Summary

Questo documento riporta approfondimenti sulla teoria e la prassi del nursing, descrivendo concetti come la raccolta dati, formulazione diagnosi e pianificazione degli interventi, nonché la cartella infermieristica e le relative tecniche (ispezione, palpazione, percussione e auscultazione).

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ESAME TIROCINIO TEORIA E PRASSI DEL NURSING: L’Infermieristica è un corpus complesso e sistematico di conoscenze e strumenti teorico- metodologici volti all’esercizio delle funzioni di tutela e promozione della salute, individuale e collettiva. Le tre donn...

ESAME TIROCINIO TEORIA E PRASSI DEL NURSING: L’Infermieristica è un corpus complesso e sistematico di conoscenze e strumenti teorico- metodologici volti all’esercizio delle funzioni di tutela e promozione della salute, individuale e collettiva. Le tre donne che diedero una svolta per la figura infermieristica sono state: Florence Nightingale, Virginia Henderson, Dorothea Orem. Per la Nightingale, l’infermiere deve agire sull’ambiente per facilitare la guarigione del paziente, perché tutte le condizioni e le influenze esterne che agisce sulla vita e sullo sviluppo dell’organismo, sono capaci di contribuire alla malattia e alla morte. Secondo Virginia Henderson, invece, la funzione dell’infermiere è quella di assistere l’individuo malato o sano nell’esecuzione di quelle attività che eseguirebbe senza il bisogno d’aiuto se ne avesse la forza, la volontà o le conoscenze necessarie, in modo tale da aiutarlo a raggiungere l’indipendenza il più rapidamente possibile. Infine, secondo Dorothea Orem, la cui teoria è quella del self-care (requisiti di autocura), l’infermiere deve promuovere il cambiamento e agire solo nel momento in cui l’assistito non è in grado di gestirsi. Secondo Orem ciò che spinge l’uomo a chiedere l’intervento dell’infermiere è la condizione di deficit della cura di sé, ovvero di pratiche quotidiane che gli individui compiono in autonomia al fine di conservare la vita, la salute e il benessere. Il processo di assistenza è un metodo di risoluzione dei problemi del paziente, e si articola in 5 fasi: Accertamento infermieristico, Formulazione delle Diagnosi Infermieristiche, Pianificazione degli interventi, Attuazione degli interventi, Valutazione degli esiti. L’ACCERTAMENTO INFIERMIERISTICO: consiste in una raccolta sistematica di dati per verificare lo stato di salute della persona e identificare i problemi reali o potenziali di natura infermieristica, ma anche i punti di forza del paziente. Si compone dunque di: raccolta dati e identificazione diagnosi infermieristica Raccolta dati: Il dato è un fatto registrato senza nessun tentativo di metterlo in relazione ad una causa. I dati non comprendono interpretazioni o giudizi, e possono essere: dati oggettivi, sono dati che si rilevano attraverso i sensi o attraverso strumenti di rilevazione e, sono dati inconfutabili ovvero, chiunque li rilevi ne avrà quella e quella sola percezione; dati soggettivi, sono informazioni fornite dalla persona o dai familiari e riguardano abitudini di vita, problemi passati e presenti, come la persona vive la malattia, ecc. Nel processo di nursing la raccolta dati serve per identificare i bisogni assistenziali della persona ma, quando raccogliere i dati? La raccolta dati è un processo continuo. Come punto di partenza si usano dei dati di base che richiedono un costante aggiornamento. Come si raccolgono i dati? I dati possono essere raccolti mediante: osservazione, intervista ma anche per fonti di documentazione e intuizione. LE DIAGNOSI INFERMIERISTICHE: descrivono la risposta umana (segni), reale o potenziale, ad un problema di salute per il quale l’infermiere ha la competenza di trattamento in autonomia. Nella diagnosi infermieristica sono riportati i problemi reali o potenziali della persona insieme alla causa o le cause che li hanno determinati. (DIAGNOSI: da “DIA” e “GNOSIS” ovvero: conoscenza attraverso segni) La diagnosi infermieristica è espressione dello stato dell’utente, poiché identifica capacità e punti di forza, così come disturbi e debolezze. È la dichiarazione di un problema del paziente dedotta in base ai dati raccolti e la rilevazione di un problema reale o potenziale che richiede l’intervento infermieristico per essere risolto totalmente o parzialmente. Deve essere formulata con un linguaggio semplice e condiviso dai diversi professionisti che lavorano insieme nell’equipe assistenziale La diagnosi infermieristica NON è: una diagnosi medica, un’azione infermieristica, una prescrizione medica. La diagnosi medica riguarda la patologia, dalle alterazioni strutturali e funzionali della persona, dai segni e i sintomi della malattia mentre, la diagnosi infermieristica riguarda i problemi della persona, dalla capacità della persona di gestire le proprie attività e soddisfare i propri bisogni. Per quanto riguarda la differenza tra problema reale e problema potenziale, il problema reale è un problema presente, già in atto mentre, il problema potenziale è un problema che non sussiste ma che potrebbe insorgere se non si mettono in atto misure preventive. LA PIANIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI: è la fase del processo di assistenza nella quale l’infermiere stabilisce, con la partecipazione dell’assistito, gli obiettivi derivati dalle D.I. e identifica gli interventi infermieristici atti al raggiungimento degli obiettivi previsti. L’obiettivo della pianificazione, quindi, è l’uso migliore delle risorse disponibili al fine di aiutare la persona a raggiungere i risultati attesi. Pianificare vuol dire: analizzare i problemi della persona, stabilire un ordine prioritario dei problemi, porre una scadenza e programmare gli interventi a breve, medio e lungo termine. L’obiettivo, quindi, è la mèta che si vuole raggiungere e, per ogni diagnosi, occorre stabilire almeno un obiettivo. È inutile dire che, prima di fissare un obiettivo, di definirlo, si devono considerare le risorse della persona e le risorse ambientali. L’ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI: è un sistema di decisioni tecnico-gestionali, costituito da un insieme di azioni fisiche e/o verbali e/o mentali, pianificate autonomamente dall’infermiere per rispondere ad uno specifico bisogno di aiuto espresso dall’assistito. LA VALUTAZIONE DEGLI ESITI, l’ultima fase, verifica che gli interventi assistenziali abbiano raggiunto gli obiettivi prefissati. Se la risposta è “si”, la valutazione è positiva; se la risposta è “no”, la valutazione è negativa e si deve rivedere l’intero piano assistenziale. NOTE: ancora oggi spesso l’infermiere vive la fase di valutazione come un giudizio “negativo” sul suo operato e questo determina una sorta di pregiudizio nei confronti della valutazione stessa. La valutazione è invece indispensabile per capire se il piano “ha funzionato” oppure no. LA CARTELLA INFERMIERISTICA: è considerata uno strumento informativo utile per progettare, gestire, valutare, comunicare tra gli operatori, documentare ciò che è stato fatto, ma soprattutto per garantire la migliore assistenza alle persone assistite. La cartella infermieristica è la dimostrazione concreta dell’agire quotidiano ed è senz’altro utile a comprovare ciò che è stato fatto. Nel comune pronunciamento giurisprudenziale, ciò che non è scritto è dato per non fatto. Purtroppo, nelle cartelle infermieristiche, sono spesso presenti calligrafie di difficile comprensione, termini, abbreviazioni, parole da sottoporre a interpretazione, firme o sigle difficilmente riconducibili all’autore. I requisiti da rispettare per una giusta compilazione sono: riportare sempre data e ora delle annotazioni e rilevazioni; scrivere in maniera chiara, firma leggibile; le cancellature sono ammesse ma non bisogna coprire totalmente quanto scritto e quindi scrivere la correzione di seguito; allegare legenda degli acronimi utilizzati; niente deve essere considerato superfluo o irrilevante; non sostituirsi ad altri. La cartella infermieristica può essere suddivisa in due strutture, la prima contiene 4 moduli, mentre la seconda è composta da un numero variabile di schede. I 4 moduli della cartella infermieristica sono: modulo dati anagrafici; modulo anamnesi infermieristica; modulo piano di assistenza; modulo diario infermieristico. Mentre le schede presenti nella cartella infermieristica sono ad esempio la scheda della terapia, la scheda per il monitoraggio dei parametri vitali, la scheda degli esami diagnostici, la scheda di trasferimento o dimissione e le schede accessorie. DIAGNOSI MEDICA: riguarda la patologia ed è dedotta dalle alterazioni strutturali e funzionali dei vari organi. DIAGNOSI INFERMIERISTICA: riguarda, i problemi della persona, descrive la risposta umana, reale o potenziale, a un problema di salute per il quale l’infermiere ha la competenza di trattamento indipendente. SINTOMO come un qualche cosa di soggettivo, percepito dal paziente attraverso l'uso dei sensi, e di SEGNO come un'anormalità oggettivamente interpretata dal medico quale indice di malattia. ESAME OBIETTIVO: va a ricercare i segni obiettivi che caratterizzano il paziente. Per fornire un’assistenza completa e avanzata, gli infermieri utilizzano le tecniche di: ispezione, palpazione, percussione ed auscultazione. ISPEZIONE: Si tratta sicuramente dell'approccio più immediato, dato che in questa fase vediamo direttamente come si presenta ad una prima occhiata il paziente. Può forse sembrare banale, ma tramite un'attenta ispezione è già possibile riscontrare un elevato numero di patologie: basti pensare all'ittero, generalmente associato a patologie epatiche. L'ispezione va effettuata analizzando eventuali anomalie cutanee superficiali (discromie, eritemi, xantelasmi, ecc.), tumefazioni (ad esempio nel gozzo tiroideo), gonfiori (come nell'ascite), nonché ovviamente alterazioni sistemiche (un paziente molto alto e filiforme potrebbe essere affetto da sindrome di Marfan). PALPAZIONE: Dopo aver ispezionato il paziente possiamo procedere alla palpazione manuale, ovvero l'analisi tattile tramite pressione o trazione di organi e apparati superficiali alla ricerca di anomalie non visibili superficialmente all'ispezione e all'analisi meccanica di quelle precedentemente rinvenute. La palpazione ci permette di ottenere una serie di informazioni: ad esempio, la massa che andiamo a palpare che consistenza ha? È dura o soffice? Mobile o ipomobile? Il paziente prova dolore premendola? Tutte queste caratteristiche ci aiutano in fase di diagnosi differenziale (un linfonodo maligno è generalmente più duro e meno mobile di uno che si è ingrossato per una semplice infezione). Durante la palpazione è possibile effettuare tutta una serie di manovre specifiche: ad esempio in caso di sospetta appendicite possiamo andare a premere in corrispondenza del punto di McBurney, e se il paziente durante questa manovra prova un dolore intenso la diagnosi di infiammazione appendicolare diviene estremamente probabile. Questa fase prevede altresì la palpazione dei polsi arteriosi, al fine di accertare eventuali problemi a carico del sistema cardiovascolare. PERCUSSIONE: La percussione è una metodica impiegata a livello dei quadri toracici ed addominali che prevede l'impiego di un dito appoggiato sulla cute del paziente (plessimetro) e di uno che lo percuote (plessore). La percussione del plessore sul plessimetro genera un suono che varia a seconda della consistenza dei piani sottostanti, risonante negli organi cavi e ottuso in quelli parenchimatosi: ad esempio a livello toracico il suono è timpanico in quanto in quell'area sotto il plessimetro si trovano i polmoni pieni d'aria, i quali agiscono come una cassa di risonanza, mentre il fegato produce un suono ottuso. In considerazione di ciò, rinvenire un’ottusità in un’area dove ci aspetterebbe un rumore timpanico obbliga a sospettare che ci sia qualcosa di anomalo nei piani sottostanti che riempie tale cavità, come ad esempio liquidi o masse. La percussione permette anche di analizzare la cosiddetta aia, ovvero la proiezione degli organi sottostanti sulla superficie cutanea: ad esempio, percuotendo il torace possiamo individuare l'aia cardiaca. AUSCULTAZIONE: Tramite un fonendoscopio possiamo sentire i rumori prodotto all'interno delle varie cavità. Generalmente il cuore, i polmoni e l'intestino presentano un pattern preciso per quanto riguarda la produzione di suoni: qualsiasi suono anomalo si discosti da questo pattern normale è di indubbia origine patologica: ad esempio la produzione di click da alterazione delle valvole cardiache, oppure una peristalsi aumentata a livello addominale. DPI: sono costituiti dagli indumenti e dai dispositivi indossati da un operatore sanitario per proteggersi dal materiale infetto. I DPI sono usati negli ambienti sanitari per migliorare la sicurezza personale dell’operatore sanitario. Questo equipaggiamento, in ambito sanitario, comprende guanti non sterili e sterili, camici impermeabili, mascherine chirurgiche e maschere monouso, schermi per il viso, occhiali o protezioni per gli occhi. I DPI vanno indossati prima di entrare nella stanza del paziente e entrarci a contatto e vanno scelti in base al tipo di esposizione a cui si andrà in contro. I DPI, ad eccezione della maschera, vanno tolti nell’antistanza o sulla soglia della porta della stanza; mentre la maschera va tolta fuori dalla stanza dopo aver chiuso la porta, per prevenire il contatto con i microrganismi trasmissibili per via aerea. SMALTIMENTO RIFIUTI: In ambito sanitario, i rifiuti vengono classificati come infetti (materiale contaminato), taglienti (aghi, lame, lancette, fiale, frammenti di vetro), e pericolosi (materiale radioattivo, medicinali chemioterapici). I rifiuti infetti vengono smaltiti in appostiti contenitori, chiamati Alipack, mentre i rifiuti taglienti vengono smaltiti negli Albox. Una corretta gestione dei materiali sporchi è necessaria per prevenire esposizione ad oggetti contaminati e per prevenire la contaminazione dell’ambiente. UNITÀ DI DEGENZA: è lo spazio che il malato occupa durante il ricovero. Tutto quello che c’è nella stanza fa parte dell’unità di degenza, ovvero: il letto, l’armadio, il comodino, la sedia, il tavolo, l’asta per fleboclisi, l’archetto metallico, la sfatta, i servizi igienici, le finestre, i sistemi di chiamata, la lampada testa letto, le prese di erogazione che si dividono in tre bocchette, ovvero, la bocchetta bianca e per l’erogazione di ossigeno, la bocchetta gialla e per il vuoto, e la bocchetta blu e per l’aria medicale. Il microclima si riferisce al complesso dei parametri ambientali che condizionano lo scambio termico tra individuo e ambiente. I fattori che entrano in ballo in queste dinamiche sono di tre tipi: fattori fisici, chimici e microbiologici. Queste tre componenti insieme rappresentano il microclima dell’ambiente e nel caso specifico il microclima della stanza di degenza dell'ambiente ospedaliero. Le caratteristiche fisiche da considerare sono: la temperatura, quella ideale per l'organismo deve essere compresa tra i 18 e i 20 gradi; e l'umidità relativa che va da 40 al 60%. Le caratteristiche chimiche da prendere in considerazione per il benessere del paziente sono riferite alla pressione parziale di anidride carbonica. Infine, le caratteristiche microbiologiche si riferiscono alla presenza di polveri e di microrganismi nell'ambiente. Per quanto riguarda la prevenzione per le cadute accidentali, la cosa fondamentale da fare è alzare le sponde del letto, in caso si sospetti il rischio di cadute. SANIFICAZIONE: si intende un insieme di attività tese a rendere l’ambiente sano e idoneo per il paziente ed ha come obiettivo la riduzione della carica microbica presente su superfici ed oggetti. SANITIZZAZIONE o disinfezione: metodica che si avvale dell’uso di disinfettanti e che ha come obiettivo quello di ridurre o eliminare i batteri presenti su una determinata superficie. La sanitizzazione consiste nelle operazioni di pulizia seguite dalla disinfezione delle superfici. DECONTAMINAZIONE: operazione preliminare alla pulizia che consiste nella disinfezione delle superfici visibilmente contaminate da materiale organico. Le aree ospedaliere vengono suddivise in zone a diverso rischio infettivo sulla base della tipologia di attività svolta, della presenza o meno dei pazienti e della tipologia di pazienti: - Aree ad alto rischio: terapia intensiva, sale operatorie, neonatologia, sala degenza, dialisi, unità coronarica - Aree a medio rischio: reparti e ambulatori - Aree a basso rischio: sono le aree caratterizzate dalla assenza di degenti: uffici, studi, corridoi, ecc. IGIENE DELLE MANI: è la misura più efficace per prevenire e contrastare le infezioni correlate alla pratica assistenziale. Lo scopo del lavaggio delle mani è la rimozione della flora microbica presente sulle mani o portata dalla contaminazione microbica acquisita dal recente contatto con pazienti infetti o colonizzati, o da fonti ambientali, o dopo contatto delle mani con materiale organico. I 5 momenti per l’igiene delle mani, definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sono: prima di toccare un paziente, prima di una procedura pulita o asettica, dopo il rischio di esposizione a liquidi corporei, dopo aver toccato un paziente, e infine dopo aver toccato un oggetto nell’ambiente di degenza. Abbiamo diversi tipi di lavaggi delle mani in ambito sanitario, ovvero: frizionamento alcolico, il lavaggio sociale, lavaggio antisettico, e infine lavaggio chirurgico. FRIZIONAMENTO ALCOLICO, l’obiettivo principale è l’eliminazione della flora transitoria. Questo tipo di lavaggio va effettuato quando le mani non sono visibilmente sporche e non sono state a contatto con sangue o altri liquidi biologici; inoltre andrebbe effettuato prima e dopo il contatto con il paziente, prima di una manovra invasiva, prima e dopo la l’uso di guanti sterili e dopo il contatto con oggetti inanimati nelle immediate vicinanze del paziente. Questo tipo di lavaggio dura dai 15-30 secondi. IL LAVAGGIO SOCIALE DELLE MANI è un tipo di lavaggio che si esegue con l’impiego di detergenti, preferibilmente liquidi, e ha come obiettivo quello di ridurre la carica batterica microbica transitoria presente sulla cute.Il lavaggio sociale delle mani va effettuato quando le mani sono visibilmente sporche o sono state in contatto con il sangue o altri liquidi corporei, prima di un lavaggio antisettico e chirurgico, prima e dopo ogni contatto col paziente o con qualsiasi oggetto inanimato nelle sue immediate vicinanze, dopo il rifacimento dei letti ecc. Questo tipo di lavaggio dura dai 40-60 secondi. IL LAVAGGIO ANTISETTICO DELLE MANI consiste nella rimozione meccanica, attraverso il lavaggio delle mani, di sostanze e microrganismi presenti sulla superficie cutanea, ovvero la rimozione di flora microbica transitoria e di parte di quella residente. L’antisettico solitamente utilizzato è la clorexdina e il lavaggio deve durare almeno un minuto. IL LAVAGGIO CHIRURGICO DELLE MANI è il lavaggio delle mani richiesto a tutta l’equipe chirurgica prima dell’intervento. Lo scopo è quello di eliminare sulla cute sia la flora microbica transitoria sia quella residente. Questo tipo di lavaggio dura 5-6 minuti. RIFACIMENTO LETTO: il suo obiettivo è quello di assicurare il massimo benessere al malato e deve essere fatto una volta al giorno e riordinato più volte nell’arco della giornata. Può essere fatto quando il letto è vuoto o occupato. Sia per il rifacimento del letto vuoto e sia quello del letto occupato bisogna lavarsi le mani e indossare i guanti monouso e portare nella stanza il carrello con la biancheria pulita e il carrello con la biancheria sporca. Aprire le finestre senza creare correnti d’aria. Il materiale da utilizzare è: due lenzuola, federa, una traversa monouso e una di stoffa e un copriletto, più il carrello della biancheria sporca. Per il rifacimento del letto occupato, bisogna eseguirlo con due operatori. Nel caso del rifacimento del letto vuoto, va tolta prima la biancheria visibilmente sporca, mentre quella non sporca si poggia sulla sedia, e poi si procede con il rifacimento letto. Mentre nel caso del rifacimento letto occupato, la biancheria sporca si leva prima da un lato, e poi dall’altro, mentre un operatore si porta verso di sé il paziente. La stessa cosa vale anche quando si deve rifare. Sia per il letto occupato e non, si deve effettuare un angolo di 45°. PADELLA E PAPPAGALLO: I pazienti che non sono in grado di alzarsi dal letto per limitazioni fisiche o per prescrizione del medico devono usare una padella o un pappagallo per la minzione. Gli uomini preferiscono utilizzare le padelle per la defecazione e per la minzione il pappagallo, detto anche orinale. Invece le donne utilizzano per entrambe le cose la padella. CURE IGIENICHE: si dividono in totali, ovvero il bagno in vasca o a letto; e in parziali, ovvero quelle ordinarie che sarebbero viso, denti, bocca, occhi, naso, orecchie, capelli, mani, genitali, ecc. MOBILIZZAZIONE PZ: è una pratica che può essere rivolta alla persona non autosufficiente e gravemente compromessa sul piano fisico o alla persona parzialmente autosufficiente. Per mobilizzazione si intende tutto ciò che è recupero della funzionalità muscolo-scheletriche. Mobilizzare è utile per prevenire lesioni secondarie, mantenere lo schema corporeo e favorire il mantenimento delle capacità di deambulare. Nel mobilizzare la persona distinguiamo lo spostamento che consiste in un cambio di posizione sulla stessa base di appoggio; con il trasferimento che consiste in un cambio tra due superfici d’appoggio. Un corretto posizionamento della persona allettata è fondamentale per evitare la comparsa di contratture, lesioni da decubito, di complicanze respiratorie e vascolari. È importante cambiare posizione nell’arco delle 24 ore, almeno ogni due ore. Le posture principalmente utilizzate dal personale sanitario per posizionare la persona non in grado di muoversi autonomamente sono: La posizione supina è una posizione di mantenimento del riposo. La posizione seduta e semiseduta, dette anche Fowler e semi-Fowler, sono consigliate per i pazienti con problemi cardiaci, dispene gravi e difficoltà nella respirazione, in quanto permette una maggiore espansione polmonare. La posizione laterale viene utilizzata per garantire un periodo di riposo alle zone cutanee. La posizione prona permette la massima estensione delle articolazioni delle anche e delle ginocchia, inoltre, facilita l'espulsione delle secrezioni (drenaggio posturale) e dà un sollievo alle zone cutanee colpite dalle lesioni da decubito. La posizone di Sims è una via di mezzo fra la classica posizione laterale di sicurezza e la posizione prona, e favorisce la fuoriuscita di fluidi dalla cavità orale, evitando che vadano ad ostruire le viee aeree. La posizione Trendelenburg e anti-Trendelenburg sono utilizzate sia per indagini diagnostiche e sia per ottenere una miglior perfusione degli organi vitali. Per quanto riguarda gli spostamenti e i trasferimenti, vengono utilizzati gli ausili minori, che sono attrezzature che consentono di spostare più facilmente il paziente. Tra questi abbiamo i teli ad alto scorrimento, tavole a rullo, cinture ergonomiche, tavoletta, disco girevole, barelle regolabili, carrozzine, sollevatore. Alcune raccomandazioni per il trasferimento del paziente sono ad esempio che le sedie a rotelle deve stare accanto al letto e no centrale, il paziente va sempre preso dalle scapole e dal bacino, fissare le ginocchia del paziente, fargli indossare le scarpe prima di scendere, sollevarlo dalla parte dietro del pantalone ecc. MOBILIZZARE IL PAZIENTE CON L’AUSILIO DEI VARI PRESIDI: Il movimento è molto importante per la salute dei pazienti, e non può essere dunque trascurato. Le malattie, e l’essere allettati può determinare seri danni non solo nel movimento ma anche in altre funzioni del corpo. Quindi i pazienti devono essere incoraggiati a muoversi, ma per farlo potrebbero richiedere l’ausilio di deambulatori bastoni stampelle, mentre altri pazienti possono richiedere l’uso di una sedia a rotelle per un breve o lungo periodo ed i familiari possono anche avere bisogno di imparare ad usarla. Sedia a rotelle: esistono principalmente 2 tipi di sedie a rotelle; le sedie a rotella manuali a loro polta possono essere pieghevoli o rigide. Quelle pieghevoli hanno un sostegno a forma di x che permette di piegarle e di posarle. I sostegni però la rendono più pesante se trasportata da una sola persona, ed inoltre la struttura non è robusta come quella di una sedia a rotelle rigida. Oltre questo poi possono avere degli appoggi per i piedi che possono anche essere rimossi. Le sedie a rotelle elettroniche hanno un sistema di freni costituiti da una lunga leva montata generalmente sul lato. Ausili meccanici per camminare: gli ausili meccanici per camminare includono bastoni, stampelle e deambulatori. Comunemente si usano 3 tipi di bastoni: bastone standard, treppiede, quadrangolare; possono essere usati anche 2 bastoni, a seconda delle necessità del paziente. Le stampelle possono rappresentare una necessità provvisoria per alcune persone, o permanente per altre, e hanno la funzione di imparare a deambulare in modo indipendente; pertanto, è importante usarle in modo corretto. Tutte le stampelle hanno delle punte a ventosa, di solito di gomma che aiuta a prevenire lo scivolamento sulle superfici dei pavimenti. I deambulatori sono invece usati per pazienti che hanno bisogno di un appoggio migliore rispetto a quello fornito dal bastone ed è composto da 4 gambe con impugnature per le mani. Questi richiedono una piccola forza per essere alzati a spostati in avanti. Ci sono poi quelli che sono forniti di 4 ruote che non devono essere alzati ma devono essere solamente spinti in avanti. Ci sono inoltre anche altri deambulatori che hanno un sedile per permettere alle persone di sedersi e riposare se ne hanno bisogno. TRASFERIRE I PAZIENTI Letto-Sedia / Letto-Sedia a Rotelle / Sedia a Rotelle-Bagno Trasferire un paziente dal letto a una sedia o a una sedia a rotelle lo aiuta a recuperare il tono fisico e le attività di movimento. Cambiare la posizione di un paziente, inoltre, aiuta a prevenire le complicanze legate all'immobilità. La sicurezza ed il comfort sono concetti chiave quando si sposta un paziente dal letto. Valutare la risposta del paziente al trattamento è una responsabilità primaria infermieristica. Per mobilizzare un paziente su una sedia a rotelle o dalla sedia alla toilette, si può utilizzare un ausilio meccanico tipo sollevatore. Questi strumenti possono essere utilizzati per pazienti che posseggono l’uso almeno di una gamba, che sono in grado di seguire i consigli e le indicazioni del personale sanitario. Si posiziona una fascia intorno alle braccia e alla schiena del paziente. Il paziente posiziona i piedi sui poggiapiedi dell’apparecchio e pone le sue mani sul sostegno dell’attrezzo meccanico. Lo strumento aiuta il paziente ad ottenere la stazione eretta senza nessun aiuto da parte dell’infermiere. Una volta che il paziente è in posizione eretta, il dispositivo può essere diretto verso una sedia a rotelle, verso la toilette o verso il letto. Alcuni di questi strumenti hanno appoggi per i piedi rimovibili e possono essere utilizzati come deambulatori. Alcuni hanno delle bilance incorporate che possono essere usate per valutare il peso del paziente. PARAMETRI VITALI: sono quei valori che nell'individuo rappresentano la funzionalità dell'organismo e rappresentano una modalità veloce ed efficace per valutare le condizioni del paziente ed identificare la presenza di problemi o la risposta del paziente ad alcuni interventi. Ci si riferisce alla misurazione di: La TEMPERATURA CORPOREA è la differenza tra la quantità di calore prodotta dal corpo e la quantità di calore dissipata nell'ambiente misurata in gradi (TC media 37°) Febbre: è un aumento della temperatura corporea superiore al normale Ipotermia: sotto 35° Iperpiressia: sopra 39° Sedi di rilevamento: cavo ascellare, canale uditivo esterno (arteria temporale), cavo orale, ampolla rettale e cavità vaginale. La FREQUENZA CARDIACA è il numero di battiti al minuto, generalmente che varia dai 60 ai 100 bpm. Bradicardia: inferiore ai 60 bpm Tachicardia: superiore ai 100 bpm Sedi di rilevamento: l’arteria temporale, l’arteria carotidea, l’arteria apicale, l’arteria brachiale, l’arteria radiale, l’arteria femorale, l’arteria poplitea, l’arteria tibiale posteriore e l’arteria pedidia dorsale. Misurazione: posizionare indice, medio ed anulare sul polso, contare i battiti per 30 secondi e moltiplicarli per 2, o contare direttamente per 1 minuto. PRESSIONE ARTERIOSA: si riferisce alla forza che il movimento del sangue ha contro le pareti arteriose; aumenta quando il ventricolo si contrae (sistole) e diminuisce quando si rilassa (diastole); la differenza tra le due viene detta pressione differenziale che viene misurata in mmHg (millimetri di mercurio) PA standard: 120/80 mmHg Ipertensione: aumento della PA (140/90 mmHg) Ipotensione: diminuzione della PA (90/60 mmHg) Viene misurata con lo sfigmomanometro La FREQUENZA RESPIRATORIA comporta la ventilazione, la diffusione e la perfusione. La ventilazione è il movimento dei gas in entrata e in uscita dai polmoni, e può essere controllata sia in modo autonomo che volontaria; l'inspirazione è l’'atto di inspirare mentre l’espirazione è l’atto di espirare. La diffusione è lo scambio di O2 e CO2 tra gli alveoli dei polmoni al sangue circolante. La perfusione è lo scambio di O2 e CO2 tra il sangue in circolo e le cellule tissutali; in condizioni normali la FR è di circa 12/20 atti respiratori al minuto. Tachipnea: aumento degli atti; bradipnea: diminuzione; apnea: mancanza di respiro; dispnea: difficoltà respiratoria o affaticamento; ortopnea: posizione verticale per respirare meglio La SATURAZIONE è la percentuale di molecole d’ossigeno legate all’emoglobina. I valori normali in un adulto risultano superiori al 95%; in caso di valori inferiori del 95% si parlerà di ipossia e bisognerà ossigenare il paziente. Lo strumento utilizzato è il saturimetro e viene applicato sul dito del paziente. Il dolore può essere considerato come un parametro vitale GLICEMIA: è un prelievo capillare che permette di valutare la quantità di glucosio nel sangue. Va effettuata a digiuno al mattino, prima dei pasti e dopo due ore dai pasti. La glicemia normale a digiuno è inferiore ai 110 mg/dL. Il materiale da utilizzare è un glucometro, lancette sterili, striscette reagenti, guanti monouso non sterili, tamponi di cotone con e senza alcol, il tutto raccolto in un’arcella. Predisporre tutto il materiale in un’arcella, eseguire il lavaggio delle mani, assicurare la privacy del paziente e procedere con lo stick. Detergere il polpastrello, far asciugare la zona e pungere sull’estremità laterale del dito, perché al centro c’è più sensibilità. Togliere via la prima goccia di sangue e incoraggiare il sanguinamento. Infine, prelevare la seconda goccia di sangue e applicarlo sulla striscia reattiva, pulire il sito e annotare il risultato, e smaltire correttamente il materiale. RACCOLTA CAMPIONI BIOLOGICI: sono tutti quei liquidi corporei che possiamo ricavare dal paziente per avere informazioni sullo stato di salute. La scelta del campione biologico dipende dalle indagini da eseguire. Il laboratorio deve ricevere provette già identificate con le etichette contenenti codici a barre che a loro volta contengono nome e cognome del paziente, data di nascita, reparto di appartenenza, motivazione e dettaglio esame. Le etichette devono essere apposte in orizzontale sulle provette lasciando uno spazio attraverso il quale il personale di laboratorio possa controllare l’integrità e l’idoneità del contenuto. Emogasanalisi: è un prelievo di sangue arterioso attraverso il quale si analizzano alcuni parametri utili allo studio della respirazione e dell'equilibrio acido/base come, ad esempio, le pressioni parziali del gas arteriosi e pH del sangue. Viene effettuato tramite l’arteria radiale, femorale e brachiale. Il test di Allen consiste nel valutare la presenza della circolazione nella mano. Materiale: siringa EGA (in mancanza, siringa eparinata), arcella, guanti monouso, garze sterili, antisettico, cerotto di tela, clip emostatica, borsa con acqua e ghiaccio, telino monouso, contenitore per taglienti. Procedura: al pz viene chiesto di stringere con forza il pugno per circa 30 sec.(al fine di eliminare la maggior quantità di sangue dalla mano), comprimere l’arteria radiale e ulnare fino all’occlusione, far riaprire la mano al pz e lasciare la compressione dell’arteria ulnare, tempo ricircolazione 5- 7 sec, se in questo tempo la mano riprende colore è possibile pungere l’arteria radiale mentre se non riprende colore il test viene considerato positivo e l’arteria non può essere punta. L’ago deve essere inserito a 45-60°. Prelievo urine: è un esame utile a rilevare le caratteristiche chimico-fisiche delle urine. Il campione deve essere raccolto il mattino del giorno dell’esame. Prima di procedere alla raccolta delle urine eseguire l’igiene intima con acqua e sapone, scartare il primo getto di urine nel WC e raccogliere solamente il secondo sul mitto intermedio. Urina delle 24 ore: il mattino del giorno d'inizio della raccolta scartare tutta l'urina della prima minzione mattutina, prendere nota dell'ora (es. ore 7) e raccogliere in un contenitore tutte le urine che vengono emesse da quel momento in poi nelle 24 ore successive comprese quelle della notte e la minzione della mattina successiva; la raccolta va quindi terminata alla stessa ora d'inizio della raccolta (ore 7 del giorno successivo). Urinocoltura: è un esame di laboratorio utile alla ricerca di batteri e altri microrganismi potenzialmente patogeni nelle urine del paziente. In abbinamento a questa ricerca, viene richiesto l'antibiogramma, ovvero un esame eseguito in vitro effettuato sul microrganismo patogeno che permette di stabilire se esso sia sensibile ad un determinato antibiotico Prelievo urina da catetere: non deve assolutamente essere effettuato dalla sacca di raccolta, poiché il campione risulterebbe estremamente compromesso a livello micro-organico, non rispecchiando il reale status microbico intra-vescicale Procedura: clampare il circuito al di sotto del raccordo con la sacca di raccolta almeno 30' prima del prelievo; disinfettare l'area apposita per il campionamento; aspirare con siringa sterile l'urina; immettere il campione nel barattolo, levando la siringa, con l'accortezza di non contaminarlo. Raccolta feci: è un esame utile ad individuare la presenza di tracce ematiche o parassiti intestinali; gli esami più richiesti sono l’RSO, ovvero la ricerca del sangue occulto, e la coprocoltura. Una volta emesse, le feci vanno raccolte con l'ausilio dell'apposita spatolina; quindi, depositate nel relativo recipiente riempiendolo fino alla metà. Dopo la raccolta il contenitore, chiuso con cura e contrassegnato con nome, cognome e data, dev'essere immediatamente portato al laboratorio di analisi; in alternativa può essere conservato in frigorifero per non più di 12/24 ore. Nei giorni che precedono la coprocoltura non utilizzare lassativi, purghe o supposte per evacuare. È inoltre necessario sospendere, secondo quanto prescritto dal proprio medico, eventuali terapie antibiotiche. (nel bambino la raccolta può avvenire tramite l’uso di un tampone rettale) Espettorato: è un muco denso o catarro espulso dalle vie aeree inferiori (bronchi e polmoni) tramite un colpo di tosse profonda La raccolta del campione può avvenire tramite espulsione spontanea o può essere indotta. La raccolta dovrebbe avvenire di prima mattina, al risveglio del paziente, poiché le secrezioni si accumulano durante la notte, è quindi è più facile da raccogliere. Viene utilizzato per ricercare la presenza di patogeni responsabili di un’infezione batterica in persone sospettate di avere una polmonite di origine batterica o un’altra infezione delle vie aeree inferiori. MINZIONE: atto di urinare. Negli individui sani è un processo controllato in maniera volontaria. Diuresi: quantità di urina eliminata in un arco di tempo, normalmente nelle 24 ore è pari a 1-2L. Ritenzione urinaria: incapacità di svotare completamente la vescica. Il suo mancato svotamento può causare il GLOBO VESCICALE con dolore o fastidio all’addome inf. e gocciolamento incontrollabile. Incontinenza: disturbo caratterizzato dalla perdita involontaria di urina, continua e incontrollabile. Essa può essere anche da: sforzo, urgenza, rigurgito. Anuria: sospensione/assenza di urina. La diuresi è inf. ai 100ML nelle 24 ore. Oliguria: diminuita escrezione di urina, dovuta a insufficienza renale. La diuresi è inf. ai 400ML nelle 24 ore. Poliuria: produzione ed escrezione di grandi quantità di urine, che appaiono chiare e diluite. La diuresi è 2.5-3ML nelle 24 ore. Nicturia: disturbo caratterizzata dalla necessità di urinare più volte nel corso della notte. Enuresi: emissione involontaria di urina/incapacità di controllare la minzione. Pollachiuria: aumento transitorio o permanente del numero della minzione nelle 24 ore. Stranguria: disturbo caratterizzato da una minzione lenta, difficoltosa e