è manifestato: Italia, spesso si verificano governi con durate molto brevi a causa della frammentazione del panorama politico e della complessità nell’ottenere una maggioranza parlamentare stabile. Questa instabilità politica porta i governi a essere più propensi a introdurre nuove leggi, comprese norme penali, per dimostrare attività e rispondere alle pressioni dell’elettorato. Un esempio emblematico di legislazione penale approvata in un contesto di instabilità politica fu la legge contro i reati sessuali del 1996, varata nel contesto di una legislatura che stava per concludersi, con il 3we Parlamento in scioglimento. Tale situazione può avere influito sulla qualità della discussione legislativa e sulla ponderazione degli impatti delle nuove normative. LEGISLAZIONE EXTRACODICISTICA: Il codice penale italiano, sebbene sia una fonte primaria per lo studio del diritto penale, non esclude la rilevanza di altre fonti normative. Anzi, attualmente, la legislazione penale posta al di fuori del codice penale contiene un numero significativamente maggiore di incriminazioni rispetto a quelle presenti nel codice stesso. Una delle principali ragioni di questa proliferazione è il tempo trascorso dall’entrata in vigore del codice Rocco a oggi, quasi ottanta anni, durante i quali sono emerse nuove esigenze normative. Questa evoluzione ha portato all’assenza, nel codice penale, di discipline penali rilevanti per settori cruciali. Esempi di materie che sono disciplinate in disposizioni extracodicistiche sono: - la materia delle armi - la materia della tossicodipendenza - la materia della prostituzione Attualmente, si contano circa 500 reati all’interno del codice penale e oltre 5000 reati derivanti da norme al di fuori del codice penale. Questa proliferazione crea un sistema penale estremamente complesso e frammentato. La dispersione delle norme penali rende difficile per i cittadini, e persino per gli operatori del diritto, avere una visione chiara e completa delle leggi vigenti. Questo può portare a problemi di accessibilità e comprensione della legislazione penale e nello specifico, come si fa a conoscere tutte queste disposizioni? Come si fanno operare questi articoli che sono per lo più di parte speciale? Anche in tali casi si devono incrociare le regole di parte generale con queste figure collocate al di fuori del codice penale, proprio come si fa con le disposizioni di parte speciale contenute nel codice. LA COSTITUZIONE: tra le tante disposizioni della Costituzione che possono ricondursi al sistema penale ve ne sono alcune che assumono certamente un ruolo precipuo. Due disposizioni che sembrano scolpire il volto costituzionale del diritto penale sono l’articolo 25 e 27 della costituzione. 15 - L’articolo 25 sancisce il principio di legalità, sancisce che “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.” Scolpisce dei principi fondamentali, che in realtà erano già contemplati del codice penale del 1930, il quale all’articolo 2 già sanciva che “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato” Il diritto penale è così importante che richiede una legge specifica. Questo non è solo perché operiamo in un sistema di civil law, dove è normale che la fonte del diritto sia una legge, ma anche perché, a differenza di altri rami del diritto, nel diritto penale la legge deve essere la fonte principale. In ambiti come il diritto civile, è comune che altre fonti del diritto come regolamenti, consuetudini e usi abbiano rilevanza. Tuttavia, nel contesto del diritto penale, l’articolo 25 della Costituzione fa espresso riferimento alla legge dello Stato, questo è significativo, considerando l’esistenza delle leggi regionali. La legge deve esistere prima che il reato venga commesso; quindi, deve essere in vigore al momento in cui la condotta incriminata viene realizzata. - L’articolo 27 sancisce il principio della personalità della responsabilità penale, nello specifico sancisce che “La responsabilità penale è personale.” È un articolo che assume particolare