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This document provides a detailed introduction to microscopy, covering both optical and electron microscopy. It explains fundamental concepts and principles, and the importance of maintaining sample integrity. It is suitable for undergraduate-level biology courses.

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1. FONDAMENTI DI MICROSOCOPIA Le cellule si possono studiare sia da un punto di vista morfologico che da un punto di vista biochimico e funzionale. ANALISI MORFOLOGICA: organizzazione strutturale delle cellule, come sono composte e dei costituenti extracellulari. Per compiere questo tipo di analisi...

1. FONDAMENTI DI MICROSOCOPIA Le cellule si possono studiare sia da un punto di vista morfologico che da un punto di vista biochimico e funzionale. ANALISI MORFOLOGICA: organizzazione strutturale delle cellule, come sono composte e dei costituenti extracellulari. Per compiere questo tipo di analisi ci avvaliamo di strumenti--> i microscopi (ottici o elettronici) i quali ci consentono di 1. Ingrandire, aumentare, artificialmente l'immagine di un oggetto per poterlo portare nel nostro campo del visibile; 2. Risolvere l'immagine e cioè consentire la visione distinta di due punti di un oggetto vicini tra loro--> la risoluzione massima dell'occhio umano è di 0,2 mm / del microscopio ottico 200 nm / del microscopio elettronico 0,2 nm. Considerando le finalità di questo approccio è chiaro che la preparazione dell'oggetto preso in esame deve essere il più possibile conservativa, cioè è fondamentale mantenere il più possibile l'integrità dell'oggetto. ANALISI BIOCHIMICA E FUNZIONALE: studiare la natura chimica e modalità di funzionamento delle cellule e delle loro interazioni in ambito tissutale. Il microscopio è costruito sulla base di quello che è il nostro strumento naturale: l'occhio. ▪ 1.CRISTALLINO: lente che proietta un'immagine ottica sulla retina. ▪ 3.IRIDE: diaframma che regola l'incidenza dei raggi luminosi. ▪ 4.CONI E BASTONCELLI: recettori fotosensibili, inizio della via ottica che porta le informazioni al cervello dove viene elaborata l'immagine. Per ingrandire un oggetto noi lo avviciniamo all'occhio--->aumenta l'angolo di osservazione α, il cristallino proietta un'immagine più ingrandita alla retina e si distingue un maggior numero di dettagli. LENTE Mezzo trasparente delimitato da due superfici curve. MICROSCOPIO OTTICO ED ELETTRONICO Lo strumento di osservazione può essere semplice con una sola lente, composta da due o più lenti (campo chiaro, campo scuro, contrasto di fas, fluorescenza). La differenza tra microscopia ottica ed elettronica è la natura del mezzo con cui si analizza l'oggetto: in quello ottico si impiega la luce e in quello elettronico gli elettroni ma l'elemento sensoriale finale è in entrambi i casi l'occhio. PRINCIPI DI OTTICA GEOMETRICA Quando un raggio luminoso si propaga in un mezzo non omogeneo può subire fenomeni di riflessione (colore), assorbimento e rifrazione. 1 Se i raggi provenienti dallo stesso punto, dopo aver subito rifrazioni e/o riflessioni convergono nuovamente in uno stesso punto si dice che formano un immagine reale della sorgente. 2 2. PERCORSO OTTICO E RISOLUZIONE OBIETTIVO: gruppo di lenti più vicino all'oggetto. OCULARE: gruppo di lenti più vicino all'occhio. FUOCO/PUNTO FOCALE: punto in cui i raggi convergono; tutte le lenti hanno due punti di fuoco che sono equamente distanti dal centro. Il punto di fuoco è sempre sull'asse. DISTANZA FOCALE: distanza tra la lente e il fuoco, minore è la distanza più potente è la lente, cioè il fenomeno di rifrazione sarà più intenso. Le lenti del microscopio ottico composto sono convergenti (convesse) ciò significa che i raggi luminosi che attraversano la lente (rinfrangono) convergono su uno stesso punto. IMMAGINE REALE: formate quando i raggi di luce si incontrano (convergono) realmente dopo essere stati rifratti o riflessi da uno specchio o una lente, è quindi sede di una reale concentrazione di energia luminosa e può essere proiettata su uno schermo. Le immagini reali sono sempre invertite (capovolte). IMMAGINE VIRTUALE: formate quando i raggi di luce sembrano provenire da un punto in comune ma in realtà non si incrociano (non convergono) --> raggi divergenti. Non possono essere proiettate e sono sempre dritte (non capovolte). 3 PERCORSO OTTICO L'obiettivo è a corta distanza focale e l'oggetto viene posto appena al di là del fuoco --> di esso si forma, nello spazio tra i due gruppi diottrici, verso l'osservatore, un'immagine reale ingrandita e capovolta detta immagine intermedia (IR). Se l'oculare viene posto in modo che IR cada all'interno della sua distanza focale, si ottiene un'immagine secondaria, virtuale, ancora ingrandita e dritta (capovolta rispetto all'oggetto) che può essere vista dal nostro occhio appoggiato all'oculare. Il rapporto tra le dimensioni dell'immagine finale e quelle dell'oggetto esprime l'ingrandimento ottenuto --> ingrandimento totale: prodotto degli ingrandimenti imputabili ai due singoli gruppi diottrici. 