Tecnologie dei Materiali Compositi (PDF)
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This document provides an introduction to composite materials, explaining their structure, types (fiber-reinforced composites, flake composites, particulate composites), and properties. It also discusses the historical context and applications in various fields like aerospace and biomechanics, along with the importance of fiber orientation and matrix properties in achieving optimal performance. The document's format suggests a university-level lecture or study material on the topic of material science.
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TECNOLOGIE DEI MATERIALI (CARRINO) CAP 2: introduzione ai materiali compositi Con il termine “composito” in generale si intende un materiale ottenuto combinando due o più componenti in modo che il prodotto finale abbia proprietà diverse da quelle dei singoli costituenti.I singoli componenti rimang...
TECNOLOGIE DEI MATERIALI (CARRINO) CAP 2: introduzione ai materiali compositi Con il termine “composito” in generale si intende un materiale ottenuto combinando due o più componenti in modo che il prodotto finale abbia proprietà diverse da quelle dei singoli costituenti.I singoli componenti rimangono separati e distinti all'interno della struttura finita (cosa invece non verificabile per esempio nelle leghe metalliche: anche esse sono ottenute combinando due o più componenti ma al termine questi non rimangono separati). In realtà l'idea di accoppiare più materiali per ottenerne uno con caratteristiche più favorevoli di ciascuno dei componenti è molto antica: un materiale da costruzione molto usato dai nostri avi era una mescola di paglia e fango, la cui evoluzione nel tempo ha portato alla combinazione di calcestruzzo e tondini di ferro chiamata cemento armato. Anche in natura esistono materiali compositi, come per esempio il legno o le ossa: queste ultime sono fatte da una parte spugnosa all'interno delle quali scorrono delle fibre orientate secondo le direzioni per cui l'osso lavorerà prevalentemente. Per questo motivo tali materiali compositi sono strutture ottimizzate: il materiale di rinforzo è deposto esclusivamente nelle direzioni per le quali l'oggetto lavorerà prevalentemente. Com’è fatto un materiale composito? I materiali compositi sono generalmente costituiti dall'unione di un materiale di riempimento (detto matrice, che può esssere un polimero, o metallo o materiale ceramico) con uno di rinforzo, e possono essere classificati in base alla forma del materiale di rinforzo: 1) materiali compositi a fibre: sono gli unici aventi una larga diffusione al momento attuale; possono essere lunghe (migliore comportamento) oppure corte 2) materiali compositi a fiocchi (flakes) 3) materiali compositi a particelle (particulate) L'utilizzo delle fibre è dovuto al fatto che molti materiali risultano essere più resistenti e rigidi sotto forma di fibra (cioè con una dimensione molto ma molto maggiore dell'altra) che non quando in forma compatta. Questo fenomeno fu osservato per la prima volta da Griffith nel 1920 che misuro la resistenza tensionale di fibre di vetro di differente diametro ottenendo il seguente risultato: PERCHE’? Questo comportamento può essere spiegato considerando che al diminuire della sezione diminuisce, per motivi statistici, l'eventuale presenza di difetti che è la causa fondamentale della rottura del carico soggetto a trazione. La direzione delle fibre è importante: essa determina le direzione per la quale sussiste maggior rinforzo. Sicuramente una situazione gradevole la prima in virtù del fatto che il carico è applicato nella stessa direzione delle fibre: di conseguenza affinché sussista rottura devono rompersi le fibre (cosa molto difficile perché come viene detto precedentemente esse sono molto resistenti). Nell'altro caso la rottura è molto più probabile perché il carico è applicato ortogonalmente alla direzione delle fibre e di conseguenza questa (cioè la rottura) sussisterà a partire della rottura del materiale polimerico (matrice). Ciò sottolinea la caratteristica di “anisotropia”: le caratteristiche meccaniche dipendono dalla direzione di valutazione. NOTA IMPORTANTE: nella vita ingegneristica un oggetto solitamente è soggetto a più direzioni di carico contemporaneamente (seppure in numero finito): di conseguenza essendone un numero finito occorre disporre le fibre nelle suddette direzioni. Pertanto nella costituizione di un “laminato”si farà riferimento a più lamine attaccate le cui fibre sono disposte nelle direzioni di applicazione del carico. In conclusione possiamo quindi dire che il principale vantaggio dei materiali compositi è la possibilità di progettare il materiale secondo i comportamenti richiesti dalla specifica applicazione, disponendo le fibre come fa più comodo (con l’obiettivo di garantire ingente resistenza soprattutto nelle direzioni di applicazione del carico). PARTICOLARITA’ DI LINGUAGGIO: Nel caso delle tecnologie meccaniche tradizionali il “laminato” è un semilavorato che ha subito una lavorazione di deformazione plastica detta di laminazione (sotto una macchina detta laminatoio). Invece, nel caso dei materiali compositi, il “laminato” è la somma di più lamine le cui fibre sono parallele ma dalla direzione diversa: cioè strati di lamine sono disposti l’una sopra l’altro in modo da formare una struttura compatta che eredita tutte le proprietà meccaniche dei suoi costituenti. Fondamentale sarà la disposizione delle fibre che sancirà una elevata caratteristica di riesistenza sprattutto nelle direzione di loro orientazione. A partire da ciò si può effettuare una più rigida classificazione dei materiali compositi, come segue nella figura rappresentata. In tale raffigurazione compaiono i pannelli sandwich: è costituito da due facce esterne e da qualcosa all’interno che le separa, per avere alta rigidezza flessionale (quanto più le facce sono lontane). Il “core” (parte interna) può essere realizzato in diversi materiali come “schiume metalliche” utili per applicazioni aeronautiche (per creare per esempio barriere anti-rumore). Lo sviluppo dei materiali compositi è dovuto essenzialmente alla necessità di far fronte alle esigenze sempre più spinte dell'industria (ovvero con l'obiettivo di detenere per un singolo costituente minore massa abbinata a un miglior comportamento meccanico) soprattutto nei settori: 1) aerospaziale ed aeronautico 2) difesa 3) sport 4) biomeccanica Confrontando l’acciaio trafilato ed il carbonio epossilico si vede che sebbene siano (circa) egualmente rigidi a trazione (infatti i moduli di Young “E” sono 207 GPa contro 206 GPa) è evidente che la densità del carbonio epossilia sia molto minore dell’acciaio (e quindi anche il suo peso): si comprende bene che questa allora è una caratteristica ben voluta soprattutto in campo aerospaziale, dove l’obiettivo è combinare elevata resistenza con peso non eccessivo. Un’ulteriore caratteristica interessante è il comportamento a fatica: le proprietà meccaniche dei materiali compositi, all'aumentare dei cicli di lavoro, si riducono molto ma molto più lentamente rispetto ad altri materiali come per esempio l'acciaio. Confrontando il decadere delle proprietà meccaniche di acciaio, carbonio (composito) e vetro si vede che il decadimento del materiale composito è più lento. Ciò vuol dire che le “cricche di fatica” (ovvero microfratture interne al materiale) in seguito a cicli di lavoro elevati compaiono molto ma molto più rapidamente e frequentemente in altri materiali rispetto che a quelli compositi. Tutto ciò è dovuto al fatto che il materiale è disomogeneo (presenta fibre ecc.), e quindi tali fenomeni avranno difficoltà a propagarsi. Se quindi la propagazione delle cricche è molto lenta si ha il tempo di intervenire con sostituzione della parte interessata. Caratteristiche dei materiali compositi I materiali compositi sono costituiti dalle seguenti caratteristiche principali: i) alta resistenza e basso peso (prestazioni molto richieste in ambito aerospaziale) ii) elevata resistenza alla corrosione iii) elevata durata (caratterizzante del fatto che sono molto resistenti a fatica) I materiali compositi inoltre vantano un miglior rapporto peso resistenza rispetto ad alluminio ed acciaio, e possono essere ingegnerizzati per fornire un'ampia gamma di caratteristiche relativamente a resistenza all'impatto, tensione e flessione. I materiali compositi inoltre detengono anche caratteristiche opzionali: possono essere i) ignifughi (resisistenti al fuoco, ma solo alcuni) ii) antistatici o ad alta conducibilità elettrica iii) pigmentati o traslucidi iv) possono detenere elevata resistenza all'abrasione La composizione di base di un materiale composito può essere modificata per esaltare performance e apparenza attraverso la combinazione di una o più delle caratteristiche sopra citate. Come detto in precedenza un materiale composito è costituito essenzialmente da una matrice e da fibre di rinforzo. Nella zona di transizione fibre-matrice, si identifica però un terzo componente denominato interfaccia, molto importante per il comportamento del composito. Inoltre, la fibra, per motivi di compatibilità con la matrice, può essere dotata di uno strato di rivestimento detto interfase. Fibra, matrice, interfase ed interfaccia sono pertanto i costituenti dal cui comportamento collettivo derivano le prestazioni del composito. (le funzioni di interfaccia ed interfase saranno citate dopo). Le matrici più comuni sono quelle polimeriche (resine epossidiche, viniliche, fenoliche e poliestere) ma possono essere anche metalliche oppure ceramiche. Le funzioni che assolve la matrice sono le seguenti: 1) distribuisce i carichi e li trasferisce alla fibra (vero ente resistente) 2) tieni insieme le fibre 3) distanza le fibre 4) protegge le fibre dall'ambiente esterno 5) opera come arresto alla propagazione delle cricche da una fibra all'altra (appunto indice di buon comportamento a fatica) Le matrici polimeriche si dividono in due grandi macro tipologie: termoplastiche e termoindurenti. La descrizione è la seguente: Fino a poco tempo fa nel mondo aeronautico erano state utilizzate soltanto le matrici termoindurenti in virtù del fatto che presentano proprietà meccaniche migliori nonostante non siano riformabili (riciclabili). tuttavia oggigiorno, con l'evoluzione tecnologica, sono implementate anche matrici termoplastiche compro veda meccaniche migliorate, con l'obiettivo di essere riciclabili. La polimerizzazione (processo chimico che porta alla formazione della matrice) delle matrici termoindurenti e termoplastiche avviene attraverso il seguente schema: Inizialmente le macromolecole che caratterizzano la matrice sono