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Biolgia generale con elementi di istologia.pdf

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I legami chimici sono interazione tra atomi che portano alla formazione di molecole. Tali interazioni riguardano soprattutto gli elettroni che sono locati nel livello più esterno producendo modifiche alla struttura elettronica degli atomi. Il legame chimico si basa sulla teoria di Lewis dell’ottetto....

I legami chimici sono interazione tra atomi che portano alla formazione di molecole. Tali interazioni riguardano soprattutto gli elettroni che sono locati nel livello più esterno producendo modifiche alla struttura elettronica degli atomi. Il legame chimico si basa sulla teoria di Lewis dell’ottetto. I legami chimici sono diversi e classificati come interatomici o intermolecolari. I legami interatomico sono quello covalente, ionico e metallico. Il legame covalente si forma tra atomi che hanno la stessa elettronegatività, o simile; quindi, non sono metallici. Si distinguono in: - Legame covalente puro: il legame avviene tra atomi che hanno la stessa elettronegatività - Legame covalente polare: avviene tra atomi di diversa elettronegatività - Legame dativo: un atomo dona una doppietta di elettroni ad altro atomo. Tale legame doppo la creazione non viene distinto da un normale legame covalente. Inoltre, c’è da sapere che il legame covalente può essere semplice, doppio o triplo e ciò è dovuto a quanto elettroni vengono condivisi tra gli atomi che entrano in legame. Il legame ionico invece, si ha quando vi è trasferimento di elettroni dall’atomo meno elettronegativo a quello più elettronegativo. Il legame metallico è un legame che si instaura tra gli atomi di elementi metallici I legami e le forze intermolecolari si esplicitano tra due o più molecole: - Le forze di van der Waals possono essere attrattive o repulsive e si manifestano tra atomi di una stessa molecola o di molecole diverse, quando si trovano molto vicini tra loro, senza che vi sia la formazione di un legame chimico. Derivano dall’interazione elettrostatica tra le nubi elettroniche e i nuclei degli atomi coinvolti, che è modificata dalla presenza degli atomi delle molecole vicine, dall’ambiente circostante o dalle fluttuazioni elettroniche. Abbiamo tre tipi di interazione: dipolo-dipolo (Interazione di Keesom) dipolo-dipolo indotto (Forza di Debye) dipolo istantaneo-dipolo indotto (Forza di London) (Pur essendo piuttosto deboli (100-1000 volte meno di un legame ionico o covalente), le forze di van der Waals sono essenziali in molti processi biologici, come il ripiegamento delle catene amminoacidiche delle proteine.) - Le interazioni idrofobe sono interazioni che contribuiscono a diminuire i contatti con l’acqua delle molecole non polari (o idrofobe). Esse si originano perché le molecole d’acqua tendono a formare interazioni più forti tra loro piuttosto che con molecole non polari. Di conseguenza, le regioni non polari delle macromolecole biologiche tendono a sfuggire all’ambiente acquoso, nascondendosi all’interno delle macromolecole stesse. L’interazione idrofoba non è quindi un vero e proprio legame. Le interazioni idrofobe sono interazioni che contribuiscono a diminuire i contatti con l’acqua delle molecole non polari (o idrofobe). Le interazioni idrofobe si originano perché le molecole di H2O tendono a formare interazioni più forti tra loro piuttosto che con molecole non polari. Di conseguenza, le regioni non polari delle macromolecole biologiche tendono a sfuggire all’ambiente acquoso, «nascondendosi» all’interno delle macromolecole stesse. L’interazione idrofoba non è quindi un vero e proprio legame. (Pur essendo deboli, le interazioni idrofobe sono fondamentali in molti processi biologici, come il ripiegamento delle proteine, la formazione delle membrane cellulari e l’inserzione in membrana delle proteine.) - Il legame a idrogeno si forma quando un atomo di H è vicino a un atomo che attrae elettroni come ad esempio ossigeno o azoto. Infatti, abbiamo gli amminoacidi nelle proteine sono unite anche da legami a idrogeno e le basi azotate negli acidi nucleici sono legate da legami a idrogeno. Il comportamento di solvente dell’acqua è determinato dalla polarità della sua molecola: quando un composto ionico o polare è disciolto in acqua, è circondato dalle molecole di acqua, che si inseriscono tra uno ione e l’altro o tra una molecola e l’altra di soluto, orientandosi così da presentare agli ioni del soluto la porzione che reca la carica opposta. (Le sostanze ioniche o polari sono solubili in acqua, mentre non sono solubili in acqua le sostanze non polari.) - Composti ionici (idrofili) si dissolvono perché le molecole d’acqua sono attratte dallo ione positivo e dallo ione negativo, sono quindi definiti idrofili. - Composti polari si dissolvono perché le molecole d’acqua formano con loro i legami a idrogeno, sono perciò idrofile - Molecole non polari non si dissolvono perché non formano nitrazione con le molecole d’acqua; perciò, sono idrofobe e non solubili in acqua. Proprietà dell’acqua: - Coesione: capacità delle molecole di acqua di opporsi alla separazione le une dalle altre quando sono sottoposte a tensione. - Elevata tensione superficiale - Elevato punto di ebollizione - Elevato calore specifico: quantità di calore che 1 g di una sostanza deve assorbire o perdere a]inché la sua temperatura aumenti o diminuisca di 1 C. L’elevato calore specifico conferisce all’acqua la sua capacità di stabilizzare la temperatura → l’acqua è un buon isolante. - Elevato calore di evaporazione: quantità di energia che 1 g di un liquido deve assorbire per convertirsi allo stato di vapore. Una sostanza che in soluzione acquosa libera ioni idrogeno (H+) si definisce ACIDO una sostanza che in soluzione acquosa libera ioni idrossido (OH–) si definisce BASE. L’acqua distillata (priva di sali disciolti) si dissocia secondo la reazione: H2O + H2O H3O+ + OH– ioni idronio (H3O+) e ioni ossidrile (OH–) Questa reazione di dissociazione è molto lenta e la quantità di molecole dissociate è molto piccola. Nell’acqua pura a 25°C, la concentrazione degli ioni idronio e ossidrile è: [H3O+] = [OH–] = 1 x 10–7 mol/l (M) Poiché l’aggiunta di un acido o di una base nell’acqua alza o abbassa la concentrazione degli ioni H3O+, si prende come misura dell’acidità o della basicità di una soluzione il valore della concentrazione di tali ioni: - soluzione acida quando [H3O+] > 10−7 M - soluzione neutra quando [H3O+] = 10−7 M - soluzione basica (o alcalina) quando [H3O+] < 10−7 M. Per indicare l’acidità di una soluzione si utilizza il pH. Che è il logaritmo decimale inverso della concentrazione degli ioni H+. I pH dei fluidi biologici devono restare constanti in determinati intervalli di valori per non andare incontro a pericolose patologie. Il pH del sangue deve essere il più possibile costante, altrimenti si possono manifestare: - coma acidosico (pH < 7) con esito fatale - tetania alcalosica) (pH> 7.8) con risultato iperattività nervosa, convulsioni Le attività vitali sono compatibili solo con minime variazioni del pH dei liquidi biologici intra- ed extracellulari. Questi sono dotati di sistemi di regolazione del pH, i SISTEMI TAMPONE, che attenuano le variazioni di pH dovute ad alterazioni metaboliche o respiratorie o al contatto diretto con acidi e basi. Le cellule sono immerse in una soluzione acquosa a pH controllato e constante (soluzione tampone). il p Le soluzioni tampone contengono miscele di soluti che impediscono variazioni di pH in seguito all’aggiunta di moderate quantità di acidi e di basi forti. Esse contengono, in concentrazioni circa uguali, un ACIDO DEBOLE e la sua base coniugata oppure una BASE DEBOLE e il suo acido coniugato. LIPIDI I lipidi rappresentano un’importante RISERVA ENERGETICA: il valore calorico di 1g di lipidi è circa il doppio rispetto a quello di un grammo di zuccheri e proteine: circa 9,46 kcal/g verso 4,15 kcal/g. Più del 95% delle riserve di lipidi si trova sotto forma di TRIGLICERIDI: in un uomo sano di 70 kg vi sono circa 15 kg di trigliceridi. Inoltre, il deposito di lipidi nel tessuto sottocutaneo (al di sotto del derma) svolge un ruolo di ISOLANTE TERMICO contro le basse temperature. I lipidi alimentari apportano gli acidi grassi essenziali, non sintetizzati dall’organismo, come gli acidi linoleico (omega-6) e linolenico (omega-3) e fungono da trasportatori di vitamine liposolubili (A, D, F, E, K). Eccessive riduzioni di lipidi nella dieta possono provocare una diminuzione dell’apporto vitaminico. Gli adipociti sono cellule particolarmente adatte all'accumulo di grassi, che immagazzinano all'interno di grandi gocce lipidiche occupanti gran parte del volume cellulare. La prima funzione degli adipociti consiste quindi nell'accumulo di grasso, per poi eventualmente cederlo all'organismo in caso di necessità. Questo è l’adipocita bianco/giallo, ma nell’organismo umano è possibile vedere un altro tipo, che è quello bruno che ha delle caratteristiche di]erente dalle altre, ovvero: (usato soprattutto come termoregolazione) - contenuto lipidico distribuito in più goccioline di grasso (→ multiloculari) anziché in un'unica gocciola centrale; - citoplasma di]uso in