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VAT PHOTOPOLYMERIZATION Introduzione e Principio di Funzionamento È stato il primo processo ad essere stato brevettato, sviluppato da Chuck Hull. La Vat photopolymerization utilizza un monomero liquido (resina) che consente di ottenere una risoluzione molto alta. Il layer viene creato attraverso l...

VAT PHOTOPOLYMERIZATION Introduzione e Principio di Funzionamento È stato il primo processo ad essere stato brevettato, sviluppato da Chuck Hull. La Vat photopolymerization utilizza un monomero liquido (resina) che consente di ottenere una risoluzione molto alta. Il layer viene creato attraverso l’irraggiamento mediante sorgente luminosa, causando la polimerizzazione locale e la formazione di legami covalenti tra i monomeri. Il materiale passa dallo stato liquido allo stato solido o semi-solido. Sia nel SLA che nel DLP, la fotopolimerizzazione non è completa per favorire l'adesione con lo strato successivo. La polimerizzazione viene completata con un post- processing tramite raggi UV. Il pezzo ottenuto viene pulito con alcool isopropilico e irradiato ulteriormente in un forno UV per ottenere la piena fotopolimerizzazione. SLA e DLP La fotopolimerizzazione ha un numero limitato di materiali disponibili. Il processo è preciso, utilizzato per parti di piccole dimensioni in biomedica e oreficeria. Le resine impiegate sono tipicamente epossidiche o acriliche, miscelate con un foto catalizzatore e additivi per migliorare caratteristiche estetiche, termiche o meccaniche. Applicazioni Prototipazione: Processo economico con ottima finitura superficiale e dettaglio. Tooling: Realizzazione di stampi, battute, dime, e applicazioni dentali e di gioielleria. Pro e Contro Pregi: Alta finitura superficiale, complessità elevata, realizzazione di strutture di supporto sottili. Problematiche: Lavaggio del componente e del piatto di stampa, necessità di post-processing UV, materiali meno resistenti, e potenziale danno alla superficie durante la rimozione dei supporti. Sistemi SLA (Stereolitografia): Un fascio laser viene guidato da un sistema galvanometrico per deflettere il fascio lungo un percorso di polimerizzazione. Utilizza un fascio laser guidato attraverso un sistema galvanometrico per scansionare il percorso di polimerizzazione. La resina fotosensibile è collocata sul piano di stampa e polimerizza parzialmente per migliorare l'adesione con lo strato successivo. Interazione con l'ossigeno: L’ossigeno inibisce la polimerizzazione completa ma favorisce l’adesione tra strati. Esistono configurazioni dritte (sorgente luminosa sopra il piano di stampa) e rovesce (sorgente luminosa sotto il piano di stampa). Le resine liquide fotosensibili usate hanno una lunghezza d’onda di 405 nm. Sistemi Dritti e Rovesci Configurazione Dritta: L’oggetto è immerso nella resina durante tutto il processo. Configurazione Rovescia: L’oggetto è completamente immerso nella resina, riducendo l'interazione con l'ossigeno ma con il rischio di staccamento per pezzi grandi. Minimo tempo di interazione con la resina non polimerizzata, adatta per pezzi piccoli. Processi DLP (Digital Light Processing): Il DLP utilizza un proiettore per proiettare tutto lo strato. La potenza viene distribuita su tutta l’area del layer e dipende dalla risoluzione del proiettore. Il tempo necessario per polimerizzare è indipendente dalla dimensione dello strato. La risoluzione del DLP è definita dal numero di pixel, con un tempo di interazione calcolato per ogni singolo pixel. Tempo Ciclo per SLA e DLP La velocità di scansione del laser è preferita alla potenza. Il volume di riferimento è dato da: V= S*A = S* D2⋅π/4 dove S è lo spessore del layer e A è superficie dello spot. L’energia necessaria per la polimerizzazione è calcolata come: E=P*t Però E= Ep * V = Ep * S* D2⋅π/4. Quindi il tempo di interazione è dato da: t=(Ep⋅S⋅D2⋅π/4) / P. Dove Ep è l’energia specifica, S è lo spessore dello strato, D è il diametro del fascio laser, e P è la potenza del laser. Quindi la velocità per scansionare l’oggetto è data da: v=D/t il Tempo ciclo in SLA Dipende: dalla velocità di scansione, non dalla potenza. Energia di polimerizzazione specifica Ep è necessaria per polimerizzare un millimetro cubico di materiale. Nel DLP, il tempo di realizzazione dello strato è indipendente dalla dimensione dello strato, mentre in SLA dipende dall’area dello strato e dalla velocità di scansione. Dunque, il t= (Ep*A*S) /P pixel questo rappresenta il tempo necessario per attivare tutti i pixel contemporaneamente, rimani costante indipendente dall’area o dimensione dello stratto. SLA: Caratteristiche, Parametri di Processo e Difetti: Elevata accuratezza grazie alla resina liquida. Necessità di strutture di supporto e raft per ancorare l’oggetto al piano. (raft serve per migliorare l’ancoraggio del componente) Processi di post-processing sono lunghi, specialmente la cura UV. DLP: Caratteristiche e Vantaggi: Più facile da scalare rispetto a SLA utilizzando più proiettori. Il tempo ciclo dipende dall’area del layer e dalla potenza del proiettore. Utilizza pixel attivati/disattivati, risoluzione elevata, meno distorsioni, tempo di realizzazione dello strato indipendente dalla dimensione. Difetti Principali Curl: Imbarcamento del materiale a causa della contrazione. Swelling: Crescita non omogenea del materiale a causa del tempo di contatto con la resina. Materiale non polimerizzato all’interno di tasche o fori, richiedendo rilavorazioni per mantenere le tolleranze. Post-Processing Blasting: Sabbiatura per migliorare la finitura superficiale. Sending: Carteggiatura manuale o automatica. Polishing: Smerigliatura chimica o termica. Coating: Rivestimenti per migliorare estetica e caratteristiche. Nesting nella SLA e DLP: Il nesting consiste nell’ottimizzare la disposizione dei pezzi sul piano di stampa per ridurre i tempi morti dovuti al livellamento della resina e ai movimenti del piano di stampa. Nell'SLA, il nesting aiuta a distribuire i tempi morti tra i vari pezzi, migliorando l'efficienza complessiva del processo di stampa. Anche nel DLP, il nesting può essere utilizzato per massimizzare l’uso dello spazio di stampa e minimizzare il tempo di lavorazione, poiché i pixel vengono attivati contemporaneamente sull'intero strato. Come risolvere il problema di Curling e Swelling: 1. Curling: o Utilizzare strutture di supporto adeguate per mantenere fermo lo strato mentre si solidifica. o Minimizzare gli spigoli vivi, preferendo geometrie più continue. o Ottimizzare la strategia di scansione per ridurre i gradienti di polimerizzazione. 2. Swelling: o Lavorare con resine stabili con una bassa contrazione durante la polimerizzazione. o Utilizzare software per calibrare e ridurre le dimensioni degli strati in modo differenziato, basato sulla disposizione del pezzo. o Per cavità e fori, ridimensionare i progetti in modo opportuno per compensare l'accumulo di resina non polimerizzata. Come fare la calibrazione di una nuova resina: 1. Preparazione: o Realizzare un cubo di prova con una tasca interna utilizzando la nuova resina. 2. Test di Irradiazione: o Irradiare diverse aree del cubo con tempi e potenze variabili per determinare l’energia di polimerizzazione specifica (Ep). 3. Misurazione: o Misurare le dimensioni del cubo e della tasca per confrontarle con le dimensioni attese e determinare le deviazioni. 4. Calibrazione: o Regolare i parametri di stampa (velocità di scansione, spessore dello strato) per compensare le deviazioni rilevate, in modo da ottenere le dimensioni desiderate per i pezzi finali. o Ripetere il processo di stampa e misurazione fino a raggiungere la precisione desiderata. MATERIAL JETTING Material Jetting è un processo in cui una testina di stampa, simile a quelle delle stampanti convenzionali, deposita localmente del materiale. Questo materiale può essere fotosensibile e polimerizzato con un fascio UV, oppure termoindurente e polimerizzato con una lampada a infrarossi. Questo processo è interessante poiché consente di ottenere rapidamente il componente finale grazie alla deposizione di una grande quantità di materiale, anche finemente calibrata, e a una polimerizzazione altrettanto veloce. Polimerizzazione di uno strato doppio o sottile: La polimerizzazione di uno strato sottile è più veloce rispetto a quella di uno strato doppio, a parità di potenza della sorgente che deve innescare la polimerizzazione (UV o raggi infrarossi). Questo perché il materiale è minore e richiede meno energia, il che si traduce in maggiore velocità a parità di potenza, mantenendo un'elevata risoluzione. Applicazioni Il Material Jetting è utilizzato per la realizzazione di mockups ad alta risoluzione, con tolleranze dimensionali molto spinte e una finitura superficiale eccellente. Grazie alla deposizione di goccioline liquide finemente calibrate e con bassa viscosità, è possibile ottenere componenti con una finitura superficiale molto dettagliata. Questo processo trova applicazione nella gioielleria per la realizzazione di modelli custom e nel campo biomedicale, grazie alla possibilità di miscelare materiali e colori differenti per ottenere strutture a densità e rigidezza variabile. Pro e Contro Pro: Elevata precisione dimensionale e riproducibilità del processo. Possibilità di utilizzare contemporaneamente più materiali e colori. Non viene utilizzato il calore per la polimerizzazione, riducendo problemi legati alla cristallinità del materiale. Adatto per processi di grandi dimensioni. Non richiede un piano di stampa perfettamente planare grazie a software di correzione. Maggiore efficienza e costo inferiore rispetto ai laser. Contro: Limitata gamma di materiali rispetto ad altri processi come la VAT photopolymerization. Accuratezza inferiore rispetto a SLA. Problemi