7 Doni - In Word PDF
Document Details
Tags
Summary
This document discusses the 7 gifts of the Holy Spirit, focusing on how they enhance one's relationship with faith, and their importance for personal development. It explores the significance of concepts like counsel, wisdom, and courage in a spiritual context.
Full Transcript
CONSIGLIO È il primo dono dello Spirito Santo. Questo dono aiuta a conoscere la missione che Lui ci affida donandoci la vita. In altre parole, ci facilita la vita, mettendoci accanto persone di Sua fiducia (genitori, catechisti, amici, suore, don...) che insegnano ad “ascoltarci dentro” e “ascoltare...
CONSIGLIO È il primo dono dello Spirito Santo. Questo dono aiuta a conoscere la missione che Lui ci affida donandoci la vita. In altre parole, ci facilita la vita, mettendoci accanto persone di Sua fiducia (genitori, catechisti, amici, suore, don...) che insegnano ad “ascoltarci dentro” e “ascoltare Lui” per capire la strada giusta da seguire. È il dono con cui lo Spirito Santo rende capace la nostra coscienza di fare una scelta concreta in comunione con Dio, che ci chiede, però, di imparare a nostra volta a dare consigli ai compagni di viaggio con l’esempio e le parole. Questo dono agisce in noi in due direzioni: ci fa infatti sia diventare “consiglieri” per gli altri, sia ci fa rendere conto che abbiamo bisogno di “consigli”: Il dono del consiglio è la capacità di dare suggerimenti, non solo semplici e umani, ma in chiave e alla luce della Fede; è la capacità di comunicare, anzi meglio, di trasmettere “a pelle” esperienze di Fede che si vivono e si gustano. È la base della comunicazione spirituale, il dono che dovrebbe caratterizzare formatori, educatori, catechisti, genitori e tutte le persone che vogliono trasmettere Cristo. La vita impone delle scelte, è un susseguirsi di scelte. Lo Spirito del consiglio ci viene dato in dono perché diventi per noi un aiuto, anzi l’Aiuto nelle scelte. Per sentire i suoi suggerimenti dobbiamo però saperci raccogliere in una preghiera fatta di silenzio interiore che “mette nello zaino” egoismo, invidia, orgoglio, ragionamenti umani… Sono suggerimenti che si sentono salire dal profondo, che donano pace, gioia, sicurezza. Comprendiamo la nostra debolezza e fragilità, i nostri limiti e riconosciamo di avere bisogno del consiglio di Gesù. SAPIENZA Il movimento fondamentale per comprendere la sapienza è il doppio passaggio da sapere (intelligenza, conoscenza) e saper fare (esperienza pratica) a saper essere, saper vivere la vita, dare sapore alle cose della vita. “Sapienza” viene dal latino sàpere, che significa gustare, sentire il sapore buono. Questo dono può facilmente essere confuso con il significato che nel linguaggio corrente è dato al termine “sapienza”. à È un dono di Dio da accogliere. È l’esperienza gioiosa di Dio, vivere in comunione con Dio, come anticipazione del Paradiso. à Dà una conoscenza di Dio che non passa dalla sola conoscenza intellettuale, ma dalla condivisione della vita stessa di Dio, come dono del Battesimo. à Si ottiene chiedendola nella preghiera con fede, accogliendo con cuore aperto il dono di Dio, ascoltando la Parola e la sua voce, anche attraverso le mediazioni umane. «Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data». (Gc 1,5) «Mandami la tua sapienza che sia con me e lavori con me perché io conosca ciò che piace a te.» (Sap 9,10) à Si tratta di desiderare e cercare nella vita ciò che è veramente essenziale: questo è già dono di sapienza! Nell’A.T. la figura del sapiente per antonomasia è quella di Salomone, figlio di Davide. Prima di ascendere al trono, egli si ritira in preghiera nel tempio di Gabaon e si rivolge al Signore con queste parole: «Concedi al tuo servo un cuore docile che sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1 Re 3,9). Al Signore piacque che Salomone non avesse chiesto gloria, ricchezza e potenza o la morte dei nemici. Però, dal momento che Salomone ha chiesto la cosa più importante, Dio gli garantisce anche le cose che lui non aveva chiesto. Dio si compiace di chi si decide a chiedergli la sapienza come prima e più importante ricchezza; chi cerca la sapienza dimostra