Diritto dell'impresa 2 finale PDF

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Italian Business Law Company Law Legal Principles Business Regulations

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These notes provide an overview of Italian business law, covering various legal principles, elements, and categories like subjects, goods, and events. Different types of legal relationships and legal frameworks are also explored, including contrasts between contractual and non-contractual relationships within the context of business dealings.

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**DIRITTO DELL'IMPRESA** **1° LEZIONE** Il DIRITTO DELL'IMPRESA è una parte del diritto degli Stati. Il diritto è stato negli ultimi 2500 anni una tecnica di controllo sociale, cioè un modo con cui prima gli individui e poi gli individui all'interno di organizzazioni via via più complicate hanno d...

**DIRITTO DELL'IMPRESA** **1° LEZIONE** Il DIRITTO DELL'IMPRESA è una parte del diritto degli Stati. Il diritto è stato negli ultimi 2500 anni una tecnica di controllo sociale, cioè un modo con cui prima gli individui e poi gli individui all'interno di organizzazioni via via più complicate hanno disciplinato i rapporti. Nella società preistoriche il diritto che è una tecnica sofisticata non si usava, ma la tecnica di controllo sociale era la clava; la violenza, la forza militare è una tecnica di controllo sociale che la maggior parte degli Stati hanno ormai abbandonato. Gli Stati nella maggior parte dei casi hanno scelto come tecnica di controllo sociale prevalente il diritto, cioè regole per lo più scritte, formalizzate, controllabili, che preesistono ai comportamenti. Quando si parla di norme giuridiche, la norma è una cosa normale, che riguarda dei comportamenti normali, ed è disegnata sulla base di comportamenti normali con l'idea che il comportamento deviante (cioè quello che si comporta male) subisce una conseguenza; conseguenza che nel diritto in generale e soprattutto nel diritto dell'impresa non è mai una conseguenza che riguarda l'integrità fisica (come era nelle società preistoriche). Le conseguenze di tipo afflittivo nel diritto dell'impresa non funzionano tanto, però sono conseguenze che alcune norme giuridiche prevedono come per esempio il diritto penale e in alcuni Paesi sono così afflittive da prevedere la pena di morte. Quindi, gli Stati moderni si affidano prevalentemente al diritto come tecnica di controllo sociale e rifiutano la violenza come tecnica dominante e come conseguenza della violazione delle norme. Infatti, nel Codice penale c'è una norma che vieta la giustizia privata, cioè c'è una norma che dice che non ci si può fare giustizia per conto proprio; farsi giustizia per conto proprio, anche se si ha ragione p un illecito. Lo Stato ha il monopolio nell'applicazione delle norme giuridiche; gli Stati moderni sono gli unici a prevedere selle sanzioni perché se così non fosse si tornerebbe al Far West. Nel diritto dell'impresa pure non esiste, perché non servirebbe nemmeno. Tecnica di controllo prevalente perché in realtà gli Stati hanno anche altre tecniche di controllo sociale, altre organizzazioni utilizzano altre tecniche di controllo sociale. Ad esempio, chi appartiene ad un'organizzazione religiosa, a una confessione, applica delle regole religiose: i 10 comandamenti non sono norme giuridiche, qualche volte corrispondono ad esse, ma le norme religiose di per sé non sono norme giuridiche perché una qualsiasi organizzazione religiosa prevede come conseguenza un qualcosa che non accade sul piano terreno. L'idea è che proprio perché ci sono delle conseguenza svantaggiose nell'Aldilà, nell'Aldiqua ci si dovrebbe comportare bene. Le norme religiose sono quindi una tecnica di controllo sociale. Anche le norme politiche sono, entro certi limiti, norme di controllo sociale; la politica è una tecnica di controllo sociale. Quindi, nei vari Stati con varie gradazioni si utilizza un mix di tecniche per il controllo sociale. Nella comunità degli affari, nei rapporti tra imprese, c'è una tecnica di controllo sociale ulteriore: le regole dell'etica professionale, regole che la stessa comunità degli affari definisce; se queste vengono violate si hanno delle conseguenze di tipo relazionale: se sono scorretto perché non mi attengo alle regole della correttezza professionale la mia reputazione peggiora. Quindi, non sono conseguenze di tipo giuridico, perché la reputazione non si vede, non la stabilisce nessun legislatore, giudice o pubblica amministrazione, ma le imprese ce l'hanno la reputazione e se la mia reputazione deteriora qualche conseguenza ce l'ho. In linea di principio le regole di etica professionale stanno fuori dal diritto dell'impresa, ma in una qualche misura ultimamente vengono progressivamente importate all'interno del diritto dell'impresa. Soprattutto da quando si è detto che il comportamento dell'impresa dovrebbe attenersi a dei criteri di sostenibilità, dei criteri ESG. L'etica professionale è sempre esistita però norme etiche senza conseguenze non funzionano tanto e quindi si è giuridicizzata la norma etica, cioè si è presa la norma etica e la si è trasformata in una norma giuridica con l'idea che la norma giuridica, munita di una conseguenza di un certo tipo, diventa più efficace della norma etica. E quindi che lo Stato sia un migliore garante dell'osservanza delle regole, anche se le regole non le ha dettate lui perché le norme dell'etica sono state scritte dai partecipanti all'attività dell'impresa. Il diritto dell'impresa è nato storicamente, e in buona parte ancora esiste così, come diritto non dello Stato, perché lo Stato non è sempre esistito; nel Medioevo, in epoca rinascimentale, non esisteva lo Stato, ma al massimo qualche volta le città stato e c'era un gran caos perché i rapporti si regolavano ancora con la forza e si regolavano in base al diritto feudale, e gli imprenditori dell'epoca (mercatores) se le scrivevano loro le regole. Il primo diritto dell'impresa che noi utilizziamo ancora oggi è un diritto autoimposto, sono gli imprenditori che hanno detto che per fare bene il loro lavoro servivano loro delle regole, siccome lo Stato non le dava allora se le sono date loro. Le arti, le corporazioni, i mestieri erano organizzazioni di imprenditori che avevano come compito quello di regolare l'esercizio di quella attività e queste non erano regole giuridiche, ma regole di etica professionale però funzionavano benissimo perché se queste non venivano rispettate si veniva esclusi dalle corporazioni. Quindi, da sempre c'è un'esigenza di regolazione dei rapporti, che è un'esigenza latente perché se le cose funzionano bene il diritto non serve; il diritto e le regole servono quando le cose funzionano male. Tutte le norme giuridiche sono scritte come un algoritmo, cioè sono scritte in funzione della conseguenza che prevedono per ciascun fatto. Sono tutte scritte in questo modo: se fai qualche cosa allora succede qualcosa. Quindi, di fatto le norme sono degli algoritmi che stabiliscono delle uguaglianze tra un comportamento e una conseguenza. Tutte le norme giuridiche stanno dentro all'ordinamento giuridico, che è il dominio scientifico al quale facciamo riferimento quando parliamo del diritto dell'impresa. All'interno dell'ordinamento giuridico ci sono diverse partizioni, diverse regole che disciplinano i rapporti tra i diversi soggetti (ad esempio, c'è il diritto internazionale che regola il rapporto tra Stati, c'è il diritto di famiglia che regola i rapporti tra membri della famiglia c'è il diritto delle successioni che riguarda cosa succede quando uno muore, c'è il diritto dell'impresa, il diritto delle assicurazioni, il diritto amministrativo, il diritto penale, il diritto penitenziario). Noi ci occupiamo dell'insieme di norme che riguardano l'impresa e l'attività dell'impresa, quindi del diritto dell'impresa. La prima cosa che le norme giuridiche fanno sempre è quella che noi chiamiamo qualificazione, le norme giuridiche qualificano gli aspetti del mondo reale, cioè portano nel dominio del diritto fatti che accadono normalmente nel mondo reale. L'ordinamento giuridico disciplina fatti della vita reale. Il tema è la riconoscibilità che passa attraverso la qualificazione delle cose che succedono. Nella realtà fattuale prima di tutto ci sono i [soggetti], il diritto per prima cosa si occupa di essi, i soggetti sono n perché il diritto per una sola persona non serve a nulla. Alcuni soggetti sono in carne ed ossa, altri non si vedono. Quindi ci sono le persone fisiche e soggetti diversi dalle persone fisiche (le società commerciali, che sono gli attori principali del diritto commerciale, sono soggetti del diritto diversi dalle persone fisiche). Dopo i soggetti ci sono i [beni], ovvero gli oggetti che hanno un significato economico, e tra questi beni la grande ripartizione è tra quelli che si vedono, che sono la maggior parte, e quelli che non si vedono (quindi beni tangibili e intangibili). L'impresa commerciale è un consumatore di beni ma anche produttore di beni; per fare i beni servono altri beni. Dopo i beni ci sono i [fatti], ovvero le cose che accadono nel mondo reale. Questi vengono qualificato, ovvero riconosciuti come rilevanti e connessi a una qualche conseguenza. Il primo fatto che il diritto prende in considerazione è la nascita, che ha un sacco di conseguenze giuridiche. E la distinzione è tra fatti umani, di cui è partecipe l'uomo, e naturali. Infine, ci sono le [relazioni], importanti soprattutto per il diritto dell'impresa perché sono i modi con i quali gli altri elementi si connettono tra di loro e quasi tutte le relazioni sono rilevanti giuridicamente. Esistono relazioni tra soggetti, tra soggetti e beni, tra beni e fatti e tra fatti e soggetti e queste relazioni sono tutte giuridicamente rilevanti. La grande distinzione è tra relazioni che nascono per effetto di una scelta volontaria (contrattuali) e quelle che sono al di fuori di una scelta dell'individuo (extra contrattuali). C'è uno sforzo continuo che l'ordinamento giuridico fa di aggiornamento e si aggiorna o perché intervengono i legislatori, che però sono lenti, oppure la funzione di supplenza ce l'hanno i giudici. Questa è una caratteristica dell'ordinamento giuridico che non hanno gli altri ordinamenti: c'è qualcuno che scrive le norme, ovvero i legislatori, c'è qualcuno che le applica, ovvero i giudici, e c'è qualcuno che le fa rispettare, ovvero la pubblica amministrazione. L'ordinamento giuridico è come una molecola complessa, ci sono una serie di principi che disciplinano il modo con cui le regole sono costruite e applicate. Le regole stanno all'interno di fonti e le norme giuridiche rispondono al [principio di legalità] e se non rispondono ad esso non sono norme giuridiche; ovvero è stabilito da qualche parte chi ha il diritto di fare le norme giuridiche e queste regole su come si fanno le regole sono contenute nella Costituzione. Lo Stato fa le regole attraverso i Parlamenti e adotta il principio della divisione del lavoro, cioè all'interno dello Stato non tutti fanno tutto; si parla di divisione dei poteri e risponde a un criterio economico: non tutti possiamo fare tutto all'interno dello Stato e quindi c'è un corpo, un po' in tutti gli Stati in base al principio di legalità, incaricato di fare le leggi ovvero il Parlamento. Sulla base del [principio della divisione del lavoro], gli ordinamenti giuridici utilizzano uno strumento che è quello della rappresentanza politica, ovvero che noi attraverso il meccanismo elettorale scegliamo i nostri rappresentanti in Parlamento e si dà loro un mandato: vengono mandati là per fare delle regole in rappresentanza. La rappresentanza politica è basata sul [principio maggioritario], cioè le regole si scrivono a maggioranza dei rappresentanti e non all'unanimità. È certo che l'unanimità assicura la massima rappresentatività, ma se si deve far funzionare la macchina l'unanimità non funziona e allora si sceglie il principio maggioritario; tutte le democrazie funzionano sulla base di questo principio. L'impresa di per sé è un piccolo Stato. Lo Stato è una grande impresa che persegue fini di interesse generale, deve far stare bene tutti (l'ordinamento giuridico si interessa di