Dispensa di Microbiologia Medica 2020-2021 PDF
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2021
Gianluca Rescigno
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This document is a study guide for a medical microbiology course, covering general and specialized bacteriology, virology, mycology, and parasitology. The study guide is based on textbook chapters, scientific articles, and course materials. It includes detailed information on bacterial cells, metabolism, reproduction, genetics, and more. The document is intended to help students prepare for an upcoming microbiology exam.
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DISPENSA DI MICROBIOLOGIA MEDICA 2020/2021 1 PREFAZIONE Questa dispensa è stata fatta alla luce delle difficoltà che contraddistinguono questo esame, per cercare di raccogliere tutto il materiale di studio in un unico file scritto in un italia...
DISPENSA DI MICROBIOLOGIA MEDICA 2020/2021 1 PREFAZIONE Questa dispensa è stata fatta alla luce delle difficoltà che contraddistinguono questo esame, per cercare di raccogliere tutto il materiale di studio in un unico file scritto in un italiano corretto (si spera) e leggibile. Le fonti su cui si basa questa dispensa sono: - Michele La Placa, Principi di Microbiologia Medica - Articoli scientifici raccolti sul sito https://www.microbiologiaitalia.it/ - Sbobine e slides del corso Gli argomenti trattati dalla dispensa sono gli stessi che costituiscono il programma d’esame: Batteriologia generale e speciale, Virologia generale e speciale, Micologia e Parassitologia (protozoi e metazoi). La dispensa è a parer mio completa, seppur si consiglia di integrare farmaci antivirali e nozioni generali su micologia e parassitologia che per questioni di tempo non sono stati inseriti. Spero vivamente che questa dispensa possa tornarvi utile, o perlomeno possa aiutarvi a mettere in ordine i vari capitoli del libro con le slides e le sbobine del corso. Buono studio :3 Gianluca Rescigno INDICE - La cellula batterica, pag. 3-9 - Il metabolismo batterico, pag. 10-11 - La riproduzione batterica e la produzione di spore, pag. 12-14 - Secrezione nei procarioti, pag. 15-16 - Genetica batterica, pag. 17-20 - Farmaci antimicrobici, pag. 21-27 - La coltivazione dei batteri, pag. 28-31 - Disinfezione e sterilizzazione, pag. 32 - Blocco di batteriologia speciale, pag. 33-98 - Composizione chimica e struttura del virus, pag. 99-101 - Classificazione del virus, pag. 102 - La moltiplicazione dei virus, pag. 103-106 - Blocco di virologia speciale, pag. 107-157 - Miceti, pag. 159-161 - Protozoi, pag. 162-165 - Metazoi, pag. 166-167 Disclaimer: nella parte relativa a virologia speciale sono stati inseriti tutti i virus non presenti sul libro ma richiesti dal professore durante l’esame (virus Zika, virus West-Nile, virus Chikungunya, virus della Febbre emorragica del Congo e della Crimea…). 2 BATTERIOLOGIA GENERALE LA CELLULA BATTERICA DIMENSIONI, FORMA E AGGRUPPAMENTO La cellula batterica è una cellula procariotica di piccole dimensioni, la cui forma può essere ricondotta a seconda dei casi a una sfera o a un cilindro. Il diametro di una cellula batterica può oscillare da frazioni di micrometro a pochi micrometri. I batteri di forma sferica prendono il nome di cocchi, i batteri di forma cilindrica prendono il nome di bacilli. I batteri di forma cilindrica, se particolarmente corti, vengono chiamati cocco- bacilli, se invece presentano le estremità assottigliate, vengono detti bacilli fusiformi, quando presentano una o più curvatore lungo l’asse maggiore vengono definiti vibrioni o spirilli. Le cellule batteriche possono dar luogo a caratteristici aggruppamenti le cui forme dipendono dal modo in cui si susseguono nello spazio i diversi piani di divisione cellulare nelle varie generazioni. Tra i cocchi, gli aggruppamenti più frequenti sono quelli a diplococco (quando sono riuniti a due a due), a stafilococco (quando assumono una forma a grappolo) e a streptococco (quando si dispongono in catenelle più o meno lunghe). Tra i bacilli, gli aggruppamenti principali sono quelli a diplobacillo e a streptobacillo. COMPOSIZIONE CHIMICA Il più abbondante dei componenti chimici di una cellula batterica è l’acqua che, da sola, può rappresentare l’80% del peso totale della cellula. L’acqua è il solvente in cui sono disciolti i vari componenti organici e inorganici della cellula e fornisce loro il mezzo in cui muoversi e interagire. I componenti inorganici più importanti sono potassio, sodio, magnesio, calcio, ferro, zinco, fosforo e zolfo. Sono inoltre presenti varie sostanze organiche a basso peso molecolare. I componenti più complessi di una cellula batterica dal punto di vista chimico sono rappresentati dalle macromolecole o polimeri, ognuno dei quali è costituito da un certo numero di composti organici a basso peso molecolare (monomeri), che si assemblano l’uno con l’altro formando sequenze specifiche. La fisionomia strutturale e funzionale di una cellula batterica dipende dalle specifiche strutture dei polimeri che la caratterizzano. COLORAZIONE DI GRAM Le colorazioni usate in batteriologia si distinguono in: - Colorazioni semplici -> sono quelle che si eseguono mettendo a contatto, in un solo tempo, un unico colorante con il preparato contenente i batteri da colorare. Hanno lo scopo di rendere più facilmente evidenziabile la morfologia della cellula batterica. I coloranti più usati nelle colorazioni semplici sono il cristalvioletto, la fucsina basica ed il blu di metilene. - Colorazioni differenziali -> presuppongono l’utilizzo di più coloranti usati in tempi successivi e consentono di evidenziare differenze di colorazione tra specie batteriche diverse. Il più importante metodo di colorazione differenziale è la colorazione di Gram, che consta di quattro passaggi differenti: - 1) il preparato contenente i batteri viene trattato con una soluzione di cristalvioletto per 2-3 minuti; 3 - 2) il colorante viene allontanato e si mordenza la colorazione mediante un trattamento di 1 minuto con una soluzione di iodio e di ioduro di potassio in acqua, detta liquido di Lugol. I mordenti sono tutte quelle sostanze che formano dei composti insolubili con un colorante, rendendo più stabile la sua adesione al substrato; - 3) il preparato viene trattato per 1-2 minuti con un decolorante (alcol etilico o acetone); - 4) il preparato viene trattato per 1-2 minuti con un secondo colorante (fucsina o safranina). Il secondo colorante è di colore rosso, facilmente differenziabile dal violetto del primo colorante. Al termine della colorazione Gram, alcuni batteri appaiono colorati in violetto e sono detti Gram-positivi, altri batteri appaiono colorati in rosso e sono detti Gram-negativi. Il diverso comportamento dei batteri nella colorazione di Gram è dovuto a una diversa permeabilità degli involucri cellulari, che è maggior nei Gram- negativi che nei Gram-positivi. Nei batteri Gram-positivi, il complesso cristalvioletto-iodio che si forma all’interno della cellula dopo il trattamento con il liquido di Lugol non riesce a riattraversare la parete cellulare anche in presenza di idonei solventi (come l’alcol etilico e l’acetone), invece, nei batteri Gram-negativi, si verifica l’asportazione del complesso cristalvioletto-iodio da parte dei decoloranti. La minor permeabilità degli involucri cellulari dei batteri Gram-positivi è riconducibile a un maggior spessore della parete cellulare rispetto ai batteri Gram-negativi. L’ARCHITETTURA DELLA CELLULA PROCARIOTICA La cellula batterica presenta un’architettura estremamente essenziale, caratterizzata da dimensioni ridotte e dall’assenza di compartimenti intracellulari separati da membrane. La cellula batterica presenta una struttura cromosomica estremamente semplice, immersa direttamente nel citoplasma, senza l’interposizione di una membrana nucleare. Il citoplasma è delimitato esternamente da una membrana citoplasmatica, dalla quale si diramano verso l’interno una serie di invaginazioni citoplasmatiche che formano il sistema dei mesosomi. Tutta la struttura cellulare è racchiusa da un contenitore rigido, detto sacculo o parete cellulare, alla cui superficie si può trovare uno strato di materiale di natura polisaccaridica che prende il nome di capsula. In alcune specie batteriche la cellula è provvista di sottili appendici libere, 4 dette flagelli, che rappresentano lo strumento della locomozione batterica, e di pili, di cui alcuni tipi sono coinvolti nei processi di coniugazione. IL CROMOSOMA BATTERICO (NUCLEOIDE) All’interno di una cellula batterica è possibile identificare del materiale filamentoso immerso direttamente nel citoplasma, dal quale non è separato da alcuna membrana. Tale materiale filamentoso è costituito da DNA e prende il nome di nucleoide. Questa struttura può essere considerata, sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista funzionale, l’equivalente di un cromosoma (cromosoma batterico o cromonema). Il DNA di una cellula batterica appare come un unico e lungo filamento senza estremi liberi, ovvero come una struttura circolare (ad eccezione di alcune Spirochete che presentano un genoma lineare). Il DNA dei batteri, a differenza del DNA eucariotico, non è legato ad istoni, ma è complessato lassamente ad alcune proteine acidiche da cui è facilmente dissociabile. Spesso una cellula batterica può contenere più di un cromosoma; ciò è dovuto alla mancanza di simultaneità tra la replicazione del materiale cromosomico e la cellula batterica. Una caratteristica peculiare del cromosoma batterico è rappresentata dal fatto che esso è collegato alla membrana batterica in corrispondenza di zone caratteristiche. Oltre al cromosoma, la maggior parte dei batteri possiede un certo numero di molecole di DNA, sempre a struttura circolare e di dimensioni minori rispetto al cromosoma, denominate plasmidi, dotate di autonomia replicativa e in grado di condizionare diversi caratteri fenotipici del batterio. INCLUSIONI CITOPLASMATICHE E RIBOSOMI BATTERICI Occasionalmente, nel citoplasma di una cellula batterica possono essere riscontrati degli accumuli di specifiche sostanze che hanno perlopiù il significato di materiale nutritivo di riserva. Più frequentemente si tratta di accumuli di glicogeno, di un polimero dell’acido beta-idrossibutirrico, di polisaccaridi o di polifosfati. Gli accumuli di polifosfati presentano il fenomeno della metacromasia (si colorano in rosso con il blu di toluidina) e sono indicati anche come granuli metacromatici. Nel citoplasma di una cellula batterica sono presenti i ribosomi, mezzi essenziali per la sintesi proteica sia nei procarioti che negli eucarioti. I ribosomi procariotici presentano alcune differenze con quelli eucariotici e tali differenze sono alla base dell’azione selettiva di alcuni farmaci antibatterici che hanno come bersaglio proprio i ribosomi. I ribosomi batterici sono formati da RNA (60%) e proteine (40%) e constano di due subunità asimmetriche, una minore e una maggiore. La subunità minore è formata da 21 proteine e da una molecola di RNA 16S; la subunità maggiore è formata da 34 proteine e da due specie diverse di RNA: RNA 5S e RNA 23S. Nelle cellule eucariotiche i ribosomi sono spesso associati alle membrane del RE, nelle cellule procariotiche ciò non è possibile per l’assenza del reticolo. LA MEMBRANA CITOPLASMATICA La membrana citoplasmatica della cellula batterica presenta un’organizzazione strutturale molto simile a quella della cellula eucariotica e, come questa, è