Hegel: Philosophical System PDF
Document Details
Tags
Summary
This document presents an overview of Hegel's philosophical system, discussing key concepts like the Absolute, reason, and the relationship between the finite and the infinite. It examines Hegel's approach to understanding reality through the lens of his dialectical method.
Full Transcript
Hegel Il sistema hegeliano viene considerato come l’ultimo grande sistema filosofico della storia, dal momento che ha una pretesa di spiegazione della realtà totale e onnicomprensiva. Tutti i filosofi fino ad ora studiati hanno dimostrato questo atteggiamento di pretesa totalizzante nello spiegare o...
Hegel Il sistema hegeliano viene considerato come l’ultimo grande sistema filosofico della storia, dal momento che ha una pretesa di spiegazione della realtà totale e onnicomprensiva. Tutti i filosofi fino ad ora studiati hanno dimostrato questo atteggiamento di pretesa totalizzante nello spiegare ogni aspetto della realtà e collocarla nel giusto posto, sulla base delle loro pretese speculative. La sua è una pretesa titanica, poiché il suo obiettivo è spiegare in che modo il soggetto si risolve nell’infinito e nell’assoluto. Hegel è egemonico in Germania e insegnerà a Berlino fino alla sua morte. Acerrimo nemico di Schopenhauer per questioni di cattedre universitarie, morirà nella città menzionata antecedentemente, riuscendo ad assistere all’ascesa di Napoleone III. Il pensiero hegeliano rappresenta il punto di arrivo dell’idealismo. Allievo di Fichte, egli ha come obiettivo la costruzione di un “sistema” che abbia come fine il superamento di opposizione tra soggetto (ovvero l’io, sia infinito che trascendentale) e oggetto, ovvero la realtà (come la natura, il mondo inorganico e organico, l’uomo e qualsiasi altra manifestazione politica, culturale…) che presenta aspetti unilaterali. Egli vuole superare l’opposizione tra l’io e il non-io riconducendo questa realtà al soggetto e ciò viene fatto elaborando il soggetto come totalità che si identifica con l’assoluto e lo spirito. L’assoluto hegeliano non è intuizione o sentimento e quindi non corrisponde con le vie romantiche riscontrate dagli artisti e dagli scrittori; esso è unità mediata delle determinazioni, nel senso che l’Assoluto è un’unità mediata dalle singole parti di cui è composto il reale (finitezza e separazione). Per arrivare all’assoluto bisogna comprendere le relazioni reciproche che coinvolgono le determinazioni attraverso la ragione e l’uso della dialettica. Facendo questa premessa, si realizza allora che l’Assoluto-Spirito è allora una realtà razionale che si manifesta nel tempo e nella storia ed è pertanto dinamica. Le fondamenta del sistema hegeliano Caposaldo del sistema hegeliano è la concezione di finito e infinito e quindi il rapporto tra parte e tutto: si tratta di un legame simbiotico, in cui le due parti si legano biunivocamente, con l’infinito si realizza nel finito e viceversa, generando quindi un rapporto organico che si auto-delimita nel finito. La realtà è allora un organismo unitario le cui parti sono le manifestazioni dell’Assoluto, che sono anche momenti necessari. Un’altra cosa importante è la concezione di ragione e realtà. Hegel sostiene infatti che “Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale”: per capire questa frase, bisogna comprendere il significato di razionale e di reale: Per razionalità, Hegel intende lo spirito assoluto non separato dalla realtà. La ragione, secondo Hegel, non è chiusa in sé stessa, e non è nemmeno qualcosa in sé per sé; è qualcosa che si manifesta e realizza nel reale, tant’è vero che Hegel parla di universale concreto, poiché si manifesta nella realtà come processo storico. Di conseguenza, la realtà è allora apparente casualità, uno sviluppo progressivo dello spirito. Ad esso è associato il concetto di panlogismo, secondo cui la realtà è una struttura logica soggiacente a ciò che esiste. Se il concetto di panlogismo indica come la realtà corrisponde al razionale, la realtà è pure quella che necessariamente deve essere. Secondo Hegel, se il mondo è articolazione della ragione non vi è spazio per l’irrazionale (e quindi il caos). Il compito della filosofia hegeliana Il compito della sua filosofia, allora, è comprendere le strutture razionali che costituiscono il reale. La filosofia per Hegel corrisponde alla Nottola di Minerva: la giornata che trascorre corrisponde alla realtà che si dispiega nel tempo e nella