tutti, ovviamente per quanto riguarda gli Stati moderni contemporanei), l'impresa invece persegue l'interesse sociale, ovvero l'interesse dei soci (ovvero i soggetti, che possono essere persone fisiche o no, che si uniscono per dar vita ad un altro soggetto cioè la società sulla base di una serie di fatti, ci mettono dentro una serie di beni e con la società fanno delle attività). Quando l'impresa inizia ad essere grande, l'idea di una governance dell'impresa basato sull'unanimità non funziona; quindi, anche l'impresa ad un certo punto come organizzazione va soggetta a un principio di specializzazione. E dentro l'impresa le funzioni diventano così nettamente distinte che si creano degli organi interni, esattamente come lo Stato ha degli organi, che svolgono delle attività specifiche. Quindi, anche nelle società si pone il problema della rappresentatività. Pertanto, l'impresa assomiglia su scala diversa allo Stato perché risponde a una finalità, è fatta di soggetti, è fatta di beni e vive di fatti. ![](media/image2.png)Come detto le norme giuridiche rispondono al principio di legalità, quindi ci deve essere una norma più importante delle altre che dice come fare le norme ed è la Costituzione. E siccome è più importante delle altre, l'idea della maggiore importanza porta con sé un principio ordinamentale che mette ordine tra le norme gerarchiche: il [principio gerarchico]. Principio gerarchico vuol dire che è come se le norme fossero disposte in maniera piramidale con al vertice la Costituzione (1948). Al vertice stanno quindi le norme fondamentali che non si toccano e possono essere modificate solamente attraverso una procedura che sta dentro alla Costituzione. La Costituzione dice che le norme generali, quelle che servono per far funzionare lo Stato e che perseguono finalità di ordine generale, le scrive il Parlamento e sono chiamate *leggi*. E la Costituzione dice che le leggi devono essere fatte in un certo modo. Da noi c'è una piccola eccezione, il Governo (= organo che dovrebbe presiedere all'applicazione delle norme) in alcuni casi può fare le norme dice la Costituzione, norme che stanno allo stesso livello della legge anche se non le fa il Parlamento. Il Governo fa due cose: i *decreti legg*e e i *decreti legislativi* che hanno entrambi la stessa efficacia delle leggi. Questi possono essere fatti solo in due casi specifici, se il Governo li fa al di fuori di quei due casi commette un illecito. Il Governo può fare il decreto legge quando ricorrono motivi di necessità e di urgenza, cioè bisogna dettare una norma che si applica a tutti i cittadini, quindi la dovrebbe scrivere il Parlamento ma non c'è tempo. La Costituzione dice che quando esistono presupposti di urgenza e necessità il Governo può di sua iniziativa adottare un decreto legge, ma lo deve presentare subito al Parlamento perché entro 60 giorni sia convertito in legge altrimenti decade. Il Parlamento è quindi sovrano di convertilo in legge oppure di lasciarlo decadere. Il decreto legislativo è invece l'opposto del decreto legge perché viene fatto dal Governo quando il Parlamento gli dà la delega, per farlo serve quindi la legge delega. La Costituzione dice che la legge delega deve contenere i principi e i criteri direttivi in base ai quali il Governo deve scrivere la legge. C'è questo meccanismo perché la Costituzione sa che fare le leggi alle volte richiede una certa competenza tecnica, un certo lavoro, e farle in Parlamento è difficile. Questi sono molto importati per il diritto dell'impresa perché molte norme che riguardano le imprese stanno dentro il decreto legislativo. Quindi, secondo la Costituzione, a questo livello si esercita la funzione legislativa, quella che detta le norme di rango primario o norme primarie. Principio gerarchico significa che tra la Costituzione e le norme primarie in caso di conflitto vince la Costituzione; quindi, se il Parlamento o il Governo scrive norme che contrastano con quello che dice la Costituzione queste sono incostituzionali. Una norma incostituzionale è una norma che si pone in contrasto con il principio di gerarchia, con il principio in base al quale la fonte al piano di sotto deve rispettare quella al piano di sopra. Quando le norme primarie sono in contrasto con la Costituzione si possono portare di fronte ad alla Corte costituzionale che è l'unico organo dell'ordinamento giuridico italiano che può togliere di mezzo le norme incostituzionali. Una legge ha bisogno di essere eseguita, quindi le leggi e i decreti (norme primarie) rimandano a norme sub-primarie o secondarie che sono i *regolamenti* o atti regolamentari e che vengono scritte dalle singole pubbliche amministrazioni. Ad esempio, il piano regolatore generale è scritto dal Comune perché è il Comune che disciplina l'attività urbanistica sul proprio territorio, lo scrive sulla base delle leggi urbanistiche stabilite dal Parlamento che rispettano i principi della Costituzione. E ovviamente il regolamento non si può porre in contrasto con la Costituzione, perché siccome il regolamento impone la legge per la proprietà transitiva se il regolamento è contrario alla Costituzione vuol dire che prima ancora è contrario alla legge; in base al principio gerarchico, se un regolamento si pone in contrasto alla legge può essere tolto di mezzo da un giudice particolare: il giudice amministrativo (da noi sono i Tar e il consiglio di Stato principalmente). Al di sotto ci sono i *provvedimenti individuali* della pubblica amministrazione; provvedimenti che quindi non riguardano tutti, ma singoli soggetti. Secondo principio che disciplina le norme è il [principio cronologico]. Il principio gerarchico riguarda il rapporto tra le norme di livelli diversi, mentre il principio cronologico riguarda le norme di uno stesso livello e dice che la norma successiva prevale sulla precedente a condizione che disciplinino lo stesso fenomeno. L'applicazione del principio cronologico pone due problemi: 1. qual è la sorte della norma anteriore, quando entra in vigore la regola successiva la precedente viene abrogata; l'abrogazione è la conseguenza dell'applicazione del principio cronologico e può essere: esplicita (quando con la norma successiva il legislatore dice che la regola precedente è abrogata, quindi si sa chiaramente quali sono le regole abrogate) o implicita 2. da quando si applica la nuova norma, la nuova norma a che condizione si applica alle vicende pregresse. Il principio generale dell'ordinamento giuridico è che le norme normalmente non sono retroattive; i legislatori possono stabilire che una certa norma è retroattiva con un limite: nel diritto penale le norme retroattive possono essere solo quelle più vantaggiose per il reo. Il terzo principio che riguarda il meccanismo dei rapporti tra le norme è il [principio della specialità]. Questo riguarda il rapporto tra fonti allo stesso livello e dice che la norma speciale prevale sulla norma generale. Ultima questione sulle fonti: dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Europei sono entrati a far parte della Comunità Economica Europea, che poi è diventata la Comunità Europea, che poi è diventata l'Unione Europea. Il processo di integrazione europea è un processo di progressivo rilascio della sovranità, questo vuol dire che i Parlamenti, la pubblica amministrazione, in parte anche un po' la Costituzione hanno lasciato al legislatore dell'Unione Europea il potere di disciplinare alcune materie con l'obiettivo dell'integrazione, cioè con l'obiettivo di ricreare uno Stato con delle regole comuni. Il rilascio della società si manifesta soprattutto nel fatto che c'è adesso qualcuno che può dettare delle leggi, regole, norme che si applicano in Italia anche se non sono state scritte dal legislatore italiano; questo significa appartenenza all'Unione Europea. E questo meccanismo per cui alcune materie sono adesso disciplinate dall'Unione Europea è possibile sulla base del principio di legalità stabilito dalla Costituzione. È la Costituzione italiana che ha autorizzato l'ingresso dentro l'Unione Europea (nell'Art. 11: l'Italia può entrare a far parte di organizzazioni generali che hanno come interesse quello del perseguimento del benessere dei cittadini), quindi l'adesione ai trattati e all'interno del trattato c'è scritto chi può fare norme che hanno questa caratteristica: è come se fossero delle leggi, quindi si applicano a tutti i 27 Stati dell'Unione Europea anche se non le ha fatte nessuno Parlamento di quei 27 Stati. Il processo di integrazione europea è un processo di rilascio progressivo della sovranità alle istituzioni dell'Unione Europea. Questo aspetto è fondamentale per il diritto dell'impresa, perché il nostro diritto dell'impresa che a partire dal 1942 era affidato al Codice civile e alcune altre leggi speciali ed era statico; ha iniziato a evolvere il diritto proprio da quando apparteniamo al processo di integrazione europea perché questo processo nasce da un presupposto di tipo economico, si chiamavano nel '55 trattato delle comunità economiche europee. Quindi, l'Unione Europea è concepita inizialmente ed essenzialmente come una comunità economica, i cui attori sono le imprese e i consumatori e il trattato si basa sui quattro pilastri fondamentali: la libertà di circolazione delle persone, delle cose, sei capitali e dei servizi. Quindi, il processo di integrazione è stato un processo prima di tutto di rimozione degli ostacoli all'esercizio di queste libertà fondamentali, la prima cosa che è stata fatta è abbattere i muri di protezionismo in senso economico. Questo però non basta per integrare il mercato, con le norme si è anche dovuto progressivamente armonizzare le condizioni di esercizio dell'attività d'impresa. Il processo di integrazione europea passa sostanzialmente, come dice il trattato, attraverso la rimozione delle barriere qualitative e quantitative e armonizzazione dei presupposti dell'esercizio delle attività. Il diritto dell'impresa dal 1955 in avanti ha iniziato a evolvere e se si studia il diritto dell'impresa italiano per una buona misura si applicano regole che sono le stesse degli altri 26 Paesi dell'Unione, perché c'è il principio del mutuo riconoscimento. **2° LEZIONE** Tenendo a mente lo schema quadripartito iniziamo dai **SOGGETTI del diritto**. Iniziamo dalle [persone fisiche]. La disciplina dei soggetti, persone fisiche, è imperniata sul Codice civile, in particolare sul primo libro. Il nostro Codice civile è del 1942 (prima di questo c'era quello del 1865 che si ispirava al primo codice moderno che era il Codice di Napoleone del 1804), i Codici civili sono stati una grossa conquista dal punto di vista dei rapporti tra cittadini. Fino alla Rivoluzione Francese esistevano tante fonti sparse e soprattutto c'era un modo di fare regole in passato che dipendeva sostanzialmente dallo status. La Rivoluzione Francese ha spianato tutto, ponendo al centro dello Stato la figura del cittadino e si deve dare una disciplina ad esso; questa viene messa nel Codice civile. Il Codice civile, quindi, consacra una vittoria derivante da una battaglia di secoli per l'unificazione dello status degli individui. Il sogno di contenere tutto all'interno del Codice, di fare del Codice il centro dell'ordinamento giuridico è un sogno che dura poco perché poi le società moderne a partire dalla Rivoluzione Francese hanno tante esigenze e non è pratico pensare di avere un Codice. Le norme iniziano a crescere: alcune le si mette dentro al Codice civile, ma poi si fa la legge sullo stato civile, poi un codice della proprietà urbanistica, poi la legge sul paesaggio, la legge sulla contabilità dello Stato, la legge sulle cooperative, il fallimento; al Codice civile che è la legge generale, si aggiungono tutta una serie di leggi speciali. Quindi l'ordinamento giuridico, in questo modo, diventa una molecola estremamente complessa, al punto tale che oggi alcune materie sono completamente decodificate (cioè sono completamente esterne al Codice). Il Codice rimane al centro di questo sistema e ci dà le categorie generali. La prima preoccupazione dei Codici civili a partire dal 1804 fino ad oggi: definire i soggetti del diritto, quelli che si vedono, le persone fisiche. Questo viene fatto nel primo dei sei libri del Codice civile. Il Codice