legati alla nebulizzazione e alla cinetica dei materiali. Fasi di polimerizzazione di uno strato doppio o sottile La polimerizzazione è influenzata dalla cinetica di polimerizzazione, ovvero dalla quantità di energia necessaria affinché un determinato volume di materiale possa polimerizzare. La viscosità del materiale deve essere ottimale per permettere una corretta nebulizzazione e formazione di microgoccioline. Una volta depositato il materiale, la polimerizzazione avviene tramite una lente UV. Il processo è discontinuo: si alternano fasi attive di deposizione e polimerizzazione con fasi passive di abbassamento del piano di stampa. Quali i 2 processi della macrocategoria del processo material jetting I due processi della macrocategoria del Material Jetting sono: 1. Processi a letto di materiale 2. Processi a deposizione localizzata Spiega il nesting di questo processo Nel contesto del Material Jetting, il nesting non è molto utile o importante. Questo è dovuto al fatto che i tempi morti del processo sono brevi e legati unicamente all’abbassamento del piano di stampa. Durante il processo, il piano di stampa si abbassa per permettere la deposizione dello strato successivo, ma il tempo di irraggiamento dell'intera superficie è comunque basso. Problematiche del processo Le principali problematiche del Material Jetting sono: 1. Viscosità del materiale: La calibrazione, il controllo e la stabilità della viscosità del materiale sono cruciali per ottenere le gocce desiderate. 2. Cinetica di polimerizzazione: La caratterizzazione dell'energia di polimerizzazione è fondamentale. È necessario determinare di quanta energia si ha bisogno affinché un determinato volume di materiale possa polimerizzare. In base a questo e alla potenza della lampada, si può determinare il tempo di interazione per ottenere una polimerizzazione controllata. Descrivi il processo di material jetting e discuti le sue potenziali limitazione rispetto ad altri processi di stampa? Descrizione del processo di Material Jetting Material Jetting è un processo di stampa 3D in cui una testina, simile a quelle delle stampanti convenzionali, deposita localmente materiale sotto forma di gocce. Questo materiale può essere fotosensibile e quindi polimerizzato con un fascio UV, oppure termoindurente, polimerizzato con una lampada a infrarossi. Questo metodo permette di ottenere rapidamente il componente finale grazie alla deposizione di una grande quantità di materiale finemente calibrata e a una polimerizzazione altrettanto veloce. Il piano di stampa viaggia molto velocemente e permette la formazione rapida dei layer. Inoltre, è possibile realizzare contemporaneamente più oggetti con tempi estremamente contenuti. Le gocce di materiale devono essere piccole e con bassa viscosità per consentire una spruzzatura efficace e una finitura superficiale di alta qualità. Potenziali limitazioni rispetto ad altri processi di stampa 1. Gamma di materiali limitata: o Il Material Jetting utilizza principalmente resine fotosensibili, il che restringe la varietà dei materiali rispetto ad altri processi come la FDM (Fused Deposition Modeling) o la SLS (Selective Laser Sintering), che possono utilizzare un'ampia gamma di polimeri, metalli e compositi. 2. Accuratezza inferiore rispetto a SLA: o Il processo di Material Jetting, pur essendo molto preciso, ha un’accuratezza inferiore rispetto alla stereolitografia (SLA). L'SLA può ottenere una risoluzione molto più fine grazie all'uso di un laser per solidificare la resina. 3. Problemi di nebulizzazione: o La formazione e la nebulizzazione delle gocce rappresentano una sfida significativa. Il controllo preciso della viscosità e la stabilità del materiale sono fondamentali per ottenere risultati ottimali. La nebulizzazione errata può portare a difetti nella qualità di stampa. 4. Durabilità dei materiali: o I materiali utilizzati nel Material Jetting spesso non hanno proprietà meccaniche avanzate, il che comporta una scarsa durabilità dei pezzi stampati. Questo è un limite rispetto a processi come la SLS, che può produrre parti con eccellenti proprietà meccaniche. 5. Costo e complessità: o Anche se il Material Jetting può essere più economico rispetto a processi che utilizzano laser, richiede comunque apparecchiature avanzate e un controllo preciso delle condizioni di stampa. Questo può aumentare i costi e la complessità del processo. 6. Scalabilità: o Sebbene il Material Jetting sia altamente scalabile tramite l'aggiunta di più testine di stampa, potrebbe comunque risultare meno efficiente su larga scala rispetto a tecniche come la SLS o la FDM, che sono già ampiamente utilizzate per produzioni di massa. Conclusioni: Il Material Jetting è un processo di stampa 3D molto versatile e preciso, ideale per applicazioni che richiedono alta risoluzione e la capacità di utilizzare più materiali e colori contemporaneamente. Tuttavia, presenta alcune limitazioni rispetto ad altri processi di stampa, in particolare riguardo alla gamma di materiali utilizzabili, alla durabilità delle parti stampate, e alla complessità del controllo della viscosità e della nebulizzazione delle gocce. Nonostante questi limiti, continua ad essere una scelta eccellente per specifiche applicazioni, specialmente in campi come la gioielleria e il biomedicale. Powder Bed Fusion Processo a letto di polvere che avviene attraverso la fusione o la sinterizzazione delle polveri. È un processo di natura termica che può essere suddiviso su due categorie di polveri: Polveri metalliche o polveri plastiche (termoplastiche, le uniche che possono fondere). Nell'ambito di questa categoria di processi rientrano poi due macrocategorie che si differenziano a seconda della tipologia della sorgente da utilizzare. Si possono utilizzare o sorgenti laser o sorgenti elettroniche (ELB). Nel primo caso, il fascio energizzante è un fascio Laser; quindi, si parla di selective laser melting (SLM) o selective laser sintering (SLS). Nel caso di fascio laser si può lavorare con materiali diversi: dai materiali metallici a materiali plastici. È anche possibile andare a realizzare delle sinterizzazioni su materiali ceramici. Se il meccanismo di formazione del componente è diverso si avranno delle differenze in termini di macchinari e atmosfera all'interno delle camere. Chiaramente stiamo parlando di processi che lavorano con polveri, per cui si possono ottenere dei dettagli molto definiti. Per le seconde si utilizza un fascio di elettroni che va ad accelerare gli elettroni del materiale e li fa liberare molto velocemente, comportando un innalzamento della temperatura così che si verifichi la fusione. I due processi principali, come già detto, sono l'EBM e SLS/SLM. Le fasi del processo sono: Alimentazione della camera seguita dal fine livellamento della polvere Scansione dello strato seguendo un percorso customizzato Abbassamento del piano di stampa e riempimento di polvere con uno spessore pari allo strato che devo ottenere Livellamento della polvere Irraggiamento della polvere per ottenere lo strato Sembra un processo facile ma, in realtà, comporta una serie di problemi sia a causa dei passaggi di fase sia per quanto riguarda la dispersione delle polveri all'interno della camera. Come funziona il processo? Si vanno a riempire due camere di alimentazione con della polvere. La polvere viene trasportata, tramite tramoggia a lama, al di sopra dell'effettivo piano di lavorazione (da una camera all'altra). Questo strato finemente calibrato viene poi scansito per portare a fusione soltanto la regione di interesse. Dopodiché il piano scende dell'effettivo spessore dello strato e poi viene riportato del nuovo materiale con la tramoggia, andando a creare un nuovo velo di polvere sullo strato precedentemente realizzato. Si procede poi con una nuova scansione per fondere sia lo strato appena depositato e sia lo strato sottostante per ottenere l'adesione tra gli stati. È un processo che possiamo schematizzare come segue: alimentazione del piano di stampa con la polvere, scansione con il fascio, abbassamento del piano di stampa, alimentazione, scansione, e così via... Risulta essere perciò un processo abbastanza veloce, ma non velocissimo. A valle del processo si va a rimuovere la polvere in eccesso che verrà riutilizzata e poi si prosegue con il post processing del pezzo. In base alla tipologia del materiale utilizzato potrebbe essere necessario andare a irrobustire il componente. Perché? Dovendo portare il materiale a temperatura di fusione e considerando che si hanno inizialmente tante sferette che occupano un certo volume, accade che a valle della scansione laser si avrà un volume inferiore poiché si tende a riempire con il materiale fuso i vuoti tra le polveri. Il solo fatto di aver portato a fusione o sinterizzazione porta ad avere un maggiore attecchimento; quindi, si ha una leggera granulazione del materiale. Ma d'altra parte, si ha anche la contrazione termica legata al fatto che ho portato a fusione il materiale che poi si raffredda a temperatura della camera (inferiore a quella di fusione) e quindi si contrae. Ciò può portare a distorsioni termiche durante la stampa. È necessaria, per tale motivo, la presenza di un'intelaiatura che mi garantisce durante la stampa la forma/geometria prestabilita. Nel caso di materiali metallici si sfruttano tali strutture sia per intelaiare ma anche per far scaricare la temperatura più velocemente, così da omogeneizzarla ed evitare distorsioni localizzate. Al contrario, nei materiali plastici non si usano le strutture di supporto in quanto è la polvere stessa non sinterizzata/scansita a supportare il materiale stesso. Vale solo con la plastica perché la plastica è leggera, mentre nel caso di polveri metalliche serve il supporto poiché peso maggiore e alta