4 POTERE DI RISOLUZIONE Per risoluzione di un oggetto si intende risoluzione ottica: la risoluzione effettiva di uno "scanner", il fattore principale nel determinare la quantità di dettaglio visibile in un'immagine. Con potere di risoluzione si intende la capacità di distinguere come separati due punti molto vicini tra loro. Oltre un certo limite il potere di risoluzione non cresce: per l'occhio umano è 0.2 mm, per il microscopio ottico 0.2 micron e per il microscopio elettronico 0.2 nm. Il potere di risoluzione di un microscopio dipende dalle caratteristiche dell'obiettivo ed è limitato dalla natura della radiazione luminosa. Il limite di risoluzione R è fornito dalla formula di Abbe: R = λ/ 2n x senα Dove - λ: lunghezza d'onda della luce; - n: indice di refrazione del mezzo interposto tra oggetto e lente (solitamente aria); - senα: seno dell'angolo che contiene i raggi luminosi che entrano nella lente - dell'obiettivo; - n x senα: apertura numerica (A). Dato che n (indice di refrazione) dell'aria è pari a circa 1 e senα può essere considerato prossimo a 1 --> R risulta proporzionale a 1/2 di λ, cioè alla metà della lunghezza d'onda della luce --> considerando la luce con lunghezza d'onda di 400 nm il limite di risoluzione R sarà quindi pari a 200 nm. Per migliorare il limite di risoluzione (aumentare R) è possibile: Aumentare l'indice di refrazione del mezzo interposto tra oggetto e lente (n) --> si può cioè intraporre un mezzo con indice di refrazione più alto, come ad esempio una goccia d'olio (indice di refrazione uguale a quello del vetro pari a 1,5): parliamo allora di osservazione microscopica ad immersione che permette di distinguere punti poco più distanti di 0.1 nm. Utilizzare luce di lunghezza d'onda minore (diminuire λ), come ad esempio la radiazione ultravioletta, con la quale possiamo arrivare a un potere di risoluzione pari a 0.1 nm. La luce ultravioletta è invisibile all'occhio quindi per il rilevamento delle immagini è necessario fare ricorso a delle pellicole fotografiche sensibili all'ultravioletto. *Ne viene fuori che 0.1 nm è il limite risolutivo della microscopia ottica 5 3. STRUTTURA E OBIETTIVI DA CHE PARTI È FORMATO? ▪ TUBO PORTAOTTICA: sorregge una coppia di oculari dal lato dell'osservatore e gli obiettivi dal lato del tavolino su cui viene posto l'oggetto da osservare. ▪ STATIVO: braccio ricurvo su cui sono montati tubo e TAVOLINO + BASAMENTO su cui è montato il tutto. ▪ OBIETTIVO: lente frontale piano convessa + altre lenti che insieme funzionano come un'unica lente convergente. Gli obiettivi sono posti su una torretta girevole denominata REVOLVER che consente una rapida sostituzione dell'obiettivo. L'obiettivo deve essere corretto per le aberrazioni delle lenti. ▪ OCULARE: 2 lenti piano-convesse e un diaframma anulare fisso. ▪ OTTICA INTERMEDIA: lente/i nel tubo per fotocamere o binoculari. ▪ DISPOSITIVO DI ILLUMINAZIONE: sorgente di illuminazione + condensatore. La sorgente di illuminazione è data da lampade a incandescenza o alogene--> un tempo era costituita da uno specchietto concavo che raccoglieva luce diffusa e la mandava alle parti ottiche sovrastanti. ▪ CONDENSATORE: lente convergente che concentra la luce, emessa dalla sorgente, su una zona limitata del preparato da cui fuoriesce un cono luminoso il cui diametro coincide con quello della lente frontale dell'obiettivo. Il condensatore può essere alzato o abbassato modificando così la convergenza dei raggi luminosi e quindi regolando la quantità di luce che raggiunge la lente frontale --> questa luminosità può variare grazie al diaframma di campo ad iride posto nel condensatore. ▪ DIAFRAMMA DI CAMPO: diaframma della sorgente luminosa, regola l'ampiezza del fascio di luce che arriva al condensatore e permette di variare la sezione di illuminazione del preparato. 6 ▪ VITE MACROMETRICA e VITE MICROMETRICA: dispositivi meccanici di spostamento --> vite macrometrica per i grandi spostamenti e vite micrometrica per la messa a fuoco fine. Questi dispositivi agiscono spostando il tavolino (alzandolo o abbassandolo) mentre in alcuni microscopi agiscono sul tubo. ▪ FILTRI: diffusione di vari colori. TIPI DI OBIETTIVO In ogni obiettivo e in ogni oculare sono riportati due tipi di valori --> es: 10x o 40x che indicano l'ingrandimento oppure es: 0,63/0,95 relativi all'apertura numerica cioè indica la massima quantità di luce che tale obiettivo è in grado di ricevere per la formazione delle immagini. Gli obiettivi sono denominati: A SECCO: utilizzano solo aria interposta tra lente e oggetto (indice di refrazione 1). A IMMERSIONE: interposta una goccia di olio di cedro (indice di refrazione 1,5), sigla OIL o IMM. Si definiscono: OTTICHE FINITE: microscopi in cui l'obiettivo forma un'immagine ingrandita dell'oggetto che viene proiettata in un determinato piano focale all'interno del tubi microscopico (IR) la quale viene poi ripresa dall'oculare e ingrandita ulteriormente. OBIETTIVI ALL'INFINITO: proiettano un'immagine a distanza infinita, i raggi che escono dall'obiettivo corrono paralleli lungo il tubo microscopico; l'immagine viene ripresa da una lente intermedia e proiettata in un preciso piano focale del microscopio - a 165mm circa. Immagine intermedia ripresa dall'oculare e ingrandita. Presentano meno aberrazioni e sono più luminosi. Hanno il simbolo infinito inciso sopra. Gli obiettivi che correggono le aberrazioni sono: APOCROMATICI: aberrazioni cromatiche. PLANARI: aberrazioni sferiche. PLANAPOCROMATICI: aberrazioni cromatiche e sferiche. 7 4. ABERRAZIONI DELLE LENTI E LIMITE DI DIFFRAZIONE ABERRAZIONI Difetti nel creare delle immagini: CROMATICHE: la luce bianca è costituita da fasci monocromatici con diversa lunghezza d'onda che viaggiano nel vetro della lente con differente velocità e vengono quindi riflessi con angoli diversi ---> lunghezze d'onda messe a fuoco su piani diversi, si formano aloni iridescenti. Esistono obiettivi corretti per tre lunghezze d'onda = acromatici, e corretti per quattro lunghezze d'onda = apocromatici. SFERICHE: immagine piana in cui solo il centro è a fuoco, mentre in periferia l'immagine è sfuocata. LIMITE DI DIFFRAZIONE Gli strumenti ottici contengono molto spesso una camera oscura dove la luce che vi passa attraverso è diffrattiva (DIFFRAZIONE = deviazione della traiettoria di propagazione delle onde quando queste incontrano un ostacolo sul loro cammino). Anche se il sistema ottico è considerato perfetto e quindi privo di aberrazioni, la diffrazione ne limita il potere risolutivo: un oggetto puntiforme dà un'immagine sfocata chiamata punto di Airy. Se due dettagli di un oggetto sono troppo vicini i punti di diffrazione si sovrappongono e diventa impossibile ottenere immagini separate di quei dettagli. 