rilevanza con riferimento alla teoria generale del reato, vediamo i punti principali: o Ogni individuo è responsabile solo per le proprie azioni. Non si può essere puniti per ciò che ha fatto qualcun altro. o La responsabilità penale richiede che l’evento delittuoso sia collegato a un’azione compiuta dall’individuo. Questo implica che ci deve essere un legame diretto e oggettivo tra la persona e il reato. o Non è sufficiente che il soggetto abbia causato il reato; è necessario che l’azione sia rimproverabile. Questo significa che l’atto deve essere attribuibile alla persona non solo come un fatto materiale, ma anche sotto il profilo della colpevolezza. Pertanto, le forme di responsabilità oggettiva, basate esclusivamente sul puro accadimento materiale dell’evento, sono in contrasto con l’Articolo 27. Si tratta di una disposizione che rileva anche per la teoria della pena, infatti i commi 3 e 4 sanciscono rispettivamente che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte” si tratta di una disposizione che prova a dare una risposta alla domanda “a cosa serve la pena?” il legislatore costituente parte dall’assunto che la pena serve a reintrodurre il condannato in società, sottoporre questo ad un percorso che lo conduca ad una risocializzazione; si tratta certamente di una prospettiva favorevole, resa dall’inciso “tendere alla rieducazione” il legislatore spera e si immagina in una collaborazione dell’autore del retato. Tramite queste due disposizioni si può dar luogo ad una lettura costituzionalmente orientata del codice penale, e cioè leggere il diritto penale alla luce di questi due articoli. Ma in realtà nel testo costituzionale si rintracciano ulteriori svariate norme che interessano direttamente il diritto penale, che sicuramente hanno un contenuto più ampio e che hanno destinatari indeterminati, ma che comunque assumono rilevanza nella risoluzione dei possibili contrasti tra disposizioni penale e norme costituzionali, nel quale sicuramente, tenendo a mente l’ordine delle fonti, le seconde devono prevalere. A titolo esemplificativo ricordiamo: - Articolo 10, in materia di estradizione dello straniero - Articolo 13, in materia di inviolabilità della libertà personale e condizioni per la sua restrizione - Articolo 42, in materia di tutela della proprietà privata 16 17 I CARATTERI DEL DIRITTO PENALE: ci sono dei principi, obiettivi ideali e fondamentali a cui il diritto penale dovrebbe tendere. Tuttavia, nella pratica, non sempre vengono pienamente rispettati o attuati. Si tratta in gran parte di principi che sono frutto dell’elaborazione dottrinale, ma negletti dalla giurisprudenza. Procedendo ad una analisi: 1. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ Il primo di questi principi è quello di sussidiarietà o necessarietà del diritto penale. Questo principio discende dal fatto che il diritto penale è il ramo dell’ordinamento che attribuisce le sanzioni più gravi contemplate dall’ordinamento stesso. Essendo quindi un’arma da utilizzare con prudenza, il diritto penale dovrebbe rappresentare l’ultima risorsa a cui l’ordinamento ricorre, ossia l’extrema ratio per tutelare determinati beni giuridici. Quindi il principio di sussidiarietà indica che il diritto penale dovrebbe intervenire solo quando gli altri strumenti giuridici non si sono rivelati essere idonei a garantire la tutela di determinati beni giuridici. In altre parole, le sanzioni penali devono essere applicate solo quando le altre forme di intervento, come quelle civili o amministrative, non sono in grado di prevenire o risolvere il problema. Inoltre, si parla anche di principio di necessarietà a sottolineare che l’intervento del diritto penale dovrebbe essere indispensabile per la tutela dei diritti e dei beni giuridici. Dovrebbe quindi prevalere il principio “nullum crimen, nulla poeana sine necessitate”. La necessarietà si riflette nella dottrina tedesca attraverso: - La meritevolezza della pena, legata alla gravità del reato - Il bisogno di una tutela penale connesso alla