civile ha l'esigenza di collocare l'individuo nella storia, cioè di qualificarlo giuridicamente, e l'approccio che il legislatore adotta è quelli di dire che l'individuo vive sull'asse del tempo e anche sull'asse dello spazio. Sull'asse del tempo l'individuo ha un inizio e una fine, l'inizio è dato da un fatto naturale, il fatto nascita, e la fine avviene con un fatto naturale che è il fatto morte, in mezzo c'è la vita. ![](media/image4.png) L'*evento nascita*: quando l'individuo nasce, è vitale, la norma giuridica prevede una conseguenza che è scritta nell'Art. 1 del Codice civile e dice che quando l'individuo nasce acquista la CAPACITÀ GIURIDICA generale, cioè l'evento nascita produce nel mondo del diritto l'effetto che quell'individuo, che è nato in carne e ossa nel mondo reale, esiste anche per la realtà giuridica; questo per effetto di questo automatismo: la nascita dell'individuo vitale produce la capacità giuridica. La capacità giuridica è la capacità che l'individuo ha di essere il centro di imputazione di diritti e di obblighi; infatti, quando si nasce automaticamente si hanno una serie di diritti e di obblighi. La capacità giuridica generale viene data dallo Stato, perché si nasce oltre che in un certo momento della storia anche in un certo luogo dello spazio. Ci sono delle coordinate spazio-temporali che mi identificano, quindi è l'ordinamento del luogo in cui si nasce che viene poi applicato. Se non ci fosse questa automatica attribuzione avremmo nel mondo reale un'entità, un corpo, che però non esiste per il diritto e questa è una cosa brutta perché non saremmo tutelati come individui. Ci sono state epoche storiche in cui la capacità giuridica veniva tolta; nella nostra Costituzione (1948) c'è scritto all'Art. 22: nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome. Il nome è attribuito per diritto alla nascita, è obbligo dei genitori appena il bimbo nasce andare dall'officiale dello Stato civile a dichiararne la nascita, il nome e i genitori. La cittadinanza è importante per il diritto dell'impresa perché si porta con sé l'applicazione di una certa serie di regole, molte delle quali interessano allo Stato. Tutti gli Stati prevedono che quando si nasce, intanto si ha la capacità giuridica generale, qualche volta come espressione della capacità giuridica generale si ha la cittadinanza, ovvero lo status giuridico che lega a uno Stato; non è sempre l'effetto automatico della nascita e non è sempre una conseguenza automatica della capacità giuridica, perché ci sono alcuni Stati che per effetto della nascita in un determinato punto dello spazio attribuiscono la cittadinanza in quel Paese e altri no. Lo Ius Soli è una regola che alcuni Paesi hanno in base alla quale la nascita su quel territorio produce automaticamente l'attribuzione della cittadinanza di quel territorio. La stessa fattispecie nascita può essere qualificata in modo diverso; qualche volta può essere qualificata in modo contrastante e quindi ci sono le norme del diritto internazionale privato, sono le norme di conflitto che risolvono questi conflitti della legge nello spazio perché nello stesso spazio si applicano due norme incompatibili tra di loro. La cittadinanza come status è un livello ulteriore di arricchimento della capacità giuridica per cui si hanno altri diritti e altri doveri. La cittadinanza non può essere persa, così come non si perde la capacità giuridica (quindi si esiste per il diritto fin tanto che si è vitali) e non si perde il nome. C'è un po' di rumore attorno all'evento nascita e all'evento morte: per aver i diritti devo proprio aspettare di essere nato? Dal concepimento alla nascita esisto? Il Codice (Art. 1) ad oggi afferma che dal concepimento all'evento nascita l'embrione può essere destinatario di attribuzioni patrimoniali, però gli effetti di quella attribuzione sono subordinati all'evento nascita. L'evento morte, invece, ha un effetto dal punto di vista naturale perché l'individuo cessa di vivere e dal punto di vista giuridico si estingue come soggetto di diritto, quindi non c'è più la capacità giuridica. Però c'è un problema: quando la persona si estingue che ne è di tutte le vicende di cui la persona era partecipe? L'estinzione della persona fisica dal punto di vista giuridico impone tutta una serie di risposte. Tutti gli ordinamenti del mondo per effetto della morte danno vita al fenomeno della successione (secondo libro del Codice): il tema è come si gestiscono i beni dell'individuo quando questo non c'è più. Le norma sulla successione rispondono a questo problema e si preoccupano anche di stabilire sulla base del principio della continuità delle successioni chi è che si deve fare carico della ricchezza quando l'individuo non c'è più; queste svolgono una funzione economica importante, anche perché ci sono dei beni che sopravvivono alla vita dell'individuo. C'è una grossa questione per il diritto dell'impresa, perché il nostro diritto dell'impresa è difettoso: la fa semplice perché nella società post-bellica (nel 1942) l'idea era ancora quella che i figli facessero quello che faceva il padre, ma se l'erede non è in grado c'è il problema di perdita di efficienza. Un effetto normale della successione è il frazionamento della proprietà: il bene che la persona detiene a titolo individuale, nel momento in cui diventa oggetto di una vicenda successoria si divide tra gli eredi; se non si lascia scritto nulla, la regola in materia di tutti i diritti della proprietà è delle quote uguali. Il meccanismo successorio è un meccanismo profondamente ingiusto dal punto di vista giuridico ed economico. I beni che cadono in successione sono soggetti a tassazione che alimenta l'effetto ridistributivo, ovvero l'idea che la ricchezza debba essere in qualche modo ridistribuita. Però le regole della successione con riferimento queste situazioni, come l'impresa, quando non c'è garanzia idi continuità sono molto inefficienti, perché se ci sono eredi l'effetto minimo che ci si aspetta è la co-proprietà dell'impresa. Anche il tema della morte è teoricamente un tema digitale: 1-0, prima c'è e poi non c'è, ma ci sono delle situazioni in cui in realtà anche solo per un periodo minimo di tempo non è né 1 né 0. Il Codice civile disciplina delle situazioni che sono di assenza, scomparsa e morte presunta: quando un soggetto non è più comparsa nel suo domicilio per un po' tempo si può dichiarare l'assenza, se passa ancora un po' più di tempo si dichiara la scomparsa, passano dieci anni e si parla di morte presunta, che fa scattare il meccanismo della successione; però se l'individuo torna viene reimmesso nella proprietà dei beni. Quindi, anche rispetto all'evento morte ci sono delle situazioni un po' prima della morte e un po' dopo la morte che creano problemi e quindi il legislatore deve dire che cosa succede in quei casi. Il nostro Codice dice che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita, i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all\'evento della nascita. I diritti e i beni dell'individuo che ha capacità giuridica vanno all'interno di un contenitore ideale che chiamiamo patrimonio, questo è quindi l'insieme di tutte le poste attive e passive dell'individuo. In realtà, il patrimonio è una figura ideale, i beni restano dove stanno, nel patrimonio si ha il diritto su quei beni. Nel patrimonio ci stanno anche i diritti della personalità che non riguardano i beni ma l'individuo stesso. E quando la capacità giuridica cessa il tema successorio è un tema di successione del patrimonio. Il problema dell'individuo che nasce e della capacità giuridica non riguarda solo l'avere questi diritti, ma c'è anche un tema di esercizio, ovvero di come gestirli. All'interno della vicenda temporale vita i legislatori presumono che per un certo periodo di tempo, bensì l'individuo sia riconosciuto come soggetto di diritto, in realtà non abbia la maturità per prendere alcune decisioni che servono per esercitare consapevolmente i diritti. Il legislatore presume che l'evoluzione psico-fisica normale faccia sì che l'individuo a un certo punto del tempo abbia raggiunto la maturazione e quindi in quel momento sia capace non solo di essere titolare dei diritti ma anche di esercitarli, soprattutto i diritti a contenuto patrimoniale. Convenzionalmente il legislatore dice che al compimento del diciottesimo anno l'individuo che ha avuto un decorso psico-fisico normale acquista la capacità di agire, ovvero la capacità di disporre validamente del proprio patrimonio ed è stabilita dal legislatore convenzionalmente ai 18 anni. Art. 2: la maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno, con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per il quale non sia stabilita un'età diversa. Dagli 0 ai 18 anni il Codice dice che gli atti che sono stati compiuti restano validi nella misura in cui non si è andati ad incidere in maniera pesante sul patrimonio. Però ci sono situazioni nelle quali, nonostante il compimento del diciottesimo anno, l'individuo non è maturo abbastanza per compiere validamente attività giuridica. La grande questione è: l'individuo che ha compiuto 18 anni ma non ha la maturità psico-fisica perché è menomato, cosa si fa? Chi compie l'attività giuridica per il soggetto che ha capacità giuridica ma non ha ancora la capacità di agire? Che cosa succede al soggetto che, come entità psico-fisica, ha raggiunto il diciottesimo anno di età, ma a quel raggiungimento non corrisponde la maturità che normalmente consegue un individuo? Da 0 a 18 anni, il minore di età è incapace di agire; questa è un'incapacità normale anche se non è naturale, che viene stabilita dal legislatore ed è stabilita come incapacità di protezione: si vuole proteggere il minore da decisioni che potrebbe prendere ma che non sarebbe in grado di valutare fino in fondo per esempio rispetto alle conseguenze. Dal punto di vista giuridico bisogna trovare qualcuno, che ha la maturità psico-fisica, che si sostituisce al minore nel prendere decisioni nell'interesse del minore e questo qualcuno normalmente è un rappresentante legale che normalmente sono i genitori o chi ne fa le veci. I genitori hanno un potere giuridico, potestà genitoriale, che consente loro di sostituirsi al minore nel compimento di tutte quelle attività che il minore non può fare fin tanto che non raggiunge il diciottesimo anno di età e acquisisce la capacità di agire. L'incapacità del minore è accompagnata al potere di rappresentanza, di sostituzione, che deriva dalla legge ed è normalmente attribuita ai genitori o altri. Il tribunale dei minori può togliere la rappresentanza al genitore e attribuirla ad altri. Al compimento del diciottesimo anno d'età, l'individuo può fare quello che vuole, sempre a condizione che sia maturato in maniera psico-fisica normale. Se così non fosse, il legislatore prevede delle ipotesi di incapacità speciale, ovvero situazioni particolari in cui si prevede che l'individuo ormai diciottenne non potendo svolgere attività giuridica consapevolmente è sostituito oppure aiutato da qualcuno. Sono incapacità speciali di protezione anch'esse e si chiamano speciali perché riguardano un individuo che di per sé ha compiuto il diciottesimo anno di età. Le cause che escludono la maturità psico-fisica possono preesistere al compimento del diciottesimo anno di età, ma possono verificarsi anche molto in là negli anni. Sono situazioni molto delicate perché di fatto si tratta di privare o limitare fortemente un individuo della capacità di agire. Ma cosa succede se l'individuo non è d'accordo? Tutte le decisioni sullo status delle persone devono essere prese dal giudice con sentenze e quindi ci deve essere un contraddittorio, cioè ci deve essere un momento in cui il giudice anche con l'aiuto di esperti cerca di capire se davvero la persona è incapace di provvedere a se stessa o se invece è tutta una messinscena. Le incapacità di protezione danno vita a tre situazioni particolari che il Codice disciplina in maniera molto dettagliata perché si tratta di situazioni gravi (inizialmente ce n'erano solo due e da qualche anno il legislatore ne ha introdotta una terza): 1. la prima situazione di protezione è quella più pesante perché è la situazione nella quale il soggetto viene completamente privato della capacità di agire e quindi si pone il problema di come fargli compiere l'attività giuridica se non può. Qui il legislatore introduce quindi la situazione di interdizione, che è la forma più grave e invasiva di privazione della capacità di agire ed è quella in cui l'individuo è in tutto e per tutto sostituito da un rappresentante legale che in questo caso si chiama tutore. Il soggetto interdetto si vede nominato un tutore. L'interdizione passa per una decisione di un giudice. Il Codice dice all'Art. 414: il maggiore di età e il minore emancipato (soggetto che è stato autorizzato a contrarre matrimonio tra i 16 e i 18 anni) i quali si trovano in condizioni di abituale di infermità di mente, che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione. Queste sono cause tassative, la persona è interdetta quando ricorrono queste fattispecie. I genitori o le persone che seguono questi individui possono andare dal giudice tutelare e chiedere l'interdizione. L'effetto dell'interdizione è la creazione dello status di soggetto interdetto e siccome è un'incapacità di protezione questa deve essere resa pubblica attraverso la pubblicazione della sentenza di interdizione negli atti dello Stato civile, all'anagrafe (ufficio amministrativo che sostanzialmente traccia la nostra esistenza). Il tutore è un rappresentante legale, ovvero un soggetto che si sostituisce in tutto e per tutto al soggetto interdetto nel compimento dell'attività giuridica. 