slegate. Una volta che si è raggiunta una certa temperatura “t=Gt” esse cominciano a legarsi fino a quando superata un’ altra certa temperatura di riferimento si possono osservare i legami completati. Il completamento della polimerizzazione è molto importante perché altrimenti la matrice non raggiungerà mai le proprietà meccaniche massime. Formalmente ciò che si fa è la seguente azione: si bagna il rinforzo con la resina che ancora non è polimerizzata e poi si effettua la polimerizzazione nel tentativo di legare i costituenti Qui di fianco si vede la variazione del modulo elastico (di Young o anche detto di rigidezza) “E” al variare della temperatura: la principale differenza tra matrice termoplastica e teroindurente riguarda il fatto che la proprietà meccanica della termoindurente è sicuramente migliore: nella fase di transizione, che va dalla temperatura “t=Gt” fino a quella finale di completamento, accade che il modulo “E” nel caso delle termoindurenti decresce molto di meno rispetto a quanto accade perle termoplastiche. Tuttavia le termoindurenti, raggiunta una certa temperaratura degradano in maniera irreversibile, cosa che non accade per le termoplastiche, le quali raffreddate riacquisiscono le loro proprietà. Una svolta importante per le termoplastiche lo si è avuto con le PEEK (poli-eter-chetone). Per quanto riguarda le fibre, i materiali tradizionali più comunemente impiegati sono poliammidi, le poliestere, le fibre meta paramediche e le fibre di vetro, mentre tra i materiali ad alte prestazioni vi sono le fibre para aramidiche, le fibre di carbonio, le fibre ad alto modulo di polietilene. Le funzioni delle fibre sono: 1) Supportano principalmente il carico come barriera ai movimenti delle dislocazioni ed alla propagazione delle fratture all'interno della matrice 2) impartiscono rigidezza al composito (come detto prima solo il vero ente caratterizzante resistenza al materiale) Le fibre possono trovarsi in vario modo. Le fibre possono trovarsi sotto forma di “roving”: sono trecce di fibre arrotolate attorno ad una bobina come in figura (praticamente li si può vedere come dei rotoli di fibre). Per qualificare un rotolo di roving si utilizza il termine “TEX” che asserisce al peso in grammi di 1 km di “roving”. MATS: i “mats” non sono altro che strati di fibre non tessute, disposte aleatoriamente (casualmente), e sono forniti secchi oppure già impregnati di resina. Il comportamento meccanico macroscopico è “isotropo” a causa proprio della disposizione aleatoria delle stesse fibre (avendo fibre orientate secono ogni qualunque direzione vale che le proprietà di resistenza sono “pressocchè” uguali in ogni direzione). L'uso dei “mats” è generalmente riservato a situazioni in cui si ha da un lato la necessità di leggerezza e di risposta isotropa, dall'altro dove le caratteristiche meccaniche richieste non sono eccezionali (i “mats” non hanno delle prestazioni elevate né in rigidezza né in resistenza, anzi proprietà medie minori degli unidirezionali). I loro vantaggi risiedono soprattutto nella facilità di messa in opera e di adattabilità a forme più diverse, inoltre il loro costo è molto contenuto. TESSUTI: rispecchia prorpio la classica forma di realizzazione degli indumenti. Un tessuto è caratterizzato dalla presenza di una trama (weft) formata da fibre tese in un’unica direzione e da altre fibre dette (warp) che passano sopra e sotto queste ultime. Queste ultime caratterizzano l’”ordito”. Questa entità vorrebbe quasi emulare il comportamento di una lamina le cui fibre sono disposte rispettivamente a 0 ° e 90 °: tuttavia il comportamento meccanico è meno buono perché le fibre dell'ordito devono passare sopra e sotto quelle della trama quindi di conseguenza si danneggiano. PREPEG (pre-impregnati): E’ stato detto che i compositi sono formati dalla resina (matrice) e dal rinforzo (fibre): si bagna il rinforzo con la resina che ancora non è polimerizzata e poi si effettua la polimerizzazione nel tentativo di legare i costituenti. Un’ alternativa sono dei semilavorati detti pre-impregnati: sono dei semilavorati in cui le fibre sono state preventivamente bagnate con la matrice ma in maniera tale che la matrice non può polimerizzarsi perché una volta che accade ciò non è più lavorabile. Le fibre di tale possono essere disposte in una sola direzione oppure tessute; il comportamento però è sempre anisotropo. Il tempo di vita di tale ente può essere più o meno lungo, dipende dalla temperatura dell'ambiente in cui esso è conservato. Dopo un certo tempo comunque esso non è più utilizzabile poiché diventa semirigido. Per allungare il tempo di vita (che NON diventerà mai infinito) del pre-impregnato si usano dei “frigoriferi” (come quelli dei gelati) per mantenerli sempre ad una temperatura corretta. LAMINATI: I laminati sono ottenuti per sovrapposizione di lamine, in genere a rinforzo unidirezionale o tessuto, disposte secondo differenti orientazioni. Essi vengono specificate con i simboli in basso: 1) : sono disposte tre lamine le cui fibre sono tutte parallele tra loro; nel dettaglio formano un angolo di 0 ° con l'asse verticale (che è l’asse di riferimento). 2) [45⁄0⁄45]: in questo caso si ha la sovrapposizione di tre lamine le cui fibre sono disposte rispettivamente a 45 °, 0 °, 45 ° rispetto all'asse verticale 3) [90/0 /90]: in questo caso sono disposte quattro lamine: la prima le cui fibre formano un angolo di 90 ° con l'asse verticale; seguono due lamine le cui fibre sono parallele e formanti un angolo di 0° con l'asse verticale; infine vi siamo l'ultima lamina le cui fibre formano un angolo di 90 ° rispetto l'asse verticale 4) [90/0/45] : il pedice “s” asserisce a simmetria. Si dispone innanzitutto una lamina le cui fibre formano un angolo di 90 ° con l'asse verticale; seguirà una lamina le cui fibre sono formanti con l'asse verticale un angolo di 0 °; infine sarà disposta a un'ultima lamina le cui fibre formano con l'asse verticale un angolo di 45 °. Tutto si ripeterà simmetricamente quindi verranno deposti altre tre lamine le cui fibre formano rispettivamente con l'asse verticale un angolo di 45 °, 0°, 90 °. Realizzando laminati a partire da lamine la cui orientazione delle fibre è differente si riesce a realizzare “quasi” la caratteristica di “isotropia”, ovvero le caratteristiche meccaniche vengono mediate in ogni direzione. Tuttavia le proprietà unidirezionali diminuiscono rispetto al caso in cui disponessi tutte le lamine con fibre tutte in una direzione. INTERFACCIA ED INTERFASE Come detto in precedenza interfacce di interfase si trovano tra la matrice e le fibre di rinforzo. Le loro funzioni sono le seguenti: 1) Funzioni dell’interfaccia i) Accoppia la fibra alla matrice ii) trasferisci gli sforzi della matrice alle fibre 2) Funzioni dell’interfase i) Rinforza il legame fibra-matrice ii) protegge la fibra dai danneggiamenti durante la fabbricazione iii) serve come barriera ad un'eventuale ed indesiderata diffusione dei componenti della fibra nella matrice e viceversa iv) previene il contatto diretto fibra-fibra ALCUNI ESEMPI DI IMPIEGHI PER I MATERIALI COMPOSITI L'utilizzo dei materiali compositi permea i più svariati ambiti: 1) Settore ferroviario: possono vedere la realizzazione in materiale composito sospensioni (per esempio in fibra di vetro) oppure parti accessorie non strutturali (come pannelli isolanti e fonoassorbenti, parachoc in pannelli sandwich) 2) Ambito sportivo: per la realizzazione di scocca e freni in carbonio per vetture da competizione (F1); oppure per la realizzazione di biciclette da competizione in carbonio, canoa e kayak in fibra di vetro di carbonio oppure scie racchette da tennis in composito, anche controllo passivo attivo delle vibrazioni tramite sistemi piezoelettrici 3) Settore aeronautico: in un velivolo molte parti strutturali ed aerodinamiche sono in laminato oppure in Sandwich (esempio: nell’A380 la parte che opera la giunzione tra fusoliere e le ali è interamente in materiale composto). Solitamente inoltre i freni potrebbero essere in carbonio: ovvero una matrice in carbonio e fibre non tessute in carbonio. 4) Settore medico:protesi CAP 3: micromeccanica e macromeccanica dei materiali compositi BREVE RECAP DEL CAPITOLO PRECEDENTE Un materiale composito è, nella sua accezione più generale, qualunque tipo di materiale caratterizzato da una struttura non omogenea, costituita dall'insieme di due o più sostanze diverse, fisicamente separate e dotate di proprietà differenti. La tecnologia dei materiali compositi è un tentativo (quasi riuscito) di imitare la natura: infatti è possibile rinvenire in natura diverse entità che rispecchiano la definizione prima data. L’introduzione di tali materiali la si deve all’obiettivo di voler migliorare le prestazioni di una qualunque struttura: si ricorrerà infatti ai materiali compositi in tutti i casi in cui sono richiesti elevati valori delle caratteristiche meccaniche abbinate a basso peso. I materiali compositi sono costituiti da due enti fondamentali matrice e fibre. La matrice essenzialmente è un materiale di riempimento, fondamentale per tenere insieme le fibre: il compito di far sì che sia realizzata un'ingente resistenza è fornita appunto dalle fibre (dette non a caso materiale di rinforzo). L'utilizzo delle fibre è dovuto al fatto che molti materiali risultano essere più resistenti e rigidi sotto forma di fibra (cioè con una dimensione molto ma molto maggiore dell'altra) che non quando in forma compatta. Questo fenomeno fu osservato per la prima volta da Griffith nel 1920, ed una spiegazione di tutto ciò risiede nel fatto che al diminuire della sezione diminuisce, per motivi statistici, l'eventuale presenza di difetti che è la causa fondamentale della rottura del carico soggetto a trazione. Le caratteristiche meccaniche di una lamina realizzata in materiale composito dipendono anche dalla direzione di disposizione delle stesse fibre: la direzione di disposizione delle fibre sancirà anche la massima direzione di resistenza a carichi esterni (a maggior ragione i materiali compositi sono fortemente “anisotropi”, perché le caratteristiche meccaniche dipendono dalla direzione di valutazione). Uno dei vantaggi principali dei materiali compositi è la possibilità di progettare il materiale secondo i comportamenti richiesti dalla specifica applicazione: per esempio è possibile costruire un laminato a partire dalla sovrapposizione di diversi “strati” di lamine le cui fibre sono orientate in maniera differente; infatti solitamente una generica struttura non è soggetta sempre ad un carico unidirezionale ma a carichi in diverse direzioni: queste ultime sono un numero finito e di conseguenza sfruttando la direzione diversificata delle fibre, coincidente