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MEDICINA NUCLEARE Medicina nucleare Le immagini medico-nucleari vengono ottenute per mezzo della rilevazione di radiazioni emesse da radiofarmaci (radio-isotopo tracciante con emivita breve, legato chimicamente a una molecola attiva a livello metabolico) distribuiti nell'organismo. Il paziente t...

MEDICINA NUCLEARE Medicina nucleare Le immagini medico-nucleari vengono ottenute per mezzo della rilevazione di radiazioni emesse da radiofarmaci (radio-isotopo tracciante con emivita breve, legato chimicamente a una molecola attiva a livello metabolico) distribuiti nell'organismo. Il paziente trattato diviene così una sorgente di radiazioni. L’apparecchiatura invece è solo un rilevatore, che non emette radiazioni. Radioattività Quando un atomo instabile «decade» si trasforma in un altro atomo emettendo delle particelle dal suo nucleo. Le più comuni sono: Particelle Alfa Alta energia, ma poca penetrazione (attraversano qualche cm in aria) Particelle Beta Attraversano 10-20 cm in aria, possono costituire un problema per la pelle e l’occhio. Raggi Gamma (Radiazioni elettromagnetiche) Radiazioni penetranti che possono attraversare i materiali Il numero dei «decadimenti» per unità di tempo si misura in Becquerel (= 1 decadimento al secondo) ed è indice di quanto l’elemento è radioattivo. Radioattività Tempo di emivita: è il tempo che deve trascorrere prima che la metà dei nuclei di un dato isotopo decada emettendo radiazioni. Dopo 10 tempi di emivita si considera virtualmente decaduta tutta la dose. Radioisotopi in medicina nucleare Radioprotezione lavoratori Rischi 1. Irradiazione interna: la sorgente di radiazioni viene introdotta nell’organismo. Avviene in presenza di sorgenti non sigillate per ingestione o inalazione. 2. Irradiazione esterna: la sorgente di radiazioni è esterna al corpo umano. Si verifica sia in caso di sorgenti sigillate che non sigillate (vials, siringhe, fusti di rifiuti, paziente) Protezione dall’irradiazione interna  Manipolazione dei radionuclidi in celle dedicate per evitare l’ inalazione durante il frazionamento  Impianti di aereazione efficienti  Logica dei gradienti pressori tra due ambienti comunicanti  Uso dei presidi di sicurezza atti ad evitare/limitare contaminazioni derivanti da superfici di lavoro (guanti monouso) Protezione irradiazione esterna Protezione dall’irradiazione esterna  Distanza  Tempo di esposizione  Schermature Distanza: L'intensità della radiazione segue la legge dell’ inverso del quadrato della distanza Tempo: La quantità di radiazioni ricevuta, è direttamente proporzionale al tempo trascorso in prossimità della sorgente Protezione irradiazione esterna: distanza e tempo Protezione irradiazione esterna: schermature Livelli diagnostici di riferimento (LDR) In Medicina Nucleare i LDR sono espressi in termini di attività somministrata (MBq) e sono definiti per le tipologie più diffuse degli esami diagnostici, per una persona adulta, con massa corporea non inferiore a 60 kg, presumibilmente esente da alterazioni rilevanti del metabolismo e/o eliminazione dei radiofarmaci. Per prestazioni non riportate od altri radiofarmaci si raccomanda di seguire le indicazioni delle associazioni Scientifiche di Medicina Nucleare (AIMN, EANM, SNMMI ed altre associazioni internazionali). In medicina nucleare, secondo la letteratura e la legislazione, il LDR non solo è un livello da non superare in procedure standard, ma anche un’attività consigliata. Rappresenta, cioè, un livello di guida o un livello ottimizzato per le attività somministrate. Questa è la maggior differenza e peculiarità degli LDR in medicina nucleare rispetto alla radiologia diagnostica: mentre per la radiologia diagnostica il LDR rappresenta un livello da non superare sistematicamente ma non un livello ottimizzato, in medicina nucleare ci si aspetta che l’attività somministrata si avvicini il più possibile ad esso. Livelli diagnostici di riferimento (LDR) Tabella B Allegato II del D.L. 187/00 Livelli diagnostici di riferimento (LDR) In caso di massa corporea minore di 60 kg ed in particolare nei bambini si raccomanda di ridurre l’attività somministrata seguendo il metodo proposto dal Paediatric Task Group della Associazione Europea di Medicina Nucleare (EANM, 1990). Addendum alla Tabella B Allegato II – D.L. 187/00 ADROTERAPIA Adroterapia La terapia adronica o adroterapia è una forma di radioterapia che utilizza protoni e particelle cariche pesanti, come gli ioni carbonio, per il trattamento dei tumori. Il nome deriva dal tipo di particelle utilizzate, gli adroni, cioè particelle costituite da quark. La terapia adronica funziona bersagliando il tumore con particelle ionizzanti. Queste particelle danneggiano il DNA delle cellule dei tessuti, provocando la loro morte. Centri di Adroterapia nel mondo Adroterapia in Italia In Italia, l’adroterapia è eseguita solamente in tre istituti: il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia (protoni e ioni carbonio), il Centro di Protonterapia di Trento (protoni) e il centro CATANA di Catania (protoni). Adroterapia Gli adroni permettono di ottenere delle distribuzioni di dose migliori di quelle ottenibili con le tecniche di radioterapia con fotoni. Infatti, i fasci di elettroni, i raggi X e i protoni penetrano nel tessuto umano in modo differente. Il percorso compiuto dagli elettroni è molto breve e sono utili solo in zone prossime alla pelle. I raggi X penetrano più profondamente ma la dose assorbita dal tessuto ha un decadimento esponenziale con spessore crescente. Per i protoni e gli ioni pesanti, invece, la dose aumenta con l'aumentare dello spessore fino al picco di Bragg. Superato tale picco la dose scende a zero (nel caso dei protoni) o quasi a zero (nel caso degli ioni pesanti). Adroterapia Variando l’energia delle particelle è possibile rilasciare energia alla profondità in cui si trova il tumore. Per il trattamento dell’intero tumore, si inviano fasci con diversa energia e quindi diversi picchi di Bragg in modo da ottenere un rilascio uniforme di energia su tutto il tumore: Spread Out Bragg Peak. Spread Out Bragg Peak Adroterapia Gli ioni di carbonio, rispetto ai protoni hanno maggiore densità di ionizzazione al termine del loro cammino ma hanno lo svantaggio che oltre al picco di Bragg, la dose non diminuisce a zero. Adroterapia vs radioterapia Minor deposito di energia nel tessuto sano circostante il tumore Maggiore efficienza biologica (maggiori danni irreparabili al DNA cellulare) Indicazioni L’adroterapia è particolarmente indicata per:  tumori non trattabili chirurgicamente perché localizzati in sedi anatomiche complicate o non operabili in quanto l’asportazione sarebbe invalidante per il paziente  tumori in cui la radioterapia convenzionale non dà vantaggi significativi come i tumori radioresistenti  tumori pediatrici grazie alla riduzione della dose integrale GAMMA-KNIFE Gamma-knife Il trattamento mediante Gamma Knife è una tecnica per radiochirurgia stereotassica intracranica. La terapia con Gamma Knife, come tutta la radioterapia, utilizza le radiazioni ionizzanti per uccidere le cellule tumorali cercando di risparmiare i tessuti sani circostanti. La sorgente radioattiva utilizzata per la generazione di raggi gamma è il cobalto 60. Una Gamma Knife contiene 201 sorgenti di Cobalto-60, posizionate in una matrice emisferica in un assemblaggio pesantemente schermato. Un sistema di collimazione fa convergere la radiazione gamma emessa dalle sorgenti in un unico punto. Il paziente indossa un casco stereotassico fissato al cranio: questo permette un posizionamento preciso del tumore nel punto in cui convergono le radiazioni. Gamma-knife Gamma-knife Il trattamento prevede quattro fasi: 1. Fissazione di un casco stereotassico (in alluminio o titanio) al cranio del paziente in anestesia locale mediante applicazione transcutanea di 4 viti al fine di prevenirne il movimento durante il trattamento e di creare una guida per concentrare i fasci di raggi gamma nella posizione esatta della lesione da trattare Gamma-knife 2. Esecuzione di un indagine radiologica ovvero degli esami necessari per il trattamento, grazie al fatto che sul casco viene applicato un "localizzatore" in plexiglas Gamma-knife 3. Elaborazione del piano di trattamento. Il medico radioterapista contorna accuratamente la lesione da irradiare e gli organi critici, il fisico medico elabora il piano di cura ed entrambi lo ottimizzano secondo i protocolli di riferimento e le tabelle di tolleranza di dose per gli organi critici. Gamma-knife 4. Trattamento: il paziente viene ricondotto nella sala della Gamma knife e posizionato sul lettino di trattamento, in modo che la testa venga agganciata ai collimatori mediante il casco stereotassico. Indicazioni Le patologie cerebrali che possono essere trattate con una procedura di Gamma Knife includono, ma non sono limitati a: tumori cerebrali malformazioni artero-venose, o MAV (un’alterazione dei vasi sanguigni) nevralgia del trigemino neurinoma dell’acustico La radiochirurgia Gamma Knife ha mostrato qualche effetto promettente nel trattamento di patologie con disturbi del movimento (es. legate al morbo di Parkinson), l’epilessia e il dolore cronico. La dose di radiazioni erogata in singola seduta varia da 15 Gy per le lesioni cerebrali benigne a 70 Gy per il trattamento di elezione dei disturbi del movimento. Sicurezza I controlli effettuati si possono dividere in diverse tipologie:  controlli geometrici  controlli dosimetrici  controlli di sicurezza  controlli elmetti RISONANZA MAGNETICA Fonti di rischio La presenza, all’interno di una struttura sanitaria, di apparecchiature diagnostiche a Risonanza Magnetica (RM) determina l’esistenza di una serie di rischi legati alle caratteristiche strutturali e tecnologiche dell’impianto stesso. In particolare i rischi sono dovuti alla presenza di:  un campo magnetico statico di intensità elevata sempre attivo.  