2. se la gravità delle difficoltà psico-fisiche cognitive non è tale da giustificare l'interdizione, il legislatore introduce l'istituto dell'inabilitazione: il maggiore di età, il fermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far muovere l'interdizione può essere inabilitato, oppure coloro che per prodigalità, abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti espongono se stessi o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici possono essere inabilitati. E poi c'è una terza categoria, il legislatore dice che infine possono essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia se non hanno ricevuto un'educazione sufficiente, ma se sanno provvedere a se stessi non c'è motivo di inabilitarli. L'inabilitazione prevede che se il soggetto è in grado di rendersi conto del significato di alcune attività gliele si lascia fare, gli si sottrae la capacità di agire limitatamente agli atti di straordinaria amministrazione. Gli atti di ordinaria amministrazione li può fare da solo, mentre gli atti di straordinaria amministrazione li deve fare insieme (quindi è coadiuvato) a un'altra figura che non è il tutore, ma il curatore. Il curatore non si sostituisce, ma si aggiunge all'individuo nel compimento dell'attività giuridica. Un atto di straordinaria amministrazione è un atto che è capace di alterare significativamente la consistenza patrimoniale. La conseguenza dell'interdizione e dell'inabilitazione si vede sullo status e sugli atti che compie l'individuo. Lo status di interdetto e inabilitato non è permanente, se migliora la condizione psico-fisica il provvedimento può essere rimosso. L'individuo interdetto non può esercitare attività d'impresa perché non può compiere nessuno degli atti che servono per esercitare un'impresa. Il Codice all'Art. 425 dice: l'inabilitato può continuare l'esercizio dell'impresa commerciale soltanto se è autorizzato dal tribunale sul parere del giudice tutelare, l'autorizzazione può essere subordinata alla nomina di un institore. Quest'ultimo è un rappresentante dell'imprenditore, è il suo altr'ego. 3. la terza situazione è stata introdotta qualche anno fa perché si è ritenuto che da una parte l'interdizione fosse una misura troppo drastica, alle volte lesiva della dignità delle persone, e dall'altra l'inabilitazione non prevedeva tutta una serie di situazioni nelle quali l'individuo aveva bisogno di aiuto nel compimento dell'attività giuridica. Allora il legislatore ha introdotto una forma che chiamiamo amministrazione di sostegno (A.D.S.). Questa non è una situazione di protezione che ha presupposti diversi dall'interdizione e dall'inabilitazione, una persona che prima poteva essere interdetta oggi può essere soggetta all'amministrazione di sostegno. Il Codice dice che la persona che per effetto di infermità, ovvero una menomazione fisica o psichica, si torva nell'impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi può essere assistita da un amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare nel luogo in cui esso ha la residenza. L'amministrazione di sostegno è una misura più umana di aiuto dell'individuo che può anche essere richiesta dall'individuo stesso e che ha dei presupposti uguali a quelli dell'interdizione e dell'inabilitazione, ma ha anche altri presupposti. Parliamo di [attributi], ovvero la dimensione non spaziale e non fisica dell'individuo. Da quando esistono gli Stati moderni, gli Stati sono molto gelosi della sovranità territoriale, cioè gli Stati tendono a riconnettere la sovranità al territorio; quindi, il confine geografico dello Stato è anche normalmente il confine sul quale si esercita la sovranità e quindi sul quale lo Stato pretende che le leggi dello stesso si applichino a chiunque si trovi a camminare su quel territorio. La sovranità, ovvero il fatto che uno Stato controlli un certo territorio vuol dire che su quel territorio si applicano le leggi dello Stato e questo è importante anche dal punto di vista del diritto dell'impresa. La terza dimensione che connota un individuo dal punto di vista giuridico ed è quella degli attributi, non psico-fisici, che servono a identificare la persona come tale; ad esempio, il *nome*: quando un individuo nasce ha diritto al nome, lo dice l'Art. 6 che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito (questo vuol dire che chi esercita la rappresentanza deve attribuire il nome all'individuo, lo deve comunicare all'ufficio dello Stato civile perché quell'individuo che è appena nato deve essere identificato). Il Codice dice che nono sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome se non nei casi con le formalità previste dalla legge. Il nome è un diritto della personalità, diritto che rientra nel patrimonio dell'individuo, che identifica l'individuo e solo quello, per ragioni economiche e non solo; quindi, il legislatore prevede delle forme di tutela. La legge dice che lo pseudonimo, usato da una persona in modo che abbia acquistato l'importanza di un nome, può essere tutelato esattamente come il nome; quindi, sia il nome che lo pseudonimo sono parte dei diritti della personalità e sono tutelati. Questi sono diritti della personalità, si dice che sono diritti assoluti, sono quei diritti che appartengono all'individuo e che infatti pur essendo parte del patrimonio dell'individuo in qualche modo con l'evento morte vengono depotenziati, proprio perché non possono più essere esercitati dall'individuo. Le aggressioni che si possono subire al nome sono sostanzialmente due: mi viene contestato il diritto al nome e l'usurpazione (ovvero mi viene tolto illegittimamente il nome). Il Codice dice: la persona alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne facciano può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo risarcimento del danno. Conto la lesione del diritto al nome ci sono due rimedi: l'ordine che il giudice emana di cessazione del fatto lesivo (quella che si chiama una inibitoria, cioè il giudice inibisce alla parte di contestare l'utilizzo del nome o di usurpare il nome di qualcun'altro) e il risarcimento dei danni. Il Codice dice anche che si può chiedere che sia pubblicata su uno o più giornali la sentenza. Le ipotesi di contestazione più frequenti sono: marito e moglie divorziano, la moglie era nobile e il marito va ancora in giro dichiarando il cognome della moglie; le fattispecie di usurpazione sono quelle in cui il nome che io usurpo, che indebitamente utilizzo, è il nome di qualcuno famoso per avere dei vantaggi. Questo è molto importante nel mondo dell'impresa, soprattutto all'interno di certe imprese, perché nel mondo della moda chiamarsi in un certo modo è rilevante. Qualche volta, oltre alla contestazione e all'usurpazione, c'è un tipo di concorrenza sleale che si chiama concorrenza sleale per confusione. Quindi, le fattispecie di usurpazione e di contestazione del nome sottendono spesso un significato valore commerciale, soprattutto lo pseudonimo, il nome associato a una fattispecie commerciale che oggi noi conosciamo come merchandising. Quando c'è usurpazione e contestazione, l'azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia la tutela del nome o un interesse fondato su ragioni familiari degne di essere protette. Il nome è quindi il primo attributo rilevante. L'*immagine* è il secondo attributo piuttosto rilevante. Poi c'è tutto il discorso sui dati personali, che sono una nozione che si espande a dismisura, perché diventano dati personali anche le informazioni di geolocalizzazione; quindi, non un attributo della prima persona, ma un dato di localizzazione spazio-temporale. Questo è un diritto della personalità, ma non è un attributo della persona. L'immagine, invece, è un attributo della persona, è come una persona appare. Il legislatore dice che qualora l'immagine di una persona, dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è consentita dalla legge, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa, l'autorità giudiziaria può predisporre l'inibitoria o il risarcimento dei danni. Quindi, il legislatore si preoccupa del fatto che qualcuno prenda l'immagine di qualcun altro e la esponga o la pubblichi o la utilizzi con pregiudizio al decoro o alla reputazione. Sui diritti della personalità esiste un controllo da parte del titolare che non è un controllo in cui si può dire di essere proprietari della propria immagine, però la relazione tre noi e il nostro nome, noi e la nostra immagine, noi e il nostro dato personale, noi e la nostra voce è una relazione talmente forte che l'utilizzo da parte di terzi presuppone quasi sempre l'utilizzo dell'interessato. Se non c'è il consenso dell'interessato o addirittura c'è un utilizzo che pregiudica l'onore e la reputazione la legge dà un rimedio molto forte perché l'interessato può bloccare gli altri e chiedere un risarcimento del danno. Però qua c'è un problema: questi elementi identificativi dell'individuo, sia il nome che l'immagine, possono e qualche volta devono essere usati nelle normali attività che facciamo, ci sono contesti in cui devono essere utilizzati. Il Codice dice che l'immagine degli altri non si può utilizzare se dall'utilizzo ne deriva un pregiudizio all'onore e al decoro, ma in tutti gli altri casi? In tutti gli altri casi c'è un problema di contemperamento degli interessi perché alle volte utilizzare il nome e l'immagine di un individuo serve per svolgere una funzione pubblica, alle volte anche per svolgere una funzione commerciale. Allora qui si deve attingere dal Codice civile e c'è una legge in Italia che è la legge sul diritto d'autore (vecchia legge 633 del 1941) che agli articoli 96-97-98 si occupa esattamente di questi aspetti, ovvero dei diritti relativi al ritratto. Il Codice dice che sull'immagine l'individuo ha un diritto alla personalità e qualora l'immagine sia stata esposta o pubblicata fuori dai casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è consentita dalla legge, l'immagine non può essere utilizzata; ma quali sono questi casi, cioè il Codice lascia presumere che ci siano dei casi in cui l'immagine possa essere utilizzata. Quindi guardiamo la legge sul diritto d'autore che all'Art. 96 dice: il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa; quindi, l'utilizzo dell'immagine altrui presuppone il consenso. L'Art. 97 dice: non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico ricoperto, da necessità di giustizia o polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico; il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio quando l'esposizione o la messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione o al decoro della persona ritrattata. Queste norme, come tutte le norme giuridiche, risolvono un conflitto di interessi tra l'interesse di chi vuole divulgare e far circolare alcune immagini e chi invece vorrebbe