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CHIMICA FARMACEUTICA.pdf

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1. DEFINIZIONI Chimica farmaceutica → la Chimica Farmaceutica è una disciplina chimica, che coinvolge aspetti delle scienze biologiche, mediche e farmaceutiche. Essa riguarda l'invenzione, scoperta, disegno, identificazione e la preparazione di composti biol...

1. DEFINIZIONI Chimica farmaceutica → la Chimica Farmaceutica è una disciplina chimica, che coinvolge aspetti delle scienze biologiche, mediche e farmaceutiche. Essa riguarda l'invenzione, scoperta, disegno, identificazione e la preparazione di composti biologicamente attivi, lo studio del loro metabolismo, l'interpretazione della loro modalità di azione a livello molecolare e la costruzione di relazioni struttura-attività (SAR), il rapporto tra struttura chimica ed attività farmacologica per una serie di composti. Variando la struttura di un composto si possono ottenere diverse risposte. Nell’organismo sono presenti dei recettori che sono in grado di rispondere ad uno stesso stimolo (es. molecola), ma questi recettori sono localizzati in sedi differenti, perciò l’organismo in condizioni fisiologiche secerne la molecola stimolo solo dove necessario (solo il recettore presente nella sede in cui lo stimolo viene rilasciato verrà attivato). In caso di malattia il neurotrasmettitore che funge da stimolo non viene secreto, ma viene somministrato esternamente, perciò si diffonderà ed andrà ad attivare tutti i sottotipi recettoriali (effetto non desiderato) → per attivare specificatamente un singolo sottotipo recettoriale è necessario utilizzare un neurotrasmettitore selettivo per lo stesso (la molecola stimola viene modificata). Farmaco → sostanza sintetica o naturale con effetti benefici nella cura delle malattie, mediante un’azione chimica (es. mal di stomaco, il farmaco può andare a bloccare i recettori che portano alla produzione di acido cloridrico) o fisica (es. nel mal di stomaco l’assunzione del Malox permette di tamponare il pH); sostanza, anche tossica, in grado di provocare determinate reazioni nell’organismo. Generalmente è una sostanza in grado di interagire in modo specifico con una macromolecola (bersaglio o target) avente una determinata funzione biologica in un organismo vivente → si ha la modulazione di funzioni già esistenti. La macromolecola bersaglio è finalizzata al riconoscimento di determinati substrati naturali e il farmaco è in grado di determinare una modulazione (potenziamento o inibizione) delle usuali funzioni di tale componente macromolecolare. La definizione di farmaco è molto utile, ma esclude di fatto quelle sostanze che non devono la loro attività farmacologica a una interazione specifica con un sistema macromolecolare (es. associazione magnesio idrossido/alluminio idrossido, utilizzabile in tutte le forme di iperacidità gastrica, pirosi, gastralgie, ecc., per le sue proprietà basiche). Anche nel caso della somministrazione di un antibatterico, non viene modulata un’attività già esistente, ma c’è solamente un tentativo di aiutare il sistema immunitario con un meccanismo che questo non presenta, permettendo di bloccare lo sviluppo e la crescita del batterio. Quando si parla di un composto definito farmaco si riconoscono alcune fasi importanti nello sviluppo del farmaco stesso: − Fase farmaceutica → disintegrazione della preparazione farmaceutica (gel/compressa/capsula/iniezione) e successivo assorbimento da parte dell’organismo del principio attivo − Fase farmacocinetica → il composto somministrato deve raggiungere il target attraverso un percorso non lineare, in quanto è necessario considerare che il farmaco può subire delle modificazioni strutturali a causa di reazioni enzimatiche (assorbimento, distribuzione, metabolismo e escrezione). Ci sono dei casi in cui parte del farmaco viene escreto prima dell’incontro del target e ciò deve essere preso in considerazione quando si sceglie il dosaggio del farmaco in modo tale che questo abbia un certo effetto. La forma di somministrazione guida il percorso del farmaco e quindi anche la quantità di farmaco che raggiunge il target: un farmaco acido-labile somministrato per via orale viene disintegrato a livello dello stomaco perciò può essere modificato affinché questo non avvenga → lo si può rendere stabile in ambiente acido (approccio chimico) oppure lo si può rivestire con un rivestimento acido-stabile in modo tale che il farmaco venga rilasciato in un ambiente basico come quello intestinale (approccio farmacocinetico) − Fase farmacodinamica → interazione farmaco/bersaglio mediante la formazione di legami che inducono una variazione che portano poi un effetto farmacologico. − Effetto farmacologico Il farmaco sviluppato deve avere una buona fase farmacodinamica (ottimo effetto farmacologico basato sulla struttura del farmaco), ma anche farmacocinetica, in quanto il farmaco deve raggiungere il target → mediazione delle due fasi per cui alcune volte si preferisce avere una fase farmacodinamica peggiore rispetto alla migliore possibile per avere un’ottima fase farmacocinetica. Ci sono delle variazioni strutturali che vengono applicate al farmaco che possono avere un effetto positivo sia sulla farmacocinetica che sulla farmacodinamica → si può preferire la forma esterificata (più ingombrata) del farmaco piuttosto che quella acida in termini sia di farmacodinamica che di farmacocinetica (la forma di estere è meno polare della forma acida per cui si riscontrano meno problemi nell’attraversamento delle membrane). Si cerca quindi si migliorare in contemporaneamente sia l’una che l’altra fase. 2. CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI − Origine: regno animale vegetale, minerale, sintesi chimica, ingegneria genetica − Modalità d’azione: o Farmaci EZIOLOGICI → veri medicamenti (chemioterapici), cioè risolvono la causa della malattia. Efficacia basata sulla tossicità selettiva. Si possono includere in tale categoria anche le sostanze utilizzate a scopo preventivo (vaccinoterapia, anticoagulanti, antiossidanti). o Farmaci SOSTITUTIVI che rimpiazzano una sostanza mancante (dieta → vitamine; disturbi fisiologici → insulina, estrogeni) o Trattamenti SINTOMATICI (stati febbrili, dolore o sintomatologie più specifiche). Non curano la causa della malattia, ma mitigano i sintomi e possono prolungare e/o migliorare la qualità della vita del paziente. − Natura dell’infermità: malattie infettive, malattie endocrine, malattie del sangue, disturbi mentali, malattie del sistema nervoso, del sistema circolatorio... − Struttura chimica 3. FASI PRINCIPALI NELLA NASCITA DI UN FARMACO − Scoperta → ricerca e preparazione di nuovi composti attivi, generalmente indicati come lead compounds (origine naturale, sintesi organica, risorse biotecnologiche). Una volta identificato un bersaglio farmacologico promettente, i ricercatori mirano a identificare le molecole che possono interagire con il bersaglio per produrre gli effetti biologici desiderati. L’hit compound è una molecola che mostra il tipo di attività desiderato in un test di screening → è importante sviluppare saggi di screening farmacologicamente rilevanti per la scoperta degli hit e per il successivo processo di selezione hit-to-lead. I lead compounds sono selezionati da una raccolta di risultati perfezionando i criteri di screening per consentire la selezione delle molecole più promettenti per un ulteriore sviluppo. Identificazione di un lead compound: 1. Sostanze di origine naturale (spesso eredità del passato): infusi, sciroppi – digitale, cincona, ipecacuana; salice piangente, caffeina, colcichina, chinina, morfina 2. Scoperta casuale: SERENDIPITY 3. Amplificazione degli effetti secondari 4. Screening casuale o focalizzato 5. Libraries combinatoriali 6. Sintesi razionale − Ottimizzazione → modifiche strutturali del lead compound per aumentare l’attività e la selettività e di ridurne la tossicità. Le relazioni struttura-attività (SARs) vengono chiarite e analizzate. Ci sono poi degli approcci quantitativi che non permettono solo di valutare il miglioramento dell’attività, ma anche di correlare quantitativamente le caratteristiche della variazione strutturale (es. aumento dell’idrofobicità, aumento dell’elettronegatività, ecc.) e la variazione di attività. − Sviluppo → processo di ottimizzazione sintetica per la produzione industriale della molecola attiva, modulazione delle proprietà farmacocinetiche e farmaceutiche per rendere adatto il prodotto all’uso clinico (formulazione). Lo sviluppo chimico di un farmaco prevede la messa a punto di una sintesi che spesso è completamente diversa da quella del laboratorio e, fino a qualche anno fa, la variazione sintetica rispetto alla sintesi chimica che veniva proposta poteva richiedere anche 5 anni; QUINDI, da un lato c’è lo sviluppo della struttura chimica, mentre dall’altro c’è proprio lo sviluppo chimico del composto. Inoltre, lo sviluppo industriale, qualunque sia la via che si intraprende per la produzione del composto, deve rispettare le caratteristiche specifiche dei procedimenti che hanno portato all’origine della molecola e le peculiarità della molecola stessa (es. livello di impurezza, volume di etanolo utilizzato, ecc.) 3.1. SOSTANZE DI ORIGINE NATURALE Gli antichi utilizzavano la corteccia del salice quando avevano la febbre perché al suo interno è presente l’acido salicilico che è in grado di bloccare la cascata delle COX. Un ulteriore esempio possono essere gli infusi che possono prevenire alcune malattie in quanto contengono degli alcaloidi. PRO: sono composti originali che possiedono una struttura definita e un’interazione e un’attività nota per quanto riguarda l’organismo, perciò si può pensare di avere un’attività insita nei derivati CONTRO: dal punto di vista della riproduzione strutturale e di sintesi industriale hanno delle strutture abbastanza complesse. Ad esempio, Maoecrystal V è un composto con attività antitumorale che è stato sintetizzato in laboratorio, ma la riproduzione sintetica da punto di vista industriale di questa molecola è molto difficile e per questo non viene scelta come antitumorale di punta → si cerca di trovare un composto che abbia una struttura simile per evitare le complicazioni di sintesi del composto originale (si potrebbe estrarre dalla fonte originale, ma anche in questo caso è necessario verificare che quantità si può ottenere in seguito all’estrazione e cosa questa implica). 3.2. SCOPERTA CASUALE: SERENDIPITY (IL CASO FAVORISCE LA MENTE PREPARATA) Un esempio è dato sicuramente dalla Penicillina, in questo caso Pasteur aveva dimenticato delle piastre di crescita batterica aperte e si rese conto che erano state contaminate da qualcosa che inibiva la crescita batterica. Si scoprì così la contaminazione da parte del Penicillium che produce un metabolita che inibisce la crescita batterica (1878). Questa scoperta ha portato allo sviluppo di una serie di farmaci chiamati β- lattamici che implicano la presenza di una struttura peculiare (cerchiata in rosso nella foto) che risponde ad un determinato meccanismo d’azione. Un’altra molecola scoperta casualmente è l’Antabuse, un disolfuro che viene utilizzato come antiossidante nella produzione industriale delle gomme. Era stato evidenziato che i lavoratori dell’industria della gomma, quando bevevano alcolici stavano estremamente male → è stato possibile correlare l’intossicazione da parte di questo disolfuro con il problema dell’assunzione dell’alcol e quindi questa molecola è stata impiegata per il trattamento dell’abuso di alcolici. Un altro esempio di scoperta casuale è dato da una variazione strutturale mediata da una reazione chimica in cui si voleva introdurre un gruppo amminico al posto del cloro (sostituzione nucleofila) a partire dal Clorodiazepossido. In questo caso si è ottenuto un riarrangiamento della struttura che ha portato alla formazione di un ciclo dando origine alle Benzodiazepine che poi sono state studiate e utilizzate come sedativi, ansiolitici. Successivamente, è necessario ricordare la Naftifina, un antifungino che viene ottenuto a seguito di un trattamento acido di un derivato spiro che porta alla sua apertura con la formazione di un sistema con un doppio legame. In particolare, la presenza del gruppo amminico e l’apertura del ciclo a sei termini (indicata dal rettangolo rosso in figura) porta all’inibizione della sintesi dell’Ergosterolo che è uno dei componenti della parete esterna dei funghi. I funghi si distinguono dalle cellule eucariote dell’organismo umano per la presenza dell’Ergosterolo al posto del Colesterolo → riuscendo ad inibire la sintesi dell’Ergosterolo rispetto a quella del Colesterolo si riesce ad essere abbastanza selettivi per quanto riguarda l’inibizione della crescita micotica. Avere dei target selettivi è molto importante. N.B.: Una selettività d’azione sarà molto più facile da ottenere quando è necessario colpire selettivamente una cellula procariotica, in quanto questa presenta dei meccanismi di sviluppo non previsti per la cellula eucariotica; mentre l’azione sui funghi è più complessa. Quando l’azione deve essere svolta sulle cellule tumorali il meccanismo è più difficile perché è complicato ricercare degli aspetti di distinzione tra cellule appartenenti allo stesso organismo che hanno solamente alcune caratteristiche differenti. 