storia e come una nottola, il filosofo è colui che non interviene sulla realtà o la trasforma, piuttosto aspetta che gli eventi accadono e prova dare una spiegazione dialettica della realtà. È un concetto chiaramente associato al giustificazionismo. Con il giustificazionismo, tuttavia, Hegel non vuole dimostrare il bene o il male degli eventi bellici, ma piuttosto analizza i motivi razionali. Pertanto, il giustificare hegeliano è associato al “far rientrare le determinazioni unilaterali all’interno di una visione unitaria e onnicomprensiva in cui ogni fenomeno ha la sua spiegazione razionale”. Parola chiave della filosofia hegeliana non è la predestinazione degli eventi, ma un progetto volto al progresso. La differenza tra intelletto e ragione A partire dall’idea di giustificazionismo, Hegel si chiede in che modo gli uomini riconoscano la razionalità della realtà. Egli, come Kant, distingue qui intelletto e ragione, sostenendo che: L’intelletto si occupa dei fenomeni univoci della realtà per mezzo delle categorie (ovvero l’organo del finito, tanto criticato dai Romantici); La ragione, concepita in modo diverso dai due filosofi: se Kant la elabora come un qualcosa che fa esclusivamente Metafisica, Hegel la concepisce come un quid che mette in relazione gli aspetti della realtà, cogliendo la totalità unitaria del reale. La dialettica La dialettica è la struttura della ragione con cui conosciamo la realtà ed è la nostra legge logica, dal momento che la nostra ragione è dialettica: solo per questa proprietà essa è capace di sopraelevarsi all’intelletto. Tuttavia, se la nostra struttura razionale è dialettica, lo è anche la realtà, dal momento che la realtà corrisponde alla razionalità, quindi è anche legge ontologica. In definitiva, la dialettica è l’intero movimento che coglie la natura dinamica del reale e consta di un processo triadico: La tesi, ovvero il momento in cui l’intelletto percepisce la realtà fatta di oggetti statici e rigidi, ovvero le singole determinazioni unilaterali tramite il principio di identità (“A=A”, l’oggetto è uguale a sè stesso ma è diverso dagli altri), tant’è vero che la mente cristallizza gli oggetti e li esclude le relazioni che concernono l’uno dagli altri. Corrisponde al momento astratto, dal momento che va a considerare il suddetto oggetto o il concetto in sé e per sé. L’antitesi, ovvero il momento in cui avviene la negazione delle determinazioni, dove l’intelletto considera le determinazioni opposte degli oggetti (Esempio: per sapere cos’è il bene - l’elemento “A” - lo si deve mettere in contrapposizione al male - l’elemento “B”). E’ il momento dialettico o negativo razionale, in cui la singola determinazione viene messa in relazione col suo opposto; La sintesi, ovvero il momento che corrisponde alla negazione della negazione: tramite un movimento spiraliforme la sintesi supera tesi e antitesi e si realizza come “sintesi superiore”, conservando comunque momenti di tesi e antitesi. Da ciò si arriva alla consapevolezza che proprio nella “contraddittorietà” si ritrova la proprietà essenziale di ogni determinazione (quindi si può dire che l'unità vive nella molteplicità). Questo qui corrisponde al momento speculativo o positivo-razionale, chiamato anche “Aufhebung”, che indica il “superamento” e la “conservazione” delle opposizioni che vengono riproposte a un livello più alto. Questo processo triadico di tesi, antitesi e sintesi corrisponde ai tre momenti dello spirito per diventare assoluto, che sono: L’idea in sé e per sé, ovvero l'idea dello spirito chiuso in sé stesso, non ancora manifestatosi concretamente nel mondo (è come se fosse il “progetto” di un architetto prima ancora che diventa realtà). Essa corrisponde alla logica; L’idea “fuori di sé”, ovvero l’antitesi dell’idea e, in particolare, il momento in cui l’idea si esplicita nella realtà spazio-temporale. Essa corrisponde alla natura; L’idea che “ritorna in sé”, ovvero il processo attraverso cui l’idea si ricomprende e si manifesta nell’uomo come assoluto. Esso si manifesta nella Fenomenologia dello Spirito. La “Fenomenologia dello Spirito” (1807) Nella Fenomenologia dello Spirito, l’assoluto nel suo divenire diventa realtà, la quale è principio della risoluzione del finito nell’infinito e dell’identità di reale e razionale. Sono processi che si manifestano nella coscienza umana e quindi nel singolo uomo attraverso un “percorso di erramenti dello Spirito che, per ritrovare sé stesso