conducibilità termica. L'elevata conducibilità termica della polvere permette attraverso la struttura di farla raffreddare velocemente e portarla a temperatura della camera. Le polveri plastiche hanno bassa conducibilità termica. Perché è importante tale processo? I processi a letto di polvere sono quelli che consentono di ottenere la massima accuratezza dei dettagli ed alte prestazioni meccaniche. È il processo che meglio permette di ottenere il componente laddove si hanno geometrie complesse con dettagli molto fini. Di conseguenza Industria aerospace e biomedicale interessate a tale processo. A valle del processo la polvere in eccesso viene sempre aspirata. Si tratta di polveri dell'ordine di grandezza di 50 micron, per cui la loro inalazione è pericolosa. Le polveri vengono anche filtrate per garantire una certa dimensione poiché a causa della giunzione potrebbero esserci polveri che hanno subito una sinterizzazione secondaria non desiderata che ne ha modificato la forma (dimensione superiore) e le caratteristiche microstrutturali. Per tale motivo la polvere che viene recuperata viene successivamente miscelata con una polvere vergine per garantire anche una certa ripetibilità della stampa. Laddove possiamo sfruttare la rigidezza di forma si ricorre a tale processo. Nel settore medicale, le superfici dei componenti ottenuti per Power bed fusion non sono caratterizzate da una finitura particolarmente spinta ma ciò può migliorare l'adesione cellulare. Se necessario, la finitura può comunque essere migliorata tramite post-processing. Laddove è necessario realizzare un'ulteriore deposizione sui componenti, il fatto di avere delle superfici non lisce ma piuttosto rugose consente due vantaggi: Aumentare la superficie di contatto a parità di superficie (es. superficie bombata) Maggiore resistenza a taglio poiché si ha anche un contributo di natura meccanica all'attecchimento del substrato caratteristiche pbf Lo spessore tipico varia tra i 50-100 micron. Maggiore è lo spessore, minore è il numero di strati. Minore è lo spessore, maggiore è l'accuratezza. Necessità di lavorare a temperatura controllata, soprattutto quando si parla di materiali metallici. Caratteristiche delle polveri è di avere un elevato rapporto superficie/volume. Se la temperatura sale, aumenta la velocità con cui posso avere l'ossidazione della polvere. Per tale motivo devo controllare la temperatura per la camera per evitare problemi di ossidazione. Electron Beam Melting (EBM) I vantaggi dell'EBM sono: possibilità di realizzare strutture estremamente particolari elevato tasso di utilizzazione del materiale nonostante ci sia comunque la presenza di strutture di supporto in quanto sono sottili e ciò consente risparmio di materiale, tempo, costo e rende più facile la rimozione di esse. Strong metal parts: possibilità di ottenere porosità quasi pari a zero per cui le parti metalliche realizzate possono essere molto resistenti. Essendo, però, un processo a letto il materiale che può essere realizzato è unico per il componente. I principali limiti dell'EBM sono: Scarsa finitura superficiale, dettata dal fatto che stiamo lavorando con delle polveri. È possibile ottenere finitura superficiale spinta andando a eseguire delle lavorazioni successive. Laddove c'è una fusione nelle superfici esterne si vedono i tratti della fusione, ciò che comporta scarsa finitura. Il costo di queste macchine è molto alto, soprattutto nel caso delle polveri metalliche. Perché c'è questa differenza? Per i diversi dispendi energetici. L'energia che devo fornire nel caso di polveri plastiche è molto minore. Questo è dovuto a diversi aspetti: la temperatura di fusione dei materiali plastici è inferiore dei materiali metallici, presentano un maggior coefficiente di assorbimento della radiazione (contrariamente i materiali metallici sono riflettenti, hanno un basso assorbimento) e hanno bassa conducibilità termica. Ciò equivale a dire che tutta l'energia che viene fornita viene assorbita dallo strato in esame. Nel caso di materiali metallici, invece, solo una parte dell'energia che viene assorbita viene utilizzata per fondere il materiale mentre la restante parte di essa viene drenata dalle parti circostanti. Questo comporta due problemi: necessità di utilizzare più energia e scarsa precisione (l'energia viene confinata in una zona e velocemente drenata dalle parti circostanti, per cui si possono avere delle fusioni nelle zone circostanti di non interesse) Pulizia del processo: Si lavora con delle polveri, la gestione di esse è molto più pericolosa della gestione di materiali sottoforma di filamenti. Le polveri sono caratterizzate da un elevato rapporto superficie volume, in determinate condizioni possono dar luogo a detonazioni (sono esplosive). Il recupero della polvere avviene tramite aspirazione + setaccio per rimuovere le polveri fuse tra loro + miscelazione con la polvere vergine. Necessità di personale estremamente personalizzato. La camera deve essere opportunamente ripulita per garantire il corretto funzionamento. Se andiamo a guardare il processo di Power Bed fusion, lo possiamo schematizzare in maniera simile all'SLA: Si ha una fase di alimentazione (la camera deve essere riempita fino un certo livello), livellamento per evitare la formazione di bolle, la fase realmente attiva di scansione e poi il movimento del piano. Ci sono molti tempi morti. I tempi morti non dipendono dalla dimensione del pezzo, bisogna sempre andare a livellare tutto il volume di stampa. Inoltre, non è possibile, però, velocizzare il processo poiché le polveri sono estremamente piccole e verrebbero spazzate via. Ciò che posso fare per ridurre i tempi morti è riempire il volume con più pezzi, stampare più pezzi contemporaneamente così da spalmare i tempi morti. Selective laser sintering (SLS) Si ha la camera, il sistema di alimentazione attraverso cui si va a portare la polvere sullo strato, poi la scansione, il piano di stampa si abbassa, viene riportato un altro strato di polvere e così via. Per migliorare le caratteristiche di saldatura si utilizzano dei laser ad alta potenza e per muoverli ad alta velocità si ricorre al galvanometro (sistema di specchi che consente di muovere il fascio laser lungo un determinato percorso). Il galvanometro è caratterizzato da un certo angolo, oltre cui la proiezione diventa ellittica e non più circolare. Normalmente, infatti, le camere sono cilindriche e non cubiche, così da poter lavorare all'interno di un certo raggio d'azione per non perdere definizione. Da cosa dipende il tempo attivo nel processo (durata della scansione)? Dalla superficie A del Layer e dallo spessore S. Andando a calcolare il volume che devo portare a fusione si ottiene l'energia necessaria. Q=∆T * cp * M = ∆T * cp * ρ * V = (Tm-Tc) * cp * ρ *V In realtà, per il calcolo del volume si deve tener conto di un certo fattore β (livello di impacchettamento) V=A×S×β t=Q/P Tm= temperatura del materiale, P = potenza del laser Il tempo è direttamente proporzionale alla quantità di calore necessaria e di conseguenza al volume e inversamente proporzionale alla potenza del laser. Maggiore sarà la potenza del laser, minore sarà il tempo. Ma non tutta l'energia che il materiale assorbe viene utilizzata per la fusione, si ha una diffusione che è legata alla conducibilità termica del materiale. Inoltre, bisogna tener conto dell'energia necessaria per il passaggio dello stato da solido a fuso. Avendo poi il materiale un certo coefficiente di assorbimento, andrebbe tenuto conto anche di questo dividendo il tutto per il coefficiente stesso. Il processo di PBF è un meccanismo di fusione: possiamo utilizzare le solite formule per calcolare il tempo necessario per realizzare ogni singolo strato. Per farlo serve sapere l’area dello strato A, lo spessore dello strato s, la Temperatura della camera T_c, la Temperatura di fusione T_f, il calore specifico del materiale, l’energia e la potenza del laser. Energia Specifica = c_p*(T_f-T_c) Energia Totale = 〖A*s*c〗_p*(T_f-T_c) t = Energia Totale/〖α*P〗_laser APPLICAZIONI SLS: Aerospace; Automotive; Medical Recap di natura economica: si hanno delle polveri che costano tanto ma il processo rimane comunque meno costoso rispetto ad altri (per es. asportazione di truciolo). Vantaggi SLS Non richiede supporti poiché materiali plastici Possibilità di ottenere geometrie particolari con caratteristiche meccaniche superiori all'SLA Velocità di deposizione abbastanza spinta Discreta scelta di polimeri. Tuttavia, non è la gamma di polimeri che viene utilizzata per i filamenti in quanto stampa meno diffusa di FDM, SLA. N.B. Si ha sintering nei materiali plastici e melting nei materiali metallici per la conducibilità termica. Nei materiali plastici poiché si ha bassa conducibilità termica e si lavora a elevate velocità, scansionando la polvere sulla superficie esterna, l'interazione tra fascio e polvere è veloce e fa si che si va a creare una sinterizzazione che abbraccia solo la superficie esterna. Contrariamente, l'elevata conducibilità termica dei materiali metallici fa si che ci sia completa fusione e non sinterizzazione. Svantaggi SLS Finitura superficiale meno spinta a causa delle polveri. Le polveri non vengono fuse completamente ma si ha la sinterizzazione (collegamento tra le polveri lungo la superficie esterna) Disponibilità di pochi materiali e colori Confronto sla, sls, fdm Sono i principali processi di additive per le plastiche. SLS: si hanno polveri termoplastiche che possono essere molto prestanti, si possono realizzare agevolmente componenti con geometrie particolari senza supporti, la camera è comunque piccola SLA: elevata finitura superficiale legata a spessori piccoli e materiali in forma liquida FDM: materiali ad alta prestazione, problemi di supporti, processo