3.3. AMPLIFICAZIONE DEGLI EFFETTI SECONDARI Una volta che è stato ottenuto un farmaco, si può osservare non solo l’effetto clinico principale, ma si può notare la presenza di altre attività secondarie che non erano state evidenziate → in base a queste osservazioni, si può pensare di variare la struttura del composto che è utilizzato in clinica per un determinato scopo, come quello di esaltare l’effetto secondario che è stato osservato. Un esempio è dato dalla Prometazina, un antistaminico in cui una variazione strutturale che prevede l’introduzione del Cloro, l’allungamento e la linearizzazione della catena con lo spostamento del gruppo amminico, fa sì che ci sia un’azione diversa della molecola; in particolare, si viene a formare la Clorpromazina, ossia un neurolettico. Un altro esempio è determinato dalla Sulfanilamide che ha un’attività antibatterica con degli effetti secondari di tipo diuretico e ipoglicemizzante. Un derivato di tipo ipoglicemizzante si ottiene variando la catena R in cui i Sulfamidici hanno in genere degli eterociclici o, come nel caso della Sulfanilamide, semplicemente un idrogeno → andando ad allungare la catena si ottiene la Tolbutamide, in cui è presente una catena lineare rappresentata da un butile e non è più presente l’anello di tipo anilinico (benzene sostituito con gruppo amminico), ma un toluene (benzene sostituito con un gruppo metile). In particolare, queste variazioni strutturali permettono di valorizzare l’effetto ipoglicemizzante. Infine, una variazione strutturale ulteriore porta alla formazione della Clorotiazide che ha un effetto diuretico. Anche se non si coglie in maniera immediata la similarità delle prime due molecole con la Clorotiazide, si potrebbe pensare ad un processo di ciclizzazione della Tolbutamide → questo è un concetto importante, infatti non è detto che la conformazione (generalmente quella con energia minore) che viene scritta sulla carta, sia effettivamente quella che interagisce con il target 3.4. SINTESI RAZIONALE Le conoscenze possono essere sfruttate per ottenere dei composti che vadano ad interagire con il target sapendo com’è fatto quest’ultimo. In particolare, se si conosce com’è fatto il recettore e com’è fatto il ligando naturale, effettuare una sintesi razionale per sopperire la mancanza del ligando è abbastanza semplice. In particolare, vengono sintetizzati composti che hanno un’attività agonista o antagonista nei confronti del recettore (Ligand based-desing). In altri casi, si può sfruttare la forza computazionale mediante un Computer assisted design. Structure-based drug design: se si conoscono la struttura del ligando e la struttura tridimensionale del target queste possono essere generate a livello computazionale e si inserisce idealmente (computazionalmente) il ligando al fine di valutare le interazioni del complesso che si forma e stimare, sulla base della stabilità del complesso virtuale, quali composti possano presentare maggiore affinità per il target. Il rischio a questo livello è determinato dal fatto che è necessaria la struttura cristallografica della proteina, ma non è possibile avere la certezza assoluta che la struttura cristallografica ottenuta sia quella presente all’interno dell’organismo; inoltre, non si può avere la sicurezza che il composto introdotto si vada a legare al recettore esattamente nel modo individuato, perché la molecola potrebbe avere molti gradi di libertà e quindi essere presente sottoforma di diverse conformazioni → le conformazioni che vengono prese in considerazione vengono scelte arbitrariamente, quindi non è sicuro che le conformazioni individuate siano quelle corrette. Inoltre, se il processo di cristallizzazione viene fatto in vuoto e non in un sistema che tiene in considerazione la presenza dell’acqua e di altre sostanze si avrà un ulteriore problema. Homology modeling: se si conoscono la struttura del ligando naturale e la sequenza amminoacidica del recettore (struttura primaria), ma non la sua conformazione, la struttura terziaria del recettore può essere ipotizzata sfruttando la conoscenza della conformazione di strutture che presentano un’omologia di sequenza con il recettore. Anche in questo caso si ha l’introduzione di una certa percentuale di errore. Ligand-based drug design: rappresenta il caso peggiore perché la struttura del target è sconosciuta, ma quella del ligando è nota. Anche in questo caso si può fare uno studio di tipo computazionale, che però risulta essere molto difficile. In questo caso, sulla base dei composti che funzionano a livello del target si cerca di validare un modello di target e, sulla base di questo, di generare nuovi composti in grado di legare il target (ci si basa, quindi, solamente sulla struttura del ligando; in particolare si cercano le caratteristiche comuni tra le molecole che sono in grado di interagire con il target e ipotizzare il sito di binding). 3.5. LIBRERIE COMBINATORIALI, SCREENING CASUALE e FOCALIZZATO Con le libraries combinatoriali si crea un grande numero di composti mettendo insieme una serie di sostanze in blocco che possono reagire (es. si mettono insieme 10 ammine e 10 acidi con un agente condensante, in modo tale che si possano formare tutte le ammidi possibili nello stesso saggio e queste vengono testate tutte assieme → se una determinata reazione funziona, allora si testano separatamente i diversi prodotti). Questo procedimento è caratterizzato da una sintesi rapida dei composti, da un elevato numero di composti e da una velocità di screening molto alta. Il fatto di effettuare delle reazioni causali permette di osservare dei processi che altrimenti, procedendo in modo razionale, non potrebbero essere scoperti → ad esempio, possono essere scoperti dei siti di legame non noti e non legati dal ligando naturale, ma che possono portare all’inattivazione della struttura ed avere un interesse farmaceutico. L’High-throughput screening può essere focalizzato o generalizzato. Due modalità: − Un unico composto viene testato su molti saggi biologici (es. si cerca di valutare se un prodotto secondario derivato dalla sintesi del farmaco d’interesse possa essere sfruttato per qualche applicazione) − Molti composti vengono testati su un unico saggio biologico (è la derivazione naturale della chimica combinatoriale). 4. MECCANISMO D’AZIONE DEI FARMACI Un farmaco va ad interagire con le macromolecole, che sono funzionali, trasferendo l’informazione alla macromolecola stessa, che a sua volta porta un’informazione alla cellula. L’interazione tra il farmaco e la macromolecola scatena una serie di eventi biochimici all’interno della cellula determinando una risposta cellulare. La somma delle risposte cellulari nel tessuto funzionale può portare ad una risposta fisiologica (macroscopica). L’interazione del composto con il bersaglio determinano la manifestazione di un effetto; ad esempio quando l’acetilcolina lega il proprio recettore localizzato nel neurone post-sinaptico (giunzione neuro-muscolare), viene scatenato il rilascio del calcio che induce la contrazione delle miofibrille. 5. CARATTERISTICHE GENERALI DEI FARMACI Solitamente i farmaci sono small-molecules (in particolare quelli somministrati per via orale → gli anticorpi possono essere utilizzati come farmaci ma non vengono somministrati per via orale e hanno un elevato peso molecolare), presentano un basso peso molecolare, un opportuno rapporto idrofobico/idrofilico (devono essere in grado di attraversare le membrane, ma non devono accumularsi nei tessuti adiposi altrimenti non saranno disponibili in circolo) e avere dei gruppi funzionali che permettono di generare delle interazioni specifiche. Lipinski negli anni ’90 ha eseguito degli studi, grazie ai quali ha osservato che la gran parte delle molecole somministrate per via orale presentava le seguenti caratteristiche identificate come la regola di Lipinski o la regola del 5: 1. Peso molecolare inferiore a 500 Da; 2. Il logP (P = coefficiente di partizione che viene calcolato come il rapporto tra la concentrazione del composto in ottanolo e in acqua), che rappresenta il rapporto idrofobicità/idrofilia, inferiore a 5; 3. Un numero inferiore a 5 gruppi donatori di legami H; 4. Un numero inferiore a 10 gruppi accettori di legami H; Queste caratteristiche sono legate al fatto che un composto non solo deve interagire con il target, ma avere anche una buona farmacocinetica e quindi giungere al target. Inoltre, queste regole valgono a meno che non si ricerchino degli effetti particolari; ad esempio, il bilanciamento del rapporto idrofobicità/idrofilia può essere variato in relazione al tipo di azione che il composto deve avere, infatti questa può essere locale (es. antiasmatico) o sistemica (es. anestetico generale). All’interno della struttura del farmaco possono essere riconosciute diverse strutture che non sono sempre a sé stanti, ma che possono anche coincidere l’una con l’altra: 1. Farmacoforo: l’arrangiamento 3D degli atomi che permettono l’interazione di binding con il bersaglio di interesse; è quindi quella porzione che permetterà l’interazione con il target 2. Tossicoforo: l’arrangiamento 3D di atomi responsabile delle interazioni che possono portare a tossicità. Il tossicoforo può essere parte integrante del farmacoforo (problema sostanziale), può non essere presente o può essere una porzione a sé stante del farmaco 3. Metaboforo: l’arrangiamento 3D degli atomi responsabile delle proprietà metaboliche. Il farmaco potrebbe essere metabolizzato troppo velocemente o troppo lentamente quindi si può interagire con questa porzione per influenzare il metabolismo del farmaco. 4. Bagaglio molecolare: potrebbe essere inutile oppure essenziale per stabilire un rapporto idrofilico e idrofobico andando a migliorare la farmacocinetica. Spesso le diverse entità (soprattutto metaboforo e tossicoforo) possono far parte del farmacoforo, indispensabile per l’attività del farmaco. 