già con questo di essere un saggio, anche se soggettivamente magari non ritiene affatto di esserlo (cfr. Sir 39, 1-11). Richiede di curare l’interiorità, di avere dei tempi di silenzio, di saper entrare nel proprio cuore e andare in profondità, evitando di rimanere superficiali, di fermarsi alle banalità. Per essere sapienti non basta essere bravi a scuola e neanche conoscere la Bibbia a memoria. Lo Spirito Santo ci insegna semplicemente a guardare le cose nella giusta luce, con gli occhi di Dio, con sguardo profondo. Dà sapore alla vita: significa avere il gusto del bene e del bello, riconoscere i doni che Dio ci fa ogni giorno e ringraziare, fare il bene con gioia, essere leali e sinceri, distinguere ciò che ci fa crescere da ciò che ci chiude in noi stessi. Fa di noi delle persone riuscite, di autentico successo, verso cui tutti hanno fiducia, perché ci vedono capaci di ascoltare gli altri e di discernere ciò che è buono. La gente si sente attratta dal “sapiente” perché sa che non è solo conoscenza quella che riceve, ma stile di vita, capacità di approfondire le cose, provocazione ai valori veri della vita. Il sapiente capisce l’animo, le attese le speranze di chi gli sta di fronte. FORTEZZA Quando sentiamo parlare di fortezza dobbiamo fare attenzione a NON confonderla con la forza, perché sono due cose molto diverse. Quando parliamo di FORZA intendiamo quella “fisica”, fatta di muscoli e tendini. Al giorno d’oggi la forza è esaltata e messa in evidenza come una qualità vincente per arrivare al successo, all’apprezzamento degli altri, all'affermazione e soddisfazione di se stessi. Quando parliamo di FORTEZZA intendiamo, invece, il dono dello Spirito Santo che porta in sé il coraggio di affrontare le difficoltà di ogni giorno; la fortezza è la perseveranza nell'andare avanti di fronte alla fatica, è crescere nella volontà di vivere costruendo un mondo con lealtà, bontà, generosità, pazienza, giustizia e pace, senza violenza e senza alzare la voce. San Paolo dopo le tante prove subite per amore di Gesù scrive così alle prime comunità cristiane di Corinto: «Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.» (2 Cor. 12,10) Con questo dono, lo Spirito Santo ci manda il sostegno nella nostra debolezza, ci rincuora, ci consola, ci soccorre, interviene in nostro favore e ci rende coraggiosi: non nel senso di compiere gesti spavaldi o da incoscienti, ma per compiere la propria missione fino alla fine. Non sforziamoci, quindi, di allenare ed esaltare la forza, la stessa di coloro che vogliono imporsi con prepotenza sugli altri, ma armiamoci di pazienza e di coraggio per diventare campioni in “apparente debolezza”, che è la fortezza di Dio! INTELLETTO Il termine intelletto viene dal latino intus-legere che significa “leggere dentro”. Questo dono ci spinge a non fermarci alla superficie, ma ad “entrare all’interno” delle cose stesse. È un dono molto attuale per la società in cui viviamo, dove conta solo l’apparire. In questo tipo di società, le tante informazioni si accavallano e spesso risultano contrastanti tra loro; difficile distinguere il vero dal falso, l’essenziale dal superfluo. Viviamo in un tempo in cui trionfa l’apparenza, l’esteriorità, la facciata. L’intelletto è il dono della profondità contro la superficialità, ti aiuta ad andare fino in fondo alle cose, a saper vedere oltre le apparenze, a saper leggere dentro alle situazioni, alle persone, ti aiuta ad essere attento, riflessivo e ponderato in ogni circostanza. È il dono che aiuta a vedere oltre alle apparenze, oltre al look. Dunque è il dono che dice: “apri gli occhi, sii "intelligente"”; non ogni luccichio è oro. La bellezza conta sì, ma non più di tanto: vi son zoppi e ciechi che han dato all'universo spazi e dimensioni infinite. È il dono che arriva a farti capire una delle verità più forti: le cose che veramente contano non sono “cose”! Lo Spirito Santo ci fa «leggere dentro» le cose di Dio, ci fa comprendere la sua Parola, il suo disegno su di noi, spingendoci a essere fedeli a lui e leali fra di noi. L'intelletto, secondo la nostra mentalità, risiede nel cervello, mentre nella Bibbia ha sede nel cuore. Questo significa che il