altamente scalabile, prestazioni meccaniche superiori e ampia gamma di materiali. Nesting nel Powder Bed Fusion Nel processo di Powder Bed Fusion, il nesting è una strategia utilizzata per ridurre i tempi morti durante la produzione. Come spiegato nel testo, ci sono molti tempi morti nel processo di Powder Bed Fusion, in quanto è necessario eseguire operazioni come l'alimentazione della camera con la polvere, il livellamento della polvere, la scansione del fascio laser/elettronico, l'abbassamento del piano di stampa, ecc. Questi tempi morti non dipendono dalla dimensione del pezzo, in quanto è necessario eseguire tali operazioni sull'intero volume di stampa. Per ridurre questi tempi morti, una strategia adottata è il nesting, ovvero la disposizione di più pezzi all'interno della camera di stampa contemporaneamente. In questo modo, mentre un pezzo viene stampato, gli altri tempi morti (alimentazione, livellamento, ecc.) possono essere sfruttati per la stampa di altri pezzi, riducendo complessivamente i tempi di produzione. Come riportato nel testo: "Ciò che posso fare per ridurre i tempi morti è riempire il volume con più pezzi, stampare più pezzi contemporaneamente così da spalmare i tempi morti." Quindi, il nesting permette di sfruttare meglio i tempi morti del processo, stampando più pezzi in parallelo all'interno della camera. Gestione della polvere in eccesso nel Powder Bed Fusion: Nel processo di Powder Bed Fusion, la polvere in eccesso viene sempre aspirata al termine della stampa, come riportato nel testo: "A valle del processo la polvere in eccesso viene sempre aspirata. Si tratta di polveri dell'ordine di grandezza di 50 micron, per cui la loro inalazione è pericolosa." Questa polvere aspirata viene poi filtrata e miscelata con polvere vergine per garantire la ripetibilità della stampa: "Le polveri vengono anche filtrate per garantire una certa dimensione poiché a causa della giunzione potrebbero esserci polveri che hanno subito una sinterizzazione secondaria non desiderata che ne ha modificato la forma (dimensione superiore) e le caratteristiche microstrutturali. Per tale motivo la polvere che viene recuperata viene successivamente miscelata con una polvere vergine per garantire anche una certa ripetibilità della stampa." Quindi, la gestione della polvere in eccesso prevede: Aspirazione della polvere in eccesso Filtrazione della polvere recuperata per rimuovere le particelle indesiderate Miscelazione della polvere filtrata con polvere vergine per garantire la ripetibilità della stampa Gestione del livellamento nel Powder Bed Fusion Il livellamento della polvere è una fase critica nel processo di Powder Bed Fusion, come evidenziato nel testo: "Si ha una fase di alimentazione (la camera deve essere riempita fino un certo livello), livellamento per evitare la formazione di bolle, la fase realmente attiva di scansione e poi il movimento del piano." Il livellamento serve a creare uno strato uniforme di polvere sulla superficie di stampa, in modo da avere una deposizione omogenea e evitare la formazione di bolle o irregolarità. Questa operazione di livellamento viene eseguita dopo l'alimentazione della camera con la polvere e prima della scansione del fascio laser/elettronico. È un passaggio importante per garantire la qualità della stampa. Gestione del post-processing Dopo la stampa vera e propria, il componente ottenuto deve essere sottoposto a delle operazioni di post-processing, come riportato nel testo: "A valle del processo si va a rimuovere la polvere in eccesso che verrà riutilizzata e poi si prosegue con il post processing del pezzo." Il post-processing può includere diverse attività, come: Rimozione della polvere in eccesso rimasta sul componente Eventuale trattamento termico per migliorare le proprietà meccaniche Finitura superficiale, come lucidatura, per ottenere una migliore qualità estetica Rimozione delle strutture di supporto, se presenti Queste operazioni di post-processing sono importanti per ottenere il componente finale con le caratteristiche desiderate, dopo la stampa mediante Powder Bed Fusion. MATERIAL EXTRUSION La famiglia dei processi di Material Extrusion è ampia e può essere suddivisa in due macro-famiglie: quella in cui il materiale impiegato è sotto forma di filamenti e quella in cui i materiali sono dei pellet. Il processo di funzionamento è essenzialmente lo stesso per entrambe le categorie: si impiega un estrusore riscaldato da cui fuoriesce il materiale. Nel caso dei filamenti, il materiale viene fatto avanzare mediante una o due ruote dentate azionate da un motore. Nell'estrusore, il materiale subisce una riduzione di sezione, con un conseguente aumento di pressione. Affinché l'estrusione possa avvenire, il materiale deve essere riscaldato. Riscaldamento del materiale: L'estrusore è collegato a un blocco riscaldante composto da una resistenza a cartuccia (strumento di potenza) e una termocoppia/termistore (strumento di misura della temperatura). Termistore e resistenza sono collegati all'elettronica della macchina, che verifica la corrispondenza tra la temperatura del blocco e la temperatura impostata. Meccanismo di adesione: Affinché gli strati vengano effettivamente uniti tra loro, è fondamentale che la temperatura all'interfaccia rimanga alta per un periodo di tempo sufficiente e che venga applicata la giusta pressione. Quando la temperatura è elevata, le catene polimeriche del materiale termoplastico possono scorrere velocemente le une rispetto le altre, consentendo alle catene del materiale appena depositato di fluire in quelle del materiale già depositato, creando un'unione. Principali processi di Material Extrusion: FDM (Fused Deposition Modeling) FFF (Fused Filament Fabrication) Entrambi lavorano con filamenti, ma hanno nomi diversi per evitare problemi di copyright. In alternativa, si ha l'estrusione di PALLET: che consente di utilizzare come materia prima un materiale non ancora trasformato, risultando più economico. Tuttavia, il filamento offre un maggiore controllo del flusso di materiale. Differenza tra FDM, Pellet e FFF: FDM (Fused Deposition Modeling) e FFF (Fused Filament Fabrication) sono entrambi processi di Material Extrusion che lavorano con filamenti. La differenza è solo nel nome, utilizzati per evitare problemi di copyright. Il processo con i pellet, invece, utilizza come materia prima un materiale non ancora trasformato in filamento. Questo consente un risparmio sui costi della materia prima, ma comporta una minore capacità di controllo del flusso di materiale rispetto all'utilizzo di filamenti. I vantaggi del processo a pellet sono la possibilità di lavorare con elevati flussi di materiale e l'uniformità del riscaldamento, grazie all'alimentazione attraverso una coclea. Tuttavia, il filamento offre un maggiore controllo del flusso di materiale. Materiali utilizzati: Tutti i processi di Material Extrusion lavorano principalmente con materiali termoplastici. Vantaggi Material Extrusion: Ampia varietà di materiali disponibili Grande diffusione delle stampanti, quindi dei filamenti Svantaggi Material Extrusion: Finitura superficiale bassa Viscosità del materiale, che tende a mantenere la propria forma Processo lento Caratteristiche meccaniche basse a causa di problemi di adesione degli strati e vuoti tra i filamenti Applicazioni: Ambiti di applicazione molto ampi, dall'ambito biomedicale all'aerospace, passando per imbarcazioni, pezzi demo, tooling, ecc. Sostenibilità: Il processo di Material Extrusion si sposa bene con la sostenibilità, in quanto impiega tendenzialmente materiali termoplastici, che possono essere riutilizzati più volte, sebbene con un numero limitato di riscaldamenti a causa della diminuzione del peso molecolare. Riuso dei materiali: uso di materiali termoplastici e per i pallet possono essere prodotti da trucioli di materiali termoplastici derivanti da riciclo di altri componenti. Riduzione degli scarti: grazie alla possibilità di riciclare i materiali e di utilizzare pallet Sostenibilità ambientale: utilizzando materiali riciclati o riciclabili, contribuendo alla riduzione dell’impatto ambientale legato all’estrazione e alla produzione di nuove materie prime. Riutilizzo del materiale: È possibile plasmare lo stesso materiale termoplastico più volte, sebbene con un numero limitato di riscaldamenti. Ciò è dovuto alla diminuzione del peso molecolare che si verifica a causa dei ripetuti riscaldamenti, con conseguente peggioramento delle proprietà meccaniche. Meccanismo di accoppiamento degli strati: L'accoppiamento degli strati è dovuto alla formazione di legami secondari tra il materiale appena depositato e il materiale sottostante. Il pezzo realizzato per FDM si tiene insieme mediante legami secondari, non per legami chimici. Il modulo di Young dei materiali plastici è inferiore rispetto ai materiali termoindurenti, in cui i vari strati sono tenuti unicamente da legami covalenti. Parametri di processo: Velocità Temperatura del nozzle, della camera, del materiale e del piano di stampa Geometria: diametro e distanza del nozzle, altezza del layer, strategia e percentuale di riempimento dello strato Problematiche: Anisotropia: le caratteristiche meccaniche dipendono dalla direzione di sollecitazione, essendo il pezzo composto da strati sovrapposti. Thermal Shrinkage: accorciamento degli strati a causa della contrazione termica, che porta a distorsioni del pezzo. Bridging e Supporti: necessità di realizzare ponti e supporti per geometrie con elevato angolo di sbalzo. Warping: distorsione del pezzo dovuta a gradienti termici. Small Island: difficoltà nel realizzare features molto piccole, che tendono a staccarsi dal piano di stampa. Orientamento del pezzo: L'orientamento del pezzo sul piano di stampa è fondamentale per