6. TARGET DEI FARMACI A seconda della struttura cellulare che si vuole colpire (es. membrana cellulare) è necessario scegliere un target specifico (ergosterolo, piuttosto che colesterolo) → la selettività è importante, in quanto spesso non si vogliono colpire indistintamente le diverse cellule. − Lipidi → i lipidi delle membrane cellulari possono essere un target, ma non sono i favoriti. Infatti, il fatto di avere come possibile target i lipidi della membrana è un aspetto pessimo perché tutte le cellule possono diventare dei potenziali target (no selettività) − Carboidrati → vengono maggiormente utilizzati come riconoscimento e selezione di cellule specifiche piuttosto che come target con cui il farmaco si lega per ottenere un effetto. − Acidi nucleici → se si utilizzano delle molecole che sono sequenze-specifiche questi target sono molto specifici, altrimenti se ti utilizzano delle sostanze alchilanti (es. mostarde azotate e altri antitumorali) la specificità è estremamente bassa. − Proteine → sono i target più utilizzati. Possono essere enzimi, proteine di trasporto, proteine strutturali (es. tubulina) e recettori. I target sono generalmente delle macromolecole, mentre i farmaci generalmente sono delle molecole molto più piccole che vanno ad interagire con i bersagli. L’interazione avviene solitamente all’interno di cavità o fessure presenti sulla superficie delle macromolecole che portano a delle variazioni conformazionali sulla macromolecola stessa, le quali a loro volta scatenano una cascata di eventi all’interno della cellula. Solitamente, l’interazione tra il farmaco e il bersaglio è di tipo non-covalente, ma ciò dipende anche da ciò che si vuole ottenere. Quando si ha la formazione dei legami tra il farmaco e il target si generano delle nuove forze e si ottiene una variazione strutturale del target; tale meccanismo viene definito induced fit → la formazione dell’interazione con il farmaco può portare alla rottura di interazioni che erano presenti precedentemente all’interno del target. Inizialmente si pensava che l’interazione tra il farmaco e il bersaglio fosse di tipo chiave-serratura e quindi con una certa rigidità in termini di complementarietà, mentre ci si è resi conto che il farmaco e il target durante l’interazione modificano la loro conformazione (modificazione dei legami intra e intermolecolari) e si osserva un adattamento del target alla conformazione del farmaco, quindi c’è un’interazione flessibile (induced fit). Ci sarà la rottura di alcuni legami intramolecolari a livello del target e la formazione di nuovi legami intermolecolari con il farmaco. Il processo induced fit porta allo scatenamento di una serie di risposte che causa l’effetto farmacologico. L’organismo potrebbe non essere in grado di produrre il ligando oppure potrebbe produrre troppo ligando e quindi il farmaco viene somministrato rispettivamente per mimare l’azione del ligando oppure per bloccare l’azione dello stesso e in questo ultimo caso bisogna fare attenzione che la variazione conformazionale non sia quella indotta dal ligando. Nel caso di farmaci che vanno a supplire la mancanza del ligando, il legame tra il farmaco e il target deve determinare la stessa variazione conformazionale e questo si ottiene andando a stimolare le stesse interazioni che avvengono tra il ligando e il target. Il complesso che si forma deve avere una certa stabilità per garantire l’effetto farmacologico e questa è determinata dalla formazione di legami intermolecolari reversibili: 1. I legami ionici o forze di tipo elettrostatico → sono sicuramente i legami più forti (20-40 kJ/mol) e i primi che si formano all’entrata del farmaco nel sito di binding; questi si istaurano tra gruppi con cariche opposte e la forza dell’interazione è inversamente proporzionale alla distanza tra le due cariche. Sono le interazioni più forti in ambiente idrofobico. 2. I legami a idrogeno → sono di estrema importanza e devono essere numerosi perché ci sia una buona stabilità, ma non devono essere troppi altrimenti questo determinerebbe una bassa selettività di interazione. Sono più deboli delle interazioni elettrostatiche, ma più forti delle forze di Van der Walls. I legami idrogeno hanno Iuogo tra un idrogeno elettron-deficiente e un eteroatomo (O o N) ricco di elettroni; inoltre sono lineari e questo è importante per la disposizione spaziale dell’interazione con il target. I diversi accettori e donatori di legami a idrogeno hanno forze diverse. 3. Le forze di Van der Waals hanno luogo tra le regioni idrofobiche del farmaco e del target e prevedono la formazione di dipoli transienti che sono molto deboli (2-4 kJ/mol), tant’è che l’interazione diminuisce rapidamente con l’aumento della distanza, infatti per garantire questa interazione il farmaco deve essere vicino alla regione di legame. Nonostante siano forze molto deboli, vanno a conferire una certa stabilità alla formazione del complesso e sono indispensabili per il posizionamento corretto della struttura del farmaco all’interno della tasca del target. 4. Interazioni dipolo-dipolo. 5. Interazioni dipolo indotto → hanno luogo quando la carica di una molecola induce il dipolo di un’altra (es. ione ammonio e anello aromatico) 6. Interazioni ione-dipolo → hanno luogo quando la carica di una molecola interagisce con il momento dipolare di un’altra; sono più forti delle interazioni dipolo-dipolo, tant’è che la forza diminuisce meno velocemente all’aumentare della distanza rispetto a quanto succede per le interazioni dipolo-dipolo. Inoltre, ci sono altre forze coinvolte rispetto ai legami intermolecolari: 7. Desovaltazione → è necessaria e richiede energia per rompere i legami tra l’acqua e una porzione polare del sito di binding al fine di indurre la formazione di un legame farmaco- target che determina un guadagno di energia. In particolare, l’energia ottenuta dall’interazione farmaco-target deve essere maggiore dell’energia richiesta per la desolvatazione 8. Interazioni idrofobiche → prevedono che in una regione di tipo idrofobico, dove ovviamente non c’è un’interazione con l’acqua, ci sia un impaccamento e un posizionamento ordinato dell’acqua introno alla regione idrofobica stessa. Perciò per ottenere una relazione idrofobica-idrofobica tra farmaco e target è necessario che venga rotta la catena di interazioni tra le molecole d’acqua. Anche in questo caso c’è una penalizzazione energetica (entropia negativa), ma successivamente c’è un aumento dell’entropia e quindi un guadagno energetico. 6.1. Target: LIPIDI DELLA MEMBRANA CELLULARE Uno degli esempi più classici è l’utilizzo di composti che formano delle strutture porose a livello del doppio strato fosfolipidico. Questo avviene grazie all’interazione con il doppio strato fosfolipidico di molecole anfipatiche, cioè che presentano una porzione lipofilica in grado di interagire con la porzione idrofobica della membrana e una porzione idrofilica in grado di interagire con le code polari dei fosfolipidi → questa interazione determina la formazione di una cavità idrofilica che permette il passaggio non regolato di soluti, determinando una perdita dell’omeostasi cellulare con conseguente morte cellulare. Se questa struttura si appaia all’ergosterolo piuttosto che al colesterolo si potrà avere una certa selettività, anche se sempre molto bassa. 6.2. Target: CARBOIDRATI I carboidrati non hanno un’attività specifica, in quanto non vanno ad agire determinando una risposta a livello della cellula, ma vengono utilizzati come possibili target per il riconoscimento e la selezione di un determinato tipo di cellula specifica. Nel caso delle cellule tumorali, si può avere la sovra-espressione, a livello della membrana, di alcuni elementi particolari, come alcuni carboidrati → se si utilizza questo aspetto, si può utilizzare un farmaco (es. anticorpi) in grado di riconoscere questi carboidrati specifici che vengono sovra-espressi per il riconoscimento delle cellule tumorali. Non è un target funzionale che porta all’attività del farmaco, ma è un target di riconoscimento. 6.3. Target: ACIDI NUCLEICI Gli acidi nucleici possono essere attaccati in maniera aspecifica o con dei meccanismi molto precisi, come il blocco della trascrizione genica. 6.4. Target: PROTEINE La classe delle proteine è il target maggiore che si può utilizzare per l’interazione con i farmaci. 6.4.1. Proteine di trasporto Molti farmaci attraversano le membrane biologiche mediante diffusione passiva, secondo cui le molecole si muovono spontaneamente da una zona di maggiore concentrazione a una con concentrazione inferiore, con una velocità che dipende dal gradiente di concentrazione attraverso la membrana. Alcune sostanze endogene invece utilizzano dei sistemi di trasporto e il processo è definito come attivo. Per questo tipo di trasporto, le membrane hanno sistemi proteici specifici che "riconoscono" il prodotto da trasportare. Il trasporto attivo differisce dalla diffusione passiva poiché avviene contro gradiente di concentrazione e richiede il consumo di energia; tuttavia, il sistema di trasporto presenta un limite di carico (quando viene raggiunta la saturazione del sistema di trasporto, all’aumentare della concentrazione del prodotto da trasportare la velocità non aumenta) e specifica affinità strutturale per le sostanze da trasportare → sostanze esogene, strutturalmente simili a quelle endogene, possono legarsi al trasportatore, causando fenomeni di competizione che possono ridurre la sua efficacia. Sfruttando questa competizione, un farmaco può esercitare la sua azione influenzando il trasporto di molecole endogene attraverso la membrana cellulare; la proteina di trasporto diventa allora il bersaglio farmacologico. Ci sono anche dei meccanismi di trasporto facilitato in cui l’interazione con la proteina fa sì che ci sia un trasporto in entrambe le direzioni senza dispendio di energia. A questo livello l’importanza del rapporto idrofobicità/idrofilicità del composto che deve passare viene meno perché il passaggio attraverso la membrana è mediato da una proteina apposita (ciò vale anche per il trasporto attivo). Ci sono dei trasportatori per gli amminoacidi che permettono a queste sostanze di attraversare la barriera ematoencefalica, perciò se si vuole far passare una molecola polare a livello della barriera ematoencefalica, si può sfruttare un trasportatore degli alfa-amminoacidi. 6.4.2. Proteine strutturali Le proteine strutturali sono importanti per la struttura o per delle interazioni strutturali della molecola con, ad esempio, una cellula. Un esempio è dato dall’interazione tra il virus dell’HIV mediante le glicoproteine gp41 e la cellula ospite, infatti tale interazione permette l’adesione del virione con conseguente inserimento del virione all’interno della cellula → se si utilizza un farmaco che impedisce la variazione strutturale della proteina di struttura gp41 non avviene più l’interazione del virione sulla superficie della cellula e quindi il farmaco impedisce l’infezione (viene impedito il processo di fusione). Un ulteriore esempio è determinato dalla tubulina. La tubulina (α e β) costituisce i microtubuli, elementi citoscheletrici importanti per la divisione cellulare. I microtubuli hanno un’estremità in crescita attiva e un’estremità che viene depolimerizzata → gli eventi di polimerizzazione e depolimerizzazione delle due estremità dei microtubuli permettono la migrazione dei fusi mitotici per garantire la separazione del DNA e la divisione delle due cellule durante la mitosi. Se si blocca la polimerizzazione o la depolimerizzazione della tubulina, si blocca la divisione cellulare e questo è uno dei meccanismi con cui agiscono alcuni antitumorali. 