opportunità di applicare la sanzione penale Il diritto penale dovrebbe quindi rispettare questi requisiti, e ciò in concreto comporterebbe la sussistenza di poche norme penali incriminatrici, ma questo resta un auspicio dal momento che il legislatore utilizza la legislazione penale per dare risposte all’opinione pubblica; il diritto penale viene quindi utilizzato in modo strumentale, diffondendosi così la legislazione simbolica che porta ad una sorta di inflazione penalistica. Perché? Perché l’opinione pubblica tende a ritenere che determinate forme di criminalità si sviluppano in risposta ad un silenzio normativo, e dunque il legislatore è indotto a rispondere ad ogni emergenza criminale, vera o ritenuta tale, con: - la predisposizione nuove norme penali - l’inasprimento di sanzioni già esistenti e dunque in altri termini il legislatore alla vox populi dà una risposta immediata, piuttosto che una risposta dovuta. Infatti, per cercare di circoscrivere un fenomeno criminale occorrerebbe non tanto il ricorso a una legislazione simbolica, quanto applicare la sanzione nel maggior numero di casi possibili e nei tempi più rapidi con picchi di severità ritenuti dalla generalità dei consociati come giusti. Ma questo e richiederebbe un maggior sforzo: possesso di mezzi idonei, svolgimento di indagini adeguate e maggiore prevenzione. Estremizzando il concetto che il diritto penale debba essere l’extrema ratio, alcuni studiosi hanno proposto il concetto di diritto penale minimo. Questo approccio suggerisce che il diritto penale dovrebbe essere ridotto al minimo indispensabile, limitandosi a poche e fondamentali incriminazioni. L’idea alla base del diritto penale minimo è che le sanzioni penali, essendo le più severe previste dall’ordinamento, devono essere riservate solo ai comportamenti che causano un danno significativo o mettono seriamente in pericolo i beni giuridici più importanti. 2. IL PRINCIPIO DI FRAMMENTARIETÀ La seconda caratteristica di fondo che dovrebbe avere il diritto penale è rappresentata dal suo carattere frammentario. In ossequio al principio della necessarietà; infatti, il diritto penale dovrebbe intervenire solo in determinate situazioni specifiche, la tutela apprestata dal diritto penale dovrebbe essere limitata ad alcune proiezioni delle condotte che possono ritenersi illecite, lasciando gli altri tipi di comportamenti illeciti ad essere gestiti da altri strumenti giuridici o forme di intervento. In pratica, il diritto penale dovrebbe essere usato 18 solo per le violazioni più serie, mentre le violazioni meno gravi possono essere affrontate con sanzioni amministrative, civili o altre misure meno severe. Carattere frammentario --- sfera di intervento limitata e selettiva Per carattere frammentario si intendono svariate cose: - Il diritto penale ha un intervento frammentario, nel senso che non deve coincidere con morale o religione. Il diritto penale nel nostro ordinamento, così come in tutti i paesi occidentali, non può coincidere né sovrapporsi alla morale, all’etica, o alla religione. Poiché il diritto penale tocca la libertà individuale delle persone, non deve essere utilizzato come strumento di repressione delle diversità culturali, religiose o etiche, diverrebbe in tal caso un diritto penale illiberale e cioè che non garantisce la libertà delle persone. Dobbiamo però ammettere che nel mondo occidentale mentre la distinzione tra diritto penale e religione è netta, meno lo è la distinzione tra diritto penale ed etica, essendoci invece svariati punti di intersezione; a titolo esemplificativo e ricordiamo che in taluni paesi le condotte in omosessuali sono ritenute condotte penalmente rilevanti, a volte coincidenti con una visione religiosa e punite severamente, fino alla pena di morte. Tuttavia, nel nostro paese, tali condotte tra adulti consenzienti non sono penalmente rilevanti, nemmeno sotto il codice del 1930, sebbene fossero fortemente deprecate dalla morale dominante. In contrasto, in Germania e in alcuni stati degli USA, tali condotte