ottimizzare le caratteristiche meccaniche, ridurre i tempi di stampa e minimizzare la necessità di supporti. Materiali: Oltre ai materiali plastici "rigidi", è possibile stampare anche materiali gommosi come il TPU (Poliuretano Termoplastico) utilizzato anche nel SLS. Un altro materiale che si può usare è il vetro. Per l'accoppiamento di parti in plastica, si utilizzano spesso degli inserti. NB: la scelta dei materiali dipende delle specifiche esigenze dell’applicazione, considerando fattori come: resistenza, flessibilità, trasparenza, resistenza chimica e temperatura di fusione Post-process: Possono essere effettuati trattamenti termici per migliorare l'entanglement delle catene polimeriche o per aumentare la cristallinità del materiale. L'annealing è un trattamento termico che può essere applicato come post-processo per aumentare la cristallinità del materiale. Viene effettuato a temperature comprese tra la temperatura di transizione vetrosa (Tg) e la temperatura di fusione (Tf) del materiale. Aumento della temperatura all'estrusore: Se si aumenta la temperatura all'estrusore, si ottiene: Riduzione della viscosità del materiale, che facilita l'estrusione e il deposito. Maggiore capacità di riscaldare lo strato sottostante, migliorando l'adesione tra gli strati. Tuttavia, temperature troppo elevate possono portare a una eccessiva fluidità del materiale, rendendo difficile il controllo del flusso. Aumento dello spessore dello strato: Se si aumenta lo spessore dello strato depositato, si ottiene: Maggiore difetto a scalino e morfologia meno schiacciata del filamento depositato. Minore superficie di adesione tra gli strati, con potenziale peggioramento delle proprietà meccaniche. Per ottenere strati più spessi, è necessario utilizzare un estrusore di diametro maggiore, in quanto i filamenti sottili tendono a raffreddarsi più rapidamente, rendendo difficile il riscaldamento del substrato. Per stampare ad alta velocità nel processo di Material Extrusion, si possono adottare le seguenti strategie: Aumentare il numero di ruote in serie che spingono il filamento, per aumentare la forza di estrusione senza raggiungere la massima sollecitazione del filamento. Aumentare la temperatura del filamento, in modo da ridurne la viscosità e quindi lo sforzo necessario per estruderlo. Tuttavia, il riscaldamento eccessivo del materiale può comportare dei problemi: Riscaldamento non omogeneo del materiale: il calore potrebbe essere trasferito solo alla superficie esterna del filamento, mentre il cuore rimane freddo (effetto "pelle"). Ciò compromette l'adesione tra gli strati. Sia nel processo FDM che in quello a pellet, un riscaldamento eccessivo può portare a questo problema di disomogeneità termica del materiale estruso. Il motivo per cui si estrude prevalentemente con filamenti è che questa forma di alimentazione offre alcuni vantaggi rispetto ai pellet: Maggiore facilità di gestione del materiale Possibilità di effettuare la ritrazione del filamento, permettendo un miglior controllo del flusso Maggiore funzionalizzazione e calibrazione dell'estrusore Possibilità di miscelare facilmente i filamenti Invece, con i pellet non si riesce a ottenere lo stesso livello di controllo del flusso di materiale. Per quanto riguarda il riutilizzo dello stesso materiale, il testo afferma che è possibile plasmare lo stesso materiale termoplastico un numero limitato di volte: Questo è dovuto al fatto che durante i ripetuti riscaldamenti si verifica una diminuzione del peso molecolare, con conseguente peggioramento delle proprietà meccaniche del materiale. Quindi non è possibile riutilizzare indefinitamente lo stesso materiale. BINDER JETTING Il Binder Jetting è un processo di stampa 3D ibrido. A differenza dei processi di SLA o PDB, in cui si parte da un letto di materiale (resina, polvere) e si innesca un processo di agglomeramento (fusione, polimerizzazione), o si deposita localmente il materiale per ottenere l'oggetto 3D, nel Binder Jetting si lavora sempre con letti di polvere ma si va a spruzzare localmente un binder (legante/collante) che permette di mettere insieme le polveri. Il processo è simile alla realizzazione del calcestruzzo, formato da sabbia (inerte) e cemento che, mescolato con l'acqua, dà luogo al binder e tiene insieme la sabbia. Allo stesso modo, nel Binder Jetting si va a spruzzare selettivamente il binder su un substrato che può essere di vari materiali molto diversi tra loro, anche inerti, poiché l'operazione di unione delle polveri non è legata alla caratteristica delle polveri stesse (possibilità di essere portate a fusione) ma al binder. In generale, il Binder Jetting rappresenta una fusione tra i processi di PDB e Material Jetting, dove si spruzza localmente il materiale per ottenere l’oggetto. Dal punto di vista delle fasi del processo, si va a riportare il materiale (binder) sul letto di polvere e lo si fa solidificare molto velocemente. Il binder può essere una resina o lo stesso materiale del material jetting. Se è una resina, la si può andare a curare molto velocemente, magari con delle lampade infrarosse. Se è dello stesso materiale del material jetting, ne viene spruzzata una quantità minore poiché serve solo da matrice per il materiale composito che si sta realizzando. Le polveri possono essere di materiali molto diversi, anche termoplastiche. Utilizzare un binder su polveri termoplastiche permette di accelerare molto il processo, che richiederebbe altrimenti una certa energia e tempi ciclo abbastanza lunghi per la fusione. A valle di tale processo, se si vuole avere un oggetto costituito dal solo materiale di interesse, bisogna procedere con il debinding (rimozione del binder) e successivamente realizzare una fase di sinterizzazione per il consolidamento meccanico. Il Binder Jetting consente di ottenere sia componenti estetici e non funzionali (non sottoposti a sollecitazioni meccaniche significative), sia oggetti monolitici molto più resistenti, in quanto il pezzo non è più tenuto insieme dal binder, che tendenzialmente ha caratteristiche più scadenti rispetto alla polvere di base utilizzata. Dopo la deposizione del binder: è possibile nebulizzare delle polveri con dei pigmenti per ottenere un componente che presenta più colori. Il processo consente di avere caratteristiche estetiche estremamente spinte grazie al lavoro con polveri, che permette di ottenere dettagli molto fini, fino a 0,2 mm di spessore. Tuttavia, l'operazione di debinding può essere complessa e la sinterizzazione non avviene come nei processi delle polveri tradizionali, in quanto non si ha l'applicazione della pressione. Pertanto, il processo si sposa meglio con la realizzazione di parti non sollecitate o caratterizzate da scarse sollecitazioni meccaniche. Tra i processi di Binder Jetting, si ha il Color Jet Printing, in cui, in maniera simile alla stampa cartacea, si ottiene l'oggetto stampando il binder su un substrato di polvere. A valle della stampa, l'oggetto deve essere lavato e ripulito, e, se si vuole dare una migliore finitura, si possono utilizzare delle resine trasparenti per verniciare il pezzo finale. Possono essere fatti anche dei post-trattamenti per migliorare le caratteristiche meccaniche, come il debinding, la sinterizzazione e l'infiltrazione con materiali metallici a basso punto di fusione. Debinding: Il debinding è il processo di rimozione del binder (legante) dal componente stampato. Dopo la deposizione del binder sulle polveri, per ottenere un oggetto costituito dal solo materiale di interesse, è necessario procedere con il debinding. Questo passaggio rimuove il binder, che tendenzialmente ha caratteristiche più scadenti rispetto alla polvere di base utilizzata. Sinterizzazione: La sinterizzazione è il processo di consolidamento meccanico del componente. Dopo il debinding, è necessario effettuare una fase di sinterizzazione per consolidare il pezzo. Nella sinterizzazione, le particelle di polvere vengono fuse insieme, senza l'applicazione di pressione come nei processi tradizionali delle polveri. Questo permette di ottenere un oggetto monolitico molto più resistente, in quanto non è più tenuto insieme solo dal binder. In sintesi: Il debinding rimuove il binder, eliminando il materiale di minore qualità. La sinterizzazione consolida il pezzo, fondendo insieme le particelle di polvere per ottenere un componente resistente. VANTAGGI: Assenza di supporti: essendo un processo a freddo, non sono necessari supporti per evitare distorsioni. Possibilità di utilizzare i colori: i colori vengono depositati insieme al binder su un substrato neutro. Possibilità di lavorare materiali diversi, anche inerti come i ceramici. Costo basso: tempi ciclo estremamente brevi, grazie alla rapidità del processo. SVANTAGGI: Scarsa resistenza meccanica: le proprietà del componente dipendono dalle proprietà del binder, tipicamente non molto buone. Necessità di post-trattamenti: rimozione del binder e sinterizzazione per ottenere un componente con migliori caratteristiche meccaniche. NB: la rimozione del binder è sempre termica (es. avviene in forno). Nei processi di Binder Jetting possono essere utilizzati diversi tipi di materiali, tra cui: 1. Materiali termoplastici: Polimeri termoplastici come il nylon, il poliuretano, il polietilene, ecc. L'utilizzo di materiali termoplastici permette di accelerare il processo, in quanto non è necessario raggiungere la temperatura di fusione per unire le polveri. 2. Materiali ceramici: Polveri ceramiche come l'allumina, la zirconia, il carburo di silicio, ecc. I materiali ceramici sono inerti e possono essere legati dal binder, a differenza dei processi di fusione o sinterizzazione tradizionali. 