tutto lo spazio cellulare e riccamente farcito di mitocondri; - nucleo distribuito centralmente; - cellule adipose maggiormente innervate e vascolarizzate; I grassi nell’organismo svolgono anche altre funzioni, oltre a quella energetica: il loro accumulo vicino a organi come cuore, fegato, milza, reni, encefalo e midollo spinale rappresenta un importante protezione meccanica. Alcuni lipidi agiscono da messaggeri intracellulari e altri sono ormoni e mediatori chimici extracellulari. Alcune vitamine, gli ormoni corticosurrenalici e gli ormoni sessuali sono steroidi; alcune vitamine appartengono alla classe dei terpeni, mentre le prostaglandine e i leucotrieni derivano da acidi grassi polinsaturi. Anche i cuscinetti adiposi sono degli Accumoli di grassi in alcune aree del corpo. Sono molti utili come tappabuchi nelle membrane di rivestimento della membrana sinoviale (strato di rivestimento interno della capsula articolare). La membrana sinoviale aiuta nel movimento. I lipidi, in particolare i FOSFOLIPIDI, hanno una funzione strutturale insostituibile nella formazione delle membrane biologiche: grazie alla loro idrofobicità consentono di tenere separati compartimenti acquosi di di]erente composizione, il citoplasma e l’ambiente extracellulare, condizione essenziale per la vita. Gli acidi grassi (un tipo di lipidi) sono costituiti da una catena lunga idrocarburica apolare (idrofobe) lineare e da un gruppo carbossilico (-COOH) polare: sono quindi molecole anfipatiche (molecole solubili sia in acqua si in solvente apolare). Gli acidi grassi di]eriscono per la loro lunghezza della catena carboniosa e/o il tipo di legame tra gli atomi di carbonio: i legami possono essere tutti singoli nei casi degli acidi grassi saturi, oppure doppio nel caso di acido grassi insaturo, in cui la catena idrocarburica può contenere uno o più doppi legami carbonio-carbonio. Gli acidi grassi polinsaturi sono molecole formate da una lunga catena carboniosa, che inizia con un gruppo carbossilico (COOH), termina con un gruppo metilico (CH3) e presenta nella parte centrale una serie di atomi di carbonio, in parte tenuti insieme da legami semplici ed in parte da doppi legami. A]inché un acido grasso possa definirsi polinsaturo, nella sua catena carboniosa si devono contare almeno due doppi legami; quando si ritrova una sola insaturazione l'acido grasso viene definito monoinsaturo, mentre in assenza di doppi legami la molecola si fregia dell'attributo saturo. I LIPIDI SEMPLICI o NON POLARI (o neutri) comprendono i gliceridi e le cere. 1. I gliceridi possono essere MONOGLICERIDI (monoacilgliceroli), DIGLICERIDI (diacilgliceroli) o TRIGLICERIDI (triacilgliceroli) a seconda che vi siano una, due o tre molecole di acidi grassi. I TRIGLICERIDI sono acidi grassi legati al glicerolo. Costituiscono sia i grassi, ricchi di acidi grassi saturi, sia gli oli, contenenti un’alta percentuale di acidi grassi mono-o polinsaturi (oli vegetali, olio di fegato di merluzzo). Servono soprattutto come ISOLANTE TERMICO e RISERVA ENERGETICA. I trigliceridi sono immagazzinati negli animali nel tessuto adiposo nel grasso sottocutaneo e viscerale. Nei trigliceridi le tre molecole di acidi grassi legate alla molecola di glicerolo possono essere identiche o diverse. Il GLICEROLO (1,2,3-propantriolo) è un alcool con tre atomi di carbonio, ciascuno con un gruppo ossidrilico, mentre l’acido grasso è formato da un gruppo carbossilico e da una catena idrocarburica. I tre acidi grassi sono uniti a una molecola di glicerolo per esterificazione, attraverso il legame tra il gruppo carbossilico degli acidi grassi e i gruppi ossidrilici del glicerolo. I trigliceridi non hanno gruppi polari e sono totalmente insolubili in acqua. Si accumulano nelle cellule sotto forma di goccioline lipidiche, le quali, diversamente dai granuli di glicogeno e amido, non contengono acqua, formando una riserva di energia assai concentrata. La funzione principale dei triacilgliceroli è quella di immagazzinare energia: quando sono metabolizzati, forniscono più del doppio di energia per grammo rispetto ai carboidrati. SATURAZIONE e STATO: - GRASSI: triacilgliceroli ricchi di acidi grassi saturi, come la maggior parte dei grassi animali (p.es., burro e lardo), sono solitamente solidi o semisolidi a temperatura ambiente; prevalgono negli animali terrestri. - OLI: triacilgliceroli contenenti un’alta percentuale di acidi grassi mono- o polinsaturi (p.es., oli vegetali, olio di fegato di merluzzo), tendono a essere liquidi a temperatura ambiente; tipici delle piante, degli animali a sangue freddo e dei mammiferi esposti a climi molto freddi. - Gli oli vegetali possono essere trasformati in prodotti solidi a temperatura ambiente (p.es., burro di arachidi, margarina) mediante idrogenazione parziale (saturazione) dei doppi legami (“oli vegetali idrogenati”). 2. Le cere sono estere di acidi grassi a elevato numero di atomi di carbonio (da 16 a 36), saturi e insaturi, a catena lineare o ramificata, con alcool alifatici monovalenti (o monossidrilici) a catena lunga. Le cere sono presenti sulla superficie della pelle, dei capelli. Rendono impermeabile all’acqua (funzione idrorepellente). I lipidi complessi (coniugati o composti) derivano dalla esterificazione degli acidi grassi con alcool di vario tipo e contengono anche altri funzionali. Sono il prodotto della combinazione di lipidi semplici con altre molecole. Comprendono i fosfolipidi, glicolipidi e lipoproteine, che sono per la maggior parte componenti della membrana cellulare. - Fosfolipidi sono simili ai trigliceridi ma con uno dei tre acidi grassi costituito con un gruppo fosfato, che conferisce una catena negativa, e quindi polarità, alla molecola. Al gruppo fosfato è molto spesso legato un altra. Gruppo idrofilo, in genere contenente azoto. (il fosfolipide ha una testa idrofila e una coda idrofoba, quindi è una molecola anfipatica). Nelle membrane biologiche è presente un doppio stratto fosfolipidico, con gruppi rivolti sia verso l’ambiente polare esterno (ambiente extracellulare) che verso quello interno della cellula (citoplasma). Invece le code idrofobe si attraggono tra di loro occupando una posizione mediana. I fosfolipidi si distinguono in: - fosfogliceridi: i più abbondanti nelle membrane cellulari della maggior parte delle cellule; sono basati sul ghiaccio. I FOSFOGLICERIDI sono costituiti da uno “scheletro” di glicerolo, in cui due gruppi ossidrilici sono esterificati con due molecole di acidi grassi, mentre il terzo è esterificato a un gruppo fosfato. Senza altre sostituzioni, oltre al gruppo fosfato e alle due catene di acidi grassi, la molecola derivante è l’acido fosfatidico, il quale è scarsamente presente (se non addirittura, assente) nella maggior parte delle membrane cellulari. La grande maggioranza dei fosfogliceridi delle membrane cellulari presenta, in aggiunta, un piccolo alcool idrofilo legato al gruppo fosfato. L’alcool è in genere costituito da serina, etanolammina, colina o inositolo, che contribuiscono alla natura polare della testa del fosfogliceride, formando così, rispettivamente, FOSFATIDILSERINA, FOSFATIDILETANOLAMMINA, FOSFATIDILCOLINA (o lecitina) e FOSFATIDILINOSITOLO. - sfingolipidi: presenti in alcune membrane particolari in quelle delle cellule nervose, oltre ai fosfogliceridi; sono basati sull’amminoalcol sfingosina. Le membrane cellulari contengono anche sfingolipidi, nei quali la molecola di glicerolo è sostituita dalla SFINGOSINA, un amminoalcol a 18 atomi di C che contiene una lunga catena idrocarburica con un singolo doppio legame. Attraverso il suo gruppo amminico, la sfingosina può formare un legame ammidico con un acido grasso saturo a catena lunga, dando origine a una molecola di CERAMMIDE, costituita da una regione polare fiancheggiata da due lunghe code non polari. La ceramide è l’unità comune a tutti gli sfingolipidi e ne costituisce la porzione idrofoba. Si formano le SFINGOMIELINE quando il gruppo esterificato è la fosfocolina (= colina + gruppo fosfato) o la fosfoetanolammina (= etanolammina + gruppo fosfato). Sono gli sfingolipidi più comuni e, contenendo un gruppo fosfato, possono essere classificati come sfingofosfolipidi. Il rivestimento di MIELINA che circonda e isola elettricamente gli assoni dei neuroni è particolarmente ricco in sfingomielina. - I glicolipidi derivano dall’unione di lipidi e carboidrati mediante legame glicosidico. La componente lipidica può essere glicerolo (gliceroglicolipidi, nei procarioti ed eucarioti vegetali) o sfingosina (sfingoglicolipidi, negli eucarioti animali), esterificati con acidi grassi. I glicosfingolipidi si suddividono in: - cerebrosidi, in cui la testa polare è costituita da un unico zucchero semplice, D- glucosio o D-galattosio; - globosidi, in cui il carboidrato sostituente è un di-, tri- o tetrasaccaride, di solito D- glucosio, D-galattosio o N-acetil-d-galattosammina; - gangliosidi, gli sfingolipidi più complessi, in cui la testa polare è costituita da un’oligosaccaride complesso, che contiene uno o più residui di acido sialico. L’acido sialico fornisce ai gangliosidi una carica negativa a pH 7,0: per questo motivo, i gangliosidi sono talvolta definiti glicolipidi acidi. - Lipoproteine plasmatiche. Modello a particella