fluidi criogenici pressurizzati, nel caso di magneti superconduttori.  gradienti di campo magnetico necessari per la codifica spaziale del segnale RM, attivati durante le sequenze di acquisizione.  un campo elettromagnetico a radiofrequenza (RF), con frequenza dipendente dall’intensità del campo magnetico statico, attivato nel momento di esecuzione degli esami. Fonti di rischio Fonti di rischio: campo magnetico statico Formazione di stimoli visivi detti fosfeni, la cui soglia di induzione varia da soggetto a soggetto. Rischi connessi alla presenza di oggetti ferromagnetici, all'interno dalla sala magnete che vengono attratti in direzione delle linee di campo verso il centro del magnete  Effetto proiettile Effetto proiettile: come evitarlo  Formazione e informazione delle persone (personale, pazienti, ecc.)  Non lasciare MAI il sito incustodito  Chiudere SEMPRE il sito se incustodito  Cartelli di segnalazione  Usare oggetti amagnetici Fonti di rischio: campo magnetico statico Fonti di rischio: campo magnetico statico Le misure di sicurezza per i lavoratori vengono articolate in funzione del massimo livello di campo magnetico applicato al paziente, vale a dire in un’ultima analisi in ragione del modo di funzionamento della macchina: B ≤ 2 T: modo di funzionamento normale 2 T < B ≤ 4 T: modo di funzionamento controllato, suddiviso in: a) 2 T 4T  Autorizzazione Ministeriale (consentite solo in centri di ricerca) B < 4T  Autorizzato da Regione o provincia autonoma B < 0,5 T con magneti non superconduttori  nessuna autorizzazione Responsabili per la sicurezza Medico responsabile della sicurezza clinica e dell’efficacia diagnostica dell’apparecchiatura RM (Medico responsabile, MR) Medico responsabile della prestazione diagnostica Esperto responsabile della sicurezza in RM (ER) La normativa: figure responsabili Compiti e responsabilità del Medico responsabile della sicurezza clinica e dell‘efficacia diagnostica dell'apparecchiatura RM: redigere le norme interne di sicurezza per quanto attiene gli aspetti clinici redigere i protocolli per la corretta esecuzione degli esami RM predisporre un questionario anamnestico che il Medico Responsabile della Prestazione utilizzerà per raccogliere l’anamnesi del paziente redigere i protocolli per il pronto intervento sul paziente nei casi di emergenza e relativa formazione del personale segnalare gli incidenti di tipo medico al datore di lavoro garantire la sussistenza dell'idoneità specifica all'attività nel SITO RM per tutto il personale addetto elaborare il programma di garanzia della qualità per gli aspetti clinici redigere ed aggiornare l'elenco del personale autorizzato, all’attività nel SITO RM, elenco che il datore di lavoro emana La normativa: figure responsabili Compiti del Medico radiologo responsabile della prestazione RM: Valutare le richieste di esame Effettiva utilità dell’esame e opportunità di accoglimento della richiesta Informare il Paziente sulle modalità di esecuzione e dei rischi dell’esame Valutare eventuali controindicazioni all’esame (es. pace-maker, protesi metalliche e del cristallino non compatibili, ecc.) Firmare questionario di raccolta dati del Paziente predisposto dal Medico Radiologo Responsabile della sicurezza Individuare le modalità di esecuzione dell’esame La normativa: figure responsabili Compiti dell’esperto responsabile della sicurezza in RM: Validazione del progetto e verifica della corretta esecuzione Controllo della corretta installazione dei dispositivi di sicurezza Verifica del perdurare delle caratteristiche tecniche dell’impianto Sorveglianza fisica dell’ambiente Stesura delle regole da seguire in caso di emergenza nel sito; Stesura, conoscenza e rispetto delle norme interne di sicurezza e del protocollo per l’esecuzione dei controlli di qualità, in collaborazione con il Medico Responsabile; Segnalazione degli incidenti di tipo tecnico La normativa: classificazione dei locali 1. Progettazione del sito: contenimento del campo magnetico statico disperso di tipo attivo (tecnologie costruttive dell’apparecchiatura, es. sistema di bobine) o passivo (tecnologie costruttive della sala magnete) 2. Verifica della distribuzione del campo disperso ovvero della corrispondenza a quanto previsto dal progetto, mediante misure sperimentali 3. Classificazione e delimitazione dei locali, con apposita cartellonistica e barriere fisiche I punti cardine per la classificazione sono costituiti da 2 valori del campo di induzione magnetica che ripartiscono lo spazio circostante l’apparecchiatura: 0.1 mT (limite per il pubblico, che è possibile superare una volta varcato il cosiddetto ‘accesso controllato’) 0.5 mT (valore di campo al quale è possibile il verificarsi di interferenze con i dispositivi impiantati) La normativa: classificazione dei locali Zona ad accesso controllato (ZAC) = zona coincidente con il Sito RM delimitata da barriere fisiche il cui accesso è regolamentato. Zona controllata (ZC) = zona in cui il campo magnetico disperso è uguale o maggiore di 0,5 mT, solitamente coincide con sala magnete ma può includere anche il locale tecnico. Zona di Rispetto = zona che circonda la sala RM in cui il campo magnetico disperso è compreso tra 0.1 mT e 0.5 mT. Salvo eccezioni, è costituita dall’intero sito RM, esclusa la Zona Controllata. La normativa Classificazione dei dispositivi STERILIZZAZIONE Il processo di sterilizzazione Ad oggi in ambito ospedaliero, per quanto concerne la sterilizzazione, si fa riferimento al D.lgs. 46/97, il quale rappresenta il recepimento della Direttiva Europea 93/42/CEE. Quest'ultima, accanto ai requisiti generali (indicazioni per la costruzione, la progettazione, la sicurezza, la prestazione fino all'imballaggio di un dispositivo medico) sancisce che "...i dispositivi medici forniti allo stato sterile devono essere fabbricati e sterilizzati con un metodo convalidato e appropriato...". Ai sensi del D.Lgs 81/2008 e s.m.i. nelle strutture sanitarie la responsabilità della protezione collettiva da agenti biologici per gli operatori che svolgono mansioni attinenti il processo di sterilizzazione è attribuita al datore di lavoro e ad un suo incaricato (che si occupa della valutazione dei rischi, delle misure di prevenzione-protezione e della stesura del documento di sicurezza) nonché ai dirigenti coinvolti ed ai preposti. I requisiti minimi strutturali e tecnologici del Servizio di Sterilizzazione sono normati dal DPR 14/01/97. Il processo di sterilizzazione Il processo di sterilizzazione non è inteso come la sola esposizione all'agente sterilizzante, ma come un insieme di precise procedure concatenate, inscindibili e consequenziali, atte a garantire l'efficacia del processo stesso. Prima della sterilizzazione vera e propria è necessario seguire una serie di procedure preventive, con lo scopo di proteggere l'operatore, diminuire la carica microbica, rendere l'azione sterilizzante più efficace Definizioni Decontaminazione: «procedura atta a ridurre la carica batterica presente su superfici od oggetti contaminati da materiale organico». Si attua con l’impiego di disinfettanti chimici oppure mediante mezzi fisici (calore , raggi ultravioletti, raggi gamma, microonde). La decontaminazione ha lo scopo di abbattere la carica microbica al fine di:  ridurre il rischio sanitario per l’operatore addetto alla manipolazione dello strumentario  prevenire la contaminazione dell’ambiente durante le successive fasi di pulizia  evitare il disseccamento del materiale organico Non significa che lo strumento decontaminato possa essere utilizzato sul paziente. Definizioni Disinfezione: trattamento effettuato per distruggere i microrganismi patogeni presenti su un substrato o in un determinato ambiente (spore escluse). A differenza della sterilizzazione, non elimina necessariamente tutti i microrganismi