formata da lipidi (compreso il tipico doppio strato fosfolipidico), proteine e piccole quantità di carboidrati. Tuttavia, la membrana citoplasmatica della cellula batterica si differenzia da quella della cellula eucariotica per una composizione lipidica relativamente semplice, in cui gli acidi grassi polinsaturi sono rari mentre sono più frequenti gli acidi grassi ramificati e gli acidi grassi derivati dal ciclo-propano. Inoltre, nella membrana della cellula batterica gli steroli sono completamente assenti (ad eccezione dei Micoplasmi, sprovvisti di parete cellulare). Un’altra differenza riguarda le proteine di membrana, che nella cellula eucariotica sono per la maggior parte glicosilate, mentre nella cellula batterica sono non glicosilate (ad eccezione di alcune Spirochete). La quota di carboidrati presente nella membrana di una cellula batterica è rappresentata esclusivamente dai carboidrati legati alla componente lipidica, che insieme formano una certa quantità di glicolipidi e di glicosfingolipidi. Le principali funzioni della membrana citoplasmatica di una cellula batterica sono: 5 - controllare gli scambi metabolici tra il citoplasma e l’ambiente esterno (mediante diffusione passiva e trasporto attivo); - essere sede di importanti processi biosintetici come la sintesi del peptidoglicano; inoltre, nei batteri in grado di produrre ATP attraverso un processo di respirazione, la membrana citoplasmatica rappresenta la sede degli enzimi e dei vettori della catena respiratoria, e dunque del processo di fosforilazione ossidativa, che negli eucarioti si verifica nei mitocondri. Mesosomi -> La membrana citoplasmatica di alcuni batteri presenta in corrispondenza di alcune zone delle invaginazioni che si approfondano nel citoplasma, probabilmente implicate nei processi di divisione cellulare, nella secrezione di esoenzimi e nei processi di fosforilazione ossidativa. Tali invaginazioni sono dette mesosomi e sono più frequenti nei batteri Gram-positivi. IL SACCULO O PARETE CELLULARE La cellula batterica è racchiusa da una struttura rigida che prende il nome di sacculo o parete cellulare. Nei batteri Gram-positivi la superficie è formata dalla membrana citoplasmatica e da un grosso strato di peptidoglicano (200-800 angstrom di spessore); nei batteri Gram-negativi la superficie esterna è formata dalla membrana citoplasmatica, da uno strato di peptidoglicano meno spesso rispetto a quello dei Gram- positivi (appena 20-30 angstrom di spessore) e da una membrana esterna che si trova superficialmente allo strato di peptidoglicano. Il peptidoglicano rappresenta il componente principale della parete cellulare ed è un enorme polimero formato dalla ripetizione di un’unità strutturale formata da due carboidrati azotati, ovvero la N-acetilglucosamina e l’acido muramico, legati tra loro mediante legami beta-1,4. I diversi polimeri lineari di peptidoglicano sono collegati trasversalmente per via di un tetrapeptide (costituito da L-alanina, acido D-glutammico, L-lisina - o alternativamente acido mesodiaminopimelico - e D-alanina) o mediante un ponte pentaglicinico (= cinque molecole di glicina, come nel caso degli Stafilococchi). L’INVOLUCRO ESTERNO DEI BATTERI GRAM-POSITIVI L’involucro esterno dei batteri Gram-positivi è rappresentato dalla membrana citoplasmatica e dalla parete cellulare sovrastante, formata da numerosi strati di peptidoglicano e da altri polimeri, rappresentati essenzialmente dagli acidi teicoici. Gli acidi teicoici sono polimeri di alcoli polivalenti (in genere glicerolo o ribitolo) esterificati con acido fosforico; sono altamente antigenici e presentano una notevole diversità di composizione nelle diverse specie di batteri Gram-positivi, contribuendo in modo notevole alla specificità antigenica dei singoli batteri. Alcuni acidi teicoici sono legati ad una porzione lipidica (acidi lipoteicoici) e sembrano servire ad ancorare la parete cellulare alla membrana citoplasmatica sottostante. La parete cellulare dei batteri Gram-positivi è una struttura altamente polare, che si oppone al passaggio delle molecole idrofobiche e che risulta permeabile alle molecole idrofile. Inoltre, a causa della sua polarità, la parete cellulare è in grado di legare grandi quantità di cationi che hanno il compito di fornire un ambiente ionico adatto al funzionamento degli enzimi presenti nella membrana citoplasmatica, e, in particolare, agli enzimi preposti al processo di sintesi del peptidoglicano e al suo corretto inserimento nella parete cellulare, che per il loro funzionamento richiedono adeguate quantità di ioni magnesio. La proprietà della parete di 6 legare grandi quantità di cationi è associata alla capacità dei batteri Gram-positivi di tollerare concentrazioni saline molto più elevate di quelle tollerate dai Gram-negativi; questa caratteristica viene sfruttata per ottenere terreni di coltura selettivi (mediante l’aggiunta di sali biliari o di NaCl) che favoriscono la crescita dei batteri Gram-positivi rispetto a quella dei Gram-negativi. L’INVOLUCRO ESTERNO DEI BATTERI GRAM-NEGATIVI I batteri Gram-negativi possiedono una parete cellulare formata esclusivamente da peptidoglicano e notevolmente più sottile rispetto a quella presente nei batteri Gram-positivi. Nei batteri Gram-negativi la parete cellulare non è in grado di contrastare il transito di molecole idrofobiche, che possono potenzialmente danneggiare la struttura della membrana citoplasmatica. Per tale motivo, i batteri Gram-negativi presentano una seconda membrana cellulare (membrana esterna) collocata superficialmente allo strato di peptidoglicano. La membrana esterna ha una struttura bi-laminare come quella della membrana citoplasmatica, ma presenta un’organizzazione chiaramente asimmetrica: il foglietto interno è formato da fosfolipidi, mentre il foglietto esterno presenta il lipopolisaccaride batterico (LPS), quest’ultimo implicato nell’azione patogena dei batteri Gram-negativi. Il lipopolisaccaride consta di una porzione lipidica, denominata lipide A, che rappresenta l’endotossina vera e propria, a cui è ancorata una porzione polisaccaridica, a sua volta costituita da due parti: 1) una corta catena di zuccheri che corrisponde al core della molecola, strutturalmente costante in tutti i batteri Gram-negativi e caratterizzata dalla presenza di due zuccheri peculiari -> l’acido chetodeossioctonoico e un eptoso; 2) una lunga catena polisaccaridica con spiccate proprietà antigeniche, detta antigene O, caratterizzata dalla ripetizione di subunità tri-, tetra- o penta-saccaridiche, formate da zuccheri diversi a seconda della specie batterica. Le varie catene polisaccaridiche sono in grado di legare cationi bivalenti come il magnesio, che fungono da ponte fra le diverse catene, fornendo al rivestimento polisaccaridico del batterio una certa compattezza. La membrana esterna dei batteri Gram- negativi contrasta il transito di molecole idrofobiche ma, a causa della sua natura lipidica, evita il transito anche delle molecole idrofile. Per tale motivo, in corrispondenza della membrana esterna, sono presenti delle strutture proteiche dette porine, che consentono la diffusione passiva di numerose molecole idrofile (come zuccheri, aminoacidi e alcuni ioni minerali). Le porine sono formate da dimeri o trimeri che decorrono nello spessore della membrana esterna, caratterizzate da canali particolarmente ampi in grado di permettere la diffusione passiva di tutti i composti idrofili che presentano dimensioni inferiori ai 600-700 dalton. La membrana esterna non è una struttura a sé stante; essa è collegata alla parete cellulare sottostante mediante una serie di lipoproteine (1/3 delle quali stabilisce legami covalenti con lo strato di peptidoglicano) e attraverso le porine stesse (che stabiliscono legami non-covalenti con lo strato di peptidoglicano). 7 PERIPLASMA -> Per periplasma o spazio periplasmatico si intende lo spazio compreso tra la membrana esterna e la membrana citoplasmatica di un batterio Gram-negativo. Tale spazio contiene lo strato di peptidoglicano e una serie di proteine che svolgono diverse funzioni: proteine in grado legare molecole idrofile, enzimi con funzione di digestione (proteasi, nucleasi, fosfatasi etc.) e enzimi detossificanti in grado di inattivare alcuni farmaci antibatterici. CAPSULA Molti batteri, sia Gram-positivi che Gram-negativi, presentano un ulteriore involucro mucoso che prende il nome di capsula. La capsula è il risultato della secrezione di materiali particolarmente viscosi, costituiti sempre da polisaccaridi (ad eccezione di Bacillus anthracis il cui materiale capsulare è rappresentato da un peptide omopolimerico costituito da poli-D-glutammato), i quali restano adesi alla superficie della cellula. La capsula presenta tre funzioni in particolare: 1) conferisce al batterio proprietà di adesività nei confronti di superfici mucose o di superfici inerti (ad es. conferisce a Streptococcus mutans la capacità di aderire alla superficie dei denti); 2) presenta proprietà anti-fagocitaria (infatti molti batteri che devono attraversare il torrente ematico per raggiungere gli organi bersaglio, come i Meningococchi, sono dotati di uno spesso strato di materiale capsulare); 3) è il componente essenziale nella formazione di biofilm, strutture che favoriscono la persistenza del processo infettivo. I FLAGELLI E IL MOVIMENTO DELLA CELLULA BATTERICA Tutti i batteri osservati al microscopico in un liquido isotonico presentano un movimento oscillatorio che non ha alcuna relazione con la motilità attiva e la vitalità della cellula batterica; tale movimento è detto movimento browniano. Alcuni batteri, in particolare i batteri di forma cilindrica (bacilli, vibrioni e spirilli), possiedono la possibilità di muoversi attivamente per mezzo di particolari organi di propulsione rappresentati dai flagelli. I flagelli vengono distinti in flagelli polari, se si trovano ad uno o a entrambi i poli della cellula, e in flagelli peritrichi, quando la presenza dei flagelli interessa tutta la superficie cellulare. I flagelli polari vengono a loro volta distinti in monotrichi, se rappresentati da un singolo flagello, e in lofotrichi, se corrispondono a un ciuffo di flagelli. I flagelli batterici sono strutture elicoidali che provocano il movimento attivo della cellula esclusivamente attraverso la loro rotazione in corrispondenza del corpo basale. A differenza dei flagelli eucariotici, i flagelli batterici sono strutture particolarmente rigide che non presentano movimenti ondulatori. Un singolo flagello consta di tre parti specifiche: 1) un lungo filamento elicoidale che protrude per 5-10 micrometri dalla superficie cellulare; 2) un gancio tubolare che lega il filamento elicoidale al corpo basale; 3) un corpo basale che ancora il flagello agli involucri cellulari; rappresenta il motore del movimento rotatorio del flagello. Il filamento è formato da una peculiare proteina nota come flagellina, dotata di spiccate proprietà antigeniche (corrisponde all’antigene H dei batteri mobili). Le varie subunità di flagellina che costituiscono il filamento si assemblano tra loro formando una struttura di forma elicoidale. Il gancio è costituito dall’aggregazione di diverse subunità proteiche costituite da una singola proteina, di diametro maggiore 8 rispetto alla flagellina. Il corpo basale è formato da varie subunità costituite da almeno 15 diverse proteine, che si aggregano in modo differente nei batteri Gram-negativi rispetto ai batteri Gram-positivi. Sia nei batteri Gram-negativi