sferica con un core di trigliceridi (rappresentati dalle E gialle) e di esteri del colesterolo (rappresentati dalle goccioline arancioni) con un guscio di apolipoproteine (indicate con lettere), fosfolipidi e colesterolo non esterificato, spesso ~ 20 Å. Le apolipoproteine sono immerse con la loro parte idrofoba orientata verso il core e la loro parte idrofila verso l’esterno. Le lipoproteine sono idrosolubili: la loro superficie è formata da lipidi polari (colesterolo e glicerofosfolipidi) e hanno funzioni di trasporto nel plasma. Le lipoproteine sono particelle sferiche con una parte centrale costituita da trigliceridi e lipidi apolari (esteri di colesterolo), ricoperte in superficie da glicerofosfolipidi, disposti in monostrato con la testa polare superficiale, apolipoproteine e colesterolo, inseriti nello strato fosfolipidico. Trasportano i lipidi dall’INTESTINO al FEGATO e da quest’ultimo ai tessuti. Nel plasma servono a trasportare il colesterolo. Vi è uno scambio continuo di lipidi e apolipoproteine tra lipoproteine e cellule: epatociti, cellule muscolari e cellule adipose. Le lipoproteine sono classifcate in base alla loro densità e sono suddivise in quattro specie: - Chilomicroni, presenti nel plasma solo dopo i pasti, trasportano i triacilgliceroli assunti con la dieta in tutto il corpo, fino alle cellule adipose e a quelle muscolari, dove i triacilgliceroli sono immagazzinati - Lipoproteine a bassissima densità e a bassa densità trasportano i triacilgliceroli dal fegato (dove vengono sintetizzati) in tutto il corpo, fino alle cellule adipose e muscolari, dove sono immagazzinati. Quelli a bassa densità trasportano anche il colesterolo dal fegato ai tessuti e depositano il colesterolo in eccesso sulle pareti delle arterie - Lipoproteine ad alta densità trasportano il colesterolo da tutti i tessuti al fegato ed eliminano dalla circolazione ematica il colesterolo in eccesso, indirizzandolo verso i tessuti che sono in grado di metabolizzare. Lipidi derivati includono: ormoni steroidei, corpi chetonici, acidi grassi, alcoli grassi, steroli, mono-e digliceridi, terpeni e carotenoidi. Gli steroli sono lipidi policiclici. Che hanno un gruppo -OH sul C3. Il più noto è il colesterolo che si trova solo nei tessuti animali. Tra i principali steroli sono il colesterolo e alcuni ormoni steroidei (derivati delle vitamine D). Il colesterolo è lo sterolo più abbondate nell’organismo e costituisce un componente essenziale delle membrane cellulari animali. È presente anche nella maggior parte delle membrane degli organelli, tranne che in quelle interne dei mitocondri. Il colesterolo è anche il precursore di tutti gli ormoni steroidei, che comprendono gli ormoni sessuali maschili e femminili e quelli corticosurrenalici e anche delle vitamine D3 e degli acidi biliari. Il colesterolo può essere di provenienza endogena (sintetizzata direttamente dalle cellule) oppure di provenienza esogena (provenire dalla dieta). Gli ormoni steroidei sono messaggeri chimici prodotti a partire dal colesterolo ed in grado, come tutti gli altri ormoni, di influenzare l’attività di cellule bersaglio. Gli ormoni steroidei, a di]erenza di quelli peptidi, sono sintetizzati solamente da solo pochi organi e non vengono immagazzinati in tessuti di riserva, bensì prodotti all’occorrenza e prontamente liberati nel plasma. Nel plasma, in virtù della loro scarsa solubilità in acqua, devono necessariamente legarsi a proteine di trasporto specifiche ed aspecifiche. Glucidi o Carboidrati o zuccheri I CARBOIDRATI sono sintetizzati dai vegetali utilizzando la CO2 dell’aria, l’H2O del terreno e l’energia solare attraverso la fotosintesi. Sono i costituenti principali di cereali, legumi e frutta. Nell’uomo rappresentano solo l’1% in peso, ma hanno importanza nutrizionale dovendo costituire, in una dieta normale, il 55-65% delle calorie totali. Nella dieta umana, l’apporto maggiore di carboidrati è sotto forma di amido, seguito da lattosio del latte, il saccarosio o zucchero da tavola, il glucosio e il fruttosio della frutta. I carboidrati sono la fonte principale di ENERGIA A RAPIDA UTILIZZAZIONE: infatti, i GLOBULI ROSSI (eritrociti) e i NEURONI (cellule nervose) utilizzano in condizioni normali, solo il glucosio. Nell’uomo tutti i carboidrati introdotti con la dieta, con i processi digestivi e metabolici, sono convertiti quasi completamente a GLUCOSIO. Alcuni AMMINOACIDI possono essere convertiti in GLUCOSIO mediante i processi metabolici. Una dieta povera di carboidrati comporta una maggiore mobilizzazione di lipidi e l’utilizzo a scopo energetico di nutrienti nobili come le proteine. I carboidrati possono dare luogo a strutture complesse che servono da marcatori nel riconoscimento cellulare. Un esempio è quello dei carboidrati della superficie cellulare, legati a proteine e lipidi a formare GLICOPROTEINE e GLICOLIPIDI, che sono riconosciuti da molecole complementari. Un esempio di fondamentale importanza, a tal proposito, sono le oligosaccaridi complessi legati a molecole lipidiche sulla superficie dei globuli rossi che, nelle loro varietà (antigene A, antigene B, antigene 0), contribuiscono alla determinazione dei gruppi sanguigni nell’uomo. I carboidrati si suddividono in: - MONOSACCARIDI o ZUCCHERI SEMPLICI: sono i monomeri dai quali sono sintetizzati i carboidrati più grandi - DISACCARIDI: consistono di due monosaccaridi uniti da legame covalente - OLIGOSACCARIDI costituiti da pochi (3-20) monosaccaridi - POLISACCARIDI grandi polimeri composti da centinaia o migliaia di monosaccaridi. I monosaccaridi sono molecole avente più gruppi -OH ed un gruppo aldeidico (aldosi) o chetonico (chetosi). Si classifica in triosi, tetrosi, pentosi, esosi ecc., a seconda del numero di atomi di carboni che costituisce la molecola. I monosaccaridi in natura possono presentarsi in due conformazioni, D e L, a seconda della disposizione dei residui chimici sul carbonio stereogenico che definisce lo stereocentro. A seconda che disposizione dei gruppi chimici sia paragonabile a quella della D o L- gliceraldeide, il monosaccaride sarà definito D o L-monosaccaride. Negli organismi viventi, i monosaccaridi prodotti sono essenzialmente quelli in conformazione D. in soluzioni acquose, le molecole di glucosio formano delle strutture cicliche in seguito a una reazione di condensazione intramolecolare tra il gruppo aldeidico e quello alcolico. Nei tessuti e nelle cellule la struttura ad anello predomina in oltre 99% delle molecole perché è quella più stabile in condizione fisiologiche. La formazione della struttura ad anello genera due forme alternative della molecola, a seconda dell’orientazione spaziale del grippo -OH sull’atomo C1, chiamate alfa e beta. L’unica di]erenza tra i due stereoisomeri consiste nella posizione invertita dell’idrogeno e dell’ossidrile legati al carbonio C1. Molti monosaccaridi hanno la stessa formula, ma di]eriscono nella distribuzione spaziale degli atomi, dando origine a isomeri, i quali possono essere isomeri strutturali, quando gli stessi gruppi chimici sono legati a diversi atomi di C, oppure stereoisomeri, quando gli stessi gruppi chimici sono legati agli stessi atomi di C, ma con diverso orientamento. I gruppi ossidrilici (–OH) di un monosaccaride possono essere sostituiti da altri gruppi funzionali, dando origine a DERIVATI DEI MONOSACCARIDI. I disaccaridi sono formari da due monosaccaridi, uniti mediante una reazione di condensazione con eliminazione di una molecola di H2O. il legame covalente è detto legame glicosidico. A seconda della posizione del gruppo -OH del C1 coinvolto nel legame sia configurazione alfa o beta, si formano un legame alfa-glicosidico p beta-glicosidico. Le due molecole possono essere uguali come nel maltosio, oppure diverse come nel saccarosio formato da alfa-glucosio e beta-fruttosio. Oligosaccaridi contengono dai 3 ai 20 monosaccaridi, uniti da diversi tipi di legame glicosidici; molti possiedono altri gruppi funzionali che conferiscono loro proprietà specifiche. Le oligosaccaridi sono spesso legate covalentemente a proteine (formando glicoproteine) o a lipidi (formano glicolipidi) sulla superficie cellulare esterna, dove funzionano da segnali di riconoscimento. Abbiamo due tipi di oligosaccaridi: - Omo-oligosaccaridi: sono costituiti da un unico tipo di subunità monomeriche - Oligosaccaridi complessi (o etero-oligosaccaridi): costituiti da diversi tipi di subunità monomeriche. I diversi gruppi sanguigni umani del sistema AB0 devono la propria specificità a modeste di]erenze nelle catene oligosaccaridi complesse legate a uno specifico glicolipide presente nelle membrane plasmatiche dei globuli rossi e sporgenti sulla loro superficie esterna. Polisaccaridi- glicogeno: nei mammiferi una forma di immagazzinamento del glucosio, è il glicogeno, un polimero del glucosio, che può essere utilizzato rapidamente in caso di carente apporto alimentare. Nell’uomo esso è depositato prevalentemente nel fegato e nei muscoli scheletrici. Nei vegetali, invece, è anche presente la cellulosa, che ha una funzione strutturale. Considerando l’abbondanza sul pianeta, la cellulosa è il materiale organico più abbondante sulla terra, nonché il più abbondante tra i carboidrati. La cellulosa è un