con la direzione di applicazione del carico, si riesce a realizzare un materiale molto resistente per quella data applicazione. Volendo riassumere in punti fondamentali di quanto detto avremo: NOTA: (se non si fosse capito) Un materiale si dice anisotropo sesso lo sei dei suoi caratteristiche meccaniche dipendono dalla direzione di valutazione. Un materiale si dice ortotropo qualora esso ammette tre piani di simmetria mutuamente ortogonali: I piani di simmetria vengono detti anche piani di ortotropia (ciò vale nel caso della lamina). GRAFICO A SUPPORTO: nei compositi rinforzati a fibre lunghe è stato detto che l'orientazione delle fibre determina la direzionalità delle proprietà meccaniche di rigidezza e resistenza (queste saranno ottimizzate proprio nella direzione di orientazione delle fibre). Di conseguenza se volessimo diagrammare il modulo di Young (E) e il modulo a taglio (G) per una lamina in funzione della direzione di applicazione del carico, ovvio che le proprietà meccaniche risponderanno a tale grafico: Nel caso di applicazione di sforzo normale ovvio che il modulo di Young è massimo qualora il carico è applicato a 0 ° o 180 ° in quanto questa è proprio la direzione di orientamento delle fibre. “E” è minimo se il carico è applicato a 90 ° rispetto alla direzione di orientazione delle fibre. Da notare è che appena ci si allontana dalla direzione di orientazione delle fibre il modulo di Young scende drasticamente (cioè per esempio già 20 ° esso è molto ma molto più basso rispetto al valore massimo). Per “G” segue lo stesso ragionamento, seguendo la figura della lamina in basso a destra della figura a sinistra. (fine recap) MICROMECCANICA E MACROMECCANICA Lo studio della proprietà meccaniche segue tre approcci:- 1) Micromeccanica: a partire dalle proprietà di fibre e matrice si cerca di determinare le proprietà della lamina (cioè si sta superando il concetto di eterogeneità perché ci si concentra sul “complessivo” che è la lamina). L'analisi micromeccanica, partendo dalla conoscenza delle proprietà dei singoli componenti (matrice e fibre) e dalla geometria del composito, si pone l'obiettivo di sviluppare leggi che descrivono il comportamento del composito come materiale omogeneo: si cercano dunque leggi di omogeneizzazione.Vengono utilizzate a tal proposito diverse teorie e vari modelli di omogeneizzazione: l'approccio classico considera un volume elementare e significativo di composito e, ipotizzando un comportamento isotropo lineare dei due componenti, ricava le leggi di omogenizzazione supposta la perfetta aderenza tra matrice e fibre. (lo si capirà meglio andando avanti, già a partire dalla definizione di ERV). 2) Macromeccanica della lamina: si osserva la lamina senza tener conto degli elementi costituenti al fine di conoscerne il comportamento macroscopico. 3) Macromeccanica del laminato:si vuole determinare il comportamento macroscopico del laminato, senza riferirsi alla struttura costituente dello stesso. Le principali ragioni di incertezza e difficoltà nei modelli per la meccanica dei compositi appena citati dipendono da: anisotropia, eterogeneità, tipo di carico e difetti di fabbricazione. L’anisotropia ha tre conseguenza importanti (già viste): 1) Forte dipendenza delle caratteristiche meccaniche dalla direzione (proprio la definizione di anisotropia) 2) impossibilità di disaccoppiare in parte sferica per deviatorica l'energia elastica, e dunque l'impossibilità di utilizzare il criterio di von Mises 3) Non coassialità del tensore degli sforzi e delle deformazioni L'eterogeneità invece può influenzare la rottura locale del materiale in diversi modi: 1) Pull-out (ovvero sfilamento delle fibre della matrice, qualora l’adesione della fibra alla matrice non è adeguata) 2) instabilità locale delle fibre in comprensione (cioè buckling delle fibre) (infatti preso un corpo snello come uno spaghetto e compresso, prima di spezzarsi tenderà a curvarsi: tale è l’instabilità citata) 3) influenza sulla propagazione delle cricche 4) differente resistenza in trazione e compressione (le fibre infatti se soggette a compressione tendono ad inflettersi tentando di curvare,ciò comporta uno sforzo di taglio nella matrice, che potrebbe portare rotture; invece nel caso di trazione il materiale è più resistente poiché le fibre ovviamente non curvano e quindi non possono lacerare a taglio la matrice) Il tipo di carico e i difetti di fabbricazione sono delle difficoltà che ovviamente si spiegano da sé. Se invece ci si riferisce alla meccanica dei laminati in realtà occorre anche andare a tenere in considerazione fenomeni e problemi che sono sconosciuti nei materiali tradizionali, come: 1) delaminazione: rottura interlaminare provocata da sollecitazioni di taglio interlaminare (cioè in poche parole le lamine si scollano in seguito a sforzi di taglio) 2) tensioni residue: che potrebbero dipendere dal processo di fabbricazione (per esempio poiché la polimerizzazione avviene a certe temperature) 3) tensione ai bordi: I modelli analitici e l'evidenza sperimentale hanno dimostrato che in funzione della sequenza delle lamine e del carico si può determinare una concentrazione degli sforzi ai bordi liberi (perché la distribuzione in prossimità dei bordi è 3D), che può essere molto elevata e provocare la delaminazione (problema analizzato al punto uno) In conclusione quindi l'analisi della rottura del laminato è un fenomeno progressivo e complesso, spesso difficile da cogliere, sia a livello analitico nonchè sperimentale, per quanto concerne la sua evoluzione. La progettazione ottimale dei laminati quindi è molto complessa: le difficoltà tipiche sono le seguenti 1) forte non linearità 2) elevata multimodalità 3) molteplicità degli obiettivi 4) numero di variabili spesso elevato 5) difficoltà relative alla rappresentazione elastica poche sono le regole e i metodi utilizzati nella pratica, spesso si tratta di approcci molto semplificati che restringono molto il campo delle possibilità. MICROMECCANICA Gli studi della micromeccanica hanno come obiettivo la previsione del comportamento meccanico di una lamina composita unidirezionale a fibre lunghe partendo dalla conoscenza delle caratteristiche omologhe dei suoi costituenti elementari (ovverosia fibra e matrice). Per farlo definiamo un sistema di riferimento come in figura: Asse 1: in direzione parallela alle fibre Asse 2: in direzione ortogonale alle fibre Asse 3: ortogonale primi due ,volto a formare una Terna ortonormale levogira NOTA: un laminato è formato da più lamine le cui fibre potrebbero essere disposte anche diversamente. quindi per ogni lamina che costituisce il laminato si individuano le direzioni 1,2,3 viste in precedenza. D'altro canto però si definisce anche un altro riferimento (x,y) detto riferimento del laminato (oppure globale), per cercare di identificare il laminato Esistono delle ipotesi che sono alla base della micromeccanica dei compositi, e riguardano sia la lamina non che i suoi costituenti (matrice, fibre, interfaccia,interfase). la lamina infatti è: 1) macroscopicamente omogenea ed ortotropa 2) presenta comportamento lineare elastico 3) presenta inizialmente uno stato di tensione nullo le fibre invece sono: 1) omogenee 2) isotrope 3) presentano comportamento elastico lineare 4) sono disposte con una spaziatura regolare 5) sono perfettamente allineate nella matrice La matrice è: 1) omogenea 2) isotropa 3) a comportamento elastico lineare L’ interfaccia è: 1) perfetta 2) completa (cioè le fibre sono perfettamente aderenti con la matrice) Per sviluppare i modelli per la micromeccanica dei materiali compositi bisogna innanzitutto definire un “elemento rappresentativo di volume” (ERV) in modo da rendere il composito, che è intrinsecamente non omogeneo perché costituito da diverse entità tra cui matrice, fibre ecc, macroscopicamente omogeneo. Nella trattazione che faremo come ERV sarà considerato uno schema meccanico formato da un corpo cilindro come in figura (cioè come una fibra interamente circondata da matrice). Il volume della lamina può essere scritto come somma di tre contributi: 𝑉 =𝑉 +𝑉 +𝑉 dove i pedici sono riferiti a: “f” per fibra, “m” per matrice, “v” per vuoto. Nella trattazione assumeremo l'assenza di vuoti, ovvero matrice e fibre saranno ben aderenti. Di conseguenza l'espressione di prima si modifica nella seguente: : 𝑉 =𝑉 +𝑉 dividendo tutto per 𝑉 otterremo: 𝑉 + 𝑉 = 1 (quest'ultima relazione dice che la somma dei volumi percentuali di fibra e matrice è uguale ad uno. Quindi se in una domanda teorica verrà richiesto il volume percentuale della matrice conoscendo che per esempio il volume percentuale delle fibre è il 60%, la risposta è che il volume percentuale della matrice è del 40%). Allo stesso modo per la massa: 𝑀 = 𝑀 + 𝑀. Di conseguenza la densità sarà: VALUTAZIONE DEI MODULI ELASTICI (anche detti RIGIDEZZA, MODULO ELASTICO) Consideriamo una lamina che soggetta ad un certo carico nella direzione di orientazione delle stesse fibre (direzione 1). Fibra e matrice lavorano in parallelo, quindi dal momento che fibre matrice sono per ipotesi intimamente connesse, il carico interessa sia la fibra che la matrice. Di conseguenza fibra e matrice subiscono la stessa deformazione assiale (e di conseguenza la lamina): quindi possiamo scrivere che ε = ε = ε = ε (con “1” mi riferisco all’intera lamina). Siccome però fibra e matrice sono caratterizzati da materiale differente (la fibra è più rigida della matrice) e quindi detengono modulo di Young differente, rispettivamente E ed E (con E ≫ E , perché la fibra è più rigida), allora le tensioni normali alle quali saranno soggette fibre e matrice sono: σ = E ε = E ε ed σ = E ε = E ε. ( posso usare le relazioni di Navier perché si è supposto nelle ipotesi materiale elastico lineare). Il carico risultante applicato sulla lamina, che chiamo “P” come in figura, sarà quindi: Dividendo tutto per ε A , si ottiene: In questo modo ci si è riusciti a valutare il modulo elastico di tutta la lamina a partire dalla conoscenza del modulo elastico della fibra e della matrice rispettivamente; si è quindi riusciti in uno scopo della micromeccanica, cioè la previsione del comportamento meccanico di una lamina composita unidirezionale a fibre lunghe partendo dalla conoscenza delle caratteristiche omologhe dei suoi costituenti elementari.La relazione è molto semplice: è quella di una retta. Esempi (potrebbero essere esercizi di esame) L’esericizio si spiega da sé, non c’è da aggiungere altro. Dalla relazione di ottenuta sopra si vede che: se 𝑉 È uguale a zero allora ovviamente la lamina sarà costituita solo da matrice (𝑉 = 1) e quindi ovviamente 𝐸 = 𝐸 (ciò che quindi mi rappresenta il primo punto della curva citata). Successivamente