tenere per sé gli attributi della personalità. Normalmente il conflitto non c'è se non quando l'attributo della personalità assume un valore economico. Il Codice dice: salvo patto contrario, il ritratto fotografico esibito su commissione può, dalla persona fotografata o dai suoi successori aventi causa, essere pubblicato o riprodotto o essere fatto riprodurre senza il consenso del fotografo, salvo pagamento a favore di quest'ultimo non equo corrispettivo per chi utilizza commercialmente l'immagine. Quindi, il fotografo non si può opporre alla pubblicazione del suo lavoro, salvo patto contrario, ma quando il suo lavoro viene venduto il fotografo ha diritto a un equo corrispettivo, cioè partecipa del successo commerciale di quel ritratto che ha fatto. Il Codice dice: gli attributi della personalità, tra cui il diritto dell'immagine, sono tendenzialmente soggetti al consenso della persona ritrattata (del titolare dell'immagine), in alcune circostanze l'utilizzo dell'immagine è consentito salvo che questo non produca un pregiudizio al decoro della persona. La tutela naturalmente consiste nel fatto che l'individuo o i parenti si possono rivolgere al giudice e chiedere due forme di tutela: l'inibitoria e il risarcimento del danno. La cosa interessante è: come si fa a quantificare il danno per violazione dell'immagine altrui? Rispetto ai diritti della personalità, c'è tutta la questione della tutela dei dati personali perché l'identità personale è una nozione più ampia che ricomprende il nome e l'immagine, ma non si esaurisce con questi, soprattutto da quando le norme europee hanno ampliato la nozione di dato personale: è dato personale qualsiasi informazione che consente di identificare un individuo. Il problema dell'identità personale è un po' come quello del nome e dell'immagine, che alcune attività umane, comprese quelle commerciali, presuppongono l'utilizzo dei dati personali e alcune attività non sarebbero tecnicamente possibili se si dovesse chiedere il consenso a tutti coloro che sono portatori di interesse. L'evento *morte* in base al diritto produce una conseguenza giuridica: l'apertura della successione. La successione è una vicenda complessa in cui il legislatore si preoccupa di far sì che nei limiti del possibile ci sia la continuità dei patrimoni, cioè che per nemmeno un istante il patrimonio del soggetto defunto (de cuius) rimanga senza un titolare. Però non è sempre facile stabilire chi sia il titolare. Il problema è quindi l'individuazione dei successibili (i soggetti che succedono) e delle modalità con le quali questi soggetti diventano da successibili a successori e infine eredi. Il problema della successione è un problema di conseguenza, cioè nel momento in cui riconosco che un individuo ha un patrimonio, devo stabilire come questi beni, queste vicende passano e il legislatore italiano, così come molti altri, dice che passano in due modi, la successione avviene in due modi: o è una successione testamentaria oppure è una successione legale senza che il de cuius abbia disposto. La libertà testamentaria, cioè la libertà di fare testamento, è una conseguenza del diritto di proprietà: se sono proprietario, benché la morte estingua il diritto di proprietà perché estingue la persona, in realtà mi mette nella condizione un po' prima della morte di decidere a chi andranno i miei beni. La libertà testamentaria ha una funzione di efficienza economica: se io non potessi disporre dei miei beni che interesse avrei alla generazione del valore aggiunto, cioè se sapessi che dopo tutto il lavoro che ho fatto per una vita i miei eredi non ne possono usufruire, non avrei un incentivo a mantenere un'efficienza. Lo Stato vuole che l'individuo responsabilmente continui a mantenere l'efficienza dell'impresa e quindi, insieme al diritto di proprietà, dice che in base allo stesso potere si può disporre con un atto che si chiama di ultima volontà dei beni. Naturalmente nella misura in cui è riconosciuta la libertà testamentaria l'individuo può disporre di tutti i beni che ha, ovvero di quello che si chiama asse ereditario, ma di alcune cose non può disporre, come ad esempio dei diritti personalissimi della persona perché questi si estinguono con lui. Il legislatore dice che se c'è un testamento, la successione si apre secondo le regole del testamento e quindi bisogna fare quello che il de cuius ha scritto. Il legislatore dice che la libertà testamentaria si estrinseca anche nel prevedere cose non strettamente patrimoniali. Se il de cuius non ha fatto testamento, si è dimenticato o non ha potuto si apre la successione secondo le regole del Codice civile: regole della successione legittima. Queste si applicano anche se il de cuius non ha disposto di tutti i suoi beni oppure se il testamento è invalido, perché essendo un atto di ultima volontà deve essere fatto con certe caratteristiche. Le regole della successione legittima, così come il testamento, mirano a identificare prima di tutto chi sono gli eredi. Gli eredi sono i continuatori della personalità del de cuius, cioè quelli che subentrano nella titolarità dei diritti e dei beni del de cuius al netto dei diritti della personalità. Gli eredi sono coloro che subentreranno in tutto o in parte nella titolarità dei diritti. Il principio che si applica alla successione testamentaria e legittima è quello secondo cui il testatore è libero di lasciare i beni, ma nessuno può essere diventare creditore o debitore, proprietario di nulla se non ha prestato il consenso. Questo significa che il soggetto identificato dalla legge o dal testamento come successore diventa erede solo se accetta. C'è anche l'accettazione per fatti concludenti, cioè non ho mai detto al notaio che volevo accettare quei beni, però ne ho preso possesso. Quindi, l'accettazione può essere espressa o implicita. L'accettazione serve perché nel patrimonio del de cuius non ci sono necessariamente solo crediti e beni, ma potrebbero esserci anche dei debiti, degli oneri o degli obblighi; quindi, nella misura in cui questi incidono sul mio patrimonio devo poter esprimere il mio consenso. Se sono interdetto deve accettare per me il tutore, se sono inabilitato insieme a me all'accettazione viene il curatore e se c'è un amministratore di sostegno, questo si deve attenere a quanto c'è scritto nel decreto di nomina, perché l'accettazione dell'eredità è un atto di straordinaria amministrazione. La legge non ammette che ci sia incertezza sulla titolarità dei beni, tanto è vero che dal momento in cui si apre la successione al momento dell'accettazione c'è un momento di incertezza in cui i beni potrebbero andare all'uno o all'altro e c'è un fenomeno di eredità giacente: è un patrimonio che non ha titolare, perché si sta decidendo chi sia questo titolare. L'accettazione ha effetto retroattivo proprio perché non è ammessa questa situazione di incertezza. L'accettazione dell'eredità è una vicenda di successione patrimoniale, l'effetto è la confusione dei patrimoni ovvero che i due patrimoni si fondono e quelli che erano i crediti, i beni, i debiti, le obbligazioni del de cuius diventano beni, crediti, debiti, obbligazioni dell'erede; l'erede che accetta accetta tutto. Quindi, deve pagare i debiti e se i debiti eccedono i crediti, se le poste passive del patrimonio del de cuius eccedono le poste attive del patrimonio del de cuius nel momento in cui i patrimoni si fondono l'erede paga con i suoi beni. Le conseguenze dell'accettazione sono serie, tanto è vero che il legislatore consente una terza forma di accettazione: l'accettazione esplicita con beneficio di inventario, cioè l'accettazione che si fa dal notaio si fa dopo che si è fatto un inventario dei beni del de cuius. Questo consiste nel censire le poste attive e passive del patrimonio, il notaio fa l'inventario e il chiamato all'eredità accetta con beneficio di inventario, ovvero che i patrimoni non si mischiano; quindi, pagati tutti i debiti, se resta dell'attivo se lo prende l'erede, se vanno in pari non prende nulla, se eccedono i debiti questi non vengono pagati dall'erede. Questa è un'accettazione a responsabilità limitata, perché impedendo la fusione dei patrimoni impedisce che l'erede debba pagare i debiti, però proprio perché il creditore del de cuius ci rimette deve essere fatto secondo le regole previste dal Codice. Se non ci fosse questa possibilità di accettazione probabilmente molti eredi non accetterebbero. Se non si trovano successibili allora l'ultimo erede è lo Stato, che però eredita solo le poste attive. Ovviamente è molto complicato fare l'inventario quando il soggetto aveva interessi in più Paesi ed è per questo che molte volte la vicenda successoria si apre nel testamento con la nomina di un curatore, un esecutore testamentario. Naturalmente il testamento è un atto di ultima volontà, quindi fino all'ultimo il testatore lo può essere cambiare. La vicenda successoria si chiude quando è stato identificato l'erede perché con l'accettazione si saldano i patrimoni e non c'è più nessuna situazione di incertezza. Rispetto ai rapporti d'impresa, il tema della continuità si pone quando muore l'imprenditore individuale, cioè l'imprenditore che esercita l'attività d'impresa a titolo personale. Il problema della successione non si pone negli stessi termini quando l'attività d'impresa è svolta in forma organizzata, cioè quando per efficientare l'esercizio dell'impresa si è costituita un'entità giuridica (per esempio una società per azioni). L'attività commerciale prosegue attraverso la società, che non si estingue se muoiono i soci; le quote o azioni sono invece oggetto di successione. Quindi, quando l'attività d'impresa è esercitata in forma organizzata, la forma organizzata in qualche modo rende efficiente anche il fenomeno della successione, perché quanto meno l'impresa non si pianta, però nella misura in cui diventano oggetto di successione le quote di proprietà, la proprietà si frammenta. La successione legittima dice chi prende le quote e non chi prende le decisioni. La libertà testamentaria in realtà incontra un limite: non è più possibile da noi la diseredazione perché alcune categorie di successibili sono protetti dalla legge attraverso il meccanismo della successione necessaria, che è data da quell'insieme di norme che dicono quale parte dell'eredità è sottratta alla volontà del tastatore (i figli sono successori necessari). **3° LEZIONE** La CAPACITA' DI AGIRE ci serve come soggetti per poter disporre dei diritti ai quali siamo titolati a partire dal momento della nascita però non siamo maturi abbastanza; il nostro ordinamento giuridico dice che al diciottesimo anno di vita si può disporre anche della capacità di agire. Questo sparti acque tra il prima e il dopo è concepito dal legislatore in maniera molto digitale: prima se capace, dopo sei capace. Esistono poi le incapacità speciali, ovvero delle situazioni di fatto della vita reale in cui l'individuo ha compiuto i 18 anni e non di meno non è capace di intendere e volere perché il processo di evoluzione psico-fisico è tale per cui l'individuo non è in grado di provvedere a se stesso. Per proteggerlo, si prende atto di questa sua incapacità e questo fa sì che l'individuo passi in una condizione di incapacità speciale; gli strumenti di protezione funzionano anche se l'incapacità subentra in un momento successivo. Il nostro Codice civile si preoccupa anche di tutti i soggetti che pur avendo compiuto 18 anni, pur avendo perfette capacità psico-fisiche, si trovano per una situazione transitoria a perdere la capacità di intendere e volere. In questa situazione può versare chiunque e la legge se ne preoccupa (Art. 428): gli atti compiuti da persona (in senso fisico, non giuridico) che sebbene non interdetta si provi essere stata per qualsiasi causa anche transitoria incapace di intendere e di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, questi possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi cause. Il principio è che l'attività è annullabile perché l'ordinamento non vuole che ci siano esternalità negative, ovvero non vuole che si verifichino situazioni in cui c'è un disequilibrio. L'individuo che fa scelte ha scelte che producono conseguenze sulla libertà personale, sul proprio patrimonio; fa scelte che hanno delle