6.4.3. Enzimi Gli enzimi sono proteine globulari che presentano una cavità all’interno della quale si va a collocare il substrato che subisce una reazione che viene catalizzata dall’enzima stesso → si ha la formazione di un prodotto. La catalisi che viene mediata dall’enzima permette il raggiungimento dell’equilibrio della reazione in maniera più veloce in quanto viene diminuita l’energia di attivazione. Il ΔG, cioè la differenza di energia tra i reagenti e i prodotti, rimane costante, ma l’enzima è in grado di abbassare l’energia di attivazione della reazione, perciò la velocità di questa è maggiore. Gli enzimi presentano una superficie di reazione chiamata sito attivo; in genere, questa è una cavità di tipo idrofobica all’interno della quale sono presenti dei residui amminoacidici che fungono da catalizzatori → grazie alla formazione di alcuni legami si assiste una variazione energetica a livello del substrato che migliora la velocità di formazione di alcuni legami, diminuendo l’energia di attivazione. Ci concentreremo principalmente sui composti che vanno a bloccare l’attività di un enzima, andando ad interagire con il sito attivo. Se viene occupato il sito attivo da un composto che l’enzima non è in grado di modificare, si impedisce l’accesso del substrato naturale e quindi l’enzima non potrà funzionare. Ad esempio, si può utilizzare il substrato naturale modificando la porzione che subisce la reazione, in modo tale che non possa essere modificato dall’enzima. In condizioni normali, il substrato interagisce con l’enzima attraverso un processo induced fit grazie alla formazione di interazioni intermolecolari (legami ionici, legami H e forze di Van der Waals). Queste interazioni portano ad una variazione della struttura della cavità catalitica e un suo adattamento che portano alla catalisi della reazione e la produzione del prodotto finale. Nell’immagine sottostante sono riportate le interazioni tra l’acido piruvico e l’enzima LDH, il quale catalizza la conversione del piruvato in lattato → attraverso il legame con il sito attivo dell’enzima si assiste ad un indebolimento del doppio legame del gruppo carbonilico QUINDI, in presenza del substrato, si rompono i legami intramolecolari presenti a livello del sito attivo e si formano dei legami intermolecolari con il substrato naturale per favorire la reazione enzimatica. PROCESSO DI CATALISI Nel processo di catalisi sono previste delle cinetiche molto importanti che devono garantire la stabilità del complesso enzima-substrato in modo tale che possa avvenire la reazione e che poi il prodotto venga liberato → ci sono degli equilibri molto delicati per quanto riguarda le forze di interazione che si formano, infatti queste devono essere sufficientemente forti da garantire l’interazione enzima-substrato e sufficientemente deboli da garantire la liberazione del prodotto. Se l’obiettivo è bloccare l’attività dell’enzima, bisogna andare ad agire su questo processo alterando l’equilibrio di queste fasi. REGOLAZIONE ENZIMATICA Molti enzimi sono regolati da agenti presenti nella cellula e la regolazione può incrementare o inibire l’attività degli enzimi. Alcuni meccanismi di regolazione prevedono l’attività di alcuni prodotti enzimatici che possono agire come degli inibitori, per cui l’aumento della concentrazione del prodotto oltre una certa soglia determina l’inibizione dell’attività dell’enzima → il G1P, prodotto a partire dal glicogeno per azione della fosforilasi, quando raggiunge una certa concentrazione spegne l’enzima che lo ha prodotto legando un sito allosterico. Quando la concentrazione del prodotto, viene meno, viene meno anche l’inibizione dell’attività dell’enzima, perciò viene ripresa la catalisi enzimatica e la produzione del prodotto finale. Il meccanismo di controllo di questo meccanismo di regolazione è, quindi, dettato proprio dalla concentrazione del prodotto finale. Sfruttando questo aspetto, si può bloccare l’enzima andando a somministrare una molecola che presenti una struttura simile al prodotto che oltre ad una certa concentrazione, va a bloccare l’attività dell’enzima → l’interazione dell’inibitore allosterico con il sito allosterico determina il cambiamento della conformazione del sito attivo dell’enzima che non è più in grado di interagire con il substrato, perciò una crescente concentrazione del substrato non elimina l’inibizione. È possibile mimare con maggiore semplicità la struttura dell’inibitore sapendo che è il prodotto diretto della reazione catalizzata dall’enzima. Però, ci sono dei sistemi in cui l’inibitore di un determinato enzima non è il primo prodotto della scala enzimatica, ma il prodotto a valle di un sistema biosintetico abbastanza lungo. In questo caso, non è detto che si sappia com’è fatto il prodotto che funziona da inibitore sull’enzima e quindi è più difficile risalire alla sua struttura e generare una molecola analoga → non conoscendo il sito allosterico risulta utile la chimica combinatoriale e i meccanismi di screening, in quanto sapendo che l’enzima può essere inibito mediante regolazione allosterica, si può fare uno screening utilizzano strutture molto diverse in modo tale da avere la possibilità di trovare delle strutture inaspettate che si legano ai siti allosterici e che sono in grado di modificare la conformazione del sito attivo, non individuabili tramite la potenzialità razionale (studio randomizzato). − Inibitori reversibili competitivi Gli inibitori competitivi si legano al sito attivo dell’enzima mediante legami intermolecolari e il binding è reversibile, perciò vi è un equilibrio tra l’enzima legato e quello libero. Questo significa che l’inibizione del composto è reversibile → se la concentrazione del substrato aumenta, quest’ultimo compete con l’inibitore per il sito attivo con maggior efficacia e l’inibizione del farmaco è meno efficace (il substrato sovrasta l’inibitore). Ciò non vale né per inibitori allosterici, in quanto non sussiste competizione tra substrato e inibitore per il sito attivo, né nei casi in cui il legame tra inibitore e enzima è di tipo covalente. Il sito attivo di qualche enzima può legare, oltre al substrato, anche un cofattore enzimatico. Gli inibitori che si legano alla regione del sito attivo occupato dal cofattore competono con esso piuttosto che con il substrato. − Inibitori irreversibili Ci sono alcuni inibitori enzimatici che legano irreversibilmente il sito attivo dell’enzima e lo bloccano in maniera permanente. Questi inibitori formano dei legami covalenti e quindi formano un complesso stabile, perciò l’enzima non sarà più disponibile per catalizzare la reazione. Gli inibitori irreversibili non sono, quindi, competitivi, infatti l’aumento della concentrazione di substrato non porta al ripristino dell’attività, poiché gli inibitori non possono essere spiazzati dal sito attivo. All’interno di questa classe ci sono degli inibitori detti suicidi, ossia quelli che formano un legame irreversibile, ma in questo caso il legame irreversibile viene catalizzato dall’enzima → l’inibitore subisce la reazione. QUINDI, gli inibitori suicidi sono progettati per subire una trasformazione enzimatica catalizzata che li converte in una specie altamente reattiva che forma un legame covalente al sito attivo; l’effetto è sempre un’inibizione irreversibile dell’enzima in quanto questo non è in grado di legare il substrato. − Inibitori reversibili acompetitivi Gli inibitori acompetitivi sono inibitori che possono legarsi reversibilmente all’enzima solo quando il substrato è già legato al sito attivo: si legano al complesso enzima-substrato. L’aumento della concentrazione del substrato non evita l’inibizione come, invece, accade nel caso degli inibitori competitivi, ma il livello di inibizione dipende dalla presenza di una concentrazione di substrato presente per formare il complesso enzima-substrato → gli inibitori acompetitivi sono meno efficaci a basse concentrazioni di substrato. Gli inibitori acompetitivi non sono molto comuni. CINETICA ENZIMATICA 𝑉𝑚𝑎𝑥 × [𝑆] 𝑣= 𝐾𝑀 + [𝑆] Significato di KM − Dimensionalmente la KM è una concentrazione di substrato, tant’è che è espressa in molarità; essa è definibile operativamente come quella concentrazione di substrato a cui corrisponde un valore di velocità pari alla metà del valore della Vmax. − Essa indica quantitativamente l'affinità tra un enzima e il suo substrato → più basso è il valore di KM e più bassa sarà la concentrazione di substrato necessaria a saturare metà delle molecole di enzima presenti in soluzione, il che indica un’alta affinità dell'enzima per il substrato. Viceversa, un alto valore di KM indica che sarà necessario più substrato per legare la metà delle molecole di enzima presenti in soluzione, il che significa una minore affinità dell'enzima per il substrato. Il grafico cosiddetto dei “doppi reciproci” è il capostipite dell’approccio metodologico di determinazione per via grafica dei parametri cinetici Vmax e KM, basato sulla trasformazione della equazione di una iperbole in quella di una retta. Se partiamo dalla equazione cinetica di M-M e ne facciamo il reciproco si ha: 1 1 𝐾𝑀 = + 𝑣 𝑉𝑚𝑎𝑥 𝑉𝑚𝑎𝑥 × [𝑆] Riportando in grafico il reciproco delle misure di velocità iniziale (1/v) in funzione del reciproco della concentrazione del substrato (1/[S]), i punti sperimentali giaceranno su una retta dalla cui analisi sarà facile determinare i due parametri cercati Infatti, mentre l’intercetta con l’asse delle ordinate fornirà il valore del reciproco della velocità massima, la pendenza della retta (KM/Vmax) o ancor meglio il valore dell’intercetta sull’asse delle ascisse (–1/KM), permetteranno di determinare la KM. Il grafico dei doppi reciproci è utile anche per definire la presenza di un inibitore, in quanto, in base al tipo di inibitore, questo influenzerà il valore di KM o di Vmax. − Inibitore competitivo In presenza di inibitore competitivo si osserva una variazione di -1/KM, che assume un valore meno negativo, in quanto aumenta la KM (la concentrazione di substrato necessaria a raggiungere il valore di Vmax/2, in presenza dell’inibitore a livello del sito attivo, sarà maggiore → affinità minore), ma non varia 1/Vmax (aumentando la concentrazione del substrato, questo incombe sull’inibitore, perciò la velocità massima della reazione rimane la medesima). − Inibitore non competitivo In presenza di un inibitore non competitivo, l’aumento della concentrazione del substrato non permetterà il raggiungimento della Vmax che si ottiene in assenza dell’inibitore perché quest’ultimo non potrà essere spiazzato (essendo che questo si lega in un sito allosterico) e il complesso ternario EIS non prevede alcuna attività enzimatica → il valore 1/Vmax in presenza dell’inibitore non competitivo aumenta, in quanto diminuisce Vmax. La diminuzione di Vmax comporta, a sua volta, la diminuzione del valore di Vmax/2, il quale verrà raggiunto con una concentrazione di substrato pari a quella per il raggiungimento del valore di Vmax/2 in assenza di inibitore → KM non varia, perciò non varia nemmeno il valore di -1/KM. − Inibitore acompetitivo In presenza di un inibitore acompetitivo variano sia Vmax che KM, infatti entrambi i valori diminuiscono (1/Vmax aumenta e il valore di -1/KM assume valori più negativi) 6.4.4. Recettori I recettori sono proteine globulari che agiscono come cassette delle lettere di una cellula e possono essere modulati → si possono sia disattivare che essere attivati. Mentre gli enzimi catalizzano reazioni, a livello recettoriale vi sono interazioni tra il recettore e il ligando, il quale viene successivamente rilasciato inalterato → l’interazione ligando-recettore induce una cascata di eventi che termina con il rilascio del ligando, il quale rimane inalterato o degradato successivamente, ma non da parte del recettore; perciò il recettore non causa variazione strutturale del ligando. I recettori comunicano, attraverso l’interazione induced fit con il ligando, un messaggio, in genere dall’esterno all’interno, alla cellula. Ad esempio, a livello dell’SNC vi è la comunicazione neuronale che avviene elettricamente, ma quando la cellula neuronale termina, vi è la presenza di uno spazio sinaptico che impedisce la trasmissione elettrica del segnale da un neurone all’altro; è prorpio a questo punto che intervengono i recettori, i quali permettono la trasmissione chimica del segnale → a livello dello spazio di giunzione si assiste al rilascio di neurotrasmettitori (in generale si parla di messaggeri chimici) che legano i recettori presenti a livello della membrana del neurone post-sinaptico; ciò permette la trasmissione del messaggio. Ogni cellula ha una gamma di recettori sulla membrana cellulare che rende sensibile la cellula stessa a diversi messaggeri chimici, infatti