3. Materiali metallici: Polveri metalliche come acciaio, alluminio, rame, titanio, ecc. Per ottenere componenti in metallo, dopo la deposizione del binder è necessario un processo di debinding e sinterizzazione per rimuovere il binder e consolidare il materiale. 4. Materiali compositi: Combinazioni di materiali diversi, come polveri metalliche e ceramiche, legate dal binder. Permette di ottenere componenti con proprietà specifiche, combinando le caratteristiche dei vari materiali. Nel testo fornito non viene menzionato esplicitamente il termine "nesting" in relazione al processo di Binder Jetting. SHEET LAMINATION Il processo di Sheet Lamination consiste nella sovrapposizione e unione di più strati di materiale, come se fossero delle tomografie. Esso nasce in ambito civile e architettonico per la realizzazione di modelli, per poi estendersi all'ambito produttivo andando a sostituire i materiali tradizionali. Nell'ambito architettonico, si utilizzano materiali con scarse caratteristiche meccaniche, come carta o legno, che vengono collegati tra loro tramite incollaggio. Tuttavia, è possibile lavorare anche con strati di materiale metallico, utilizzando processi di saldatura per unirli. A differenza degli altri processi di Additive Manufacturing, nel Sheet Lamination si parte già da un nastro di materiale, tipicamente metallico, che viene ritagliato e collegato allo strato precedente, creando una sorta di "taglia e cuci". Questo processo è significativamente diverso dagli altri, in quanto lo spreco di materiale può essere elevato, poiché solo la parte ritagliata viene effettivamente utilizzata, mentre il resto viene scartato. Nonostante ciò, il Sheet Lamination presenta alcuni vantaggi rispetto agli altri processi: Le caratteristiche meccaniche dello strato sono quelle della materia prima, senza problemi di porosità. Il tempo ciclo è basso, in quanto non c'è la necessità di far consolidare lo strato, ma solo di ritagliarlo e collegarlo a quello sottostante. Esistono due principali varianti di questo processo: Laminated Object Manufacturing (LOM): Utilizza materiali come carta, legno o plastica, collegati tra loro mediante adesivi. Ultrasonic Consolidation (UAM) o Ultrasonic Additive Manufacturing (UAM): Utilizza materiali metallici, uniti attraverso saldatura ultrasonica. Nella LOM, il processo di accoppiamento avviene mediante giunzioni adesive, mentre nell'UAM/UAM l'unione tra gli strati avviene attraverso saldatura ultrasonica. Entrambi i processi consentono di accoppiare materiali con caratteristiche molto diverse, come ad esempio per realizzare stampi con proprietà termiche e meccaniche ottimizzate. La principale differenza tra le tecnologie LOM (Laminated Object Manufacturing) e UAM (Ultrasonic Additive Manufacturing) all'interno del processo di Sheet Lamination: risiede nel meccanismo di accoppiamento degli strati. Laminated Object Manufacturing (LOM): Nella LOM, l'accoppiamento tra gli strati avviene mediante giunzioni adesive. Tipicamente, i materiali utilizzati sono carta, legno o plastica, che vengono incollati tra loro. Il processo di LOM è adatto per la realizzazione di modelli e concept, dove non sono richieste elevate prestazioni meccaniche. Ultrasonic Additive Manufacturing (UAM) o Ultrasonic Consolidation (UC): Nell'UAM/UC, l'unione tra gli strati avviene attraverso saldatura ultrasonica. I materiali utilizzati in questo caso sono di natura metallica, come ad esempio alluminio, rame o titanio. La saldatura ultrasonica permette di ottenere un accoppiamento metallico tra gli strati, garantendo migliori proprietà meccaniche rispetto all'incollaggio. Oltre al meccanismo di accoppiamento, un'altra differenza chiave tra LOM e UAM/UC riguarda le applicazioni: LOM è più adatta per la realizzazione di modelli e prototipi, dove le caratteristiche meccaniche non sono fondamentali. UAM/UC è più indicata per la produzione di componenti funzionali, in particolare stampi e utensili, dove sono richieste elevate prestazioni meccaniche e termiche. In sintesi, la principale distinzione tra LOM e UAM/UC all'interno del processo di Sheet Lamination risiede nel fatto che LOM utilizza giunzioni adesive per l'accoppiamento degli strati, mentre UAM/UC si basa sulla saldatura ultrasonica di materiali metallici, permettendo di ottenere migliori proprietà meccaniche del prodotto finale. Gli ambiti applicativi tipici per le tecnologie LOM (Laminated Object Manufacturing) e UAM (Ultrasonic Additive Manufacturing) all'interno del contesto della Additive Manufacturing sono i seguenti: Laminated Object Manufacturing (LOM): Realizzazione di modelli e concept in ambito architettonico e industriale Produzione di prototipi e mockup Realizzazione di stampi e utensili di bassa complessità e prestazioni Applicazioni in cui non sono richieste elevate caratteristiche meccaniche Ultrasonic Additive Manufacturing (UAM) o Ultrasonic Consolidation (UC): Produzione di componenti funzionali in metallo Realizzazione di stampi e utensili ad alte prestazioni Integrazione di sensori e componenti elettroniche all'interno di strutture metalliche Applicazioni che richiedono buone proprietà meccaniche, termiche e di resistenza all'usura Nello specifico: La LOM trova ampio utilizzo nella realizzazione di modelli e concept in ambito architettonico e industriale, dove le caratteristiche meccaniche non sono il fattore primario. I materiali tipicamente utilizzati sono carta, legno e plastica. L'UAM/UC è invece più adatta per la produzione di componenti funzionali in metallo, come stampi e utensili ad alte prestazioni. La saldatura ultrasonica permette di ottenere un accoppiamento metallico tra gli strati, garantendo migliori proprietà meccaniche e termiche rispetto alla LOM. Un vantaggio dell'UAM/UC è anche la possibilità di integrare sensori e componenti elettroniche all'interno della struttura metallica, creando così prodotti "intelligenti". In sintesi, la LOM si presta maggiormente alla realizzazione di modelli e prototipi, mentre l'UAM/UC è più adatta per la produzione di componenti funzionali in metallo, in particolare stampi e utensili ad alte prestazioni. La selezione dei materiali da utilizzare nelle tecnologie LOM (Laminated Object Manufacturing) e UAM (Ultrasonic Additive Manufacturing) è guidata da diversi fattori chiave: Per la Laminated Object Manufacturing (LOM): Materiali tipicamente utilizzati: carta, legno, plastica Criteri di selezione: Facilità di laminazione e incollaggio degli strati Costo contenuto del materiale Proprietà meccaniche adeguate per l'applicazione (non necessariamente elevate) Possibilità di ottenere buone finiture superficiali dopo la lavorazione Nella LOM, i materiali devono essere facilmente laminabili e incollabili tra loro, senza richiedere processi complessi. Inoltre, il costo contenuto del materiale è un fattore importante, in quanto la LOM è spesso utilizzata per realizzare modelli e prototipi. Le proprietà meccaniche non sono il fattore primario, ma devono comunque essere sufficienti per l'applicazione. Per l'Ultrasonic Additive Manufacturing (UAM) o Ultrasonic Consolidation (UC): Materiali tipicamente utilizzati: metalli come alluminio, rame, titanio Criteri di selezione: Proprietà meccaniche elevate (resistenza, durezza, tenacità) Buona saldabilità mediante ultrasuoni Compatibilità con il processo di saldatura ultrasonica Costo del materiale Nell'UAM/UC, la selezione dei materiali è guidata principalmente dalle proprietà meccaniche richieste per l'applicazione finale, come resistenza, durezza e tenacità. Inoltre, la saldabilità mediante ultrasuoni e la compatibilità con il processo di saldatura sono fattori chiave. Sebbene il costo del materiale sia sempre un elemento da considerare, in questo caso assume una minore importanza rispetto alle prestazioni meccaniche. In sintesi, la LOM predilige materiali economici e facilmente laminabili, come carta, legno e plastica, mentre l'UAM/UC si concentra su materiali metallici con elevate proprietà meccaniche e compatibilità con la saldatura ultrasonica. Il Sheet Lamination si presta particolarmente bene alla realizzazione di componenti massivi e con geometrie regolari, a differenza degli altri processi di AM che sono più adatti per geometrie sottili e complesse. Inoltre, offre la possibilità di integrare all'interno dell'oggetto sensori e cablaggi. La finitura degli oggetti ottenuti con Sheet Lamination avviene tipicamente attraverso processi di fresatura o taglio laser, in quanto la geometria finale è definita dal percorso dell'utensile CNC, anziché in maniera additiva come negli altri processi. In sintesi, il Sheet Lamination rappresenta un processo di Additive Manufacturing alternativo, con vantaggi legati alla maturità tecnologica, alla possibilità di integrare componenti elettroniche e al basso apporto termico. Tuttavia, presenta lo svantaggio di uno spreco di materiale più elevato rispetto ad altri processi, rendendolo più adatto per geometrie semplici e massicce. Directed Energy Deposition (DED): Il processo DED (Directed Energy Deposition) è un metodo di manifattura additiva in cui il materiale, tipicamente sotto forma di polvere, viene fuso e depositato direttamente sul substrato attraverso l'utilizzo di una sorgente energetica concentrata, come un fascio laser o un fascio di elettroni. Il funzionamento del processo DED è il seguente: Il materiale in polvere viene alimentato coassialmente rispetto alla sorgente energetica (laser o fascio di elettroni) La sorgente energetica fonde il substrato e il materiale in polvere, creando una pozza di materiale fuso Il substrato e la testa di deposizione si muovono in maniera coordinata, permettendo la deposizione layer-by-layer per costruire l'oggetto 3D desiderato Le principali caratteristiche del processo DED sono: Elevata velocità di deposizione e produttività: I processi DED permettono di depositare il materiale