conseguenze se l'individuo è consapevole e in grado di rendersi conto del significato di quell'atto e delle conseguenze di quell'atto. Il legislatore dice che se in quel momento non c'è capacità di intendere e volere l'attività può essere posta nel nulla, cancellata. Però l'altra parte che ha fatto con me l'attività giuridica, che potrebbe conoscere o no il mio stato di transitoria incapacità, deve subire la mia decisione? Il contratto verrà annullato o bisogna contemperare gli interessi? Qui c'è il concetto di affidamento: noi siamo soggetti relazionati e tutela dell'affidamento vuol dire che l'altra parte è tutelata, cioè quanto meno è presa in considerazione nella misura in cui si è affidata, ha avuto fiducia, in me. Il diritto tutela l'affidamento, nel senso che tutela l'altra parte che si è affidata, però quasi per definizione affidamento vuol dire che tu puoi essere tutelato se non ti rendi conto che l'altra parte era in una condizione subnormale; sei tutelato se non te ne rendi conto. Se l'altra parte non lo sapeva e non avrebbe nemmeno potuto rendersene conto si dice che era in buona fede in senso soggettivo, cioè ignoranza di ledere un diritto altrui. L'affidamento, quindi, presuppone l'inconsapevolezza dalla parte che si è affidata in situazioni di subnormalità. Se manca la buona fede in senso soggettivo, se non c'è inconsapevolezza, bisogna distinguere due situazioni: - la parte che si è affidata ha ricevuto un beneficio netto, cioè ha ricevuto qualcosa e non ha dato nulla in cambio; l'atto di cui è beneficiaria è un atto a titolo gratuito e non comporta un sacrificio patrimoniale - il soggetto che ha fatto affidamento come corrispettivo di quello che ha ricevuto dà qualcosa in cambio, quindi non è una donazione ma un compra vendita. L'Art. 428 e i commi che seguono dicono: l'annullamento del contratto, cioè il fatto che chi versasse in questa situazione temporanea di incapacità di intendere e di volere pretenda di cancellare tutto come se niente fosse, incontra l'interesse dell'altra parte; la condizione minima perché l'interesse dell'altra parte sia tutelato è che questa fosse in buona fede, cioè che si fosse affidata, perché se l'altra parte aveva capito tutto e ne ha approfittato allora vince chi vuole cancellare tutto. Questa è la condizione minima, necessaria ma non sufficiente perché la legge dice: se quel soggetto che si è fidato, si è fidato e ha ricevuto qualcosa in dono senza dare nulla in cambio, non è che se si cancella l'attività subisce un danno; nel riportare sulla curva di indifferenza chi ha fatto la donazione l'altra parte non peggiora. Quindi, gli atti verso la parte che si è affidata ma che sono a titolo gratuito possono essere annullati; nel bilanciamento s'interessi tra chi dona e chi riceve, quando chi riceve è in buona fede, prevale chi dona. Non si può chiedere l'annullamento dell'attività se l'altra parte oltre a essere in buona fede ha subito un sacrificio patrimoniale, perché vuol dire che il soggetto danneggiato in realtà qualcosa in cambio l'ha ricevuto, quindi cancellare del tutto l'atto in realtà vuol dire proteggerlo troppo rispetto al fatto che l'attività, benché ci sia stata, non lo ha danneggiato del tutto. Il legislatore dice che: gli atti compiuti da persona, che sebbene non interdetta, si trovi ad essere stata per qualsiasi causa anche transitoria incapace di intendere o volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa. Implicito di questo periodo è: se tu non chiedi l'annullamento, l'attività resta valida. Inoltre, il legislatore dice: l'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace di intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell'altro contraente. L'implicito di questa norma è che se l'altra parte è in buona fede e c'è stato un sacrificio in capo all'altra parte, il contratto non si annulla. Il Codice dice: l\'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l\'atto o il contratto è stato compiuto; questo vuol dire che il soggetto che era incapace di intendere e di volere può andare dal giudice entro cinque anni, dopo i quali gli effetti di quella attività si consolidano. Parliamo sempre di soggetti, ma di [soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche]. Questi non esistono nella realtà, non li vediamo, ma per questi soggetti funziona sempre il meccanismo di qualificazione della norma cioè ci sono un insieme di norme giuridiche (scritte secondo un sistema algoritmico) che qualificano certi fatti come soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche. Il nostro legislatore dice che esistono soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche a condizione che ricorrano degli ingredienti: 1. servono degli individui, cioè servono delle persone per fare altre persone (possono essere persone fisiche o no); 2. servono delle risorse, che sono beni, ma potrebbero essere crediti o altre cose. Si mettono insieme tutta una serie di beni che formano il patrimonio (insieme delle poste attive e passive di cui si dispone); 3. serve uno scopo comune. Quindi, quando ricorrono tutta una serie di individui che hanno messo insieme una serie di risorse e hanno uno scopo comune, per il diritto c'è un soggetto di diritto che però è un soggetto di diritto distinto dagli individui che lo compongono. Questo soggetto ha una certa soggettività, cioè esiste per il diritto. Le norme giuridiche che lo Stato scrive su questo pongono qualche problema dal punto di vista in senso storico e lo vediamo perché nel nostro Codice civile i soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche non sono disciplinati tutti nello stesso posto: stanno un po' nel libro primo dove si parla delle persone e un po' nel libro quinto (il libro del lavoro) dove si parla di impresa perché è chiaro che questa forma di aggregazione è il nucleo dell'attività imprenditoriale. Quando lo scopo è a finalità lucrativa questi soggetti di diritto sono disciplinati nel Codice nella parte del diritto dell'impresa. Ci sono tutta una serie di organizzazioni, che la nostra Costituzione chiama formazioni sociali fatte da individui, che sono disciplinate nel libro primo (libro delle persone e della famiglia); qui il legislatore ci ha messo quegli enti che perseguono uno scopo ideale, non uno scopo lucrativo, cioè non vogliono fare soldi. Questi soggetti creno un problema almeno per due ragioni: - la prima riguarda il patrimonio quando si crea un soggetto di diritto diverso dagli individui si vorrebbe segregare una parte del nostro patrimonio e una parte del patrimonio degli altri (ad esempio gli associati) e renderlo strumentale non al nostro benessere individuale, ma allo scopo ideale che abbiamo dichiarato - la seconda lo scopo negli ordinamenti centralistici e a maggior ragione quelli dittatoriali (come quello del 1942), l'attività associativa per finalità ideali non è vista con molto favore perché potrebbe sottendere finalità di tipo sovversivo. Quelli che perseguono una finalità ideale sono nel libro primo. Se si guarda l'importanza che ha assunto oggi il fenomeno associativo anche dal punto di vista economico, fa stupore come nel libro primo ci siano pochissime norme che disciplinano questo fenomeno ed erano tutte ispirate all'idea del controllo per scongiurare gli effetti negativi. Quindi, tutto quello che nel 1942 è un soggetto intermedio tra il cittadino e lo Stato, a meno che non sia un'impresa, non va bene; però con due eccezioni vistosissime: - c'è un'organizzazione sulla quale poggiano anche gli Stati autoritari e questa organizzazione per quanto piccola c'è quasi sempre, noi la cimiamo *famiglia*. Infatti, il libro primo parla delle persone e delle famiglie, perché la prima aggregazione nella quale noi ci ritroviamo appena nati anche senza volerlo è la famiglia e questa è un pilastro di tutte le società più o meno organizzate e centralistiche; il diritto di famiglia disciplina tutto della famiglia. Il diritto di famiglia è importante perché il fenomeno imprenditoriale, cioè l'impresa, nella maggior parte dei casi nasce dalla famiglia e coincide con essa; quindi, ha senso disciplinare la famiglia e auspicare la stabilità della famiglia perché se questa si rompe e gestisce un'attività d'impresa è un problema - seconda ragione per la quale non si poteva completamente ignorare il fenomeno associativo è il fatto che ci sono delle associazioni che sono anche a favore del regime. Infondo il partito politico è un'associazione, è una formazione sociale; quindi, non si può disconoscere completamente il fenomeno associativo, se il fenomeno associativo è quello che in qualche modo alimenta la politica. Ecco perché nel nostro Codice civile del 1942, pur con tutta la diffidenza del caso, il nostro legislatore ha disciplinato un certo numero di soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche a scopo comune, ideale (cioè diverso da lucrativo, perché quelli con finalità lucrativa si chiamano società e stanno nel libro quinto) e questi sono tre: associazioni, fondazioni e comitati. E qui si è a lungo dibattuto e si dibatte ancora oggi: possono degli individui dare vita a un soggetto di diritto che non rientra in nessuna di queste tre categorie oppure questo è un elenco tassativo? Si fa questa domanda perché da noi vige il principio dell'autonomia negoziale, cioè i privati se non stanno perseguendo finalità contrarie all'ordinamento giuridico possono fare tutti i contratti che vogliono, tutte le forme organizzative che vogliono; quindi, purché questo scopo comune, ideale, non lucrativo, non sia anche uno scopo contrario alla legge gli individui sono liberi di costituirsi. C'è questo principio di libertà, però se si pensa che queste norme sono state scritte nel 1942, forse il legislatore pensava più a un elenco tassativo e infatti ha specificato che cosa sono, a cosa servono, come sono autorizzate. Se gli individui si incasellano in una di queste tre cose allora il legislatore è tranquillo e si risolve il problema dello scopo. Resta il primo problema legato al patrimonio perché siccome si costituiscono questi soggetti con uno scopo che deve essere perseguito, a un certo momento il soggetto di diritto diverso dalla persona fisica inizierà a funzionare secondo le regole che si sono dati. Creare soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche può essere anche uno strumento per creare delle esternalità negative, cioè produrre dei debiti che poi forse nessuno paga. Vige, nel nostro ordinamento giuridico, un principio sancito nell'Art. 2740 (libro sesto) del Codice civile il cui titolo è "responsabilità patrimoniale": il diritto dà dei poteri organizzativi, ovvero si possono creare dei soggetti di diritto, però lo si deve fare responsabilmente, cioè lo devi fare sapendo che ci sono delle conseguenze, soprattutto di tipo patrimoniale. L'Art. 2740 dice: il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. La responsabilità sussiste sempre perché il potere di fare attività giuridica ce lo si ha sempre. Ma chi è il debitore? Noi siamo costantemente debitori e creditori, nella normalità dei casi però i rapporti giuridici si risolvono perché il debitore adempie le obbligazioni che ha creato. Dal punto di vista patrimoniale ciascuno di noi è debitore e il legislatore scrive questa norma perché noi scriviamo le norme per quella parte statisticamente non irrilevante di situazioni nelle quali invece il rapporto non si estingue perché il debitore non paga. Non importa quanto grande sia il debito, tutto il tuo patrimonio presente e futuro costituisce la garanzia patrimoniale generica, cioè la garanzia che l'individuo ha qualcosa con cui è in grado di pagare i debiti. È un principio che crea in ciascuno di noi l'aspettativa di essere pagato come creditore, non esisterebbe l'impresa se non esistesse questo principio perché l'impresa non può pensare di avere le obbligazioni in cui è creditrice saldate sempre contestualmente. Non è sempre possibile estinguere un'obbligazione, c'è sempre un lasso temporale tra quando l'obbligazione nasce e quando l'obbligazione viene estinta in cui il creditore ha l'aspettativa di essere pagato e se non viene pagato vuole la garanzia che il patrimonio del debitore in qualche modo lo ripagherà. Se questo principio non ci fosse non ci sarebbe attività