dolorosa. Disuria: difficoltà nell’urinare. Ematuria: presenza di sangue nelle urine. Si divide in: macroematuria (quantità di sangue visibile ad occhio nudo); microematuria (è necessario un esame delle urine per valutare la presenza di sangue). Protenuria: presenza di proteine nelle urine superiore a 150mg/die. Glicosuria: presenza di glucosio nelle urine. Piuria: presenza di pus nelle urine. Spermaturia: presenza di spermatozoi nelle urine. Pneumaturia: presenza di gas o aria nelle urine. Emoglobinuria: presenza di emoglobina nelle urine. È dovuto alla rottura dei globuli rossi (EMOLISI). Isostenuria: eliminazione di urina a peso specifico più basso rispetto alla norma. ESEGUIRE TAMPONI: vengono utilizzati per facilitare la diagnosi di infezione e individuare lo stato portatore di alcuni microrganismi. I tamponi frequentemente fatti sono il tampone nasale, rettale, orofaringeo, oculare e delle ferite. L’importanza è di non contaminare il campione. POSIZIONARE SONDA RETTALE: è un tubo di plastica che può essere usato per alleviare i dolori addominali da flatulenza. Si inserisce la sonda attraverso l’ano per circa 10 cm, fino al sigma (parte dell’intestino subito dopo l’ano) e la si lascia in sede per circa 20 / 30 minuti. Viene utilizzata inoltre per la somministrazione di farmaci / soluzioni al posto del clistere evacuativo, in quanto può essere inserito più internamente rispetto al solo clistere. Modalità di esecuzione: Chiedere al paziente di posizionarsi (o posizionarlo), sul suo lato sinistro con la gamba destra flessa (posizione di Sims); è importantissimo mettere la persona in questo modo in quanto si segue la fisiologica conformazione dell’intestino. Se si posiziona il paziente sul lato destro, la parte del sigma rimane in alto impedendo alla soluzione di arrivare a destinazione. Quindi applicare il lubrificante sulla sonda ed infilare il tubo molto lentamente in quanto potrebbero presentarsi ostacoli; in questo vaso chiedere al soggetto di compiere un respiro profondo CLISTRERE EVACUATIVO: viene classificato come clistere di pulizia a basso volume o ad alto volume. La differenza principale fra clistere a grande e basso volume risiede nella quantità di liquido introdotto nell'intestino; quello a grande volume (chiamato semplicemente “Clistere” od Enteroclisma) può avere un’infusione che va da 0,5 a 2 litri, mentre quello a basso volume (chiamato comunemente “Peretta” o più comunemente Microclisma) da 0,1 a 0,2 lt. Il microclisma si presenta come flacone con una cannula all'estremità, della misura utile perché il liquido raggiunga e agisca solamente nel retto. Il clistere a grande volume invece è composto da una sacca che contiene la soluzione collegata ad un tubo che si collega con la sonda rettale che viene inserita nel retto. La funzione di un clistere è quella di distendere l’intestino e di irritare la mucosa intestinale, in modo da favorire l’escrezione di feci e di flato. Lo scopo del clistere è quello di eliminare il blocco fecale grazie all'acqua o altro liquido, che, aumentando di volume all'interno dell'intestino, fa raggiungere a chi riceve il clistere lo stimolo di defecare e al tempo stesso, "scioglie" anche le feci dure. L'esecuzione del clistere è una procedura volta al lavaggio intestinale nei casi di irregolarità intestinali o nei casi di preparazione ad interventi chirurgici o di particolari indagini diagnostiche. I clisteri vengono divisi in: -evacuativo: serve a rimuovere le feci per prevenirne la fuoriuscita durante un intervento chirurgico, preparare l’intestino a determinati test o in casi di costipazione o di fecaloma -carminativo: viene somministrato per aiutare ad alleviare la distensione addominale espellendo i gas -ritentivo: serve ad ammorbidire le feci ed a lubrificare il retto e il canale anale introducendo un olio o un farmaco, il quale viene trattenuto per un periodo di tempo generalmente lungo (2 o 3 ore) -a flusso refluo, utilizzato per espellere i gas, alternando il flusso di liquido in entrata ed in uscita dal retto, stimolando la peristalsi. CATETERISMO VESCICALE: è l’introduzione di un tubo un tubo flessibile cavo o catetere nella vescica tramite l’uretra. Il CV può essere utilizzato per finalità urinario-evacuative, terapeutiche e diagnostiche. In tutti i casi si tratta di un’azione che deve svolgersi nella più assoluta sterilità, per evitare al paziente lesioni ed infezioni. L’uso del catetere, essendo associato ad un aumento del rischio di infezioni delle vie urinarie, deve essere limitato ai casi in cui non sia praticabile nessuna alternativa (ad esempio nei casi di ostruzione delle vie urinarie o ritenzione urinaria, disfunzioni neurologiche della vescica, interventi chirurgici, incontinenza urinaria, ecc.). Si chiama CATETERISMO VESCICALE A BREVE TERMINE lo svuotamento artificiale della vescica che serve a risolvere situazioni transitorie o di durata temporanea. Tale intervento viene realizzato quando un individuo è in attesa di essere operato di stenosi uretrale, ipertrofia prostatica o calcoli renali. La stenosi uretrale è un'occlusione parziale o totale dell'uretra; l'ipertrofia prostatica è un ingrossamento della prostata; i calcoli renali sono delle piccole formazioni di sali minerali che restringono le vie urinarie. Altri motivi possono essere un intervento chirurgico di lunga durata oppure si usa quando una donna sta per partorire. Si chiama CATETERISMO VESCICALE A LUNGO TERMINE, invece, lo svuotamento della vescica attuato per risolvere circostanze stabili e potenzialmente capaci di durare tutta la vita. Esso si pratica generalmente q0uando un individuo, a causa di una grave debilitazione, è confinato in modo permanente in un letto. È il caso, per esempio, di alcune persone molto anziane che non sono in grado nemmeno di recarsi in bagno; quando un individuo soffre di incontinenza urinaria; quando c'è un danno nervoso, tale per cui un soggetto non è più in grado di governare la minzione. Esistono due tipi di catetere vescicale: il catetere vescicale uretrale e sovrapubico. Cateteri vescicali uretrali si differenziano in due tipi: -intermittenza: è un catetere uretrale monouso che viene inserito nella vescica e rimosso subito dopo lo svuotamento di quest'ultima. -a dimora (o a permanenza): è un catetere uretrale di tipo Foley che, una volta inserito in vescica, può essere mantenuto in posizione anche per due o tre mesi. I cateteri di tipo Foley sono del tutto caratteristici: a un'estremità, possiedono un palloncino che, gonfiato quando è all'interno della vescica, impedisce loro di sfilarsi in modo autonomo; all'estremità opposta, invece, presentano due aperture, una per l'eliminazione dell'urina, l'altra per il gonfiaggio del palloncino. L'apertura per la fuoriuscita dell'urina è collegata a una sacca di raccolta; tale sacca viene generalmente fissata a una gamba, in maniera tale da permettere al paziente di condurre una vita quasi normale. Una volta piena di liquido, la sacca va ovviamente svuotata. Catetere vescicale sovrapubico: è un catetere a dimora di tipo Foley, che viene inserito nella vescica attraverso un foro sull'addome. La perforazione dell'addome richiede un piccolo intervento chirurgico, da effettuarsi in anestesia generale e/o in anestesia locale. Come per i cateteri uretrali a dimora, l'urina viene raccolta in una sacca apposita e la sua fuoriuscita può essere regolata tramite una valvola. Condom: i pazienti di sesso maschile, quando perdono il controllo volontario della minzione, in alternativa al catetere vescicale a permanenza, si può posizionare un catetere vescicale esterno che viene applicato esternamente al pene. Questo catetere è collegato ad una sacca di raccolta che può essere attaccata anche alla gamba. I parametri che distinguono e differenziano i cateteri sono: il calibro, il materiale e la consistenza, il numero di vie e l’estremità prossimale. L’unità di misura è la scala di Charriere, CH, che corrisponde al diametro esterno del catetere stesso. Se utilizziamo un catetere di piccolo calibro, avremo minor rischio di lesioni uretrali, ma una evacuazione più lenta delle urine. Di solito per le donne viene utilizzato il 12-14 CH (4.7mm), mentre per gli uomini il 14-16 CH (5.3mm). Per quanto riguarda la consistenza, i cateteri vescicali si dividono tra: molli: costituiti da gomma, lattice o silicone, sono quelli che garantiscono maggiore confort per il paziente e sono quelli più indicati per l’uso protratto nel tempo; semirigidi: costituiti da gomma o plastica, vengono utilizzati in casi particolari, quali ad esempio: restringimento dell’uretra o ipertrofia prostatica nell’uomo, casi di ematuria importante o di emorragia vescicale; rigidi: costituiti da materiale sintetico, si usano in casi molto rari e particolari, generalmente come “dilatatori”. Per quanto riguarda il materiale possono essere: catetere in lattice: trattandosi di gomma purificata è la tipologia di materiale più morbida; è indicato per i cateterismi a breve termine (massimo 7 giorni), poiché è un materiale che può dare allergia e favorisce l’insorgere di incrostazioni; catetere in silicone: è un materiale morbido, inerte e ad elevata biocompatibilità, cosa che lo rende l’ideale per il cateterismo a lungo termine (30 giorni); catetere in hydrogel: lattice con rivestimento polimerico idrofilo, delicato sulla mucosa uretrale, abbassa sensibilmente il rischio di incrostazioni e colonizzazione batterica; catetere in PVC: materiale fisiologicamente innocuo, presenta un basso rischio di irritazione della mucosa grazie al minor attrito che esercita (indicato nel cateterismo intermittente, si presenta anche in formati autolubrificanti). In base alle caratteristiche dell’estremità prossimale del catetere vescicale si possono distinguere le seguenti tipologie di presidi: - catetere Foley: molle e confortevole per il paziente, ha l’estremità dotata di un palloncino gonfiabile (per mezzo di soluzione fisiologica sterile) che ne permette l’ancoraggio e due fori contrapposti e simmetrici tra loro; - catetere Nelaton: utilizzato soprattutto nella donna, ha l’estremità prossimale arrotondata e rettilinea, con uno o due fori di drenaggio tra loro contrapposti; - catetere Mercier: semirigido, presenta la punta arrotondata dotata di uno o due fori di drenaggio e una curvatura di circa 30°- 45° per facilitare l’inserimento del catetere nell’uomo con uretra membranosa o prostatica; - catetere Couvelaire: semirigido con estremità a becco di flauto e dotata di due fori laterali, si utilizza in caso di emorragia vescicale o dopo prostatectomia radicale; - catetere Tiemann: semirigido, con estremità di forma conica e dall’angolatura di 30°, indicato nei casi di restringimento dell’uretra maschile; - catetere Dufour: semirigido e dotato di palloncino di ancoraggio, ha l’estremità prossimale a becco di flauto, con curvatura di 30° e due fori laterali contrapposti; indicato in caso di tamponamento vescicale e relativa ematuria. Per quanto riguarda il numero di vie, i cateteri possono essere ad: - una via: utilizzato per il cateterismo temporaneo / intermittente; - due vie: dotato per una via per il reflusso delle urine e di una che, mediante apposita valvola, permette la distensione di un palloncino per l’ancoraggio in vescica; - tre vie: dotato di una via per il drenaggio, una per l’ancoraggio e una terza per consentire l’irrigazione vescicale. Materiale occorrente: catetere di calibro idoneo – guanti sterili – traverse monouso – soluzione antisettica – garze – pinze anatomiche– lubrificante idrosolubile- -busta delle urine – siringa cono catetere - guanti monouso – materiale per la pulizia perineale. La procedura è molto semplice nella donna, dove l’uretra è breve e rettilinea è molto più impegnativa nel maschio. Procedura nella donna: eseguire igiene mani, identificare il pz, indossare i guanti e mettere il pz in posizione dorsale, usare la mano non dominante per divaricare e mantenere separate le grandi labbra, inserire il cv con mano dominante, gonfiare il palloncino di ancoraggio del catetere a permanenza, connettere il catetere alla sacca di raccolta, fissare il catetere alla gamba, rimuovere i guanti ed eseguire l’igiene delle mani. Procedura nell’uomo: eseguire l'igiene delle mani, identificare il paziente ed indossare i guanti, mettere il paziente in posizione supina e sollevare il pene con la mano non dominante, pulire il meato con la mano dominante mediante dei batuffoli