Farmacologia 1 - Exam Notes PDF
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2022
Prof.ssa Claudia Sagheddu
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Summary
These notes cover the first lecture in a pharmacology course. Topics include an introduction to pharmacology, including its definition and the study of drugs and their interactions with living organisms. The lecture further discusses the characteristics of an ideal drug emphasizing the importance of efficacy and minimal side effects. It also talks about the development and production of new drugs, including the clinical trials phases, from bench to bedside.
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Esame Farmacologia 1 Docente Prof.ssa Claudia Sagheddu Lezione 1 del 2/10/2022 Sbobinatori Alessandro Argiolas, Alessandro Argiolas Informazioni utili La prima parte delle lezioni verrà svolta dalla prof.ssa Sagheddu mentre la restante parte verrà svolta dal prof. P...
Esame Farmacologia 1 Docente Prof.ssa Claudia Sagheddu Lezione 1 del 2/10/2022 Sbobinatori Alessandro Argiolas, Alessandro Argiolas Informazioni utili La prima parte delle lezioni verrà svolta dalla prof.ssa Sagheddu mentre la restante parte verrà svolta dal prof. Pistis. I docenti consigliano i seguenti testi: - “Farmacologia principi di base e applicazioni terapeutiche” di Rossi e Cuomo - “Le basi farmacologiche della terapia” Goodman & Gilman’s La modalità d’esame è preferenzialmente scritta e prevede domande a risposta multipla e domande aperte, per motivi organizzativi concederanno lo scritto ad un solo appello altrimenti è previsto un appello al mese in modalità orale. Il programma di Farmacologia 1 si basa sullo studio della farmacodinamica e farmacocinetica, farmaci che agiscono sul sistema nervoso autonomo e sul sistema nervoso centrale. Più avanti verranno proposti dei corsi opzionali da parte dei docenti. Introduzione e obiettivi Il corso di farmacologia cercherà di dare una cornice, con i cassetti, che vi consenta di aprirli al momento giusto quando sarete in corsia, ricordandovi che il corso non può essere esaustivo di tutta la farmacologia per due motivi: sia temporali, ma anche perché è una scienza in evoluzione. Non è possibile sapere tutto nel giro di un anno. Che cosa è quindi la farmacologia? La farmacologia (dal greco antico: φάρμακον, phármakon, «rimedio» e λόγος, lógos, «discorso») è lo studio dei farmaci e delle loro interazioni con gli organismi viventi. È diventata una disciplina organizzata. La farmacologia è una scienza sperimentale che richiede quindi esperimenti, in particolare quelli che facciamo a livello preclinico; segue le regole della sperimentazione per valutare in maniera oggettiva (questa è una parola importante quando si parla di sperimentazione e scienza) l’efficacia terapeutica e il grado di tossicità di una molecola. Il farmaco ideale sarebbe pertanto quella molecola in grado di dare benefici senza presnza di effetti collaterali, tuttavia questo non esiste. La farmacocinetica si occupa di studiare il “viaggio” del farmaco all’interno del corpo. Noi utilizzeremo queste tecniche per capire la dose giusta del farmaco andando ad aumentare il rapporto beneficio rispetto al rischio. È qui che la farmacologia diventa una scienza. In breve quindi la farmacocinetica studia le dosi che giuste che rendono il farmaco terapeutico e non tossico. Poi cosa succede? All’interno del corpo ci sarà il farmaco che avrà raggiunto il punto target (il bersaglio), e avrà una sua azione, e questa è la farmacodinamica. Quindi attenzione a non confondere le due cose. Il farmaco e le sue caratteristiche Chi è la star di questo corso? Il farmaco. Innanzitutto, non so se lo sapete, ma in inglese noi li chiamiamo drugs, ed è un termine che non distingue tra molecole che hanno azioni dal punto di vista di creare dipendenza, e le molecole delle preparazioni farmaceutiche. Infatti, è un termine che richiama sia a rimedio che a veleno. Può essere qualcosa di positivo o di negativo. Le molecole di per sé non sono necessariamente buone o cattive, dipende da come le si usa e questa sarà una nostra competenza: capire quanto farmaco utilizzare. La prima domanda che spesso dovrete affrontare è: in questo caso serve un farmaco? In clinica non è detto che serva sempre, voi dovete fare la vostra pratica, però può darsi che in certi casi ci siano altre terapie possibili: parlo ad esempio della psicoterapia, ma è possibile anche in questo momento considerare l’attività fisica, voi sapete che in molte regioni e anche a livello internazionale si prescrive quest’ ultima come una terapia. Voi ricordate: serve il farmaco? Se sì quale? Quando? Come e perché? E a quel punto recuperate le informazioni dalla farmacologia. Un farmaco è una sostanza con composizione nota con proprietà curative o profilattiche che possa essere somministrata allo scopo di definire diagnosi, o ripristinare o correggere o modificare determinate funzioni organiche. Quindi queste molecole dovranno fare qualcosa nel corpo, e se hanno un effetto ci saranno degli effetti collaterali. Paradossalmente per tutto ciò che viene proposto, venduto, propinato a livello di comunicazione pubblica come ciò che non dà effetti collaterali, a volte in maniera un po’ generica, bisogna chiedersi se effettivamente possa agire. Sicuramente gli effetti indesiderati dovrebbero essere meno degli effetti benefici, però fa storcere il naso qualcosa di venduto come perfetto. Interagirà al meglio con i tessuti biologici? È così perfetto nell’ andare a bersaglio? Un farmaco deve essere efficace. Cosa intendiamo con essere efficace? Il fatto che effettivamente il farmaco modifichi una funzione fisiologica, o nel caso di una malattia ovviamente una funzione che ormai è diventata patologica. Valutando il rapporto tra efficacia terapeutica ed effetti collaterali non desiderati Caratteristiche di un farmaco ideale Una molecola che presenta un meccanismo specifico e selettivo. Per specifico si intende come qualcosa che sappiamo benissimo dove andrà ad agire, e selettivo perché anche tra piccole differenze di recettore o altre molecole target, possibilmente dovrebbe essere il più selettivo possibile. Da questo punto di vista la ricerca non si ferma, quindi molti dei farmaci che sono stati sviluppati negli anni passati, che sono sicuramente efficaci, possono essere migliorabili, sono perfettibili. La ricerca in farmacologia cerca di curare questi aspetti. I chimici farmaceutici cercano sempre di modificare gruppo funzionale, o altre caratteristiche della molecola per migliorarne le caratteristiche. Un farmaco ideale è attivo a basse dosi e ha tossicità trascurabile. “Nulla è di per sé veleno, tutto è di per sé veleno, è la dose che fa il veleno”. È una frase di Paracelso, un medico del 1500 ed è così importante perché mette a fuoco un concetto fondamentale, ovvero che è la dose del farmaco che può fare la differenza tra gli effetti terapeutici desiderati e gli effetti collaterali. Quindi c’è da valutare il rapporto del rischio / beneficio. Ritornando al discorso che ho fatto all’inizio, la prima domanda che dovrete farvi è: ci vuole davvero un farmaco in questo caso per questo paziente dopo che ho fatto questa diagnosi? Dovrete valutare esattamente questa formula. Dovrete considerare qual è il beneficio che trarrebbe il paziente nei confronti di quei sintomi o addirittura nella risoluzione della patologia, rispetto ai possibili effetti collaterali che vanno sempre tenuti a mente. Quindi i benefici terapeutici vanno considerati rispetto agli effetti possibili avversi. Sviluppo e Produzione di nuovi farmaci Abbiamo già parlato del chimico che può modificare le molecole, e abbiamo già nominato il fatto che siano delle sostanze naturali che possono diventare dei farmaci, però che differenza c’è tra una molecola nel cassetto di un chimico farmaceutico e un farmaco? Ci sono tanti passaggi che ora vediamo, e durano anni e anni di sperimentazione. Questa è la fase che noi chiamo from bench to bed side, quindi dal banco del laboratorio al lato del letto del paziente. Nella ricerca preclinica avremo delle fasi in cui la molecola viene testata innanzitutto in vitro, su dei campioni di tessuto specifici, colture cellulari ad esempio, oppure attraverso una serie di saggi e dosaggi, dati analitici, proprio della struttura del farmaco. Poi abbiamo un’altra fase che è l’indagine preclinica in vivo, in cui si va a valutare efficacia, tollerabilità, durata dell’effetto terapeutico, tossicità cronica e parametri farmacocinetici. Quindi l’utilizzo di un modello sperimentale anche animale è fondamentale. Dopo che si son accertati questi parametri di base sull’animale (perché se provo una molecola tossica su un animale, io eviterei di passarla all’uomo) si parte con la sperimentazione di tipo clinico, quindi inizia già ad essere più vicina a quello che sarà il vostro mondo, si passa agli esseri umani. Ci sono diverse fasi che sono regolate e controllate dagli organismi. Nella fase 1 si testa la sicurezza e la tollerabilità su soggetti sani. C’è quindi un gruppo di soggetti senza alcuna patologia, o almeno non sicuramente quella relativa alla molecola da testare, che prenderà il farmaco sotto controllo medico e si vedrà in maniera grossolana se la sostanza è particolarmente tossica per fare una piccola scrematura. Se il farmaco supera questo primo step si passa alla fase 2. La fase 2 riguarda invece l’efficacia e coinvolge pochi pazienti selezionati, e si va a vedere se il farmaco è efficace nel contrastare le problematiche per cui è stato pensato. Anche questo viene fatto su un numero limitato di pazienti, sempre per evitare, nel momento in cui ci fossero dei problemi, di avere tante persone coinvolte, ma anche per motivi di costi. In fase 3 si cerca di confermare l’efficacia su un numero di pazienti maggiore; quindi, si aumenta il campione di soggetti e se possibile