da una superficie, limitandosi ad agire sui patogeni. L’agente disinfettante più adatto e le modalità di applicazione sono scelte in rapporto alla resistenza dei microrganismi che si vuole distruggere e tenendo conto dei fattori ambientali e della natura del substrato che li ospita. Definizioni Sterilizzazione: «qualsiasi processo, fisico o chimico, che porta alla distruzione di tutte le forme di microrganismi viventi e altri agenti biologici». Una popolazione microbica sottoposta a un processo di sterilizzazione viene distrutta con un andamento che è costante in percentuale per unità di tempo: se nel primo minuto si registra la morte del 90% della popolazione presente, nel secondo minuto morirà il 90% dei microrganismi sopravvissuti. Solo un trattamento di durata infinita potrebbe dare la certezza di avere zero colonie La norma tecnica UNI EN 556-1:2002 stabilisce che per dichiarare un prodotto sterile si deve avere la probabilità che al massimo non sia sterile un prodotto su 1 milione di prodotti sterilizzati, ovvero il livello di sicurezza di sterilità SAL (Sterility Assurance Level) sia pari a 10-6: Definizioni Per assicurare tale risultato devono essere garantite specifiche condizioni fisiche che tengano conto della variabilità delle specie di microrganismi potenzialmente presenti sul dispositivo da trattare e, soprattutto, del loro possibile stato: forma vegetativa o sporigena. Le spore, infatti, sono di gran lunga le forme più resistenti agli agenti sterilizzanti e per essere eliminate richiedono, rispetto alle forme vegetative, temperature più elevate e tempi di esposizione maggiori. Il centro di sterilizzazione Il centro di sterilizzazione dovrebbe prevedere una suddivisione fra settore sporco, pulito e sterile:  Zona sporca Area di ricezione del materiale contaminato, con piani d'appoggio, vaschette di raccoglimento degli strumenti, lavello, eventuali lavatrici o ultrasuoni, ecc.  Zona pulita Ha lo scopo di raccogliere il materiale per prepararlo alla sterilizzazione, ovvero alla manutenzione e al confezionamento; devono essere presenti piani d'appoggio, termosigillatrice, buste, ecc.  Zona sterile Piano d'appoggio dove il materiale transita prima di essere inviato al magazzino Il centro di sterilizzazione Le attività di sterilizzazione devono essere centralizzate in ambienti aventi caratteristiche strutturali e tecnologiche idonee.  Ospedali di grandi/medie dimensioni (con un numero di posti letto maggiore di 120 e un minimo di 4 sale operatorie) Devono essere previsti spazi articolati in zone nettamente separate, delle quali una destinata al ricevimento e lavaggio, una al confezionamento dei materiali e alla sterilizzazione ed, infine, una al deposito e alla distribuzione dei materiali sterilizzati. Il percorso deve essere progressivo dalla zona sporca a quella pulita.  Ospedali di piccole dimensioni, con attività chirurgica programmata (1-3 sale operatorie) Gli ambienti di lavaggio e decontaminazione devono essere separati (fisicamente) dalle altre attività di confezionamento, sterilizzazione e stoccaggio. Confezionamento, sterilizzazione e stoccaggio possono essere effettuati nello stesso ambiente, con adeguati protocolli, ma in zone distinte. Protocolli operativi 1. Raccolta/trasporto 2. Decontaminazione 3. Lavaggio 4. Risciacquo 5. Asciugatura 6. Controllo e Manutenzione 7. Confezionamento 8. Sterilizzazione 9. Rintracciabilità 10.Stoccaggio VERIFICA/CONVALIDA 1. Raccolta/trasporto L'esposizione o la potenziale esposizione ad agenti biologici degli operatori inizia con la raccolta dei materiali. Le operazioni di smontaggio e di collocazione degli strumenti devono essere effettuate dal personale sanitario al termine del loro utilizzo. L'allontanamento degli strumenti chirurgici provenienti dalle varie UU.OO. deve avvenire il più presto possibile dopo il loro utilizzo, onde evitare che le sostanze organiche diventino di difficile rimozione. La collocazione deve avvenire in un contenitore rigido senza saldature, munito di manici laterali e griglia estraibile che garantisca la non fuoriuscita dei liquidi in esso contenuti e sia definibile come contenitore di sicurezza. Gli operatori addetti al ricevimento ed al lavaggio devono manipolare i materiali indossando gli appropriati Dispositivi di Protezione Individuale. Il materiale costituito da taglienti monouso, quali bisturi ed aghi, deve essere smaltito in appropriati contenitori che non consentano alcun tipo di esposizione ad agenti biologici. 2. Decontaminazione La decontaminazione, da intendersi come disinfezione, è uno degli adempimenti previsti dal Titolo X del D.Lgs 81/2008 e s.m.i in quanto è una misura di sicurezza di tipo collettivo. Tale misura di sicurezza contribuisce alla protezione degli operatori coinvolti nel processo di sterilizzazione e in particolare di quelli addetti al trasporto e al lavaggio del materiale utilizzato. Il D.Lgs 81/2008 stabilisce che prima della sterilizzazione i materiali contaminati siano sottoposti ad una preliminare decontaminazione tramite l’immersione in soluzioni contenenti agenti chimici (disinfettanti) efficaci contro il virus HIV. La decontaminazione può essere: Manuale Automatica 2. Decontaminazione Nella decontaminazione manuale devono essere seguite le seguenti istruzioni: · la scelta dei principi attivi e/o delle formulazioni ad azione disinfettante deve tener conto dell'obiettivo primario · nella soluzione disinfettante, allestita all'interno di idoneo recipiente, viene immerso il contenitore con i materiali da trattare · la durata della fase di immersione dipende dalle caratteristiche della soluzione impiegata · al termine del periodo di immersione il contenitore, con i materiali trattati, viene estratto e avviato alla successiva fase di lavaggio · la soluzione decontaminante deve essere smaltita secondo le indicazioni della vigente normativa Nella decontaminazione automatica il contenitore, con il materiale da trattare, viene collocato all'interno dell’apparecchiatura e viene avviato il programma di disinfezione secondo le istruzioni del fabbricante/produttore. Classificazione dei disinfettanti Criteri di scelta dei disinfettanti  Efficacia sulla popolazione microbica: Ampio spettro d'azione (batteri, spore, funghi, virus) Rapidità di azione Mantenimento del potere disinfettante nel tempo  L’azione non deve essere ridotta da sostanze presenti nel substrato  Innocuità nei confronti delle persone: assenza di tossicità sui tessuti  Innocuità nei confronti dei substrati: assenza di azione dannosa sui materiali da trattare  Non indurre sensibilizzazioni  Non avere colorazioni  Facilità di applicazione  Elevato potere di penetrazione  Basso costo Fattori che influenzano l’attività dei disinfettanti 1) Fattori propri del disinfettante 2) Fattori inerenti la popolazione microbica da distruggere 3) Ambiente o materiale da trattare Fattori che influenzano l’attività dei disinfettanti 1) Fattori propri del disinfettante  Qualità del disinfettante ossidanti = i più attivi tensioattivi = i più deboli  Concentrazione del principio attivo della sostanza disinfettante; disinfettanti con elevato "coefficiente di concentrazione" conservano l'attività anche a diluizioni elevate.  Solvente: soluzioni acquose sono più soggette a contaminazione e perdita di attività; soluzioni alcooliche potenziano l'attività del disinfettante; presenza di tensioattivi schiumogeni migliora la capacità di penetrazione Fattori che influenzano l’attività dei disinfettanti 2) Fattori inerenti la popolazione microbica  Natura del germe Virus (specie quelli privi di membrane esterne e privi di enzimi) sono in genere molto resistenti; Micobatteri tubercolari sono resistenti a molti disinfettanti (acidi e alcali) per la presenza di cere; Pseudomonas: in grado di moltiplicarsi in certi disinfettanti  Entità della popolazione microbica  Resistenza ai singoli disinfettanti Fattori che influenzano l’attività dei disinfettanti 3) Fattori inerenti l’ambiente e il materiale da trattare  Temperatura  pH alcuni disinfettanti agiscono meglio a pH alcalino e altri a pH acido  Caratteristiche del materiale  Modalità di contatto Livelli di disinfezione Ci sono 3 livelli di disinfezione: Disinfezione alta: uccide tutti i microrganismi (batteri, virus, funghi) tranne le spore batteriche. Disinfezione intermedia: uccide tutti i batteri, la maggior parte dei virus e funghi ma non le spore batteriche. Disinfezione bassa: uccide la maggior parte dei batteri, alcuni virus e alcuni funghi ma non è in grado di uccidere microrganismi resistenti quali i bacilli tubercolari o le spore batteriche. 