d'impresa, probabilmente saremmo all'epoca del baratto; noi sappiamo che il capitalismo moderno è nato quando è stata superata la logica dello scambio contestuale del baratto. Questa norma è quindi fondamentale perché dice che il creditore ha l'aspettativa di rifarsi sul patrimonio del debitore. E il Codice dice che le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. La garanzia patrimoniale generica significa che non c'è limitazione di responsabilità e tutto patrimonio indistintamente è asservito alla responsabilità del debitore. Però il legislatore dice che ci possono essere dei casi di limitazione di questo principio, ma li deve stabilire la legge (un esempio è l'accettazione con beneficio di inventario). Quindi, questo principio della responsabilità sopravvive all'individuo perché il debitore risponde con i suoi beni presenti e futuri e se il debitore muore il debito passa agli eredi. Quando si creano soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche il problema è della responsabilità patrimoniale (quello dello scopo lo abbiamo risolto). Grosso problema che i legislatori risolvono in questo modo: il soggetto di diritto ha una sua soggettività (che vuol dire che esiste ma non ha un contorno patrimoniale completamente definito e staccato da quello degli individui) e se il patrimonio dell'associazione non basta c'è quello dei singoli individui; la soggettività non arriva a creare una completa e definitiva separazione tra i patrimoni. Fino a che i patrimoni non sono completamente separati la responsabilità attraversa l'organizzazione e finisce sui patrimoni individuali. La limitazione della responsabilità consegue a un fenomeno che chiamiamo di PERSONIFICAZIONE dove alla soggettività giuridica si sostituisce la personalità giuridica. Soggettività giuridica vuol dire che l'ente che è stato creato esiste per il diritto ed esistere per il diritto vuol dire avere capacità giuridica, quindi la soggettività implica la capacità giuridica. E siccome si deve perseguire uno scopo quale che sia, la soggettività significa che l'ente ha anche capacità di agire; il problema è il filo rosso che collega la capacità di agire e la responsabilità, perché se hai la capacità di agire e contrai delle obbligazioni devi anche rispondere di queste obbligazioni. Il problema è che il filo rosso va in una direzione, cioè gli individui hanno costruito il soggetto di diritto, il soggetto di diritto ha soggettività e quindi capacità giuridica e di agire e c'è un temo di responsabilità, ovvero chi risponde adesso; il Codice dice che il viaggio di andata prevede la stessa traiettoria del viaggio di andata: prima il patrimonio dell'ente e in caso di insufficienza quello degli individui che l'hanno costituito. Però c'è questa seconda possibilità: la personificazione del soggetto di diritto, cioè a certe condizioni si possono creare soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche che sono vere e proprie persone giuridiche, in tutto e per tutto staccati dalle persone che lo costituiscono. Staccati ovvero che c'è perfetta separazione patrimoniale tra gli individui che costituiscono la persona giuridica e il patrimonio della persona giuridica. Tanto è vero che i soggetti con personalità giuridica si dice che hanno autonomia patrimoniale perfetta; perfetta vuol dire che il loro patrimonio è la garanzia patrimoniale generica dei debitori della persona giuridica e solo il patrimonio della persona giuridica risponde per i debiti della persona giuridica, non anche il patrimonio di quelli che l'hanno promossa, e siccome la separazione funziona nei due sensi i debiti degli individui non si possono pagare con il patrimonio della persona che costituiscono. Quindi, il processo di personificazione crea due soggetti che hanno vicende completamente separate anche se la struttura dell'ente associativo che consegue la personalità giuridica è sempre la stessa. Quindi, c'è una gradazione: se costruisco un soggetto di diritto che non ha la personalità giuridica, ha la soggettività e in questo caso si dice che ha un'autonomia patrimoniale imperfetta perché il patrimonio risponde ma poi risponde il patrimonio degli individui e a certe condizioni questi enti possono ottenere la personalità giuridica e l'effetto è l'autonomia patrimoniale perfetta (questo processo è uno dei casi che, nell'Art.2740 al secondo comma, è di limitazione della responsabilità). Questo vale sia per i soggetti di diritto del libro primo sia per le società del libro quinto, anzi a maggior ragione vale per l'attività d'impresa perché se gli imprenditori non potessero godere della limitazione della responsabilità tutte le volte che le cose vanno male ci rimettono i loro patrimoni. Il concetto della personalità giuridica e dell'autonomia patrimoniale perfetta non sono per nulla semplici, tanto è vero che storicamente il concetto di limitazione della responsabilità, che è nato per l'attività imprenditoriale e poi si è propagato ai soggetti non imprenditoriali, se lo sono inventato gli inglesi e gli olandesi quando facevano le Compagnie delle Indie. Le Compagnie delle Indie orientali e occidentali erano le prime società commerciali che in Olanda e in Inghilterra venivano messe in piedi per la colonizzazione dei territori delle Indie. Le prime forme di responsabilità limitata sono forme create per legge e ad hoc; quindi, passa l'idea che per ragioni di gestione del rischio patrimoniale la responsabilità possa essere limitata e nel 1600/1700 l'idea è che lo si faccia con un provvedimento della regina. La responsabilità limitata fa sì che il soggetto che finanzia l'impresa abbia la misura del rischio, quindi non è immune dal rischio ma perde capitale in una misura prevedibile. La responsabilità limitata è uno strumento di risk management perché mette l'imprenditore o il finanziatore se non coincidono nella condizione di sapere fino a che punto l'affare è rischioso. Questo principio, che si affaccia nella storia attraverso l'espediente delle Compagnie, poi diventa un principio generalmente accolto dentro le varie legislazioni e il nostro Codice lo accoglie anche per i soggetti che non svolgono finalità lucrativa ma hanno uno scopo ideale. L'invenzione della personalità giuridica la ritroviamo sia nel libro primo che nel libro quinto, sia per i soggetti che svolgono attività con finalità lucrativa (le società commerciali) sia per i soggetti che svolgono attività a scopo ideale (i 3 visti sopra). Il meccanismo di attribuzione della personalità giuridica non prevede più un provvedimento discrezionale della regina, ma è diventato un meccanismo non più arbitrario ma nemmeno automatico; non più arbitrario nel senso che le regole per l'attribuzione giuridica sono scritte, ma non automatico perché sappiamo qual è il rischio di concedere troppo facilmente la personalità giuridica. E questo meccanismo dell'attribuzione passa per un'attività piuttosto sorvegliata che chiamiamo generalmente attività di riconoscimento, lo Stato riconosce che alcuni soggetti hanno il massimo livello di separazione personale connesso al riconoscimento della personalità giuridica. Ci sono due modalità per il conseguimento della personalità giuridica che corrispondono alle due tipologie di finalità che i soggetti perseguono: - se il soggetto persegue la finalità di tipo egoistico (l'obiettivo è il lucro) il sistema di riconoscimento della personalità giuridica è di tipo normativo si consegue la personalità giuridica e quindi l'autonomia patrimoniale perfetta scegliendo uno dei tipi di organizzazione che il legislatore mette a disposizione per le società commerciali. Sistema normativo vuol dire che il legislatore individua alcune forme organizzative che se seguite esattamente nel modo in cui le ha designate danno automaticamente la responsabilità limitata e sono le società di capitali: la società a responsabilità limitata, la società per azioni e la società in accomandita per azioni. Certi altri tipi di società (società in nome collettivo, società semplice, società in accomandita semplice) hanno semplicemente la soggettività giuridica, cioè godono di una limitata separazione e questo vuol dire che il patrimonio della società risponde in prima battuta dei debiti della società, ma in caso di insufficienza subentra il patrimonio dell'imprenditore proprio perché la separatezza non si è realizzata del tutto. Ovviamente per effetto di un'attività giuridica che noi chiamiamo di trasformazione societaria, è possibile iniziare l'attività imprenditoriale come una società in nome collettivo e poi trasformarsi in una società a responsabilità limitata; il diritto delle società è scalabile, nel senso che mette nella condizione di adattare la struttura alla funzione che si vuole svolgere, più è complessa la funzione e più deve essere complessa la struttura. Proprio perché la limitazione della responsabilità è una cosa eccezionale rispetto al principio dell'Art. 2740, vuol dire che nell'attività commerciale la limitazione della responsabilità c'è solo se si sceglie una di quelle tre tipologie. - per i soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche che svolgono attività ideale il sistema per ottenere la personalità giuridica è un sistema di tipo concessorio, cioè la personalità giuridica deve essere concessa da qualcuno. Il legislatore del 1942 dice che si possono fare le associazioni, le fondazioni e i comitati e nient'altro, ma questi possono essere fatti con o senza la personalità giuridica. Quindi, con eccezione della fondazione, ci sono a disposizione per il perseguimento di scopi ideali cinque tipologie di organizzazioni, sta a voi scegliere il tipo di organizzazione che si conforma alla finalità ideale che volete perseguire e sta a voi scegliere se volete o no la personalità giuridica, cioè la limitazione della responsabilità. Il sistema concessorio significa che mi devo rivolgere a un'autorità (nel caso di enti che svolgono attività a livello nazionale è la prefettura e nel caso degli enti che svolgono attività a livello regionale è l'ufficio della regione), che deve valutare l'adeguatezza della consistenza patrimoniale dell'ente rispetto alle finalità che vuole perseguire. Il controllo oggi, in base al sistema concessorio, è quindi limitato agli aspetti patrimoniali, perché l'effetto della personalità giuridica è la separazione patrimoniale. Il disegno del legislatore del 1942 nella sua testa è chiaro: mette da una parte le forme che servono per lo svolgimento dell'attività commerciale, questi sono sei tipi: società semplice, società in accomandita semplice, società in nome collettivo, srl, spa e sapa (i primi tre sono società di persone e le altre tre sono società di capitali e quest'ultime hanno autonomia patrimoniale perfetta perché sono subito dotate della personalità giuridica, con queste si fa attività d'impresa e il legislatore è tranquillo); poi mette a disposizione tre tipologie, due delle quali hanno la variante con o senza limitazione della responsabilità, cinque tipologie complessivamente in base alle quali si possono perseguire finalità di tipo ideale (quelli che stanno nella colonna con personalità giuridica li chiamiamo enti personificati e quelli che stanno nella colonna senza personalità giuridica li chiamiamo enti non personificati). Il riconoscimento opera sul principio 2740. Nel tempo è emerso quello che noi chiamiamo il terzo settore, che è un settore diverso tra le associazioni che svolgono scopo ideale secondo uno schema tradizionale e quello imprenditoriale commerciale, il terzo settore è un'area di mezzo in cui un certo numero di soggetti svolge delle funzioni che originariamente non si era previsto che dovessero essere svolte da quei soggetti. Il legislatore aveva postulato una perfetta corrispondenza tra struttura e funzione e sopra tutto c'era lo Stato, che per lungo tempo abbiamo inteso uno Stato sociale in una società che è ancora fortemente impermeata sulla famiglia; la famiglia è generalmente estesa. Questa struttura di società è cambiata: le famiglie si sono rimpicciolite di dimensione, marito e moglie vivono in altre città rispetto ai genitori; lo Stato sociale in qualche modo si è dovuto sostituire, sono stati creati gli asili nidi, le scuole dell'infanzia, le rsa. Questo è quello che