nell’uomo, esso sbaglia, inciampa”, compiendo appunto la “Fenomenologia dello Spirito”, che studia il manifestarsi dello spirito nella coscienza umana e si occupa della ricostruzione del percorso mediante il quale l’uomo giunge alla comprensione di essere assoluto e del percorso dello spirito all’interno dell’uomo per raggiungere l’universalità. Nell’occuparsi di questa ricostruzione Hegel coinvolge l’uso di “figure”, che sono tappe di tipo storico, cioè diacronico (nel senso che serve un percorso che si evolve nello spazio e nel tempo e quindi si manifesta nella realtà sociale e culturale dell’uomo) e ideale, nel senso che tali figure presentano delle contraddizioni da dover superare nell’ottica di un movimento spiraliforme verso la sintesi. La prima parte della Fenomenologia è suddivisa in tre parti: La coscienza, ovvero la tesi in cui la coscienza si rapporta all’oggetto; L’autocoscienza, ovvero l’antitesi in cui la coscienza si scopre autocoscienza rapportandosi non più all’oggetto ma alla persona. In particolare, tale confronto con le altre persone passa attraverso il conflitto. La ragione, ovvero la sintesi tra coscienza e autocoscienza. Di queste tre parti studieremo l’autocoscienza. Le tappe per il riconoscimento attraverso cui la coscienza realizza di essere un’autocoscienza sono tre: figura di “signoria-servitù”, “stoicismo e scetticismo” e della “coscienza infelice”. La figura di “signoria-servitù” La figura di “signoria-servitù” è il momento di sviluppo dello spirito e figura storica, in particolare la schiavitù antica. In questo momento troviamo il primo riconoscimento tra autocoscienza attraverso la lotta, finalizzata all’asservimento di un’autocoscienza all’altra. Ciò accade quando un’autocoscienza non teme la morte (ovvero il padrone) e asservisce l’autocoscienza all’altra che teme la morte, che si sottomette (ovvero il servo), rinunciando alla propria autodeterminazione. Succede ora che lo Spirito riesce a capovolgere la situazione del servo-padrone, dove servo e padrone si scambiano i ruoli grazie a tre momenti dialettici, ovvero: La paura della morte, ovvero il momento in cui la coscienza del servo trema nel profondo di sé. Nel momento in cui il servo capisce che può morire, egli preferisce asservirsi, ma in questa angoscia della morte il servo si sperimenta al tempo stesso come autocoscienza; Il servizio, ovvero il momento in cui il servo, apprendendo la sua identità, inizia a servire il padrone e impara a vincere i propri impulsi. L’obbedire ai comandi del padrone implica il suo lavoro come atto liberatorio (è un concetto che poi Marx cambierà radicalmente, sostenendo che il lavoro svolto dagli operai, monotono e ripetitivo, andrà solo a frustrare tali lavoratori e non li libererà, portandoli all’alienazione). Lavoro, ovvero il momento in cui il signore diviene servo del servo e quest’ultimo diventa signore del signore. Avviene qui il suo pieno riconoscimento: lavorando, raggiunge l’indipendenza rispetto alle cose e ai bisogni immediati dal momento che non si rapporta più alle cose immediatamente per soddisfare in modo istantaneo le sue esigenze; piuttosto, le plasma e trasforma gli oggetti padroneggiandoli. Tramite ciò, egli proietta sé stesso nelle cose che plasma attraverso le proprie capacità, creatività e razionalità; Questo capovolgimento dialettico avviene perché il padrone usa il lavoro del servo per soddisfare i propri bisogni. In questa maniera, però, il servo padroneggia e trasforma gli oggetti al posto del signore, pertanto è quest’ultimo a divenire dipendente dal lavoro del servo e quindi perde la sua autocoscienza. L’autoriconoscimento della condizione del padrone come “servo del servo” dipende quindi dal riconoscimento del servo, divenuto padrone. La figura dello stoicismo e scetticismo Stoicismo e scetticismo sono due correnti che nascono in un momento in cui l’Impero Romano è in crisi e l’autocoscienza servile si “pensa come autocoscienza libera”. Con lo stoicismo, l’autocoscienza “rinuncia al mondo esterno” e si percepisce pertanto come unità libera, in quanto soggettività autosufficiente, e pensiero libero e indipendente dalle condizioni esteriori. Tuttavia, lo stoicismo presenta un limite, poiché la libertà di cui parlano gli storici è astratta e meramente interiore. Si passa allora allo scetticismo in cui l’autocoscienza, invece di rinunciare al mondo esterno lo “nega”, in quanto l’uomo non può conoscere la verità. Tuttavia, dicendo che “nulla