3. Lavaggio Dopo la decontaminazione i materiali utilizzati vanno sottoposti ad una procedura di lavaggio. Il risultato di una buona azione di detersione o lavaggio porta infatti ad una riduzione qualitativa e quantitativa della contaminazione microbica che è la chiave del successo della sterilizzazione. È importante che le operazioni di lavaggio abbiano luogo in un un'area dedicata esclusivamente a tali procedure. La pulizia dei dispositivi riutilizzabili può essere effettuata con metodo manuale oppure meccanico/chimico. 3. Lavaggio Lavaggio manuale Attualmente viene considerato un metodo superato in quanto oggigiorno ci sono apparecchiature automatiche capaci di garantire il risultato con un basso rischio di infortuni per gli operatori addetti. La procedura per la pulizia manuale prevede che il materiale venga immerso in una soluzione detergente, che può essere: a base di tensioattivi, enzimatica, plurienzimatica e con altri principi attivi. Vanno rispettate le indicazioni del fabbricante relative a: · concentrazione · temperatura · tempo di azione Dopo la fase di immersione gli strumenti vanno spazzolati per rimuovere i residui organici che non sono stati eliminati dall'azione del detergente. Vanno sottoposti a questo trattamento specialmente quegli strumenti che presentano incastri e zigrinature. 3. Lavaggio Lavaggio a ultrasuoni Il bagno ad ultrasuoni è impiegato come trattamento di sostegno a quello manuale, specie quando le sostanze organiche sono solidificate sui materiali. Il lavaggio si basa sul principio fisico della cavitazione ultrasonica, che consiste nella formazione di bolle di gas, create da onde ultrasoniche che implodono all'interno di un liquido con conseguente enorme rilascio di energia d'urto. Questa energia colpisce la superficie dell'oggetto da pulire interagendo sia fisicamente che chimicamente. I risultati sono un fenomeno fisico di microspazzolatura e un effetto detergente prodotto dalle sostanze chimiche presenti nel bagno ad ultrasuoni ad altissima frequenza. La pulizia ad ultrasuoni è particolarmente indicata per tutti quei dispositivi medici delicati (microchirurgia) o che presentano articolazioni e zigrinature (strumenti dentali), dove facilmente si deposita materiale organico difficile da rimuovere con altri sistemi. 3. Lavaggio Lavaggio automatico Il lavaggio automatizzato può essere effettuato mediante l'utilizzo di macchine lavastrumenti, termo-disinfettatrici o ad ultrasuoni. In particolare le “lava strumenti” sono indicate per il lavaggio e la disinfezione di una vasta gamma di materiali utilizzati, compresi quelli che presentano cavità utilizzando particolari accessori. La metodica di lavaggio delle lavastrumenti assicura un'omogenea rimozione dello sporco a condizione però che il caricamento venga effettuato senza zone d'ombra (non sovrapposto). All'azione meccanica di detersione è associato un processo di disinfezione termica (ad esempio: 90°C per 10 minuti) o chimica. 4, 5. Risciacquo, asciugatura 4. Risciacquo Dopo le procedure di lavaggio è necessario procedere ad un primo risciacquo del materiale con doccia di acqua corrente e poi con doccia di acqua demineralizzata, per rimuovere residui di detergente. 5. Asciugatura Dopo il risciacquo si provvede all’ asciugatura del materiale, preferibilmente con pistole ad aria compressa perché risultano più efficaci rispetto ad altri sistemi. In alternativa l'asciugatura può essere eseguita con panni di carta o di tela, che non rilasciano fibre. In questa fase è importante utilizzare DPI in quanto si possono produrre aerosol potenzialmente contaminati. 6. Controllo e manutenzione Prima del confezionamento i materiali devono essere accuratamente controllati in tutte le loro parti, per garantire il funzionamento e l'integrità del prodotto a tutela dell'attività chirurgica. La manutenzione quando necessaria va effettuata lubrificando tutte le articolazioni e parti mobili con un prodotto lubrificante permeabile al vapore e privo di silicone (se il materiale viene sterilizzato a vapore). Tutti i materiali che presentano parti deteriorate (rotture, etc.) o ruggine, non devono essere avviati alla fase del confezionamento, ma opportunamente riparati o trattati con prodotti specifici. 7. Confezionamento Le procedure di confezionamento devono essere effettuate in un ambiente dedicato e diverso da quello in cui si eseguono le operazioni di lavaggio. In rapporto alla metodologia di sterilizzazione e alla tipologia del dispositivo da trattare, dovrà essere individuato il tipo di confezionamento maggiormente appropriato. Il confezionamento del materiale sanitario da sottoporre a processo di sterilizzazione deve: Essere compatibile con le procedure di sterilizzazione Permettere il passaggio dell’agente sterilizzante (porosità) Conservare la proprietà di barriera batterica fino al momento dell’utilizzo Consentire una presentazione asettica (riduzione del rischio di contaminazione del contenuto al momento dell'apertura nel campo sterile) 7. Confezionamento Normativa di riferimento: UNI EN ISO 11607-1 e 2 «Imballaggi per dispositivi medici sterilizzati terminalmente» Questo documento specifica i requisiti per la messa a punto e la convalida dei processi di imballaggio dei dispositivi medici che sono sterilizzati terminalmente. Tali processi includono il formato, la tenuta e l’assemblaggio dei sistemi di barriera sterili preformati, dei sistemi di barriera sterili e dei sistemi di imballaggio. I dispositivi medici solitamente dispongono di doppio confezionamento: 1. Sistema barriera sterile (SBS) 2. Imballaggio protettivo (PP) che protegge il sistema barriera sterile ed insieme costituiscono il «sistema di confezionamento» 7. Confezionamento Il termine “Sistema di Barriera Sterile” è stato introdotto nel 2006 per descrivere l’imballaggio minimo richiesto per eseguire le funzioni esclusive richieste dall’imballaggio per uso medico: 1. Consentire la sterilizzazione 2. Fornire una barriera microbica accettabile 3. Consentire la presentazione asettica L'”imballaggio protettivo” protegge il sistema di barriera sterile e insieme formano il sistema di imballaggio. 7. Confezionamento I principali sistemi di barriera sterile utilizzati a tutt'oggi per il confezionamento in ambiente ospedaliero sono i seguenti: 1. SBS (monouso) carta medicale buste e rotoli in accoppiato carta – film polimerico materiale a composizione polimerica impiegabile in fogli materiale poliolefinico e similare impiegabile in rotoli o tubolari 2. SBS (poliuso-riutilizzabili) container 7. Confezionamento 7. Confezionamento 8. Sterilizzazione Processo che si prefigge di distruggere su un substrato o in un determinato ambiente tutte le forme di vita, spore comprese. Sterilizzazione mediante CALORE  Incenerimento  Calore secco (stufe a secco)  Calore umido (autoclave) Sterilizzazione mediante RADIAZIONI  Raggi UV  Raggi Gamma Sterilizzazione per FILTRAZIONE Sterilizzazione CHIMICA  Ossido di etilene  Gas plasma  Acido peracetico 8. Sterilizzazione mediante CALORE Incenerimento Utilizzato per distruggere materiale di vario tipo soprattutto di provenienza ospedaliera. Non permette il riciclaggio del materiale o del substrato, è fonte di inquinamento. La temperatura di esercizio oscilla fra i 900 – 1300°C 8. Sterilizzazione mediante CALORE Calore secco Si usano le Stufe Pasteur (stufe a secco) che sono camere in cui il calore, creato tramite resistenze elettriche, si trasmette per convezione dalle pareti investendo gli oggetti da sterilizzare. Il calore secco ha una capacità di penetrazione scarsa, quindi è necessario raggiungere elevati tempi e temperature. I tempi di morte sono i seguenti: 30’ a 180°C 50’ a 170°C 120’ a 160°C 150’ a 150°C Si utilizza per oggetti termoresistenti che si rovinano con l'umidità, per vetreria e dispositivi metallici. 8. Sterilizzazione mediante CALORE Calore umido (Autoclave) Utilizza il vapore sotto pressione in apposite apparecchiature dette autoclavi o sterilizzatrici a vapore. E’ il sistema più veloce, più facile, sicuro ed economico per la sterilizzazione del materiale che sopporta le alte temperature. Parametri di funzionamento:  Temperatura  Pressione  Tempo Si usa per vetreria, strumenti metallici, biancheria, liquidi o soluzioni, terreni di coltura, materiale organico di rifiuto (rende i rifiuti assimilabili agli urbani) 8. Sterilizzazione mediante CALORE L’acqua sul fondo è scaldata da resistenze elettriche vapore pressione fuoriesce aria il vapore diventa saturo 8. Sterilizzazione mediante RADIAZIONI Raggi UV Disinfezione, non sterilizzazione Prodotte da lampade a vapori di mercurio Radiazioni elettromagnetiche con λ tra 240 e 280 nm Molecole bersaglio = acidi nucleici (attività microbicida legata all'alterazione del DNA) Disinfezione dell'aria e cappe di laboratorio, potabilizzazione dell'acqua. Azione lesiva su congiuntive, cute, mucose. Raggi GAMMA Radiazioni elettromagnetiche ionizzanti Elevata penetrazione Impianti adeguati Costoso Uso industriale Utilizzati per strumenti e materiali chirurgici termosensibili 8. Sterilizzazione mediante FILTRAZIONE Oggi la filtrazione è impiegata su larga scala per la produzione farmaceutica di liquidi biologici termolabili (sieri animali, enzimi, vitamine, antibiotici) che non possono essere trattati altrimenti. Sono utilizzati filtri con pori di diametro molto piccolo, per liquidi biologici I filtri sono classificati in base all'efficienza di filtrazione delle particelle di 0.3 μm: I filtri HEPA (High Efficiency Particulate Air filter) presentano un'efficienza di filtrazione compresa tra l'85% (H10) e il 99,995% (H14), mentre i filtri ULPA (Ultra Low Penetration Air) presentano un'efficienza di filtrazione tra il 99,9995% (U15) e il 99.999995% (U17). 