omopolimero non ramificato. Molecole parallele di cellulosa formano legami a idrogeno, producendo microfibrille, che spesso (le microfibrille) si avvolgono tra di loro in una struttura simile a una corda, formando le macro-fibrille. Pochi organismi possiedono enzimi in grado di digerire la cellulosa, cioè in grado di idrolizzare i legami ß-1,4 glicosidici. L’uomo non li possiede e la cellulosa presente negli alimenti non può essere utilizzata come nutrimento. Passa nel tratto digerente, aiutando il funzionamento dell’intestino, per essere poi eliminata con le feci. Alcuni microrganismi (procarioti) e alcuni funghi possono digerire la cellulosa trasformandola in glucosio, grazie agli enzimi della famiglia delle cellulasi (batteri simbionti dei bovini, ovini, conigli e termiti). Le cellulasi sono una famiglia di enzimi ad attività combinata: - Endocellulasi: rompe i legami di questa struttura cristallina esponendo le singole catene. - Esocellulasi: preleva per idrolisi, da due a quattro unità dalle estremità delle catene prodotte dando luogo a tetrasaccaridi, trisaccaridi (cellotriosio) o disaccaridi (cellobiosio). - Cellobiasi o beta glucosidasi: idrolizza i prodotti dell'enzima precedente formando singoli monosaccaridi di glucosio La chitina costituisce l’esoscheletro degli artropodi, un rivestimento rigido che circonda le parti molli dell’animale, e forma la parete cellulare di molti funghi. Strutturalmente è simile alla cellulosa (molecole lineari unite da molti legami a idrogeno), ma il monomero di base è la N-acetilglucosammina, che ruota di 180 gradi rispetto alla precedente e alla successiva. L’apporto glucidico dalla dieta umana comprende anche una quota “non disponibile” ai fini nutritivi, ossia la FIBRA ALIMENTARE, costituita da tutti i polisaccaridi non amidacei (cellulosa, emicellulosa, pectina, lignina delle pareti cellulari vegetali e gomme, mucillagini e altre secrezioni vegetali), la quale è caratterizzata da legami beta-glicosidici che gli enzimi prodotti dall’organismo umano non sono in grado di scindere. La fibra alimentare ha importanza per l’AZIONE MECCANICA CHE SVOLGE NELL’INTESTINO favorendo la peristalsi ed il movimento del chimo attraverso l’intestino, grazie alle sue proprietà gelificanti e idrofile. Proteine Le funzioni delle proteine: - Strutturale: supporto meccanico a cellule e tessuti - Trasporto: veicolano molecole e ioni - Recettori: captano segnali che arrivano alle cellule e li trasmettono - Segnale: trasferiscono segnali da una cellula all’altra - Accumulo: servono movimento nelle cellule e nei tessuti - Regolatrici dei geni: si legano al DNA per attivare o disattivare i geni - Enzimi: funzionano da catalizzatori biologici velocizzando le reazioni Una molecola non sovrapponibile alla propria immagine speculare è detta chirale. Sono isomeri ottici (o enantiomeri) le molecolari chirali, che sono immagini speculari ciascuna dell’altra e non sovrapponibili. Con l’eccezione della glicina, per la quale R è un atomo di idrogeno, gli amminoacidi sono molecole chirali, di ciascuna delle quali esistono due isomeri ottici, contrassegnati dalle lettere D o L, a seconda che i sostituenti legati all’atomo di carbonio asimmetrico abbiano disposizione simile a quella della L-gliceraldeide o a quella della D-gliceraldeide. La stragrande maggioranza delle proteine sintetizzate da organismi viventi è formata da L- amminoacidi. Qualche D-amminoacido è stato riscontrato nei microrganismi, in alcuni insetti, negli invertebrati marini, nelle piante superiori e, rarissimi, anche nei mammiferi. La capacità di trasformare i D-amminoacidi nella forma L invece è specie-specifica: nell’uomo solo le forme D della Met e della Phe possono essere convertite nelle forme L corrispondenti. Gli amminoacidi (AA) sono raggruppati in base alle proprietà della loro catena laterale (o gruppo R). Gli AA sono mostrati nella forma ionica prevalente a pH 7.2, il pH cellulare; le catene laterali acide e basiche sono idrofile. Tranne poche eccezioni, piante e batteri sono in grado di sintetizzare tutti gli AA necessari. Si definiscono AMMINOACIDI ESSENZIALI quegli amminoacidi indispensabili alle funzioni dell’organismo, che esso non è in grado di sintetizzare e che devono quindi essere presenti nella dieta. Il termine AMMINOACIDI ESSENZIALI ha un significato unicamente nutrizionale. Gli animali di]eriscono per le loro capacità biosintetiche: gli amminoacidi che sono essenziali per una specie non lo sono per un’altra. Nonostante gli amminoacidi siano solo 20, la varietà di proteine è elevatissima, in quanto gli amminoacidi si combinano tra di loro in sequenza diverse chiamate polipeptide. Ogni polipeptide ha una direzionalità intrinseca: il gruppo amminico libero a un’estremità (del primo AA della catena), l’estremità N- (o ammino-) terminale, e il gruppo carbossilico libero all’altra estremità) dell’ultima AA aggiunto alla catena), l’estremità C- (o carbossi-) terminale. Le proteine hanno una FORMA TRIDIMENSIONALE o CONFORMAZIONE che dipende dalla successione di amminoacidi, dai ripiegamenti della catena polipeptidica e dalla sua organizzazione nello spazio. Nelle proteine si hanno quattro livelli di organizzazione: - struttura PRIMARIA - struttura SECONDARIA - struttura TERZIARIA - struttura QUATERNARIA La sequenza degli amminoacidi nella catena polipeptidica costituisce la STRUTTURA PRIMARIA. Regioni più o meno lunghe della catena polipeptidica avvolte o ripiegate contribuiscono alla forma complessiva della proteina, costituiscono la STRUTTURA SECONDARIA della proteina. (La struttura secondaria è dovuta a LEGAMI IDROGENO tra gli amminoacidi appartenenti a una stessa catena polipeptidica o a catene polipeptidiche diverse.) Struttura secondaria: regione di catena polipeptidica avvolte o ripiegate in modo ripetitivo e regolare, che contribuisce alla forma complessiva della proteina. Abbiamo due tipi fondamentali di struttura secondaria, entrambi determinati dalla formazione di legami a idrogeno a intervalli regolari tra gli atomi coinvolti nei legami peptidici lungo lo scheletro polipeptidico (non tra le catene laterali di AA); poiché sono ripetuti molte volte in una regione relativamente estesa della catena polipeptidica, i legami a idrogeno stabilizzano la particolare struttura che determinano: - alfa-elica - foglietto ß ripiegato o pieghettato (piano ß). La STRUTTURA SECONDARIA è dovuta alla formazione di legami idrogeno ad intervalli regolari tra gli atomi coinvolti nei legami peptidici (NON tra le catene laterali di amminoacidi). Il legame a idrogeno si forma tra l’idrogeno legato all’azoto di ogni legame peptidico e l’ossigeno del gruppo –C=O del legame peptidico sovrastante. I legami idrogeno di un’α-elica sono sempre INTRAMOLECOLARI e paralleli all’asse maggiore del polipeptide e stabilizzano di tale tipo di struttura. Se gli AA hanno una lunga catena polipeptidica hanno gruppi R voluminosi, o di gruppi R dotati della stessa carica, l’alfa elica non si forma a causa delle repulsioni che si generano tra i gruppi R. Struttura a spirale ritorta: Le due alfa-eliche si avvolgono in modo che le catene laterali idrofobe di un’elica interagiscano con quelle idrofobe dell’altra elica, lasciando le catene laterali idrofile esposte all’ambiente acquoso. l foglietto β è formato da regioni della catena polipeptidica tra loro parallele (filamenti β), stabilizzate da legami idrogeno tra i gruppi N–H e i gruppi C=O dei legami peptidici. Diversamente dall’α-elica, i filamenti β in un foglietto assumono una conformazione pieghettata. I legami idrogeno nel foglietto β sono perpendicolari al piano del foglietto e possono essere INTRAMOLECOLARI (tra due segmenti adiacenti dello stesso polipeptide) o INTERMOLECOLARI (tra i legami peptidici di due polipeptidi adiacenti, nel caso delle proteine multimeriche). Se i due filamenti β vanno nella stessa direzione (da N-terminale a C- terminale), la struttura è detta foglietto β parallelo; se i due filamenti β vanno in direzione opposta, è detta foglietto β antiparallelo. Le regioni di una catena polipeptidica non organizzate in un’α-elica o in un foglietto β sono definite REGIONI AD AVVOLGIMENTO CASUALE e sono prive di una struttura secondaria definita: possono formare giri, anse o espansioni digitiformi. Spesso, queste sono le parti più flessibili della molecola e le sedi della maggiore attività biologica. Struttura terziaria si forma attraverso ripiegamento dovuti a interazioni tra i gruppi R di AA anche distanti tra loro. Si determina una forma tridimensionale che è la condizione più stabile per quella particolare sequenza di AA, detta conformazione nativa. A stabilizzare la struttura terziaria concorrono: - interazione idrofobe o idrofile: In ambiente acquoso i gruppi R non polari, idrofobi, tendono a disporsi all’interno della proteina al fine di ridurre al minimo i contatti con le molecole d’acqua che la circondano. I gruppi R polari, idrofili, si dispongono sull’esterno a contatto con l’acqua - LEGAMI IONICI (ponti salini). Si instaurano in genere tra due gruppi, come–NH3 + e– COO– di residui di diversi AA - LEGAMI IDROGENO. Derivano dall’attrazione tra gruppi R - PONTI DISOLFURO. Si formano tra gruppi–SH di due residui di cisteina; in seguito, a