si inizia anche a fare anche un confronto. Ci sono due tipologie di confronto e possono essere relativi rispetto ad una molecola già conosciuta oppure rispetto al placebo. Sapere che una molecola è efficace più o meno rispetto ad una già conosciuta e soprattutto rispetto ad una molecola che dovrebbe essere equivalente all’acqua fresca è una chiave fondamentale. Poi c’è anche da considerare il possibile effetto nocebo, ma quello si tende piuttosto ad escluderlo. Da Treccani: Risposta patologica dell'organismo umano in alcuni soggetti particolarmente suggestionabili che, temendo l'insorgere di un sintomo, ne favoriscono la comparsa; tale effetto si osserva anche in seguito alla somministrazione di un farmaco che prevede effetti collaterali, pur trattandosi di un placebo Questo disegno (immagine a inizio paragrafo) serve giusto per farvi vedere come ogni fase dovrebbe essere l’una la conseguenza dell’altra e comunque richiede tanti anni, si arriva sino a 20, ma vi posso dire che delle molecole richiedono anche più tempo. Volevo sottolineare in questo contesto come sia stato possibile invece sviluppare in tempi rapidissimi i nuovi vaccini per il Covid, che è stato uno degli argomenti più utilizzati in senso antiscientifico dai critici per sostenere che questi vaccini non siano sicuri. Ma come? Questo percorso richiede un tot tempo e per quale motivo questo ha fatto in fretta? E qui sono partite le varie ipotesi: non hanno testato bene le cose oppure perché vabbè la lobby farmaceutica fino alle ipotesi più fantasiose. La verità è che queste fasi nel caso dei vaccini sono state condotte ove possibile in parallelo piuttosto che in maniera consequenziale, e quindi si è riusciti ad accelerare il processo. Senza considerare il fatto che la ricerca di base che ha portato a questo tipo di nuovi vaccini è iniziata nei primi anni duemila. Nessuno creda che quei vaccini siano arrivati in sei mesi dal nulla. C’è poi la fase 4, diciamo che è l’ultima anche se è infinita (volendo) perché è la farmacovigilanza, in cui si monitorano e si raccolgono le informazioni che arrivano riguardo al farmaco che ormai è stato approvato ed è arrivato anche sul mercato. Coinvolge diversi attori, che vanno da medico di base, al farmacista per esempio; chiunque sia nell’ambito del settore può segnalare agli enti preposti eventuali eventi avversi. Qualsiasi effetto collaterale può essere segnalato, e ovviamente se il numero di segnalazioni per un certo tipo di manifestazione diventa numeroso si riparte da capo, ed è motivo per cui qua nell’immagine io ho messo un numeretto (3) e questo è per farvi focalizzare l’attenzione sul fatto che con la farmacovigilanza non è finito nulla di per sé. Abbiamo detto che la farmacologia è una scienza in divenire, è sempre in evoluzione e se necessario si torna alle fasi precedenti della sperimentazione clinica, e se necessario si torna ancora indietro a modificare le molecole che sono state studiate e a ritestare nuovamente sugli animali. Attenzione perché io vi presento una cosa con una sua linearità temporale, in realtà c’è la possibilità che queste fasi si intersechino in qualche modo. Quali sono le agenzie che se ne occupano? L’AIFA, agenzia italiana del farmaco, che grazie a questa EudraVigilance, una banca dati europea raccoglie tutto anche grazie al lavoro dell’EMA, agenzia europea. Se voi andate in questo momento a vedere i siti internet di AIFA ed EMA sono un po’ cannibalizzate dal Covid, rispetto ad un tempo dove le notizie potevano essere più variabili, al momento la fa da padrona tutto ciò che parla di terapie relative al Covid. Ritorniamo ora alla scheda iniziale, ovvero alla prima classificazione della farmacologia generale in farmacocinetica e farmacodinamica. Quelle che poi saranno le informazioni sui singoli farmaci, sulle singole classi di farmaci, saranno invece materia della farmacologia speciale. Farmacocinetica Studia che cosa succede al farmaco nel momento in cui entra nel nostro organismo: l’evoluzione temporale delle concentrazioni dei farmaci, e dei suoi metaboliti. Ci sono delle fasi che sono ben definite e sono: assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione. Sono parole che sicuramente avete già sentito nominare, ma cercheremo di riempire di significato ognuna di esse, e saranno presentate in linea temporale perché vi è una certa logica; tuttavia, anche in questo caso vi rimanderò più volte all’idea di ricordarvi sempre che alcune fasi possono avvenire anche in contemporanea e non necessariamente in una successione temporale. Iniziamo quindi a capire questi primi elementi della farmacologia La farmacocinetica si occupa di sviluppare dei farmaci, selezionare la via di somministrazione, scegliere la forma farmaceutica, fondamentale perché contribuisce a capire quale sia la via di somministrazione migliore, e poi tutte le fasi successive, conoscere la capacità di accesso all’organo e ai tessuti, quindi parleremo un pochino anche di volume di distribuzione, conoscere le vie metaboliche, che cosa succede al farmaco una volta che l’organismo inizia a difendersi. Io me la immagino come una sorta di battaglia tra il nostro organismo e questa molecola. Il nostro organismo percepisce la molecola come qualcosa di esogeno, e cerca in qualche modo di difendersi, poi vedremo come. Si occupa ancora di caratterizzare i processi di eliminazione, stabilire le relazioni con la risposta farmacologica, quindi anche in questo caso l’efficacia, e migliorare i risultati dei trattamenti. C’è tutto il cuore della farmacologia, con i suoi obiettivi come scienza sperimentale. Questa è la curva di farmacocinetica con la quale dovrete fare amicizia, che cosa vediamo in questa curva? In questo caso è un esempio dopo una somministrazione orale, immaginate di somministrare un farmaco; quindi, t=0 e poi abbiamo un asse cartesiano che ci fa vede come si sviluppa la concentrazione del farmaco nell’organismo rispetto all’andamento temporale. Vedete quindi che ci sarà un momento in cui la concentrazione del farmaco salirà a sufficienza da iniziare ad essere efficace; quindi, questo è il punto della MEC, della concentrazione minima effettiva. Vuol dire che al di sotto di questa concentrazione il farmaco è come se non ci fosse. Da questo punto in poi invece incomincia ad essere efficace, raggiungerà poi un livello massimo di concentrazione e poi tenderà a scendere, perché come dicevamo anche l’organismo inizierà a difendersi con il metabolismo e con l’eliminazione. Quindi fin qua il farmaco sarà ancora efficace e poi con l’andare del tempo, superato questo limite non sarà più efficiente nuovamente, vincerà per certi versi l’organismo se vogliamo, che non ha la più pallida idea che noi vogliamo aiutarlo. Quando la concentrazione del farmaco dovesse superare dosi eccessive, perché non si è rispettata la farmacocinetica o per condizioni individuali del paziente (es. patologie), si potrebbe avere una dose considerata tossica. Questa è nota come massima concentrazione tollerata e pone il “limite” dell’indice terapeutico quindi il confine tra dose terapeutica e nociva. Una cosa fondamentale e che inizio a proporvi e che poi vedremo più in là è il concetto di area sotto la curva AUC, è un concetto fondamentale che ci consentirà di valutare alcuni paramenti di farmacocinetica, quindi cominciate a tenerla a mente. Quindi questa è una prima presentazione della curva di farmacocinetica per una somministrazione orale. Assorbimento Abbiamo un farmaco che viene somministrato ad un paziente e dovrà essere assorbito. Il farmaco è una molecola chimica spesso e volentieri (anche se le cose stanno cambiando), però noi siamo fatti di materiale biologico, e abbiamo i tessuti specifici e alcuni di questi hanno caratteristiche peculiari; quindi, dovremo valutare qual è il passaggio di questa molecola dal sito di somministrazione al torrente circolatorio. Che cosa succede? Questo passaggio innanzitutto è influenzato dalle caratteristiche stesse del farmaco. Un farmaco può essere più o meno liposolubile, ha un peso molecolare specifico e un suo stato di ionizzazione. Per quanto riguarda la liposolubilità la prima cosa che vi viene in mente quale potrebbe essere? Considerate che c’è un farmaco che vuole entrare nel nostro corpo, che è fatto di cellule e queste hanno una membrana plasmatica che è fondamentalmente lipidica, anche se ovviamente ci sono anche le proteine. Quindi capite che se il farmaco è più lipofilo passa più facilmente attraverso le membrane, rispetto a un farmaco che ha caratteristiche di idrofilia, che invece tenderà a essere compartimentalizzato all’interno o all’esterno, starà nei compartimenti acquosi e tenderà a non attraversare la barriera. Per quanto riguarda il peso molecolare in maniera intuitiva possiamo pensare che piccole molecole passano più facilmente rispetto a quelle grandi, e vedremo che ci sono dei trasportatori e molecole che aiutano il passaggio; e poi lo stato di ionizzazione, anche su questo ci torneremo più volte durante la farmacocinetica, ne parleremo a partire dall’assorbimento, alla distribuzione e all’eliminazione. Quindi lo stato di ionizzazione della molecola è cruciale per capire come si comporterà la molecola all’interno del corpo o come il corpo si difenderà da essa. Poi abbiamo lo stato del paziente, che influenza sicuramente l’assorbimento. Ognuno di noi innanzitutto è diverso, abbiamo delle caratteristiche genetiche diverse che potrebbero costituire delle informazioni diverse nel gestire il farmaco all’interno del corpo. Poi abbiamo sessi diversi, età diverse, stati specifici di fisiologia e patologia, e poi c’è il caso della gravidanza. Ci sono tante cose da considerare e non vanno sottovalutate. Come vi dicevo è una dialettica tra il farmaco e il paziente. Ogni volta bisogna considerare tutto. Quindi qua vi ho messo alcuni esempi: diversa motilità gastrica, presenza di cibo nello