sono presenti diversi recettori specifici per diversi messaggeri chimici → si ha una trasmissione complessa che rende complesso anche l’equilibrio tra diversi neurotrasmettitori, i quali portano anche un messaggio opposto. I messaggeri chimici possono essere distinti in: − Neurotrasmettitori → sostanze rilasciate dalle terminazioni nervose, che attraversano le sinapsi per legare i recettori delle cellule bersaglio, ad esempio muscolari o neuronali. Generalmente hanno breve “sopravvivenza” e sono responsabili del messaggio tra cellule individuali − Ormoni: sostanze, rilasciate da cellule o ghiandole, che interagiscono con recettori delle cellule target che non sono fisicamente vicine a quelle che hanno rilasciato l’ormone. Rispetto ai neurotrasmettitori, gli ormoni hanno tempi di risposta più lunghi con un riscontro più tardivo. A questo livello i recettori possono essere anche intracellulari QUINDI, in base al tipo di mediatore chimico, si hanno recettori differenti, con anche diversa localizzazione e diverso tempo di risposta (millisecondi, minuti, giorni, ecc. → i recettori legati ai canali ionici rispondono prontamente, mentre quelli legati ad una risposta genica rispondono più tardivamente). I recettori presentano un sito di binding (cavità o fessura sulla superficie recettoriale) che viene riconosciuto dal messaggero chimico. Quando il ligando lega il recettore induce una modificazione conformazionale a livello del recettore stesso e ciò scatena una cascata di eventi che coinvolge messaggeri secondari → il binding comporta un effetto domino che è noto come trasduzione del segnale e che porta un segnale chimico all’interno della cellula. Come detto, i messaggeri chimici, di solito, non entrano nella cellula, ma si staccano dal recettore mantenendo la loro struttura inalterata (NO REAZIONI!). Il sito di binding è tendenzialmente una cavità o fessura idrofobica sulla superficie del recettore (equivalente al sito attivo di un enzima → isoenzimi, ossia stesso enzima ma uno è più presente in un tessuto piuttosto che in un altro). Questa cavità è dedicata all’interazione del recettore con il ligando, il quale si lega attraverso legami ionici, legami H e Van der Waas; I legami devono essere abbastanza forti da tenere il messaggero legato al recettore sufficientemente a lungo da garantire la trasduzione del segnale, ma allo stesso tempo abbastanza deboli da consentire al messaggero di staccarsi al termine della trasduzione (delicato equilibrio) Molecole con interazioni forti in genere bloccano il sito di legame e questi vengono chiamati antagonisti (farmaci antiipertensivi, ecc.) → la modulazione deve essere puntuale anche in termini di dosaggio del farmaco. Ci sono diverse superfamiglie recettoriali, che hanno funzioni differenti: − Recettori accoppiati a canali ionici → tempo di risposta in millisecondi/immediata − Recettori accoppiati a proteine G → tempo di risposta in secondi − Recettori accoppiati a chinasi → tempo di risposta in minuti − Recettori intracellulari RECETTORI ACCOPPIATI AI CANALI IONICI Sono recettori transmembranali e permettono il passaggio di ioni tra l’interno e l’esterno della cellula; questi sono selettivi per alcuni tipi di ioni. Il canale ionico può presentarsi con una conformazione aperta o chiusa, ma ciò che è importante è anche l’entità dell’apertura (modulazione). L’apertura o la chiusura di un determinato canale ionico comporta la polarizzazione o la depolarizzazione delle membrane (variazione nella concentrazione ionica all’esterno e all’interno della cellula) con conseguente attivazione o disattivazione di enzimi che catalizzano reazioni intracellulari → alcune reazioni vengono indotte, mentre altre vengono bloccate con conseguente risposta correlata. Il canale può essere visto come un cancello, generalmente quasi chiuso, che si apre a seguito dell’interazione con il messaggero; ciò comporta un flusso ionico attraverso la membrana con conseguenti effetti secondati (trasduzione del segnale), infatti il flusso ionico porta ad un’alterazione della concentrazione ionica intracellulare e ad una variazione nella chimica della cellula. Quando il messaggero si stacca dal canale, questo si chiude nuovamente. Un esempio di sottotipo recettoriale accoppiato ad un canale ionico è il recettore nicotinico, costituito da 5 subunità (2xα, β, δ, λ) transmembrana dove il sito di binding è collocato a livello delle subunità α (si hanno quindi due siti di binding per il ligando). Un altro esempio è il recettore glicinico (risponde alla glicina), costituito da 5 subunità (3xα, 2xβ) transmembrana dove il sito di binding è collocato a livello delle subunità α (si hanno quindi tre siti di binding per il ligando). Ogni canale ionico presenta 5 subunità e ogni subunità del canale proteico è costituita da 4 domini transmembrana (TM1, TM2, TM3 e TM4), dei loop intracellulari ed extracellulari, un loop variabile, una porzione N-terminale e una porzione C-terminale. Il dominio TM2 si ripiega verso il poro del canale chiudendolo, ma il legame ligando-recettore induce uno spostamento del segmento TM2 stesso con conseguente apertura del poro. Quando c’è l’apertura del canale si assiste al passaggio di cationi o anioni con una certa selettività che dipende dal tipo di canale. Si hanno canali eccitatori cationici (K+, Na+, Ca++) e canali inibitori anionici (Cl-). RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G Sono recettori transmembrana in cui a livello intracellulare è presente un sito che, a seguito del legame ligando-recettore a livello extracellulare, subisce una variazione strutturale. Tale variazione permette al sito di interagire con una proteina segnale, ossia la proteina G (un determinato recettore lega quella determinata proteina G). Quest’ultima è un complesso di 3 proteine dette alfa, beta e gamma: − In condizioni di riposo, la subunità alfa lega una molecola di GDP e le subunità beta e gamma rimangono associate alla subunità alfa − Quando il recettore è attivato dal ligando, la subunità alfa si libera del GDP e assume una molecola di GTP e le subunità beta e gamma si dissociano dalla alfa → una di queste subunità lega poi un determinato enzima attivandolo o inattivandolo. La subunità alfa con GTP attiva/inibisce enzimi (es. adenilato ciclasi, ecc.) o canali ionici: essi vengono detti “effettori”. L’effettore adenilato ciclasi è un enzima di membrana che forma AMP ciclico (cAMP – messaggero secondario) e viene attivato da proteine G dette Gs. I recettori accoppiati alle proteine G sono costituiti da 7 eliche transmembrana, loop intracellulari, loop extracellulari, porzione N-termina extracellulare e porzione C-terminale intracellulare. Tra il loop intracellulare variabile, localizzato tra il V e il V dominio transmembrana, e la porzione C-terminale si ha il sito di legame per la proteina G. Se la proteina G si lega a livello intracellulare, il ligando si lega a livello extracellulare, ma il sito di legame varia in base al tipo di ligando: Ci sono diversi tipi e sottotipi recettoriali accoppiati alle proteine G: − Recettore adrenergico, distinto nei tipi alfa e beta. All’interno di queste due classi sono stati osservati diversi sottotipi (alfa: α1, α2A, α2B, α2C; beta: β1, β2, β3). − Recettore colinergico (rispondono all’acetilcolina), distinto in nicotinico (questo è accoppiato ai canali ionici) e muscarinico (accoppiato alle proteine G). All’interno del tipo muscarinico si distinguono 5 sottotipi (M1-M5). Il recettore muscarinico, oltre a legare l’acetilcolina, lega anche la muscarina; mentre il recettore nicotinico, oltre a legare l’acetilcolina, lega anche la nicotina. Tipi e sottotipi recettoriali presentano differenze strutturali e non sono ugualmente distribuiti nei tessuti, ma riconoscono lo stesso ligando (selettività insita nella diversa localizzazione → ciò è importante quando si sviluppa un farmaco per cui è necessaria una selettività d’azione). RECETTORI LEGATI ALLE TIROSIN-CHINASI Sono recettori legati a enzimi, ossia le tirosin-chinasi, in cui l’enzima può fare parte del recettore e o essere a sé stante; in quest’ultimo caso l’interazione ligando-recettore induce l’assemblaggio e l’attivazione dell’enzima → trasduzione del segnale con conseguente risposta cellulare. L’attivazione delle protein-chinasi porta alla fosforilazione di altre proteine che, attraverso la fosforilazione, possono essere o attivate o inibite. In particolare le tirosin-chinasi inducono una fosforilazione ATP-dipendente e legata alla presenza di magnesio di residui di tirosina. Questi recettori sono costituiti da un dominio transmembrana, una porzione N-terminale extracellulare (regione di binding del messaggero) e una porzione C-terminale intracellulare (porzione catalitica). Tra i recettori legati alle tirosin-chinasi vi è il recettore per EGF (fattore di crescita epidermico), presente in condizione di riposo come monomero inattivo → il binding del ligando induce la dimerizzazione del recettore e l’attivazione della porzione catalitica intracellulare, che comporta l’autofosforilazione a livello dei residui di tirosina; in particolare il sito attivo di una porzione catalitica del dimero fosforila la tirosina dell’atra porzione (la dimerizzazione è cruciale). Un altro esempio è il recettore per l’insulina, in cui due copie di una catena della proteina si uniscono all'esterno della cellula per formare il sito del recettore che lega l'insulina; questo è collegato attraverso la membrana a due subunità tirosina chinasi → queste, quando l’insulina si lega, acquisiscono la capacità di fosforilare le tirosine; in particolare vi è prima un processo di autofosforilazione a cui segue un processo di fosforilazione di altre proteine intracellulari. Anche il recettore per l’ormone della crescita è accoppiato alle tirosin-chinasi; questo è costituito da due copie della catena della proteina presenti a livello della membrana che dimerizzano per formare il sito di binding per l’ormone della crescita, e da due copie intercellulari che, una volta avvenuto il legame ligando-recettore, si legano alla porzione intracellulare delle due copie transmembrana attivandosi → ciò porta ad un cascata di fosforilazione che inizia con l’autofosforilazione. Questo tipo recettoriale è tendenzialmente over-espresso nei tumori. RECETTORI INTRACELLULARI In questo caso il trasmettitore deve entrare all’interno della cellula per legare il proprio recettore, perciò se si vuole eseguire dei test utilizzando agonisti di recettori intracellulari è importante considerare che il trasmettitore dovrà necessariamente superare la membrana cellulare. Questi recettori interagiscono generalmente con steroidi e ormoni i quali influiscono sulla sintesi del DNA, perciò mediante il legame ligando-recettore si potrà avere una regolazione dell’espressione genica. Sono costituiti da una porzione di binding per il ligando, una porzione di binding per lo zinco (media il legame con il DNA), una sito di legame per il DNA. Il ligando interagisce con il recettore e in alcuni casi si assiste alla dimerizzazione del complesso, il richiamo e il legame di una proteina coattivatrice e l’interazione con il DNA; ad esempio (estrogeni), l’interazione tra l’estradiolo e il suo recettore media la dimerizzazione e l’esposizione della regione AF-2, la quale lega una proteina coattivatrice; segue l’interazione con il DNA. 7. AGONISTI E ANTAGONISTI Agonisti: farmaci progettati per simulare il messaggero naturale. Vi è un equilibrio tra la forma legata al recettore e forma libera – il numero di legami tra farmaco e recettore è importante. Antagonisti: farmaci progettati per bloccare il messaggero naturale. Tendono ad avere interazioni forti e / o più vincolanti, con conseguente diverso induced fit, con cui il recettore non è attivato. 