che nei batteri Gram-positivi le subunità proteiche si aggregano formando la parte prossimale del filamento, detta bastoncello; nei batteri Gram-negativi le altre subunità proteiche costituiscono quattro anelli: un anello L (da “lipopolisaccaride”, in corrispondenza della membrana esterna), un anello P (da “peptidoglicano”, in corrispondenza della parete cellulare), un anello S (da “super-membrana”, al di sopra della membrana citoplasmatica) e un anello M (da “membrana”, in corrispondenza della membrana citoplasmatica); nei batteri Gram-positivi la struttura del corpo basale è più semplice e presenta solo un anello P e un anello M. Il movimento rotatorio dei flagelli può avvenire in senso orario e in senso antiorario. Poiché i flagelli sono strutture elicoidali avvolte in senso sinistrorso, il movimento rotatorio antiorario provoca una propulsione monodirezionale (swimming) della cellula, mentre la rotazione in senso orario provoca un movimento improduttivo (avanti e indietro: tumbling). Lo swimming è generalmente interrotto da episodi di tumbling e la lunghezza dei diversi episodi di swimming è condizionata dall’ambiente in cui si trova la cellula batterica. Infatti, la rotazione dei flagelli dipende da una serie di chemiorecettori di superficie che rispondono agli stimoli di sostanze attraenti o repellenti, generando movimenti di swimming o di tumbling. FIMBRIE O PILI Le fimbrie originano dalla membrana citoplasmatica e protrudono dalla superficie cellulare per 0.2-2 micrometri. Sono formate da subunità costituite da una o due proteine, dette piline, specifiche per le varie specie batteriche. Le piline si organizzano con una simmetria elicoidale intorno ad un asse immaginario formando strutture cilindriche rigide. All’estremità libera delle fimbrie sono presenti particolari proteine, dette adesine, che conferiscono alla cellula proprietà adesive nei confronti di specifici substrati. In particolare, le fimbrie fungono da organi di ancoraggio in grado di interagire con residui di carboidrati presenti nelle glicoproteine di membrana di varie cellule animali, favorendo i processi di adesione e colonizzazione. Le proprietà adesive dei batteri fimbriati sono ulteriormente confermate dalla loro capacità emoagglutinante, ovvero sono in grado di formare ammassi di emazie tenute insieme dalle fimbrie dei batteri che si legano ad esse attraverso specifici carboidrati delle proteine di membrana. Le fimbrie possono essere classificate a seconda dei carboidrati recettoriali che sono in grado di inibire la loro capacità adesiva. Possiamo distinguere le fimbrie di tipo 1, la cui capacità adesiva è inibita dal mannosio, le fimbrie di tipo 2, inibite dall’N-acetil-galattosammina e le fimbrie di tipo P, inibite da un dimero del galattosio. In molti enterobatteri (in particolare in alcuni stipiti di E. coli e di Salmonella) sono presenti delle varianti delle tipiche fimbrie, di spessore ridotto e costituite da una proteina della famiglia delle proteine amiloidi. Tali appendici prendono il nome di curli e hanno la capacità di permettere l’adesione del batterio a una grande varietà di proteine (plasminogeno, fibronectina, proteine dell’MHC I). Inoltre, la proteina monomerica curlina può diffondere nell’organismo e, essendo dotata di un certo potere tossico, può contribuire alla sintomatologia morbosa. Infine, una particolare classe di fimbrie è costituita dai cosiddetti pili F (da “fertilità”) o pili sessuali, molto più lunghi delle fimbrie adesiniche, coinvolti nel processo di coniugazione batterica. 9 IL METABOLISMO BATTERICO AEROBIOSI ED ANAEROBIOSI I batteri svolgono processi catabolici per produrre energia (ATP), la quale viene poi usata nelle reazioni biosintetiche (anaboliche), che determinano la crescita batterica. I batteri possono essere classificati a seconda delle esigenze metaboliche in: 1) Aerobi obbligati -> possono vivere solo in presenza di ossigeno; sono in grado di utilizzare a scopo energetico solo la respirazione aerobia, con ossigeno libero come accettore finale di ioni idrogeno, che viene ridotto ad acqua. 2) Aerobi-anaerobi facoltativi -> possono vivere sia in presenza che in assenza di ossigeno; possono condurre sia un processo respiratorio aerobio che un processo respiratorio anaerobio, dove l’accettore finale di ioni idrogeno non è rappresentato dall’ossigeno libero ma dal nitrato, che viene ridotto a nitrito. A questa categoria appartengono anche batteri che in assenza di ossigeno utilizzano un metabolismo di tipo fermentativo o quei batteri privi di sistemi di trasporto di elettroni che utilizzano a scopo energetico solo reazioni fermentative (come gli Streptococchi). 3) Anaerobi obbligati -> possono vivere solo in assenza di ossigeno; utilizzano processi respiratori anaerobi o fermentativi. Tra i batteri anaerobi obbligati la sensibilità all’ossigeno cambia notevolmente: alcuni batteri possono morire in seguito a brevissime esposizioni all’aria atmosferica, altri possono tollerare anche lunghe esposizioni all’aria atmosferica (circa alcune ore). 4) Microaerofili -> batteri che non crescono o crescono molto lentamente in presenza di ossigeno, mentre crescono molto bene in aria addizionata del 10% di anidride carbonica o in assenza di ossigeno. SINTESI DEL PEPTIDOGLICANO (figura 3.13 pagina 97) 1) Nel citoplasma, una molecola di N-acetilglucosammina-fosfato (NAG-P) si lega ad una molecola di uridina-trifosfato, con liberazione di un radicale fosforico e formazione di una molecola di UDP-NAG. 2) Alla molecola di UDP-NAG si lega una molecola di fosfoenolpiruvato, con formazione di UDP-NAG- piruvato. Tale reazione è inibita dall’antibiotico fosfomicina, un analogo strutturale del fosfoenolpiruvato. 3) Il piruvato viene ridotto ad acido lattico e si ha la formazione di una molecola di acido muramico (NAM), che resta ancora legato all’UDP (UDP-NAM). 4) L’acido muramico funge da accettore per alcuni aminoacidi che, nell’ordine di legame, sono rappresentati da L-alanina, acido D-glutammico, L-lisina (o alternativamente acido mesodiaminopimelico) e un dimero di D-alanina. Il dimero di D-alanina si produce a parte in una reazione nella quale intervengono una racemasi, che trasforma la L-alanina in D-alanina, e una sintetasi, che catalizza la produzione del dimero. Tale reazione è inibita dall’antibiotico cicloserina, un analogo strutturale della D-alanina. 5) Alla molecola di UDP-NAM-pentapeptide viene allontanato l’UDP, con formazione di NAM- pentapeptide. La molecola di NAM-pentapeptide si lega a un vettore lipidico della membrana citoplasmatica, rappresentato da una molecola di undecaprenil-fosfato, e, allo stesso tempo, si ha il trasferimento di un gruppo fosfato dall’UDP al vettore lipidico, con formazione di UMP e undecaprenil-difosfato. 6) Nella membrana citoplasmatica, al NAM-pentapeptide legato al vettore lipidico viene aggiunta una molecola di N-acetilglucosamina a partire da una molecola di UDP-NAG e con liberazione di UDP. A questo punto si ha la formazione di una molecola di undecaprenil-difosfato-NAG-NAM- pentapeptide, che rappresenta un’unità basale completa di peptidoglicano. 10 7) Le unità basali di peptidoglicano vengono polimerizzate (con formazione di legami glicosidici beta- 1,4 tra i singoli monomeri) e legate trasversalmente (con formazione di legami peptidici che si stabiliscono tra i pentapeptidi di polimeri lineari di peptidoglicano adiacenti). Queste reazioni vengono catalizzate dalle PBP 1A e 1B (“proteine leganti la penicillina”, in grado di legare la penicillina e altri antibiotici beta-lattamici), che agiscono contemporaneamente sia da enzimi transglicosilanti che da enzimi transpeptidanti. 8) A questo punto, i corti polimeri di peptidoglicano vengono liberati dal vettore lipidico (reazione inibita dagli antibiotici vancomicina e ristocetina) e trasferiti all’esterno della membrana cellulare, dove viene rimossa una molecola di D-alanina dal pentapeptide e, l’energia liberata da questo processo, viene utilizzata per l’inserimento, ad opera delle PBP 2 e 3, di altri frammenti di peptidoglicano nei siti di allungamento della parete (ovvero in corrispondenza dei tagli del peptidoglicano preesistente ad opera della PBP 4; tali tagli rappresentano la zona accettrice delle molecole di peptidoglicano neosintetizzate). NOTE: le operazioni di polimerizzazione, di transpeptidazione e di inserimento delle molecole di peptidoglicano nella parete cellulare, catalizzate dalle PBP, risultano bloccate dagli antibiotici B-lattamici (come le penicilline e le cefalosporine), che agiscono legandosi direttamente alle proteine, e dagli antibiotici glicopeptidici (come la vancomicina), che agiscono legandosi ai substrati (in corrispondenza delle molecole di peptidoglicano o del dimero di D-alanina). 9) L’undecaprenil-difosfato, una volta liberatosi dal legame con le molecole di peptidoglicano trasferite nella parete cellulare, viene defosforilato (reazione inibita dall’antibiotico bacitracina) ed è riciclato per il trasporto di un’altra molecola di precursore peptidoglicanico. Tutti i farmaci antibatterici che agiscono bloccando la sintesi della parete cellulare hanno un’azione battericida. L’azione battericida non dipende direttamente dal blocco della sintesi di peptidoglicano, ma dalla conseguente attivazione di enzimi autolitici (autolisine) che hanno la funzione di rimuovere il tratto di peptidoglicano bloccato o alterato. Tuttavia, essendo il processo biosintetico del peptidoglicano bloccato dal farmaco, l’azione delle autolisine esita nella produzione di una breccia nella parete cellulare, che favorisce la lisi osmotica del batterio e la conseguente azione battericida del farmaco. La comparsa di mutazioni che rendono inefficace il sistema di segnalazione che porta all’attivazione delle autolisine è alla base della tolleranza dimostrata da alcuni batteri (come Streptococcus pneumoniae) nei confronti di alcuni farmaci antibatterici (penicilline etc.) che agiscono come inibitori della sintesi del peptidoglicano. In questi batteri mutati, il blocco della sintesi del peptidoglicano non comporta la morte della cellula batterica ma un arresto della crescita e della divisione cellulare, per cui, in seguito alla cessazione della somministrazione del farmaco, la crescita e la moltiplicazione batterica possono riprendere. 