stomaco, il pH perché come dicevamo lo stato di ionizzazione comunque influenza l’assorbimento e vedremo meglio come il pH del sito (banalmente nello stomaco inizialmente) fa la differenza. Anche l’area della superficie assorbente può fare la differenza, se ci pensate è molto intuitivo perché come è fatto il nostro intestino: è molto lungo e in più ha l’epitelio con i microvilli che servono ad assorbire, in teoria solo le sostanze nutritive ma noi sfruttiamo questa caratteristica anche per far assorbire i farmaci. Quindi ricordatevi di attingere a tutte le vostre conoscenze già acquisite nei corsi precedenti, non staccate le informazioni, cercate sempre di fare collegamenti. A questo punto passerei a qualche informazione specifica che riguarda appunto lo stato ionizzato o non ionizzato delle molecole. Il mio consiglio è di andare a rivedervi i concetti di biochimica perché comunque vi servono. Sappiamo che lo stomaco ha un pH molto acido e sappiamo che il plasma ha un pH di 7.4, e prendiamo questo valore come il pH fisiologico generale, ci sono delle eccezioni però 7,4 è decisamente meno acido dello stomaco. Abbiamo quindi questa molecola che per semplicità abbiamo assunto per via orale e si trova nello stomaco e deve passare in un altro ambiente, deve superare queste barriere. Abbiamo detto che lo stato di ionizzazione aiuta il superamento delle membrane cellulari, deve passare per un compartimento come il plasma che ha un pH un pochino più basico rispetto a quello dei succhi gastrici. Se abbiamo il caso esempio di un acido debole, succede che in ambiente acido, quindi nello stomaco, non è ionizzato, quindi in questo stato le molecole sono più liposolubili (simboleggiato da HA) e quindi riescono a passare la membrana e andrà verso un compartimento con un pH più basico. Ricordatevi che questo passaggio dipende sempre dalla pKa di una specifica molecola, ed è il motivo poiché vi suggerisco di andare a rivedere i concetti dalla biochimica. Invece se la molecola è ionizzata è più idrosolubile e quindi in qualche modo verrà “rimbalzata” dalla membrana che invece è quasi interamente lipidica. Quindi va considerato sempre qual è lo stato generale della condizione quando si parla di farmaco, quando valutate se la somministrazione deve essere orale pensate quindi pH dello stomaco, oppure se ci sono delle condizioni patologiche che vanno ad alterare il pH fisiologico del paziente, nei compartimenti in cui noi stiamo andando a cercare il bersaglio. Queste informazioni le vedremo anche in maniera più approfondita quando parleremo di eliminazione perché ricordatevi che le membrane non ci sono solo tra lo stomaco e il plasma e vasi che poi porteranno la molecola in giro, ma le membrane sono cruciali per poi far passare il farmaco nel sito bersaglio, per l’eliminazione con il passaggio nei reni; e in più ricordiamo che non c’è solo la membrana cellulare plasmatica, ma ci sono anche tutte le membrane interne e non è detto che il farmaco abbia un target extracellulare, perché se il target finale è intracellulare anche quella barriera dovrà essere superata, e poi andremo a vedere come. Meccanismi di trasporto Quindi abbiamo diversi modi per far passare questo farmaco attraverso questa membrana, questi sono dei concetti che dovreste già avere dal corso di fisiologia, però noi li rivediamo. Un farmaco può passare attraverso la membrana per diffusione semplice, ed è il motivo per cui un farmaco più è lipofilico, più lo stato è ionizzato o meno, più facilmente può superare la barriera della membrana da solo, senza aiuto. Poi c’è la diffusione facilitata e l’abbiamo riassunta con questi due carrier (trasportatori), e prevede che ci sia una proteina transmembrana, che attraversa la membrana da una parte all’altra e che sia in grado di creare una sorta di poro, che accetti il legame con la molecola e ne faciliti il passaggio dall’altra parte. Quindi il nostro farmaco riesce a passare da un ambiente acquoso a un altro ambiente acquoso bypassando la membrana grazie a questo facilitatore. Poi parliamo del trasporto attivo che prevede sempre la presenza di proteine transmembrana e che sfrutta o un gradiente ionico pregresso creato ad esempio dalla classica pompa sodio-potassio, e sfruttando un gradente di uno ione, utilizza l’energia per pompare in senso opposto il farmaco, oppure sfrutta addirittura la possibilità di idrolizzare l’ATP, la molecola energetica per eccellenza a livello cellulare, e utilizza l’energia liberata per pompare il farmaco in direzione contraria rispetto all’eventuale gradiente. Capite che il farmaco subisce delle destinazioni diverse perché dipende maggiormente da uno stato fisiologico. Per quanto riguarda l’endocitosi è un processo più complesso, e fondamentalmente richiama al fatto della possibilità da parte della membrana di invaginarsi per andare a chiudere la molecola e creare quindi un ambiente isolato, e una volta che si è creata una sorta di vescicola riuscire a trattenerla per poi portarla al sito bersaglio. Quindi l’endocitosi è un meccanismo già presente fisiologicamente e utilizzato dalle cellule per molecole naturali e nutrienti, in questo caso alcuni farmaci possono sfruttarlo per entrare nelle cellule. Trasportatori/carriers Che cosa sono? Abbiamo detto che sono proteine di membrana, la maggior parte sono proteine transmembrana, ovvero che la attraversano da una parte all’altra. Abbiamo due tipi principali anche se non sono gli unici. Gli SLC (solute carriers) che si occupano del trasporto facilitato o secondo gradiente e gli APC (ATP- binding cassette) che utilizzano il trasporto attivo e quindi l’ATP. Quello che abbiamo visto prima adesso si concretizza in due famiglie specifiche di proteine, sono proteine complesse. Vista la loro importanza costituiscono una delle famiglie geniche più rappresentate nell’organismo, fino a migliaia di geni. Proprio per farvi capire quanto da queste proteine dipenda tutta la fisiologia cellulare, non solo quella del nutrimento in questo caso, ma la sfruttiamo anche per “i nostri comodi”. La sfruttiamo come farmacologi per far entrare una molecola esogena. Il loro ruolo fisiologico è quello di trasportare gli ioni attraverso le membrane, ma trasportano anche i farmaci in maniera non selettiva, cosa vuol dire? Significa che ogni trasportatore potrebbe legare anche diversi tipi di farmaci, non c’è un trasportatore per un tipo di farmaco. Una cosa che ho trovato recentemente è questa review su PubMed, è un articolo che commenta come effettivamente anche gli esperti non sanno a cosa servano questi carriers. Ovviamente il titolo è un po' provocatorio, però ci fa capire come la ricerca vada sempre avanti anche in questo settore. Anche questa è per certi versi farmacologia, capire sempre meglio come funzionano i carriers, quali sono e cosa trasportano, può fare la differenza. Riguardo alla localizzazione, questa è una cosa importante. Sono localizzati nelle cellule epiteliali intestinali, renali ed epatiche. Questi sono i tre organi principali, ma i carriers ovviamente sono presenti in tutte le cellule. Vediamo però in dettaglio dove sono distribuiti, questo è un disegnino che ci fa vedere il parenchima di un organo, le cellule epiteliali e il vaso sanguigno. Vediamo come i carriers, sia gli ABC che gli LSC siano posizionati nel vaso dell’intestino su entrambi i lati. Quindi l’intestino effettivamente è un organo che è lì apposta per assorbire le sostanze nutritive; quindi, non è neanche strano che carriers siano espressi in entrambi i lati. Deve riuscire l’intestino ad accettare tutte le molecole e farle passare per poi mandarle nel lume dei vasi. Poi abbiamo il caso del fegato, qui abbiamo una situazione un po’ diversa. Anche qui è fondamentale vedere come ci sia questa interfaccia tra l’organo e i vasi sanguigni grazie all’epitelio. Ci sono i reni, fondamentali per la fase di eliminazione. Poi abbiamo il caso specifico della barriera ematoencefalica. Il caso della barriera è specifico nel senso che è una barriera più selettiva rispetto agli altri epiteli, proprio per riuscire a selezionare quelle che sono le molecole che riescono a raggiungere un distretto così importante. Ovviamente anche qui avrà delle caratteristiche proprie. Come potete vedere la distribuzione specifica dei carriers fa la differenza, perché ci sarà una differenza tra i diversi distretti, che interviene a seconda dei farmaci o a seconda della fase di farmacocinetica che stiamo andando a valutare. Questo l’abbiamo già detto, ovvero che ci sono diversi carriers che possono portare diverse molecole, non c’è una selettività come dire specifica, le famiglie sono molto numerose e questa è un’informazione importante perché gli ABC e gli SLC sono famiglie di carriers e poi ci sono le singole proteine. Quindi qual è la loro importanza nella farmacocinetica? È quella che riescono a regolare il rapporto tra un effetto terapeutico è un effetto collaterale, perché immaginate se il farmaco si accumula dove non deve o viene poi eliminato ed estromesso dal compartimento dove invece serve. Capite bene che può cambiare l’effetto terapeutico e quindi l’effetto desiderato, rispetto a quando il farmaco diventa tossico da accumulo o per altri meccanismi perché magari in una dose troppo elevata un farmaco può andare ad arrecare un danno o non riuscire a trovare un bersaglio minore e causa un effetto collaterale. Chi fa questi trials? Possono essere coinvolti nello sviluppo della resistenza ai farmaci. Sulla parola resistenza vorrei che sia chiaro che non è la tolleranza, questi termini li sentirete più volte però anche stamattina io stavo ascoltando un podcast dove si confondeva la differenza tra tolleranza e resistenza, riguardava la crisi degli oppiacei negli Stati Uniti. Per resistenza si intende la capacità di un microrganismo o di una cellula di resistere all’attività letale di una molecola citotossica; quindi, si parla di