all'aumentare di 𝑉 seguirà un andamento lineare fino a quando 𝑉 = 1, per il cui valore la lamina sarà caratterizzata esclusivamente dalla presenza della fibra e quindi di conseguenza 𝐸 =𝐸 Calcoliamo ora 𝐸 : Consideriamo una lamina che soggetta ad un certo carico nella direzione ortogonale alla direzione di orientazione delle stesse fibre (direzione 2). In questo caso la deformazione della fibra e della matrice è differente, e per agevolare il calcolo di 𝐸 si può supporre che fibre e matrice siano interessate alla stessa sollecitazione: σ =σ =σ =σ Poiché: ε = ε 𝑉 + ε 𝑉 (ovvero la deformazione della lamina è uguale alla somma della deformazione della fibra più la deformazione della matrice) e vale anche che ε = (con i=f oppure m) allora vale che: (ovvero la legge non è più lineare) Esempi: Dalla relazione di ottenuta sopra si vede che: se 𝑉 è uguale a zero allora ovviamente la lamina sarà costituita solo da matrice (𝑉 = 1) e quindi ovviamente 𝐸 = 𝐸 (ciò che quindi mi rappresenta il primo punto della curva citata). Se 𝑉 è uguale a uno allora ovviamente la lamina sarà costituita solo da fibre (𝑉 = 1) e quindi ovviamente 𝐸 = 𝐸. Per i valori intermedi sarà rispettata la legge sopra, ma c’è da fare un’osservazione importante: a partire dal caso 𝑉 = 0, si vede che al suo aumentare 𝐸 cresce molto molto poco (cosa non vera per 𝐸 invece cresceva di più, con andamento lineare).Fino ad 𝑉 = 0,80 la 𝐸 è molto bassa poi dopo impenna.Possiamo quindi dire che 𝐸 è una proprietà che dipende dalla matrice. Tutto ciò sta sottolineare il fatto che affinché si voglia ottenere una grossa rigidezza è necessario far lavorare la lamina nella direzione di orientazione delle stesse fibre, in modo che le proprietà meccaniche siano maggiori. Queste due leggi ottenute analiticamente sono corrette anche sperimentalmente? Se andassimo a verificare l’andamento di 𝐸 in funzione della frazione di volume delle fibre 𝑉 si vede speriementalmente che il modello analitico trovato è giusto: tra 𝐸 e 𝑉 c’è effettivamente una relazione lineare come in figura.Ciò è evidente perché in questa direzione come detto “comandano” le caratteristiche meccaniche della fibra, che non presentano difetti ecc. Nel caso di 𝐸 la relazione analitica invece non aderisce bene a quella che è la realtà sperimentale, soprattutto per alti valori di 𝑉. Per questo motivo l’asserzione fatta per la quale si può supporre che fibre e matrice siano interessate alla stessa sollecitazione: σ = σ = σ = σ non basta: occorrerebbe nella realtà considerare difetti di fabbricazione ed altre problematiche che al momento non ci interessano (come problemi di accoppiamento fibra-matrice ecc.). Daremo comunque per buona la relazione trovata perché è una relazione “conservativa”, nel senso che la rigidezza trovata è sempre maggiore a quella reale sperimentale rappresentata dalla curva rossa. Ciò però quindi porterà a “sovradimensionare”. CALCOLO DEL COEFFICIENTE DI POISSON Esso è un indice adimensionale che consente di comprendere il comportamento a deformazione di un materiale. Consideriamo una lamina che è soggetta ad un carico di trazione nella direzione di orientazione delle fibre (direzione 1). La lamina si deforma, nel dettaglio si allunga lungo la direzione 1, ma siccome il fenomeno avviene a volume costante allora ci sarà un accorciamento lungo la direzione 2. (Tutto è evidente dalla figura) La variazione di lunghezza in seguito alla deformazione lungo la direzione uno è ε , invece quella nella direzione due invece ε ε. dalla figura evidentemente si capisce che 𝑏 = , mentre ε 𝑎=. Si definisce allora il Modulo di Poisson come: ovvero il rapporto con il segno meno tra la deformazione nella direzione trasversale di applicazione del carico e la deformazione in direzione di applicazione del carico. Il primo pedice fa riferimento alla direzione di applicazione del carico, cioè direzione 1, il secondo alla direzione trasversale. Il segno meno perché ε è negativa in questo caso. In effetti ci sono due pedici anche perché noi ne possiamo definire due di coefficienti di Poisson in quanto una volta potremmo deporre il carico nella direzione di orientazione delle stesse fibre come fatto ora, ma potremmo anche deporre il carico nella direzione ortogonale l'orientazione delle stesse fibre e quindi definire un'altro coefficiente di Poisson. Per l’altro caso, e quindi per ν , sarà dopo rinvenuta una relazione con ν che ci farà anche capire i loro ordini di grandezza.) (nelle due pagine a seguire c’è meglio spiegato il problema dei loro ordini di grandezza) Fibra e matrice lavorano in parallelo, quindi dal momento che fibre matrice sono per ipotesi intimamente connesse, il carico interessa sia la fibra che la matrice. Di conseguenza fibra e matrice subiscono la stessa deformazione assiale (e di conseguenza la lamina): quindi possiamo scrivere che ε =ε =ε =ε. D’altro canto la deformazione della lamina nella direzione 2 (come detto quando fu discusso su 𝐸 ) sarà la somma di quella delle fibre più quella della martrice considerando anche la loro partecipazione in volume percentuale, ovvero: ε = ε 𝑉 + ε 𝑉. Sostituendo nell’espressione del modulo di Poisson ottengo: dove ν e ν sono il modulo di Poisson di fibra e matrice (ovvero si prende la fibra e si fa ε /ε per la fibra per ottenere ν , lo stesso per la matrice). NOTA FONDAMENTALE: ν ha un espressione che è pressocchè analoga a quella di 𝐸 , quindi vale una uguale osservazione: ν ed 𝐸 dipendono strettamente dalle fibre CALCOLO DEL MODULO DI TAGLIO Consideriamo una lamina che è soggetta ad una sollecitazione di taglio come in figura. l'effetto complessivo non sarà più una deformazione della lamina in termini di lunghezza ma bensì sarà osservabile una deformazione in termini di scorrimento angolare. In questo caso la sollecitazione di taglio su fibra, matrice e composito (lamina) è sempre la stessa, quindi si può scrivere che: = 𝜏 = 𝜏 = 𝜏 Lo scorrimento angolare totale è dato dalla somma degli scorrimenti angolari di fibre e di matrice pesate rispetto alla loro frazione percentuale in termini di volume:𝛾 = 𝛾 𝑉 + 𝛾 𝑉. Ricordando che la relazione che insiste tra il modulo del taglio e lo scorrimento angolare in generale è la seguente: 𝛾 = , allora riferendosi a tutta la lamina si ottiene che: NOTA FONDAMENTALE: 𝐺 ha un espressione che è pressocchè analoga a quella di 𝐸 , quindi vale una uguale osservazione: 𝐺 ed 𝐸 dipendono strettamente dalla matrice IN CONCLUSIONE E’STATO OTTENUTO CHE: NOTA: è stata scritta anche una relazione che si dimostrerà più in là, ovvero: Essendo però 𝐸 ≪ 𝐸 allora ν ≫ ν. NOTA IMPORTANTE: il fatto che ν sia piccolo è un qualcosa che ci si aspetta molto facilmente; infatti in questo caso avremmo dovuto prendere la lamina e assoggettarla ad un carico nella direzione 2 (ortogonale alle fibre): in questo caso avremmo avuto che ε è positivo mentre ε è negativo. Per definizione quindi ε ν = − , ma ovvio che ε è piccolo perché le fibre di poco variano la loro dimensione perché sono rigide, ε mentre ε è grande perché la matrice offre scarsa resistenza; in conclusione ν è molto piccolo a maggior ragione. Siccome agli ingegneri piace lavorare con i numeri grandi, allora si farà solo riferimento a ν , perché tanto conoscendolo si reperisce direttamente anche ν della relazione scritta prima. CAP 4:macromeccanica della lamina Per la macro-meccanica della lamina (intesa sempre unidirezionale a fibre continue) si considera la lamina senza tener conto degli elementi costituenti al fine di conoscerne il comportamento macroscopico. In generale il legame tra gli sforzi e la deformazione è dato dalla legge di Hooke: 𝛔 = 𝐐 𝛆 (sono vettori e matrici), dove 𝐐 è una matrice di 9X9=81 elementi perché in generale le tensioni e le deformazioni asseriscono alle direzioni 1,2,3. Ciò rende però la trattazione estremamente complessa perché nonostante io possa applicare una sollecitazione relativamente semplice,non avrò solo allungamenti nella direzione del carico e deformazioni nella direzione trasversale al carico, ma si avranno anche scorrimenti angolari e curvature (per capire basta effettuare il prodotto riga per colonna). Ciò è troppo complesso. Facciamo ipotesi semplificative: 1) supponiamo la lamina a comportamento elastico lineare (perché si suppone che i suoi componeneti, cioè fibra e matrice lo siano) cosi che la matrice 𝐐 passa da 81 a 36 elementi: 2) Supponiamo inoltre l'indipendenza dell'energia potenziale dalla direzione di carico: ovverosia stiamo dicendo che l'energia potenziale è la stessa per ogni direzione di carico. Per questo motivo la matrice 𝐐 è simmetrica e quindi si passa da 36 a 21 componenti 3) Inoltre supponiamo che la lastra sia sottile, ovvero è come quasi se la intendessimo come un piano: per questo motivo la terza direzione (quella dello spessore) diviene trascurabile nonché tutte le grandezze ad essa riferite; per questo motivo si passa da 21 a 6 componenti della matrice 𝐐 In definitiva l'equazione costitutiva della lamina, tenendo presenti tutte le semplificazioni poste dalle ipotesi appena citate diventa la seguente: Data l'equazione costitutiva della lamina, se conosco le deformazioni (allungamenti, positivi o negativi, e scorrimenti angolari) posso determinare lo stato di sollecitazione secondo le direzioni 1 e 2 della lamina (primo vettore colonna). La matrice 𝐐 è detta matrice di rigidezza ed affinché si voglia realizzare l'obiettivo precedentemente scritto, si ha la necessità di determinare le sue sei componenti (sono sei perché come citato precedentemente nelle ipotesi essa è simmetrica). NOTA IMPORTANTE: leggendo già solo la prima riga σ = 𝑄 ε +𝑄 ε + 𝑄 𝛾 , si capisce bene che all’ applicazione di una tensione nella direzione 1 non concorre solo una deformazione nella direzione 1 ma anche nella direzione 2 nonchè vi si presenta anche uno scorrimento angolare: questo non avviene mai in un materiale “isotropo” (lì si sarebbe solo verificata la deformazione nella direzione di applicazione del carico cioè 1 e nella direzione ad essa ortogonale, cioè 2, ma NON avrebbe mai dato scorrimento). La matrice di rigidezza è invertibile, quindi di conseguenza si possono ottenere anche le componenti di deformazione (allungamenti e scorrimenti angolari) note le tensioni, ovvero vale che: 𝛆 = 𝐒𝛔 , cioè: dove 𝐒 è denominata matrice di cedevolezza (inverso della matrice di rigidezza) Sviluppando quest’ultima notazione matriciale si ottiene che: COME CALCOLO GLI ELEMENTI DELLA MATRICE DI CEDEVOLEZZA? Soffermiamoci innanzitutto sulla prima relazione ε1 = 𝑆11 σ1 +𝑆 σ + 𝑆 𝜏. Consideriamo quindi la lamina ed applichiamo un carico diretto esclusivamente lungo la direzione 1: quindi σ ≠ 0 e σ = 𝜏 = 0. Se sostituisco nella relazione in alto ottengo: : ε = 𝑆 σ ovvero: Per