una reazione di ossidazione, i due–SH perdono i rispettivi atomi di idrogeno e si legano tra loro mediante un legame covalente–S-S– (Singolarmente i legami sono deboli, ma essi sono molto numerosi e portano la proteina verso una aumentata stabilità.) In base alla propria conformazione nativa la maggior parte delle proteine può essere classificata in: - PROTEINE FIBROSE o di forma allungata, hanno estese strutture secondarie (sia a α- elica sia a foglietto β) e, quindi, hanno una struttura terziaria molto ordinata e ripetitiva. Hanno un ruolo strutturale, di protezione e di sostegno. Le proteine fibrose di origine animale sono insolubili in acqua perché all’esterno presentano amminoacidi idrofobici. - Proteine globulari o di forma compatta, poiché le loro catena polipeptidiche sono raggomitolate. Sono solubili in acqua ed hanno una forma quasi sferica in cui gli amminoacidi apolari si trovano all’interno e quelli che si trovano apolare verso l’ambiente acquoso. In un ambiente apolare la disposizione è opposta. La maggior parte delle proteine intracellulari è costituita da proteine globulari. Possono essere enzimi, ormoni, proteine di trasporto ecc. Prima di iniziare a parlare della struttura quaternaria facciamo una piccola distinzione tra: - Le proteine monomeriche che sono costituite da una singola catena polipeptica - Le proteine multimeriche sono costituite da due o più catene polipeptiche L’insulina è formata da due catene peptidiche definite catena A e catena B. la catena A è costituita da 21 amminoacidi e la catena B da 30 amminoacidi. Le due catene sono legate da un ponte disolfuro (-S-S-) e un terzo punte disolfuro si trova all’interno della catena. I ponti disolfuro permettono di avvicinare stabilmente porzioni di una catena polipeptidica anche molto distanti fra loro. Nel caso dell’insulina 3 ponti disolfuro (-S-S-) tengono legate e ripiegate le 2 catene polipeptidiche (che costituiscono questo ormone). L'insulina è un ormone di natura proteica prodotto da cellule specializzate (CELLULE BETA) che si trovano nelle Isole di Langerhans del PANCREAS. L’insulina ha azione IPOGLICEMIZZANTE essenziale per mantenere la corretta concentrazione del glucosio nel sangue (glicemia). È interessata nella patologia del diabete. In una proteina che presenta solo amminoacidi, gli unici legami covalenti che si possono trovare, oltre ai legami peptidici, sono i ponti di disolfuro. Si formano per ossidazione delle catene laterali di due cisteine, mediante legami tra gruppi solfidrilici (-SH). 𝑅 − −𝑆𝐻 + 𝑅 − −𝑆𝐻 → 𝑅 − 𝑆 − 𝑆 − 𝑅 I ponti disolfuro sono molto importanti per definire la struttura proteica, poiché permettono di avvicinare stabilmente porzioni di una catena polipeptidica anche molto distante fra loro. Praticamente la tengono correttamente raggomitolata. Le PROTEINE MULTIMERICHE sono formate da più di una catena polipeptidica (o subunità), ognuna con una caratteristica struttura primaria, secondaria e terziaria. Le subunità possono essere uguali fra loro oppure diverse. La disposizione reciproca delle varie catene polipeptidiche costituisce la struttura quaternaria della proteina. I tipi di legami e interazioni coinvolti nella struttura quaternaria sono i medesimi della struttura terziaria: legami idrogeno, ponti disolfuro, legami ionici, interazioni idrofobe, interazioni di van der Waals. Una proteina con struttura quaternaria è l’emoglobina: è costituita da quattro catene polipeptidiche, a due a due uguali, dette globina α e globina β. Ogni catena contiene un gruppo eme, cioè una struttura ciclica (anello porfirinico), con al centro il Fe2+ a cui si lega una molecola di O2, che viene trasportata dai polmoni alle cellule del corpo. La STRUTTURA QUATERNARIA delle proteine può essere basata su subunità identiche o subunità diverse: - OMODIMERI: es. triosifosfato isomerasi (enzima coinvolto nella glicolisi), HIV proteasi, molti fattori di trascrizione. - TRIMERO: es. proteina MS2 del capside virale - TETRAMERO: es. emoglobina, con due diverse subunità: 2 subunità α e 2 subunità β. Le interazioni fra una o più catene polipeptidiche (SUBUNITA’) sono esattamente le stesse che determinano la struttura terziaria: legami di idrogeno, interazioni ioniche e interazioni idrofobiche, ponti–S-S–. L’interazione tra queste catene polipeptidiche sta alla base della struttura quaternaria della proteina. Il CORRETTO FUNZIONAMENTO di una proteina richiede una corretta struttura primaria- secondaria-terziaria. Nel caso delle proteine multimeriche il corretto funzionamento richiede anche la associazione specifica della subunità (struttura quaternaria). La cellula è in grado di legare covalentemente altre molecole alle catene laterali di alcuni amminoacidi. Questi meccanismi di modificazioni post-traduzionali avvengono successivamente alla traduzione. Nel caso in cui siano contemporanee alla traduzione si chiamano modificazioni co-traduzionali. Importanti modificazioni post-traduzionali sono: 1. ACETILAZIONE = viene legato un gruppo acetile (–COCH3) a un gruppo R. La reazione contraria è la deacetilazione, che consiste nel distaccare il gruppo acetile 2. METILAZIONE = viene legato un gruppo metile (–CH3), solitamente sui residui amminoacidici di Arg o Lys; 3. GLICOSILAZIONE = aggiunta di una o più unità di zucchero, a opera dell’enzima glicosiltranferasi. A seconda della catena amminoacidica sulla quale gli zuccheri sono legati distinguiamo: - N-glicosilazione, che coinvolge la catena laterale di un’Asn - O-glicosilazione, che avviene su un residuo di Ser o Thr. Le proteine legate a zuccheri prendono il nome di GLICOPROTEINE, le quali svolgono, per esempio, funzioni di difesa o segnalazione. 4. La fosorilazione è l’aggiunta di un gruppo fosfato ai gruppi idrossilici di residui di ser, thr o tyr. Gli enzimi che catalizzano sono le chinasi, specifiche per la proteina da fosforilare. Il donatore fosfato è primariamente l’ATP. La fosforilazione introduce una modificazione nella proteina, poiché causa l’inserimento di un GRUPPO FOSFATO carico negativamente. Questa caratteristica può introdurre nuove interazioni elettrostatiche con gruppi carichi (+), come le catene R di Arg, His e Lys. Ciò induce un CAMBIO CONFORMAZIONALE, che può indurre la proteina a legarsi o scindersi da un’altra molecola, modificandone per esempio la localizzazione cellulare. Nel caso degli enzimi, la fosforilazione può anche modificarne l’attività, attivandola o inibendola, a seconda dell’enzima. La defosforilazione causa l’e]etto contrario. Fosforilazione/defosforilazione è importante per il controllo dell’attività enzimatica nelle cellule: utilizzano la fosforilazione/defosforilazione come interruttore molecolare per “spegnere” o “accendere” gli enzimi almomento opportuno. Gli AGENTI DENATURANTI demoliscono/alterano la struttura secondaria, terziaria e quaternaria delle proteine = perdita dell’attività biologica. Acidi nucleici Gli acidi nucleici sono costituiti da monomeri chiamati nucleotidi (o nucleosidi monofosfato), ognuno dei quali consiste di: - Zucchero a cinque C (pentoso) - Base azotata - Gruppo fosfato Uniti da legami covalenti. La parte nucleotide priva del gruppo fosfato è detta Nucleoside. Gli acidi nucleici sono polimeri lineari di nucleotidi uniti tra loro da LEGAMI FOSFODIESTERE (o FOSFODIESTERICI. Questi legami sono di tipo COVALENTE e vedono il gruppo fosfato in 5’ di un nucleotide legarsi covalentemente allo zucchero del nucleotide adiacente al gruppo OH in 3’. I gruppi fosfato uniscono il C in 5’ di uno zucchero pentoso al C in 3’ dello zucchero adiacente. I nucleotidi adiacenti nella catena polinucleotidica sono uniti da legami fosfodiesterici 3’-5’. l polinucleotide risultante ha una direzionalità intrinseca, con un’estremità 5’ e un’estremità 3’. Il susseguirsi delle basi azotate dei nucleotidi determina la sequenza degli acidi nucleici (es. GATC) entrambi gli acidi nucleici sono costituiti da polimeri lineari di nucleotidi uniti tra di loro da legami fosfodiesterici (definiti così perché l’atomo di P è esterificato con due atomi di O presenti su ciascuno dei due zuccheri adiacenti), legami covalenti, costituiti da un gruppo fosfato unito allo zucchero del nucleotide adiacente. I gruppi fosfato uniscono C in 3’ di uno zucchero pentoso (desossiribosio, nel caso del DNA) all’atomo di C in 5’ dello zucchero adiacente. Quindi, i nucleotidi adiacenti nella catena polinucleotidica sono uniti da legami fosfodiesterici 3’-5’. Il polinucleotide risultante ha una direzionalità intrinseca, con un’estremità 5’, alla quale sporge il gruppo fosfato legato al C5 dello zucchero e un’estremità 3’, alla quale sporge il gruppo–OH legato al C3 dello zucchero. Le catene polinucleotidiche sono antiparallele (orientate in direzioni opposte) e complementari. Ogni filamento polinucleotidico presenta una polarità chimica, cioè le due estremità della catena sono chimicamente diverse. Nelle cellule umane le molecole di DNA sono costituite da centinaia di milioni di nucleotidi. I due filamenti della doppia elica del DNA sono uniti poiché la base A è accoppiata con la base T, mentre C è accoppiata con G. L’accoppiamento tra le basi è dovuto alla formazione di legami idrogeno: due legami idrogeno uniscono la coppia AT, tre legami