resistenza a quel tipo di farmaci, ad esempio gli antimicrobici. Quando parlo di microrganismi che possono essere batteri appunto, possono sviluppare resistenza verso l’antibiotico, oppure la cellula che può essere una cellula trasformata, una cellula tumorale, che non viene più uccisa, da un farmaco, il farmaco non è più letale. Questo è il concetto di resistenza. Viene utilizzato a volte in maniera impropria, confuso con la tolleranza che è completamente diversa. La tolleranza è quel fenomeno per cui una molecola qualsiasi della patologia può indurre tolleranza, significa che il suo effetto inizia ad essere sempre più ridotto rispetto alla dose somministrata e quindi si deve aumentare la dose per ottenere l’effetto che prima veniva raggiunto con una dose minore. Questo è il concetto di tolleranza, e ci sono diversi farmaci che la danno. Attenzione alla differenza! Qua ho portato degli esempi che riguardano appunto la resistenza degli antitumorali e degli antivirali con queste due proteine, la p-glicoproteina e la MRP4. Ho fatto delle schede per riassumere, sono andata a cercare gli articoli che fossero abbastanza nuovi su PubMed; quindi, questo per darvi un’idea del fatto che le cose di cui parliamo sono attuali, sempre in divenire. Lo studio continua ad andare avanti su queste molecole. Che cosa ci dice riguardo la p-glicoproteina? È un trasportatore, fa parte della famiglia degli ABC e poi ci dice che è localizzata sulla superficie degli epiteli intestinali. Sappiamo che i farmaci antitumorali ne inducono la loro espressione nelle cellule tumorali, quindi cosa succede? Che se la cellula sovra esprime quel tipo di proteina ci sarà il trasportatore e capite che l’effetto del farmaco sarà modificata. Quindi il farmaco viene estromesso nel lume dei vasi sanguigni con maggiore efficienza e non riesce a raggiungere magari il carrier ad esempio. Quindi che cosa significa? L’espressione dei carriers può fare la differenza, ci sono delle condizioni patologiche che ne modificano le concentrazioni negli epiteli, ma gli stati carriers possono essere influenzati da altri farmaci. Per quanto riguarda la proteina MRP4 invece, anche qui ho preso un esempio del 2019, intanto ci dice che fa parte delle ABC; quindi, come vi dicevo alla fine sono famiglie geniche molto grandi e quindi ci sono delle sottocategorie. È localizzata in diversi tessuti, non è specifica quindi dell’intestino. Questo carrier partecipa all’estromissione del farmaco dalla cellula verso l’esterno. Anche in questo caso è coinvolta, se tutelata, in casi possibili di tossicità, oppure di resistenza al farmaco. Vie di somministrazione Per quanto riguarda le vie di somministrazione del farmaco, come dicevamo una delle possibili scelte che ci ritroveremo a fare, di fronte a uno stesso principio attivo, quindi stessa molecola di base, come la somministriamo? Ci sono delle condizioni in cui ci sono delle scelte obbligate oppure possiamo anche scegliere. Adesso le analizzeremo per capire sulla base di che cosa potrete scegliere in futuro. Una classificazione generale con la somministrazione di tipo enterale che sfrutta il canale alimentare, ovvero la somministrazione orale, sublinguale, rettale. Ci le somministrazioni parenterali che sono fondamentalmente le vie iniettive: intravena, intramuscolo e sottocute. Ci sono anche altre vie che sono meno sfruttate, anche se bisogna tenere conto della patologia, ad esempio, se parliamo di via inalatoria, qualcuno di voi potrebbe specializzarsi in pneumologia, magari diventerà tra le principali. Per questo motivo non prendiamole come se fossero secondarie, semplicemente sono meno frequenti ma potrebbero essere cruciali e fondamentali. La via di somministrazione orale è quella considerata più economica e più sicura, e forse anche la più frequente. Quasi tutti i farmaci che compriamo, anche da banco, anche liberamente in farmacia, vengono assunti per via orale. L’assorbimento avviene circa in 60 minuti, ad eccezione nelle preparazioni retard che hanno un assorbimento considerato lento, di circa un’ora, e allunga la durata del farmaco. Che cosa possiamo dire riguarda questa somministrazione? È economica, è veloce, è abbastanza sicura proprio perché è lenta quindi è un vantaggio nel momento in cui si tratta di un farmaco che possiamo dare a chiunque. Nel momento in cui ho bisogno di qualcosa di più tempestivo c’è una via di somministrazione favorita, che poi vedremo. Lo svantaggio è che il paziente deve essere collaborante, ovviamente deve riuscire a deglutire e poi subisce il metabolismo di primo passaggio. Il metabolismo di primo passaggio si basa fondamentalmente sulla fisiologia del corpo umano, perché nel momento in cui il farmaco viene ingerito dallo stomaco e dall’intestino, le molecole oltrepassano le barriere, passano poi al sistema portale verso il fegato. Il fegato, quindi, farà il suo lavoro e cercherà di metabolizzare quella molecola. Se noi assumiamo una pillola non sappiamo di preciso in quale percentuale sopravvivrà nel suo formato attivo fino al tratto finale, perché una parte verrà metabolizzata. Riguardo al metabolismo, vedremo poi che non sempre è una cosa negativa, nel senso che ci riduce la concentrazione di farmaco attivo, a volte anche i metaboliti possono essere farmacologicamente attivi. Dall’immagine vediamo un farmaco che passa fino allo stomaco, e poi tramite il sistema portale arriva al fegato e verrà metabolizzato. A questo punto che cosa succede? Succede che non tutto il farmaco rimarrà nella sua forma attiva, cioè pronta ad agire sui target che ci siamo prefissati, qui interviene il concetto di biodisponibilità. La biodisponibilità è quella frazione di farmaco non modificato che dopo l’assorbimento raggiunge la circolazione sanguigna sistemica. Una parte di farmaco verrà degradata, una parte subirà il metabolismo di primo passaggio, una parte rimarrà attiva e riuscirà a raggiungere l’organo target per mezzo del resto della circolazione sistemica. Se noi immaginiamo di somministrare un farmaco per via endovenosa il 100% di quel farmaco sarà immodificato e virtualmente il 100% potrebbe raggiungere il nostro target. Quando invece diamo un farmaco per via orale ci sarà una parte che viene metabolizzata e la biodisponibilità sarà sicuramente inferiore al 100%. Andiamo a vedere come viene calcolata, ricordate sicuramente la curva di farmacocinetica, l’esempio di base dove abbiamo il prodotto, con la curva per la somministrazione orale, e poi la curva con la somministrazione intravenosa. Vediamo come raggiungere fin dal tempo zero di iniezione il livello massimo e poi scende, perché viene distribuito, subirà successivamente il metabolismo e poi l’eliminazione. Mentre invece il farmaco a livello orale deve raggiungere la C max in un certo tempo e poi dopo andrà a chiudersi. Quindi noi, consideriamo la biodisponibilità del farmaco iniettato in vena come al 100%, quindi tutto il valore, se lo vogliamo analizzare possiamo considerare 1, invece in percentuale lo consideriamo al 100%. Non fatevi spaventare da queste piccole differenze! La biodisponibilità viene valutata come quell’area sotto la curva della somministrazione orale di quel farmaco rispetto a quando viene invece somministrato un farmaco intravena. Immaginate quindi il grafico e fate la differenza, sarà l’integrale. Come potete immaginare quindi, la biodisponibilità ha un valore che varia tra zero e uno, oppure tra zero e 100 se vogliamo moltiplicare per 100 e considerare la percentuale, dove uno è la massima biodisponibilità che possiamo avere dopo aver iniettato direttamente in vena, non ha subito nessun metabolismo di primo passaggio. La biodisponibilità dipende dalla via di somministrazione come abbiamo appena detto, dalla qualità dell’assorbimento, dai carriers e poi dai processi metabolici, perché anche la capacità del fegato di portare avanti il metabolismo di primo passaggio nei diversi processi biochimici può fare la differenza. Passiamo alla somministrazione successiva che è la via sublinguale. La via sublinguale ha un assorbimento rapido, quindi è la classica pastiglietta che si mette sotto la lingua. Non c’è l’effetto di primo passaggio, perché non passa anche qui il canale digestivo. Se ci pensate in questo caso la molecola riesce a passare direttamente tramite il torrente circolatorio quindi, attenzione anche in questo caso perché si dovrà tenere conto del fatto che non c’è effetto di primo passaggio, considerare la dose e poi appunto i tempi, per quanto riguarda queste molecole somministrate in questa maniera. Questo però aumenta il rischio di effetti collaterali, come dicevamo prima, la via orale viene ritenuta sicura anche perché è lenta, le altre vie possono essere più veloci ma più veloci significa che dobbiamo stare attenti. Quindi se noi siamo in clinica e abbiamo somministrato un farmaco per via orale possiamo andare a bere il caffè, se invece abbiamo somministrato un farmaco per via endovenosa dobbiamo controllare, perché gli effetti collaterali potrebbero manifestarsi decisamente prima, anche in maniera quasi mediata. Poi abbiamo la somministrazione rettale che può avere un assorbimento variabile, un effetto più rapido rispetto alla via orale, un parziale effetto di primo passaggio che è stimato all’incirca a più del 50%. È possibile anche in un paziente non collaborante che soffre di vomito, questo è un grande vantaggio della somministrazione rettale. Ci sono dei casi in cui il paziente non può deglutire, e quindi la via rettale è quella preferenziale. Poi, abbiamo la via di somministrazione per iniezione, quindi quelle parenterali. Che vantaggio hanno? Un assorbimento quasi totale, rapido e degli effetti rapidi. Anche qui attenzione ai pro e i contro della velocità dell’assorbimento e con questa via di somministrazione. Lo svantaggio e che può essere dolorosa e pericolosa, c’è il problema della costrizione quando si tratta di