8 5.ALLESTIMENTO DEI CAMPIONI Esistono due principali procedimenti di analisi morfologica: ► Osservazione diretta di CELLULE E TESSUTI VIVENTI Frammenti molto sottili di organi o cellule isolate dall'organismo possono restare in vita per poco tempo ed essere osservate in sopravvivenza. Le cellule viventi possono essere colorate ▪ COLORANTI VITALI/COLORAZIONE INTRA VITAM: Coloranti non tossici, colorano alcune cellule viventi permettendone l'identificazione e lo studio di particolari funzioni. Alcuni esempi di coloranti vitali molto utilizzati sono o il blu trypan, il litiocarminio o l'inchiostro di china --> questi vengono fagocitati da istiociti e macrofagi e accumulati in vacuoli citoplasmatici, tale proprietà permette l'identificazione di queste cellule e lo studio del fenomeno della fagocitosi. o Un altro esempio è l'alizarina che viene incorporata nella sostanza fondamentale dell'osso in calcificazione colorandola di rosso --> utile nello studio dei processi di ossificazione. o Ancora un altro esempio è il verde Janus che permette l'identificazione dei mitocondri, il colore infatti diventa incolore nel citoplasma ma allo stato ossidato resta verde nei mitocondri. ▪ COLORAZIONE SOPRAVITALE: si immerge un pezzetto di organo, appena prelevato, nel liquido colorante e dopo un breve lavaggio si ottiene che alcune cellule rimangono colorate. *In cellule o tessuti coltivati in VITRO si aggiunge colorante al terreno di coltura. ► Osservazione di CELLULE E TESSUTI UCCISI È necessario (1) fissare cellule e tessuti per impedire le alterazioni post mortem, è fondamentale anche rendere il campione trasparente alla radiazione (luce/elettroni) mediante (2) inclusione e (3) sezionamento e successivamente mettere in evidenza tramite (4) colorazione istologica le differenze strutturali. 9 5A. FISSAZIONE Ha l'obiettivo di preservare un'immagine statica dei costituenti nel momento in cui erano ancora vivi, evitando alterazioni di struttura conseguenti alla morte. Questo scopo si raggiunge attraverso un trattamento chimico che uccide rapidamente la cellula impedendo la sua autodigestione per mano degli enzimi (autolisi). Bisogna quindi immobilizzare i costituenti cellulari denaturando le proteine (le proteine perdono le loro proprietà, la loro attività biologica). Possiamo usare fissativi chimici o fissativi fisici: ► FISSATIVI CHIMICI - si dividono in due gruppi: o Fissativi chimici che COAGULANO LE PROTEINE, cioè determinano la precipitazione delle proteine eliminando l'H2O --> alcol etilico, alcol acetico, alcol tricloroacetico, acido picrico essendo acidi sono molto rapidi e penetranti. o Fissativi chimici NON COAGULANTI le proteine (additivi) --> formaldeide. Molto spesso si utilizzano MISCELE DI VARIE SOSTANZE, alcuni esempi sono: a) Soluzione di Bouin: scelta eccellente per la conservazione di strutture morbide e delicate come biopsie di linfonodi, prostata e reni, molto utile anche per fissare tessuti con cromosomi in stato di mitosi o per osservare la meiosi perché conserva bene nuclei e cromosomi. b) Soluzione di Carnoy che penetra rapidamente ed è consigliato per la fissazione di glicogeni e granuli di Nissl, fissa e disidrata contemporanemante. ► FISSATIVI FISICI - per congelamento o rapido riscaldamento come ad esempio la liofilizzazione che solidifica senza formare cristalli di ghiaccio (azoto liquido). I.Steps of histological study: fixation, BioVitrum 5B. INCLUSIONE Dare consistenza al tessuto e prepararlo al taglio includendolo in sostanze che successivamente si induriscono come la paraffina o resine plastiche. Si divide in queste fasi: I. DISIDRATAZIONE: la paraffina e le resine sono insolubili in acqua ma i tessuti appena fissati ne sono ricchi --> è necessario sottoporli a un processo di disidratazione --> si passa il campione in vaschette di alcol etilico sempre più concentrato (50° 70° 80° 95°), due passaggi di un'ora ciascuno. II. CHIARIFICAZIONE: si immerge il campione in vaschette contenente il solvente del materiale di inclusione utilizzato per permetterne l'impregnazione --> benzolo o toluolo per la paraffina, due passaggi di mezz'ora ciascuno. III. INFILTRAZIONE: due passaggi in paraffina fusa di un'ora ciascuno, effettuati a 40-60 °C --> il solvente evapora e al suo posto entra la paraffina. IV. INCLUSIONE: la paraffina viene fatta raffreddare (solidificare) a temperatura ambiente in appositi contenitori con il materiale incluso per 12 ore, si crea cosi un blocchetto pronto per il taglio. 10 aI. Histology: embedding process, Goodwin University Online Studies 5C. TAGLIO Considerando che il materiale biologico dovrà essere attraversato dalla luce per essere esaminato, questo dovrà risultare trasparente e quindi essere tagliato a fettine molto sottili, preferibilmente tra 2-5 micron. Per sezionare il preparato si utilizza un microtomo, un macchinario che spinge in avanti il blocchetto e lo porta a una lama molto affilata. Per sezionare un tessuto appena prelevato, senza fissarlo, si può rendere duro quest'ultimo con il freddo e poi sezionarlo con un microtomo congelatore o un criostato--> il primo è un normale microtomo in cui il campione viene reso duro da un getto di anidride carbonica e il secondo è un microtomo contenuto all'interno di una cella frigorifera (-20°/-30°). bI. Rotary microtome section, Abnova 5D. COLORAZIONE I campioni biologici a fresco e cioè non preventivamente colorati non possono essere analizzati in quanto il protoplasma, quando attraversato dai raggi luminosi, presenta un comportamento omogeneo (la maggioranza dei componenti cellulari è quasi uniformemente trasparente alla luce della regione visibile allo spettro, a causa soprattutto del loro alto contenuto di acqua). È necessario ricorrere alla colorazione delle strutture biologiche per mettere in risalto la disomogeneità nella cellula e individuare le strutture. Ogni colorazione prevede: A. SPARAFFINATURA --> rimozione del materiale di inclusione con un solvente adatto. B. REIDRATAZIONE --> reidratare le fette mediante passaggio del preparato nella serie discendente di alcol e infine nell'acqua distillata. C. COLORAZIONE. 