I Nuovi Media Tra Disuguaglianze e Competenze
Document Details
Uploaded by SimplestForeshadowing
Università degli Studi di Padova
Tags
Related
- White and Blue Professional Modern Technology Pitch Deck Presentation 2024 PDF
- Measuring Digital Capital in Italy 2023 PDF
- Digital Divide and Addiction PDF
- Information Systems 5 - Globalisation and the Digital Divide PDF
- Digital Divide: A Presentation by Leah PDF
- Digital Divide - Legal, Ethical, and Societal Issues
Summary
L'articolo esamina il digital divide, analizzando le disuguaglianze nell'accesso alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Il documento esplora le diverse prospettive sul tema e identifica i fattori chiave che influenzano questo divario, includendo il capitale umano e la trasformazione tecnologica dei settori economici.
Full Transcript
I nuovi media tra disuguaglianze e competenze. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono spesso descritte come strumenti che riducono le disuguaglianze culturali e sociali, migliorando l’accesso alle conoscenze e promuovendo innovazioni come il voto elettronico, la telemedicin...
I nuovi media tra disuguaglianze e competenze. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono spesso descritte come strumenti che riducono le disuguaglianze culturali e sociali, migliorando l’accesso alle conoscenze e promuovendo innovazioni come il voto elettronico, la telemedicina e i trasporti intelligenti. Tuttavia, emergono anche preoccupazioni su privacy, sicurezza e frodi. Le prime teorizzazioni sul digitale e Internet erano ottimistiche e vedevano in esse mezzi per la libertà e la democrazia, capaci di superare barriere geografiche e sociali. - Negli anni ’80, Sola Pool parlava infatti di technologies of freedom per la possibilità di accedere a una società dell'informazione globale e priva di barriere spaziali, capace di annullare i tradizionali vincoli al perseguimento di interessi e obiettivi dell'individuo, che poteva così essere finalmente libero. Nonostante questo dibattito tra cyber-utopisti (secondo cui le tecnologie erano appunto degli spazi che davano libertà) e cyber-scettici (secondo cui invece le tecnologie toglievano queste libertà), l’accesso alla rete rimaneva l’ostacolo principale all’inclusione in questa rivoluzione digitale. Digital divide. Per “digital divide” si intende il divario tra chi ha accesso alle tecnologie digitali e chi ne è escluso per motivi infrastrutturali o economici. Nonostante Internet sia teoricamente accessibile a tutti, persistono disuguaglianze tra continenti, nazioni e anche tra aree urbane, con l’Africa e il Medio Oriente particolarmente svantaggiati. Per valutare l’esclusione digitale si devono considerare due parametri: - La “dimensione” di Internet, ovvero il numero totale assoluto degli utenti di un determinato Paese. - La “penetrazione” (o distribuzione) di Internet, cioè il tasso di accesso di Internet all’interno di un dato Paese o area geografica, calcolato come percentuale degli utenti della rete sul totale della popolazione. La diffusione di dispositivi mobili e connessioni cellulari ha ridotto il divario in alcune aree, ma problemi di accesso e disparità economiche continuano a limitare l’uso della rete, ostacolando l’avvento di una società digitale globale ed equa. Dal digital divide alle disuguaglianze digitali. Il termine “digital divide” si riferisce alle disuguaglianze nell’accesso e nell’uso delle tecnologie digitali, con origini incerte ma reso popolare dai politici americani negli anni ’90. Inizialmente usato per descrivere le diverse attitudini verso la tecnologia negli Stati Uniti, il concetto ha acquisito rilevanza globale, evidenziando disparità tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo. Oltre alla mancanza di accesso a Internet, il digital divide influisce sulla crescita sociale ed economica, limitando le opportunità di integrazione e innovazione per intere nazioni. Le prime analisi del fenomeno hanno diviso la popolazione in due gruppi: - Gli information haves, ovvero quelli con accesso alle informazioni. - Gli information have-nots, ovvero quelli senza accesso alle informazioni. Tuttavia, nel tempo, si è compreso che la questione è più complessa e richiede interventi a lungo termine per colmare questo divario. Le attuali analisi sul digital divide vanno oltre il semplice accesso fisico alla rete e includono il “capitale umano” e la “trasformazione tecnologica” dei settori economici. Manuel Castells identifica quattro fattori chiave che determinano il divario digitale globale: - Il divario nelle infrastrutture di telecomunicazione, che privilegia utenti di alto livello. - La dipendenza dei provider di molti Paesi dalle dorsali Internet USA ed europee, con costi aggiuntivi. - La concentrazione dei domini Internet nei Paesi occidentali, che limita l’accessibilità ai contenuti per i Paesi non occidentali. - L’assenza di strategie efficaci per ridurre il digital divide, che ne perpetua l’esistenza in un ciclo difficile da interrompere. La visione di Castells sul digital divide analizza la disuguaglianza nell’accesso a Internet in modo complesso, superando l’idea binaria “chi ha/chi non ha accesso”. Laura Sartori amplia questa visione, identificando fattori chiave che influenzano il divario digitale: il PIL pro capite, l’indice di sviluppo umano, il livello di istruzione, gli investimenti in ricerca e sviluppo e la disponibilità di infrastrutture tecnologiche. Oltre all’accesso, emergono differenze significative nell’uso e nell’appropriazione della rete, legate a variabili socioeconomiche, età, genere e livello di istruzione. Ne deriva un concetto multidimensionale di “divari digitali”, che considera non solo chi accede a Internet, ma come e per cosa viene utilizzato, riflettendo disuguaglianze più ampie. Il divario digitale non riguarda solo i Paesi poveri, ma è presente anche nelle nazioni