determinare quindi 𝑆 si può agire in due modi: 1) Calcolo 𝐸 con il teorema della media trovato in precedenza, cioè E = E 𝑉 + E 𝑉 , così che il suo inverso da 𝑆 , a partire da quanto scritto in precedenza 2) Eseguo una prova trazione nella direzione 1 cosi da misurare ε e σ grazie quali posso ricavare direttamente 𝑆. Soffermiamoci ora sulla seconda equazione del sistema: ε = 𝑆 σ +𝑆 σ + 𝑆 𝜏. Come prima applichiamo un carico esclusivamente nella direzione 2:in questo modo avremo che σ ≠ 0 e σ = 𝜏 =0 Di conseguenza se sostituisco nella relazione di prima ottengo ε = 𝑆 σ , quindi vale che: che è analoga alla relazione di prima. Se invece ci si sofferma sull'ultima equazione del sistema: 𝛾 = 𝑆 σ +𝑆 σ + 𝑆 𝜏 ,si può considerare un taglio puro esercitato sulla lamina, così che: 𝜏 ≠ 0 e σ = σ = 0. Allora l’equazione di sopra diventa: 𝛾 = 𝑆 𝜏 , di conseguenza: Per determinare quindi 𝑆 si può agire con la relazione reperita nel capitolo precedente, ovvero: (oppure con una prova a taglio) Conosciamo quindi gli elementi della diagonale della matrice di cedevolezza. Occorre ora colcolare gli elementi fuori diagonale, ovvero: 𝑆 = 𝑆 , 𝑆 = 𝑆 , 𝑆 = 𝑆. E’ facile rendersi conto che: 𝑆 =𝑆 = 0 ed 𝑆 =𝑆 = 0. Perché? Se carico la lamina (a fibre unidirezionali continue, quindi può essere intesa come un pezzo geometricamente simmetrico, ma ciò è ovvio dall’ipotesi di ortotropia) lungo il suo asse (cioè direzione 1, quindi σ ≠ 0 e σ = 𝜏 = 0) allora anche la deformazione dovra essere simmetrica, quindi non possono sussistere scorrimenti 𝛾 = 0, ma vedendo la terza espressione del sistema, l’unico modo per porre 𝛾 = 0 è che 𝑆 = 0 (tanto σ = 𝜏 = 0), come si voleva dimostrare. Similmente caricando in direzione 2, ripetendo lo stesso discorso vae che: 𝑆 =𝑆 = 0. Manca da calcolare solo 𝑆 =𝑆. Per farlo si sfruttano le relazioni che già conosciamo: se carichiamo infatti la lamina nella direzione di orientazione delle fibre (cioè nella sua direzione di simmetria, cioè 1) allora σ ≠ 0 e σ = 𝜏 = 0, di conseguenza a partire dal ricordo che: possiamo scrivere le relazioni: ε =𝑆 σ ε =𝑆 σ Allora: ν =− =− =− Di conseguenza, facendo la formula inversa si ottiene: 𝑆 = −ν 𝑆 ma siccome avevamo detto che ν 𝑆 = , allora sostituendo si reperisce che 𝑆 =− Con lo stesso analogo ragionamento, se avessi caricato la lamina nella direzione 2, avrei ottenuto il risultato ν speculare: 𝑆 = − OSSERVAZIONE IMPORTANTE: essendo la matrice di cedevolezza simmetrica, avevamo detto che ν ν 𝑆 = 𝑆 , quindi eguagliando: − =− , ovvero abbiamo dimostrato la formula intordotta all’ultimo rigo del capitolo precedente: ν = ν , che molto spesso è scritta in questa forma qua: ν 𝐸 =ν 𝐸 D’altro canto è stato più e più volte ribadito che 𝐸 ≫ 𝐸 perché la rigidezza è maggiormente elevata nella direzione di orientazione delle stesse fibre. Se ciò è vero allora ν ≫ ν : di conseguenza molto spesso si preferisce lavorare con ν perché più grande, quindi più facile da misurare (ovvero abbiamo dimostrato e ribadito quanto detto nel capitolo precedente). CONCLUSIONE: in virtù di quanto detto la matrice di cedevolezza presenta la seguente struttura: Ricapitolando, per calcolare questi termini si ha la necessità di eseguire tre prove di calcolo: 1) una prova a trazione nella direzione 1 per calcolare 𝐸 2) una prova a trazione nella direzione 2 per calcolare 𝐸 3) una prova taglio per calcolare 𝐺 Per passare alla matrice di rigidezza basta fare la matrice inversa, si ottiene: Quindi la matrice [Q] (nonché [S] dipende solo esclusivamente dalle proprietà elastiche del materiale) NOTA:In questo capitolo è stata trovata una relazione che consente di legare le tensioni alle deformazioni nel riferimento lamina locale. Questa relazione la chiamiamo legame costitutivo della lamina nel riferimento locale. CAP 5: macromeccanica del laminato La macro-meccanica del laminato studia modelli analitici che prevedono il comportamento del composito (laminato) conoscendo le proprietà di ogni singola lamina che lo costituisce, senza riferirsi alla struttura costituente dello stesso. (Dove per laminato come già specificato si intende un materiale composito costituito da diverse lamine con fibre disposte anche ad angolazioni diverse, cosa utile per “tendere ad un comportamento isotropo”) Per la generica lamina si ricorda che è stato definito un sistema di riferimento locale (1,2), per il quale l'asse 1 era diretto nella direzione di orientazione delle fibre (le quali sono unidirezionali), mentre la direzione 2 è quella ad essa ortogonale (la direzione 3 si costruisce di conseguenza ma non ci interessa perché supporrremo la lamina sottile). E’ possibile però anche definire un'altro sistema di riferimento (x,y) detto assi di riferimento del laminato o globale ( perché il laminato è costituito da diverse lamine, quindi di sistemi di riferimento (1,2) ce ne sono diversi): appunto questi due assi individuano il piano del laminato. Chiamiamo θ l'angolo che definisce l'orientazione del riferimento della lamina rispetto a quello del laminato (ovvero l'angolo che si viene a formare tra l'asse 1 e l’asse x, e per ortogonalità anche quello che si forma tra l’asse 2 ed y), ovvero l’angolo di orientazione delle fibre rispetto al sistema di riferimento del laminato). Una volta esplicitata l'orientazione del riferimento lamina rispetto a quello del laminato tramite θ, con una matrice di trasformazione T si può passare dalle tensioni (o deformazioni) nel riferimento lamina (detto locale) a quelle nel riferiemento laminato (detto globale) e viceversa, ovvero vale una relazione del tipo: dove σ , σ , 𝜏 si riferiscono al riferimento lamina locale, mentre σ , σ , 𝜏 al riferimento laminato globale Per un angolo θ positivo se antiorario, la matrice T, (che non è altro che la matrice del cambio di base) è: (è dimostrata nella pagina dopo) Effettuando i prodotti, sostituendo T si ottiene: (in maniera compatta: {σ} = [𝑇]{σ} ) Nota T, come è stato detto in precedenza, se volessi ottenere le tensioni riferite al riferimento laminato a partire dalla conoscenza delle tensioni riferite al riferimento lamina, basta fare l'inversa della relazione scritta sopra: 𝟏 Dove per [𝑇] =𝐓 è: ovvero l’inversa coincide con la trasposta (che è la definizione di matrice ortogonale) Nel complesso quindi abbiamo scritto queste relazioni che coinvolgono le tensioni nei due riferimenti: Lo stesso discorso fatto per le tensioni vale anche per le deformazioni, ovvero si può passare dalle deformazioni nel riferimento lamina a quelle nel riferimento laminato e viceversa, tutto a partire dalla matrice T. Nell'espressione in forma matriciale però c'è un'osservazione da fare: l’ compare per motivi legati alla notazione tensoriale PERCHE’? Consideriamo un elementino di lamina quadrato sottoposto a sollecitazioni tangenziali 𝜏: esso si deformerà mutando i suoi angoli caratteristici (deformaione in termini di forma). Ingegneristicamente la deformazione a taglio vale: 𝛾 = −α (ovvero l’angolo originale di partenza meno quello finale, che mi da i quanto si è deformato) In realtà la deformazione tensoriale è la metà: ε = Per esprimere il legame tra deformazioni ingegneristiche e deformazioni in termini di tensoriali si può introdurre la matrice di Reuter [R]: essa è una matrice 3X3 diagonale i cui pesi sulla diagonale sono rispettivamente (1,1,2). 1 0 0 [R] = 0 1 0 0 0 2 Quindi per passare dal vettore delle deformazioni tensoriali al vettore delle deformazioni ingegneristico (e viceversa facendo l’inversa di tale matrice) valgono le due relazioni che seguono: IN CONCLUSIONE: LEGAME COSTITUTIVO DELLA LAMINA IN UN RIFERIMENTO GLOBALE Si vuole ora cercare legame costitutivo della lamina nel riferimento globale (cioè riferimento laminato (x,y)), ovvero si vuole determinare una relazione del tipo {𝜎} = [ … ]{𝜀} (cioè nel senso si vuole andare a determinare la relazione tra tensione e deformazione nel riferimento al laminato: ciò che occorre comprendere è chi è […] che deve essere specificata). Si ricorda che in precedenza erano state rinvenute le relazioni tra le tensioni e le deformazioni nel riferimento lamina e laminato, ovvero: D’altro canto dalla macromeccanica della lamina era stato specificato il legame tra tensioni e deformazioni della lamina nel riferimento lamina (ovvero il legame costitutivo della lamina nel riferimento lamina, o locale) tramite la matrice di rigidezza: D’altro canto era anche stato detto che: quindi sostituendo: in forma compatta:{𝜎} = [𝑄]{𝜀} , = [𝑄][𝑅]{𝜀} , Allo stesso modo si era dimostrato che: {𝜀} , = [𝑇]{𝜀} , = [𝑇][𝑅] {𝜀} , (a causa di relazioni scritte prima e nel capitolo precedente) Ma è pur vero che all’inizio del capitolo è stato detto che:{𝜎} = [𝑇] {𝜎} , allora: Dove [𝑇] è l’inverso della trasposta della matrice [T] Si è ottenuto alla fine che: Di conseguenza il legame costitutivo di una lamina nel riferimento globale sarà: (dove [𝑄 ] = [𝑇] [𝑄][𝑇] , per rendere più leggera la scrittura). Se si vogliono calcolare le deformazioni a partire dalle tensioni occorre fare l’inversa della matrice [𝑄 ], cioè vale che: Lo scopo di tutta questa trattazione consiste nel pervenire alla “teoria della laminazione”. Un laminato infatti è un materiale composito formato da diverse lamine con fibre orientate “a piacere”, caratterizzando il laminato con un comportamento “anisotropo” (tendente all’isotropo se si dispongono fibre in direzione diversa): la peculiarità è proprio questa, infatti è possibile disporre le lamine con fibre orientate a proprio piacimento in modo da ottenere caratteristiche meccaniche particolari (ovvero elevata resistenza in una particolare direzione). Solitamente per un laminato (o in generale per una struttura) si conoscono i carichi che gravano su di esso e quindi di conseguenza la sollecitazioni interne (sforzo normale, momento flettente e taglio che però non consideriamo). Si vogliono però conoscere le “deformazioni del laminato”, o meglio le deformazioni del piano medio e le curvature. Per questo si vuole ricavare il seguente sistema: Note poi le deformazioni del piano medio e le curvature si risalirà alle deformazioni della singola lamina nel sistema globale (perché vedremo nel capitolo successivo che la deformazione di ogni punto del laminato,e quindi di una lamina particolare, è relazionata alla deformazione del piano medio più un contributo correlato alla curvatura del laminato). A tal proposito note le deformazioni della lamina nel riferimento globale, grazie alla relazione costitutiva ricavata prima si conoscono anche le tensioni della lamina nel riferimento globale. Dalle tensioni della lamina nel riferimento globale, grazie alla matrice del cambio di base T , si ricavano le tensioni della lamina nel riferimento locale (riferimento lamina (1,2)). Ottenuti