bambini. È una via di somministrazione più difficile, nel senso che ci vogliono persone formate con la pratica clinica che sappiano iniettare il farmaco correttamente. La somministrazione endovenosa, è quella di cui abbiamo già parlato, quando abbiamo visto l’area sotto la curva, raggiungeva subito il 100% In un tempo abbastanza lineare. È un farmaco che viene somministrato direttamente in circolo, e quindi si salta la parte dell’assorbimento, e si salta tutta la parte del metabolismo di primo passaggio. È utilizzabile in emergenza, in questo caso voglio Sottolineare che la velocità poteva essere uno svantaggio per la sua possibile pericolosità ed effetti collaterali, però il vantaggio è che può essere utile nel caso in cui abbiamo un paziente che ha bisogno di un effetto immediato, molti farmaci salvavita hanno queste caratteristiche. Bollarla come una via di somministrazione pericolosa, ovviamente non è corretto, anzi, può essere fondamentale. Lo svantaggio è che innanzitutto per iniettare dei volumi notevoli è importante che l’infusione sia molto lenta, non si possono somministrare preparazioni in veicolo oleoso. Il principio attivo, la molecola che deve andare ad agire su un certo target, non viene mai, quasi mai, somministrata pura, è sempre immersa, preparata, in un veicolo. Tutti gli eccipienti, tutte le preparazioni che servono a favorire la penetrazione della molecola nelle membrane, oppure a proteggerla dal metabolismo dei succhi gastrici, insomma tutto ciò che c’è intorno può costituire il veicolo della molecola. Ci sono dei veicoli che sono oleosi, quindi più lipofilici, possono essere un vantaggio perché aiutano a far passare le molecole in alcune vie di somministrazione. In caso invece di una endovena, se ci pensate deve raggiungere subito il circolo, al contrario molto idrofilica con un ambiente idrofilo, questo è un problema, anche questo va considerato. Devono essere preparazioni specifiche per iniezione intravena. Abbiamo parlato poi dell’aumentato rischio di reazioni avverse, anche soprattutto a causa della velocità dell’effetto. Via di somministrazione intramuscolare, anche questa, fa parte della via parenterale, quindi iniettiva, ha un assorbimento abbastanza rapido in soluzioni acquose, gli effetti compaiono dopo circa 10/30 minuti. Se ricordate per la via orale abbiamo detto circa 60 minuti, quindi è più rapida come azione. Anche in questo caso c’è l’importanza di avere un tecnico che sappia fare l’iniezione nel modo giusto, che sappia raggiungere il punto specifico, ovvero le fasce muscolari. Ha lo svantaggio che si può utilizzare per volumi ridotti, e poi è doloroso ma sicuramente a seconda delle situazioni è uno svantaggio superabile. La sottocutanea, anche in questo caso, è importante un tecnico che sappia attuarla. Consente un assorbimento rapido delle soluzioni acquose, che invece sono più lente per quanto riguarda l’oleosa. Il sottocute è quello strato di grasso localizzato tra il derma e il muscolo. Essendo questo strato, diciamo, un’intercapedine tra i due layer sottostante e superficiale, si possono iniettare solo volumi molto piccoli; quindi, anche in questo caso per ogni via di somministrazione dobbiamo valutare che cosa può convenire. La via inalatoria viene somministrata soprattutto appunto per raggiungere il sistema polmonare e respiratorio in senso lato e quindi i farmaci vengono preparati sotto forma gassosa con i classici aerosol. In questo caso è veramente maggioritaria la finalità topica, quindi ad uso locale, per raggiungere il sistema respiratorio e per le patologie dell’apparato respiratorio appunto. Ci sono alcune situazioni dove può essere sfruttato anche a livello sistemico, pensiamo alla grande vascolarizzazione polmonare; quindi, una volta che è una molecola, abbia le dimensioni giuste, quindi, non deve essere troppo grande, raggiunge gli alveoli polmonari a quel punto il sistema dei vasi sanguigni è ricco e ramificato, si riesce quindi a mandare la molecola in circolo. Non escludete anche se dovete somministrare qualcosa di più sistemico. Quindi l’assorbimento rapido, la superficie assorbente è molto ampia e in più l’endotelio capillare a stretto contatto è molto sviluppato, questo è un vantaggio, ma attenzione, perché anche in questo caso potrebbe essere uno svantaggio. La via transcutanea è una via molto lenta, sono i classici patch, se ne parla tanto per quanto riguarda i contraccettivi, o anche nei pazienti diabetici con patch che rilasciano l’insulina. Sono cerotti che consentono una somministrazione soprattutto direi locale in alcuni casi. Se per esempio dovete dare un antidolorifico, anche la classica fascia che si usa a livello lombare. Nel caso invece degli altri farmaci di cui vi parlavo, se ci pensate, la via per quanto con una certa lentezza riesce a raggiungere anche gli altri distretti corporei. Hanno una durata d’azione prolungata, un’altra cosa importante è che salta il metabolismo di primo passaggio, anche qui questa via permette di raggiungere la circolazione sistemica in maniera diretta. Nelle vie di somministrazione, varia con essa la velocità di assorbimento del farmaco, ognuna presenterà una diversa curva per calcolare la biodisponibilità, per quanto riguarda appunto anche lo stesso principio attivo. Più lento è l’assorbimento più basso è il picco plasmatico, più veloce è l’assorbimento più alto sarà il picco plasmatico. Ovviamente per la via intravenosa che è veloce, il picco plasmatico sarà immediato, mentre invece per quanto riguarda la via orale si vede appunto la differenza con un assorbimento molto lento, e un picco plasmatico un po’ più basso ma più duraturo. Uno dei parametri chiave, fondamentali della farmacocinetica è l’emivita o tempo di dimezzamento. Finora siamo arrivati in maniera intuitiva al concetto di permanenza del farmaco all’interno di un distretto corporeo, però questo concetto deve diventare un parametro che abbia una sua “dignità scientifica”, deve essere misurabile e paragonabile nello stesso campo, in diverse condizioni per diversi farmaci. Questa è appunto l’emivita, il t/2. Il t/2 si utilizza anche in altri contesti, quindi, è un valore temporale. Che cos’è il t/2? È il valore temporale per il quale la concentrazione del farmaco è la metà rispetto alla concentrazione iniziale al tempo zero. Quando vi verrà chiesto il concetto di emivita, non partite a parlare di concentrazione, partite con il concetto di tempo. L’emivita è il tempo di dimezzamento, siate concisi nella definizione del fatto che è strettamente correlata al tempo. Che cosa sappiamo? Al tempo 0 abbiamo il 100%, il tempo 1 magari abbiamo il 50% di farmaco che sarà ancora attivo. Ma mano che va avanti si riduce la quantità di farmaco che è ancora presente nel corpo, in forma attiva, a seconda dei processi e cicli può fare la differenza, fino al decimo passaggio di t/2 dove la concentrazione è direi trascurabile. Considerate che già al primo passaggio la frazione è del 50%, dopo scatta ogni volta del 50%, non rispetto allo zero, ma rispetto al precedente. È una costante per ogni farmaco, anche questa è un’informazione fondamentale da considerare. Che cosa determina? Determina quella che si chiama compliance, cioè l’intervallo che si deve rispettare tra due dosi successive. Se vuoi sapete che è un farmaco ha l’emivita abbastanza lenta, voi sapete che anche l’intervallo tra una dose e la successiva può durare una certa quantità di tempo. Se voi sapete che il vostro farmaco, per il suo metabolismo, per le sue caratteristiche, invece ha un tempo di emivita molto rapido, nel breve tempo verrà dimezzato, quindi prima di scendere sotto la concentrazione minima efficace, di cui abbiamo parlato prima, dobbiamo essere pronti a ridare una nuova dose, quindi una nuova somministrazione del farmaco. Attenzione perché l’emivita che è fondamentale per valutare la compliance e decidere quando ridare un farmaco. Un’altra cosa determinata dall’emivita è la durata dell’effetto come dicevamo, che può essere benefico o anche tossico. Quando noi somministriamo un farmaco speriamo nell’effetto benefico, ma ovviamente non dobbiamo sottovalutare il possibile effetto tossico. Quando andiamo avanti nei cicli di emivita di un farmaco, dobbiamo anche considerare che il composto nel momento in cui subisce metabolismo può anche creare dei metaboliti tossici, oppure ci possono essere fenomeni di accumulo. Quindi attenzione a non considerare solo l’emivita come strumento per la compliance per ricercare l’effetto benefico, ma anche evitare gli effetti che possono essere secondari non desiderati, assolutamente da non sottovalutare. Poi per quanto riguarda il tempo di sospensione, vediamo anche lì il caso di farmaci sospesi per un certo periodo, per poi iniziare la terapia dopo un tot di giorni. È un concetto un pochino diverso rispetto alla compliance. Qua riprendiamo la schedina con i parametri della farmacocinetica con la biodisponibilità. Voglio farmi vedere come le diverse vie di somministrazione, possono avere una diversa biodisponibilità. L’orale sicuramente ha una biodisponibilità inferiore al 100% a causa dell’effetto di primo passaggio. La professoressa ha fatto un’introduzione sul concetto di farmaco bioequivalente che verrà approfondita in seguito dal prof Pistis. Curiosità: La docente ha introdotto la lezione con un discorso sul premio Nobel 2023 per la medicina. I due scienziati Kirikò e Weissman sono stati premiati per degli studi sull’interazione dell’mRNA esogeno con l’organismo. La scoperta sta nel fatto che il metodo classico di inoculazione di questo acido nucleico porta ad un importante stato infiammatorio il quale può essere evitato semplicemente modificando l’uridina. I due vengono considerati come dei pionieri in questo campo e hanno posto le basi per lo sviluppo dei vaccini a mRNA utilizzati durante la pandemia da covid-19. Ciò su cui la professoressa si è soffermata maggiormente è la data di pubblicazione di questi studi ovvero 2005, 2008 e 2010 quindi molto precoci rispetto al momento in cui è stato necessario utilizzare queste scoperte a vantaggio nostro. Per ulteriori approfondimenti rimanda al sito del Nobel e al motore di ricerca PubMed. In relazione alla farmacovigilanza racconta un altro aneddoto risalente a pochi giorni fa. L’FDA (società statunitense; Food and Drug Administration) ha pubblicato un comunicato in cui si dice che un farmaco ampiamente usato per anni contro la congestione nasale, la fenilefrina, in realtà non è utile come si pensava o perlomeno non lo è con la modalità di somministrazione classica ovvero per via orale. Questo ci fa capire come i principali enti che si occupano della farmacovigilanza non siano attenti solo contro molecole che risultano tossiche ma anche nei confronti di molecole che col tempo non mostrano l’effetto ricercato. A questo proposito aggiunge che esiste una molecola che presenta effetti contro la congestione nasale molto interessanti ovvero la pseudoefedrina. Negli anni ’70 è stato preferito il commercio della fenilefrina al posto della pseudoefedrina in quanto la seconda molecola è un importante precursore di droghe sintetiche (anfetamine) e pertanto è stato ritenuto saggio non commercializzarlo come farmaco da banco per non “facilitare il lavoro” di chi sintetizzava tali sostanze clandestinamente. Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu Risposta domanda lezione precedente All’inizio della lezione viene nominata una domanda fatta da una collega la scorsa lezione, a cui risponderà il Dott. Michele Santoni (specializzando in farmacologia). La collega chiedeva se ci fosse una differenza nella velocità di assorbimento tra la via di somministrazione sublinguale di un farmaco in forma granulare e la via di somministrazione orale di un farmaco in compressa. Viene preso in esame l’assorbimento di un farmaco per via orale, per cui è importante conoscere e ricordarsi le varie forme farmaceutiche che sono presenti in commercio: preparazioni solide preparazioni liquide Questo è importante nel momento in cui si vanno a vedere le diverse tappe dell’assorbimento gastroenterico. Questo perché, tra le forme solide abbiamo diversi tipi di forme farmaceutiche: compresse capsule granulati polvere All’interno di ogni forma farmaceutica ci possono essere delle differenze chimico-fisiche che possono influenzarne la stabilità. Infatti, per forme farmaceutiche come le compresse, è necessaria una disgregazione a livello gastrico. Tra le compresse stesse, vi sono quelle rives te, che proprio per questa loro caratteristica sono gastroresisten. Presentano un più lento processo farmaco-cinetico, che è legato all’assorbimento gastroenterico. Per quanto riguarda invece le capsule, anche di queste ne abbiamo di vari tipi. Le capsule molli, ad esempio, presentano una velocità di assorbimento più rapido rispetto a quelle tradizionali. Discorso analogo va fatto per le preparazioni farmaceu che liquide, che non devono subire questo tipo di assorbimento, né di disgregazione o distruzione del farmaco, ma si ha direttamente l’assorbimento. Il meccanismo di assorbimento più veloce tra questi è quello che sfrutta le preparazioni che possono essere somministrate a livello sublinguale. Viene mostrato un grafico, non presente nelle slide, che fa vedere come varia l’assorbimento a livello orale in base alla forma farmaceutica. Quando data in soluzione, soprattutto se sublinguale, il farmaco ha una maggiore velocità di assorbimento rispetto alle compresse o altre preparazioni solide. Ripresa della lezione: la farmacocine ca La volta scorsa abbiamo iniziato a parlare di farmacocine ca. Abbiamo parlato del fatto che questa è una vera e propria scienza, che possiamo descrivere come il viaggio del farmaco all’interno del corpo. quindi, ci sono degli studi sperimentali e dei calcoli da ricavare. Abbiamo iniziato a parlare dell’assorbimento, delle vie di somministrazione, dei trasportatori, del metabolismo di primo passaggio, del concetto di biodisponibilità, dell’indice terapeutico e dell’emivita. Distribuzione Una volta che il farmaco è stato somministrato, deve andare a distribuirsi in tutto l’organismo. Infatti, la distribuzione è il trasferimento del farmaco libero dal sangue ai fluidi extracellulari e alle cellule del resto del nostro organismo. Parlando di vie di somministrazione abbiamo detto che il farmaco deve raggiungere il plasma. Tuttavia, questo non è l’obiettivo finale: il principio attivo dovrà distribuirsi nell’organismo, a livello del sito specifico d’azione. Da che cosa dipende la distribuzione? dal flusso ematico; dalla permeabilità del sito; dall’affinità locale; 1 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu dalla capacità di attraversare le membrane: dipende sia dalle caratteristiche della cellula (possono esserci condizioni patologiche), sia dalle caratteristiche proprie delle molecole del farmaco; dal legame con le proteine plasmatiche; dall’affinità del farmaco per i diversi compartimenti; Il farmaco, raggiunto il plasma, sembrerebbe che possa distribuirsi in maniera omogenea. Se cadesse una goccia di colorante all’interno di un secchio d’acqua, questo andrebbe a distribuirsi omogeneamente all’interno di esso in maniera radiale. Il nostro organismo non è però una sfera omogenea, perciò il farmaco andrà a distribuirsi fino a che raggiungerà il cosiddetto ‘’equilibrio di distribuzione’’. Questo concetto non è però inteso come la stessa concentrazione di farmaco in tutti i distretti corporei, ma ogni distretto ha delle caratteristiche specifiche e proprie. Ad esempio, il cervello è un organo altamente lipidico, perciò andrà ad attrarre molecole lipofiliche. Dunque, le diverse caratteristiche degli organi andranno a stabilire le diverse concentrazioni di farmaco. Questo concetto viene espresso in maniera scientifica dal ‘’volume apparente di distribuzione’’, che va a calcolare come il farmaco si distribuisce nell’organismo. In termini più specifici, rappresenta il volume in cui si distribuisce un farmaco somministrato, assumendo che raggiunga nei compartimenti extraplasmatici la stessa concentrazione che ha nel plasma. Stiamo partendo da un farmaco che si trova idealmente nel plasma, quindi nel primo sito dopo l’assorbimento. Dopo aver somministrato un farmaco (quantità in milligrammi), è necessario conoscere la concentrazione che ha nel plasma (milligrammo/litro), espressa in litri. Nella formula si assume come Cp il valore medio della concentrazione del plasma, quindi 5L, tenendo conto comunque dell’esistenza di varietà individuali. Quindi, se il farmaco rimanesse completamente nel plasma, avremmo un volume di distribuzione di 5L. Questi valori in realtà variano, tenendo in considerazione il fatto che l’essere umano ha, tra fluidi interstiziali e intracellulari, circa altri 37 litri di liquidi, per un totale di circa 42 L considerando anche il plasma. Nel momento in cui il farmaco comincia a passare dal plasma ai diversi distretti corporei, il volume di distribuzione, una volta raggiunto appunto l’equilibrio, andrà ad assumere valori diversi. Quindi si può affermare che: Se il volume di distribuzione è 42 litri: il farmaco si concentra in uno o più tessuti nei quali si accumula. È una formula che in realtà non è realistica, ed è per questo che viene definito ‘’apparente’’. Quindi, quando il volume di distribuzione è elevato, la formula ci indica che c’è un tessuto che sta acquisendo il farmaco e ne sta concentrando maggiormente rispetto agli altri. A volte questa cosa è desiderata, altre volte no. Vi sono casi in cui si ha un indice di distribuzione basso, quindi la concentrazione plasmatica è elevata rispetto alla dose iniziale che abbiamo somministrato e aumenta fino a quando la concentrazione plasmatica è bassa e il farmaco si è distribuito. Il volume di distribuzione acquisisce un valore più elevato e quindi ci dice che c’è un possibile accumulo in un tessuto specifico. 2 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu Questo parametro consente ai chimici farmaceutici di ipotizzare quale dovrebbe essere il volume ematico di un organo per contenere la stessa concentrazione del farmaco che è presente in quel momento nel plasma. Può essere declinato dai farmacologi clinici anche in maniera più dettagliata, organo per organo. Il classico caso è quello dell’eparina, farmaco che dovrebbe avere un’azione plasmatica, e che ha un volume di distribuzione basso. Al contrario, ci sono alcuni farmaci che hanno un volume di distribuzione alto. Questi dati ci vanno a comunicare che i farmaci andranno ad accumularsi in un determinato tessuto. Questo tipo di informazione non può essere semplicemente riferita dal punto di vista teorico con le formule. Non sappiamo di preciso quale organo può accumulare un farmaco. Possiamo sicuramente ragionarci, come nel caso del cervello che per le sue caratteristiche attrarrà molecole lipofiliche. In questo caso specifico, c’è comunque da considerare il livello di selettività della barriera ematoencefalica. Possiamo dunque dire che solo il ragionamento teorico non basta, ed è per questo che servono gli esperimenti clinici e preclinici: senza questi ultimi eseguiti sugli animali non potremmo avere le informazioni che riguardano la farmacocinetica. Da cosa dipende il volume apparente di distribuzione? Dalla capacità di attraversare le membrane biologiche Dal grado di ionizzazione della molecola Dalla liposolubilità della molecola Dal peso molecolare Una volta che si sono comprese quali sono le caratteristiche di una molecola, queste possono essere sfruttate per ragionare in diverse fasi della farmacocinetica. Questo fa capire che il fatto che arrivino concentrazioni diverse dei farmaci in diversi distretti dell'organismo. Attenzione perché, questo implica virgola non solo che ci possa essere un maggiore