erano penalmente rilevanti. - Il diritto penale è frammentario perché non si occupa di tutti i profili cd antigiuridici che costituiscono un diverso illecito in altri rami dell’ordinamento, ma sanziona solo i profili più macroscopicamente patologici. Non c’è una perfetta coincidenza tra ciò che il legislatore ritiene illecito e ciò che ritiene illecito penale, ad esempio non tutte le violazioni contrattuali possono dar luogo ad una condotta penalmente rilevante. Il carattere frammentario del diritto penale emerge più chiaramente quando il bene giuridico tutelato non è di primaria importanza. - Il diritto penale è frammentario perchè non tutela direttamente ed integralmente tutti i beni che vengono offesi, ma usualmente interviene quando la condotta assume determinate caratteristiche con specifiche modalità di aggressione del bene giuridico. Esempio: un soggetto acquista un’autovettura e scopre di essere stato ingannato. Non si può parlare automaticamente di truffa in senso penale perché, secondo l’articolo 640 del codice penale, la truffa richiede specifiche caratteristiche: deve esserci una condotta ingannevole del venditore, come l’uso di artifizi o raggiri, che induce l’acquirente in errore, causando un ingiusto danno all’acquirente e un ingiusto profitto al venditore. Non basta quindi la semplice fregatura nell’acquisto; deve esserci un trucco, come vendere un’auto con 130mila chilometri dichiarandone solo 30mila. Questo è un esempio di truffa. Pertanto, non c’è coincidenza tra ciò che viene comunemente percepito come truffa e le fattispecie del diritto penale, che richiede requisiti specifici, distinti da quelli del diritto civile. Si tratta di reati che si definiscono a forma vincolata, quando però il bene giuridico oggetto di tutela non è di primaria importanza; mentre all’opposto in presenza di beni giuridici rilevanti, che possono essere tutelati soltanto dal diritto penale si parla di reati a forma libera, ovvero “casualmente orientati” in quanto è sufficiente che la condotta sia risultata idonea a cagionare l’evento previsto dalla norma, non rilevando il modo, ma solo il risultato raggiunto. Esempio: l’omicidio di cui all’articolo 575 del codice penale il quale sancisce che “chiunque cagiona la morte di un uomo è punito…” si evince come sia in concreto irrilevante il modo in cui si uccide una persona, ma si dà peso al fatto che sia stata uccisa. Entra qui in gioco il bene della vita umana, tanto è importante che il legislatore “accantona”, se così possiamo dire, il carattere frammentario del diritto penale e dà luogo ad una norma ad ampio spettro. 19 3. IL PRINCIPIO DI AUTONOMIA: Nel momento in cui interviene, il diritto penale opera in base al principio di autonomia rispetto ad altre branche del diritto, cioè con modalità peculiari che lo distinguono dagli altri rami dell’ordinamento. Il principio di autonomia va infatti posto in relazione alla già detta funzione sanzionatoria del diritto penale. Proprio perché il diritto penale non ha una sua propria materia oggettiva, una sua base ontologica di intervento e quindi interviene in svariati settori, qualcuno ha detto che avrebbe una funzione meramente sanzionatoria, si limiterebbe ad attribuire la sanzione più grave, ma se si accettasse un tale assunto, significherebbe ritenere che il diritto penale sarebbe un diritto privo della tutelata regola di condotta, che sarebbe posta dagli altri diritti dell’ordinamento: civile, amministrativo… e il diritto penale si limiterebbe a imporre il carico della minaccia della sanzione penale. In realtà questa concezione sarebbe da respingere, dal momento che il diritto penale non è solo una sanzione applicata a violazioni di norme preesistenti in altri rami dell’ordinamento, ma quando interviene lo fa operando con un sistema completo di regole e principi che disciplinano in dettaglio le sue applicazioni. Ad esempio, nel contesto del diritto penale societario, dove il diritto penale si integra in una disciplina giuridica già complessa, interviene portando