11 LA RIPRODUZIONE BATTERICA E LA PRODUZIONE DI SPORE LA RIPRODUZIONE BATTERICA (figura 4.1 pag.102) I batteri si riproducono per scissione binaria, processo in cui una cellula batterica si divide in due cellule figlie identiche alla cellula madre. Possiamo riassumere il processo nelle seguenti fasi: 1) dopo la duplicazione del cromonema (cromosoma batterico), le due molecole di DNA circolare risultanti si fissano in due punti differenti della membrana citoplasmatica; 2) successivamente si verifica l’accrescimento della regione di membrana interposta tra le due strutture cromosomiche e ciò determina un progressivo allontanamento di quest’ultime.; 3) la membrana citoplasmatica si introflette in corrispondenza della porzione centrale della cellula batterica allungata, provocando la formazione di un setto che si approfonda con direzione centripeta nel citoplasma. All’interno del setto di membrana citoplasmatica si forma contemporaneamente un ulteriore setto di parete cellulare; 4) una volta che si ha la completa formazione del setto e di due pareti distinte, si verifica la separazione della cellula batterica nelle due cellule figlie. LA PRODUZIONE DI SPORE La produzione di spore è appannaggio esclusivo di alcuni bacilli dei generi Bacillus e Clostridium. La presenza di una spora all’interno di un batterio è facilmente evidenziabile all’osservazione al microscopio ottico: nei preparati colorati la spora appare come un piccolo corpo incolore all’interno del batterio, siccome, a causa del suo involucro esterno, risulta difficilmente penetrabile da sostanze estranee come i coloranti. Nei batteri del gene Bacillus il diametro della spora di solito non eccede quello della cellula batterica (o sporangio), il cui profilo esterno non appare deformato; nei batteri del genere Clostridium, invece, il diametro della spora eccede quello dello sporangio, che appare ingrossato in corrispondenza della spora. ULTRASTRUTTURA DELLA SPORA (figura 4.3 pagina 104) All’interno della spora si trova il citoplasma, circondato dalla membrana plasmatica, sulla cui faccia interna si trova adeso il materiale nucleare. Superficialmente alla membrana plasmatica si trova una parete cellulare rudimentale costituita da peptidoglicano. Intorno a questa porzione centrale che ripete la struttura della cellula batterica si trova una serie di membrane particolarmente voluminose e caratteristiche della spora, che dall’interno verso l’esterno sono rappresentate da: - una corteccia o cortex formata essenzialmente da peptidoglicani e residui citoplasmatici dello sporangio; - un rivestimento interno e un rivestimento esterno (coats) composti da proteine particolarmente stabili (ricche di ponti disolfuro) e da piccole frazioni di lipidi (1-2% della composizione totale), talora si riscontra anche una certa quantità di peptidoglicano; - una sottile membrana detta esosporio, di composizione fosfolipoproteica, simile a quella della membrana plasmatica, contenente anche acidi teicoici, acido diaminopimelico e glucosamina. Un componente caratteristico della spora che non si riscontra nello sporangio è rappresentato dall’acido dipicolinico, un acido dicarbossilico che si trova localizzato insieme a grandi quantità di calcio nella cortex, di cui sembra contribuisca a stabilizzarne la struttura. 12 CARATTERI FUNZIONALI DELLA SPORA La spora presenta una serie di caratteristiche peculiari che la differenziano dalla cellula vegetativa: - le attività enzimatiche sono scarse e il consumo di ossigeno è scarso o assente; - vi è la totale assenza di sintesi macromolecolari; - è estremamente resistente alla penetrazione di sostanze estranee (come coloranti) per via dei suoi spessi involucri esterni; - rispetto alla cellula vegetativa è molto più resistente all’essicamento, alle radiazioni UV e alle radiazioni gamma; - presenta una notevole termoresistenza, in parte dovuta ai due coats ricchi di proteine solforate e alla cortex ricca di calcio e di acido dipicolinico; - dal punto di vista antigenico, presenta gli stessi antigeni della forma vegetative più antigeni esclusivi. IL PROCESSO DI SPORIFICAZIONE Il primo evento del processo di sporificazione consiste nella divisione del materiale nucleare in due nuovi nuclei, uno dei quali migra in corrispondenza di un polo cellulare per poi essere racchiuso in una porzione di citoplasma, separata dal resto della cellula mediante la formazione di un setto di membrana citoplasmatica. Questa prima struttura prende il nome di prespora e, a partire da questa, inizia la deposizione delle varie membrane che costituiscono la spora vera e propria. Infine, la spora, completa degli involucri, si libera nell’ambiente esterno per degradazione dello sporangio. La durata del processo di sporificazione è di alcune ore (circa 6-10 ore). Nei batteri sporigeni la formazione della spora non rappresenta una condizione necessaria, infatti, ogni specie batterica sporigena può essere indotta alla formazione della sopra o mantenuta costantemente in fase vegetativa. Nei batteri sporigeni che si trovano in fase logaritmica di sviluppo non si verifica la produzione di spore; la cellula viene indotta alla sporificazione quando si ha un progressivo esaurimento delle sostanze nutritive e un conseguente accumulo di cataboliti che provocano un rallentamento della moltiplicazione. Dal punto di vista molecolare, il processo di sporificazione si accompagna ad una modificazione del fattore sigma dell’RNA polimerasi, che rende tale enzima incapace di trascrivere le regioni di DNA che codificano per enzimi necessari alla vita vegetativa. L’RNA polimerasi modificata è in grado di trascrivere solo quelle sequenze di DNA che codificano per enzimi coinvolti nel processo di sporificazione. LA GERMINAZIONE DELLA SPORA Il processo di germinazione consiste nella formazione di una cellula vegetativa a partire dalla spora. La germinazione della spora si verifica solo nel momento in cui le condizioni ambientali (in particolare la 13 disponibilità di sostante nutritive) ritornano favorevoli alla crescita batterica. Spesso però è necessaria un’iniziale attivazione della spora che, sperimentalmente, si ottiene esponendo la spora a una temperatura di 65-80 C° per alcuni minuti, mentre, in natura, è innescata dall’invecchiamento della spora stessa. L’attivazione consiste in un danno e quindi in una permeabilizzazione degli involucri della spora, ciò rende possibile l’avvio degli scambi metabolici con l’ambiente. Il processo di germinazione richiede circa 1-2 ore. Il primo evento del processo di germinazione è rappresentato dalla produzione di una parete cellulare completa, seguito dalla fuoriuscita della cellula vegetativa dagli involucri sporali alterati. L’inizio del processo di germinazione si accompagna all’eliminazione dell’acido dipicolinico e di grandi quantità di calcio, alla ricomparsa della termosensibilità e alla ripresa delle sintesi macromolecolari. La cellula vegetativa neoformata, a seconda delle condizioni ambientali, può riprendere il ciclo di sporificazione o avviarsi verso la fase logaritmica di sviluppo. Domanda tipica del professor Franci: Come avviene l’eliminazione di una spora? Per l’eliminazione delle spore si ricorre a questo particolare processo che prende il nome di tindalizzazione o sterilizzazione frazionata. La tindalizzazione consiste nel riscaldare a 100 C° per 30 minuti il materiale da sterilizzare, poi lasciarlo a temperatura ambiente in incubazione per 24 ore e riscaldare nuovamente a 100 C° per mezz’ora, successivamente il materiale viene incubato per altre 24 ore e riscaldato a 100 C° per un’ultima volta. Le due fasi di incubazione permettono di far germinare le spore e le forme vegetative che ne risultano vengono distrutte dal riscaldamento. 14 SECREZIONE NEI PROCARIOTI (da sbobine) PATHWAYS DI SECREZIONE PROTEICA Nelle cellule procariotiche sono stati identificati diversi pathway di secrezione proteica, i quali differiscono tra i batteri Gram-positivi e Gram-negativi. - Il pathway di secrezione Sec-dipendente viene anche definito pathway generale di secrezione; si tratta di un sistema tipico sia dei batteri Gram-positivi che dei batteri Gram-negativi, in grado di mediare la traslocazione delle proteine attraverso la membrana plasmatica o la loro integrazione nella membrana. Le proteine secrete attraverso questo pathway vengono sintetizzate nel citosol come pre-proteine e presentano un peptide segnale in corrispondenza dell’estremità N-terminale. Immediatamente dopo la sintesi, una chaperonina detta Sec-B si lega al peptide segnale della pre-proteina e la veicola in forma non-folded in corrispondenza dell’apparato di trasporto Sec. A questo punto, le proteine Sec-Y, Sec-E e Sec-G formano un canale transmembrana per permettere il transito della pre-proteina. La proteina Sec-A, invece, guida il passaggio della pre-proteina attraverso la membrana plasmatica sfruttando l’idrolisi di ATP. Una volta che la pre-proteina ha attraversato la membrana plasmatica, una peptidasi specifica interviene rimuovendo il peptide segnale, in modo che la proteina possa assumere la sua conformazione finale. - Il sistema Tat rappresenta un’alternativa al pathway di secrezione Sec-dipendente. Il suo nome sta per “twin arginine translocation” e sta ad indicare la tipica presenza di due arginine consecutive nella sequenza segnale delle proteine che vengono secrete attraverso questo sistema. A differenza del sistema Sec, le proteine che vengono trasportate attraverso la membrana plasmatica sono completamente foldate. - Il pathway di secrezione di tipo II è proprio dei batteri Gram-negativi e trasporta dal periplasma alla membrana esterna le proteine che erano state traslocate precedentemente attraverso la membrana plasmatica dal pathway Sec-dipendente o dal sistema Tat. E’ un sistema particolarmente complesso costituito da 12-16 proteine, la maggior parte delle quali sono proteine integrali di membrana. - Il pathway di secrezione di tipo V è il sistema di secrezione scoperto più recentemente e, come il pathway di tipo II, è Sec-dipendente e tipico dei batteri Gram-negativi. Viene definito anche sistema di autotrasporto perché sono le proteine stesse che, una volta traslocate nel periplasma attraverso il sistema Sec, formano un canale nella membrana esterna attraverso cui passano. Queste proteine hanno la capacità di formare dei foglietti beta con il loro dominio C-terminale, attraverso i quali si inseriscono nella membrana esterna, permettendo al resto della proteina di raggiungere l’esterno della cellula. Successivamente, specifiche proteasi scindono le proteine autotrasportatrici, lasciando il dominio C-terminale all’interno della membrana esterna. 15 - Il pathway di secrezione di tipo I o pathway di secrezione ABC trasporta le proteine sia attraverso la membrana plasmatica che attraverso la membrana esterna. E’ presente sia nei batteri Gram-positivi che nei batteri Gram-negativi, anche se i Gram-positivi presentano una versione modificata di questo pathway. Le proteine secrete attraverso questo sistema presentano dei segnali di secrezione in corrispondenza della regione C-terminale. La struttura del pathway di secrezione di tipo I, il cui modello è rappresentato dal sistema di secrezione dell’emolisina in E. coli, è rappresentata da un sistema semplice a tre proteine: 1) un trasportatore ABC inserito nella membrana plasmatica, in grado di legare ATP e di idrolizzarlo per garantire il trasporto della proteina attraverso le membrane; 2) una proteina adattatrice detta MFP (membrane fusione protein), che lega il trasportatore ABC alla proteina TolC presente sulla membrana esterna, la quale corrisponde alla terza proteina del pathway. Le molecole che utilizzano il pathway di secrezione di tipo I presentano grandezze molto variabili (da 10 kDa a 900 kDa) e quelle maggiormente caratterizzate sono le tossine RTX e le lipasi. - Il pathway di secrezione di tipo III è tipico dei batteri Gram-negativi; presenta una tipica struttura a siringa che attraversa le due membrane del batterio e si inserisce nella membrana della cellula ospite, rilasciando all’interno di essa vari fattori di virulenza (infatti è un sistema molto rappresentato in specie batteriche patogene). - Il pathway di secrezione di tipo IV è presente sia nei batteri Gram-positivi che nei batteri Gram- negativi; è costituito da molte proteine diverse tra loro (alcune delle quali si organizzano in una struttura a siringa) ed è responsabile della secrezione di proteine e di DNA durante il processo di coniugazione batterica. - Il pathway di secrezione di tipo VI è stato identificato per la prima volta nel 2006 in due batteri: Vibrio cholerae e Pseudomonas aeruginosa. Successivamente è stato identificato anche in Escherichia coli, Salmonella typhimurium e Yersinia pestis. Tale sistema è costituito da 12-25 subunità, tuttavia, la sua architettura e le sue funzioni non sono ancora del tutto chiare. Blebbing -> fenomeno tipico dei batteri Gram-negativi che consiste nel rilascio di vescicole di membrana. Porzioni della membrana esterna si distaccano formando delle strutture sferiche contenenti materiale periplasmatico, in particolare fattori di virulenza. NOTE: i micobatteri presentano uno specifico pathway di secrezione indicato come ESX-1, il quale consente alle proteine di attraversare gli spessi strati di arabinogalactani e di acidi micolici che caratterizzano l’involucro esterno dei micobatteri. 