è vero” lo scettico si contraddice in quanto afferma una verità, che dovrebbe essere esclusa dall’uomo secondo questo pensiero. La realtà, pertanto, rimane quindi in una sorta di limbo. La figura della coscienza infelice In seguito allo stoicismo e scetticismo, ultime filosofie antiche, vi è l’arrivo del cristianesimo. A fronte di ciò, la coscienza infelice rappresenta il tentativo da parte dell’autocoscienza di cogliere la verità (l’Assoluto). In questo momento, la coscienza dell’uomo cerca in tutti i modi di congiungersi con l’Assoluto. Nonostante le due figure precedentemente menzionate, l’uomo non è riuscito né ad accogliere assoluto e nemmeno ad affermare la propria libertà, quindi esso si congiunge con la verità e il suo desiderio di autoaffermarsi come tale tramite la ricerca di Dio. Inizialmente il processo viene svolto con l’ebraismo, momento storico-religioso in cui gli uomini vivono una separazione tra l’essere trasmutabile (l’uomo), e l’essere intrasmutabile (Dio, signore inaccessibile di fronte a cui l’uomo è in totale dipendenza). Ciò che permette il collegamento tra uomo e Dio è Gesù Cristo. Pertanto, il cristianesimo medievale rappresenta il secondo momento in cui l’uomo esce fuori da sé, ricongiungendosi a Dio. Tuttavia, si tratta di un vano sforzo da parte della coscienza per unificarsi a egli (vediamo ad esempio le crociate, il cui tentativo si manifesta poi nell’ “irraggiungibilità di un Dio al di là che sfugge”, nel senso che quest’ultimo è sfuggito già nell’atto in cui si tenta di afferrarlo. Di fronte a questa impossibilità di trovare Dio, la coscienza si annichilisce e si punisce attraverso tecniche di umiliazione e mortificazione di sé, come l’ascetismo. Con essa la coscienza dell’uomo compie un trapasso dialettico, rendendosi conto che in realtà è inutile essere infelici cercando Dio, in quanto esso non è altro che la proiezione della nostra coscienza e dal momento che Dio è una manifestazione dei caratteri perfetti del nostro io, è facile concludere che siamo noi stessi soggetti assoluti. Il terzo momento del sapere filosofico - Lo “Spirito Oggettivo” In seguito alla “Fenomenologia”, antitesi dello spirito soggettivo, si passa alla “Psicologia”, la sintesi che porta poi alla caratterizzazione dello Spirito Oggettivo, il quale si manifesta nella società: non si tratta più di uno spirito che si autoproduce nella natura, ma si produce nel mondo delle istituzioni umane, che sono il diritto, la moralità e l’eticità. L’eticità L’eticità è la sintesi che porta poi lo Spirito Oggettivo a trapassare in Spirito Assoluto. In essa si ritrova lo spirito che si realizza nelle istituzioni etiche, e quindi si realizza storicamente nella realtà del mondo degli uomini. Le istituzioni etiche, per Hegel, sono tre: La famiglia, che costituisce la tesi delle istituzioni etiche in quanto “sostanza etica che si manifesta nella forma più originaria e naturale”. È un sistema unitario e compatto, che costituisce la forma comunitaria più immediata e originaria ed è l’unione dialettica dei coniugi, basata sull’amore e la fiducia (e quindi un’unione felice) e indistinta dalle differenze con l’unità etica delle famiglie più antiche. La famiglia è articolata a sua volta in tre momenti: il matrimonio (l’unione dei coniugi), il patrimonio (e la sua relativa gestione) e l’educazione dei figli. La società civile. I figli, crescendo, rompono quella compattezza originaria della famiglia disperdendosi all’interno della nostra società. Questo momento, che corrisponde all’antitesi, è un momento molto conflittuale, perché nella società civile è vero che si vive assieme, ma in modo costretto, di fatto ognuno si fa carico dei propri interessi, obiettivi, egoismi e tornaconti personali: corrisponde all’individualismo liberale-borghese. Anche questo momento è articolato in tre momenti: il sistema dei bisogni (poiché per fare andare avanti la società vi è l’esigenza di sottoporsi a una divisione in classi sociali), l’amministrazione della giustizia (ovvero la legge) e la polizia (che garantisce la giustizia sociale); Lo stato, ovvero il momento di sintesi. La sfera della società civile è destinata a un trapasso dialettico, poiché all’interno dello stato, l’individuo si ricompone con la collettività sociale. Ciò non comporta che la società civile venga soppressa; lo Stato, semplicemente, arriva al recupero della società civile tramite una consapevolezza più matura, in cui gli interessi particolari