11 D. FISSAZIONE DEL COLORANTE SUL PREPARATO --> dopo la colorazione i preparati si disidratano di nuovo (l'acqua disturba la lettura del preparato al microscopio) e si montano in vetrini: un vetrino alla base in cui è appoggiata la fetta e uno più sottile sopra chiamato vetrino copri-oggetto, il quale viene fatto aderire con un apposito balsamo. QUALI SONO LE COLORAZIONI ISTOLOGICHE? Colorazioni DIRETTE/SOSTANTIVE (sezioni prendono il colorante direttamente dalla soluzione) o INDIRETTE/AGGIUNTIVE (il preparato viene sottoposto all'azione preliminare di mordenti che si legano al tessuto e permettono l'assorbimento del colorante). Coloranti BASICI (con affinità per componenti cellulari cariche negativamente) o ACIDI (con affinità per componenti cellulari cariche positivamente). SEMPLICI (un colorante) o COMBINATE (due o più). Coloranti NATURALI o ARTIFICIALI. IV.. Basic staining methods, Kenhub c.Histological staining: hematoxylin & eosin, BioVitrum QUALI SONO ALCUNI ESEMPI DI COLORAZIONI ISTOLOGICHE? Una delle combinazioni maggiormente utilizzata è l’EMATOSSILINA-EOSINA: L’ematossilina è un colorante vegetale estratto dal legno di una leguminosa, colora in blu-violetto i componenti cellulari carichi negativamente (basico) come acidi nucleici, proteine di membrana, membrane cellulari ed elastina. L’eosina è acida (proteine del citosol) colora di rosso-rosato i componenti carichi positivamente (acido) come molte delle proteine cellulari, le proteine mitocondriali, il citoplasma e le fibre collagene. Si tratta di una colorazione dicromica e combinata perché prima si immerge il preparato nella soluzione di ematossilina + mordente e poi dopo il lavaggio viene immerso nell'eosina. Un altro esempio di colorazione è il CRESYL-VIOLETTO che viene impiegato per la colorazione di nuclei e per la visualizzazione dei corpi di Nissl --> il corpo di Nissl/sostanza trigroide/sostanza cromofila è una sostanza che formata da piccole masserelle di reticolo endoplasmatico rugoso all'interno del citolplasma del neurone, simili a sfere. Oltre che dal cresyl violetto, queste zolle vengono messe in evidenza da altri coloranti basici come l'ematossilina. 6.PRINCIPI DI CITOCHIMICA E IMMUNOCITOCHIMICA CITOCHIMICA La citochimica è una disciplina il cui scopo è localizzare, al microscopio ottico o elettronico, la presenza di determinate sostanze all’interno della cellula e di risalire alla loro composizione chimica → proteine, lipidi, carboidrati, enzimi, acidi nucleici. Per fare ciò, utilizza reazioni chimiche specifiche visibili al microscopio, come colorazioni o marcatori enzimatici. 12 Possiamo anche fare riferimento alla citochimica come istochimica quando tale disciplina si prefigge di localizzare sostanze chimiche non solo nelle cellule, ma anche nei componenti extracellulare dei tessuti. IMMUNOCITOCHIMICA ANTIGENE: sostanza immunogenica, cioè capace di indurre un’attivazione del sistema immunitario (immunocompetente) che porta alla formazione di anticorpi. Sono sostanzialmente molecole presenti sulla superficie di un “intruso” (virus, batteri) → “etichette” che permettono al sistema immunitario di riconoscere qualcosa come nemico. ANTICORPO: proteine del siero prodotte in seguito all’esposizione ad un antigene e che formano con essi un complesso immune. Ogni anticorpo è progettato per riconoscere un particolare antigene → lo riconoscono e vi si legano. Con il termine immunocitochimica si fa riferimento ad una tecnica di colorazione, la quale utilizza ANTICORPI che vengono marcati con fluorocromi → vengono usati per localizzare specifici ANTIGENI. I traccianti dipendono dal tipo di microscopio utilizzato, nel caso del microscopio a fluorescenza si tratta di FLUOROCROMI. In sintesi, entrambe le discipline sono fondamentali per studiare la struttura e la funzione cellulare ma, mentre la citochimica usa reazioni chimiche generali, l’immunocitochimica è altamente specifica grazie agli anticorpi. 13 METODI DI COLORAZIONE In citochimica, i metodi di colorazione sfruttano la proprietà di determinati reagenti di formare, con alcune specifiche sostanze presenti nelle cellule e nei tessuti, prodotti di reazione colorati (visibili al microscopio). In microscopia elettronica, il prodotto di reazione deve risultare opaco agli elettroni. Tali metodi si basano su due premesse: La reazione deve essere specifica per la sostanza chimica che si vuole identificare. Il prodotto di reazione tra la sostanza chimica in esame e il reagente impiegato non deve essere allontanato dalla sua posizione originaria nella cellula o nel tessuto. Per evitare quest’ultimo problema si ricorre al metodo del freeze- drying. LIPIDI, GRASSO, MIELINA Coloranti: OSMIO o SUDAN BLACK → liposolubili. I lipidi non possono essere inclusi in paraffina perché il rispettivo solvente, lo xilolo, li scioglierebbe. Infatti, nei preparati inclusi in paraffina le cellule adipose risultano “svuotate”, bianche. Per osservare il grasso delle cellule adipose bisogna prima fissare il preparato, tagliarlo al criostato e trattare le sezioni con i coloranti citati → il colorante si diffonderà nelle gocce di grasso mettendole in evidenza. Per utilizzare la tradizionale tecnica delle sezioni al microtomo è necessario fissare il preparato in ACIDO OSMICO → reagisce con gli acidi grassi insaturi dando luogo a composti insolubili nello xilolo. POLISACCARIDI Sostanze ricche di zuccheri e contenenti gruppi glicolici. Coloranti: reazione PAS (acido periodico Schiff) → a base di fucsina. I gruppi glicolici presenti nei polisaccaridi vengono prima ossidati con acido periodico rompendo i legami e formando gruppi aldeidici → questi reagiscono con il reagente di Schiff producendo un colore magenta intenso. ACIDI NUCLEICI DNA e RNA. Coloranti: metodo BRACHET → verde metile colora la cromatina nucleare, pironina colora l’RNA (nucleolo e zone basofile del citoplasma). La sezione viene preliminarmente trattata con ribonucleasi (enzima che idrolizza RNA) o desossiribonucleasi (enzima che idrolizza DNA) → i punti dove si trovano RNA e DNA risulteranno incolori. Dimostrazione specifica del DNA. Coloranti: reazione di FEULGEN. Sezioni prima sottoposte a idrolisi acida blanda con acido cloridrico → idrolisi allontana RNA ma non DNA→ dal DNA si allontanano però le purine a livello del legame glucosidico purina-desossiribosio → vengono smascherati i gruppi aldeidici del desossiribosio che reagiscono con il reattivo di Schiff, ossidandolo e colorandolo di rosso → zone contenenti DNA appaiono rosse mentre nucleolo e citoplasma appaiono incolori. Acidi nucleici possono essere rilevati anche in fluorescenza facendo uso di FLUOROCROMI → ARANCIO DI ACRIDINA. ALTRI ESEMPI ARGENTO e ORO, per fibre delicate e processi cellulari come i neuroni. GIEMSA, per le cellule del sangue. 14 FEUGEN. 15 CRESYL-VIOLETTO: 16 EMATOSSILINA EOSINA: 17 PAS: 18 OSMIO: 19 ARGENTO (COLORAZIONE CROMOARGENTICA DI GOLGI): 20 7. MICROSCOPIA IN CAMPO CHIARO E CAMPO SCURO IN CAMPO CHIARO Il microscopio in campo chiaro utilizza una luce bianca che attraversa il campione e arriva direttamente all’obiettivo → trasmissione diretta. Gli oggetti appaiono scuri o colorati su uno sfondo chiaro e illuminato. Questo tipo di illuminazione risulta adatta per campioni colorati o che presentano naturalmente contrasto → non è ideale per oggetti non colorati, a basso contrasto. IN CAMPO SCURO Il microscopio in campo scuro illumina il campione con luce inclinata, che non entra direttamente nell’obiettivo → non attraversa direttamente il campione ma viene deviata, evidenziando bordi e superfici. Gli oggetti appaiono luminosi, bianchi o colorati, su uno sfondo scuro. Questo tipo di illuminazione risulta adatta per osservare dettagli strutturali di campioni non colorati in quanto aumenta il contrasto, evidenziando dettagli difficili da vedere in campo chiaro. 21 8. DIVERSI TIPI DI MICROSCOPI OTTICI 8A. MICROSCOPIO A CONTRASTO DI FASE Il nostro occhio riesce a percepire le differenze di lunghezza d’onda (colore) e di intensità della luce (ampiezza), ma non riesce a percepire le variazioni di fase → cioè le piccole differenze nell’indice di rifrazione dei vari elementi cellulari. F. Zernike (1935) riuscì a sfruttare tali differenze per consentire l’osservazione di cellule viventi non colorate. Il microscopio a contrasto di fase si basa sull’utilizzo combinato di RAGGI LUMINOSI TRASMESSI E DIFRATTI che si trovano all’uscita del preparato in osservazione. Raggio luminoso colpisce oggetto o piccola fessura → ne esce un raggio trasmesso e uno difratto che risulta deviato, sfasato di un valore (valore che dipende dalla densità della struttura attraversata), rispetto a quello trasmesso. In questo tipo di microscopio, per la costruzione delle immagini: 1. viene AMPLIFICATA LA SFASATURA INIZIALE DI ¼ λ; 2. le onde difratte con sfasatura amplificata vengono fatte interagire con quelle trasmesse; La differenza tra questo microscopio e il classico microscopio ottico è che quest’ultimo utilizza solo i raggi trasmessi per la formazione delle immagini 22 PERCORSO OTTICO: Diaframma scuro (DIAFRAMMA DI FASE) posto nel condensatore lascia passare la luce solo in una corona circolare → alla lente del condensatore arriva un fascio di luce conico cavo al centro Nel piano focale dell’obiettivo è posta una LAMINA DI FASE (un disco trasparente con una scanalatura circolare) → i raggi trasmessi passano nella scanalatura e quelli difratti, essendo deviati, passano dove il vetro ha maggior spessore venendo ulteriormente deviati. Lo spessore della lamina di fase è calcolato in modo tale che il ritardo ulteriore dei raggi difratti sia di ¼ λ quindi RITARDO DI OGNI RAGGIO DIFRATTO = SFASATURA INIZIALE + ¼ λ. A questo punto i raggi difratti vengono fatti congiungere con quelli trasmessi (INTERFERENZA): o Sfasatura finale vicina a ½ → interferenza di tipo DISTRUTTIVO → ampiezza d’onda si abbassa → immagini scure. o Sfasatura finale vicina a ¼ λ → sfasatura di tipo COSTRUTTIVO → ampiezza d’onda maggiore → immagini luminose. Immagine finale = data dalla combinazione di punti chiari e punti scuri. Obiettivi segnati da sigla Ph (phase). Impiegato per l’osservazione di cellule e tessuti viventi, utile per lo studio di cellule coltivate in vitro in quanto consente di evitare l’uso di coloranti. 23 8B. MICROSCOPIO A LUCE POLARIZZATA Luce polarizzata = luce che vibra in un solo piano → la comune luce (non polarizzata) consiste in un fascio di raggi che hanno comune direzione di propagazione ma vibrano in diversi piani. Un oggetto posto sul cammino di questa luce può risultare: 1. ISOTROPO o MONORINFRANGENTE: trasmette luce con la stessa velocità in tutte le direzioni; 2. ANISOTROPO o BIFRANGENTE: non trasmette luce alla stessa velocità in tutte le direzioni, ma presenta diversi indici di refrazione secondo il piano di vibrazione del raggio rispetto all’orientamento delle molecole. In passato, questo tipo di microscopio veniva utilizzato per distinguere, all’interno di un preparato biologico, le strutture monorifrangenti da quelle birifrangenti → data la natura della birifrangenza (dipende dalla struttura delle molecole) questo microscopio permette di ricavare informazioni ultrastrutturali sia su cellule vive che fissate. Deduzione indiretta: il limite di risoluzione è sempre quello del microscopio ottico → il microscopio elettronico permette invece di rilevare direttamente tali strutture osservandone forma e orientamento. 