7.1. AGONISTI Mimano il messaggero naturale del recettore, perciò inducono lo stesso tipo di azione che viene indotta dal ligando naturale → ottenerla non è facile, ad esempio, per sintetizzare un composto che svolga la stessa azione dell’acetilcolina un’idea sarebbe somministrare direttamente acetilcolina, ma questa si idrolizza facilmente e interagisce sia con i recettori nicotinici che muscarinici (poca selettività); perciò per migliorare la selettività si tende ad utilizzare un trasmettitore diverso da quello naturale (ricorda: non si ha lo stesso effetto di quando il ligando naturale viene sintetizzato e rilasciato dall’organismo, infatti, in questo caso l’organismo lo rilascia solo in uno specifico distretto perciò la selettività è insita proprio in questo processo) → un’idea sarebbe quella di indurre delle modificazioni strutturali in modo tale che le caratteristiche del trasmettitore vengano mantenute (si deve ottenere lo stesso induced fit → non semplice) QUINDI, gli agonisti legano reversibilmente il sito di binding e inducono lo stesso induced fit indotto dal messaggero naturale → il recettore è attivato. In particolare, si legano al sito con legami intermolecolari simili a quelli che si formano con il messaggero naturale. 7.1.1. Design degli agonisti L’agonista deve avere i giusti gruppi funzionali per il binding e questi devono essere posizionati correttamente per interagire in modo complementare alle regioni di binding → il farmaco deve avere forma adatta al sito di binding. Nell’immagine sottostante si hanno diversi gruppi funzionali per l’agonista: − Gruppo aromatico (interagisce a livello del sito di binding attraverso interazioni Van der Walls con una regione idrofobica) − Centro chirale con gruppo ossidrilico (donatore o accettore di legami H) − Testa cationica (interagisce con un gruppo caricato negativamente a livello del sito di binding → interazione elettrostatica) Il legame trasmettitore-recettore induce una modificazione conformazionale della tasca recettoriale (es. nel caso di recettori accoppiati a canali ionici, ciò comporta l’apertura del canale). Nell’immagine sottostante è posta a confronto la struttura dell’ipotetico neurotrasmettitore con le strutture possibili di agonisti costituiti da simili gruppi di binding: − 1° agonista: viene mantenuto il gruppo aromatico e la testa cationica, ma il centro chirale non lega più un gruppo ossidrilico, ma un gruppo amminico → il binding non cambia in quanto analogamente al gruppo OH il gruppo NH2 si può comportare sia da accettore che da donatore di legami H − 2° agonista: viene mantenuto il gruppo aromatico, la testa cationica e il centro chirale che lega il gruppo OH, ciò che risulta modificata è la rigidità della molecola a causa della presenza dell’anello → viene mantenuto lo stesso binding del ligando naturale in quanto vengono mantenute sia la dimensione che la struttura tridimensionale − 3° agonista: viene mantenuta sia la testa cationica che il centro chirale, ma al posto del fenile si ha una struttura che dà comunque uno stesso pai-pai stacking, anche se più debole → si ha interazione con la tasca di binding Per garantire un’interazione ottimale, non è solo necessaria la presenza dei gruppi funzionali adeguati, ma anche che questi siano nella posizione corretta. Nei casi sottostanti invece si analizzano strutture con modificazioni importanti rispetto al neurotrasmettitore naturale: − 1° struttura: manca la carica positiva in testa, non si ha il gruppo ossidrile e non si ha il gruppo aromatico → molto probabilmente tale struttura non sarà un agonista − 2° struttura: è mantenuta la carica positiva e il fenile (c’è ancora possibilità di pai-pai stacking), ma manca il gruppo capace di donare o accettare legami H → ci può essere interazione, ma sarà debole (2 interazioni su 3) − 3°struttura: viene mantenuta la carica positiva e il fenile (c’è ancora possibilità di pai-pai stacking), ma il gruppo ossidrilico non è nella posizione ottimale → attività debole (soli 2 gruppi di binding su 3 sono in posizione corretta). Situazione analogia si ha nel caso in cui viene invertita la chiralità, ossia viene utilizzato l’enantiomero → la variazione della struttura tridimensionale farà si che non sia possibile un’interazione contemporanea dei tre gruppi di binding, perciò a livello di chimica farmaceutica parlare di enantiomeri può essere un problema (l’inversione della chiralità spesso fa si che una o più interazioni vengano meno) − 4° struttura: la molecola è pressoché simile, ma il gruppo legato all’azoto con carica positiva (propile) è più ingombrante rispetto al gruppo metilico dell’ipotetico neurotrasmettitore → l’interazione tra il gruppo carico negativamente della tasca e l’ammonio sarà parzialmente impedito dal propile. Situazione analogia si ha nel caso in cui a livello del gruppo aromatico si ha una variazione di un sostituente (H → gruppo metile), infatti, si ha un’interazione inferiore rispetto a quella che si ha quando il gruppo aromatico non è sostituito → minore attività. Da queste analisi si nota come le manovre di variazione della struttura, per il design dell’agonista, siano limitate e stringenti. 7.2. ANTAGONISTI REVERSIBILI L’antagonista lega reversibilmente il sito di binding attraverso legami intermolecolari, ma viene indotto un diverso induced fit, il quale implica una mancata attivazione totale del recettore (permane l’attività basale). L’antagonista non reagisce con il recettore e il livello di antagonismo dipende dalla forza di binding dell’antagonista e dalla concentrazione. Quando al sito di binding è presente l’antagonista il messaggero naturale non può legarsi al sito di binding, ma un aumento della concentrazione di messaggero naturale blocca/diminuisce l’azione di antagonismo (questo avviene solo se l’antagonista è reversibile e se questo e il ligando competono per lo stesso sito). 7.2.1. Design degli antagonisti reversibili Disegnare un’antagonista è più facile che disegnare un agonista in quanto si ha molta più variabilità → si può disegnare un antagonista facendo sì che sia simile al messaggero, in modo tale che via sia interazione con il sito di binding, ma facendo in modo che questa non sia uguale a quella del messaggero (diverso induced fit che non porta ad attività → interazione più forte che comporta una permanenza a livello del sito di binding maggiore); in questo modo si impedisce anche l’accesso al messaggero naturale. Nell’immagine sottostante è rappresentato un antagonista del neurotrasmettitore ipotetico in cui è presente solamente un -CH2 in più → allungamento della catena che permette la formazione del legame elettrostatico, ma non l’apertura della tasca (perfetto adattamento, ma nessun cambiamento conformazionale del recettore) Oppure si può disegnare un antagonista in modo tale che questo si leghi ad un sito diverso rispetto a quello di binding del ligando e induca una chiusura del sito di binding impedendo l’entrata del messaggero. Gli antagonisti possono dare interazioni sia con regioni di binding che con regioni del sito di binding che non sono coinvolte nell’interazione con il substrato naturale. Nell’immagine più in alto è rappresentato il binding del neurotrasmettitore ipotetico mentre nell’immagine più in basso è rappresentato il legame del sito di binding con un antagonista anche con regioni non coinvolte nell’interazione con il ligando naturale → maggiori legami con la tasca del recettore che possono essere sfruttati per una maggiore stabilità del complesso recettore-antagonista; infatti, ciò che si deve ottenere è un complesso stabile e non funzionale. Per fare ciò è necessario conoscere la presenza di eventuali altre tasche nel sito di binding. 7.3. ANTAGONISTI IRREVERSIBILI Si possono anche sfruttare antagonisti irreversibili, ossia molecole che legano irreversibilmente il sito di binding → un diverso induced fit porta a una mancata attivazione totale del recettore. Nel caso dell’antagonista irreversibile si forma un legame covalente tra farmaco e recettore, perciò al substrato naturale è impedito l’accesso nel sito di binding → l’aumento della concentrazione di substrato naturale non blocca l’antagonismo. Questi venivano spesso utilizzati per il mapping recettoriale (si voleva determinare la localizzazione dei recettori e la loro densità), mentre ora trovano applicazione anche in terapia. 7.4. ANTAGONISTI ALLOSTERICI Come visto per gli enzimi, anche per i recettori esistono dei siti diversi dal sito di interazione recettore-ligando naturale (siti allosterici). In questo caso, l’antagonista lega reversibilmente un sito allosterico mediante la formazione di legami intermolecolari → l’induced fit altera la struttura (conformazione) del recettore, perciò il sito di binding ne risulta distorto e non viene riconosciuto dal substrato naturale. L’aumento della concentrazione di messaggero non blocca l’antagonismo. 7.5. ANTAGONISTI CON EFFETTO A OMBRELLO L’antagonista lega reversibilmente un sito vicino al sito di binding del substrato naturale tramite la formazione di legami intermolecolari. L’antagonista copre il sito di binding del messaggero, perciò il substrato naturale non può legarsi al suo sito di binding → blocco sterico della tasca, che diventa inaccessibile anche se non modificata. Tale situazione può accadere anche nel caso degli enzimi. 7.6. AGONISTI PARZIALI Sono dei composti che quando si legano al recettore, ad esempio accoppiato al canale ionico, comportando l’apertura del canale stesso, ma con entità diversa rispetto a quanto fanno gli agonisti puri → l’apertura totale è minore. Possibili spiegazioni: − Il composto lega il recettore ma non porta a un induced fit ideale (no effetto massimo) − Il composto si lega al sito di binding in due diversi modi, uno in cui agisce come agonista e l’altro come antagonista − Il composto si lega a un sottotipo recettoriale agendo come agonista e a un altro sottotipo recettoriale agendo come antagonista − Il composto agisce come agonista, ma con effetto più debole del substrato naturale Gli agonisti parziali sono utili nel caso si abbia una risposta eccessiva da parte dell’organismo; infatti, in questo caso si vuole diminuire la risposta, ma non spegnerla completamente → a livello del recettore rimane un’attività agonistica parziale, ma di per sé si ha una diminuzione della risposta per competizione con l’agonista puro (pseudo-antagonismo parziale). Alcune volte può invece essere utilizzato per una parziale stimolazione della risposta, in quanto potrebbe non essere indispensabile avere un’attivazione totale. 7.7. AGONISTI INVERSI In assenza di antagonisti, agonisti e messaggero naturali il recettore fornisce una risposta basale; ad esempio un canale in queste condizioni è lievemente aperto, quindi permette un piccolo flusso di ioni → in presenza invece di un agonista inverso il recettore è completamente inattivato. Proprietà condivise con gli antagonisti: − Legame al recettore in siti di legame diversi da quelli del substrato naturale con diverso induced fit − Recettore non attivato − Inibizione del legame del messaggero naturale Altre proprietà non condivise con gli antagonisti − Blocco di qualsiasi attività del recettore → è bloccata anche l’attività intrinseca del recettore, ossia il livello di attività presente in assenza di un messaggero chimico − Recettori in un equilibrio tra forme costituzionalmente attive e inattive − Inattivazione della forma costituzionalmente attiva L’attività basale di un recettore deriva, quindi, dall’equilibrio tra la forma conformazionalmente attiva del recettore e la conformazione inattiva. In aggiunta dell’agonista o del messaggero naturale si sposta l’equilibrio verso la conformazione attiva; mentre in aggiunta dell’antagonista si sposta l’equilibrio verso la forma inattiva del recettore (come avviene anche nello stato di riposo del recettore). Con un agonista parziale si ha l’attivazione parziale del recettore; mentre in aggiunta dell’agonista inverso l’equilibrio è totalmente spostato verso la conformazione inattiva. 