con sé l’intero complesso delle regole peculiari che costituiscono la parte generale del diritto penale. Questo significa che non si limita semplicemente a applicare sanzioni, ma include anche tutte le normative specifiche e i principi che regolano le situazioni in cui si applica. Questo è facilmente desumibile dal fatto che molto spesso, il diritto penale, interviene “ai fini del diritto penale” e questa specificazione implica che ci sono delle diversità tra il diritto penale e gli altri rami dell’ordinamento. Potrebbe semmai affermarsi che il diritto penale assolve anche ad una funzione sanzionatoria, nel senso che prevede la sanzione più grave tra quelle previste dall’ordinamento. Le caratteristiche di fondo di cui abbiamo discusso finora rappresentano ideali verso cui il diritto penale dovrebbe tendere, ma spesso non si realizzano nella pratica giuridica. Infatti, nessuno può ragionevolmente criticare il legislatore per il numero delle leggi promulgate, poiché il legislatore ha il potere di agire secondo la propria discrezione, salvo che ciò entri in contrasto con la costituzione. Nessuno può censurare l’operato del legislatore, salvo in forma blanda il Presidente della Repubblica o la Corte costituzionale. Di qui in poi invece analizzeremo le caratteristiche del diritto penale, quelle che ha o che dovrebbe avere, ma che, se non le ha, possono essere forzatamente introdotte nel sistema. Procedendo ad una analisi: 4. IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA: principio in base la quale il diritto penale deve trattare tutti i cittadini in modo eguale, in relazione al criterio di ragionevolezza che è stato ricavato dall’articolo 3 della Costituzione ad opera della dottrina e della giurisprudenza. Infatti, il principio di proporzionalità si è sviluppato all’interno della giurisprudenza della Corte costituzionale come una manifestazione dell’uguaglianza, esplicitamente richiamata dall’articolo 3 della Costituzione. La giurisprudenza costituzionale ha introdotto il principio della ragionevolezza, il quale richiede un’analisi più complessa rispetto alla semplice parità di trattamento dell’uguaglianza. Che il diritto penale debba rispettare un siffatto principio è una affermazione di principio che, ove si constati la mancata sussistenza, può tecnicamente essere fatto valere lamentando il contrasto tra la norma penale e l’articolo 3 della Costituzione. Sono stati svariati gli interventi della Corte costituzionale, ad esempio la norma sull’adulterio, articolo 559, puniva le donne anche per un semplice “tradimento”, mentre per gli uomini una condotta simile veniva considerata un crimine solo se tenevano una concubina nella casa coniugale o in un luogo notoriamente conosciuto ex articolo 560. Questi due articoli sono stati considerati illegittimi dalla Corte Costituzionale perché trattavano in modo ingiustamente diverso la stessa azione, basandosi sul fatto che fosse commessa da una donna o da un uomo. 5. IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ: 20 Il principio di proporzionalità nel diritto penale stabilisce che la sanzione penale sia adeguata e non eccessiva rispetto alla natura del reato, e di conseguenza che a comportamenti di differente gravità corrispondessero delle pene proporzionate, e quindi che la stessa condotta criminosa riceva pene simili in situazioni simili, evitando discriminazioni o trattamenti disuguali. Nella proporzionalità, l’attenzione è posta sul quantum della pena: due norme che puniscono lo stesso tipo di condotta non dovrebbero differire significativamente nella gravità della sanzione. Un esempio di questa differenza è rappresentato dalla comparazione tra la norma sull’ingiuria e quella sull’oltraggio: entrambe sanzionano l’offesa rivolta da un soggetto verso un altro, ma con conseguenze punitive molto diverse. In particolare, l’oltraggio, che punisce l’offesa verso un pubblico ufficiale, aveva una sanzione molto più severa rispetto all’ingiuria, che riguardava le offese contro i cittadini privati. Questa