di cotone afferrati con una pinza, inserire la siringa con il lubrificante nell'uretra ed inserire il catetere con la mano dominante, gonfiare il palloncino di ancoraggio del catetere e connetterlo alla sacca di raccolta, fissare il catetere alla gamba, rimuovere i guanti ed eseguire l’igiene delle mani. Rischi: L'uso del catetere vescicale può provocare delle infezioni a carico dell'apparato urinario, dovute all'ingresso nel corpo di batteri patogeni. Oltre alle infezioni batteriche, il cateterismo vescicale può comportare: spasmi della vescica; perdite impreviste di urina; accumulo di sangue o detriti all'interno del catetere; lesione del canale uretrale.; restringimento dell'uretra; calcoli vescicali (o calcoli alla vescica); lesioni alla vescica o all'intestino retto. Il rischio maggiore è corso da coloro che ricorrono ai cateteri a dimora (uretrali o sovrapubici), in quanto quest'ultimi, essendo mantenuti in posizione per diverse settimane o mesi, sono particolarmente esposti alle contaminazioni batteriche. Rimozione del catetere: può essere rimosso quando non è più necessario, non funziona più o causa un dolore che non può essere alleviato, oppure quando viene prescritto un diverso tipo di catetere. Non sono raccomandate procedure di routine nella sostituzione dei cateteri. Se sono presenti sedimenti significativi, sangue o filamenti di mucosa nel deflussore o il sistema non drena adeguatamente, può essere necessario sostituire il deflussore o il catetere, verificare le reazioni o lamentele del paziente sul catetere. Esaminare l'area perineale per rossore, secrezioni o lesione, se il catetere deve essere sostituito, è necessario utilizzare un sistema completamente nuovo, compresa la busta di raccolta. Materiale occorrente: guanti monouso; spugna, sapone, asciugamani e asciugamano di carta; siringa Luer Lock grande almeno quanto la capacità del palloncino di ancoraggio. Procedura: identificare il pz e spiegare la procedura, igiene delle mani, far assumere al pz posizione supina (se prescritto, prelevare un campione di urina sterile per eventuali esami), indossare i guanti, inserire la siringa nella valvola di cuffiaggio del catetere e aspirare il liquido dal palloncino, sfilare delicatamente il catetere, misurare l’urina nella sacca di drenaggio ed eliminare in modo corretto i rifiuti, togliere i guanti ed eseguire igiene mani. Infine, documentare l’ora in cui è stato rimosso il cv quantità, colore e limpidezza delle urine Gestione del catetere: Svuotare la busta di raccolta almeno ogni 8 ore e tutte le volte che si riempie per metà: indossare guanti monouso, procurarsi un contenitore graduato per la misurazione della quantità di urina, porre un asciugamano di carta sul pavimento al di sotto della busta e aprire la valvola di scarico presente sulla porzione inferiore della busta di raccolta e lasciare defluire l’urina. Detergere la valvola di scarico dopo aver svuotato completamente la busta, chiudere il morsetto del deflussore e riporlo nella custodia protettiva. Valutare il volume e le caratteristiche dell’urina, svuotare il contenitore nel water se l'urina non deve essere raccolta e sciacquare il contenitore e riporlo. Togliere e gettare i guanti e infine lavare le mani. PREPARARE, CONTROLLARE ED EFFETTUARE LA TERAPIA: consiste in un insieme di azioni che servono a garantire l’efficacia, sicurezza e terapia per il pz. L’infermiere deve conoscere i farmaci, gestire accessi venosi, iniezioni di farmaci per le diverse vie; si occupa inoltre della conservazione, dell’approvvigionamento e della somministrazione dei farmaci. La somministrazione prevede la prescrizione dal medico e atto di somministrazione (competenza inf.) perciò l’infermiere è il garante dei risultati della terapia. PRESCRIZIONE: Deve esserci: nome e cognome del pz, peso, eventuali allergie, nome del farmaco, forma (es. compresse), dose (espressa in peso g o mg., volume in ml), la via di somministrazione, il numero di somministrazione (al dì), orari e durata del trattamento, data di prescrizione e firma del medico. Se la prescrizione è incompleta l’infermiere ha obbligo di interpellare medico. Le prescrizioni orali valide solo in caso di emergenza, mentre quelle telefoniche non sono mai valide. VIE DI SOMMINISTRAZIONE: -Topica: cioè transcutanea e transmucosa (oculare). Essa ha effetto locale e prevede gel, creme, unguenti, soluzioni etc. –Inalatoria –Enterale cioè via orale, sublinguale, rettale. –Parenterale cioè endovenosa, intramuscolo, sottocutanea, intradermica. LESIONI DA DECUBITO E PREVENZIONE: Per ulcera o lesione da decubito si intende una lesione tissutale ad evoluzione necrotica che interessa la cute, il derma e gli strati sottocutanei, fino a raggiungere, nei casi più gravi, il muscolo, la cartilagine e l’osso. Il fenomeno è causato da una prolungata e/o eccessiva pressione esercitata tra piano d’appoggio e superficie ossea, tale da provocare uno stress meccanico sui tessuti ed un’alterazione della circolazione ematica locale. Clinicamente le lesioni si osservano in sedi particolarmente predisposte, come le prominenze ossee, ed insorgono in seguito al decubito prolungato in posizione obbligata. Tutte le condizioni che comportano una diminuzione della mobilità rappresentano pertanto un importante fattore di rischio di insorgenza delle lesioni. STADIAZIONE: le lesioni da decubito sono riconoscibili per il loro aspetto e per la loro localizzazione. Nella maggior parte dei casi si trovano in corrispondenza di una salienza ossea, come il sacro, i talloni, i gomiti, le ginocchia e le scapole. Esse provocano dolore, spesso sottostimato, che può aumentare durante le operazioni di medicazione e possono dare luogo a complicanze quali infezioni, perdita di proteine, anemia, osteomieliti, setticemie. Esistono varie proposte di classificazione in gradi delle lesioni da decubito. -Primo stadio: area di eritema marcato e persistente che non scompare alla pressione digitale e cute integra. -Secondo stadio: lesione cutanea superficiale limitata all’epidermide e/o al derma; si presenta clinicamente sotto forma di abrasione, vescicola o bolla. -Terzo stadio: perdita di sostanza a tutto spessore, in cui la lesione e la necrosi progrediscono interessando il tessuto sottocutaneo fino alla fascia muscolare, senza oltrepassarla, con o senza sottolineature dei bordi Quarto stadio: la lesione si estende oltre la fascia profonda interessando muscoli, tendini, strutture capsulari ed osso IDENTIFICAZIONE DEI SOGGETTI A RISCHIO: La misurazione del rischio dei pazienti di sviluppare lesioni da decubito è il primo passo da compiere per una corretta pianificazione degli interventi di prevenzione. Tale misurazione deve essere effettuata, impiegando strumenti di verifica validati quali “scale di valutazione”. Queste devono essere somministrate ai pazienti in ingresso alla struttura e devono essere ripetute, durante la degenza, con cadenza stabilita in base al fattore di rischio iniziale (settimanale, quindicinale, ecc.). PROTOCOLLO DI PREVENZIONE: È importante educare il paziente circa le misure preventive da adottare, affiche se possibile, collabori con gli operatori sanitari. -Norme igieniche: mantenere la cute pulita con l'utilizzo di detergenti debolmente acidi non irritanti, in particolare dopo ogni evacuazione, osservare quotidianamente le condizioni della cute del paziente, in particolare le zone a rischio, in presenza di cute secca l’applicazione di olii protettivi o creme idratanti ed emollienti può contribuire a ripristinare il mantello idrolipidico e a mantenere elastica la cute. DA EVITARE: uso di detergenti sgrassanti o soluzioni alcoliche, applicazioni di talco o di polveri protettive, strofinamento nell'asciugatura (rischio di frizione), massaggi profondi (scollamento dei tessuti), scorretto impiego dei pannoloni rispetto alle indicazioni di utilizzo, contatto della pelle con materiali impermeabili, come tele cerate, impiego di biancheria intima sintetica, impiego di indumenti con elastici o bottoni, lenzuola o indumenti umidi o bagnati, pieghe delle lenzuola o della biancheria o presenza di corpi estranei (briciole ecc.). -Nutrizione: verificare che non sia in atto uno stato di malnutrizione (per eccesso o per difetto); controllare lo stato di idratazione (stimolare la persona a bere e nel caso in cui il medico lo ritiene opportuno ricorrere alla reidratazione per via EV), controllare l’appetito, controllare la situazione proteico-vitaminica (stato della pelle, capelli, unghie); tenere sotto controllo eventuale patologia di base (es. diabete, anemia, malattie cardiovascolari e neoplasie) -Mobilizzazione e posizionamento: mobilizzare in modo regolare e costante il paziente, in quanto la mobilizzazione rappresenta la prima forma di difesa dell'organismo contro la compressione. Nei pazienti che hanno conservato la capacità di deambulare, occorre stimolare il più possibile il movimento, accompagnando la persona o fornendole gli ausili necessari (bastone, tripode, girello, corrimano) per dare sicurezza e autonomia. A coloro che hanno perso la capacità di deambulare, garantire, ove possibile, la mobilizzazione sistemandoli in poltrona o in carrozzina. Nei pazienti totalmente allettati privi di movimenti volontari o automatici assicurare una mobilizzazione passiva. -Riduzione della compressione: bisogna ridurre la compressione con dispositivi e ausili antidecubito. Questi permettono di tollerare meglio l’immobilità tra un cambio di postura e l’altro, ma non possono ridurre la frequenza, o essere sostitutivi, degli interventi di mobilizzazione sopra ricordati. Devono essere considerati all’interno di un piano complessivo di assistenza al paziente. TRATTAMENTO DELLA LESIONE: Non esiste una metodica ottimale per il trattamento delle lesioni da decubito, che può quindi variare in base alle condizioni del paziente, al tipo di lesione ed alla sua evoluzione. Il principio basilare è quello di favorire la guarigione rispettando l’ambiente naturale nel quale avvengono i processi di riparazione tissutale, quali la granulazione e la riepitelizzazione, ed evitare le condizioni che la rallentano come la variazione di umidità, pH e temperatura. INTERVENTI SULLA LESIONE: -Rimozione del tessuto non vitale: la detersione della lesione è la base del trattamento delle lesioni da decubito in quanto l’asportazione del materiale infiammatorio e/o dei residui di precedenti medicazioni riduce la colonizzazione batterica, abbassa il rischio di infezione e velocizza i processi di rigenerazione tissutale e quindi la guarigione. È inoltre una pratica indispensabile per la valutazione del fondo della lesione e quindi per l’applicazione del protocollo di intervento più appropriato. -Disinfezione: l’impiego di antisettici è controverso poiché essi, abbinando all’azione antibatterica un effetto lesivo nei confronti di qualsiasi cellula, anche sana, possono danneggiare le cellule deputate alla riproduzione tissutale. Possono inoltre causare reazioni allergiche e/o irritazione locale. L’uso di antisettici non deve essere quindi routinario ma riservato eventualmente alle lesioni chiaramente infette o in presenza di secrezioni necrotiche (stadio III e IV) e nelle fasi post-escarectomia. È opportuno precedere e seguire l’applicazione con un lavaggio con soluzione fisiologica. -Diagnosi della lesione: generalmente può essere formulata su base clinica (odore, caratteristica dell’essudato; ad esempio, una lesione maleodorante è molto probabilmente infettata da anaerobi). Se necessario risulta più opportuno eseguire una coltura del prelievo bioptico del fondo della lesione, o dell’essudato ottenuto tramite aspirazione. -Medicazione topica della lesione: bisogna mantenere un microambiente umido e la cute circostante asciutta, consentire lo scambio gassoso, proteggere dalla contaminazione batterica e dai danni meccanici, permettere e favorire la rimozione di essudati e tessuti necrotici. Bisogna inoltre evitare di lasciare esposta a lungo la lesione all’aria per diminuire la dispersione di calore e l’esposizione ad agenti infettivi, utilizzare guanti monouso per limitare la contaminazione, scegliere la medicazione più idonea sulla base delle caratteristiche della lesione (granuleggiante, necrotica, secernente, secca, contaminata, infetta), non utilizzare la stessa medicazione durante tutta la durata del trattamento della lesione (va modulata in base alla fase evolutiva della