a idrogeno uniscono la coppia CG. Inoltre, tra le coppie di basi impilate si formano interazioni di van der Waals. Nell’RNA lo zucchero è il ribosio invece del desossiribosio; è assente la timina (T), ma è presente l’uracile (U), che, analogamente alla timina, può appaiarsi con l’adenina tramite due legami idrogeno. L’RNA non forma una doppia elica (tranne in alcuno virus), ma ha la struttura a singolo filamento. Sebbene a singolo filamento, le molecole di RNA spesso si ripiegano su sé stesse, formando regioni a doppio filamento in seguito ad appaiamento complementare delle basi azotate, unite d legami idrogeno. Mentre il DNA esegue una sola funzione (contenere le informazioni genetica) i diversi tipi di RNA (funzione messaggero, transfer e ribosomiale) hanno funzioni di]erenti. Sono trascritti quattro tipi di molecole di RNA: - RNA messaggero (mRNA): un singolo filamento che contiene le informazioni per la sintesi di una proteina. Trasporta un messaggio genetico dal DNA al ribosoma dove avviene la sintesi proteica. - RNA di trasporto (tRNA) o trasferimento: un singolo filamento che si ripiega su sé stesso. I tRNA fungono da traduttore, in grado di traduttore la sequenza di basi dell’mRNA e trasporta l’appropriato amminoacido al ribosoma. - RNA ribosomale (rRNA) sono in forma globulare e formano i ribosomi - microRNA (miRNA) piccoli RNA che regolano l’espressione genetica nelle cellule eucariotiche. La sintesi di Rna consiste nel copiare le informazioni contenuta in un tratto del DNA nell’RNA. Il processo è definito trascrizione perché l’informazione, pur essendo trasferita a due diverse molecole rimane scritta nello stesso linguaggio: quello dei nucleotidi. La relazione tra gene (tratto di DNA) e ordine degli amminoacidi nelle catene polipeptidiche su basa su un codice genetico che serve per interpretare le informazioni. Virus Classificazione dei virus: - genoma che può essere suddiviso in virus a DNA oppure virus a RNA - Forma: virus elicoidali, virus poliedrici, virus dotati di rivestimento o involucro, virus complessi - Tipi di cellula parassitata/infetta: virus di cellule batteriche, virus di cellule animali, virus di cellule vegetali I virus non sono cellule, ma complessi macromolecolari di DNA e RNA (genoma virali, racchiuso in un involucro proteico organizzate in strutture regolari ripetute dette capsomeri. Non possiedono componenti necessarie per sintesi proteine o altre molecole, sono cioè privi di capacità biosintetiche. Di conseguenza, i virus devono parassitare cellule per utilizzarne apparato metabolico e attività sintetiche, come parassiti intracellulari obbligati. Possono vivere solo usando le risorse della cellula ospite. In altre parole, si servono dell’apparato biosintetico della cellula ospite per la loro replicazione e per prendere il controllo dei meccanismi di trascrizione e traduzione della cellula ospite. Mancano alcune delle proprietà dell’essere vivente per poter definire un virus vivo: - Sviluppo e crescita (embrione, stadi, crescita) - Risposta a stimoli - Riproduzione - Complessità e ordine - Regolazione e omeostati dell’ambiente interno - Utilizzo e trasformazione di energia e materia - Adattamento (evolutivi) all’ambiente Adesione del fago alla cellula batterica: il ciclo inizia con l’adesione del fago alla cellula batterico. Le fibre della coda si legano a recettori della superficie batterica. Il DNA virale è iniettato nella cellula batterica dove dirigerà la sintesi dei componenti necessari alla riproduzione del fago. La moltiplicazione nella cellula ospite dei fagi virulenti avviene mediante il ciclo litico, mentre i fagi temperati avviene mediante ciclo lisogeno. Fasi del ciclo litico: - Adesione: il fago aderisce ai recettori presenti sulla superficie del batterio ospite grazie alle febre della cosa - Penetrazione: un enzima litico (lisozima) contenuto nel fago passa attraverso la struttura cava della coda e perfora la superficie della cellula batterica. La contrazione della guaina della coda spinge il DNA fagico del capside al citoplasma della cellula batterica. - Replicazione e sintesi: Il DNA fagico, che contiene informazioni per produrre nuovi fagi, indirizza la sintesi degli enzimi necessari alla trascrizione e replicazione del DNA virale, ma anche enzimi che degradano il DNA batterico per fornire nucleotidi. Ha quindi inizio la replicazione del DNA virale sfruttando il macchinario molecolare della cellula batterica. Successivamente, sono sintetizzati i capsomeri, le proteine della coda e altre molecole essenziale come il lisozima. - Assemblaggio: i componenti virali neosintetizzati sono assemblati per formare nuovi fagi - Lisi e rilascio: i fagi assemblati vengono liberati nell’ambiente esterno (fuori dalla cellula lisata). Gli enzimi litici prodotti dal fago durante gli stadi tardivi della replicazione causano la lisi della parete cellulare della cellula ospite, permettendo l’ingresso di liquido extracellulare all’interno della cellula. Di conseguenza, la cellula batterica si rigonfia e infine “esplode”. Il rilascio dei virioni (100-200 particelle virali per cellula batterica) avviene tutto in una volta e determina una rapida lisi cellulare. I batteri si proteggono dalle infezioni fagiche producendo enzimi di restrizione che tagliano il DNA estraneo (del fago). La cellula batterica protegge il proprio DNA modificandolo leggermente dopo la replicazione, in modo che gli enzimi di restrizione non riconoscano il DNA batterico che potrebbero tagliare, agendo così esclusivamente sul DNA estraneo del fago.si ripete. Fasi del ciclo lisogeno: I FAGI TEMPERATI possono avere un ciclo litico, oppure avere il ciclo lisogeno. Nel ciclo lisogeno, il DNA virale si integra nel DNA batterico. Il DNA fagico integrato nel DNA batterico è il provirus o profago. Il genoma del profago rimane silente all’interno del batterio, anche indefinitamente, poiché un gene del profago codifica una proteina che impedisce la trascrizione della maggior parte degli altri geni del profago. I batteri che contengono il profago si chiamano batteri lisogeni in quanto capaci, in certe circostanze, di lisarsi e liberare i virioni del virus temperato (= lisogenia). La luce UV, raggi X, o mutazioni possono trasformare un fago temperato in un FAGOIl ciclo lisogeno consente sia replicazione del profago sia sopravvivenza della cellula ospite. VIRULENTO con lisi della cellula ospite. La maggior parte dei virus non può sopravvivere a lungo fuori da una cellula ospite, quindi la sopravvivenza del virus dipende dal fatto di poter essere trasmesso da un animale all’altro della stessa specie. La gamma di ospiti per ciascun tipo di virus è molto limitata, in quanto l’attacco a una cellula animale ospite è molto specifico. Il tipo di glicoproteine d’aggancio (antirecettori) sulla superficie di un virus determina quale/i tipo/i di cellula/e può infettare. Dopo l’adesione i virus si fondono con la membrana plasmatica della cellula: lipidi e proteine dell’involucro (pericapside) si fondono con quelli della membrana della cellula e il nucleocapside (capside) viene rilasciato direttamente nel citoplasma della cellula. Il capside si disaggrega spontaneamente oppure ad opera di enzimi proteolitici cellulari e il DNA presente all’interno del capside è liberato nel citoplasma. L’involucro virale diventa parte della membrana plasmatica della cellula ospite, dalla quale si formerà l’involucro delle nuove particelle virali durante il processo di gemmazione. La maggior parte dei virus dotati di involucro entra nella cellula ospite per endocitosi mediata da recettori. La membrana plasmatica della cellula animale si introflette per formare una vescicola rivestita di clatrina, che contiene il virus. In alcuni casi, la vescicola rivestita si fonde con i lisosomi e la degradazione del pericapside avviene a opera degli enzimi lisosomali. Il capside è quindi liberato nel citoplasma, dove è degradato o come in altri casi (virus influenzale) una proteina dell’involucro agisce da canale ionico e provoca l’acidificazione del virus nella vescicola rivestita. Ne consegue la fusione del pericapside con la membrana della vescicola e la liberazione del nucleocapside nel citoplasma, dove è degradato da enzimi proteolitici. Nei virus animali a DNA, la sintesi del DNA e delle proteine virali è simile a quella che la cellula ospite normalmente attua per il proprio DNA e le proprie proteine. Nei virus a DNA, la sintesi del DNA e delle proteine virali è simile a quella che la cellula ospite normalmente attua per i propri DNA e proteine. Il virus RNA utilizzano un DNA polimerasi virale ( trascrittasi inversa) che trascrive DNA da uno stampo di RNA, determinando un flusso dell’informazione dall’RNA al DNA. Opposto alla consueta direzione. Dopo la sintesi del DNA, l’RNA virale degenera. Il DNA virale migra nel nucleo, dove l’integrasi virale, lo inserisce nel DNA dell’opspite (costiuendo un provirus) che viene trascritto in mRNA e poi tradotto in proteine virali. Le glicoproteine virali si inseriscono nella membrana plasmatica della cellula ospote, che poi diventerà il pericapside virale. I virus dotati di involucro portano con loro parte della membrana plasmatuica e lasciano la cellula infetta per gemmazione. I virus senza involucro fuoriescono per lisi cellulare ( ciclo litico). Le proteine virali danneggiano la cellula ospite possono alterare la permeabilità della membrana, inibire la sintesi delle macromolecole, o alterare il ciclo cellulare, cambiare il normale svolgimento dei processi di replicazione, interferire con l’apoptosi oppure danneggiare il DNA. Batteri I procarioti sono organismi unicellulari privi di ogni comparto cellulare. Negli eucarioti è presente un nucleo delimitato da un involucro nucleare, nel quale è racchiusa la maggior parte del materiale genetico. Quasi tutti i procarioti sono unicellulari, anche se alcuni formano colonie caratterizzate dalla presenza di cellule specializzate. I procarioti possono essere classificati in base a cinque criteri principali: 1. Forma: - i cocchi hanno forma sferica, sono unicellulari o in gruppi indipendenti. Se si dispongono in coppia si chiamano diplococchi, in lunghe catene streptococchi, a grappolo stafilococchi - I bacilli hanno forma a bastoncino, unicellulari, ma possono essere disposti in catene (streptobacilli) - i batteri a foma di spirale comprendono gli spirilli, hanno forma di spirale rigida, i vibrioni, a forma di virgola, e le spirochete, a forma di cavatappi (spirale flessibile). 