sproporzione era dovuta alla prevalenza della tutela dello stato nel codice del 1930. In alcune situazioni, la Corte costituzionale è intervenuta per dichiarare la illegittimità di determinate disposizioni del diritto penale a causa della sproporzione evidente delle pene comminate per reati simili ma commessi contro soggetti diversi. Ad esempio, con la sentenza Corte costituzionale 327 del 2002, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una parte dell’articolo 405 del Codice penale. Questo articolo prevedeva pene più gravi per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico, rispetto alle pene inferiori stabilite dall’articolo 406 per gli stessi fatti commessi contro altri culti. Queste decisioni della Corte costituzionale hanno mirato a correggere la disparità di trattamento nel sistema giuridico, garantendo che le pene siano proporzionate alla gravità dell’illecito e non discriminino arbitrariamente. In questo modo, si è assicurato il rispetto del principio di uguaglianza e della proporzionalità nel diritto penale, fondamentali per una giustizia equa e uniforme per tutti i cittadini. 6. IL PRINICPIO DI RELATIVA STABILITÀ: Il principio di relativa stabilità nel diritto penale sottolinea l’importanza che le norme penali siano chiare e prevedibili per i destinatari, cioè per i cittadini. Affinché il diritto penale possa essere efficace e quindi possa essere rispettato, è fondamentale che le persone conoscano le condotte che sono punite penalmente e le conseguenze di tali comportamenti, obiettivo che si raggiunge se viene garantita la stabilità delle norme e quindi se si evitando ripetuti e repentini cambiamenti. Tuttavia, questo principio non sempre viene rispettato completamente, soprattutto in settori del diritto dove la legislazione è instabile o soggetta a frequenti modifiche, spesso a causa della volontà del legislatore di intervenire rapidamente su determinate problematiche al fine di dare risposte alla vox poluli, dando così luogo ad una legislazione simbolica destabilizzante. Un esempio emblematico di questa instabilità si riscontra nel campo dei reati sessualmente connotati. Qui, la legislazione può essere soggetta a continui cambiamenti: norme che vengono introdotte, successivamente modificate o addirittura abrogate. Questo costante mutamento crea difficoltà per i cittadini nel comprendere esattamente quali comportamenti sono considerati illeciti e quali sono le relative sanzioni applicabili. 7. PRINCIPIO DI SUFFICIENTE CHIAREZZA: In base al quale la norma penale dovrebbe essere redatta in modo talmente chiaro da renderne possibile la conoscenza autonoma da parte di ciascun consociato. La Corte costituzionale nella sentenza 364 del 1988 ha messo in luce come se non vi è la possibilità di conoscere la norma penale, si considera violato il principio di personalità della responsabilità penale e si nega il finalismo rieducativo della pena. Dobbiamo comunque mettere in luce come il problema della non sufficiente chiarezza non tange tanto la materia penale codicistica, quanto la materia penale extra codicistica, infatti: - all’interno del codice le norme sono tendenzialmente complete e si compongono, cioè, del precetto, ossia regola di condotta, e della pena, cioè conseguenza negativa alla violazione di quella regola. 21 - Al di fuori del codice quasi mai si trovavano norme complete ed è frequente il ricorso alla tecnica del rinvio; che dovrebbe essere invece evitato, e parimenti il ricorso alle clausole sanzionatorie finali e dovrebbe invece essere utilizzato un linguaggio semplice e atecnico IL VOLTO COSTITUZIONALE DEL DIRITTO PENALE Il diritto penale ideale dovrebbe rispettare tutte le caratteristiche di fondo enunciate: essere stabile nel tempo, chiaro e comprensibile, limitato alle necessità essenziali di tutela dei beni giuridici, e costituito da un numero ridotto di norme indispensabili. Tuttavia, nella realtà, queste caratteristiche ideali spesso non sono pienamente rispettate. Di fronte a una legislazione penale che