16 GENETICA BATTERICA I PLASMIDI Il genoma procariotico, oltre che dal cromosoma batterico (cromonema), è caratterizzato nella maggior parte dei casi (sia nei batteri Gram-positivi che nei batteri Gram-negativi) da elementi genetici accessori denominati plasmidi. I plasmidi sono dunque elementi genetici extra-cromosomici, formati da una molecola di DNA bicatenario a struttura circolare, le cui dimensioni variano da 1.000 a 200.000 coppie di basi (notevolmente più piccoli del cromonema, le cui dimensioni variano da 1 milione a 5 milioni di coppie di basi). I prodotti codificati dai plasmidi sono raramente indispensabili alla sopravvivenza e alla moltiplicazione del batterio in ambienti ottimali e sono rappresentati principalmente da tossine, pili e altri tipi di adesine, enzimi che conferiscono resistenza a determinati tipi di farmaci (in questo caso i plasmidi vengono denominati fattori R, da “resistenza”), batteriocine (proteine tossiche in grado di uccidere altri batteri), siderofori (che hanno la funzione di permettere l’accumulo di ioni ferro all’interno della cellula batterica) e altre sostanze ancora sconosciute. Alcuni plasmidi, denominati plasmidi coniugativi, possiedono un set di geni che codificano per una serie di prodotti in grado di promuovere un contatto intimo tra cellule batteriche diverse e il successivo trasferimento di un plasmide mediante un ponte coniugativo (trasferimento orizzontale). I plasmidi coniugativi sono in grado di facilitare anche il trasferimento di plasmidi non coniugativi che coabitano nella stessa cellula donatrice e possono addirittura mobilitare il cromonema, permettendone il trasferimento intercellulare. La mobilitazione del cromonema prevede sempre l’integrazione del plasmide nel cromosoma batterico mediante legami covalenti. Sono detti episomi i plasmidi che possono replicarsi in modo autonomo o possono integrarsi nel cromosoma batterico e replicarsi con esso. TRASFORMAZIONE La trasformazione è un meccanismo di trasferimento genetico evoluto da una primitiva esigenza nutrizionale e consiste nell’assunzione di frammenti di DNA solubile da parte di cellule batteriche definite “competenti”. Tale meccanismo è stato osservato sia nei batteri Gram-positivi (es. Streptococcus pneumoniae, Bacillus cereus) che nei batteri Gram-negativi (es. Neisseria gonorrhoeae, Haemophilus influenzae). Il fenomeno della trasformazione fu individuato per la prima volta nel 1920 da Griffith che, studiando il problema della patogenicità di S. pneumoniae, inoculò in una cavia una miscela di pneumococchi non capsulati (e quindi avirulenti) e di pneumococchi capsulati (virulenti) ma uccisi al calore. L’esito dell’esperimento fu la morte della cavia per setticemia e i batteri isolati dall’animale corrispondevano a pneumococchi capsulati. La spiegazione di questo fenomeno risiede nel processo di trasformazione, in cui, nel caso dell’esperimento, batteri incapaci di produrre materiale capsulare vennero trasformati in batteri capaci di sintetizzare la capsula, a causa dell’assunzione di una “sostanza trasformante” ceduta dai batteri virulenti uccisi presenti nell’inoculo. Nel 1944 Avery, McCarty e McLeod individuarono la natura della sostanza trasformante, ovvero frammenti di DNA solubile provenienti da batteri uccisi. Nel processo di trasformazione, la cellula accetrice deve trovarsi in uno stato di competenza per poter essere trasformata. Per quanto riguarda i batteri Gram-positivi, una volta che la cellula diventa competente, questa è in grado di liberare una proteina definita fattore di competenza. Il fattore di competenza interagisce con specifici recettori presenti sulla cellula competente o sulle cellule adiacenti, stimolando l’espressione di specifici geni e la conseguente produzione di proteine coinvolte nel processo di trasformazione. Tra queste proteine vi è un’autolisina che digerisce parzialmente una porzione della parete cellulare ed espone un tratto di membrana in cui si posizionano proteine in grado di legare DNA bicatenario (proteine DNA-binding) e una specifica nucleasi. Il DNA bicatenario, eventualmente presente nell’ambiente e derivante dalla morte di un batterio donatore, viene legato dalle proteine DNA-binding (solo se appartiene alla stessa specie batterica o a specie batteriche affini) e uno dei suoi filamenti viene digerito dalla nucleasi. Il frammento residuo di DNA 17 viene poi introdotto nella cellula competente e integrato nel DNA cromosomico. Nei batteri Gram-negativi non si verifica la produzione del fattore di competenza e questo può essere sostituito da particolari condizioni del mezzo colturale (ad es. le colture di Haemophilus diventano competenti al 100% quando vengono trasferite in un terreno che permette la sintesi proteica del batterio ma non ne consente la crescita completa). TRASDUZIONE La trasduzione consiste nel trasferimento di frammenti di DNA cromosomico tra due cellule batteriche mediante un batteriofago (o fago). Il fago è un virus in grado di infettare elettivamente le cellule batteriche; presenta una tipica forma a spillo in cui si riconoscono più parti: una testa contenente l’acido nucleico, al di sotto della quale si trova un collare a cui è attaccata la coda, la quale si sfrangia all’estremità in 5-6 fibre. Il riconoscimento della cellula ospite da parte del fago avviene attraverso un’interazione tra le proteine del capside fagico e specifici recettori che si trovano sulla superficie del batterio. Nella coda del fago è presente un complesso molecolare in grado di iniettare l’acido nucleico attraverso la parete cellulare del batterio ospite. Una volta che l’acido nucleico è penetrato nella cellula, a seconda del fago si potrà osservare: - un ciclo litico: il batteriofago si replica immediatamente, uccidendo la cellula ospite che va incontro a lisi e liberando la progenie fagica. In questo caso si parla di fagi virulenti; - un ciclo lisogeno: il batteriofago integra il proprio acido nucleico nel genoma della cellula ospite (profago = fago integrato). In questo caso si parla di fagi temperati e i batteri che ospitano particelle virali non litiche sono detti lisogeni. Il batteriofago può rimanere silente e replicarsi passivamente ad ogni replicazione del genoma dell’ospite o, come conseguenza a un certo tipo di stimoli, può de- integrarsi dal genoma e dare il via a un ciclo litico, che esita nella lisi della cellula ospite e nella liberazione della progenie fagica. Il meccanismo di trasduzione viene distinto in trasduzione generalizzata e in trasduzione specializzata. Nella trasduzione generalizzata, la trasduzione può interessare un frammento di DNA proveniente da qualsiasi regione del genoma batterico; nella trasduzione specializzata, sono i frammenti di DNA del genoma batterico che fiancheggiano il profago ad avere una più alta probabilità di trasduzione. - Trasduzione generalizzata: durante il ciclo litico di un fago virulento, la replicazione del DNA fagico prevede la formazione di una serie di copie del genoma che rimangono unite in strutture concatenate. I singoli genomi vengono poi separati da specifiche nucleasi e impacchettati all’interno di capsidi virali sintetizzati de novo. Durante questo processo può capitare che le nucleasi taglino erroneamente dei frammenti di genoma batterico che vengono ugualmente inseriti all’interno di capsidi virali. Si forma così, insieme alla progenie fagica, un certo numero di particelle trasducenti che hanno la sola funzione di trasferire DNA batterico da una cellula batterica all’altra. - Trasduzione specializzata: durante la de-integrazione del genoma di un fago temperato dal genoma della cellula batterica ospite, può verificarsi erroneamente l’escissione non solo del profago, ma anche di una porzione del genoma batterico adiacente ad esso. Durante la replicazione fagica, il frammento di DNA batterico viene inserito nel genoma fagico e l’intera progenie risultante conterrà tale frammento. Nella maggior parte dei casi, i fagi temperati che derivano da tale processo perdono definitivamente la capacità di innescare un ciclo litico per la delezione di una quota del genoma virale originario. Per cui tali particelle fagiche defettive saranno in grado di infettare altre cellule batteriche e di integrarsi nel loro genoma, ma non saranno in grado di indurne la lisi cellulare. CONVERSIONE LISOGENICA Nei batteri lisogeni il DNA del profago rimane generalmente silente, sottoposto a un rigido controllo repressivo. Tuttavia, in alcuni casi può capitare che una frazione del genoma profagico possa sfuggire alla regolazione repressiva e codificare per prodotti che modificano il fenotipo cellulare. Questo fenomeno viene 18 chiamato conversione lisogenica. Inoltre, è ragionevole supporre che i geni del profago che vengono espressi durante il processo di conversione lisogenica derivino da geni batterici acquisiti dal fago attraverso processi di ricombinazione con il genoma della cellula ospite. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che i prodotti codificati dai geni fagici sono estranei ai processi replicativi e all’economia generale del virus e perché tali geni risultano poco sensibili al rigido controllo repressivo a cui è sottoposto il resto del genoma fagico. LA CONIUGAZIONE BATTERICA La coniugazione batterica è un processo che consiste nel diretto trasferimento di materiale genetico cromosomico da un batterio all’altro, attraverso un contatto fisico tra le due cellule. Il processo di coniugazione può verificarsi solo in presenza di batteri che possiedono particolari plasmidi, detti plasmidi coniugativi. Il plasmide coniugativo più studiato e meglio conosciuto è il plasmide F, in grado di replicarsi in E. coli e in altri enterobatteri strettamente correlati. Il plasmide F, come tutti gli altri plasmidi, è una molecola circolare di DNA bicatenario in grado di replicarsi autonomamente e circa 1/3 del suo materiale genetico è rappresentato da 13 geni “tra”, che codificano per un pilo F e per prodotti necessari a facilitare la replicazione del DNA plasmidico secondo il modello del “rolling circle”. Se alcune cellule contenenti il plasmide F (indicate come cellule F+) vengono mescolate a una popolazione batterica che ne è priva (e quindi denominata F-), si osserva una rapida formazione di coppie coniugali, in cui l’estremità di un pilo F di una cellula F+ si lega alla superficie di una cellula F-. Questa interazione determina una serie di eventi che culmina con il taglio del DNA plasmidico in corrispondenza del punto “oriT” e con l’avvio della replicazione del filamento polinucleotidico tagliato mediante un meccanismo a “rolling circle”. La duplicazione a “rolling circle” consta di diverse fasi: 1) in corrispondenza di un’origine si verifica il taglio da parte