effetto del farmaco in un certo sito, ma anche le possibili reazioni avverse. Nella distribuzione abbiamo parlato di farmaco libero, cioè un principio attivo che è stato assorbito nel plasma. Si parla di farmaco libero perché nel plasma ci sono le proteine plasmatiche, che possono andare a legare in maniera più o meno specifica il farmaco. Quello che potrà agire, dunque avere un effetto, sarà il farmaco a disposizione nel plasma. Quello sequestrato dalle proteine plasmatiche non avrà un effetto farmacologico. Quindi, quando si sta ragionando sulle dosi da somministrare, bisogna considerare anche questo tipo di conoscenza. Dunque, ricapitolando, il farmaco libero è una quota di farmaco che non è legato a proteine del plasma. Tra le proteine plasmatiche che si possono considerare c’è, ad esempio, l'albumina, ma ve ne sono anche altre. Bisogna considerare che potrebbero esserci degli stati patologici che vanno a variare i livelli di albumina, o delle altre proteine del plasma. Il farmaco si distribuisce ai tessuti, viene poi metabolizzato e viene eliminato. Il grado di legame del farmaco alle proteine plasmatiche dipende sia dalla concentrazione di farmaco che dalla concentrazione totale del plasma. Questo legame è saturabile, cioè ad un certo punto non ci saranno più siti di legame a disposizione. Quindi, in questi casi, si potrebbe aumentare la quantità di farmaco, ma bisogna anche considerare il fatto che le stesse proteine plasmatiche, essendo anche aspecifiche nel loro legame, competono per diversi farmaci. Il legame tra farmaco libero e proteine plasmatiche, oltre a essere saturabile è anche reversibile. Proprio per questo, se c’è un secondo farmaco che è stato somministrato e che compete per i siti di legame, il secondo farmaco ‘’scalzerà’’ quello precedente. Attenzione, dunque, ad eventuali effe collaterali non previsti dovuti proprio 3 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu alla competenza tra i due. La competenza può verificarsi anche tra proteine endogene. Infatti, con l’aumentare della quota libera può variare il rapporto tra effetto e tossicità. Da cosa dipende il legame tra farmaci e proteine plasma che? Dipende anche da fattori che possono modificare il livello di proteine plasmatiche stesse, tra cui alcune condizioni patologiche come: insufficienza epa ca insufficienza renale enteropa a parassitosi us oni aumento della dopamina circolante: aumenta l’effetto e la velocità di eliminazione Sono tutte condizioni patologiche che vanno ad alterare il numero di proteine, che potrebbero essere ridotte o al contrario aumentate; quindi, l'efficacia di un farmaco può essere influenzata da queste condizioni. Questo concetto di distribuzione è anche influenzato dalla permeabilità dei capillari. Questo, infatti, rende peculiare alcuni organi. Abbiamo nominato più volte la barriera ematoencefalica, di cui viene riportato uno schema che spiega per quale motivo la BEE è particolarmente resistente al passaggio di molecole. Il cervello va protetto in maniera particolare e questa protezione viene applicata ancora di più nei confronti delle molecole esogene, quindi, i farmaci. L’organismo non sa di aver bisogno del farmaco, quindi siamo noi a dover preparare chimicamente un farmaco in modo tale da poter passare nei distretti a cui siamo interessati. Il farmaco libero, comunque, può andare ad agire sul recettore ed è anche di questo concetto che si parlerà nella farmacodinamica. La placenta visivamente è più fenestrata, ha pori molto grandi che riescono a far passare molecole importanti. Dunque, rispetto alla BEE, è meno selettiva. Paradossalmente il feto è meno protetto del nostro cervello. Questo è un ulteriore motivo di prudenza nel testare qualsiasi farmaco in gravidanza, perché tutto ciò che riesce ad attraversare, a permeare, se non fosse desiderato, potrebbe influenzare lo sviluppo del feto. Questo è dovuto anche al fatto che il feto deve ricevere sostanze nutritive, anticorpi, ecc. È dunque normale e fisiologico che le fenestre siano più permeabili. Al contrario, la BEE protegge in maniera precisa ed estremamente selettiva il cervello. Questa contiene diversi strati di capillari che vanno a creare anche delle ght junc ons. Questo significa che le molecole più grandi non riusciranno a passare, saranno favorite le molecole lipidiche di piccole dimensioni e ci saranno alcuni carriers che possono essere sfruttati per il trasporto dei farmaci. Quindi, all’aumentare del numero di strati la selettività sarà maggiore. Nello specifico, la BEE consente il passaggio di: Glucosio 4 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu Alcuni ioni Ossigeno e altri gas Molecole lipofile Molecole idrosolubili con l’ausilio dei carriers Nonostante questa protezione, la BEE viene resa più permeabile da condizioni patologiche come la meningite. Questo avrà delle ripercussioni sia dal punto di vista della fisiologia del paziente, che dall’approccio farmacologico. Per questo, bisogna stare sempre attenti al fatto che la patologia che si sta cercando di trattare, potrebbe aver creato delle modifiche rispetto alla distribuzione del farmaco. Proseguo farmacocine ca Dal punto di vista didattico, si tende a presentare la farmacocine ca come una linea temporale continuativa, ma in realtà il processo di distribuzione e il metabolismo sono due processi interscambiali. In un organismo possono avvenire in contemporanea su diverse molecole diversi processi. Non bisogna considerare l’organismo come un tubo in cui il farmaco entra ed esce, ma come un sistema complesso. Metabolismo In farmacologia, il metabolismo è il processo di biotrasformazione finalizzato ad aumentare la possibilità di eliminare la molecola/metaboliti. Questo perché, come dicevamo, l’organismo non riconosce il fatto che il farmaco sia una molecola con uno scopo positivo, perciò cercherà di difendersi. I farmaci devono quindi avere le caratteristiche chimico-fisiche che consentano loro di resistere a questi processi. L’organismo, nel momento in cui noi gli diamo una molecola esogena, con la biotrasformazione cercherà solamente di difendersi. Inizierà una vera e propria lotta, come una partita di scherma, tra il farmaco e l’organismo. È un processo estremamente dinamico. Noi sappiamo che il metabolismo cercherà di rendere più idrofiliche certe sostanze in maniera tale da poter essere eliminate. Questo perché classicamente l’urina e il sudore sono idrofile e acquose; perciò, le molecole idrofiliche si scioglieranno più facilmente. I chimici farmaceutici, che conoscono questo processo, cercheranno di creare molecole che resistano a questo, producendole più lipofiliche, molecole che appunto non siano degradate subito, oppure creare delle preparazioni farmaceutiche adatte al superamento di questo meccanismo. Proprio per questo è importante avere più preparazioni farmaceutiche dello stesso principio attivo a seconda dell’obiettivo. Cosa succederebbe se avessimo un farmaco al 100% idrofilico? Immaginiamo un caso limite, non realizzabile, di un farmaco che sia totalmente idrofilico. Questo attraverserebbe l’organismo e verrebbe successivamente eliminato nelle urine, senza neanche raggiungere i distretti corporei target. Ovviamente questa condizione non è una condizione favorevole per una terapia. Un farmaco al 100% lipofilico tenderebbe a distribuirsi, soprattutto nei tessuti ricchi di lipidi, come l’adipe e il SNC, e l’escrezione sarebbe impossibile proprio per le caratteristiche idrofile del 5 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu sudore. Per essere ottimali, le molecole di farmaco necessitano di avere la giusta percentuale di lipo e idrofilicità. Nella realtà devono riuscire ad essere: Acquisiti Assorbiti Distribuiti Metabolizzati ed eliminati: se non avvenisse aumenterebbe nettamente il rischio di tossicità. Abbiamo appena visto che il metabolismo cercherà di eliminare queste molecole ‘’secondarie’’ (non per importanza, ma semplicemente per processo enzimatico), perché ogni farmaco può dare origine a più di un metabolita. Ci sono farmaci che danno origine a metaboli a vi o ina vi, che possono essere iner o tossici, motivo per cui è importante per i medici conoscano i metaboliti dei farmaci. Per quanto riguarda i metaboliti attivi, possono avere un aspetto farmacologico uguale o diverso a quello del principio attivo originario, ma ci sono anche quelli tossici. Che cos’è un profarmaco? Se noi sappiamo che il metabolismo sta cercando di eliminare la nostra molecola, noi possiamo raggirare la cosa: questo è il caso del profarmaco. Si somministra un farmaco ina vo, con un principio attivo che in realtà non ha un vero e proprio bersaglio farmacologico, ma solo dopo il metabolismo, che noi in questo caso desideriamo, sarà in grado di legare un carrier con un meccanismo farmaco-rece ore ed essere curativo. Riassumendo, il profarmaco è una molecola biologicamente inattiva che, una volta introdotta nell'organismo, subisce delle trasformazioni chimiche, in genere per opera di enzimi, che la attivano. Il profarmaco è quindi un precursore del principio attivo. L’obiettivo è migliorare alcune caratteristiche ,ad esempio, di trasporto, di assorbimento e di diffusione nell'organismo del farmaco. Un esempio di profarmaci sono la L- DOPA e il cortisone, che dopo la bio- attivazione vengono convertite rispettivamente in dopamina e in idrocortisone. La dopamina è un neurotrasmettitore del SNC. L-DOPA viene utilizzato nella terapia del Parkinson affinchè la conversione in dopamina avvenga a livello del SNC. Somministrando direttamente la dopamina, questa non attraverserebbe la barriera ematoencefalica, impedendo di tamponare la deplezione del sistema dopaminergico, caratteristica della patologia. Quindi, noi vogliamo che la dopamina raggiunga i centri nervosi centrali, ma viene metabolizzata a livello perifico ed è il motivo per cui si utilizza L-Dopa, che attraversa la BEE tramite i carrier, garantendo che la molecola vada ad agire nelle zone encefaliche in cui vi è carenza. Conoscere il metabolismo può mettere il medico in allarme, nel momento in cui dobbiamo evitare che il nostro farmaco sia metabolizzato troppo facilmente, oppure se questo sia tossico, ancora possiamo sfruttarlo a nostro vantaggio nel caso in cui se ne abbia bisogno. 