8. Sterilizzazione CHIMICA Ossido di etilene (C2H4O)  Denatura le proteine di membrana cellulari  Battericida anche su spore (8-12 ore a 50C°)  E’ un gas tossico, che permette la sterilizzazione a basse temperature (20-60°c).  La sua azione dipende da: concentrazione temperatura tasso di umidità durata dell’esposizione  E’ una metodologia che viene generalmente affidata a ditte esterne specializzate in servizi di sterilizzazione, per le pesanti limitazioni imposte dalle norme di sicurezza per l’uso del gas tossico.  Il materiale dopo la sterilizzazione deve essere aerato per circa 48 ore per eliminare i residui del gas, prima di essere utilizzato 8. Sterilizzazione CHIMICA Gas plasma E’ una metodica, alternativa all’ossido di etilene, che permette la sterilizzazione di materiale sensibile al calore e/o all’umidità poiché la temperatura di processo non supera i 50°C e la sterilizzazione avviene in ambiente praticamente secco. Il vantaggio sta nel fatto che il ciclo di sterilizzazione è più breve (circa 75 minuti) e il materiale è immediatamente utilizzabile. Utilizza un gas (O, N, He ma per lo più perossido di idrogeno, H2O2), portato in fase di gas plasma grazie a un campo elettromagnetico. Non è indicato per la sterilizzazione di materiali che svolgono azione assorbente nei confronti del perossido di idrogeno quali teleria, altri materiali cellulosici, polveri e liquidi. Non lascia residui e non dà problemi di tossicità per gli addetti. 8. Sterilizzazione CHIMICA Acido peracetico Utilizza una miscela di acido peracetico E’ un prodotto che può presentare tossicità per gli operatori esposti viene quindi utilizzato in una apparecchiatura a circuito chiuso Meccanismo d’azione: agente ossidante che attacca i gruppi sulfidrilici delle proteine Utilizzo: sterilizzazione a freddo di strumenti chirurgici soprattutto di strumenti endoscopici Agisce alla temperatura di 50-56°C per un tempo di 30 minuti Vantaggi: ottimo sporicida; non produce residui tossici Compatibilità con l’acciaio inox, alluminio, teflon, polistirene e polietilene (ma non con: rame, zinco, bronzo, cemento ed intonaci alla calce) 9. Rintracciabilità La tracciabilità è una procedura che consente di ricostruire con facilità e precisione tutte le fasi dell'avvenuto processo di sterilizzazione, mediante registrazione su supporto cartaceo e/o informatico. Su ogni confezione vanno riportati: Data della sterilizzazione Numero progressivo del ciclo Numero della macchina sterilizzatrice Descrizione dell'articolo se non visibile Codice dell'operatore che ha eseguito la sterilizzazione All'apertura della busta l'etichetta è trasferita sulla cartella clinica o sulla scheda operatoria del paziente destinatario dei dispositivi o presidi impiegati. 10. Trasporto e stoccaggio Il trasporto del materiale sterile deve essere eseguito con ceste e/o carrelli dedicati e possibilmente chiusi e identificati con la scritta " Materiale sterile" Condizioni corrette di stoccaggio  Il materiale sterilizzato deve essere conservato preferibilmente in armadi chiusi in un ambiente pulito ad umidità e temperatura controllate  Conservare il materiale sterile separatamente dal materiale pulito  Disporre le confezioni in ordine cronologico rispetto alla scadenza  Controllare la confezione prima dell’utilizzo  Riprocessare il materiale scaduto: lavaggio, confezionamento, sterilizzazione Classificazione dei dispositivi medici Classificazione di Spaulding Spaulding (1972) ha suddiviso i presidi medico-chirurgici in base al rischio di infezione correlato al loro uso, distinguendoli in tre categorie: CRITICI SEMICRITICI NON CRITICI Questa suddivisione è ormai largamente accettata a livello internazionale, ed è stata recepita e incorporata nelle indicazioni per la prevenzione ed il controllo delle infezioni ospedaliere da parte dei Centers for Disease Control (CDC) Classificazione dei dispositivi medici Presidi CRITICI Dispositivi destinati al contatto con sangue o con aree del corpo normalmente sterili o che vengono a contatto con cute e mucose non integre. Esempi: cateteri, impianti, aghi, strumenti chirurgici. Requisito richiesto: sterilità Presidi SEMICRITICI Dispositivi che sono destinati al contatto di mucose integre, ma non invadono i tessuti o il sistema vascolare Esempi: endoscopi, laringoscopi, cateteri urinari Requisito richiesto: sterilità desiderabile o disinfezione ad alto livello Presidi NON CRITICI Dispositivi che vengono a contatto con cute integra (non con mucose) o senza contatto con pazienti Esempi: bacinelle, termometri, sfigmomanometri Requisito richiesto: disinfezione di basso livello (o detersione) Convalida La norma stabilisce che il processo di sterilizzazione è un processo speciale per il quale non è possibile verificare la condizione di sterilità direttamente sul prodotto finale, né mediante prove; esso, pertanto, richiede l'applicazione di procedure documentate che attestino la validità del processo stesso: l'insieme di queste procedure si definisce convalida. La convalida del processo di sterilizzazione prevede lo sviluppo e l’applicazione di procedure documentate che certifichino la validità del processo di sterilizzazione secondo quanto previsto dalle norme. La direttiva 93/42/CEE sui dispositivi medici specifica che “I dispositivi forniti allo stato sterile devono essere fabbricati e sterilizzati con un metodo convalidato e appropriato”. Convalida EN ISO 11135-1:2008 Sterilizzazione dei prodotti sanitari - Ossido di etilene - Parte 1: requisiti per lo sviluppo, la convalida e il controllo sistematico di un processo di sterilizzazione per dispositivi medici. EN ISO 11137-1:2006 Sterilizzazione dei prodotti sanitari - Radiazione - Parte 1: requisiti per lo sviluppo, la convalida e il controllo sistematico dei processi di sterilizzazione per i dispositivi medici. UNI EN ISO 17665-1 :2007 Calore umido: requisiti per lo sviluppo, la convalida e il controllo di routine di un processo di sterilizzazione per dispositivi medici UNI EN ISO 11737-2:2001 Sterilizzazione dei dispositivi medici - Metodi microbiologici - Prove di sterilita eseguite nel corso della convalida di un processo di sterilizzazione. Convalida La convalida del processo di sterilizzazione è una procedura globale, che consiste in due fasi: 1. Accettazione in servizio Riguarda il controllo in fase di installazione dell'apparecchiatura che impiega un metodo di sterilizzazione (qualifica di accettazione in servizio e qualifica operativa) 2. Qualifica di prestazione La seconda è inerente al controllo periodico (qualifica di prestazione) atto a garantire che siano in essere le condizioni che permettano di definire sterili i materiali, senza alcun tipo di contaminazione biologica, al fine di tutelare la salute di ogni soggetto eventualmente esposto all'interno della struttura sanitaria, sia esso operatore o utente. Controlli Controlli fisici Si impiegano per tenere monitorati i valori raggiunti dai parametri fisici nel corso delle varie fasi del ciclo di sterilizzazione. Si effettuano attraverso strumenti di misurazione installati sulle apparecchiature, quali:  Termometri  Manometri  Registratori su carta  Avvisatori elettrici ed acustici I parametri oggetto di controllo sono:  Tempo  Temperatura  Pressione  Vuoto Di questa tipologia di controllo fanno parte i cosiddetti controlli strumentali giornalieri per le autoclavi a vapore: il test di Bowie-Dick (viraggio uniforme del foglio impregnato di inchiostro) e la prova di tenuta della camera si sterilizzazione. Controlli chimici Il principio del loro funzionamento si basa sull’uso di sostanze chimiche (inchiostri o cere) che reagiscono ad uno stimolo fisico quale calore, vapore e pressione, cambiando di colore o di consistenza. Tale cambiamento avviene completamente solo se le condizioni vengono mantenute per un certo tempo. Questi indicatori hanno il vantaggio di poter essere inseriti all’interno del pacco da sterilizzare ed accompagnarlo fino al momento del suo utilizzo. La norma di riferimento è la UNI EN ISO 11140-1:2005 Sterilizzazione dei prodotti sanitari - Indicatori chimici Si suddividono in:  Indicatori di processo  Indicatori di sterilizzazione Controlli chimici Indicatori di processo (classe 1 norma UNI EN ISO 11140- 1:2005) Indicatori posti nella