a tassi molto più elevati rispetto ad altri processi AM per metalli, come il Selective Laser Melting (SLM). Bassa precisione e accuratezza dimensionale: Le feature realizzate con DED hanno dimensioni nell'ordine di 2 mm, molto più grandi rispetto ai 0,02 mm tipici del SLM. Questa bassa precisione è dovuta al fatto che si crea una pozza di materiale fuso e si deposita materiale in maniera meno controllata rispetto ai processi a letto di polvere. Finitura superficiale scadente: La superficie degli oggetti realizzati con DED presenta un'irregolarità molto maggiore rispetto a processi come SLM o SLS. Questo richiede spesso una lavorazione di finitura successiva, come asportazione di truciolo, per ottenere la qualità superficiale desiderata. Possibilità di utilizzare miscele di polveri: il processo DED permette di utilizzare diverse polveri metalliche miscelate per ottenere materiali compositi su misura. Necessità di strutture di supporto: A causa della deposizione localizzata, geometrie complesse come travi a sbalzo richiedono l'utilizzo di strutture di supporto, che possono essere difficili da rimuovere. Il processo DED nasce dall'evoluzione del processo di cladding, in cui si deposita un rivestimento superficiale di materiale su un substrato, ed è stato successivamente esteso per la costruzione di oggetti 3D completi. Il cladding è un processo in cui si deposita un rivestimento superficiale di materiale su un substrato, tipicamente per migliorarne le proprietà superficiali. Dall'evoluzione del cladding, è nato il concetto di costruire oggetti 3D completi attraverso la deposizione layer-by-layer, dando origine ai processi DED e WAAM. Quindi il cladding può essere visto come il precursore di questi processi di manifattura additiva per metalli, in cui si parte da un substrato e si aggiunge materiale in maniera progressiva. In sintesi, il WAAM rappresenta una variante del DED che utilizza un arco di saldatura come sorgente energetica e filo metallico come materiale di apporto, offrendo una produttività elevata ma una finitura superficiale più irregolare rispetto ad altri processi. In sintesi, il DED si caratterizza per un'elevata produttività ma bassa precisione, rendendolo adatto per la realizzazione di componenti di grandi dimensioni in metallo, come turbine e strutture, che possono essere successivamente rifiniti tramite asportazione di truciolo. Il processo WAAM (Wire Arc Additive Manufacturing) è una variante del processo DED (Directed Energy Deposition): in cui il materiale di apporto viene fornito sotto forma di filo metallico, anziché polvere, e la sorgente energetica è un arco di saldatura (TIG= Tungsten Inert Gas o MIG= Metal Inert Gas). Ecco una descrizione dettagliata del processo WAAM: 1. Alimentazione del materiale: Invece di polvere metallica, il materiale di apporto viene fornito sotto forma di filo metallico. Il filo viene alimentato in maniera continua attraverso un sistema di alimentazione. 2. Sorgente energetica: La sorgente energetica utilizzata è un arco di saldatura, generato da un processo TIG (Tungsten Inert Gas) o MIG (Metal Inert Gas). L'arco di saldatura fonde il substrato e il filo metallico, creando una pozza di materiale fuso. 3. Deposizione layer-by-layer: Il substrato e la torcia di saldatura si muovono in maniera coordinata per depositare strati successivi di materiale fuso. Questo permette di costruire l'oggetto 3D desiderato attraverso una deposizione layer-by- layer. Rispetto al processo DED, il WAAM presenta alcune differenze chiave: Velocità di deposizione: il WAAM è generalmente più lento del DED, ma comunque più veloce di altri processi AM per metalli. Finitura superficiale: la superficie degli oggetti WAAM è più irregolare a causa dell'arco di saldatura, richiedendo spesso una lavorazione di finitura. Precisione e accuratezza: il WAAM ha una precisione e accuratezza dimensionale inferiore rispetto al DED. In che modo l’additive manufacturing è in grado di impattare su un business? Se andiamo a dividere le applicazioni di AM in base all’impatto che esso può avere sia sulla Supply Chain che sullo sviluppo del prodotto è possibile distinguere quattro macrocategorie. Cosa significa questo? Io posso andare ad utilizzare i processi di Additive Manufacturing, sostituendo i vecchi processi, determinando un impatto soltanto sulla Supply Chain, cioè sulla catena di fornitura; ovviamente ciò ha un impatto sulla logistica più che sul prodotto o sulle prestazioni. La prima situazione che si può avere è quella di stasi, ovvero non apportiamo modifiche, senza impiegare l’Additive, rimanendo fedeli ai miei voleri di business originari. Il secondo contesto prevede l’integrazione dei processi di Additive all’interno dell’azienda, semplicemente per sostituire i processi. Vedremo poi quale può essere l’impatto nel momento in cui si inizia a sfruttare l’Additive nel migliore dei modi: non solo andremo a sostituire, laddove economicamente vantaggioso, i processi tradizionali con quelli di AM, ma anche a reingegnerizzare i componenti sulla base dei vantaggi ottenibili, dal momento in cui posso riprogettare l’oggetto senza vincoli (o comunque inferiori, grazie alla flessibilità dei processi di Additive). Qual è il modello di business tradizionale? Ho la mia azienda, che produce beni, i quali arrivano al consumatore (ovviamente non è mai un contatto diretto, ma ci sono sempre mediazioni/interlocutori). In generale, la distanza tra produzione e utilizzazione è significativa, complicando il problema dell’approvvigionamento. L’ altro aspetto significativo riguarda l’efficacia della produzione. Con i modelli di business tradizionali, quando dobbiamo andare ad utilizzare un processo tradizionale, dobbiamo produrre un determinato volume dello stesso oggetto affinché quel volume abbia un costo economicamente sostenibile. Semplicemente il cambio e scambio di stampi su linee di produzione, siano esse di iniezione o pressofusione e così via, ha un costo, che va ripartito sul lotto minimo di produzione (questo lotto minimo non solo fa riferimento ad aspetti di natura produttiva: tenderei ad aumentare il più possibile questo lotto per spalmare il più possibile il costo di setup del montaggio dello stampo, ma d’altro canto, se il lotto aumenta senza avere una richiesta, accade che aumentano i costi di magazzino. In pratica, quello che sto facendo è utilizzare risorse finanziarie per produrre qualcosa adesso, ma che non mi serve proprio ora e poiché sto facendo tanto magazzino, venderò gli oggetti tra n mesi). Che cosa cambia? Andiamo a minimizzare, produco il meno possibile per riuscire a minimizzare il costo di produzione del singolo oggetto e già questa prima scelta significa far fronte ad esigenze diverse. Chiaramente il lotto minimo è impattato anche dalle previsioni di vendita: non solo produco un qualcosa in anticipo che mi servirà tra n mesi, ma posso anche incorrere in problemi di sovradimensionamento della domanda, esponendomi di più al rischio di fare magazzino (rischio di obsolescenza). Un altro problema dei magazzini è legato alle loro dimensioni, con ripercussioni sulla logistica interna. Ad oggi, molte aziende lavorano in ottica tool, produco nel momento in cui ho questa richiesta, ma tale approccio prevede che vengano fatti cambi stampo, cambi produzione molto veloci, e tutto ciò richiede lavoro. Ancora, se dobbiamo produrre con un processo tradizionale, quanti pezzi dobbiamo andare a realizzare contemporaneamente? Costi fissi per un unico oggetto significano andare a spalmarli sull’ oggetto stesso, per cui conviene realizzare più pezzi, ma ciò mi porta a fare magazzino. Quali sono i costi fissi per i processi tradizionali? (indipendenti dal volume di produzione) - Gli stampi (costo legato alla realizzazione di tool sviluppati ad hoc per quell’oggetto) - Costi di setup (nel momento in cui io metto lo stampo all’interno della macchina, io non stampo subito pezzi buoni, per questo occorre una serie di aggiustamenti della macchina). Quali sono i costi variabili? - I materiali - L’energia - Materiali di consumo, quali l’usura del tool. La vita del tool la si può misurare in numero di pezzi ed essa dipende dal materiale: per capirci, se devo realizzare pochi pezzi, posso anche pensare di realizzare il tool in materiale economico (non necessariamente in acciaio). In generale, il Traditional Machining soffre tantissimo dei costi fissi, al contrario dei processi Additive (i costi di setup sono poco impattanti). Man mano che aumenta il volume di produzione, si riduce l’impatto dei costi fissi ma i costi variabili permangono. Come si comportano, invece, i processi di Additive Manufacturing? Variando il volume di produzione, non si hanno significative alterazioni nel costo unitario di produzione, ma abbiamo costi variabili più alti: - la materia prima ha un prezzo diverso, - il tempo ciclo è maggiore (maggiore dissipazione di calore, ciò mi costa anche da un punto di vista energetico in maniera differente), - i consumabili, potrebbero essere il fascio laser oppure l’usura del galvanometro o del piatto di stampa (nel momento in cui vado a rimuovere il pezzo dal piatto). Alla luce di questo, limitandoci ad un mero confronto di natura economica (e non strategico), è possibile individuare un volume di produzione (un break even point) a partire dal quale è conveniente utilizzare un processo tradizionale, mentre al di sotto un processo per Additive. In realtà, dovremmo, in ogni caso, pure tener conto dei costi relativi ai post-process. Prima di BEP chiaramente si ricorre all’additive. È chiaro che stiamo facendo riferimento ad oggetti che possono essere prodotti con entrambi i processi. Con l’AM siamo in piena ottica tool: nel momento in cui ho la richiesta, a quel punto metto in coda il prodotto che