6 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu Esempio di metaboliti attivi sono i metaboliti della benzodiazepina Diazepam che produce il Nordiazepam e l’Oxazepam. (Nel caso del diazepam stiamo parlando sempre di una molecola che va ad agire sempre a livello centrale regolando dei recettori GABAergici.) In questo caso i due metaboliti hanno comunque delle caratteristiche di farmacocinetica e farmacodinamica utilizzabili. I due metaboliti vengono considerati a tutti gli effetti dal punto di vista terapeutico, in quanto modificano a lungo tempo l’effetto del farmaco. Quindi a seconda del grado individuale di metabolizzazione del farmaco, si prolungherà l’effetto della molecola iniziale. È necessario ricordare che a variare del metabolismo del paziente varierà anche l’efficacia del diazepam. Per questo motivo esistono gli studi di farmaco-genetica, nello specifico per andare a vedere se un paziente può essere un metabolizzatore rapido. Il professor Pistis aggiunge: Il funzionamento del Diazepam non dipende dalla sua emivita, noi abbiamo un paziente sedato nonostante i livelli di diazepam siano bassi. Che cosa mantiene la sedazione del paziente, nonostante non ci sia più il diazepam? I suoi metaboliti attivi. In questo caso l’azione del farmaco è slegata dalla sua emivita. Metabolita tossico: il paracetamolo Il paracetamolo viene considerato come uno dei farmaci più sicuri e viene anche somministrato in gravidanza e ai neonati. È uno dei farmaci che porta tossicità, in particolare epatotossicità, ed è anche causa di trapianto renale. Sono riportati diversi casi di bambini intossicati dal paracetamolo. 7 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu Perché secondo voi? Perché le mamme sono ansiose, è necessario rispettare strettamente le dosi e i tempi. Le mamme ansiose anticipano, anche se, ad esempio è necessario far passare 8 ore (a seconda dell’età del bambino), la mamma ansiosa non aspetta questo lasso di tempo. Che cosa accade? Il paracetamolo viene metabolizzato in un metabolita tossico che è il parabenzochinone, solitamente coniugato col glutatione e che, grazie a questo processo di biotrasformazione, viene inattivato. Diventa un metabolita non tossico e può essere eliminato perché è una molecola idrosolubile. Quando si esagera, la dose eccessiva provoca una saturazione del glutatione perché quest’ultimo non è “lì ad aspettare il paracetamolo”, ha delle funzioni fisiologiche, ci potrebbero essere degli altri farmaci da metabolizzare. Questi legami non specifici (con il glutatione) possono essere saturati. Se il glutatione non è disponibile il parabenzochinone va in giro non coniugato, mantiene la sua tossicità. Va ad attaccare in maniera aspecifica delle proteine epatiche fino a portare a una certa epatotossicità. Infatti circa il 35% di casi di epatotossicità è prodotto dal paracetamolo. Con epatossicità ci riferiamo a situazioni dove c’è bisogno del trapianto. Sono molto a rischio sia i bambini ma anche gli anziani che con l’età hanno perso funzionalità del fegato. Il paziente ha un ruolo importante nel caso di questo farmaco da banco in cui abbiamo un pregiudizio positivo a volte mal riposto. Ci sono studi in corso per far si che si eviti la prescrizione del paracetamolo alle donne in gravidanza e ai neonati. Il paracetamolo si chiama anche acetaminofene. In questa tabella degli Stati Uniti possiamo vedere come il paracetamolo sia uno dei farmaci che porti a maggiori decessi. Il professore parla della facilità con cui questo farmaco sia reperibile anche nei supermercati, in gradi quantità e a prezzi vantaggiosi tanto da essere utilizzato per il suicidio. Vedremo come un farmaco nel suo recettore possa essere antagonizzato. È presente un antidoto chiamato N-acetil cisteina. Biotrasformazione dei farmaci L’organo che è il più attivo nella metabolizzazione e nella biotrasformazione è il fegato, tuttavia non va dimenticato che anche gli altri organi abbiano degli enzimi e la capacità di avere attività metabolica, come ad 8 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu esempio l’intestino e il polmone. L obbiettivo è rendere il farmaco sufficientemente solubile per poter essere eliminato. Entriamo nel merito delle reazioni. Queste sono divise in: Reazioni di fase uno; Reazioni di fase due. Le reazioni fase uno si chiamano anche reazioni di funzionalizzazione perché consentono di esporre un gruppo chimico di una certa molecola che prima non era esposto, disponibile per legami. E quindi questi gruppi funzionali ora disponibili si potranno utilizzare nella reazione di fase due per delle coniugazioni. Quindi la molecola che era (diventata) più polare nelle reazioni di funzionalizzazione, subisce successivamente un legame nelle reazioni di fase due con la coniugazione. Le reazioni di fase 1 (legge slide seguente) sono da ricordare, ma non si pretende l'approfondimento dal punto di vista biochimico. Dalle slide: Reazioni di fase II o reazioni di coniugazione hanno come obiettivo sfruttare la polarità (o idrofilicità) della molecola coniugata per favorire l’eliminazione del farmaco. Si tratta di reazioni di biosintesi / legami covalenti. I gruppi funzionali acquisiti nella reazione di fase I fungono da sito di legame col coniugato. In questo caso si tratta di legami covalenti. Il legame covalente è un legame forte, richiede energia per essere formato e la richiede anche per essere scisso. Se fosse debole anche la molecola coniugata potrebbe dissociarsi in funzione di concentrazioni o movimenti dei fluidi ecc… Notare che l'organismo "investe" in questo tipo di legame, che richiede energia ma è importante: nel caso di una coniugazione la cellula è sicura che quella molecola sia stata inattivata, o meglio, che rimanga stabile. La cellula riesce ad ottenere una molecola stabile grazie al legame covalente. I gruppi funzionali che sono stati esposti grazie alla fase 1 saranno sfruttati come sito di legame con una molecola di coniugazione, ne abbiamo già visto una. Sappiamo che sono molecole che sono già disponibili nella cellula per altre motivazioni e che vengono sfruttate per questo obbiettivo dal fegato. La polarità della molecola coniugata farà da driving force per far diventare la molecola da lipofilica verso una condizione di idrofilicità. Questo era un esempio dell’aspirina che lega l’acido glucuronico e diventa più solubile. Esempi di reazioni di fase uno: reazioni ossidative. Esistono diversi tipi di reazioni però la maggior parte sono portate avanti da enzimi che sono ossidasi a funzione mista. Si trovano nel reticolo endoplasmatico degli epatociti, quindi sono legati alla membrana. Il RE è una delle membrane interne, ricca di proteine con diverse funzioni. In questo caso sono cariche di ossidasi, che non sono selettive nei confronti del substrato, dunque diversi farmaci possono essere metabolizzati in fase uno da questi enzimi. Di conseguenza anche questi possono essere saturabili se ci sono più farmaci (questo va tenuto in considerazione). 9 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu Citrocromo p450 La famiglia di ossidasi maggiormente rappresentata e importante per i nostri studi è quella del Citrocromo p450 Perché si chiama così? Negli studi analitici si è visto che questa molecola assorbe la luce di una certa lunghezza d’onda che sono appunto 450nm. Di queste ossidasi ne esistono 18 famiglie il loro nome indicherà il nome generale del citocromo p450, la famiglia e poi le sottofamiglie. Addirittura si identifica il singolo gene. Ce ne sono tanti tipi, alcuni hanno una rilevanza maggiore nella fisiologia o nella nostra farmacocinetica. Sappiamo che le famiglie 1 2 3 sono quelle coinvolte nel metabolismo degli xenobiotici, ovviamente non sono lì appositamente per questo. Non legge nel dettaglio le altre famiglie in quanto non necessario. Questo enzima si occupa di idrossilare il substrato grazie all’incorporazione di una molecola di ossigeno attivo. Reazione redox che sfrutta il NADPH, questo complesso di enzima e coenzima si trova sulla membrana del reticolo endoplasmatico. Grazie al coenzima vi è un trasferimento di elettroni che consentirà all’enzima di fare la sua azione. L’enzima si riduce nell’ossidare il substrato, per questo motivo noi parliamo di reazioni cicliche di ossido riduzione. È importante che ricordiate che nella sua ciclicità questo tipo di reazione riesce a ristabilire l’equilibrio iniziale. 10 Lezione n°2 4/10/2023 Farmacologia, Claudia Sagheddu Gloria Ariu – Francesco Ruiu Facciamo un piccolo riassunto: parlavamo di metabolismo e cioè siamo arrivati a quel punto in cui il farmaco è riuscito a passare le membrane, diffondere e distribuirsi ai tessuti; uno di questi tessuti è il fegato. Qua il farmaco viene metabolizzato in due fasi: 1) La fase di funzionalizzazione (Oggi precisiamo ulteriormente cosa sono i microsomi: i microsomi sono artificialmente ottenuti, per motivi di studio, tramite centrifugazione dei tessuti. Questo procedimento consente di separare la parte di membrana dalla parte intracellulare che è meno lipidica. Quindi i microsomi sono delle porzioni di membrana che si richiudono formando delle vescicolette, in particolare originano dal reticolo endoplasmatico. E’ qui che si trova il citocromo P450). 2) La fase di coniugazione Avevamo già introdotto il citocromo e le sue diverse famiglie geniche, in particolare le prime 3 si occupano del metabolismo dei farmaci. Il CYP3A4 nel dettaglio metabolizza: benzodiazepine tipo diazepam e alprazolam, estradiolo, statine e tanti al