di un enzima specifico di una delle due catene polinucleotidiche della molecola di DNA circolare; 2) l’estremità libera 3’-OH della catena polinucleotidica tagliata funge da primer per la DNA polimerasi, che aggiunge nucleotidi selezionati in base alla complementarietà con la catena polinucleotidica integra; 3) la regione all’estremità 5’ della catena polinucleotidica interrotta si allontana dalla molecola di DNA circolare man mano che procede la sintesi del neofilamento; 4) quando la catena polinucleotidica esterna della molecola di DNA circolare è stata completamente sintetizzata, la catena parentale si distacca e funge a sua volta da stampo per la sintesi di una catena complementare, con la formazione di una seconda molecola di DNA a doppia elica che può a sua volta ricircolarizzarsi, (come nella cellula batterica accettrice durante il processo di coniugazione, figura 6.8 pag.125). In seguito al processo di coniugazione, anche la cellula accettrice possiede un plasmide F completo, per cui diviene a sua volta in grado di sintetizzare un pilo F e di formare un ponte coniugativo con un’altra cellula F-. Raramente, in alcune coppie coniugali il trasferimento del plasmide F si accompagna al trasferimento di materiale cromosomico. Come si verifica questo processo? Il plasmide F possiede un cluster di sequenze di inserzione (IS) le quali possono ricombinarsi con sequenze di 19 inserzione del cromosoma batterico, causando l’integrazione del plasmide nel cromosoma. Le cellule in cui si è verificata l’integrazione del plasmide F all’interno del cromosoma batterico prendono il nome di cellule Hfr (da “high frequency of recombination”) e in esse il plasmide F continua ad esprimere i propri geni “tra”, per cui la cellula rimane una cellula donatrice. Quando una cellula Hfr stabilisce un contatto con una cellula F-, non si verifica il trasferimento del solo plasmide F, ma anche di parte del cromosoma batterico che è legato covalentemente ad esso. Il materiale cromosomico non viene trasferito totalmente siccome il ponte coniugativo che si stabilisce tra le due cellule è piuttosto fragile, potendo essere facilmente interrotto, ed il processo di trasferimento è particolarmente lento. Infatti, mentre si verifica il trasferimento di un intero filamento nucleotidico del plasmide F, il trasferimento di un intero filamento nucleotidico del cromosoma non si verifica mai. NOTE: in alcuni batteri Gram-positivi (come Enterococcus faecalis) i meccanismi coniugativi non prevedono l’intervento dei pili F per la formazione delle coppie coniugali, ma richiedono l’intervento di piccole proteine solubili, dette feromoni, codificate dai geni cromosomici. I feromoni vengono liberati nell’ambiente da cellule che necessitano di particolari plasmidi coniugativi (cellule accettrici) e si legano a specifici recettori presenti sulla superficie di cellule che possiedono i plasmidi coniugativi richiesti (cellule donatrici). Questa interazione induce il rilascio da parte delle cellule donatrici di una particolare sostanza, detta sostanza aggregante, che si accumula sulla superficie del batterio e che provoca la formazione di ammassi costituiti da cellule contenenti il plasmide coniugativo e cellule che ne sono prive. Così, i plasmidi coniugativi vengono trasferiti, nell’aggregato batterico, dalle cellule produttrici di materiale aggregante alle cellule provviste di feromoni. In alcune cellule batteriche è stata dimostrata la presenza di trasposoni coniugativi, i quali generalmente si muovono solo all’interno della stessa cellula. 20 I FARMACI ANTIMICROBICI (da sbobine) ANTIBIOTICI Con il termine “antibiotici” si fa riferimento a sostanze prodotte da batteri o da funghi in grado di inibire la crescita di altri microrganismi. Ad oggi è più corretto utilizzare il termine chemioantibiotico, siccome molte di queste molecole vengono prodotte per via sintetica o semisintetica. Una delle principali caratteristiche degli antibiotici è quella di essere dotati di tossicità selettiva, ovvero di risultare tossici esclusivamente nei confronti dei microrganismi e non nei confronti delle cellule eucariotiche. La tossicità selettiva è dovuta: - all’assenza nelle cellule eucariotiche di particolari molecole che fungono da bersaglio per l’azione degli antibiotici; - a una diversa capacità di penetrazione del farmaco nelle cellule eucariotiche e nei microrganismi; - a una diversa affinità del farmaco per strutture funzionalmente simili, ma non strutturalmente (come per gli antibiotici che bloccano la sintesi proteica, agendo sui ribosomi batterici ma non su quelli eucariotici). CARATTERISTICHE DEI FARMACI ANTIMICROBICI I farmaci antimicrobici presentano tre caratteristiche principali: natura dell’inibizione, spettro d’azione e meccanismo d’azione. La natura dell’inibizione viene distinta in: - battericida -> capace di uccidere la cellula batterica; - batteriostatica -> capace di inibire la moltiplicazione della cellula batterica. L’azione batteriostatica o battericida dipende a sua volta dal meccanismo d’azione: saranno battericidi gli antibiotici che agiscono su strutture fondamentali della cellula batterica; saranno batteriostatici gli antibiotici che bloccano la riproduzione del batterio. Lo spettro d’azione indica la capacità che ha un antibiotico di contrastare l’azione dei microrganismi. Maggiore è l’ampiezza dello spettro d’azione, maggiore è il numero di microrganismi che l’antibiotico riesce a contrastare. Possiamo dunque distingue due tipologie di spettro d’azione: - ampio -> interviene su un’ampia varietà di microrganismi (es. tetraciclina); - stretto -> interviene su uno specifico tipo di microrganismi. I meccanismi d’azione possono essere suddivisi in: - inibizione della sintesi della parete cellulare; - alterazione della membrana citoplasmatica; - inibizione della sintesi proteica; - inibizione della sintesi e dell’espressione degli acidi nucleici; - blocco di una via metabolica. D-CICLOSERINA La D-cicloserina rappresenta un analogo strutturale della D-alanina. Impedisce la formazione del dimero di D-alanina durante il processo di biosintesi del peptidoglicano, legandosi covalentemente al cofattore (piridossal fosfato) degli enzimi D-alanina racemasi e D-alanina sintetasi. Spettro d’azione -> ampio, è attiva sia sui batteri Gram-positivi che sui batteri Gram-negativi, sulle rickettsie, sui micobatteri e su alcuni protozoi. Natura dell’inibizione -> battericida. 21 VANCOMICINA E TEICOPLANINA Sono glicopeptidi che impediscono la formazione di legami peptidici trasversali tra i polimeri di peptidoglicano nella parete cellulare, legandosi ai gruppi terminali D-alanina-D-alanina dei pentapeptidi di ciascuna molecola di peptidoglicano. Spettro d’azione -> stretto (sono attive solo sui batteri Gram-positivi). Natura dell’inibizione -> battericida. ANTIBIOTICI BETA-LATTAMICI Gli antibiotici beta-lattamici comprendono le penicilline, le cefalosporine, i carbapenemi e i monobattami. Il nucleo funzionale di questi antibiotici è rappresentato dal beta-lattame, ovvero un anello a quattro atomi che forma un’ammide ciclica (lattame). Gli antibiotici beta-lattamici inibiscono la transpeptidasi (PBP) che interviene durante il processo di biosintesi del peptidoglicano attraverso un meccanismo competitivo. Essi, infatti, dal punto di vista strutturale somigliano al residuo D-alanina-D-alanina della molecola di peptidoglicano e interagiscono con la transpeptidasi formando un complesso acil-enzima molto più stabile del complesso che la transpeptidasi forma con il suo effettivo substrato. Spettro d’azione -> ampio (agiscono sia su batteri Gram-positivi che su batteri Gram-negativi). Natura dell’inibizione -> battericida. TERAPIA FARMACOLOGICA NELLE INFEZIONI DA MICOBATTERI La parete cellulare dei Micobatteri è costituita da tre componenti in particolare: peptidoglicano, arabinogalactani e acidi micolici. Queste componenti rendono la parete cellulare molto complessa e impermeabile alla maggior parte degli antibiotici più comuni, per cui i farmaci più utilizzati nella terapia delle infezioni da micobatteri sono la rifampicina (vedi dopo), l’isoniazide e l’etambutolo. ISONIAZIDE L’isoniazide è un profarmaco che viene attivato da una catalasi perossidasi micobatterica (KatG). Il prodotto dell’attivazione dell’isoniazide è rappresentato dall’acido isonicotinico, che viene accoppiato al NADH con formazione di un complesso acile-NADH. Tale complesso lega saldamente l’enoil-ACP reduttasi, la cui funzione è quella di rimuovere gli acidi grassi in formazione dal complesso acil-ACP. Questo processo provoca l’inibizione della sintesi degli acidi micolici, componenti essenziali della parete dei micobatteri. Spettro d’azione -> stretto (agisce esclusivamente sui Micobatteri). Natura dell’inibizione -> battericida. ETAMBUTOLO Inibisce l’enzima arabinosil-transferasi, la cui funzione è quella di assemblare le catene di arabinogalactani con l’arabinosio. Spettro d’azione -> stretto (agisce esclusivamente sui Micobatteri). Natura dell’inibizione -> battericida. DERIVATI AZOLICI: IMIDAZOLICI E TRIAZOLICI Inibiscono una delle tappe di biosintesi degli steroli nelle cellule fungine. Nello specifico, inibiscono l’enzima 14-alfa-demetilasi che permette il distacco del gruppo metile dal lanosterolo (precursore degli steroli). Gli 22 imidazolici e i triazolici causano rapidamente la perdita dell’integrità di membrana, riducendo i livelli di ergosteroli e provocando la perdita di componenti citoplasmatiche. Spettro d’azione -> stretto (agiscono sui funghi). Natura dell’inibizione -> battericida. ANTIBIOTICI POLIENICI: NISTATINA E AMFOTERICINA B Si tratta di antibiotici antifungini che presentano un’alta affinità per gli ergosteroli, ovvero per la componente steroidea della membrana plasmatica delle cellule fungine. I polieni sono molecole anfipatiche che presentano una regione idrofobica e una regione idrofilica; agiscono a livello della membrana fungina dove interagiscono con gli ergosteroli provocando la formazione di pori, destabilizzando la struttura della membrana stessa e causando la fuoriuscita dalla cellula di ioni, zuccheri e metaboliti, con conseguente morte cellulare. Spettro di azione -> stretto (agiscono sui funghi). Natura dell’inibizione -> battericida. POLIMIXINE Molecole costituite da un peptide ciclico che presenta gruppi carichi positivamente, legato per mezzo di un tripeptide ad una catena di acido grasso. Le polimixine si legano saldamente ai gruppi fosfato carichi negativamente del lipopolisaccaride (LPS) dei batteri Gram-negativi; ciò comporta un’alterazione strutturale della membrana e la fuoriuscita di componenti citoplasmatiche. Spettro d’azione -> stretto (agiscono esclusivamente sui batteri Gram-negativi). Natura dell’inibizione -> battericida. ANTAGONISTI DEI FOLATI Il folato è un importante cofattore in tutti gli organismi viventi, coinvolto in numerose funzioni biologiche. I batteri sono incapaci di assumere ed utilizzare i folati esogeni, per cui li sintetizzano autonomamente attraverso le seguenti reazioni: I SULFAMIDICI inibiscono in modo competitivo la sintetasi, in quanto sono analoghi strutturali dell’acido para-aminobenzoico (PABA). 23 Spettro d’azione -> ampio (agiscono sia su batteri Gram-positivi che su batteri Gram-negativi). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. Il TRIMETOPRIM e la PIRIMETAMINA (DHFR INIBITORI) inibiscono la DHF reduttasi, in quanto sono analoghi strutturali del diidrofolato. L’inibizione non permette la formazione del tetraidrofolato. Il trimetoprim è un inibitore della DHF reduttasi batterica, la pirimetamina è un inibitore della DHF reduttasi di Plasmodium. Spettro d’azione -> ampio (agiscono su batteri Gram-positivi, batteri Gram-negativi e parassiti). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. STREPTOMICINA Rientra nel gruppo degli aminoglucosidi-aminoglicolitici; inibisce la sintesi proteica. Nello specifico, l’antibiotico si lega alle proteine della subunità ribosomiale 30S (subunità minore), che fungono da recettori per i fattori IF3 e IF1. Il fattore IF3 è responsabile dell’attacco dell’mRNA alla subunità minore del ribosoma; invece, il fattore IF1 permette la traslocazione del messaggero dal sito A al sito P. La mancata interazione di questi fattori con la subunità 30S provoca nel primo caso un blocco del complesso d’inizio, nel secondo caso si ha uno scorretto inserimento delle molecole di tRNA durante l’allungamento. Spettro d’azione -> ampio (agisce sui batteri Gram-negativi e sui micobatteri). Natura dell’inibizione -> battericida. TETRACICLINE Inibiscono la sintesi proteica; l’antibiotico viene trasportato attivamente all’interno della cellula batterica dove viene complessato con il magnesio. La tetraciclina si lega alla subunità minore del ribosoma, in corrispondenza del sito in cui è presente l’estremo 3’ dell’RNA ribosomiale 16S e delle proteine associate a ioni magnesio. L’effetto di questo processo è il blocco del legame dell’aminoacil-tRNA sul sito A del ribosoma, con conseguente arresto della sintesi proteica. Spettro d’azione -> ampio (agisce su batteri Gram-positivi, batteri Gram-negativi, Rickettsie e Clamidie). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. CLORAMFENICOLO Inibisce la sintesi proteica; si lega alla subunità ribosomiale 50S (subunità maggiore) in una regione del sito A in cui si trova l’RNA ribosomiale 23S. In questo modo viene inibita l’azione dell’enzima peptidi-transferasi, enzima che catalizza la formazione del legame peptidico. Spettro d’azione -> ampio (agisce su batteri Gram-negativi, Gram-positivi, Micoplasmi, Rickettsie e Clamidie). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. MACROLIDI: ERITROMICINA Inibisce la sintesi proteica; si lega alla subunità ribosomiale 50S (subunità maggiore) in una regione vicina a quella a cui si lega il cloramfenicolo, con coinvolgimento dell’RNA ribosomiale 23S. L’eritromicina blocca il maccanismo di traslocazione, ovvero impedisce il rilascio di tRNA scarico (privo di amminoacido) dopo la formazione del legame peptidico, con conseguente blocco della sintesi proteica. Spettro d’azione -> ampio (agisce su batteri Gram-negativi, Gram-positivi, Micoplasmi, Rickettsie e Clamidie). Natura dell’inibizione -> battericida. 24 ACIDO FUSIDICO Inibisce la sintesi proteica; nello specifico inibisce l’aggiunta di altri amminoacidi alla catena peptidica in formazione. Spettro d’azione -> ampio (agisce sia sui batteri Gram-positivi che sui batteri Gram-negativi). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. MUPIROCINA Inibisce la sintesi proteica; la mupirocina inibisce la sintesi dell’enzima isoleucil-tRNA-sintetasi, che lega l’isoleucina al tRNA. Quando il ribosoma incontra il codone dell’isoleucina, la sintesi proteica si arresta a causa della riduzione dei livelli di isoleucil-tRNA-sintetasi. Spettro d’azione -> ampio (agisce sia sui batteri Gram-positivi che sui batteri Gram-negativi). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. CHINOLONI Inibiscono l’azione della DNA girasi, legandosi in corrispondenza della subunità alfa dell’enzima. La DNA girasi è un tetramero costituito da due subunità alfa e due subunità beta, capace di introdurre superavvolgimenti negativi nella molecola di DNA sfruttando l’idrolisi di ATP. Le subunità alfa provocano il taglio di entrambe le eliche in un punto del DNA, permettendo il passaggio di una porzione della doppia elica attraverso la rottura, che viene successivamente risaldata. Le subunità beta invece traggono energia attraverso l’idrolisi di ATP. I chinoloni rendono la DNA girasi incapace di risaldare il DNA precedentemente tagliato e di conseguenza il cromosoma resta frammentato. Spettro d’azione -> ampio (agisce sia sui batteri Gram-positivi che sui batteri Gram-negativi). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. NITROIMIDAZOLICI E NITROFURANICI Questi farmaci causano la rottura di filamento di DNA attraverso un’azione diretta: i loro gruppi nitro vengono ridotti all’interno della cellula con formazione di radicali liberi, i quali producono tagli sul DNA. Spettro d’azione -> ampio (tuttavia agiscono solo sui ceppi anaerobi dei batteri Gram-positivi e Gram- negativi). Natura dell’inibizione -> battericida. RIFAMPICINA Blocca la fase iniziale del processo di trascrizione legandosi alla subunità beta dell’RNA polimerasi. Spettro d’azione -> ampio (agisce sia su batteri Gram-positivi che su batteri Gram-negativi). Natura dell’inibizione -> batteriostatica. 25 ANTIBIOTICO RESISTENZA L’antibiotico resistenza indica la capacità di alcuni microrganismi di sopravvivere e/o moltiplicarsi anche in presenza di concentrazioni di farmaci antimicrobici generalmente sufficienti a uccidere o a inibire la moltiplicazione dei microrganismi della stessa specie. L’antibiotico resistenza è una proprietà del microrganismo trasmissibile geneticamente. Possono essere distinti due tipi di resistenza: - Resistenza naturale: corrisponde all’insensibilità costituzionale di un determinato microrganismo nei confronti di un antibiotico specifico. E’ immutabile nel tempo, determinata geneticamente e si manifesta in tutti i ceppi di una stessa specie. Dipende dalle caratteristiche dell’antibiotico e dalle strutture del microrganismo. Es. di resistenza naturale -> i batteri Gram-negativi sono insensibili ai glicopeptidi (vancomicina, teicoplanina) perché questi non sono in grado di attraversare la membrana esterna dei batteri Gram-negativi; i micoplasmi sono microrganismi privi di parete cellulare, per cui sono resistenti a tutti gli antibiotici che agiscono sulla parete cellulare e sulla sua biosintesi. - Resistenza acquisita: corrisponde alla comparsa di ceppi resistenti in una specie naturalmente sensibile ad un determinato farmaco. La resistenza acquisita può essere causa di insuccessi terapeutici qualora dei farmaci vengano somministrati senza aver preventivamente saggiato in vitro la sensibilità del patogeno ai farmaci che si intende utilizzare nella terapia (antibiogramma). Esistono due tipi di resistenza acquisita: 1) resistenza cromosomica -> costituisce solo il 10-15% di tutte le resistenze acquisite; è causata da mutazioni spontanee in una determinata cellula e si trasmette verticalmente (da cellula madre a cellula figlia). Es. l’isoniazide-resistenza nei micobatteri può essere dovuta a una mutazione del gene katG che causa la mancanza della catalasi-perossidasi micobatterica (KatG), l’enzima responsabile dell’attivazione del farmaco. Un altro esempio è quello della resistenza ai chinoloni (in Streptococcus pneumoniae e in Neisseria gonorrhoeae), dovuta a mutazioni nei geni che codificano per le subunità enzimatiche della DNA girasi, che possono produrre una ridotta affinità per il farmaco nei confronti della girasi. 2) Resistenza extra-cromosomica -> costituisce il 90% delle resistenze acquisite; deriva dall’acquisizione di nuove informazioni genetiche derivanti da altri microrganismi, mediante i meccanismi di trasferimento di materiale genetico (coniugazione, trasformazione e trasduzione). E’ dovuta a geni localizzati su elementi extra-cromosomici mobili, come plasmidi o elementi trasponibili e si trasmette orizzontalmente (diffusione tra cellule appartenenti alla stessa specie o tra specie differenti). Un esempio di resistenza extra-cromosomica è la resistenza agli antibiotici beta- lattamici, dovuta all’acquisizione di plasmidi che presentano geni che codificano per le beta- lattamasi. Le beta-lattamasi sono enzimi in grado di idrolizzare il legame amidico dell’anello beta- lattamico delle penicilline e delle cefalosporine, con produzione di un derivato inattivo incapace di uccidere il batterio. RESISTENZA ALLA METICILLINA Per combattere il fenomeno della penicillino-resistenza in S. Aureus, fu impiegato l’utilizzo della meticillina, molecola sintetica caratterizzata da un voluminoso gruppo acile in posizione 6’ che impedisce stericamente l’attacco all’anello beta-lattamico da parte delle beta-lattamasi. Tuttavia, già nel giro di pochi anni dall’inizio dell’impiego di questo farmaco per il trattamento delle infezioni da Stafilococchi penicillino-resistenti, fu notata la comparsa di Stafilococchi resistenti anche alla meticillina. La resistenza alla meticillina è dovuta all’acquisizione e all’integrazione nel cromosoma batterico di un elemento mobile definito “Staphylococcus Cassette Chromosome mec” o “SCCmec”. SCCmec è caratterizzato da due complessi genici essenziali: il complesso dei geni mec e il complesso dei geni crr (+ le regioni di giunzione). Il complesso dei geni mec presenta il gene responsabile della meticillino-resistenza, ovvero il gene mecA, che codifica per una variante 26 della transpeptidasi (PBP) indicata come PBP2a, insensibile all’azione dei farmaci beta-lattamici (per cui la sintesi di peptidoglicano non viene inibita). Ma come viene regolata l’espressione del gene mecA? Il gene mecA è regolato da un repressore, detto mecI, e da un trasduttore del segnale di membrana, chiamato mecRI, sensibile ai beta lattamici. In assenza di antibiotici beta-lattamici, mecI reprime la trascrizione di tutti i geni del complesso mec. In presenza di beta-lattamici, mecRI attiva, mediante taglio auto-catalitico, il dominio metalloproteasico citoplasmatico, il quale scinde il legame fra il repressone mecI e il gene mecA, consentendo la sua trascrizione e di conseguenza la sintesi di PBP2a. 27 LA COLTIVAZIONE DEI BATTERI TERRENI DI COLTURA Il terreno di coltura rappresenta un mezzo attraverso il quale può avvenire la crescita e lo sviluppo di un microrganismo in vitro. Le principali caratteristiche che deve presentare un terreno di coltura sono: - adatta concentrazione di sostanze nutritive per garantire la crescita batterica; - adeguato grado di umidità; - valori di pH adatti alla crescita batterica; - sterilità e protezione da qualsiasi fonte di inquinamento. Un terreno di coltura può contenere diversi materiali, di cui i più rappresentati sono: - peptoni -> composti idrosolubili ottenuti per idrolisi (acida o enzimatica) di proteine di origine biologica (come la caseina e la soia); - NaCl -> aggiunto in adeguate concentrazioni per le necessità osmotiche richieste da alcuni microorganismi; - zuccheri -> in particolare glucosio, lattosio e mannite; - estratti di lievito, di carne e d’organo -> forniscono fattori di crescita e sali inorganici; - arricchimenti -> come sangue, emoglobina o vitamine, necessari per la crescita di batteri più esigenti dal punto di vista nutrizionale; - supplementi selettivi -> specifici (come gli antibiotici) o a spettro meno definito (come sali biliari), utilizzati per favorire la crescita di alcuni microrganismi rispetto ad altri; - indicatori -> sostanze coloranti (come il fenolo) che permettono di seguire il metabolismo fermentativo del batterio in esame, determinando il viraggio di colore del terreno a valori critici di pH. CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI DI COLTURA IN BASE ALLO STATO