2.Modalità di ottenimento del nutriente (carbonio) e dell’energia: - I procarioti autotrofi producono le molecole organiche utilizzando come fonte di carbonio la CO2. - I procarioti eterotrofi ricavano atomi di carbonio dai composti organici di altri organismi. Sulla base delle due modalità di cattura dell’energia, i procarioti sono classificati in chemiotrofi, che ottengono energia dai composti chimici medianti reazioni redox, o come fototrofi, che catturano l’energia luminosa per sintetizzare ATP e NADPH 3.Condizione ottimale alle quali possono crescere - Aerobi obbligati con condizione di crescita ottimale in presenza di O2 - Anaerobi obbligati in assenza di O2 - Anaerobi facoltativi in presenza di O2 con respirazione aerobica o fermentazione - Alofili con soluzioni sature di Sali - Psicrofili con temperatura tra 0 e 20 gradi - Mesofili (25-40°C) - Termofili (50-110°C) - Acidofili con un pH minore di 5,4 - neutrofili con pH compreso tra 5,4 e 8 - alcalofili con pH maggiore di 8 4.Loro relazione rispetto a un organismo ospite 5.Caratteristiche di colorazione che riflettono il tipo di pareti cellulare: La maggior parte delle cellule batteriche ha la membrana plasmatica ricoperta da una PARETE CELLULARE RIGIDA che sostiene la cellula, ne mantiene la forma e ne previene l’esplosione per pressione osmotica (ambiente ipotonico). Tuttavia, la parete cellulare è di poco aiuto quando il batterio si trova in un ambiente ipertonico. Ecco perché la maggior parte dei batteri cresce male nelle conserve di frutta, nel pesce sotto sale e in altri cibi così conservati. La PARETE CELLULARE dei batteri è costituita da peptidoglicano (o mureina), un polimero lineare di N-acetilglucosammina e acido N- acetilmuramico uniti da un legame β-1,4-glucosidico. La struttura risultante conferisce particolare rigidità alla parete cellulare. La parete dei batteri Gram+ è molto spessa (20-80 nm), ha struttura semplice ed è formata principalmente da peptidoglicano. La parete dei batteri Gram- è costituita da due strati: una sottile (2-3 nm) parete di peptidoglicano e una membrana esterna (7-8 nm) che ha una struttura bilaminare e asimmetrica: foglietto interno è formato da fosfolipidi (come la membrana plasmatica), il foglietto esterno, oltre che da fosfolipidi, è formato da uno strato di complesse molecole rappresentate dal lipopolisaccaride (LPS) batterico. l’LPS è l’endotossina = il fattore di virulenza che caratterizza l’azione patogena dei Gram-. Alcune specie sia Gram+ sia Gram- hanno una CAPSULA POLISACCARIDICA o PROTEICA, che circonda la parete cellulare. La capsula protegge il batterio dalla disidratazione, favorisce l’adesività ad altri batteri e alle superfici dei tessuti dell’ospite, funge da barriera alla di]usione degli antibiotici ed è responsabile della resistenza alla fagocitosi, impedendo il riconoscimento tra cellula fagocitaria e batterio. Colorazione di Gram. Si pone nella piastra di coltura il colorante violetto di genziana. 1.Si lava con una soluzione acquosa di iodio e ioduro di potassio (detta liquido di Lugol) con lo scopo di fissare il violetto di genziana. 2.Si tratta con un decolorante (alcool etilico). 3. Il preparato è quindi trattato con un secondo colorante (safranina), che colora in rosso- rosa le cellule che non hanno fissato il primo colorante. Caratteristiche strutturali: La cellula procariotica è priva di nucleo ma possiede un’area nucleare che contiene una singola molecola di DNA circolare a doppio filamento (o cromosoma batterico), che contiene 3000-6000 geni. Se srotolata questa molecola ha una lunghezza all’incirca 1000 µm. Il DNA è avvolto in anse, non è legato a istoni ed è complessato a proteine acide, da cui è facilmente dissociabile. Oltre al DNA genomico, molti batteri presentano PLASMIDI (piccole molecole di DNA circolare) presenti in 1-20 copie, autonome rispetto al cromosoma batterico (quindi si replicano indipendentemente da esso) e trasmissibili da una cellula all’altra. Alcuni plasmidi possono integrarsi nel cromosoma; in tal caso prendono il nome di EPISOMI e, in queste condizioni, si replicano con il cromosoma stesso. I PLASMIDI sono da 1/20 a 1/100 di un cromosoma batterico e contengono da 5 a 100 geni che codificano informazioni importanti ma non indispensabili alla sopravvivenza, ad esempio produzione di TOSSINE, pili, ENZIMI CHE CONFERISCONO RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI. Caratteristiche delle cellule batteriche: Il citoplasma della cellula procariotica contiene ribosomi 70S (più piccoli di quelli degli eucarioti) e diversi granuli di riserva contenenti glicogeno, amido, lipidi (polimeri dell’acido β-idrossibutirrico) o polifosfato; granuli di zolfo e di ferro sono presenti, rispettivamente, nei solfobatteri e nei ferrobatteri. Gli enzimi necessari per le attività metaboliche possono trovarsi in forma solubile nel citoplasma oppure associati alla membrana plasmatica o alle sue introflessioni (mesosomi). I mesosomi sono invaginazioni del plasmalemma che intervengono in vari processi riproduttivi e metabolici della cellula procariotica e partecipano alla formazione di setti durante il processo di divisione della cellula. Riproduzione asessuale: I batteri hanno la capacità di riprodursi molto rapidamente mediante riproduzione asessuale. Come prima cosa avviene la replicazione del DNA batterico circolare. La replicazione del DNA ha luogo nella regione centrale della cellula batterica, dove sono localizzati gli enzimi necessari. Il DNA circolare inizia a replicarsi in un singolo sito, detto punto di origine della replicazione (ori), e prosegue nelle due direzioni opposte con la formazione di due forcelle di replicazione, che percorrono il cerchio e infine si incontrano nel punto di arresto della replicazione. Riproduzione asessuale nei batteri: avviene attraverso la scisssione binaria. Quando la replicazione del DNA è completata, la cellula aumenta di volume e forma un setto trasversale fino alla scissione in due cellule figlie identiche. Il tempo necessario al batterio per riprodursi è detto tempo di duplicazione e varia a seconda delle condizioni di crescita. In condizioni ottimali (laboratorio) Escherichia coli ha un tempo di duplicazione di 20- 30’; in questi casi bastano 12 ore per formare miliardi di batteri da una singola cellula. In condizioni naturali (intestino) E. coli impiega 12 ore per e]ettuare una divisione cellulare. Mycobacterium tuberculosis (l’agente eziologico della tubercolosi) si replica in 18 ore. Nella scissione ineguale o gemmazione la cellula produce una protuberanza che cresce e si separa dalla cellula madre nel punto in cui in essa si genera una strozzatura. Nei batteri si può si osservare uno scambio di materiale genetico o trasferimento genico tra batteri, che porta alla ricombinazione genetica. La ricombinazione genica è un processo mediante il quale una porzione di DNA è trasferita da un donatore a una cellula ricevente, che la integra nel suo cromosoma con acquisizione di nuove caratteristiche fenotipiche. Le mutazioni casuali sono la fonte principale di variabilità genetica nei batteri, la ricombinazione genetica incrementa la diversità genetica dei batteri. Il trasferimento genico tra due cellule batteriche = scambio di porzioni fra due molecole di DNA di due di]erenti batteri avviene con 3 meccanismi diversi: - Trasformazione: Il genotipo (e spesso anche il fenotipo) di una cellula procariotica sono alterati dall’assunzione di DNA estraneo. Quando i batteri muoiono, rilasciano il loro DNA; nella trasformazione, i frammenti di DNA rilasciati da una cellula (DNA estraneo) sono assunti da un’altra cellula. Il DNA estraneo si lega a proteine presenti sulla superficie del batterio, che ne permettano l’ingresso. La cellula è normalmente impermeabile al DNA, a meno che non si trovi in uno STATO DI COMPETENZA, con formazione di pori transitori nella membrana, che permettono il passaggio di frammenti di DNA. Una volta nella cellula batterica, uno dei due filamenti di DNA è degradato dalla nucleasi e l’altro filamento può: 1- essere incorporato nel genoma dell’ospite e, se presente una regione omologa avviene uno scambio di DNA tra il nuovo DNA e il cromosoma dell’ospite. 