presenta disuguaglianze, sproporzioni nel trattamento e mancanza di chiarezza, i cittadini hanno la possibilità di far valere i propri diritti dinanzi alla Corte costituzionale. Quest’ultima, attraverso la sua giurisprudenza, ha il compito di verificare la conformità delle leggi con i principi costituzionali. Ma cosa si può far valere innanzi la Corte? - Quando una norma penale crea disuguaglianze ingiustificate tra soggetti simili o impone sanzioni sproporzionate per comportamenti simili, la Corte costituzionale può intervenire dichiarando l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni, basandosi sull’articolo 3 della Costituzione. Un esempio è stato il caso in cui la Corte ha dichiarato illegittimo un trattamento penalmente più gravoso per fatti che turbavano il culto cattolico rispetto ad altri culti, evidenziando una sproporzione nell’applicazione delle pene. - Quando la normativa penale non è sufficientemente chiara, creando incertezze o ambiguità nei cittadini sulla liceità delle loro azioni, la Corte costituzionale può essere chiamata a pronunciarsi per garantire che la legislazione sia comprensibile e prevedibile, giudicando sulla base delle disposizioni di cui all’articolo 27 e 3 della Costituzione Per ciò che invece concerne il mancato rispetto dei principi di sussidiarietà, frammentarietà ed autonomia del diritto penale, non sembra possa essere apprestata una tutela a livello costituzionale. In conclusione, la giurisprudenza della Corte costituzionale rappresenta un importante strumento di salvaguardia dei diritti e delle garanzie fondamentali nel contesto del diritto penale, assicurando che le leggi rispettino i principi costituzionali e le esigenze di giustizia e certezza del diritto. La Corte costituzionale nel nostro ordinamento è un organo giurisdizionale con una composizione mista, che riflette un equilibrio tra componenti eletti dal Parlamento, nominati dal Presidente della Repubblica e selezionati dalle alte magistrature. Questa composizione mista evidenzia la natura della Corte, che non è totalmente giurisdizionale né completamente politica. La Corte ha un ruolo cruciale nel delineare la separazione tra il proprio intervento e il potere politico. Ha stabilito chiaramente che il potere discrezionale di individuare le condotte penalmente rilevanti spetta esclusivamente al Parlamento. Questo perché la Corte è un organo tecnico il cui compito principale è quello di garantire la conformità delle leggi alla Costituzione. Inizialmente, la Corte ha adottato un approccio prudente nell’intervenire sulle norme penali, rispettando il principio della separazione dei poteri. Tuttavia, negli ultimi anni, la Corte ha assunto un ruolo più attivo nel sindacare le norme penali, intervenendo per garantire che rispettino i principi costituzionali, come l’uguaglianza, la proporzionalità e la chiarezza. La Corte costituzionale giudica la legittimità delle norme penali non diversamente da quanto avviene per ogni altro tipo di norma nel nostro ordinamento. E quindi come opera? Ricordiamo che nel nostro ordinamento non è contemplato un ricorso diretto alla Corte costituzionale, l’accesso è in diretto, filtrato da una situazione particolare. Regolato dagli articoli 23 seguenti della legge 87 del 1953 il procedimento teso ad accertare l’eventuale legittimità costituzionale di una disposizione è un procedimento incidentale nel senso che la questione deve 22 presentarsi in un giudizio innanzi ad un’autorità giurisdizionale la quale o di sua iniziativa o su impulso dalle parti deve valutare: - che la questione sia rilevante per il caso che si sta esaminando e cioè serve sapere se la norma sia legittima o meno perché la si deve applicare per la risoluzione del processo in questione - che il dubbio sollevato circa quella determinata norma abbia una sua sostenibilità e dunque emerga la sua non manifesta infondatezza 23 OGGETTO DELLA TUTELA PENALE: Nel corso degli anni si è verificato il fenomeno della sovrabbondanza di incriminazioni, ossia un eccessivo interventismo penale, al quale intorno agli anni ‘60 si è tentato di mettere dei confini, dei limiti. In altri termini si è cercato di circoscrivere preventivamente la sfera di intervento del diritto penale, l’oggetto del diritto penale. 