7.8. POSITIVE ALLOSTERIC MODULATION (PAM) Quando il neurotrasmettitore (NT1) lega il receottore, ad esempio, accoppiato ad un canale ionico, il canale si apre più frequentemente; quando, invece, sia il neurotrasmettitore che un modulatore positivo allosterico (PAM+) sono legati al recettore, il canale si apre ancora più frequentemente; permettendo un maggiore flusso di ioni. 7.9. NEGATIVE ALLOSTERIC MODULATION (NAM) Quando il neurotrasmettitore (NT1) lega il receottore, ad esempio, accoppiato ad un canale ionico, il canale si apre più frequentemente; quando, invece, sia il neurotrasmettitore che un modulatore negativo allosterico (NAM-) sono legati al recettore, il canale si apre meno frequentemente; permettendo un minore flusso di ioni. 7.10. STUDI RECETTORIALI Se si disegna un antagonista come si fa a capire se questo funziona? Siccome l’antagonista congela lo stato stazionario, come si fa a discriminare quando questo è dato dall’effetto dell’antagonista stesso o semplicemente dallo stato del recettore in condizioni normali? È necessario stimolare il recettore attraverso l’impiego di un agonista, infatti una mancata attivazione totale del recettore da parte di quest’ultimo sarà dovuta alla presenza dell’antagonista. Quando vengono fatti questi studi è necessario tenere in considerazione che l’attività dell’antagonista dipenderà anche dall’agonista, perciò quando vengono messi a confronto diversi antagonisti, la loro forza verrò testata mediante l’impiego di uno stesso agonista → non si posso utilizzare agonisti diversi per valutare risposte di antagonisti diversi. Una prima cosa da prendere in considerazione è se un composto si lega o meno al recettore di interesse; per fare ciò si valuta se si è instaurato un legame tra la molecola e il recettore → si utilizzano dei ligandi radioattivi che vengono incubati con la proteina recettoriale e al termine dell’incubazione si valuta quanta radioattività è rimasta. Ciò permette di determinare quanto composto si è legato alla proteina. QUINDI, il recettore è “solubilizzato” e deriva da tessuti omogenizzati o da cellule in cui i recettori sono stati espressi mediante ingegneria genetica. Tali recettori vengono trattati con dosi crescenti di un ligando radiomarcato (3H, 127I, 35S, 14C); segue un lavaggio (desorbimento del ligando che interagisce in modo aspecifico) e conseguente misura della radioattività. Per rendere radioattivo un composto si hanno procedure difficili e costose. Un’altra strategia sarebbe quindi quella di rendere il composto fluorescente, ma chi assicura che non ci sia interazione da parte della molecola fluorescente con il recettore? Generalmente le molecole fluorescenti sono aromatiche e grandi quindi potrebbero dare loro stesse interazione o impedire l’interazione tra il composto in esame e il target → le molecole fluorescenti vengono utilizzate quando si sa che il composto si lega e quando non creano problemi nell’interazione ligando- recettore. Si fa perciò una studio al contrario: si utilizza un marker noto radioattivo e si vede quanto le molecole sintetizzate e di interesse, a seguito dell’incubazione, spiazzano la radioattività → aumentando la concentrazione del ligando in esame si otterrà una diminuzione della radioattività e sulla base di questa si ottengono delle informazioni su quanto facilmente il composto si lega (si riesce a calcolare la costante di dissociazione → studio dell’affinità del ligando, indipendentemente dalla risposta biologica). Il fatto che però ci sia un’interazione non vuol dire che questo poi comporti una risposta, infatti, un’interazione chimica non necessariamente comporta un effetto farmacologico. Durante lo studio predittivo biochimico diretto (studio del ligando radioattivo) si ottiene un plot in cui nell’asse delle ascisse si ha la concentrazione di ligando radioattivo, mentre nell’asse delle ordinate la radioattività espressa in percentuale. Si ottiene un grafico differente nel caso dello studio indiretto (studio del ligando non radioattivo) in presenza del radioligando di riferimento. Nell’asse delle x si ha il logaritmo della concentrazione del ligando non radioattivo, mentre nell’asse delle y si ha la percentuale di ligando radioattivo legato. Valutando sia i casi in cui il ligando in esame è competitivo con il radioligando che non competitivo il grafico a destra assume un andamento differente: − Ligando competitivo: si raggiunge lo stesso valore di Rtot − Ligando non competitivo: il valore massimo di Rtot è minore Perciò nel caso in cui il ligando di interesse non sia competitivo con il radioligando la radioattività non raggiungerà mai il 100%. Si prosegue poi con gli studi farmacologici in vivo, in vitro e ex vivo (modelli) − In vitro → esperimenti effettuati in “provetta”, generalmente non su organismi viventi ma su organi, tessuti, cellule, componenti cellulari, proteine, biomolecole. Sono i più semplici. − Ex vivo → tecnica in cui l’esperimento è eseguito in vivo e gli effetti sono osservati in vitro o in cui si rimuove parte del soggetto (studio sul singolo organo) − In vivo → ricerca biologica sull’intero organismo. Clinical trials: una sorta di ricerca in vivo, sugli uomini; solo se indispensabile − In silico: simulazioni computazionali per esempio di interazioni tra proteina e ligando Negli esperimenti in vitro è necessario correlare la concentrazione con una certa attività; mentre negli esperimenti in vivo è necessario correlare una certa dose di farmaco con un determinato effetto. Ovviamente la differenza tra concentrazione e dose dipende dalla fase farmacocinetica che si osserva solamente in vivo e non in vitro → nell’organismo il farmaco somministrato verrà in parte metabolizzato e in parte escreto; ciò non accade negli studi in vitro effettuati su cellule. Gli studi farmacologici si eseguono per valutare come la variazione della concentrazione porta ad una variazione dell’effetto fino ad ottenere l’effetto massimo raggiungibile (espresso in percentuale) ad una determinata concentrazione. Trasformando il tutto in scala logaritmica si ottiene una curva sigmoidea (più utilizzata) → la più ovvia ed importante caratteristica rivelata da queste curve è che la relazione dose-risposta è graduale, cioè, all’aumentare del dosaggio, la risposta diviene progressivamente più grande. 7.10.1. Teoria occupazionale classica Analisi quantitativa di Clark delle curve dose-risposte che stabilisce che (1) l'intensità di risposta ad un farmaco è proporzionale al numero dei recettori occupati da quel farmaco e che (2) ci sarà una risposta massima quando tutti i recettori disponibili saranno occupati. L’interazione Farmaco/Recettore è assimilabile all’isoterma di adsorbimento di Langmuir, governata dalla legge dell’azione di massa: Tale equilibrio è governato da una costante KA, ossia la costante di dissociazione del complesso Farmaco/Recettore che esprime l’affinità di un farmaco (A=agonista) per un particolare recettore Secondo Clark l’effetto ottenibile da parte di A è dato dall’effetto massimo raggiungibile moltiplicato per la frazione recettoriale occupata → l’effetto che si ottiene con [A] è l’effetto massimo ottenibile per il numero di recettori che vengono occupati; infatti quando [RA] è uguale a [RT], EA è uguale a Emax Con EA = effetto ottenuto con una la concentrazione [A], Emax = effetto massimo ottenibile, [RA] = concentrazione complesso agonista-recettore RT = concentrazione totale dei recettori. [RA] e [RT] sono espressi come segue: Da cui ne deriva che: Quando tutti i recettori sono occupati, allora: Mentre quando solo la metà dei recettori è occupata si ha il 50% dell’effetto massimo, ottenibile quando la concentrazione di agonista è pari alla KA: Secondo questa teoria, due farmaci che agiscono sullo stesso recettore dovrebbero produrre lo stesso effetto massimale, sempre che il loro dosaggio sia tale da produrre il 100% dell’occupazione dei recettori, ma non è così → due composti diversi possono produrre una risposta differente anche se in entrambi i casi il 100% dei recettori risulta essere occupato (la teoria dell’occupazione semplice non spiega questa differenza). Nell’immagine soprastante, il farmaco A produce lo stesso effetto del farmaco B ad una concentrazione minore. Tale differenza si rifà al concetto di potenza → la potenza di un agonista è espressa come la concentrazione necessaria per indurre un effetto pari al 50% dell’effetto massimo (Effective Concentration 50%: EC50). Riferendosi al caso sopra riportato, il farmaco A, sarà quindi più potente rispetto al farmaco B. Inoltre, secondo Clark, per ogni composto l’effetto massimo è sempre raggiungibile quando tutti i recettori sono occupati; perciò nel caso di un recettore accoppiato ad un canale ionico questo sarà aperto al massimo se tutti i recettori sono legati dal composto in esame. Ciò però non è sempre vero e questo si rifà alla differenza vista tra agonista parziale e agonista puro. Quindi in questo caso l’agonista parziale produce un effetto massimo che è minore rispetto all’effetto massimo prodotto dall’agonista puro. Ancora, le teoria occupazionale classica di Clark dice che un’interazione porta sempre ad una risposta, ma ciò non è vero per gli antagonisti (questi infatti congelano l’attività basale del recettore non portando ad una risposta cellulare). A differenza di Clark, Ariëns sostiene che in base al tipo di composto, si ha una diversa forza di legame con il recettore sulla quale viene definita l’affinità. Quest’ultima descrive, infatti, la forza con cui il farmaco si lega al recettore e viene espressa con la costante di dissociazione KA. L’attività intrinseca, invece, misura la capacità del farmaco di indurre una risposta biologica a seguito dell’interazione con il recettore e viene indicata da α. L’EFFETTO BIOLOGICO è quindi dato dal prodotto tra l’attività intrinseca e il numero di recettori occupati La differenza rispetto alla teoria di Clark sta nell’introduzione dell’attività intrinseca, la quale può assumere valori da 0 a 1 e ciò dipende dal tipo di composto in esame: − Farmaci ad alta affinità e attività intrinseca pari a 1 sono AGONISTI PURI − Farmaci ad alta affinità e attività intrinseca > 0 e < 1 sono AGONISTI PARZIALI − Farmaci ad alta affinità e attività intrinseca pari a 0 ANTAGONISTI COMPETITIVI In particolare, il valore di α è ottenuto dal rapporto tra l’effetto massimo espresso in percentuale prodotto dal composto in esame e l’effetto massimo prodotto da un agonista puro (100%). Nel caso riportato sotto, essendo α pari a 0.7, il composto B è un agonista parziale. Nel caso invece di un antagonista, se ne misura la potenza sull’effetto ottenuto con le curve dose- risposta di un agonista di riferimento → si pone in relazione il logaritmo della concentrazione dell’agonista (asse delle x) con il rapporto tra l’effetto osservato e l’effetto massimo. − Curva A → curva dose-risposta dell’agonista in assenza dell’antagonista − Curva B – C – D → curve dose-risposta dell’agonista in presenza di una concentrazione crescente di antagonista Se aumentando la concentrazione di agonista, all’aumentare della concentrazione di antagonista, si riesce sempre a ripristinare il 100% dell’effetto del sistema, allora l’antagonista sarà di tipo competitivo. Per determinare la potenza dell’antagonista si valutando le diverse concentrazioni di agonista necessarie al raggiungimento del 50% dell’effetto, ossia le EC50, in presenza di diverse concentrazioni di antagonista → si ottiene un plot in cui si prende in considerazione il valore di pA2, ossia il logaritmo negativo della costante di dissociazione dell’antagonista in presenza dell’agonista. Questo valore dà un’idea della forza di legame dell’antagonista e ciò permette di comparare diversi antagonisti in riferimento ad uno stesso agonista. Il valore di pA2 si ottiene mediante un calcolo matematico Ora si immagina che le curve B C e D siano ottenute in presenza della stessa concentrazione di antagonisti diversi → l’antagonista che funziona meglio è quello che, a parità di concentrazione, necessita di una maggiore concentrazione di ligando naturale per ripristinare l’attività (D in questo è l’antagonista più potente). Nel caso in cui l’antagonista sia di tipo non competitivo allora si ottengono delle curve rappresentate nel plot sottostante in cui è riportato l’effetto di concentrazioni crescenti di un antagonista non competitivo sulle curve concentrazione-risposta di un agonista. 