vengono deviati verso un interesse comune, quindi la collettività corrisponderà al tempo stesso allo stato etico. Lo Stato nasce grazie alle istituzioni, che costituiscono la dimensione oggettiva e morale della società, nel senso che nello Stato l’uomo non percepisce le istituzioni e le leggi come qualcosa di estrinseco o costrittivo ma si identifica nelle istituzioni, comprendendo soprattutto che quest’ultime sono il mezzo attraverso il quale si può realizzare il bene comune. Insomma, sono le istituzioni che permettono la trasformazione dell’uomo in cittadino vero e proprio, ovvero come essere morale, altrimenti quest’ultimo supporterebbe un’idea di società decisamente anarchica. La legge diventa quindi un secondo habitus che caratterizza l’uomo, perché proiettato nell’uomo, e quindi la soggettività viene interiorizzata nelle istituzioni dello Stato. Lo Stato etico è una totalità organica, in cui i cittadini sono singoli momenti finiti della realizzazione dello Stato come cittadino ed è il singolo si risolve nell’organismo universale della comunità statale. Inoltre, lo Stato etico esprime come totalità organica lo “Spirito del popolo”, di cui è stato e corrisponde alla manifestazione della sua storia. Filosofia della storia: l’importanza della storia in Hegel L’eticità si conclude con la sintesi, che è lo Stato. Lo Stato è sia una totalità organica che esprime lo spirito del popolo. Lo stato si configura come spirito del popolo nella successione di tre forme statali, ultima di queste tre è il mondo germanico. Si era parlato della concezione organicista di storia, secondo la quale ogni evento è dovuto e regolato dallo Spirito. Com’è stato visto nell’Eticità, gli stati, i popoli e la loro storia sono i mezzi per il quale si può misurare l’avanzamento dello Spirito nel mondo, quindi la storia è una sorta di teatro in cui si ritrova la manifestazione più concreta dello spirito. I singoli avvenimenti storici che caratterizzano e costituiscono la vita di un popolo, di uno stato sono da considerare all’interno di una prospettiva in cui tutto è giustificato in funzione della realizzazione dello spirito nel mondo. Questo è il concetto di partenza per capire l’importanza della storia nella filosofia hegeliana. La storia viene esposta da Hegel in un’opera chiamata “Lezioni sulla filosofia della storia”, che consisteva nella scrittura di dispense date ai suoi studenti universitari, dove spiegava la propria concezione storica. Tali dispense sono state poi riunite e pubblicate svariate volte, nel quale viene esposta una concezione di storia associata all’avanzamento dello spirito nel mondo. Hegel contrappone due tipi diversi di considerare e concepire la storia: Da una parte la scienza storica, ovvero quella disciplina che si occupa di ricostruire empiricamente gli eventi storici. Con tale concezione di storia, si riflette sugli eventi come un insieme di fatti contingenti e mutevoli (caotici e scoordinati), come se questi eventi fossero privi di ogni piano razionale e non fossero, pertanto, mirati alla formazione dello Spirito nella storia. È l’intelletto finito che compie tale scienza, analizzando un evento storico che viene definito e ricostruito; Da un’altra parte la filosofia della storia, che esprime la visione della realtà di Hegel che è storicismo assoluto, secondo cui lo Spirito è sviluppo nella realtà del mondo e, pertanto storia. Nella storia, lo spirito si auto-identifica trovando sé stesso e rappresenta pertanto il divenire storico. È la ragione speculativa che compie tale filosofia. Hegel nelle Lezioni sulla filosofia della storia contrappone la scienza storica alla filosofia della storia. Nonostante la scienza storica consideri la storia come un insieme di fatti contingenti e mutevoli, in realtà il grande contenuto della storia del mondo è razionale e proprio la filosofia della storia e la ragione speculativa del filosofo devono mettere in luce l’immanente razionalità che ne guida teleologicamente lo sviluppo verso l’attuazione dello scopo universale del divenire storico, cioè la definitiva realizzazione della libertà. Concretamente, lo Spirito nella Storia è la meta verso cui lo Spirito avanza, il cui fine culmina nella realizzazione della libertà e del progresso, rappresentato dalla volontà razionale dello Spirito, che è progresso (razionale). Ciò viene ottenuto attraverso una successione di forme statali che progrediscono così come progredisce lo spirito nella storia. Esso