ferita seguendone l’evoluzione) -Trattamento della cute circostante: è importante ricordare che la detersione va effettuata anche sulla zona circostante la lesione, utilizzando saponi a pH fisiologico o debolmente acidi (circa pH 5) ed acqua, seguiti da un’attenta asciugatura a tamponamento. Può essere utile l’applicazione di creme grasse o di un olio dermoprotettivo. In particolare, la cute integra circostante la lesione va protetta dall’azione di eventuali preparati ad azione proteolitica utilizzati per lo sbrigliamento e dall’effetto allergizzante ed irritante di alcuni disinfettanti o antibiotici. Come protettivo può essere applicata, al cambio della medicazione, la pasta all’ossido di zinco. -Frequenza della medicazione: varia in funzione dello stadio in cui si trova la lesione, della sua evoluzione e della tipologia dei prodotti usati. Infatti, alcuni tipi di medicazioni devono essere rimossi prima che i tessuti siano completamente saturi e quindi difficili e dolorosi da asportare; mentre altri invece non devono essere sostituiti con troppa frequenza, per non distruggere il tessuto di granulazione neoformato (ad esempio idrocolloidi). Il range varia in genere da 12 ore a 7 giorni e le lesioni devono essere rivalutate settimanalmente per seguirne l’andamento. È opportuno misurare la lesione per monitorarne l’evoluzione nel tempo. I metodi di misurazione possono essere semplici (centimetro, foglio di acetato millimetrato, macchina fotografica, ecc) o molto sofisticati (ultrasuoni, risonanza magnetica, raggi infrarossi, laser doppler, ecc), ma in ogni caso i parametri da valutare sono: superficie e perimetro. EFFETTUARE MEDICAZIONI SEMPLICI: Tra le attività specifiche dell’infermiere rientra l’esecuzione di medicazioni e bendaggi sia semplici che complessi. La condizione che richiede una medicazione è la ferita che può avere origine traumatica oppure essere causata da una patologia (es. ulcera diabetica) oppure essere la conseguenza di un intervento chirurgico. Una medicazione è definita semplice quando ha uno scopo essenzialmente protettiva di tutte quelle ferite non complicate da infezione e che non presentano perdita di sostanza. Queste ferite guariscono per prima intenzione cioè senza la formazione di tessuto di granulazione. Il tipico esempio di ferita che richiede una medicazione semplice è la ferita chirurgica, ovviamente quando non complicata dalla presenza di drenaggi o da situazioni patologiche come l’infezione. Gli obiettivi di una medicazione semplice sono non apportare nuovi microrganismi, non causare dolore inutile, mantenere un ambiente asciutto, per non favorisce la crescita dei batteri e creare l'ambiente adatto alla guarigione. Una medicazione può avere diverse finalità: -Protettiva: ad esempio nel caso di una ferita chirurgica; la medicazione deve garantire la protezione da contaminazioni oltre a creare condizioni favorenti la guarigione. -Curativa: pensiamo al caso delle lesioni da pressione e delle ulcere croniche. In questo caso la medicazione comporta l’utilizzo di particolari prodotti che aiutano la guarigione della lesione, oltre ad avere un effetto di protezione da eventuali contaminazioni. -Preventiva: lo scopo è quello di prevenire la lesione, come nel caso delle parti maggiormente soggette ad attrito e compressione (ad esempio le sporgenze ossee) nella prevenzione delle lesioni da pressione. Le medicazioni protettive e curative sono classificate come medicazioni complesse in ragione della frequenza di sostituzione, delle modalità di applicazione oltre che della necessità di una costante valutazione delle condizioni della ferita. Tipico è il caso delle lesioni da pressione di III e IV grado, delle ulcere croniche e delle ferite infette. L’infermiere è competente a decidere tempi e modalità della medicazione, ma anche a scegliere fra i numerosi presidi dedicati (le cosiddette medicazioni avanzate) che vanno correttamente utilizzati in funzione delle condizioni della lesione. Materiale: guanti, arcella, garze e batuffoli di cotone sterili, bende, garze non sterili, disinfettante, materiale per lesioni da pressione come, ad esempio, un prodotto topico (es. pomata di eparinoide). Tecnica: informare il pz, igiene mani e indossare i guanti, rimuovere la precedente medicazione in modo non traumatico, sostituire i guanti monouso e indossare quelli sterili, procedere alla disinfezione della ferita (dall’interno verso l’esterno), coprire la ferita con garze sterili e fissare con cerotti, (se si applicano pomate topiche, provvedere ad applicarne un leggero strato sulla parte interessata), togliere i guanti, smaltire il materiale, lavarsi le mani e registrare nella scheda l’avvenuta medicazione. MEDICAZIONI COMPLESSE: o avanzate, vengono eseguite ricorrendo a materiali biocompatibili, che interagiscono con la lesione e stimolano una specifica reazione biologica. L’uso di questi materiali consente di gestire meglio la carica batterica, la natura e il volume dell’essudato, nonché mantenere la giusta idratazione e temperatura della cute che circonda la lesione. Le medicazioni complesse aiutano anche a proteggere da eventuali infezioni e a rimuovere il tessuto necrotico. Vengono classificate in base alle caratteristiche e destinazione d’uso: a contenuto salino utilizzate in presenza di lesioni con infezione e/o essudato moderato. Non vanno impiegate per le lesioni asciutte e/o con ossa e tendini esposti; alginati medicazioni composte da fibra di alginato di sodio e calcio, che sciogliendosi formano un gel che mantiene l’ambiente umido. Indicate in caso di lesioni sanguinanti o iper-secernenti, non vanno usate su ferite asciutte o in presenza di abbondante sanguinamento. Vanno sostituite dopo 3-7 giorni; idrocolloidi medicazioni chirurgiche semplici e complesse, composte da uno strato idrocolloide interno e da uno strato in poliuretano esterno. Servono ad assorbire l’essudato e vanno sostituite dopo 3-7 giorni. Da evitare su lesioni infette e/o con esposizione di tendini, muscoli, etc; carbossimetilcellulosa sodica medicazioni usate per ferite secernenti. Vanno sostituite dopo 3-5 giorni; gel idrofilo medicazioni a base acquosa per ferite necrotiche e/o secche; poliuretano medicazioni in schiuma o in film, da utilizzare per lesioni con essudato medio o abbondante. Vanno sostituite dopo un massimo di 7 giorni; carbone attivo medicazioni complesse usate per ferite infette o neoplastiche. Servono principalmente a controllare gli odori; collagene animale sono reperibili sotto forma di spray, polvere, granuli, placca e pad e sono pensate per le lesioni con cicatrizzazione ritardata. Non vanno usate per ferite essudanti, infette o necrotiche; interattive medicazioni complesse che interagiscono con la ferita e intervengono nel processo di guarigione, inducendo, in base ai prodotti associati e alla situazione, alla migrazione cellulare, al rilascio di citochine, alla proliferazione cellulare. Scopo: in generale, a prescindere dalla natura della lesione e dal metodo utilizzato, gli obiettivi che si pone lo specialista che utilizza una medicazione saranno: educare il pz. e i familiari nella corretta gestione della lesione e dei comportamenti da adottare; prevenire o trattare un’infezione; creare un ambiente umido intorno alla ferita, favorevole per la guarigione; gestire l’essudato della lesione; rimuovere il tessuto devitalizzato, il cosiddetto escara; proteggere la lacerazione da elementi esterni dannosi che potrebbero contaminare la sezione; tutelare la zona anche da danni di traumi meccanici; favorire il processo di guarigione grazie al mantenimento di temperatura, livello di umidità e pH adeguati. Gli scopi elencati potranno essere perseguiti, a discrezione del medico o dell’infermiere, con una singola medicazione avanzata o con una combinazione di più medicazioni. Tipologie med: schiume; alginati; medicazioni non aderenti; medicazioni composte; garze impregnate; idrocolloidi; idrofibre; idrogel; collagene. Caratteristiche med: adesività; capacità assorbente; capacità idratante; conformabilità. ULCERE: si definisce ulcera di gamba una perdita di cute delle parti declivi dell’arto, insorta in un distretto caratterizzato dal cattivo stato della circolazione e senza alcuna tendenza spontanea alla guarigione. Si tratta pertanto di situazioni in genere durature, e quindi di frequente riscontro, difficilmente guaribili anche perché oggetto di ripetuti trattamenti spesso inefficaci o addirittura controproducenti. Se non identificate e trattate precocemente possono evolvere in quadri patologici anche molto severi. Fra le ulcere a genesi vascolare si avranno: ULCERE VENOSE (ULCERE FLEBOSTATICHE): sono generate dalla stasi cronica dell’insufficienza venosa e tipicamente si localizzano al terzo distale di gamba sopra al malleolo interno, sono molto dolenti e spesso accompagnate da sovra-infezione batterica e da edema di gamba; ULCERE ARTERIOSE (GANGRENA): rappresentano l’ultimo stadio della patologia obliterativa arteriosa periferica, rappresentato da un apporto di sangue alle gambe talmente scarso da non consentire non solo la normale deambulazione ma anche la vitalità dei tessuti a riposo. Sono pertanto l’ultimo stadio di una storia clinica molto caratteristica che inizia con la claudicatio intermittens (dolore al polpaccio dopo un certo intervallo di marcia) che diventa sempre più serrata, fino al dolore a riposo e l’ulcera ischemica. Il paziente affetto da questo tipo di ulcere in genere presenta diversi fattori di rischio quali l’ipercolesterolemia, il fumo, l’ipertensione arteriosa, il diabete. Sono lesioni dolentissime, che non guariscono nonostante le ripetute medicazioni, Insorgono in genere nelle sedi più periferiche (dita dei piedi, distretto periungueale) ed hanno la tendenza ad evolvere prossimalmente. Non va dimenticato che qualsiasi lesione causata anche involontariamente in un piede affetto da insufficienza arteriosa periferica può trasformarsi in una gangrena: bisogna pertanto prestare la massima attenzione in tutte le situazioni potenzialmente lesive: taglio delle unghie, microtraumi da calzatura scomoda, pedicure; ULCERE DIABETICHE\PIEDE DIABETICO: nelle ulcere diabetiche concomitano diverse cause: in primis la neuropatia diabetica che altera la sensibilità periferica e concorre nella genesi di deformazioni articolari, in aggiunta la microangiopatia che è responsabile della ridotta sanguificazione e ossigenazione del piede. In genere si instaurano situazioni di postura viziata del piede con tendenza a formazione di callosità e di microtraumatismi ripetuti che, in associazione alla sovra-infezione batterica, possono essere causa di ulcerazioni sulla pianta del piede ma anche di vere e proprie raccolte ascessuali. Nei casi più severi, e soprattutto quando non si interviene in tempo utile, la progressione della patologia (nota come “piede diabetico”) può portare a quadri drammatici caratterizzati dalla disorganizzazione anatomica del piede e dal disassamento articolare noto come “piede di Charcot”. E’ dunque fondamentale un controllo attento e scrupoloso, ma soprattutto periodico, dei pz. diabetici, finalizzato alla valutazione della circolazione periferica (evidenza di deficit macro o micro circolatori) e della postura del paziente (identificazione precoce di vizi posturali e immediata correzione mediante plantari ortopedici). La cura dell’ulcera diabetica si giova della bonifica chirurgica, volta alla pulizia, allo svuotamento di eventuali raccolte ascessuali, alla correzione di vizi posturali e soprattutto al ripristino di un’adeguata circolazione arteriosa qualora sia insufficiente (angioplastica periferica). Altre ulcere periferiche possono essere generate dalla concomitanza di più cause (ulcere arterovenose, ulcere miste, ulcere microangiopatiche, ulcere emopatiche, ulcere neoplastiche) e solo la valutazione specialistica può inquadrarle adeguatamente e consentire l’inizio dell’iter diagnostico terapeutico più appropriato. USTIONI: sono lesioni della pelle provocate dal calore; quando l’ustione è lieve provoca solo un danno locale mentre quando è grave può mettere in pericolo la vita del pz. Tipo di ustioni: fuoco, elettricità, superficie roventa: provocano ustioni di 3°grado (caustici). Classificazione: 1°grado (epidermiche) sono le più lievi e coinvolgono lo strato superficiale della cute causando la dilatazione dei capillari. Questo tipo di ustione in genere guarisce spontaneamente