24 PERCORSO OTTICO ▪ Prisma di Nicols POLARIZZATORE posto sotto il condensatore; ▪ Prisma di Nicols ANALIZZATORE posto tra obiettivo e oculare; o Reticoli cristallini dei due prismi incrociati tra loro: ► Inserendo campione biologico costituito da strutture monorifrangenti, apparirà completamente buio. ► Inserendo campione biologico con strutture birifrangenti, appariranno illuminate → strutture attraversate da luce del polarizzatore → raggio ordinato e raggio straordinario → raggio straordinario passa attraverso l’analizzatore → ruotando i prismi e analizzando a quanti gradi si verifica la massima luminosità riesco a dedurre l’orientamento delle strutture birifrangenti. 6C. MICROSCOPIO A INTERFERENZA O INTERFERENZIALE Il microscopio interferenziale permette di evidenziare anche piccole e continue variazioni dell’indice di rifrazione, ha quindi il vantaggio di fornire anche dati quantitativi → a differenza del microscopio a contrasto di fase dove le differenze sono nette. PERCORSO OTTICO ▪ Luce emessa da sorgente si divide in due raggi: Uno diretto; L’altro inviato attraverso il preparato → subisce un cambiamento di fase (ritardo) che è in funzione allo spessore della struttura attraversata e dalla differenza tra indice di rifrazione dell’oggetto e dell’ambiente. ▪ I due raggi poi interferiscono ricombinandosi come nel microscopio a contrasto di fase. È quindi possibile misurare il peso secco di una struttura in quanto legato all’indice di rifrazione. 8D. MICROSCOPIO INTERFERENZIALE DI NOMARSKI PERCORSO OTTICO Questo microscopio utilizza la luce polarizzata. Tramite un PRISMA DI WOLLASTON viene scissa in due raggi divergenti tra loro: 25 ► Un raggio colpisce un certo punto dell’oggetto e l’altro punto immediatamente vicino (all’interno della risoluzione dell’obiettivo); ► Si crea una sfasatura dei raggi che dipende dallo spessore a dall’indice di rifrazione della struttura attraversata; Tramite un SECONDO PRISMA DI WOLLASTON i raggi vengono fatti interferire L’immagine che si ottiene è simile a quella del contrasto di fase ma più tridimensionale. 8E. MICROSCOPIO A FLUORESCENZA Sorgente luminosa: lampada a vapori di mercurio che emette radiazioni ultraviolette (invisibili) → i componenti del preparato vengono esaminati in base alla fluorescenza emessa. FLUORESCENZA: fenomeno per cui determinate sostanze (fluorescenti) colpite da radiazioni ultraviolette emettono luce di lunghezza d’onda maggiore (visibili). Si possono avere due tipi di fluorescenza: 1. NATURALE (autofluorescenza) = prodotta da sostanze presenti nel tessuto; Esempi: vitamina A, clorofille, riboflavina. 2. SECONDARIA = indotta da una colorazione (fluorocromizazzione) con coloranti fluorescenti detti FLUOROCROMI→ alcuni esempi: arancio di acridina (nucleoproteine e acidi nucleici), fluoresceina (anticorpi). 26 PERCORSO OTTICO SISTEMA IPOFLUORESCENZA: lampada a vapori di mercurio posta sotto il condensatore, la luce attraversa il preparato eccitandolo e veniva poi fermata prima di arrivare all’oculare da appositi filtri di sbarramento, per evitare danni alla vista → all’occhio arrivano solo i raggi luminosi emessi per fluorescenza. Poco sensibile = eccessivo assorbimento della luce. SISTEMA EPIFLUORESCENZA: il preparato viene eccitato dall’alto. Attualmente utilizzato. I PRINCIPI ALLA BASE DELLA FLUORESCENZA Fino al 1900 domina il modello ondulatorio (Maxwell) → la luce visibile è quella parte di spettro della radiazione elettromagnetica compresa tra 400 (violetto) e 700 (vicino infrarosso). Max Plank (1900) e Einstein (1905) determinano l’esistenza dei fotoni: piccole particelle di luce che non hanno massa, trasportano energia e costituiscono la radiazione elettromagnetica → LA LUCE È FATTA DI PARTICELLE. La fluorescenza dipende dal rilascio di energia da parte di elettroni di una molecola che, eccitati dalla luce ultravioletta (invisibile), passano da un orbitale a uno superiore → gli elettroni eccitati sono instabili e tendono a tornare al loro stadio di partenza, restituendo l’energia assorbita sottoforma di calore e di luce (emettendo un fotone) → LA LUCE EMESSA VIENE CHIAMATA FLUORESCENZA. Siccome parte dell’energia assorbita viene ceduta sottoforma di calore, la luce emessa avrà un’energia minore di quella eccitante (maggior lunghezza d’onda) quindi sarà visibile. Il FOTODECADIMENTO (PHOTOBLEACHING) è la perdita irreversibile della capacità di emettere luce causata da reazioni chimiche (numero di cicli limitato). La velocità di distruzione del fluorocromo dipende dall’intensità e dalla durata dell’eccitazione. Il photobleaching si può prevenire: Usando obiettivi con alta apertura numerica; Riducendo l’intensità e la durata dell’eccitazione. Usando reattivi antiossidanti ANTI-FADING al momento del montaggio su vetrino. 27 COLOCALIZZAZIONE: presenza di due o più strutture nella stessa posizione → presenza di due o più fluorocromi sulla stessa struttura cellulare. Le proteine marcate di colori differenti che co-localizzano danno come risultato un terzo colore, ad esempio una proteina rossa sovrapposta ad una proteina verde = giallo. COLOCALIZZAZIONE APPARENTE: per assicurarsi che la colorazione che abbiamo davanti sia realmente il risultato di una colocalizzazione spaziale e non la semplice sovrapposizione di più piani focali è indispensabile che venga analizzato un singolo piano focale. 