carta per confezionamento (es. nastri adesivi, strisce, indicatori stampati su buste e rotoli) e destinati a visualizzare se una confezione è stata processata o meno. Devono essere posti all’esterno di ogni confezione per distinguere visivamente e a colpo d’occhio il materiale processato da quello non sterilizzato. Non sono pertanto da considerare un indice di raggiungimento di sterilità. Controlli chimici Indicatori di sterilizzazione Sono strisce metalliche contenenti inchiostri che virano in funzione dei parametri di sterilizzazione: temperatura, umidità, tempo concentrazione del gas (per EtO). Vengono posizionati all’interno dei contenitori, al centro del materiale e sono valutati al momento di utilizzo del materiale. Si suddividono in: indicatori sensibili a due o più delle variabili critiche del ciclo di sterilizzazione applicato (classe 4 norma ISO 11140- 1:2005) integratori (classe 5 norma ISO 11140- 1:2005) ed emulatori (classe 6 norma ISO 11140-1:2005) sensibili a tutti i parametri del ciclo di sterilizzazione applicato. La loro validità è paragonabile a quella degli indicatori biologici. Controlli biologici La prova biologica consiste nel sottoporre ad un ciclo di sterilizzazione preparazioni di spore di microrganismi altamente resistenti al calore, e comunque innocue per l’uomo, la cui mancata sopravvivenza è indice che il processo di sterilizzazione è stato efficace. Le spore più comunemente usate sono quelle del Bacillus Stearothermophilus in fiale. Il controllo biologico prevede sempre l’effettuazione di una controprova (controllo), mediante l’incubazione di spore – del medesimo lotto di quelle sterilizzate - non sottoposte a sterilizzazione. RISCHIO BIOLOGICO Il rischio biologico Per rischio biologico si intende la probabilità che un individuo entri in contatto con materiale biologico potenzialmente contaminato. Gli agenti biologici possono essere presenti in tutti gli ambienti di vita e lavoro. In base all’ambiente cambiano gli agenti biologici, la loro concentrazione e le modalità di esposizione. Il rischio biologico USO DELIBERATO ESPOSIZIONE POTENZIALE Quando gli agenti biologici sono La presenza di agenti biologici ha intenzionalmente introdotti nel ciclo un carattere di fenomeno lavorativo per sfruttarne le indesiderato, ma inevitabile, del proprietà biologiche a qualsiasi lavoro. titolo. La normativa di riferimento per il rischio biologico D.Lgs. 81/08 - Testo Unico sulla sicurezza La normativa di riferimento per il rischio biologico Definizioni Il Titolo X del D.Lgs. 81/08 all’art. 267 definisce: Agente biologico … qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni. Microrganismo … qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico. Coltura cellulare … il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari. Agenti biologici Gli agenti biologici sono pertanto: Proprietà degli agenti biologici La classificazione degli agenti biologici viene effettuata sulla base della loro pericolosità per l’uomo. Le proprietà di un agente biologico che caratterizzano la sua pericolosità sono:  Infettività: capacità dell’agente biologico di penetrare e moltiplicarsi in un organismo.  Patogenicità: possibilità di produrre malattia a seguito di infezione e la gravità della stessa.  Trasmissibilità: capacità di un microrganismo di essere trasmesso da un soggetto infetto a uno suscettibile.  Neutralizzabilità: disponibilità di efficaci misure profilattiche per prevenire la malattia o terapeutiche per la sua cura (disinfettanti, farmaci, vaccini). Proprietà degli agenti biologici  Infettività La capacità infettante è una grandezza misurabile attraverso il calcolo della Dose Infettante 50 (DI50): numero di microrganismi necessari per causare un’infezione rilevabile nel 50% degli animali sottoposti a contagio sperimentale. La Dose Minima Infettante (MDI) è la dose sotto la quale il contagio non produce infezione, ovvero comparsa di malattia. A fini preventivi, nell’esposizione ad agenti biologici, viene adottata una ipotesi conservativa (principio di precauzione) secondo la quale si ritiene che per molti microrganismi non esista una soglia di infettività (i.e. basta la contaminazione con un solo microrganismo per produrre l’infezione). Al momento attuale, in Italia l’esposizione agli agenti biologici sul lavoro non è soggetta a soglie. Classificazione degli agenti biologici Il Titolo X del D.Lgs. 81/08 all’art. 268 classifica gli agenti biologici in base alla loro pericolosità in 4 gruppi: Classificazione degli agenti biologici Classificazione degli agenti biologici L’elenco degli agenti biologici classificati è riportato nell’ allegato XLVI del D.Lgs. 81/08 L’elenco contiene indicazioni che individuano gli agenti biologici che possono provocare reazioni allergiche o tossiche, quelli per i quali è disponibile un vaccino efficace e quelli per i quali è opportuno conservare per almeno dieci anni l’elenco dei lavoratori i quali hanno operato in attività con rischio di esposizione a tali agenti. Tali indicazioni sono: A: possibili effetti allergici; D: l’elenco dei lavoratori che hanno operato con detti agenti dove essere conservato per almeno dieci anni dalla cessazione dell’ultima attività comportante rischio di esposizione; T: produzione di tossine; V: vaccino efficace disponibile Classificazione degli agenti biologici Classificazione degli agenti biologici Organismi geneticamente modificati La manipolazione degli organismi geneticamente modificati (MOGM) è regolamentata dal D. Lgs. n. 206 del 2001 ed è consentita solo nei locali autorizzati dal Ministero della salute sulla base della prevista notifica di impiego e di impianto. Il decreto fornisce le seguenti definizioni al fine di riconoscere la attività che ricadono in tale ambito di applicazione: Microrganismo geneticamente modificato (MOGM): un microrganismo il cui materiale genetico è stato modificato in un modo che non avviene in natura per incrocio e/o ricombinazione naturale; Impiego confinato: ogni attività nella quale i microrganismi vengono modificati geneticamente o nella quale tali MOGM vengono messi in coltura, conservati, utilizzati, trasportati, distrutti, smaltiti o altrimenti utilizzati e per la quale vengono usate misure specifiche di contenimento, al fine di limitare il contatto degli stessi con la popolazione o con l’ambiente. Modalità di trasmissione Le modalità di trasmissione di suddividono in due categorie:  Contatto diretto Trasmissione dell’agente microbico da un soggetto infetto o portatore ad un soggetto suscettibile attraverso contatto con la pelle o le mucose. La trasmissione diretta è caratteristica dei microrganismi che non sono in grado di resistere a lungo al di fuori del serbatoio d’infezione.  Contatto indiretto Trasmissione attraverso l’ambiente, anche a distanza di tempo e luogo tra la sorgente di infezione e il soggetto suscettibile. E’ mediata da mezzi inanimati (VEICOLI) o esseri animati (VETTORI). Modalità di trasmissione  Contatto indiretto I veicoli sono rappresentati da tutti i substrati inanimati (aria, acqua, alimenti, materiali biologici, polvere, indumenti, cibo, rifiuti, superfici e attrezzature) che, se contaminati con microbi patogeni espulsi dalla sorgente, ne attuano il trasporto fino a soggetti suscettibili Modalità di trasmissione  Contatto indiretto I vettori sono organismi animati (insetti, roditori, ecc) che dopo aver assunto i microrganismi dalla sorgente, li disseminano nell’ambiente esterno o li inoculano direttamente in un organismo vivente. Vie di trasmissione Le più frequenti vie di trasmissione sono rappresentate da: 1) Via parenterale: inoculazione di materiale infetto attraverso la cute o attraverso una ferita (es. punture accidentali, morsi o graffi di animali) 2) Ingestione di materiale infetto (es. tramite mani, alimenti, bevande, sigarette, schizzi accidentali) 3) Inalazione (es. formazione di aerosol conseguente all'apertura di contenitori, di provette e capsule Petri, all'impiego di agitatori, siringhe, centrifughe) 4) Contaminazione di cute e mucose (per schizzi e spargimenti per contatto con superfici, oggetti) Obblighi del datore di lavoro Documento di valutazione del rischio (DVR) Art. 271 D.Lgs. 81/08 «Valutazione del rischio» Obbligo preliminare del Datore di Lavoro è la valutazione del rischio da agenti biologici…… Il documento di valutazione del rischio (DVR) deve contenere i seguenti dati:  le fasi del procedimento lavorativo e le aree di lavoro a rischio biologico;  l’identificazione degli agenti biologici  il numero dei lavoratori addetti alle fasi;  le generalità del RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione;  i metodi e le procedure lavorative adottate, nonché le misure preventive e protettive applicate;  il programma di emergenza per la protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad un agente biologico del gruppo 3 o del