devo andare a realizzare. Per di più, come abbiamo già visto, in molti processi andiamo a sfruttare il nesting (realizzo nella stessa stampata più componenti, tipicamente nei processi a letto). Il vantaggio è quello di un magazzino pressoché nullo. Altro vantaggio, in termini di sviluppo del prodotto: posso produrre componenti che hanno geometrie, le quali non possono essere realizzate altrimenti; ne consegue un vantaggio strategico (logistica interna ed esterna) non da meno. Stasi Non voglio utilizzare l’additive per alterare il sistema logistico e di produzione. Non faccio grandi cambiamenti, né sulla Supply Chain né sullo sviluppo dei prodotti. Vado a creare più valore con i prodotti e la Supply Chain che già esiste. In che modo? Semplicemente utilizzando l’Additive per abbreviare il tempo di sviluppo del prodotto, ergo sfrutto l’Additive per fare prototipazione. In altre parole, si accorcia il Time To Market più del 90%, cioè riduco il tempo che intercorre tra l’idea (essa proviene da un’analisi del mercato, l’idea non è altro che la risposta ad un’esigenza di mercato) e il prodotto finale, oltre al fatto che si riducono i costi di sviluppo del prodotto. Con grossa immediatezza realizzo il mio oggetto, andando a identificare subito eventuali lacune, così da procedere alla fase di sviluppo. In tal modo, con un oggetto reale, verifico che i requisiti dell’utilizzatore siano effettivamente soddisfatte. Nello sviluppo di un prototipo, non posso utilizzare Injection Molding (processo sfruttato per le parti in plastica) perché ogni volta dovrei andare a cambiare lo stampo (avrei dei costi e dei tempi di prototipazione dilatati). Pertanto, l’idea alla base della stasi è: mi limito a geometrie che possono essere realizzate attraverso Injection Molding, ma le inizio a realizzare per Additive, sviluppando così un prototipo funzionale, cioè un prototipo realizzato con materiali simili a quelli del prodotto finale (proprietà meccaniche similari). Per fare un esempio, quanto tempo ci vuole a stampare la parte plastica di un drone? Dipende chiaramente dal processo di AM in questione (con FDM circa sei ore, con Material Jetting o Binder Jetting anche in minor tempo con una migliore finitura). Il problema principale legato all’Additive Manufacturing in prototipazione è proprio l’immediatezza di produzione (il progettista non può venire a meno delle sue responsabilità, nel senso che non può pensare che tanto si mette in stampa e se non funziona, si riprogetta, perché così facendo verrebbero a perdersi tutti i vantaggi dell’Additive. Per di più, il progettista non deve soltanto pensare al progetto, ma anche all’effettivo modo con cui quell’oggetto possa essere realizzato). L’Additive mi consente di arrivare con un tempo minore ad un prodotto migliore: se progetto bene e prototipo bene, posso prevedere continuamente dei miglioramenti, essendo il tempo di realizzazione dell’oggetto molto breve. I principali produttori di droni per uso professionale, non a caso, riescono a mettere sul mercato uno stesso modello ogni anno ovviamente con delle continue migliorie, con nuovi sensori che consentono funzioni aggiuntive (la forma di un IPhone, invece, anno dopo anno rimane sostanzialmente quella). Quali sono le fasi che ci portano da un’idea al prodotto? La prima fase è la concettualizzazione (cioè che cosa voglio fare?). Si tratta di un aspetto che può emergere da un’analisi di mercato, ma posso essere io stesso a proporre al mercato un qualcosa di nuovo. La concettualizzazione consente di andare a definire per grandi linee quali sono le dimensioni, l’archetipo del mio oggetto. Segue l’identificazione del progetto, del design del componente, per cui realizzo il CAD. Rimane però un qualcosa che non posso andare a toccare, sul quale non posso andare ad integrare l’elettronica per testare se questa sia funzionale. Allora realizzato il progetto e vado in fase di prototipazione. Possiamo avere diverse tipologie di prototipo che assolvono a scopi differenti. Non vado, immediatamente, a realizzare il prototipo finale, bensì prevedo un prototipo concettuale, che abbia semplicemente la geometria (neppure iperfedele) del componente finale (senza le funzionalità, fondamentalmente è un guscio), per vedere magari se esteticamente è gradevole (abbiamo dei modelli che servono esclusivamente a definire l’appearance dell’oggetto); non è neppure realizzato con lo stesso materiale del componente finale (posso utilizzare processi di AM che utilizzano materiali dalle basse prestazioni con cattiva finitura). Alle volte, un concept permette anche di studiare l’ergonomia, cioè come andiamo ad interagire con l’oggetto stesso. Effettuata una validazione del prototipo concettuale, voglio vedere se questa geometria sia anche funzionale (per esempio vedere se un drone vola). Pertanto, devo andare a realizzare un oggetto con dei materiali che richiameranno quelli utilizzati nel prodotto finale (se ho una plastica, utilizzo una plastica similare; se ho una lega metallica, utilizzo una lega similare), utilizzando processi che possono anche differire da quelli che poi verranno impiegati in produzione. Esiste anche un ultimo prototipo, detto di preserie, sempre più prossimo all’oggetto finale, realizzato anche attraverso un processo sempre più riconducibile a quello definitivo. Si ha anche un altro tipo di prototipo che consente di valutare come interagiscono più parti del componente/assieme che prevede degli accoppiamenti (dobbiamo verificare il fitting). In questo caso, il prototipo deve essere fatto con un processo che mi consenta di avere una buona precisione dimensionale, tale da incastrare nel modo giusto le varie parti. La prototipazione occupa attualmente il 38 % di tutti gli ambiti nei quali utilizzo processi di Additive. Per realizzare un concept, vado su processi veloci, vado su un Material Jetting o Binder Jetting, dove non mi interessa rimuovere il binder e tramite tale processo posso già dare più colori al mio oggetto. Potrei anche andare su SLA, dove i supporti si staccano molto facilmente. Ancora, possiamo utilizzare l’Additive come tooling (non sto alterando il mio prodotto). Nel tooling vado ad annoverare tutti quegli oggetti che non ritrovo nel componente finale, ma che sono funzionali alla realizzazione del componente finale. Pertanto, il tooling lo utilizzo per ridurre, tipicamente, i magazzini e le attrezzature. Come tool realizzato per Additive, si pensi ad uno stampo in plastica per il Vacuum Forming (realizzo un calco per Additive successivamente impiegato per il Vacuum Forming di una qualunque geometria) oppure posso realizzare dime, riscontri, battute, afferraggi e così via. Tutto ciò, inevitabilmente, ha un forte impatto sull’efficacia delle lavorazioni: quando, infatti, sono costretto a comprare i tool dall’esterno, devo adattare il mio processo al tool (un tool customizzato dall’esterno ha un suo costo), mentre attraverso l’Additive posso modificarlo sin da subito sulla base delle mie esigenze. Si ricordi che la parte esterna degli stampi viene realizzata principalmente per Sheet Lamination (potrei fare anche asportazione di truciolo, quindi processo tradizionale), mentre l’anima, cioè la forma, sempre per Additive, in modo da poter apportare modifiche successive al componente. Attraverso l’impiego di processi di AM è possibile ridurre il time to market di circa il 90% con conseguente riduzione di costi. I costi di prototipazione crollano drasticamente; prima i prototipi venivano realizzati mediante processi di asportazione. Nella stasi, l’utilizzo della prototipazione non comporta cambiamenti sulla supply chain. Non sto alterando il mio prodotto, sto utilizzando l’additive per il tooling. part 4: INSIDE the processes Come si orienta il pezzo? Quali sono gli elementi su cui impatta il modo di orientare il pezzo? - Comportamento meccanico - Finitura superficiale - Difetti di forma - Tempo ciclo (velocità del processo) - Presenza di supporti - Quantità di materiale - Costo Questi sono tutti gli elementi principali impattati da come viene orientato il pezzo. Alcuni sono impattati più o meno rispetto gli altri a seconda del processo. Il processo più impattato dall’orientazione del pezzo è l’FDM. Quali sono i materiali utilizzati in AM? In che forma si trovano? I materiali impiegati nei processi di additive possono essere: - Filamenti di materiale termoplastico, caricati con fibre lunghe o corte, di materiali funziona- lizzanti che migliorano le caratteristiche elettrostatiche, di materiali che possono essere pri- vati del binder e sinterizzati (filamenti con buona quantità di polveri metalliche). - Materiali liquidi utilizzati nei processi di Vat Photopolymerization (SLA o DLP), material jet- ting (vado a spruzzare\nebulizzare materiale liquido lungo un determinato percorso o su un letto di un altro materiale per ottenere compositi), binder jetting - Polveri - Materiali sottoforma di fogli (sheet lamination) di legno o metallici - Pellet (x material exstrusion, riducono il costo di circa dieci volte rispetto lo stesso fila- mento) - Filamenti di materiali metallici nel processo di DED. Se voglio ottenere un componente metallico con precisione dimensionale che processo scelgo? Un processo a letto di polvere come Selective Laser Melting Se voglio ottenere un pezzo metallico di grandi dimensioni quale processo scelgo? Si usano i processi DED, a valle di essi bisogna procedere con delle lavorazioni di asportazioni di truciolo. La DED la possiamo vedere come un processo in cui andiamo a creare, come nei processi di fonderia, un oggetto molto simile al risultato finale ma con del sovrametallo che richiede, quindi, delle lavorazioni ulteriori per portarlo in tolleranza dimensionale.

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