in 5-7 giorni, senza lasciare cicatrici. Questo tipo di scottatura provoca un arrossamento della zona ustionata: l'eritema genera dolore intenso e bruciore; 2°grado (dermiche) interessano gli strati superficiali e profondi della cute: le lesioni più superficiali guariscono in 10-15 giorni senza lasciare cicatrici, mentre per quelle più profonde la guarigione è più lenta e possono rimanere cicatrici. La ferita genera dolore e bruciore, e presenta bolle dovute alla fuoriuscita di sangue dai capillari cutanei coinvolti; 3°grado questo tipo d’ustione danneggia anche lo strato sottocutaneo con conseguente necrosi dei tessuti e formazione di macchie nere e croste. Queste scottature lasciano in genere cicatrici evidenti. In questo caso la cute assume un colore marrone, nero ed è molto dura al tatto. La distruzione delle cellule nervose fa sì che il paziente non avverta nemmeno dolore. Cosa non fare: se gli abiti sono adesi alla zona ustionata non bisogna assolutamente cercare di rimuoverli, questo tentativo infatti potrebbe staccare anche l'epidermide e peggiorare la situazione; non applicare nulla sull'ustione: creme, pomate, disinfettanti sono assolutamente da evitare. Se l'ustione è avvenuta per contatto con sostanze chimiche però (per esempio calce secca) va evitata anche l'acqua.; non forare le bolle perché questo potrebbe causare infezioni. Valutazione del pz: è prioritario controllare le funzioni vitali, verifica della pervietà (accessibile) delle vie aeree (inalazione), presenza di emorragie, ipovolemia e traumi associati, accurata anamnesi ed esame obiettivo. Ispezione della cute: spogliare completamente il paziente, se trauma tagliare i vestiti, se gli abiti non si distaccano lasciarli in sede, se ustione da caustici utilizzare occhiale protettivi (ovviamente guanti), se ustione elettrica ispezionare le estremità dei 4 arti, evitare l’ipotermia e controllare il cuoio capelluto. Trattamento e medicazione: per le ustioni minori, raffreddare la ferita con acqua a temperatura ambiente per diversi minuti, quindi trattarla e medicarla con medicazioni che proteggano la cute lesa e promuovano la guarigione; in caso di ustioni gravi, ricovero ospedaliero e trattamento delle complicanze, oltre che delle ustioni. Prima di trattare le ustioni, è necessario evitare che l’agente ustionante continui a provocare danni. Devono, ad es., essere spente le fiamme. Gli indumenti, specialmente quelli che stanno bruciando senza fiamma (come le camicie sintetiche liquefatte), ricoperti di sostanze calde (come catrame) o intrisi di agenti chimici, devono essere immediatamente rimossi. Per ridurre al minimo la contaminazione batterica e favorire la guarigione occorre effettuare un’accurata detersione associata a debridement per rimuovere detriti e tessuti necrotici. La detersione può essere effettuata con soluzione salina, con soluzione di irrigazione per la pulizia e l’idratazione delle lesioni o con soluzioni contenente antisettici. CONCETTO DI STERILITA’: la sterilizzazione determina la distruzione (quasi) totale di qualsiasi forma microbica, cioè l’uccisione di tutti i microrganismi patogeni sia nella forma vegetativa che sotto forma di spore. Un materiale è considerato sterile se il livello di sicurezza di sterilità (SAL) è inferiore a 10-6; ovvero quando la probabilità di trovarvi un microrganismo è inferiore ad uno su un milione. Come agisce: i vari processi distruggono i microrganismi provocando l'alterazione letale di alcune loro componenti essenziali; in particolare la sterilizzazione determina la denaturazione delle proteine e degli acidi nucleici e la degradazione di componenti della membrana e parete cellulare. Quando è necessario sterilizzare: bisogna sterilizzare ogni oggetto che deve entrare in contatto con la cute o le mucose del paziente; ogni presidio che deve essere introdotto nell'organismo; ogni presidio da introdurre in cavità, sia sterili che non sterili, dell'organismo. Questo vale sia per attività chirurgiche che diagnostiche e terapeutiche. È da tenere presente che l'uso di materiali sanitari non opportunamente sterilizzati, e quindi contaminati, può causare infezioni secondo tre diverse modalità e cioè: 1.Trasmissione di un microrganismo patogeno da un paziente ad un altro; 2.Trasmissione dello stesso microrganismo patogeno da un operatore sanitario ad un paziente; 3.Trasmissione dell'infezione da un paziente ad una persona dello staff assistenziale. PREPARARE E MANTENERE UN CAMPO STERILE: un campo sterile è un’area libera da microrganismi, e l’infermiere prepara un campo sterile usando il telo interno di un involucro sterile. Quando il campo è preparato, possono essere posti gli strumenti e le soluzioni sterili su di esso. Per mantenere un campo sterile, è possibile avvolgere gli strumenti necessari in diversi tipi di materiali. Gli articoli preparati commercialmente, sono incartati in plastica, carta o vetro. Generalmente, i liquidi sterili preparati commercialmente per uso interno ed esterno sono forniti in contenitori di plastica o vetro. Una volta che il contenitore è stato aperto, non si può avere la certezza che questo resti sterile, e pertanto non può essere riutilizzato. Gli oggetti sterili perdono la sterilità se entrano in contatto con oggetti non sterili, se la sterilità di un oggetto è dubbia, è da considerare non sterile. La cute non è sterile e non può essere sterilizzata, quindi utilizzare guanti e pinze sterili per maneggiare materiale sterile. Prima di effettuare procedure antisettiche, lavare le mani per ridurre il numero di microrganismi. L’attenzione e la coscienza sono requisiti essenziali nel mantenere la sterilità. Gli oggetti sterili che sono fuori dalla vista o sotto il livello della vite sono considerati non sterili. I bordi di un campo sterile sono considerati non sterili: circa 2,5 cm di ogni bordo di un campo sterile è considerato non sterile, dato che essi sono in contatto con superfici non sterili. Quindi tutti i materiali sterili che toccano il bordo di un campo sterile devono essere considerati non sterili. Quando un oggetto perde la sterilità non cambia aspetto, di conseguenza chiunque si accorga della perdita di un oggetto deve sostituirlo a farne rapporto. Non bisogna mai preparare un campo sterile troppo tempo prima dell’inizio della procedura. BILANCIO IDRICO: Nel corpo umano di un adulto, l’acqua rappresenta il 65/70 % del suo peso corporeo, in esso sono disciolti sali minerali, zuccheri e altre sostanze nutritive. L’acqua presente nell’organismo si divide in intracellulare (70%) ed extracellulare (30%) a sua volta ripartita nello spazio tissutale (24%) e spazio vascolare (6%). L’equilibrio idroelettrolitico viene compromesso quando le perdite superano le assunzioni di liquidi (disidratazione) oppure viceversa (iperidratazione). L’eliminazione avviene per via renale (urine), cutanea (sudorazione) e in modeste proporzioni attraverso il tratto gastrointestinale (feci). Gli elettroliti sono dei composti che si scindono nell’ acqua in particelle o ioni, dotati di carica elettrica, che può essere negativa (anioni) o positiva(cationi). Sono cationi: il sodio (na +), potassio (k +), calcio (ca++) e magnesio (mg++). Sono anioni: cloro (cl-), bicarbonato (hco3-), fosfati (hpo4-). Alterazioni idroelettriche: - ipopotassiemia (ipokaliemia) - < 4meq/l aritmie – depressione; - iperpotassiemia (iperkaliemia) - > 5.5 meq/l alterazioni del ritmo cardiaco – insufficienza delle ghiandole surrenali; - iponatriemia (sodio) - 145 meq/l stato di agitazione; - ipocalcemia 8 mg/100ml convulsioni – alterazioni della coagulazione; - ipercalcemia11 mg/100ml inappetenza – nausea – insufficienza renale; PRELIEVO VENOSO: Il prelievo venoso viene utilizzato per gli esami di routine che valutano i parametri ematici del paziente evidenziando il suo stato di salute generale. La buona riuscita di un prelievo ematico non dipende soltanto dalla competenza dell’operatore, ma anche dal luogo, dai dispositivi utilizzati, dall’anatomia del paziente e dalla sua emotività. Le provette devono essere etichettate prima del prelievo e devono indicare parametri come area diagnostica, tipo di provetta, volume del campione. Prima di eseguire il prelievo, l’operatore dovrebbe sempre accertarsi delle condizioni fisiche del paziente. Altro obiettivo del prelevatore è di ridurre l‘ansia del paziente in quanto, l’ansia, è uno dei fattori che influiscono sulla vasocostrizione. Inoltre, prima dell’esecuzione del prelievo, è buona norma che l’operatore si lavi le mani prima di indossare i guanti. Vene da preferire: vene centrali dell’avambraccio cubitale e cefalica, basifica; le vene del polso e della mano sono da utilizzare solo qualora i precedenti siti non siano accessibili, mentre l’ultima possibilità la possiamo trovare nelle vene del dorso dei piedi. Localizzazione vene: far inclinare il braccio del paziente verso il basso e fargli chiudere e aprire il pungo (senza pompare) per poi scaldare la zona dove si sceglie di effettuare il prelievo con un panno caldo. L’utilizzo del laccio emostatico (circa 10 cm sopra il sito prescelto) rappresenta una prassi consolidata per identificare il sito più idoneo. Materiale: aghi per sistema vacutainer monouso, sistema di supporto monouso (camicie, holder, adattatori luer), provette sottovuoto (vacuum), disinfettante, cotone, laccio emostatico e cerotti, contenitore per pungenti e i DPI. Per vene di piccolo calibro o per un prelievo difficoltoso è consigliato usare o il batterfly o gli aghi a farfalla. L’insieme di ago, sistema di supporto e provette è definito sistema vacutainer Tecnica di prelievo: far distendere verso il basso il braccio del paziente, far liberare il braccio da costrizioni dovute a capi di vestiario, effettuare la puntura con l’ago a angolo di 10-20° rispetto alla pelle ed in linea con la vena scelta, inserire l’ago di soli 10-15 mm per non penetrare posteriormente la vena, usare la mano libera per inserire la provetta sottovuoto nella camicia, mantenere una delicata pressione sul fondo della provetta per mantenerla in sede della camicia, inserire le provette nel giusto ordine, rilasciare il laccio dopo che l’ultima provetta si è riempita, posizionare un batuffolo di ovatta sulla sede della puntura prima di estrarre l’ago dalla vena. L’inserimento delle provette avviene secondo un ordine, ovvero: emocromo, coagulazione, siero (elettroliti = potassio), tutto il resto. Una volta fatto il prelievo, la miscelazione delle provette deve avvenire per inversione, almeno 4 volte e non agitandole energicamente per fa sì che non si formi della schiuma. Utilizzo siringa: viene utilizzato solo in caso di urgenza, per vene poco accessibili o quando la vena reperita può collassare se sottoposta alla pressione negativa del sistema; in questo caso non si devono superare i 20 mL di volume di sangue estratto. Il prelievo ematico, per quanto banale, è pur sempre una tecnica invasiva e quindi l’operatore deve monitorare l’evoluzione dello stato del paziente in quanto possono essere verificabili delle complicazioni come nausea, vomito o convulsioni. EMOCOLTURA: consiste nel prelievo di un campione di sangue tramite venipuntura, il quale verrà seminato su appositi terreni di coltura allo scopo di valutare la presenza di batteri o miceti nel torrente circolatorio, identificare gli agenti eziologici responsabili dell’infezione in corso e determinare la loro sensibilità agli antibiotici. Materiale: set di 2 flaconi con terreno di coltura per batteri aerobi e batteri anaerobi, sistema Vacutainer con ago a farfalla o siringa da 10 ml, prolunga e adattatore luer, dpi (guanti monouso, mascherina, occhiali protettivi o schermo facciale), garze sterili, antisettico, contenitore per taglienti, etichette con i dati del paziente, contenitore per taglienti, cerotti, laccio emostatico. Procedura: selezionare la vena e procedere come per un classico prelievo di sangue venoso con sistema autoaspirante, facendo particolare attenzione a: tenere i flaconi in posizione verticale per evitare reflusso del brodo di coltura e per controllare l’effettivo livello di sangue prelevato, riempire prima il flacone per aerobi poi quello per anaerobi, prelevare non meno di 5 ml di sangue per flacone (preferibilmente da 5 a 10 ml, 10 ml negli adulti, e 2-5ml nei bambini). In linea generale si eseguono 2-3 emocolture, ovvero 4-6 flaconi, a distanza di 5-10 minuti. Il prelievo può essere fatto da catetere