più ricche, influenzato da fattori socio-demografici come reddito, età, genere e istruzione. Il reddito è determinante: l’accesso alle ICT è più comune nelle fasce economiche elevate. L’età è un’altra variabile cruciale, poiché i giovani, cresciuti come “nativi digitali”, mostrano più familiarità con le tecnologie rispetto agli anziani. Tuttavia, anche il genere può creare disuguaglianze, soprattutto nelle generazioni più anziane e in specifiche aree geografiche. L’istruzione, infine, incide non solo sull’accesso, ma soprattutto sulla qualità degli usi della rete, evidenziando il cosiddetto “second-level digital divide”: il divario di competenze tra chi ha accesso ma sfrutta il digitale in modo limitato e chi lo utilizza in maniera approfondita. In questo scenario, il digital divide va considerato come un fenomeno complesso e multidimensionale, in continua evoluzione. L’evoluzione del divario. Questo divario digitale riflette e talvolta amplifica le disuguaglianze preesistenti, mettendo in luce i limiti della società dell’informazione e l’importanza delle politiche di e-inclusion per favorire una maggiore equità. Due approcci principali spiegano l’evoluzione del digital divide: - La teoria della “normalizzazione” sostiene che, nel tempo, l’accesso alla tecnologia si estenderà gradualmente a tutte le fasce sociali, riducendo le disuguaglianze grazie alla combinazione di un mercato più accessibile e di politiche pubbliche mirate. Secondo questa visione “cyber-ottimistica”, sostenuta da esponenti del pensiero liberista come Nicholas Negroponte e Bill Gates, il divario digitale è un fenomeno transitorio destinato ad attenuarsi, man mano che le tecnologie diventeranno più semplici e meno costose. - La teoria della “stratificazione”, al contrario, ritiene che le tecnologie possano rinforzare le disuguaglianze sociali, consolidando una divisione tra chi ha risorse e competenze e chi ne è privo. Secondo questa prospettiva “cyber-pessimistica”, le tecnologie, piuttosto che colmare il divario, possono diventare strumenti di conservazione del potere e di perpetuazione del dominio dei gruppi già privilegiati. Chi possiede maggiori conoscenze tecnologiche, infatti, può sfruttare prima e meglio le opportunità della rete, aumentando il proprio vantaggio rispetto agli altri. Questo processo richiama il cosiddetto “effetto San Matteo” o “rich get richer”, per cui chi è già avvantaggiato tende ad accumulare ulteriori benefici. Queste due visioni portano a ipotesi d’intervento molto diverse: mentre la normalizzazione considera superfluo un intervento correttivo del mercato, la stratificazione invita a politiche attive per evitare che le tecnologie diventino strumenti di ulteriore polarizzazione sociale. Divari e digital literacy. Il digital divide è oggi concepito come un continuum di disuguaglianze che comprende non solo l’accesso alle tecnologie digitali, ma anche le competenze per utilizzarle e trarne benefici concreti. Superare questo divario richiede di andare oltre le semplici abilità operative e investire in una digital literacy approfondita, che include un insieme complesso di competenze e conoscenze sia “informative”, per cercare e valutare le informazioni, sia “strategiche” per usare la tecnologia in modo mirato. Tra queste, le competenze di computer literacy sono fondamentali per l’uso pratico dei dispositivi, dalle operazioni di base fino alla personalizzazione del sistema. Le information literacy permettono poi di cercare, selezionare e valutare l’enorme quantità di informazioni disponibili in rete, affinando la capacità di analizzare la loro affidabilità. Le multimedia literacy aiutano a comprendere e creare contenuti in un ambiente multimediale, gestendo i diversi codici e linguaggi. Infine, le computer- mediated communication (CMC) literacy sviluppano le abilità necessarie per interagire e comunicare online, dalle piattaforme social ai contesti istituzionali e professionali. - Anche tra i giovani nativi digitali, spesso considerati esperti nell’uso dei nuovi media, si osserva un deficit di competenze critiche, ovvero la capacità di valutare in modo consapevole e responsabile le risorse digitali (capacità cognitive, informazionali, creative, culturali, etiche e sociali). Questo insieme di abilità, noto come digital literacy, diventa quindi cruciale per operare efficacemente nella società digitale e per ridurre il rischio che il digital divide si traduca in nuove forme di disuguaglianza sociale e culturale. => Si è passati da media literacy a digital literacy. Eszter Hargittai (2007) propone una classificazione dettagliata delle competenze digitali, distinguendo vari livelli di abilità che vanno dalla comunicazione efficace alla gestione della privacy, fino alla valutazione dell’attendibilità delle fonti online. Queste competenze comprendono la capacità di interagire in gruppi, l’uso di strumenti specifici, la ricerca e selezione di informazioni, la sicurezza e la richiesta di assistenza. Questi modelli evidenziano l’importanza di adattarsi ai media digitali, sottolineando le abilità necessarie per navigare e partecipare consapevolmente. Social literacy. Il discorso sulle competenze digitali non può limitarsi alle abilità individuali, ma deve considerare il ruolo delle pratiche sociali condivise e delle risorse culturali, economiche e relazionali. L’approccio della “social literacy” sostiene che le competenze digitali si sviluppano in un contesto sociale e sono influenzate da politiche educative e investimenti statali. Non si tratta solo di acquisire abilità tecniche neutrali, ma di conformarsi a convenzioni culturali e aspettative sociali. - La trasformazione dei libri scolastici, ora arricchiti da elementi visivi e strutture non lineari, esemplifica come le competenze richieste siano modellate da evoluzioni sociali e istituzionali, riflettendo la complessità del panorama digitale moderno.