tali valori di tensione li si confronta con quelli ammissibili della stessa lamina (che sono tabellati) e si comprende se il laminato resiste o meno (se almeno una lamina “cede” allora occorre riprogettare il tutto). CAP 6: la teoria della laminazione L’obiettivo come detto in precedenza è conoscere la relazione che c’è tra le “deformazioni del laminato” ( o meglio le deformazioni del piano medio e le curvature) e gli sforzi. NOTA: già fisicamente tutto ciò fa storcere il naso: supponendo di assoggettare il laminato a sforzo normale lungo “x”, dal sistema sopra scritto si vede che si vengono a generare sia deformazioni in termini di lunghezza lungo x ed y, sia scorrimenti angolari, ma anche una variazione della curvatura, che è un qualcosa difficile da digerire (se non lo si vede, non ce lo si aspetta). Questa stranezza accade fintanto che i coefficienti “B” non sono nulli: se lo sono ciò non accade. Si vuole determinare i coefficienti A,B,D applicando la teoria della piastra di Kirchhoff. Consideriamo un laminato molto sottile, ovvero lo spessore è di grandezza trascurabile rispetto alle altre due dimensioni.Quindi stiamo ipotizzando uno stato tensionale piano: consideriamo trascurabili stress e deformazioni attraverso lo spessore. Supponiamo inoltre che le linee che sono ortogonali ad un piano, rimangano come tali anche dopo la deformazione (ipoesi piccole deformazioni). Presa la piastra individuiamo un riferimento (x,y,z) come in figura. Se ora individuiamo una striscia di tale laminato (cioè una lamina), posta ad una certa distanza “z” dal piano medio, per effetto dei carichi esterni applicati vi si presenteranno delle sollecitazioni interne (tensioni 𝜎 , 𝜎 , 𝜏 , non rappresentate in figura). A tal proposito da tali sollecitazioni (che sono sforzi, ovvero forze per unità di superficie) vi si definiscono le corrispettive forze e momenti per unità di lunghezza, che sono quelli rappresentati in figura (𝑁 , 𝑁 , 𝑁 , 𝑀 , 𝑀 , 𝑀 ). Tali forze e momenti risultanti per unità di lunghezza sono ottenuti per integrazione delle tensioni e dei momenti attraverso lo spessore: In realtà il laminato è formato da diverse lamine come già noto, quindi per laminati multi-lamina, la forza e il momento risultanti sono ottenuti sommando gli effetti per tutte le lamine. Se le lamine sono “n”, avremo: Dove ℎ ed ℎ sono le coordinate in direzione z della superficie superiore ed inferiore della k-ma lamina, rispettivamente A tal proposito si considererà che vale la seguente relazione (dopo dimostrata): (per deformazione del punto del laminato si intende la deformazione della generica lamina) NOTA: tale relazione è lineare con “z”: se z=0 (ovvero ci si trova alla lamina del piano medio, l’effetto della curvatura è nullo. Man mano che ci si allontana dal piano medio “z” aumenta e quindi l’effetto della curvatura si risente sempre di più. Se però non si hanno carichi tali da produrre curvature, allora la deformazione della generica lamina coincide con la deformazione del piano medio. Tale relazione può essere dimostrata come segue: A questo proposito, ricordando il legame costitutivo di una lamina nel riferimento globale, e sostituendo la relazione scritta prima si ottiene che il legame sforzi-deformazione per la k-ma lamina diventa: (dove è specificato k-ma lamina perché il laminato potrebe essere costituito da lamine tutte diverse). ORA ricordando che sono state rinvenute queste relazioni: se si sostituisce le espressioni di {𝜎} (formule a destra) nelle azioni risultanti (formule a sinistra) , e portando tutto cio che non dipende da “z” fuori il segno di integrale si ottiene: Risolvendo gli integrali in “dz” si ottiene: Cioè in forma matriciale si è ottenuto che: Dove le matrici [A], [B], [D] sono funzione della geometria, proprietà del materiale e sequenza di laminazione. Siccome N ed M sono noti, calcolati [A], [B], [D], è possibile rinvenire alle deformazioni del piano medio e le curvature. Dalla relazione vista prima = +𝑧 poi a sua volta si ricavano le deformazioni della lamina nel riferimento globale, cioè. Dal legame costitutivo ricavo le {𝜎} , e dalla relazione {𝜎} = [𝑇]{𝜎} ricavo le sollecitazioni della lamina nel riferimento locale. (Questa procedura è stata accennata alla fine del capitolo precedente). NOTA: gli elementi di [A] sono delle rigidezze estensionali: poiché legano i carichi nel piano con le deformazioni nel piano. Essi dipendono dalle caratteristiche elastiche delle lamine poiché vi vengono implicati i vari 𝑄 e dallo spessore delle lamine perché compaiono i vari ℎ − ℎ Gli elementi di [B] sono delle rigidezze di accoppiamento (assiale/flessionale):poiché legano i carichi nel piano alle deformazioni fuoi dal piano (ovvero le curvature). Essi dipendono dall’orientazione delle fibre θ, dalle caratteristiche elastiche delle lamine, poiché vi vengono implicati i vari 𝑄 , e non piu dallo spessore, perché non compare più ℎ − ℎ , ma da ℎ − ℎ , ovvero da un contributo legato alla posizione della lamina nel laminato. Gli elementi della matrice [D] sono delle rigidezze flessionali: poiché esse legano i momenti con le deformazioni fuori dal piano (ovvero le curvature). Essi dipendono dalle caratteristiche elastiche delle lamine, poiché vi vengono implicati i vari 𝑄 e da ℎ − ℎ , ovvero dipendono maggiormente dalla posizione della lamina nel laminato. Come detto all’inizio del capitolo supponendo di assoggettare il laminato a sforzo normale lungo “x”, dal sistema sopra scritto si vede che si vengono a generare sia deformazioni in termini di lunghezza lungo x ed y, sia scorrimenti angolari, ma anche una variazione della curvatura. Affinchè si voglia far si che NON sussistano, per tale condizione di carico, variazioni di curvatura (e quindi si vuole disaccoppiare ciò che accade nel piano da ciò che accade fuori da esso), si deve annullare la matrice [B]. Si farà quindi ricorso al laminato simmetrico. Si parla di “LAMINATO SIMMETRICO” quando lamina orientata di , ad una certa distanza dall’asse x (cioè dal piano medio), ce n’è un’altra uguale dall’altra parte. Si dimostra che in tali condizioni otteniamo che la matrice [B] è nulla, cioè: Tali laminati sono molto utilizzati in Aeronautica. Un esempio quindi di laminato simmetrico è caratterizzato da lamine disposte così: [90/0/45]. In questo modo si è separato ciò che accade nel piano da ciò che accade fuori del piano: a partire dal sitema scritto sopra si ha: Un ulteriore problema che nasceva dall’esempio fatto ad inizio capitolo consiste nel fatto assoggettato il laminato a sforzo normale lungo “x”, vi si vengono anche a creare scorrimenti 𝛾 (cioè deformazioni a taglio).Li si deve eliminare: ciò è possibile se i coefficienti 𝐴 , 𝐴 , 𝐴 siano tutti nulli. Si dimostra che ciò avviene nel caso di un laminato equilibrato cioè ad ogni angolo - (delle fibre di una lamina) corrisponde un angolo + (delle fibre di un’altra lamina,a prescindere dalla sua posizione). Un laminato che è sia simmetrico che equilibrato si dice bilanciato. Un esempio è fornito in figura in basso: In tal caso la relazione tra solecitazioni interne e deformazioni diventa: CONCLUSIONE: In tal modo (per laminato bilanciato) otteniamo da parte del laminato un comportamento isotropo, cioè si allunga nella direzione del carico e si restringe in direzione ortogonale al carico. In realtà c’è però un altro problema: nel caso in cui la lamina sia soggetta a momento flettente, nella situazione sopra rappresentata si capisce bene che vi si vengono comunque a generare curvature (cioè deformazioni a torsione).Li si deve eliminare: ciò è possibile se i coefficienti 𝐷 , 𝐷 , 𝐷 siano tutti nulli. Si dimostra che per risolvere tale problema si deve costruire il laminato antisimmetrico. Facendo ciò però si perde la proprietà di laminato bilanciato: quindi in linea di massima si dovrebbe scegliere uno dei due. Esiste però un laminato che sia contemporaneamente simmetrico ed antisimmetrico: basta usare esclusivamente lamine a 0° e 90° (Cross-ply), ma tale laminato non va bene perché non resisterebbe a sforzi di taglio (le lamine a 45 ° resistono bene a taglio). In quest’ultimo caso la relazione tra sollecitazioni e deformazioni è: Tutto ciò va nella teoria della laminazione. CENNI SUI CRITERI DI RESISTENZA Grazie alle proprietà tensoriali delle sollecitazioni, uno stato tensionale comunque complesso può essere risolto nelle direzioni principali 1-2 della lamina.Il come è stato detto prima: Siccome N ed M sono noti, calcolati [A], [B], [D], è possibile rinvenire alle deformazioni del piano medio e le curvature. Dalla relazione vista prima = +𝑧 poi a sua volta si ricavano le deformazioni della lamina nel riferimento globale, cioè. Dal legame costitutivo ricavo le {𝜎} , e dalla relazione {𝜎} = [𝑇]{𝜎} ricavo le sollecitazioni della lamina nel riferimento locale. Il problema è quello di sapere, una volta note le sollecitazioni 𝜎 , 𝜎 e 𝜏 che insistono sulla lamina nelle sue direzioni principali, quale valore massimo tali sollecitazioni possono assumere prima che si verifichi crisi nel materiale.Ciò può essere noto a partire dalla definizione dei criteri di resistenza della lamina. I criteri di resistenza più diffusi nel campo dei compositi, derivanti da differenti ipotesi di rottura, sono i seguenti: 1) Criterio della massima tensione; 2) Criterio della massima deformazione; 3) Criterio di Tsai-Hill. CRITERIO DI MASSIMA TENSIONE E’ basato sull’ipotesi che la rottura avvenga quando in una certa direzione viene eguagliato il valore di resistenza che compete al materiale in quella direzione (detto valore ammissibile); in termini analitici, si suppone di essere in sicurezza quando tutte le seguenti disuguaglianze vengono verificate: Il criterio è non INTERATTIVO:le sollecitazioni sono indipendenti le une dalle altre (non c’è mutua interazione dalle sollecitazioni). Nell’applicazione del criterio, le tensioni valutate nel sistema di riferimento globale tramite la teoria della laminazione, devono essere trasformate nel riferimento della lamina (tramite la relazione con la matrice T) e poi confrontate con i valori di resistenza. (ma questo è già stato detto prima). CRITERIO DI MASSIMA DEFORMAZIONE E’ basato sull’ipotesi che la rottura avvenga quando una delle componenti di deformazione lungo le direzioni principali della lamina è maggiore della corrispondente deformazione ultima della lamina in quella direzione. In termini analitici, si suppone di essere in sicurezza quando tutte le seguenti disuguaglianze vengono verificate: Questo criterio deriva dall’ipotesi che si verifichi rottura quando la distanza tra le particelle di un corpo supera un certo valore limite. Nell’applicazione del criterio, le tensioni valutate nel sistema di riferimento globale