venoso centrale solo in caso in cui si sospetti l’infezione del catetere stesso; in tal caso si procede contemporaneamente al prelievo da CVC e uno da vena periferica; mentre il prelievo da catetere venoso periferico può essere effettuato solo in cui, lo stesso catetere, è stato posizionato di proposito, per la difficoltà di trovare un accesso venoso. ECG: L'elettrocardiogramma è un esame diagnostico, che prevede l'utilizzo di uno strumento capace di registrare e riportare graficamente il ritmo e l'attività elettrica del cuore. Lo strumento per l'elettrocardiogramma è l'elettrocardiografo. L’ECG standard si ottiene applicando 6 elettrodi precordiali sul torace e 4 periferici sugli arti. Il tracciato elettrocardiografico di una persona sana presta delle onde che formano il CICLO CARDIACO, che dura 0,08 secondi e sono: -Onda P (onda iniziale): rappresenta la contrazione degli atri del cuore; dura in media 0,08 secondi; -Intervallo PR: esprime il tempo che impiega l'onda di depolarizzazione nel propagarsi dal nodo seno atriale lungo parte del sistema di conduzione elettrica del cuore, presente sul miocardio (nello specifico, nodo atrioventricolare e fascio di His); -Complesso QRS: rappresenta la contrazione dei ventricoli e, in genere, dura 0,12 secondi, quindi copre circa 3 quadratini; -Onda T (onda finale): esprime il rilassamento dei ventricoli. I 6 elettrodi precordiali vengono applicati sul torace in questo ordine: -V1 nel 4° spazio intercostale parasternale di dx; -V2 nel 4°spazio intercostale parasternale di sx; -V4 nel 5° spazio intercostale nell’emiclaveare di sx; -V3 nello spazio fra V2 e V4 (spazio intercostale); -V5 nel 5° spazio intercostale nell’ascellare anteriore di sx; -V6 nel 5° spazio intercostale nell’ascellare media di sx. Mentre i 4 elettrodi periferici vengono applicati sugli arti seguendo l’ordine: giallo arto superiore sx; rosso arto superiore dx; nero arto inferiore dx; verde arto inferiore sx. PREPARARE ED ASSISTERE IL PAZIENTE NELLA FASE PERIOPERATORIA: l'assistenza Infermieristica Perioperatoria è il termine che si utilizza per descrivere le responsabilità infermieristiche associate alle fasi preoperatoria, intra-operatoria, del recupero dopo l'anestesia e post- operatoria. In ogni fase le responsabilità infermieristiche hanno per oggetto specifici problemi di salute reali o potenziali. -Fase preoperatoria: si tratta dell’anamnesi infermieristica e dell'accertamento fisico. In questa fase, si incentrano nello stato attuale del Pz e sulle possibili complicanze. L'accertamento ha come oggetto specifico la valutazione di certi fattori: Comprensione degli eventi da parte del Pz; Alterazioni; Condizioni acute o croniche; Precedenti esperienze chirurgiche; Stato nutrizionale; Stato idroelettrolitico; Rischio infettivo; Stato emotivo. -Fase intra-operatoria: sicurezza ambientale, controllo dell’asepsi, monitoraggio pv, trasferimento in UTI post-chirurgica -Fase di recupero post-anestesia: monitoraggio (cardiaco, circolatorio, renale, neurologico e respiratorio) -Fase post-operatoria: monitoraggio pv, equilibrio fisiologico (nutrizione, liquidi, eliminazione), cicatrizzazione della ferita e dimissione. TRICOTOMIA: è una procedura appartenente alla preparazione preoperatoria che consiste nella rimozione di peli/capelli presenti nella zona cutanea sottoposta a intervento chirurgico. SCOPO: riduzione flora batterica, accessibilità alle zone di intervento, miglior adesione delle medicazioni. Riduzione flora batterica, è una procedura fondamentale nel controllo delle infezioni del sito chirurgico (ISC) in quanto i peli possono costituire un veicolo per la diffusione dei microrganismi; accessibilità alle zone di intervento e una conseguente miglior adesione delle medicazioni. La tricotomia si esegue in prossimità dell’intervento (max 2 h prima dell'intervento) e solo se strettamente necessaria. STRUMENTI: Rasoio monouso (ottimo strumento ma causa di microlesioni cutanee in cui colonizzano microrganismi patogeni), rasoio elettrico (riduce il rischio di lesioni cutanee ma può non consentire un’adeguata rasatura della zona) e creme depilatorie (riducono il rischio di lesioni cutanee, ma possono provocare allergie) MATERIALE OCCORRENTE: DPI, rasoio monouso, forbici (se necessarie), schiuma depilatoria oppure sapone liquido, garze monouso, traversa monouso, soluzione antisettica. PROCEDURA: identificare pz, garantire la privacy e spiegare procedura, lavare le mani e indossare guanti, far assumere al pz una posizione comoda e scoprire l’area interessata, posizionare una traversa monouso sotto la zona da rasare, inumidire e insaponare/applicare la schiuma nell’area da radere. Procedere alla rasatura (nel senso di crescita del pelo) mantenendo il rasoio nella mano dominante. Con la mano non dominante invece tendere la cute facilitando così l’operazione di rasatura. Se i peli sono molto lunghi prima di inumidirli, tagliare con le forbici. Risciacquare la zona accuratamente e detergere con soluzione antisettica, smaltire il materiale e ricoprire il pz. Eliminare i guanti, lavare le mani e registrare la procedura nella cartella infermieristica. POSIZIONARE, GESTIRE E RIMUOVERE IL SONDINO NASOGASTRICO (SNG): Quando ci si appresta a inserire un sondino naso gastrico, una delle prime valutazioni è la scelta del tipo di sondino. La selezione deve avvenire in base allo scopo della procedura, al tempo di permanenza del presidio e ad alcune caratteristiche del soggetto quali: il quadro clinico, l’anatomia delle vie aeree e digestive e il grado di motilità gastrica e intestinale. Se il sondino naso gastrico viene utilizzato per la nutrizione enterale, sono indicate sonde in silicone o poliuretano, con un diametro non superiore ai 12 French. Sonde di diametro maggiore (French 14) e/o in PVC sono invece utilizzate per scopi decompressivi. I sondini in silicone e in poliuretano sono morbidi e flessibili, hanno un’elevata biocompatibilità e possono rimanere in situ sino a 30 giorni. Quelli in PVC sono più rigidi, meno confortevoli e causano più frequentemente lesioni da decubito sulla mucosa delle prime vie aeree e dell’esofago. La loro permanenza non deve superare le 24 h poiché rilasciano sostanze dannose all’organismo. Materiale: arcella, guanti monouso, traversa monouso, sondino, garze e cerotto di fissaggio. Tecnica di inserimento e sistemi di fissaggio del SNG: eseguire l'igiene delle mani e indossare i DPI, identificare il pz, mette il pz in posizione semi-Fowler, misurare il SNG dalla narice fino alla punta del lobo dell'orecchio (circa 10cm) e dal lobo dell'orecchio al processo xifoideo (25 cm circa); iniziare ad inserire il sondino con il paziente con la testa in alto, far avanzare il sondino mentre il paziente abbassa il mento verso il torace e deglutisce dei piccoli sorsi d'acqua, dividere in due la parte finale in una striscia di 10 cm di cerotto, applicare il cerotto al naso del paziente e avvolgere le parti divise del cerotto sul sondino, collegare infine il sondino al sistema di aspirazione, si passa poi allo smaltimento corretto dei rifiuti, si rimuovono i DPI indossati precedentemente e si esegue di nuovo l'igiene delle mani. Tecnica di rimozione del SNG: mettere un asciugamano o un telo monouso sul torace del paziente, lavare il sondino naso gastrico con 10 ml di soluzione fisiologica, piegare il sondino su sé stesso, misurare il drenaggio nasogastrico nel dispositivo di raccolta, togliere i DPI usati in precedenza ed eseguire il lavaggio delle mani. Gestione del Sondino Naso Gastrico (SNG): viene utilizzato in caso in cui bisogna somministrare nutrizione enterale in pazienti che non sono in grado di deglutire (es. disfagia, sedazione profonda), svuotare lo stomaco da contenuti pericolosi (lavanda gastrica). Si consiglia un posizionamento che va tra le 6-10 settimane al massimo, dopodiché va valutato il posizionamento di una PEG. La scelta dell’accesso per la nutrizione enterale (NE) deve essere fatta considerando la situazione anatomica dello stomaco, le capacità di svuotamento gastrico. Sonda di Levin: sonda naso-gastrica-duodenale, realizzata in poliuretano, lattice o PVC. Il calibro è misurato in French; viene utilizzata per scopi nutrizionali e deve avere un calibro compreso tra 6 e 12 French. Sonda di Salem: è un SNG a doppio lume, lungo al massimo 120 cm e ha un diametro tra 14 e 18 French; è indicato per la decompressione gastrica. RIMUOVERE UN FECALOMA: Con “fecaloma” si indica un ammasso di feci disidratate e dure che si può formare nell’intestino crasso (generalmente a livello del colon discendente, sigma o retto) o all’interno di un diverticolo per diverse cause, andando a determinare, nei casi più gravi, un blocco del transito intestinale. La formazione di un fecaloma è il segnale di un problema intestinale molto serio che se non viene risolto può portare anche a un intervento chirurgico. Spesso nelle fasi iniziali è chiamato anche "tappo di feci". Le cause principali possono essere di tre tipi: problemi di abitudini alimentari, problemi organici e malattie. Le cattive abitudini alimentari, come bere poco, alimentazione povera di fibre e vita sedentaria possono portare alla stipsi, dopo è sufficiente tardare qualche giorno che le feci diventano dure ed è difficile evacuare, con il passare dei giorni il fecaloma aumenta di dimensione. L'intestino è un organo con un'innervazione autonoma, i problemi che portano a un intestino pigro o a una riduzione della motilità, spesso dovuta all'età, possono favorire la stipsi e la formazione di fecalomi. Le malattie o le condizioni patologiche che possono portare alle condizioni favorenti la formazione di fecalomi sono molte, sicuramente la febbre che aumenta la disidratazione, l'allettamento che favorisce la stasi e tutte quelle malattie che portano all'incapacità di un ponzamento efficace. Il fecaloma si comporta come una massa che ostruisce l'intestino, può portare a dolori addominali, distensione, gonfiore addominale e a volte provoca fuoriuscita di muco che viene scambiata per diarrea che invece è una pseudodiarrea. La pseudodiarrea o diarrea paradossa è un'emissione di muco frequente dovuta all'irritazione del colon che produce muco per espellere il fecaloma, il paziente che si trova ancora in una fase asintomatica per i dolori addominali, è propenso a chiedere farmaci per bloccare la diarrea e il risultato è l'aumento del fecaloma che può raggiungere dimensioni notevoli. La rimozione del fecaloma avviene in progressione, prima si usano lassativi, poi clisteri e poi la rimozione manuale. La sequenza è necessaria per attuare prima la procedura meno invasiva ed essere rispettosi della persona. La rimozione è effettuata in ambiente ospedaliero quando sono presenti altre patologie quindi il paziente è in condizione di fragilità o c'è la possibilità di un aggravamento. La presenza di un fecaloma può essere rilevata dalla clinica, sulla base della visita medica oppure da un'ecografia o da una TAC, ma se gli esami rilevano una massa alta che è rimasta tale malgrado i lassativi e i clisteri, all'esplorazione il dito si trova in un'ampolla vuota piena di aria o liquido prodotto dal colon per reazione alla massa fecale. In questo caso l'addome potrebbe diventare teso e gonfio con una caratteristica tensione superficiale fino ad arrivare alla situazione di addome sub acuto che precede l'intervento chirurgico. I farmaci possono dare un beneficio sui dolori addominali come anche il lasciare in sede una sonda rettale per rimuovere il liquido e l'aria che si formano. Procedura di rimozione: facciamo posizionare il paziente sul letto sul fianco sinistro e la parte perianale esposta. L’operatore indossa i DPI e iniziamo con il gel lubrificante messo sul dito esploratore, poi la superficie del polpastrello entra scivolando sulla superficie interna e si verifica l'assenza di masse che possono essere emorroidi o tumori o lacerazioni della superficie che possono essere ragadi, molto dolorose. La valutazione con il dito esploratore in realtà è semplicissima perché la superficie deve essere morbida e continua, se ci sono dei problemi chiedere il supporto del medico, perché una ragade è dolorosa e serve un antidolorifico oppure se c'è un'emorroide valutare se il paziente fa terapia anticoagulante. Il paziente è sul fianco sinistro, l'ampolla rettale non presenta problemi e risulta piena da una massa u

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