gruppo 4, nel caso di un difetto nel contenimento fisico. Il rischio biologico in laboratorio LABORATORIO BIOLOGICO Laboratorio dove le attività lavorative possono comportare esposizione ad agenti biologici o a materiali biologici potenzialmente infettanti Il rischio di un laboratorio biologico è correlato a:  classe dell’agente biologico  tipologia di attività svolta A seconda del rischio è necessario adottare diversi livelli di procedure di sicurezza  diversi livelli di contenimento Misure di contenimento Il termine contenimento indica le misure di sicurezza per l’utilizzo, la manipolazione e la conservazione degli agenti biologici atte ad eliminare o ridurre il rischio di esposizione per il lavoratore e di propagazione nell’ambiente. Si possono distinguere due tipologie di contenimento: Primario: misure necessarie ad evitare l’esposizione del lavoratore, e dell’ambiente del laboratorio. Costituiscono una barriera tra l’agente infettivo e l’operatore. Sono la prima linea di difesa quando si lavora con agenti infettivi o si è a rischio di esposizione. Secondario: misure necessarie a proteggere l’ambiente esterno al laboratorio. Combinazione della progettazione del laboratorio e delle procedure operative (es smaltimento rifiuti). Misure di contenimento Il rischio biologico in laboratorio Art. 267 D.Lgs. 81/08 «Misure specifiche per i laboratori e gli stabulari» 1. Nei laboratori comportanti l'uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4 a fini di ricerca, didattici o diagnostici, e nei locali destinati ad animali da laboratorio deliberatamente contaminati con tali agenti, il datore di lavoro adotta idonee misure di contenimento in conformità all'allegato XLVII. 2. Il datore di lavoro assicura che l'uso di agenti biologici sia eseguito: a) in aree di lavoro corrispondenti almeno al secondo livello di contenimento, se l'agente appartiene al gruppo 2; b) in aree di lavoro corrispondenti almeno al terzo livello di contenimento, se l'agente appartiene al gruppo 3; c) in aree di lavoro corrispondenti almeno al quarto livello di contenimento, se l'agente appartiene al gruppo 4 Misure di contenimento Allegato XLVII del D.Lgs. 81/08 «Specifiche sulle misure di contenimento e sui livelli di contenimento» Misure di contenimento Allegato XLVII del D.Lgs. 81/08 «Specifiche sulle misure di contenimento e sui livelli di contenimento» Classificazione dei laboratori I laboratori biologici sono classificati in 4 livelli ai fini della biosicurezza. L’assegnazione di un dato livello di biosicurezza (Biosafety level, BSL) per le attività di laboratorio con uno specifico microrganismo deve derivare dalla valutazione del rischio, piuttosto che essere fatta automaticamente in base al solo gruppo di rischio cui l’agente patogeno appartiene. L’assegnazione del livello di biosicurezza tiene conto quindi delle caratteristiche strutturali del laboratorio, dei sistemi impiantistici di ventilazione, delle attrezzature disponibili, delle attività svolte e delle procedure operative ritenute necessarie per lavorare con agenti appartenenti ai vari gruppi di rischio. In ambito normativo, con analogo principio, seppure con nomenclatura differente, sono definiti i livelli di contenimento. I criteri per il raggiungimento dei requisiti corrispondenti ai livelli di contenimento 1, 2, 3 e 4 sono indicati nella Direttiva 2000/54/CE e recepiti in ambito nazionale nell’Allegato XLVII al D.lgs. 81/08. Classificazione dei laboratori Il rischio biologico in laboratorio Classificazione dei laboratori Laboratorio di base ‐ Livello di biosicurezza 1  Manipolazione di agenti biologici che non comportano rischio per il personale e la comunità (classe 1)  La sicurezza è garantita dall’applicazione delle misure di buona pratica di laboratorio  Attrezzature di sicurezza: nessuna ‐ si lavora su normali banconi  Il laboratorio non è necessariamente separato dagli ambienti di uso comune nell'edificio Classificazione dei laboratori Laboratorio di base ‐ Livello di biosicurezza 2  Manipolazione di agenti biologici a rischio moderato per il personale e la comunità (classe 2)  Buona pratica di laboratorio, indumenti protettivi, simbolo di rischio biologico sulla porta, accesso controllato  Il personale di laboratorio ha una formazione specifica nella gestione di agenti patogeni  Attrezzature di sicurezza: cappa di sicurezza biologica di classe I o II per manipolazioni a rischio di produrre aerosol  Applicabile ai laboratori clinici, diagnostici, didattici e di ricerca Classificazione dei laboratori Laboratorio di contenimento ‐ Livello di biosicurezza 3  Manipolazione di agenti biologici in grado di causare patologie serie o potenzialmente letali dopo l'inalazione, ma per le quali esistono cure quali Mycobacterium tuberculosis, SARS-CoV2, virus della febbre gialla.  Indumenti speciali, accesso controllato  Attrezzature di sicurezza: cappa di sicurezza biologica classe II o III, aria filtrata sia in ingresso che in uscita, sistema di ventilazione che crei pressione negativa rispetto alle aree circostanti e scarichi l’aria direttamente all’esterno.  Il personale di laboratorio ha un addestramento specifico  Applicabile a laboratori per diagnosi speciale Classificazione dei laboratori Laboratorio di massimo contenimento Livello di biosicurezza 4  Manipolazione di agenti pericolosi ed esotici che presentano un elevato rischio di trasmissione di infezioni in laboratorio per via aerea e che causano malattie mortali in esseri umani per le quali non sono disponibili vaccini o altri trattamenti, come ad esempio le febbri emorragiche boliviane e argentine, Marburg virus, virus Ebola, Virus Lassa, febbre emorragica Congo-Crimea.  Attrezzature di sicurezza: Cappa di sicurezza biologica classe III, autoclavi a doppia apertura, aria filtrata in ingresso ed in uscita, tuta personale a pressione positiva, sistema di trattamento autonomo di sterilizzazione prima dello scarico finale per tutti i liquidi di scarico.  L'entrata e l'uscita prevedono docce, una camera a vuoto, una camera con luce ultravioletta.  Varchi di accesso a tenuta stagna e sigillabili, protetti elettronicamente per evitare che entrambe le porte vengano aperte contemporaneamente. Classificazione dei laboratori Buone pratiche di laboratorio La maggior parte delle contaminazioni con agenti infettivi che si verificano in laboratorio è la conseguenza di un errore umano. Per eliminare o limitare il rischio di contaminazione è possibile adottare una serie di norme igieniche ed operative (“Buone Pratiche di Laboratorio”) che tengono in considerazione ogni aspetto del lavoro, dall’organizzazione del laboratorio alle condizioni in cui questo viene pianificato e il comportamento che ciascun operatore deve adottare durante le attività. Buone pratiche di laboratorio  Proibito fumare, mangiare, bere e tenere cibo o tabacco in tutte le zone dove sono tenuti o maneggiati materiali biologici.  Non toccare con i guanti in uso gli oggetti che non fanno parte della procedura che si sta eseguendo (computer, telefoni, interruttori, ecc.).  Usare i dispositivi di protezione individuale D.P.I (camici, guanti, protezioni di occhi e faccia, protezioni dell’apparato respiratorio) Buone pratiche di laboratorio  Rispettare le norme igieniche, lavarsi le mani frequentemente anche con disinfettante e ogni qual volta ci si contamini o immediatamente dopo aver rimosso i guanti.  E’ vietato re‐incappucciare gli aghi: è necessario riporli direttamente negli appositi contenitori.  Non pipettare con la bocca, usare solo pipettatrici meccaniche Buone pratiche di laboratorio  Le procedure che hanno una elevata probabilità di creare aerosol (mescolare, scuotere, pipettare, ecc) devono essere effettuate sotto cappa di sicurezza biologica.  Non tenere nelle tasche del camice forbici, spatole di acciaio, provette di vetro o materiale tagliente.  Il materiale che utilizzato in laboratorio (compreso penne, matite, forbici ecc ) non deve essere portato altrove.  Gli indumenti da lavoro non devono essere indossati in aree diverse da quella dei laboratori, quali uffici, studi, etc.  Gli indumenti protettivi che sono stati utilizzati nel laboratorio non devono essere conservati negli stessi armadietti o mobiletti usati per gli indumenti personali.  Non toccare le maniglie delle porte ed altri oggetti del laboratorio con i guanti da lavoro.  