tramite la teoria della laminazione, devono essere trasformate nel riferimento della lamina (tramite la relazione con la matrice T); da queste poi ricavare le deformazioni nel sistema lamina da confrontare con i valori di resistenza. CRITERIO DI TSAI-HILL (CRITERIO ENERGETICO) Secondo tale criterio il materiale non cede per il raggiungimento di una sollecitazione critica, né di una certa distanza critica tra gli atomi, ma per motivi energetici. Se l’energia assorbita dal materiale supera una certa aliquota, allora si avrà rottura. Secondo questo criterio la lamina è in sicurezza finché viene verificata la disuguaglianza: NOTA:conviene usare tutti e tre e sopattutto occorre verificare tutte le lamine del laminato CAP 7:caratterizzazione meccanica dei materiali compositi Una delle caratteristiche fondamentali dei materiali compositi è la loro forte anisotropia: un materiale si dice anisotropo se e solo se la generica proprietà meccanica cambia in funzione della direzione di osservazione. Nelle due rappresentazioni in basso si effettua il confronto del modulo di rigidezza/elasticità “E” in funzione della direzione di osservazione di tale proprietà meccanica. Nel caso di materiali convenzionali isotropi, siccome la proprietà meccanica non dipende dalla direzione di valutazione ovvio che la curva di “E=f(θ)” è costante. Nel caso di materiale composito avremo un diverso comportamento del modulo di rigidezza in funzione della direzione di osservazione del fenomeno: come già è noto la rigidezza è massima qualora si carica il materiale nella direzione di orientazione delle stesse fibre. La “E=f(θ)” cambia a seconda di come disponiamo le fibre per il materiale considerato. Nell'esempio, supponendo che la direzione di orientazione delle fibre sia di 0 ° allora si può vedere che: i) Il modulo di resistenza è massimo proprio quando θ=0 °, perché si sta caricando il materiale nella direzione di orientazione delle stesse fibre (cioè nella direzione “1”) ii) Cambiando invece l'angolo caratteristico θ per il quale carichiamo il materiale, ovvio che la proprietà di rigidezza viene a mancare (tutto ciò testimonia il fatto che il materiale è anisotropo). Basta allonatanarsi poco dalla dalla direzione “1” affinchè la proprietà degradi fortemente (cioè la curva è fortemente decrescente). Come migliorare la proprieà meccanica anche nelle altre direzioni? Nella costituzione di un laminato basta disporre le lamine dai tenenti fibre ha diversi angoli di inclinazione (questo era già stato detto nei capitoli precedenti). In questo caso vi si è caratterizzato un laminato costituito esclusivamente da due lamine le qui fibre sono disposte rispettivamente a 0 ° e 90 ° (ovvero si ha un laminato [0/90]). Andando a graficare, per tale laminato come varia il modulo di rigidezza “E” in funzione dell'orienentazione con cui applichiamo il carico, e confrontando tale grafico con quello che è stato realizzato in precedenza (cioè considerando solo una lamina con fibre a 0 °), si vede che: 1) quando θ=0 °, il modulo di Young è diminuito rispetto al caso precedente (per il quale si ricorda che se aveva un massimo). 2) per θ che aumenta, nel caso della lamina con fibre disposte a 0 °(esempio precedente) il modulo di rigidezza decresceva molto ma molto velocemente; nel caso invece del laminato [0/90] invece si ha una decrescenza molto più lenta fino ad avere un minimo per θ= 45 °,( minimo che è comunque più alto del caso della lamina con fibre a 0 °). 3) Per θ> 45 ° addirittura, nel caso di laminato, il modulo di Young aumenta ( tutto ciò perché abbiamo disposto una lamina con fibre a 90 °) fino a toccare un nuovo massimo per θ= 90 °. Nel caso però in cui si costruisce un laminato costituito da lamine le cui fibre hanno tra loro orientazione diversa (solitamente 0 °, 45 °,-45 °, 90 °,-90 °), il ragionamento che è stato fatto sopra continua a valere, e quindi di conseguenza si riescono ad ottenere proprietà meccaniche globalmente migliori (ma tuttavia i valori massimi di “E” in una certa direzione saranno comunque più piccoli dei valori massimi nel caso in cui si considera la singola lamina con fibre disposte ad un certo angolo, cioè vale lo stesso ragionamento del punto.1) di prima) in tutte le direzioni: parleremo infatti di laminato quasi-isotropo. La curva riferita al materiale quasi isotropo come detto in precedenza è quella costante, mentre tutte le altre fanno riferimento al laminato unidirezionali ( che quindi presenterà il massimo assoluto di “E” in una certa direzione rispetto agli altri massimi) ed al laminato [0/90] Ciò che fa la differenza non è tanto il valore massimo vincente della proprietà, ma quanto il comportamento del materiale nelle varie direzioni di valutazione (o meglio la proprietà specifica rapportata al peso). La caratteristica più iportante è infatti il basso peso di tali materiali che li fa preferire ad altri, quali acciaio, sebbene talvolta presentino proprietà meccaniche inferiori. Per caratterizzare completamente un composito (lamina) si necessita la conoscenza di: 1) Caratteristiche elastiche:𝐸 , 𝐸 , 𝐺 , 𝜈 (dei due coefficienti di Poisson scelgo quello più grande come discusso nei capitoli precedenti). 2) Le caratteristiche di resistenza: 𝜎 , 𝜎 , 𝜎 , 𝜎 , 𝜏 (dove tr=trazione e cr=compressione. Tali caratteristiche devono essere esplicitate in entrambe le direzioni “1” e “2” a causa della caratteristica di anisotropia: per esempio sottoponendo una lamina a trazione nella direzione “1” , allora essa sicuramente eserciterà più resistenza rispetto al caso in cui è soggetta a trazione nella direzione “2”, perché nel primo caso stiamo tirando nella direzione delle fibre, le quali offrono un'ingente resistenza, mentre nel secondo si sta attirando nella direzione ortogonale a quella di orientazione delle fibre e quindi l'unica entità che offre resistenza è la matrice, che è molto scarsa; quindi 𝜎 è alto, mentre 𝜎 è basso, quindi sono diversi ). Per caratterizzare completamente un laminato, innanzitutto ci si deve rivolgere al riferimento del laminato (globale) (x,y), e poi si necessita la conoscenza di: 1) Caratteristiche elastiche:𝐸 , 𝐸 , 𝐺 , 𝜈 2) Le caratteristiche di resistenza: 𝜎 , 𝜎 , 𝜎 , 𝜎 , 𝜏 , 𝜏 (dove , 𝜏 è il valore del taglio che si va a realizzare tra una lamina e quella attaccata alla stessa lamina che può provocare scollamento e delaminazione) Nei capitoli precedenti tutte queste entità sono state caratterizzate da un punto di vista analitico: chiaramente nella vita reale, una volta che si è studiato il fenomeno analiticamente, lo si deve sottoporre anche a prove sperimentali. La fase sperimentale, per la quale si applicano le sollecitazioni al materiale e si misurano i valori esibiti sperimentalmente, è sempre meno onerosa mano a mano che i sistemi di calcolo (non tanto le leggi che sono alla loro base) diventano sempre più precisi ed affidabili (un metodo molto riconosciuto è quello degli elementi finiti “fem”), ma in ogni caso essa sarà sempre necessaria in quanto nella vita analitica non è possibile prevedere alcuni aspetti tecnologici (incapacità delle macchine di fare alcune cose o dell’artigiano nella realizzazione di un qualcosa). Inoltre tutti i modelli analitici che si costruiscono presuppongono sempre certe ipotesi restrittive che nella realtà non si verificano propriamente. Le prove sperimentali che consentono di reperire la conoscenza dei parametri sopra elencati sono: 1) Prova a tensione: per reperire le varie 𝜎 2) Prova a compressione: per reperire le varie 𝜎 3) Prova a taglio: per reperire le varie 𝜏 4) Prova a flessione: molto spesso materiale composito sarà soggetto ad una sollecitazione di flessione quindi è importante studiarne il comportamento PROVA DI TRAZIONE (/COMPRESSIONE) Il test a tensione è condotto attraverso delle macchine imponenti che potrebbero variare nella loro configurazione ma che in linea di massima si presentano come nella figura rappresentata in alto. Gli enti caratteristici fondamentali che si possono individuare sono i seguenti: basamento, traversa mobile, cella di carico, sistemi di afferraggio ed estensimetro. La prova va effettuata su un certo campione che prende il nome di “provino” (del quale sono date delle specifiche in basso): esso viene agganciato da due ganasce, che caratterizzano il sistema di afferraggio, le quali non sono altro che delle sorti di pinze che tengono ben strette le estremità del provino: quella inferiore è collegata ad una parte fissa detta basamento, mentre quella superiore è collegata ad una traversa mobile. La traversa mobile è collegata ad una cella di carico che è un sensore che consente di reperire il carico impresso al provino: infatti la traversa mobile, allontanandosi dal basamento è capace di imprimere un carico a trazione (o compressione avvicinandosi) al provino. In seguito a tale sollecitazione impressa al provino, esso si dilaterà, e la sua variazione di lunghezza sarà reperibile attraverso l' estensimetro: oggetto meccanico (oggigiorno analogico) che consente di reperire la variazione di lunghezza conseguita dal provino, grazie alla presenza di un resistore che variando la propria resistenza consente di reperire la deformazione puntuale.Una loro sottocategoria è rappresentata dagli estensometri che invece di reperire la deformazione puntuale consente di ottenere la deformazione media di tutto un tratto (meno accurato). Talvolta si pongono due estensimetri sulle due facce del provino per ottenere una misura più accurata, a causa di un possibile mal afferraggio da parte delle ganasce. Nel caso in cui la traversa mobile si avvicina al basamento, al provino è indotto uno stato di compressione e quindi di conseguenza la prova sarà appunto di compressione. La prova (e quindi la macchina) è controllata tramite appositi computer che registrano il carico impresso al provino, nonché la sua variazione di lunghezza istante per istante (quindi si può costruire la curva caratteristica tensione/deformazione). NOTA: la macchina è costruita con un basamento che è molto ma molto piu massiccio rispetto a tutti gli altri enti che la caratterizzano per assicurare alla macchina forte rigidezza, in modo che tutte le deformazioni che leggeremo al computer, risalenti alla prova, sono esclusivamente riferite al provino e non alla macchina stessa. Nel riuscire in questo scopo la macchina e caratterizzata anche da due traverse verticali ed una traversa orizzontale fissa, proprio per garantire maggiore rigidezza, in modo da non inficiare la prova. La cella di carico invece può essere vista come una sorta di sensore che reperisce il valore del carico istante per istante. Se si ripete l’esperimento più volte, si sta invece eseguendo la prova a fatica. Siccome quindi tramite tale