FISICO In base allo stato fisico, i terreni vengono distinti in liquidi o solidi. Terreni liquidi -> Lo sviluppo dei batteri in terreni liquidi si palesa con un intorbidimento del terreno. A seconda della specie batterica interessata, l’intorbidimento può assumere un aspetto diverso (es. uniforme, a granuli etc.) e può essere diffuso in tutto il recipiente di coltura o essere limitato agli strati superficiali. Misurando in diversi intervalli di tempo la quantità di batteri presenti nell’unità di volume di un terreno liquido, si può costruire un grafico che rispecchia la cinetica del processo replicativo della popolazione batterica della coltura (curva di crescita batterica). Il grafico è caratterizzato da più fasi (figura 5.1 pag. 110): - Fase di latenza: in questa prima fase non si verifica un aumento del numero di batteri; ciò è dovuto alla necessità per i batteri di sintetizzare gli enzimi necessari alla metabolizzazione dei substrati presenti nel terreno. - Fase di accelerazione di crescita: man mano che i vari batteri costituenti l’inoculo sintetizzano gli enzimi necessari al metabolismo, inizia la moltiplicazione di alcuni di essi e si nota un iniziale aumento del numero dei batteri e della massa totale. - Fase esponenziale o logaritmica: in questa fase tutti i batteri presenti nella coltura hanno sintetizzato gli enzimi necessari ai processi metabolici, per cui si verifica un incremento, progressivamente crescente rispetto al tempo, del numero di batteri e della massa totale. - Fase di decelerazione di crescita: il progressivo esaurimento dei nutrienti e l’accumulo di scorie tossiche derivanti dai processi metabolici provocano un allungamento del tempo di moltiplicazione e l’arresto della moltiplicazione di un numero sempre crescente di batteri. 28 - Fase stazionaria: il numero di batteri vivi si mantiene costante in quanto la maggior parte dei batteri non si moltiplica più; inoltre, il numero di batteri prodotti dalle poche divisioni cellulari viene bilanciato dalla morte di altri batteri. - Fase di morte o di declino: il numero di batteri cala progressivamente, in quanto il numero di batteri che muoiono è maggiore del numero di batteri che sono ancora in grado di moltiplicarsi. Curva di crescita diauxica -> La teoria della crescita diauxica venne descritta dal biologo Jacques Monod. Egli eseguì i suoi studi su colture batteriche di E. coli, coltivate in presenza di glucosio e di uno zucchero più complesso (come il lattosio). Monod osservò che i batteri utilizzavano in via preferenziale il glucosio e, solo dopo averlo terminato, iniziavano a sintetizzare gli enzimi necessari per metabolizzare gli altri zuccheri più complessi. Per cui, in un terreno di coltura in cui è presente il glucosio associato ad altri zuccheri più complessi, il batterio metabolizza dapprima il glucosio, in modo da evitare di sprecare energia per la sintesi di enzimi richiesti per il metabolismo di zuccheri più complessi. La crescita diauxica, quindi, è una strategia utilizzata dai batteri per ottimizzare l’apporto di risorse trofiche qualora l’ambiente possa fornire più di un nutriente. La curva di crescita di un batterio coltivato in queste condizioni viene detta diauxica, ed è caratterizzata da una successione di due fasi di crescita esponenziale, separate da una fase di latenza, che occorre al batterio per sintetizzare gli enzimi atti a metabolizzare il secondo substrato. Terreni solidi -> I terreni solidi differiscono dai terreni liquidi soltanto per lo stato fisico. Il materiale solidificante più utilizzato è rappresentato dall’agar, un polisaccaride acido estratto da alcune alghe, il quale, disciolto a temperature superiori a 80 C° in un liquido (nella proporzione dell’1-2%), ne provoca la gelificazione durante il successivo raffreddamento. L’agar non è tossico per i batteri e soltanto pochissimi batteri possiedono enzimi in grado di depolimerizzarlo, liquefacendo il terreno. COMPOSIZIONE CHIMICA DEI TERRENI DI COLTURA I terreni di base utilizzati in batteriologia medica per la coltivazione di batteri che non presentano particolari esigenze nutritive sono costituiti da brodo normale o da agar normale. Brodo normale -> è costituito da peptoni, estratto di carne, NaCl e tampone fosfato (per un pH di circa 7,0). Agar normale -> è costituito dal brodo normale addizionato all’1.5% di agar. Ai terreni di base (brodo e agar normali) possono essere aggiunti altri vari materiali a seconda delle esigenze nutrizionali del batterio (sangue, siero, liquido ascitico, estratto di lievito etc.). Ad esempio, l’aggiunta di siero non solo arricchisce il terreno di sostanze nutritive per il batterio, ma elimina anche sostanze tossiche in piccole quantità attraverso la capacità dell’albumina di legare alcuni composti a basso peso molecolare. Invece, l’aggiunta di sangue, oltre ad arricchire il terreno dal punto di vista nutrizionale, consente anche di rilevare la produzione di tossine emolitiche da parte del batterio. CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI DI COLTURA IN BASE ALLA FUNZIONE Dal punto di vista funzionale, i terreni di coltura possono essere distinti in: - terreni di arricchimento (o elettivi) -> la specie microbica di interesse cresce in un tempo molto più breve rispetto alle altre specie presenti nel terreno; - terreni selettivi -> contengono sostanze batteriostatiche (come sali biliari, cristalvioletto o tellurito di potassio) che inibiscono o rallentano lo sviluppo di molte specie microbiche, in modo da permettere l’isolamento della specie che non risente di queste sostanze; 29 - terreni differenziali -> contengono sostanze indicatrici di particolari reazioni biochimiche che avvengono nel terreno stesso in presenza di specifici microrganismi. PREPARAZIONE DI UN TERRENO DI COLTURA La preparazione di un terreno di coltura richiede più step: 1) pesare accuratamente i singoli componenti del terreno in una beuta; 2) aggiungere la quantità di acqua distillata richiesta; 3) agitare fino a completa solubilizzazione delle componenti (solitamente viene impiegato un agitatore magnetico); 4) controllare il pH dopo aver solubilizzato il terreno e se necessario correggerlo; 5) chiudere la beuta -> per quanto riguarda questa fase, bisogna tenere a mente che durante la sterilizzazione è previsto l’uso di alte temperature e di alte pressioni. Tappare ermeticamente la beuta è fortemente sconsigliato perché, in fase di raffreddamento, questa potrebbe esplodere. Per tale motivo vengono utilizzati dei tappi appositi (es. tappi di cotone) che permettono il libero passaggio di aria fra l’interno e l’esterno della beuta, consentendo alla pressione di bilanciarsi in modo graduale; 6) sterilizzazione -> i terreni di coltura i cui componenti sopportano temperature superiori ai 100 °C vengono sterilizzati in autoclave, uno strumento simile ad una pentola a pressione al cui interno la beuta viene esposta ad alte temperature (si arriva a 120 °C) e ad alte pressioni (anche più di 1 bar) per alcuni minuti. I terreni di coltura contenenti sostanze termolabili (come zuccheri o antibiotici) vengono sterilizzati attraverso specifiche tecniche di filtrazione; 7) dopo la sterilizzazione i terreni liquidi vengono fatti raffreddare fino a una temperatura di circa 25 °C per poi essere utilizzati; invece, i terreni agarizzati vengono versati nelle piastre di Petri prima che l’agar solidifichi; 8) le piastre di Petri vengono fatte raffreddare per permettere al terreno di solidificare; 9) una volta che il terreno si è solidificato, si può procedere con la semina. TECNICHE DI SEMINA Le tecniche di semina permettono di depositare un campione di batteri su un terreno di coltura. Le principali tecniche di semina sono: - Semina per isolamento -> è la tecnica più frequentemente utilizzata per isolare le colonie batteriche. Lo striscio avviene mediante l’utilizzo di un’ansa sterile, in modo da evitare contaminazioni con altri microrganismi presente sulla superficie dell’oggetto. Prevede una serie di semine in differenti aree della superficie dell’agar, in modo da disperdere le varie cellule presenti sull’ansa (prelevate da brodocoltura o da alta crescita su agar). 30 - Semina per inclusione -> è una tecnica utilizzata per agevolare la conta delle colonie batteriche. La sospensione batterica viene miscelata nella piastra di Petri insieme al terreno agarizzato che successivamente, raffreddandosi, solidificherà (bisogna effettuare movimenti orari, antiorari e croce per disporre le cellule in tutta la piastra). Spesso la sospensione batterica viene diluita con una soluzione fisiologica sterile (0.9% NaCl) per diminuire il numero di cellule seminate, in modo che possano essere contabili più facilmente. - Semina per infissione -> avviene in provetta; mediante un ago da inoculo il campione viene seminato direttamente nello spessore del terreno agarizzato (si usa agar molle o Nutrient Gelatine). La semina per infissione consente di valutare il rapporto del metabolismo batterico con l’ossigeno a seconda del punto in cui si verifica la crescita delle colonie: se le colonie crescono in cima il batterio è aerobio, se crescono sul fondo è anaerobio, se la crescita è diffusa il batterio è anaerobio facoltativo. Inoltre, consente di valutare anche la motilità del batterio: se la crescita è diffusa, il batterio possiede flagelli. La crescita in Nutrient Gelatine ha lo scopo di testare l’attività proteolitica del batterio: essendo la gelatina una proteina di derivazione animale, se il batterio degrada la gelatina (con conseguente liquefazione del terreno) sarà proteolitico, altrimenti non sarà proteolitico. 31 DISINFEZIONE E STERILIZZAZIONE Per disinfezione si intende un qualsiasi procedimento che si prefigga l’uccisione di microrganismi patogeni presenti nell’ambiente; per sterilizzazione, invece, si intende un qualsiasi procedimento che si prefigga la distruzione di tutti i microrganismi (patogeni e non) presenti in un determinato materiale. DISINFEZIONE La disinfezione si ottiene mediante l’utilizzo di particolari sostanze chimiche a adeguate concentrazioni. Tali sostanze chimiche sono in grado di uccidere i microrganismi alterandone irreversibilmente uno o più costituenti cellulari. I principali effetti provocati da queste sostanze sono: - denaturazione delle proteine -> vengono utilizzati alcoli, fenoli e metalli pesanti (che si combinano con le proteine provocando la loro inattivazione e la loro precipitazione); - ossidazione dei gruppi sulfidrilici liberi o di altri gruppi funzionali di enzimi -> vengono utilizzati principalmente perossidi, di cui il più usato è il perossido di idrogeno; altre sostanze utilizzate sono iodio in forma minerale (iodina) o complessato a molecole organiche (iodoforo), permanganati, cloro ed ipocloriti; - alterazione delle membrane per solubilizzazione dei lipidi -> vengono utilizzati alcoli, fenoli, composti quaternari dell’ammonio, clorexidina. STERILIZZAZIONE Per la sterilizzazione possono essere impiegati: - mezzi chimici, come l’esposizione a vapori di formaldeide o all’ossido di etilene in forma gassosa; - mezzi fisici, come il calore o la filtrazione. La sterilizzazione al calore si può ottenere per mezzo di stufe a secco, che richiedono temperature e tempistiche particolarmente elevate per garantire l’uccisione dei microrganismi (2 ore a 180 °C o 3 ore a 140 °C), o per mezzo di autoclavi, che utilizzano il calore del vapore acqueo sotto pressione e consentono una sterilizzazione sicura a temperature e a tempi