coincide con: Il mondo orientale. La libertà comincia in Oriente, quando “uno solo è libero e tutti sono schiavi” e ciò corrisponde con il dispotismo delle monarchie orientali; Il mondo greco-romano. Lo Spirito da Oriente passa ad Occidente, manifestandosi nel mondo greco-romano attraverso le aristocrazie e oligarchie greco-romane, dove “pochi erano liberi e tanti erano prigionieri”; Il mondo germanico. La sintesi di tale libertà e progresso viene raggiunta nel mondo germanico in cui tutti sono liberi e questo momento coincide con la rivendicazione dei diritti civili e cominciano pertanto le rivoluzioni liberali. La scelta del mondo germanico non è un caso, perché esso viene elevato come la forma più perfetta di realizzazione della razionalità, perfetta manifestazione della razionalità dello spirito, del progresso della ragione nel mondo. Si ritrova anche una forma di eurocentrismo (Europa viene messa al centro) e pangermanesimo (secondo cui “tutto è Germania”). Contestualmente, la successione di forme statali viene affermata tramite i conflitti e le guerre: il movimento dello spirito si manifesta dialetticamente attraverso la guerra tra popoli rappresentanti di volta in volta gradi differenti dello sviluppo spirituale. Secondo Hegel, la guerra è da vedere con accezione assolutamente positiva e viene giustificata dal momento che è proprio attraverso il conflitto tra i popoli e il continuo e costante confronto bellico tra le forme statali dei vari stati che lo Spirito progredisce nella storia: la guerra ha valore morale ed è “salute etica dei popoli”, “il movimento dei venti che preserva il mare dalla putrefazione, nella quale lo ridurrebbe una quiete durevole, come vi ridurrebbe i popoli una pace durevole, o anzi, perpetua”. Hegel critica concetto di pace perpetua, già visto con Kant, e paragona la guerra al vento con un momento dialettico: la guerra è movimento perché come il vento preserva il mare dalla putrefazione, allo stesso modo la guerra preserva il popolo da una pace durevole e perpetua. Hegel crede che questa pace perpetua non sia un bene per il popolo perché porta alla morte della società civile, dei popoli e dello stato, mentre la guerra definisce i valori collettivi e l’identità collettiva di un popolo. Inoltre, essa permette la morte di uno stato e la nascita e sviluppo di un altro stato, che corrisponde a quello che ha vinto la guerra nel momento in cui il popolo dominante perde la propria identità e il suo ruolo guida e al suo posto si afferma una nuova entità dominante che vince la guerra e che rappresenta il nuovo popolo storico-mondiale, in cui si incarna storicamente la forma più avanzata ed evoluta dello Spirito, incarnata in ogni popolo ed evento storico specifico. Il popolo vittorioso viene definito da Hegel come lo “storico mondiale”, che corrisponde alla manifestazione dello spirito. La guerra permette sempre il passaggio a una forma più elevata e avanzata di Spirito nel mondo. Lo Spirito nella storia si manifesta incarnando lo Spirito di un popolo, anch’esso attraverso i tre mondi appena accennati, ma anche tramite sua identità storica (ovvero diritto, costumi e religione). Per Hegel, quando si parla di manifestazione dell’assoluto nella storia ci si riferisce alla realizzazione della libertà che si realizza e coincide con gli stati. Lo stato è la realizzazione dello spirito nel mondo oggettivo. Non è soltanto lo Stato il protagonista della storia, ma anche il popolo: lo spirito si incarna poi nel popolo, nell’umanità che costituisce lo stato. Nella storia, lo Spirito nella storia si realizza tramite dei gli individui cosmico-storici, ovvero i grandi eroi e “forze motrici della storia” come Alessandro Magno e Napoleone. Questi individui, dalle personalità spiccate, credono di seguire le proprie “passioni” (come il desiderio di gloria e di potere, il dominio, l’impero e la ricchezza) per poter realizzare i propri fini nella Storia. Questi individui, tuttavia, non sono consapevoli di quello che stanno facendo, poiché sono meramente strumenti della ragione, attraverso cui lo Spirito stesso può realizzarsi. È il motivo per cui si parla di “astuzia della ragione”: lo spirito del mondo, dopo averli utilizzati per i propri fini in cui tali individui non servono più, la ragione li getta via “come gusci vuoti” e li fa perire di una fine tragica. La ragione non considera le singole personalità in nome di un avanzamento progressivo dello Spirito nella storia.