8F. MICROSCOPIO CONFOCALE Nella microscopia ottica tradizionale è necessario tagliare il preparato in sottili sezioni per poter ottenere un’immagine di alta qualità → una sezione troppo spessa o un oggetto non sezionato genererebbe immagini confuse dovute alla sovrapposizione dei piani focali. L’inconveniente della perdita della tridimensionalità dell’oggetto è superato con il microscopio confocale: grazie a dispositivi elettronici, questo focalizza un determinato piano per volta → viene registrata ogni volta una precisa sezione ottica sottile. Attraverso l’unione di tutte le immagini ricavate da ogni sezione e con l’ausilio di un computer viene poi ricostruita l’immagine tridimensionale completa. PERCORSO OTTICO Il sistema somiglia a quello della microscopia a fluorescenza. 28 ► Gli organuli dell’oggetto vengono marcati con fluorocromi. ► Sorgente luminosa = FASCIO LASER → viene concentrato in un foro (FORO CONFOCALE) → immagine riflessa da specchio dicroico viene focalizzata dall’obiettivo solo in un punto (1) ben definito dell’oggetto. ► Luce emessa da suddetto punto per fluorescenza torna indietro → viene focalizzata dall’obiettivo in un SECONDO FORO CONFOCALE (con stesso fuoco del primo foro confocale). ► Luce viene raccolta da apposito rilevatore che registra le informazioni su un computer → un DETECTOR dotato di diaframma (PINHOLE). ► Fluorescenza emessa da punti adiacenti a quello di focalizzazione non creano disturbo in quanto, anche se torna comunque indietro, non viene focalizzata dal secondo foro confocale e quindi non giunge al rilevatore. ► Attraverso un dispositivo di scansione, viene fatto scorrere il laser nei punti dei piani di sezione. ► Il computer registra delle immagini puntiformi perfettamente a fuoco in base alle quali ricostruisce l’immagine completa del piano di sezione. DISPOSITIVO DELL’UNITA’ DI SCANSIONE costituito da diversi sistemi: A. Nella maggioranza dei casi la scansione si effettua con sistemi micromeccanici che fanno muovere il tavolino portaoggetti verticalmente (su e giù) focalizzando i diversi punti lungo lo spessore dell’oggetto. B. In altre situazioni dove è necessario che il tavolino resti immobile (elettrofisiologia), la scansione si effettua elettronicamente tramite specchi. Il microscopio confocale consente anche lo studio di cellule in vivo → lo permettono i fluorocromi vitali, quindi non citotossici, come la proteina fluorescente verde o i suoi derivati. ALLESTIMENTO DEI CAMPIONI PER LA MICROSCOPIA CONFOCALE Il campione può essere osservato sia fissato che a fresco (confocal live imaging). Per i campioni fissati gli step da seguire sono all’incirca gli stessi della microscopia ottica classica: ► FISSAZIONE (paraformaldeide 2-4%). ► INCLUSIONE e TAGLIO (per campioni di tessuto), le sezioni possono avere uno spessore maggiore rispetto alla fluorescenza tradizionale. ► PERMEABILIZZAZIONE è essenziale nelle applicazioni di immunofluorescenza → consente agli anticorpi di accedere agli antigeni intracellulari permettendo quindi ai primi di attraversare la membrana cellulare per raggiungere i secondi. ► Dunque, gli antigeni di interesse non potrebbero legare con gli anticorpi fluorescenti senza la permeabilizzazione. 29 ► Ad esempio, se volessi visualizzare una proteina del nucleo dovrei prima permeabilizzare la membrana nucleare per consentire il passaggio degli anticorpi ► COLORAZIONE. ► MONTAGGIO. a. Esempio di colorazioni che si sovrappongono b. Confronto tra microscopia widefield e confocale 30 9. MICROSCOPIA ELETTRONICA PRINCIPI DI MICROSCOPIA ELETTRONICA Nella microscopia ottica la capacità risolutiva è legata alla lunghezza d’onda della luce, nel campo del visibile (400- 800 nm). La microscopia elettronica utilizza come sorgente un FASCIO DI ELETTRONI→ questi, quando accelerati, possono produrre una radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda ridotta → utilizzando gli elettroni si riesce a oltrepassare il limite di 200 nm. 9A. MICROSCOPIO ELETTRONICO A TRASMISSIONE (TEM, Transmission Electron Microscope) STRUTTURA 1. COLONNA ELETTRONOTTICA contiene SORGENTE ELETTRONICA, a sua volta composta da: ▪ CATODO: elemento che genera elettroni attraverso un processo di emissione termoelettronica → è realizzato con un FILAMENTO DI TUNGSTENO che viene portato a incandescenza emettendo dalla sua superficie elettroni, i quali si spostano verso l’anodo. 31 ▪ANODO: dischetto metallico con foro centrale, posto sotto il catodo e caricato positivamente → la sua funzione è di accelerare gli elettroni emessi dal catodo → l’anodo è forato al centro per consentire il passaggio degli elettroni accelerati verso le lenti elettromagnetiche e sul campione. CONDENSATORI: LENTI ELETTROMAGNETICHE che fanno convergere il fascio sul preparato, in un punto detto fuoco. SISTEMA DI INGRANDIMENTO DELL’IMMAGINE: obiettivo ingrandisce circa 100X, ci sono anche lenti intermedie e lenti proiettive. SISTEMA DI REGISTRAZIONE E VISUALIZZAZIONE DELL’IMMAGINE: SCHERMO A FLUORITE (fluorescente) → converte la radiazione elettronica, non visibile, in radiazione fotonica visibile + sistema di ripresa fotografica. 2. SISTEMA DI COMANDO E CONTROLLO DEI CIRCUITI ELETTRICI ED ELETTRONICI 3. SISTEMA DI PRODUZIONE E CONTROLLO DEL VUOTO FUNZIONAMENTO Il filamento di tungsteno del catodo viene portato ad incandescenza per far sì che gli elettroni della sua struttura atomica acquisiscano abbastanza energia da lasciarne la superficie (emissione termoionica) → gli elettroni vengono emessi dalla superficie del filamento e successivamente accelerati dall’anodo, grazie alla differenza di potenziale tra catodo e anodo, formando così un fascio di elettroni. A questo punto il fascio di elettroni deve percorrere la colonna → per fare ciò non debbono incontrare ostacoli materiali quindi il cannone deve essere totalmente evacuato dall’aria fino a elevati valori di vuoto. Gli elettroni attraversano il campione e vengono in parte assorbiti, in parte deviati e in parte trasmessi → gli elettroni trasmessi vengono concentrati sulle lenti magnetiche da sistemi che sfruttano la modificazione di campi elettrici e magnetici (solenoidi) → le lenti magnetiche allargano il fascio di elettroni e l’immagine risulta ingrandita. Il fascio di elettroni che ha attraversato campione e lenti, colpisce lo schermo fluorescente proiettando su di esso un’immagine reale e ingrandita della porzione di campione attraversata → l’immagine è in bianco e nero. ALLESTIMENTO DEI CAMPIONI 1. FISSAZIONE Si utilizzano fissativi in soluzioni tampone, alcuni esempi di fissativi maggiormente utilizzati sono il tetrossido di osmio e glutaraldeide. 