Decontaminare le superfici di lavoro e gli strumenti ogni giorno. Dispositivi di protezione Dispositivi di protezione Dispositivi di protezione collettiva (DPC) Dispositivi che intervengono direttamente sulla fonte inquinante riducendo o eliminando il rischio di esposizione del lavoratore e la contaminazione dell’ambiente di lavoro (es. cappe biologiche, isolatori, glove box). Dispositivi di protezione individuale (DPI) Qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro (es. camice, guanti). Cappe di sicurezza biologica Le cappe di sicurezza biologica o microbiologica, spesso denominate Cappe o Cabine BioHazard, sono dispositivi primari di protezione collettiva (DPC) presenti in ogni laboratorio biologico in quanto servono a proteggere l’operatore e l’ambiente di lavoro dal rischio di esposizione agli aerosol di agenti patogeni. Alcune tipologie sono inoltre utilizzate per garantire sicurezza all'operatore e sterilità al prodotto manipolato come nel caso delle colture cellulari. Le cappe di sicurezza biologica devono essere conformi alla norma UNI EN 12469:2001 e, come tutte le strumentazioni, correttamente installate tenendo conto dell’eventuale interferenza con le altre attrezzature presenti nel laboratorio. Inoltre, devono essere utilizzate e sottoposte a regolare manutenzione rispettando le istruzioni riportate nell’apposito libretto. Cappe di sicurezza biologica Le cappe di sicurezza biologica sono classificate, secondo lo standard EN 12469:2001, in tre Classi: I, II, III che garantiscono livelli diversi di sicurezza. Le cappe di tutte e tre le classi sono dotate di un filtro HEPA (High Efficiency Particulate Air) sul flusso d'aria in espulsione, le cappe di Classe II e III sono dotate anche di un sistema di filtraggio HEPA dell’aria in ingresso sul piano di lavoro. I filtri HEPA (di classe H14 o superiore conformemente alla norma tecnica EN1822-1:2009) sono in grado di garantire al 99,97% il filtraggio di particelle di diametro uguale o maggiore a 0,3 micron. Detti filtri sono inefficaci nei confronti di gas o vapori. Alcune cappe presentano all’interno lampade UV che esplicano azione germicida. Cappe di sicurezza biologica Cappe di sicurezza biologica: classe I La cappe di classe I garantiscono la protezione dell’operatore tramite un flusso d’aria aspirato da un apertura frontale senza pre-filtro. L’aria, una volta attraversata la superficie di lavoro, non viene mandata in circolo ma espulsa all’esterno dopo filtrazione con filtro HEPA. La cappe di classe I sono in grado di proteggere l’operatore dalla contaminazione (agenti biologici con basso rischio, gruppo 1 e 2), ma non proteggono i campioni da una eventuale contaminazione esterna. Cappe di sicurezza biologica: classe II Le cappe di classe II hanno un apertura frontale attraverso la quale viene immesso un flusso d’aria che viene aspirato sotto il piano di lavoro, filtrato con filtro HEPA, messo in circolo dall’alto verso il basso (flusso laminare verticale di aria sterile), quindi espulso all’esterno dopo filtrazione con un secondo filtro HEPA. Sono progettate per la protezione dell’operatore, dei prodotti che si trovano all’interno della cappa e dell’ambiente circostante. Cappe di sicurezza biologica: classe II Il flusso laminare verticale è comune a tutte le cappe di classe II mentre in base alla percentuale di aria riciclata ed alla velocità dell’aria, le cappe di classe II sono suddivise in diversi tipi:  A - il 70% dell’aria viene riciclata, il 30% viene espulsa;  B1 - il 30% dell’aria viene riciclata, il 70% viene espulsa;  B2 - non prevedono il ricircolo dell’aria in quanto viene continuamente espulsa dall’area di lavoro attraverso il filtro HEPA. Le cappe di classe II A sono indicate per rischi biologici medio-bassi (gruppi di rischio 1 e 2), la cappe di classe IIB1 per patogeni del gruppo 2 e 3 e per radionuclidi in tracce. Le cappe classe IIB2 sono adatte anche a colture cellulari, sostanze cancerogene e radioattive. Cappe di sicurezza biologica: classe III Le cappe di classe III sono dei «glove box» ermeticamente chiusi. L’aria in ingresso viene immessa attraverso un filtro HEPA sul piano di lavoro, quindi, espulsa attraverso un sistema a doppio filtro HEPA, assicurando all’ambiente interno una pressione negativa. Sono dotate di guanti a manicotto, incorporati nella struttura frontale della cappa, che assicurano una barriera totale tra l’operatore e il piano di lavoro. Il loro utilizzo è indicato per la manipolazione di agenti biologici di gruppo 4 (es. Virus Ebola e Marburg) e per la manipolazione di agenti cancerogeni e antiblastici poiché forniscono una barriera totale tra l’operatore e il piano di lavoro. Dispositivi di protezione individuale L’Art. 15 D.Lgs. 81/08 enuncia in modo chiaro il ruolo che il ricorso al dispositivo di protezione individuale (DPI) riveste nell’ambito più ampio della gestione della prevenzione. Il datore di lavoro valuta i rischi e, se non li può eliminare, li riduce al minimo alla fonte attraverso misure di prevenzione e misure di protezione collettiva; se, alla fine di questo percorso, esiste ancora un rischio residuo procede all’individuazione dei dispositivi di protezione necessari. Obblighi del datore di lavoro:  Sceglie i DPI in base all’analisi e alla valutazione  Fornisce ai lavoratori i DPI necessari e provvede alla loro riparazione e sostituzione  Informa il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge  Fornisce istruzioni comprensibili sull’uso dei DPI e, se necessario, uno specifico addestramento Dispositivi di protezione individuale Obblighi dei lavoratori:  Sottoporsi al programma di formazione e addestramento  Utilizzare i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’eventuale addestramento  Avere cura dei DPI e non apportarvi modifiche di propria iniziativa  Segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente rilevato nei DPI messi a loro disposizione  Le contravvenzioni sono sanzionabili. Dispositivi di protezione individuale Dispositivi di protezione individuale Dispositivi di protezione individuale Gestione dei campioni in laboratorio Ricevimento dei campioni  Tutti i campioni diagnostici ed i materiali biologici devono essere considerati come potenzialmente infetti.  Non toccare mai campioni con le mani nude, anche se chiusi in contenitori. Questi possono essersi contaminati durante la raccolta del campione stesso.  Il ricevimento dei campioni deve avvenire in una zona specifica del laboratorio. In nessun caso il contenitore esterno deve presentare tracce di contaminazione.  Se i campioni sono arrivati per posta e/o corriere devono risultare confezionati con il sistema del triplice contenitore e l’imballaggio esterno deve essere corredato da una scheda con i dati identificativi del contenuto. Gestione dei campioni in laboratorio Apertura dei campioni  L'apertura dell'imballaggio e la gestione dei campioni deve avvenire nei laboratori all'interno di una cappa di sicurezza biologica almeno di classe II. Movimentazione dei campioni  La movimentazione dei campioni all'interno del laboratorio, per sottoporli alle varie fasi di lavorazione, deve avvenire in contenitori di materiale infrangibile, con tappo a tenuta, correttamente etichettati per facilitarne l'identificazione. Stoccaggio dei campioni  Per lo stoccaggio dei campioni in frigorifero o in congelatore, indicare su ogni contenitore, in modo indelebile, la tipologia di materiale, la data ed il nominativo dell'operatore che li ha riposti oltre ad eventuali note utili. Segnaletica Pittogrammi Formazione e informazione Art. 278 D.Lgs. 81/08 «Informazioni e formazione» Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda: a) i rischi per la salute dovuti agli agenti biologici utilizzati; b) le precauzioni da prendere per evitare l'esposizione; c) le misure igieniche da osservare; d) la funzione degli indumenti di lavoro e protettivi e dei dispositivi di protezione individuale ed il loro corretto impiego; e) le procedure da seguire per la manipolazione di agenti biologici del gruppo 4; f) il modo di prevenire il verificarsi di infortuni e le misure da adottare per ridurne al minimo le conseguenze. Formazione e informazione Art. 278 D.Lgs. 81/08 «Informazioni e formazione» 2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1. 3. L'informazione e la formazione di cui ai commi 1 e 2 sono fornite prima che i lavoratori siano adibiti alle attività in questione, e ripetute, con frequenza almeno quinquennale, e comunque ogni qualvolta si verificano nelle lavorazioni cambiamenti che influiscono sulla natura e sul grado dei rischi. 4. Nel luogo di lavoro sono apposti in posizione ben visibile cartelli su cui sono riportate le procedure da seguire in caso di infortunio od incidente. Sorveglianza sanitaria Art. 279 D.Lgs. 81/08 «Prevenzione e controllo» Qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’Art. 41 D.Lgs. 81/08 «Sorveglianza sanitaria» La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente e comprende in particolare: a) visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. c) visita medica su richiesta del lavoratore. d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione specifica I lavoratori per i quali la valutazione dei rischi ha evidenziato un rischio per la salute sono iscritti in un registro degli esposti (Art. 243 D.Lgs. 81/08).

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