7.10.2. Teoria occupazionale modificata Secondo tale teoria si può ottenere la risposta massima occupando soltanto una frazione di recettori → esistenza di “recettori di riserva”, che, nell'istante in cui si osserva la risposta massima, non sono legati al farmaco. Questi, inoltre, hanno un’affinità minore per il farmaco, infatti vengono occupati per ultimi e richiedono una concentrazione di ligando superiore per garantire il raggiungimento dell’effetto massimo (spostamento verso destra delle curve dose-risposta). QUINDI, per dare origine ad una prima risposta è necessario che una frazione di recettori siano occupati prima che si verifichi un effetto, si parla infatti di soglia recettoriale. Per raggiungere una risposta del 100% è necessario che venga occupato un altro cluster recettoriale; a questo punto una certa quota di recettori non è occupata (recettori di riserva) e questa non serve, quindi, per raggiungere il 100% della risposta, ma può essere legata in certe condizioni → ciò spiega, almeno parzialmente, perché, ad esempio, in alcuni tessuti gli antagonisti irreversibili, prima di determinare una riduzione della risposta massima dell’agonista, causano un notevole spostamento parallelo verso destra delle curve concentrazione-risposta. La riduzione dell’attività dell’agonista è dovuta al fatto che una volta che tutti i recettori, compresi quelli di riserva, sono saturati, non si ha più il pool di riserva che permetterebbe di ottenere il 100% della risposta → l’affinità viene meno. Secondo Stephenson non si ha una correlazione certa tra il numero di recettori occupati e la risposta di un farmaco; inoltre, quest’ultima non è linearmente proporzionale al numero di ricettori occupati. Per quanto detto vi è la possibilità di ottenere, da farmaci diversi, la stessa risposta occupando un numero diverso di recettori (efficacia = e). L’efficacia sostituisce l’attività intrinseca di Ariëns e dipende dal tessuto (limite della teoria). Secondo Furchgott & Nickerson, invece, l’effetto massimo di A rapportato all’effetto massimo del sistema è dato in un funzione dello stimolo biologico (S), il quale deriva dal prodotto tra l’efficacia del farmaco (e) e la frazione recettoriale occupata [RA]/[RT]. ε è pari all’efficacia intrinseca, ossia un parametro intrinseco del farmaco, indipendente dal tessuto. Per quanto si è evinto dalla teorie esposte vi è una differenza tra affinità, efficacia e potenza di un farmaco: Affinità → tenacia con cui un composto si lega al recettore. Si misura dagli studi di tipo biochimico. Potenza → indicazione della quantità di composto necessario per causare un cambiamento (generalmente funzionale) misurabile. (spostamento sull’asse delle x delle curve dose-risposta). Attività intrinseca (= “Efficacia”) → la risposta massima relativa causata da un farmaco in uno specifico tessuto. Un agonista puro (o pieno) causa un effetto massimo uguale a quello del ligando endogeno (o, in alcuni casi a quello di un altro composto di riferimento se il ligando endogeno non è noto). Un agonista parziale causa una risposta massima relativa inferiore a quello del riferimento; perciò − Un agonista pieno ha un’attività intrinseca = 1 (uguale a quella del ligando endogeno) − Un antagonista ha un’attività intrinseca = 0 − Un agonista parziale ha un’attività intrinseca tra 0 e 1 Quindi, l’efficacia non dipende dalla dose, ma è indice dell’attività intrinseca del farmaco (data dall’altezza della curva dose-risposta); mentre la potenza è indice della dipendenza dell’effetto dalla concentrazione del farmaco (data dalla posizione della curva dose- risposta sull’asse delle ascisse). Nell’immagine a lato, il farmaco A è sia più potente che efficace del farmaco B. Nell’immagine sottostante è riportato il grafico dose-risposta per diversi tipi di composti 7.10.3. Teorie successive Secondo Del Catillo e Kats l’efficacia dei composti (agonisti) dipende dalla capacità di indurre un cambiamento conformazionale e funzionale nel recettore. Il complesso FR* deriva da un cambiamento conformazionale produttivo del recettore derivato dal legame con il ligando. La costante di efficacia (KC) è la capacità di un farmaco di indurre nel recettore un cambiamento conformazionale produttivo ed è pari a − 100 per un AGONISTA PURO (attivazione del 99% dei recettori occupati) − 1 per un AGONISTA PARZIALE (attivazione del 50% dei recettori occupati) − 0,01 per un ANTAGONISTA PURO (99% dei recettori occupati inattivi) In realtà vi è un equilibrio nativo tra il recettore e il recettore attivato in assenza di messaggero chimico (attività basale); perciò è necessario considerare che il farmaco può legarsi sia al recettore inattivo che al recettore nella conformazione attiva → si hanno due costanti di legame, una costante di attivazione del complesso farmaco-recettore e una costante di attivazione del recettore soltanto. RECETTORI ACCOPPIATI ALLE PROTEINE G Come si osserva, una linearità di pensiero simile a quello di Clark non è realista, infatti si hanno dei sistemi complicati, perciò l’analisi del risultato farmacologico non è banale (interpretazione). Tutto ciò è ancora più complesso quando l’effetto farmacologico viene valutato in vivo. 7.11. ANTAGONISMO FISIOLOGICO/FUNZIONALE (NON RECETTORIALE) Se l’antagonismo recettoriale prevedeva di agire su un unico recettore impedendo il legame del messaggero naturale e quindi la risposta, l’antagonismo funzionale prevede di ottenere l’effetto opposto agendo su un diverso recettore. QUINDI, nel caso di broncocostrizione, l’antagonismo recettoriale blocca la broncocostrizione legandosi al recettore coinvolto in tale risposta (mediata dal legame con l’istamina); mentre l’antagonismo funzionale utilizza un composto (agonista) che lega il recettore coinvolto nella broncodilatazione (tale risposta è mediata dall’adrenalina). Se le due molecole agiscono insieme, si otterrà un effetto che è in contrasto all’utilizzo di una sola delle due molecole. L’Istamina e l’Adrenalina funzionano come antagonisti di tipo funzionale uno rispetto all’altro, lavorando su due recettori diversi e essendo entrambi agonisti del recettore specifico. L’effetto farmacologico che si ottiene è determinato dalla somma degli effetti generati da entrambe le molecole. Bisogna fare molta attenzione alla combinazione di farmaci perché possono portare sia ad effetti positivi, ma anche ad effetti negativi. Somministrando Istamina, si ottiene una riduzione dell’attività dell’Adrenalina, determinando un effetto negativo (non vuol dire cattivo) → le interazioni tra farmaci sono negative quando determinano una riduzione dell’attività. Le interazioni positive invece portano ad un aumento dell’attività. Questa classificazione non è legata alle considerazioni cliniche. 7.11.1. Interazioni “negative” fra farmaci Esempi di interazioni negative tra farmaci sono: − Antagonismo funzionale/fisiologico → se il farmaco A produce l’effetto principale, la somministrazione di un antagonista funzionale del farmaco A (farmaco B) porta ad un effetto principale finale minore rispetto a quello dato dal solo farmaco A − Antagonismo recettoriale → se il farmaco A è un agonista di un determinato recettore, somministrando un antagonista dello stesso recettore (farmaco B) si ha la produzione di un effetto finale minore rispetto a quello dato dal solo farmaco A − Degradazione → è un meccanismo che prevede una diminuzione dell’assorbimento e un aumento dell’escrezione e questo comporta una minore disponibilità del farmaco. Se si somministra un farmaco B che induce questi effetti sul farmaco A, allora ci sarà una riduzione dell’effetto del farmaco A in presenza del farmaco B. − Neutralizzazione (antagonismo chimico) → è un processo che prevede la somministrazione di un farmaco B che distrugge fisicamente-chimicamente il farmaco A che viene inattivato e quindi non può interagire con il target. 7.11.2. Interazioni “positive” fra farmaci − Effetto di sommazione → prevede un’interazione farmacodinamica per cui l’associazione di due farmaci che presentano lo stesso effetto che si manifesta con due meccanismi differenti porta ad una risposta farmacologica pari alla somma algebrica delle singole risposte (es. aspirina e codeina per l’analgesia) − Effetto additivo → prevede un’interazione farmacodinamica per cui l’associazione di due farmaci aventi lo stesso meccanismo porta ad una risposta farmacologica pari alla somma algebrica delle singole risposte (es. aspirina e fenacetina). In questo caso non si ha differenza di risposta nel caso in cui venga somministrata una dose di entrambi i farmaci o una doppia dose di un singolo farmaco. − Potenziamento → il farmaco B interagisce con la farmacocinetica del farmaco A diminuendone il metabolismo (se i metaboliti non sono attivi) e l’eliminazione e aumentandone l’assorbimento, e quindi aumentando il tempo di permanenza del farmaco all’interno dell’organismo. L’effetto farmacologico finale di A in presenza di B risulta essere maggiore. − Sinergismo → il farmaco A e il farmaco B agiscono su una cascata di eventi che fa si che l’effetto totale sia maggiore della somma dei due effetti. Si considerano due antibatterici, uno che crea dei fori a livello della membrana dei batteri e l’altro che interferisce con qualche meccanismo interno della cellula batterica; la somministrazione del farmaco che genera i pori sulla membrana, facilita l’accesso dell’antibatterico che agisce all’interno della cellula batterica, perciò l’effetto farmacologico che si ottiene dalla somministrazione dei due composti sarà superiore alla somma algebrica dei singoli effetti. 8. RISPOSTA AL FARMACO È importante distinguere i sottotipi recettoriali in modo tale da avere selettività di risposta perché l’interazione con il recettore potrebbe scatenare una risposta tossica o terapeutica a seconda della sede dell’interazione stessa. Si possono avere diversi tipi di risposta: 1. Il farmaco che interagisce con il singolo recettore può dare sia una risposta tossica che terapeutica in relazione a diverse condizioni; 2. Il farmaco lega due sottotipi recettoriali diversi presenti in tessuti differenti e la formazione del complesso farmaco-recettore in tessuti differenti può dare la manifestazione di due risposte diverse (tossica o terapeutica); 3. Il farmaco interagisce con due recettori diversi e in relazione al tipo di recettore con cui interagisce si formano complessi farmaco-recettore differenti che possono dare risposte diverse. È molto importante selezionare solamente la risposta desiderata e avere una selettività di azione specifica. 9. RELAZIONE DOSE/EFFETTO La risposta del farmaco in vivo dipende dalla farmacodinamica e dalla farmacocinetica. La farmacocinetica dipende dall’organismo e quindi è variabile tra individui differenti → ci sono dei parametri standard, ma in relazione alle caratteristiche dell’individuo (es. quantità di tessuto adiposo, funzionalità degli organi differente, ecc.) ci sono delle variazioni rispetto alla farmacocinetica. Però pensare di fare dei dosaggi specifici per ogni persona risulta molto complesso; quindi, solitamente si utilizzano delle dosi standard → ciò è possibile grazie al fatto che per ogni farmaco è stato determinato un range di dosi entro il quale è necessario rimanere per garantire l’effetto terapeutico, ma evitare l’effetto tossico. 9.1. INDICE TERAPEUTICO E MARGINE DI SICUREZZA Per quanto ri

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