2- Il DNA estraneo può anche essere incorporato in forma di plasmide e resta separato dal DNA circolare dell’ospite. - Trasduzione: Nella trasduzione, i geni batterici sono trasportati da una cellula batterica a un’altra tramite un fago. Normalmente, un fago contiene soltanto il proprio DNA. Tuttavia, talvolta esso incorpora parte del DNA batterico del suo ospite. Pertanto, quando il fago infetta un altro batterio, trasferisce quel DNA al nuovo ospite. Il tratto di DNA trasferito può sostituire la regione omologa del DNA della cellula batterica infettata; in tal modo, il DNA della cellula batterica infettata diviene una combinazione del DNA derivato da due cellule, cioè avviene un processo di ricombinazione genetica. - Coniugazione: Alcuni batteri possiedono appendici pilifere, dette pili di adesione o fimbrie, sulla superficie della cellula. I pili sono strutture proteiche rigide di forma cilindrica, presenti soprattutto nei Gram–, costituite dalla proteina pilina, che si organizza a elica formando il pilo tubulare o pilo di adesione. I pili aiutano i batteri ad aderire tra loro o alle superfici, delle cellule che infettano. Alcuni pili più lunghi dei pili di adesione, detti pili sessuali o pili F, facilitano il trasferimento del DNA da una cellula batterica donatrice a una cellula batterica ricevente durante la coniugazione batterica. Nella coniugazione due batteri si uniscono temporaneamente e il materiale genetico si trasferisce da una cellula all’altra. Diversamente dalla trasformazione e dalla trasduzione la coniugazione prevede il contatto fisico tra due cellule batteriche. Il batterio donatore utilizza pili sessuali o pili F, per unirsi al batterio ricevente. In E. coli vi sono cellule donatrici o cellule F+ e cellule riceventi o cellule F–. Le cellule F+ hanno una sequenza di DNA (fattore F, F sta per fertilità) costituito da circa 25 geni che può trovarsi sia in forma di plasmide (plasmide F) sia come segmento del DNA del batterico. Alcuni geni del fattore F codificano enzimi essenziali per il trasferimento del DNA, altri codificano per i pili F che si proiettano dalla superficie cellulare. Il pilo lega i recettori presenti sulla superficie di una cellula F– e forma un ponte di coniugazione citoplasmatico tra le due cellule. Il plasmide F si replica e il DNA è trasferito dal batterio donatore a quello ricevente attraverso il ponte di coniugazione. Cellula eucariotica animale la cellula eucariotica è caratterizzata dalla membrana cellulare o plasmatica che delimita la cellula e dalla grande abbondanza di sistemi membranosi delimtano una serie complessa di compartimenti subcellulari. La membrana plasmatica delimita la cellula consentendo il mantenimento di un ambiente intracellulare (citoplasma) diverso dall’ambiente extracellulare e consente gli scambi necessari alla cellula per rifornire di sostanza nutritive ed eliminare verso l’esterno le sostanze di scarto. La componente portante della struttura di tutte le memebrane biologiche è rappresentata dai lipidi, in particolare da fosfolipidi. I FOSFOLIPIDI sono molecole anfipatiche cioè con una testa polare idrofila e una coda apolare idrofoba. In presenza di aria-acqua i fosfolipidi si dispongono in un monostrato con le teste verso l’acqua e le code verso l’aria. Se immersi in acqua i fosfolipidi formano un singolo strato di fosfolipidi (micelle) oppure un doppio strato che si chiude in una struttura sferica che consente la delimitazione di due ambienti acquosi (interno e esterno). Il doppio strato presenta un foglietto fosfolipidico interno o FOGLIETTO CITOPLASMATICO e uno esterno o FOGLIETTO ESOPLASMATICO. I fosfolipidi si aggregano formando le membrane cellulari: in ambiente acquoso le code idrofobe degli acidi grassi si aggregano per escludere l’acqua, spinte da interazioni idrofobe, formando un doppio strato in cui solo la testa idrofila di ogni fosfolipide viene in contatto con l’H2O. Le membrane hanno la caratteristica della FLUIDITÀ che le permette di potere cambiare forma rapidamente (cambiamenti di forma della cellula). Tre fattori influiscono sulla fluidità della membrana: - Lunghezza delle code dei ]osfolipidi - Grado di insaturazione delle code dei fosfolipidi - Contenuto di colesterolo La lunghezza delle code influisce sulla fluidità: una maggiore lunghezza aumenta l’interazione tra le code e favorisce lo stato gel. La presenza di un doppio legame introduce una piega nella coda di un fosfolipide e questo determina un maggiore ingombro sterico della coda, impedendo il regolare impacchettamento delle code nel doppio strato e quindi favorendo la fluidità della membrana. Questo fa sì che fosfolipidi ricchi di acidi grassi saturi (coda senza doppi legami) formano doppi strati compatti e non fluidi a temperatura ambiente: il doppio strato è in uno stato fisico di gel. Fosfolipidi ricchi di acidi grassi insaturi (coda con doppi legami) formano doppi strati più lassi e molto fluidi a temperatura ambiente. Il COLESTEROLO possiede una piccola porzione polare che si intercala tra i fosfolipidi, e limita la loro capacità di impacchettamento mantenendo la fluidità della membrana anche a basse temperature. La porzione idrofoba (aromatica) interagisce con le code idrofobe dei fosfolipidi, riducendone la deformabilità e mantenendo un certo grado di compattezza dei fosfolipidi. Con questa duplice funzione, il colesterolo influisce sulla fluidità e permeabilità di membrana, consentendo di mantenere questi parametri a livelli ottimali. Il contenuto di colesterolo nelle diverse membrane cellulari è disomogeneo: elevato nella membrana plasmatica (fino al 50% dei lipidi di membrana) ma trascurabile, ad esempio, nel reticolo endoplasmatico: - membrana plasmatica ha maggiori esigenze di compattezza, resistenza e impermeabilità - membrana del reticolo endoplasmatico deve avere un certo grado di permeabilità e lassezza per consentire l’inserimento delle proteine di membrana. Nelle cellule con membrane prive di colesterolo (batteri e cellule vegetali) la mancanza del colesterolo impone la necessità di una parete esterna a protezione della membrana. Ciascun foglietto del doppio strato è caratterizzato da un elevato movimento laterale dei fosfolipidi. I fosfolipidi si muovono anche da un foglietto all’altro (MOVIMENTO FLIP-FLOP). In questo caso è la testa polare della molecola penetra nello strato idrofobo delle code delle altre molecole e lo attraversa prima di poter tornare a essere esposta all’ambiente acquoso sul versante opposto a quello di partenza. Il contatto della testa polare con l’ambiente idrofobo delle code è termodinamicamente molto sfavorito e questo rende il movimento flip- flop molto improbabile, con una frequenza di meno di una volta al giorno. Per l’esiguità della sua testa polare, il colesterolo mostra un movimento di flip-flop circa 1 volta al secondo, molto più elevata rispetto ai fosfolipidi. Le caratteristiche delle code dei fosfolipidi hanno un e]etto importante sulle dimensioni dei fosfolipidi. A parità di numero di atomi di carbonio, la presenza di doppi legami in catene insature (C=C) forma una piega nella coda riducendone l’estensione longitudinale rispetto a una catena satura. Di conseguenza, un doppio strato ricco di fosfolipidi saturi (C-C) tende ad avere uno spessore leggermente superiore rispetto a uno con fosfolipidi insaturi (C=C), questo determina un incremento di spessore nel doppio strato. Vi sono inoltre lipidi (es: sfingomielina) caratterizzati da una lunghezza maggiore rispetto ai glicerofosfolipidi. Lo spessore di un doppio strato costituito esclusivamente da glicerofosfolipidi è intorno a 3,5 nm, l’aggiunta di colesterolo aumenta lo spessore a circa 4,0 nm, mentre un doppio strato di sfingomielina + colesterolo può arrivare a circa 4,4 nm. La diversa lunghezza delle code dei fosfogliceridi e degli sfingolipidi fa sì che l’INTERAZIONE TRA MOLECOLE appartenenti ai due tipi non è favorita come quella all’interno di ciascun tipo: questo determina una tendenza degli sfingolipidi a isolarsi dai fosfogliceridi e formare isole separate che consentono a queste molecole di interagire tra loro. Confrontando una membrana costituita da fosfatidilcolina e colesterolo con una costituita da fosfatidilcolina, colesterolo e sfingomielina, si osserva che la sfingomielina segrega rispetto alla fosfatidilcolina, formando, come detto sopra, delle isole. Il colesterolo esibisce una maggiore a]inità per la sfingomielina e la segue nella segregazione. Questo fenomeno è alla base della formazione di microdomini detti ZATTERE LIPIDICHE. Date le diverse caratteristiche della sfingomielina si possono immaginare queste zattere come domini con spessore maggiore e meno fluidi rispetto al circostante “mare” di fosfogliceridi. Le dimensioni e carica della testa polare dei fosfolipidi influiscono sulla CURVATURA DEL DOPPIO STRATO DELLA MEMBRANA. La liso-fosfatidilcolina è un fosfolipide con una sola coda alifatica presente in percentuali

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