1. TEORIA DELLA NECESSARIA RILEVANZA COSTITUZIONALE DEL BENE OGGETTO DI TUTELA PENALE Il primo tentativo che è stato fatto per limitare la sfera di intervento del legislatore, è stato quello di affermare che il diritto penale in qualche modo dovrebbe essere figlio della Costituzione, in altri termini, la Costituzione doveva essere la matrice di tutte le disposizioni penali. Infatti, sul finire degli anni ‘60 del secolo scorso, superato il periodo iniziale in cui si considerava la Costituzione come poco rilevante perché intesa come promulgatrice di norme di natura programmatica, con l’entrata in funzione della Corte costituzionale, il suo impatto sulla legislazione ordinaria è diventato sempre più evidente. Una corrente di pensiero rilevante ha sostenuto che il legislatore ordinario non potesse introdurre tutte le norme penali che desiderava, ma solo quelle che la Costituzione autorizzava. Questa visione ha dato luogo alla nota teoria della rilevanza costituzionale del bene giuridico tutelato, per la quale oggetto di tutela penale possono essere solo quei beni che sono riconosciuti dalla costituzione; in senso pratico questa teoria comportava che il legislatore prima di approvare una norma avrebbe dovuto verificare se il bene giuridico che intendeva tutelare fosse riconosciuto o meno all’interno della Costituzione. Questa teoria, sviluppata da Bricola, ha avuto un certo successo tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70. Ha il merito di sottolineare l’importanza del rapporto verticale tra la legge penale e la Costituzione, evidenziando come le norme penali debbano essere in armonia con i principi costituzionali. Tuttavia, questa teoria presenta anche dei limiti, che hanno indotto a non accogliere questa teoria, infatti: - ancorare il diritto penale alla Costituzione, avrebbe comportato l’ancorare il diritto penale al contesto del 1948, limitando così la capacità del diritto penale di adattarsi ai cambiamenti e alle nuove esigenze della società, e quindi non consentendo la necessaria mobilità del diritto penale. Questo approccio avrebbe difficile la tutela penale di beni giuridici emergenti che non erano riconosciuti nella Costituzione del 1948. Ad esempio, problematiche come la tutela dell’ambiente e la criminalità informatica, che sono diventate rilevanti solo successivamente, avrebbero trovato difficoltà a essere adeguatamente affrontate e protette mediante il diritto penale. - si rischiava di imporre l’intervento del legislatore penale ove vi fosse un bene costituzionalmente rilevante. Vi fu un tentativo di ampliare questa teoria con la teoria della sufficiente rilevanza costituzionale implicita del bene da tutelare, teoria che parimenti non è stata accolta perché, per quanto maggiormente aperta rispetto alla prima, in realtà finiva per svuotarsi di contenuti, perché? Quando si afferma che un bene giuridico può essere implicitamente riconosciuto dalla Costituzione, si perde la rigorosità iniziale della teoria. In pratica, basta che non ci sia un divieto esplicito nella Costituzione per giustificare l’introduzione di una norma penale, e questo avrebbe comportato un ampliamento del confine delle materie oggetto di intervento del diritto penale. Possiamo quindi affermare che il legislatore penale non è vincolato alla costituzione, se non in negativo, e ciò implica che sarebbero incostituzionali quelle norme volte a tutelare beni in contrasto con i beni garantiti costituzionalmente. 2. CONCEZIONE PERSONALISTICA DEI BENI GIURIDICI: Un secondo tentativo di limitare la sfera di intervento penale si deve alla concezione personalistica dei beni giuridici; secondo questa teoria, merita tutela penale solo ciò che è essenziale per lo sviluppo della personalità u

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