costituisce il terzo settore, cioè un settore che si affianca progressivamente e piano piano sostituisce lo Stato nella cura dell'individuo. Queste strutture svolgono attività imprenditoriale, però è un'attività imprenditoriale particolare perché si prende cura dell'individuo e il soggetto che propone questa attività imprenditoriale in realtà non sceglie di promuoverla per una finalità immediatamente lucrativa. Quindi, nei fatti questo governo di organizzazione dei rapporti sociali ha portato a un'ibridazione tra la funzione e la struttura, perché la funzione è diventata una funzione imprenditoriale mentre la struttura è rimasta sempre quella. C'è stata quindi un'ibridazione che inizialmente non era stata pensata né era concepibile. Questo fenomeno ha fatto sì che nel tempo le forme del libro primo (associazioni, fondazioni e comitati) abbiano preso ad essere utilizzate anche per lo svolgimento dell'attività d'impresa. C'è solo una cosa che resta quando la forma organizzativa a scopo ideale prende a svolgere attività di tipo imprenditoriale ed è un tratto dello scopo: l'ente che svolge attività a finalità di lucro ha uno scopo generale di tipo egoistico (il beneficio dell'attività si riverbera su chi l'ha promossa; il lucro, cioè l'avanzo della gestione ovvero l'utile, va soltanto a beneficio dei soci e promotori), mentre l'ente che svolge attività a scopo ideale ha una finalità generale di tipo sociale, altruistica (il risultato positivo non è a disposizione degli associati, ma dello scopo dell'associazione). Quando diciamo che associazioni, fondazioni e comitati non sono a scopo di lucro bisogna essere chiari sul significato perché non hanno scopo di lucro vuol dire che i promotori non fanno l'associazione per avere una gestione positiva da dividersi. Quello che è successo nel tempo è stata, soprattutto per il fenomeno associativo, un'ibridazione del tipo associativo che ha iniziato ad essere utilizzato per finalità di attività d'impresa, ma la conservazione del titolo fa sì che l'esito positivo della gestione non consenta la distribuzione degli utili a vantaggio degli associati, quindi l'utile resta assoggettato allo scopo non egoistico. Le forme possono evolvere, ma fin tanto che si conserva la finalità di tipo non lucrativo, la distribuzione degli utili è esclusa. C'è però una conseguenza: l'attività d'impresa, disciplinata nel libro quinto, si svolge oltre che con le forme che il legislatore aveva previsto, anche sulla base di certe cautele; per la parte dell'attività istituzionale dell'associazione che è attività d'impresa il fatto stesso di svolgere attività d'impresa attrae sull'associazione le norme in materia d'impresa. Nel momento in cui l'associazione svolge attività d'impresa e non riesce a saldare i debiti fallisce; la procedura di fallimento è una procedura a garanzia dell'imprenditore che è prevista per chi fa attività d'impresa. È successo anche il fenomeno opposto, nel senso che si è visto che spesso l'attività d'impresa poteva essere svolta per finalità non immediatamente lucrative, cioè la scelta del tipo era sempre determinata dalla finalità lucrativa ma l'attività svolta è un'attività che ha anche un impatto sociale; quindi, nel tempo il legislatore ha aggiunto fuori dal Codice civile il concetto di impresa sociale, questa è stata creata per la prima volta nel 2006 ed è disciplinata oggi nel decreto legislativo117 del 2017 che chiamiamo codice del terzo settore. L'impresa sociale è un'impresa che svolge attività commerciale ma in settori che vanno a beneficio di interessi che non sono solo quelli dei soci. La norma dice che possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati se svolgono in linea principale e stabile un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità ciniche, solidaristiche e di utilità sociale. Il massimo dell'evoluzione si è avuto con le fondazioni. Una fondazione è un patrimonio destinato ad uno scopo tecnicamente parlando, vuol dire che uno o più soggetti possono prendere una parte del proprio patrimonio, staccarla e assoggettarla a una finalità che non può essere una finalità d'impresa, ma deve essere di carattere generale, non egoistico e quel patrimonio prende a vivere di vita propria con quello che si chiama atto di fondazione. La fondazione si può formare anche per testamento. Il legislatore dice che con l'atto di fondazione e con l'atto di dotazione si crea una fondazione è automaticamente a responsabilità limitata, ovvero i debiti non li paga il fondatore. Il legislatore è preoccupato anche di quello che succede dopo, perché se la fondazione a un certo punto non fa quello che aveva voluto il fondatore e il fondatore è morto, chi è che tutela la volontà del fondatore? Quindi, nel Codice civile ci sono norme che tutelano un po' l'aspetto terminale della fondazione. Le fondazioni hanno avuto una parabola particolare perché erano nate con questo scopo, cioè consentire a chi aveva le risorse di godere della separazione quindi privandosi dei beni e assoggettandoli a uno scopo particolare; la fondazione non può svolgere attività d'impresa, però nel tempo è diventata un soggetto che non solo in alcuni casi svolge attività imprenditoriali in un settore particolare, ma in alcuni casi lo schema della fondazione è stato preso dal legislatore per assicurare ordine all'interno del mercato. È il caso delle fondazioni bancarie, create dal legislatore nel 1990 con la legge Amato quando eravamo entrati nel processo di integrazione all'interno del mercato europeo; nel mercato dell'Unione Europea vige il principio della libera circolazione di capitali e dei servizi e tutte le attività economiche sono uniformate al principio della concorrenza. Il settore bancario, che è un settore importante per l'attività d'impresa, è stato un settore che non solo in Italia ma in molti Stati è sempre stato sottratto alle regole di concorrenza. Il principio di concorrenza vuole che nella gestione dell'attività bancaria se io non sono un bravo gestore posso esser sostituito dal mercato perché è il mercato che controlla gli azionisti della banca. Questo meccanismo è stato ritenuto per tanti anni incompatibile con l'esercizio dell'attività bancaria perché si diceva che le banche fossero esposte al cosiddetto rischio sistemico, ovvero che se una banca va male, siccome sono tutte connesse, produca un effetto a cascata e pregiudichi tutte le altre; in realtà, questo rischio era un modo con cui le banche e i proprietari delle banche si erano posti al riparo dal principio della concorrenza che è anche un principio di turbolenza. Le casse di risparmio erano organizzate in forme di società cooperative, che sono società dove i cooperanti si mettono insieme per fare un'attività economica a beneficio di loro stessi. Nel quinto libro del Codice civile c'è scritto che la cooperativa è fatta di cooperanti, se il cooperante non mi vuole vendere le quote io non entro nella cooperativa; quindi, il controllo della banca è soggetto ai cooperanti. Questo meccanismo sottraeva le banche alla concorrenza; intorno agli anni '80/'90 l'Unione Europea stabilisce che tutti i Paesi, anche il mercato del credito bancario, diventino contendibili, ovvero le imprese devono poter essere soggette ed essere esposte al principio della concorrenza. In Italia la legge Amato del 1990 dice: per rendere contendibile il mercato bancario, cioè per esporre l'impresa bancaria al principio della concorrenza, noi dobbiamo separare l'impresa bancaria dalla proprietà; l'impresa bancaria diventa contendibile, ma che ne succede della proprietà? La legge Amato crea le fondazioni bancarie che sono enti che hanno nel proprio patrimonio le azioni della banca. Quindi, la fondazione è il proprietario ma non è anche l'esercente dell'attività d'impresa. La separazione tra l'attività d'impresa e la proprietà e la scelta della fondazione come tipo ha fatto sì che le fondazioni bancarie diventassero delle vere e proprie holding di partecipazioni. La fondazione non fa altro che gestire la banca ed è vigilata. Ripartiamo dal fatto che questi soggetti sono costituiti da individui, patrimonio e scopo. Noi utilizziamo una terminologia che fa presumere una concezione antropomorfa, ma non è così; è una finzione giuridica quella di dire persona giuridica. Però la persona giuridica, che è un soggetto e ha un suo patrimonio e scopo, svolge attività, cioè si comporta in tutto e per tutto come un soggetto, una persona. Noi facciamo alcune attività perché abbiamo degli organi e questa stessa logica vale anche per i soggetti di diritto, cioè il soggetto di diritto diverso dalla persona fisica agisce attraverso organi, solo che hanno dei nomi e una posizione che fa sì che il soggetto abbia una sua struttura. Gli enti fanno attività giuridica prendendo decisioni al proprio interno e veicolando le decisioni all'esterno, questo vale anche per le società commerciali; questo avviene all'interno di organi. La grande ripartizione degli organi degli enti è: - organi che hanno poteri gestori; - organi che hanno poteri rappresentativi. Ogni attività dell'ente presuppone due momenti: un momento decisionale interno e un momento esecutivo esterno. Il momento decisionale interno presuppone che qualcuno abbia il potere gestorio, ovvero il potere di prendere la decisione, e il momento esecutivo esterno presuppone che qualcuno abbia il potere di rappresentare questa volontà all'esterno; questo potere rappresentativo verso l'esterno impegna l'organizzazione verso l'esterno e la impegna con le conseguenze viste nel 2740. Questa distinzione tra poteri gestori interni e poteri rappresentativi esterni trova corrispondenza nella struttura e nel modo con cui quegli enti si organizzano. Ma se si va a vedere gli articoli del primo libro che si occupano di queste cose ci sono disposizioni molto scarne, però all'interno di queste disposizioni troviamo una certa regolarità: alcuni organi che hanno poteri gestori e altri che hanno potere rappresentativo. L'organo che solitamente ha potere gestorio è l'organo assembleare, qui vengono rappresentati gli interessi degli associati rispetto al perseguimento dello scopo; è il cervello, è dove si prendono le decisioni. Ma ogni decisione deve poi essere eseguita e c'è bisogno di un altro organo; il problema è sempre di divisione del lavoro perché i poteri gestori e rappresentativi potrebbero stare entrambi nell'assemblea, ma se poi siamo 1500 associati è già difficile riunirsi e prendere decisioni tutti insieme. Quindi, c'è un tema di specializzazione per cui oltre all'organo gestorio poi c'è tipicamente un organo che ha potere rappresentativo, che per ragioni di divisione del lavoro è più agile, snello e che ha diversi nomi con funzioni esecutive. All'interno delle società solitamente c'è l'assemblea dove ci sono i soci e poi c'è un organo amministrativo dove ci sono gli amministratori. Quando tra soci e amministratori non c'è corrispondenza c'è il problema di agenzia, ovvero c'è un problema per cui non è detto che gli amministratori facciano l'interesse dei soci. Il nostro Codice dice che gli associati possono dire loro come vogliono essere organizzati, quello che serve, soprattutto se poi chiedono un riconoscimento, è produrre un atto costitutivo. In questo atto devono essere messi tutti i dettagli che fanno capire allo Stato se si sta richiedendo il riconoscimento e che servono a far funzionare l'organizzazione che si sta creando. Dopo di che bisogna scrivere le regole che da quel momento in poi regolano la vita dell'associazione e queste regole sono solitamente scritte all'interno dello statuto, che è tutto quello che serve perché l'associazione è viva. E dentro allo statuto ci sono una serie di ![](media/image6.png)contenuti minimi che devono essere presenti sempre: 1. come si prendono le decisioni il tema è chi esercita il potere gestorio e come lo si esercita 2. dopo di che la volontà va manifestata ed eseguita all'esterno e quindi serve disciplinare i poteri rappresentativi ci deve essere chiaramente indicato nello statuto chi fa che cosa 3. regola relativa all'entrata e all'uscita cioè come si entra e come si esce dall'associazione 4. siccome si stanno mettendo insieme delle risorse, quando ci si costituisc

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