macchina possono essere eseguite più prove, con provini di diversi materiali (prove a trazione, compressione, fatica e flessione, che enunceremo dopo, perché cambianto di afferraggi si può realizzare la flessione tre punti) proprio per questo motivo viene denominata macchina universale. Tramite questa prova si possono calcolare i parametri di nostro interesse. Solitamente per i materiali compositi non c'è tratto plastico (ma solo elastico, aspetto estremamente importante da ricordare): per reperire i valori di resistenza e quindi le 𝜎 occorre durante la prova aumentare progressivamente il carico fino a portare il provino a rottura (in quanto conoscere la tensione di rottura importante in alcune occasioni). Diversamente per reperire il modulo elastico “E” è inutile portare a rotture il provino stesso perché non appena avremmo letto la pendenza della curva 𝜎 = 𝑓(𝜀) avremo già reperito “E” (però necessitiamo dell’utilizzo dell’estensimetro per conoscere la variazione di lunghezza e quindi 𝜀). Effettuando la prova in due direzioni si reperisce il modulo di Poisson: 𝜈 =− L’esecuzione di questa prova (così come le altre) deve essere conforme a delle norme che impongono diversi aspetti: geometria del provino, velocità di carico, attrezzatura, tempistiche ecc. Ciò è utile anche per “omogeneizzare” le prove: le norme sono la garanzia che nelle relazioni reciproche un dato sia tirato fuori allo stesso modo.L’ente di unificazione internazionale è l’UNI. Per quanto riguarda i provini devono avere una geometria ben definita nella conduzione delle prove: secondo la norma ASTM D638, i provini per le prove di trazione devono avere forma ad “osso di cane” con sezione rettangolare: tale forma è necessaria per evitare che la frattura si inneschi nella zona di “afferraggio”, grazie al fatto che le sezioni di estremità sono di area maggiore (dove è presente un ingente carico). Se la rottura infatti avvenisse in concomitanza della regione di afferraggio, allora la prova è da ritenersi non valida. Il passaggio dalla regione di afferraggio (tozza) alla regione centrale (fine) NON può avvenire tramite un passaggio repentino, rapido (cioè brusca variazione di sezione), ma deve esserci un restringimento di sezione costante e lento, perché altrimenti si creerebbe, proprio nella zona di rapida variazione di sezione, un intensificazione degli sforzi che porterebbe il pezzo alla rottura. Questo provino è utuilizzato nel caso di materiale quasi isotropo, altrimenti si usa altro. PERCHE’? A causa della particolare geometria destritta, quindi S1>S2, ovvio che a parità di carico la tensione maggiore sarà risentita dall’area più piccola poiché: A causa della differenza di sollecitazione tale elementino tenderebbe teoricamente a ruotare, ma esso non ruota perché è vincolato dall’afferraggio. L’afferraggio quindi opera generando delle tensioni tangenziali τ che agiscono nelle zone indicate in figura provocando possibile rottura se il materiale è anisotropo, dato che la resistenza di un materiale composito ( a forte anisotropia) ad una sollecitazione di taglio è molto bassa. (Quindi per esempio per una lamina unidirezionale ciò non è possbile). Per i materiali ad alta anisotropia si utilizza un’altra geometria di provini detta D3039. Qui il provino è a sezione costante ma presenta delle protezioni di estremità (in inglese “tabs”) detti talloni, i quali sono incollati al provino. Cosa accade? Le ganasce esercitano carico su tali protezioni di estremità, il quale attraverso l’incollaggio è percepito al provino. Per la corretta prova tale situazione deve sussistere fino al termine (fino a rottura): quindi fino a che non si verifica rottura tali protezioni non si devono scollare. Anche l’area della superficie di incollaggio è normalizzata, al fine di stare in sicurezza. Con il provino a tallone si possono eseguire prove con fibre disposte, rispetto all'asse di carico, a: 0 °, 90 °, 45 ° (addirittura in quasto caso si riuscirebbe a conoscere anche il modulo di taglio, per qiesto valeva il discorso di “macchina universale”). Per quanto riguarda il tallone, affinché non si abbia lo scollamento durante l'applicazione del carico, deve essere verificata la seguente condizione, detta condizione di tallonatura. (il “2” deriva dal fatto che si ha un tallone sopra ed un tallone sotto). Questa è la condizione limite. I provini in realtà devono anche avere una lunghezza minima, affichè possa essere eseguita la prova. Tirando il provino (lungo la direzione 1) otteniamo una contrazione in direzione 2 impedita però dalle ganasce (questo fenomeno è detto effetto di Poisson impedito). Per questo motivo si stabilisce una lunghezza minima del provino stesso pari a 2 volte lo spessore. In sostanza si cerca di evitare gli effetti di bordo. Per una prova a tensione di un materiale composito unidirezionale: i) c’è mancanza di deformazione plastica ( quindi il comportamento come detto in precedenza è essenzialmente elastico,a differenza dei metalli). ii) Il composito unidirezionale ha un comportamento pressochè elastico (questo può essere un vantaggio o meno, dipende dall’applicazione). iii) Il carico di rottura di un composito unidirezionale è generalmente più alto di quello dei metalli. iv) Sottoponendo il composito unidirezionale ad un carico di trazione lungo la direzione longitudinale delle fibre , il provino giungerà a rottura quando si arriverà alla rottura delle fibre PROVA A COMPRESSIONE La prova di comprensione formalmente è semplice come quella di trazione, infatti basta invertire il verso di applicazione del carico rispetto a quanto visto per la trazione: in realtà però per la compressione è molto più complessa perché occorre considerare fenomeni di instabilità del provino. (Come al solito attraverso la prova a compressione si vogliono reperire modulo elastico e resistenza in entrambe le direzioni 1 e 2) Per essere più precisi le principali difficoltà verso cui questa prova di caratterizzazione va incontro sono: 1) Macroinstabilità: Un corpo snello (sottile e lungo), se caricato a compressione pura tenderà ad instabilizzarsi, a deformarsi cioè fuori del piano; si cerca di ovviare a questo problema attraverso l’uso di particolari attrezzature che bloccano il provino (per esempio esiste un attrezzatura che stringe le estremità del provino, impedendone la fuoriuscita, eccetto che le estremità). 2) Microinstabilità: instabilità delle singole fibre all’interno di ogni singola lamina; ogni fibra si comporta come una sottile asta caricata di punta. Il fatto che è un corpo snello (sottile e lungo) si è caricato a compressione pura tenderà ad instabilizzare, cioè a fuoriuscire dal piano è un fenomeno evidente nella vita comune: infatti basta prendere uno spaghetto per verificarlo. Supponendo di considerare uno spaghetto e di caricarlo a compressione: 1) nel caso in cui esso è abbastanza corto allora per un certo carico per esempio basso non darà vita a fenomeni di instabilità perché non fuoriesce dal suo piano di appartenenza 2) nel caso però in cui lo si prende molto ma molto più lungo si può osservare che esso inizierà fuoriuscire: ciò è quanto più evidente tanto più lo spaghetto è lungo, quindi snello. siccome le fibre di un composito sono molto ma molto più sottili e molto lunghe ovvio che questo ragionamento si ripete anche per queste ultime, quindi è un qualcosa da non sottovalutare. Se consideriamo infatti una lamina composta esclusivamente da due fibre, disposte molto lontano come in figura, allora nel caso di applicazione di un carico a compressione esse daranno vita al fenomeno instabilizzante citato in precedenza, ovvero usciranno dal loro piano di appartenenza. Ma siccome queste due fibre sono state disposte molto lontane tra di loro, esse possono deformarsi indipendentemente l’una dall’altra, cioè ciascuna fibra va per conto suo e non risente di quelle vicine. Questa situazione però è lontana da quello a cui noi ci interessiamo: a noi interessano materiali con alta % di fibre e quindi ci interessiamo soltanto al caso di fibre vicine: 𝑉 ≥ 60%. Se le fibre sono molto vicine tra loro ci sarà infatti interazione: ogni fibra non andrà più per conto suo ma sarà influenzata dalla deformazione delle altre fibre ad essa più vicine. In seguito quindi all'instabilità delle fibre, dal punto di vista tensionale, si ottiene un carico di taglio molto pericoloso per la matrice: questa potrebbe non resistere a taglio e quindi si rompe. NOTA IMPORTANTISSIMA: la macroinstabilità dipende sulla scelta fatta del provino, ma con le prove di caratterizzazione meccanica si vogliono torvare le proprietà del materiale, quindi il provino stesso non deve assolutamente influenzare il comportamento del materiale. Invece la microinstabilità dipende solo da come è fatto il materiale (ovvero le fibre) e quindi non si può intervenire su di esso. Come detto in precedenza si cerca di ovviare a questi problema attraverso l’uso di particolari attrezzature che bloccano il provino: in figura vi sono due piastre che bloccano il provino in modo da evitare le deformazioni fuori del piano. L’unica parte che resta fuori è l’estremità per garantire la compressione ad opera di due piatti meccanici. Con la modifica 89 abbiamo nuove tipologie di provini con: talloni più lunghi e tratto utile ridotto (ciò è utile a combattere l’instabilità).(Ciò definisce la prova ASTM D695-M89) Per un altro tipo di prova (sempre a compressione) esiste un attrezzatura troncoconica con un provino celanese: la sollecitazione in tal caso si trasmette sulla superficie laterale del provino per attrito. (Ciò definisce la prova ASTM D3410) Un ulteriore tipologia di prova consiste nel usare un’ attrezzatura a sezione rettangolare con un provino Celanese modifiato: ciò è usato per ovviare agli eventuali problemi di serraggio dovuti allo spessore del provino. In questo caso nascono sollecitazioni trasversali alla direzione di applicazione del carico. (Ciò definisce la prova ASTM D3410). Un ultima prova è quella RAE (Royal Aircraft Enstabilishment): è previsto un provino molto tozzo messo all’interno di due blocchi di resina o metallo; l’allineamento in tale prova è fondamentale perché altriementi i valori risulterebbero sballati del 70% circa, infatti il provino si spezza immediatamente. La sollecitazione è composta da taglio e compressione e consente di ottenere ottimi risultati (ovviamente è costosa ed impegnativa). NOTA IMPORTANTE: se tra tutte le prove di compressione si volesse ricercare quella migliore, non solo dovremmo concentrarci sulla ripetibilità della prova (ovvero ripetendo la prova si devono ottenere valori molto ma molto vicini), ma anche (cosa più importante) sul fatto che il fenomeno della microinstabilità non deve essere influenat