2. DISIDRATAZIONE In concentrazioni crescenti di alcol etilico o acetone. 3. INCULSIONE I mezzi di inclusione più utilizzati sono i monomeri acrilici o resine epossidiche le quali vengono fatte polimerizzare mediante apposito catalizzatore (60°). 4. TAGLIO Dato che il fascio di elettroni deve attraversare completamente il campione e considerato che i raggi elettronici hanno scarso potere di penetrazione, il campione dovrà essere sezionato in fettine estremamente sottili (50 – 200 nm). Si ricorre dunque a ultramicrotomi → le sezioni ottenute vengono distese su una pellicola, solitamente di collodio, applicata su una griglia (retino) metallica. 5. COLORAZIONE Si aumenta il contrasto del preparato tramite sali di atomi pesanti come l’uranile acetato e il piombo citrato. i. Tecnica dell’OMBREGGIATURA ROTATIVA: il campione viene fatto aderire su un supporto perfettamente liscio (lamina di mica), il tutto viene appoggiato su un tavolino rotante all’interno di una camera in cui è stato creato il vuoto. 32 Nella camera è presente un filamento di tungsteno su cui viene fatto aderire del platino → quando il tungsteno viene portato ad incandescenza farà evaporare il platino facendolo così spruzzare sul campione che sta ruotando su sé stesso. Il sottile film di platino che si andrà a creare verrà poi stabilizzato con un leggero strato di carbone e quindi staccato dal campione → si ottiene una REPLICA pronta per essere raccolta sul retino e per l’osservazione. ii. Tecnica della COLORAZIONE NEGATIVA: struttura in esame viene impregnata con soluzione di sali di metalli pesanti (acido fosfotungstenico o acetato di uranile) i quali penetrano negli spazi vuoti tra le macromolecole → gli spazi appariranno neri e le macromolecole bianche. iii. È possibile anche l’uso di TRACCIANTI che risultano visibili grazie alla loro opacità agli elettroni (fagocitosi/trasporto di sostanze). iv. Tecnica del CONGELAMENTO-FRATTURA (freeze-fracture) e del CRIODE-CAPPAGGIO (freeze-etching): campione sottoposto a congelamento rapido (oltre -150°), trasferito nel vuoto e fratturato con una lama → superficie di frattura viene ombreggiata con carbone e platino e si ottiene una replica → immagini tridimensionali. 33 Immagini ottenute con il TEM 9B. MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE (SEM, Scanning Electron Microscope) STRUTTURA 1. SISTEMA DI ILLUMINAZIONE: ► SORGENTE ELETTRONICA ► LENTI DI FOCALIZZAZIONE ► BOBINE DI DEFLESSIONE 2. SISTEMA DI RIVELZIONE E TRASFERIMENTO DEI SGENALI: segnali elettronici trasformati in corrente elettrica e opportunamente amplificati. 3. SISTEMA DI PRODUZIONE E REGISTRAZIONE DELLE IMMAGINI: ► SORGENTE CHE GENERA IL FASCIO RESPONSABILE DELL’IMMAGINE ► ANODO CHE LI ACCELLERA ► SCHERMO FLUORESCENTE 4. SISTEMA DEL VUOTO FUNZIONAMENTO Il SEM è impiegato per lo studio della superficie delle strutture. 34 Il preparato interagisce con un fascio elettronico ad alta energia (ELETTRONI PRIMARI) → questi eccitano la superficie del campione che emette numerosi segnali: o ELETTRONI SECONDARI: elettroni a bassa energia, vengono raccolti da un rilevatore che, attraverso uno scintillatore che emette fotoni, opera la scansione della morfologia della superficie del campione sullo schermo del monitor. o Elettroni backscattered: elettroni che emergono dal campione senza perdita di energia ma con diversa direzione, ci danno informazioni sulla composizione del campione. o Catodolumiscenza. o RAGGI X: consentono la microanalisi dei metalli nel campione → vengono raccolti da una specifica microsonda che ne analizza lo spettro, il quale essendo caratteristico di ogni elemento, ne consente l’identificazione. ALLESTIMENTO DEI CAMPIONI 1. FISSAZIONE 2. DISIDRATAZIONE Serie crescente degli alcol. 3. DISIDRATAZIONE AL PUNTO CRITICO (CPD) Necessaria per passare dalla fase liquida a quella gassosa senza danni (CO2). 4. MONTAGGIO Alla base del supporto del campione (stub) si fa aderire un pezzetto di scotch biadesivo al quale si attacca direttamente il campione, in caso di tessuti, o il vetrino. Si circonda il campione con colle conduttive (Ag, Cu, C) per favorire la conduzione degli elettroni → in mancanza di contatto tra vetrino e superficie dello stub, si creano ponti di colla per non perdere l’effetto conduttivo (causa scotch che funge da isolante). 5. METALLIZZAZIONE PER SPUTTERING Permette interazione tra fascio di elettroni e campione → ricopertura dei campioni con un film di metallo, oro o platino, tramite lo Sputter Coater: Campioni vengono posti sul tavolino della camera. La camera viene evacuata tramite pompa da vuoto. Flusso di gas inerte (Argon) entra nella camera → molecole di Argon collidono con la superficie del catodo (oro o platino) determinando il distacco degli atomi di metallo. Gli atomi di metallo ricoprono il campione formando un film. 35 1b. Esempi di immagini ottenute con il SEM 36 10. MICROSCOPIA OTTICA ED ELETTRONICA A CONFRONTO How do electron microscopes work? TEM and SEM, Professor Dave Explains BranchEducation 37 38

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