dono dell'intelletto non coinvolge soltanto il cervello, ma anche il cuore; dunque, si tratta di un'intelligenza affettiva. Attualmente le ricerche scientifiche, su base neurobiologica, hanno confermato questo stretto rapporto tra l'intelligenza e l'emozione, al punto da scoprire l’intelligenza emotiva. Del resto, una cosa è ascoltare un professore, pur preparato nella sua materia, altro è ascoltare chi possiede il dono dell'intelletto: riesce sempre ad affascinare e a toccare il cuore, anche quello più duro. Il dono dell'intelletto fa ardere il cuore, riscalda l'intelligenza, colora la vita. Il termine pietà deriva dal latino pìetas ed è tradotto nell'immagine biblica della “devozione dei figli verso il padre”. Il dono della pietà non compare nel testo ebraico, lo troviamo nella traduzione greca del I secolo a.C. e si ricollega alla misericordia; infatti, nella richiesta di perdono si invoca: «Signore, pietà» o «abbi pietà di me». Nella Bibbia, la pietà si manifesta nella fiducia verso Dio Padre, ma anche nell'attenzione verso i più poveri. Ci apre a Dio, agli altri e a noi stessi. Il dono della pietà verso Dio si esprime nella fiducia e nell’abbandono alla sua volontà, ci spinge a fidarci di lui ciecamente, proprio come un bambino tra le braccia della madre o del padre. La fiducia in Dio apre il cuore del credente all’ascolto attento e fiducioso della Parola di Dio. Il dono della pietà spinge all'abbandono in Dio, apre alla fiducia in se stessi; infiamma il cuore di amore per gli altri. Si passa così dalla pietà verso Dio alla pietà verso se stessi e alla pietà verso gli altri. Del resto, la pietà verso Dio cambia totalmente il nostro rapporto con gli altri: li fa sentire più vicini, fratelli o sorelle. Il cuore è sempre aperto a tutti, trova posto per tutti. L’altro è percepito al di là della sua semplice condizione umana. La relazione è divinizzata, fraternizzata, vissuta in Dio. Il dono della pietà si esprime nell’accoglienza e nel rispetto sincero, anzi, nell'altro si riconoscono i segni della presenza di Dio. Da qui nasce l'esigenza di farsi Buon Samaritano: «Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui» (Lc 10,33- 34). Spinge a prendersi cura degli altri, a vivere le opere di misericordia corporale e spirituale. Nelle opere di misericordia il dono della pietà raggiunge il suo apice. L’altro è percepito come un dono di Dio, da accogliere e amare nella comunità dei credenti, la Chiesa. TIMOR DI DIO Il timore di Dio non è la paura di Dio. In senso biblico, il timore è un sentimento di attenzione e di rispetto verso il Signore, derivante da uno stupore nei suoi confronti. Forse proprio “stupore” è la parola odierna che meglio traduce il concetto biblico di “timore”. Dio è amore, benevolenza, tenerezza, misericordia; Egli ama infinitamente e non farebbe del male nemmeno al peggiore dei peccatori che torna a Lui. A punire l’uomo peccatore non è Dio (che è amore), ma è il peccato stesso (che è maledizione), il quale produce effetti personali e sociali devastanti. È la storia del figliol prodigo della parabola (Lc 15,11-24). Il suo timore consiste nell’eventuale punizione del padre. Questo ragazzo, tuttavia, ha già avuto la sua “punizione”: è il peccato stesso ad averlo allontanato dalla sua casa, dai suoi affetti, dall’amore di suo Padre. Tornando a casa, il terrore si tramuta in gioia, la paura in abbraccio. Ora quel giovane “piace” a suo padre: la relazione tra figlio e papà è ora sanata. Lo stupore, la meraviglia sono i sentimenti che si provano di fronte a qualcosa di grande, ma la cui grandezza non ci schiaccia né ci opprime. Il timore di Dio, quindi, è l’atteggiamento dell’uomo in risposta a questo meraviglioso abbraccio di amore di Dio. Il dono del timore di Dio, interviene nella vita del credente non per impaurirlo, ma per spingerlo a piacere a Dio. Un innamorato non farebbe mai del male alla sua amata, anzi: cercherebbe di piacerle in tutti i modi. SCIENZA La scienza come la intende il mondo è conoscenza della realtà attraverso l’osservazione e l’esperienza di cause, leggi ed effetti: estremizzando, diventa reale solo ciò che si può dimostrare. Ecco il motivo per cui scienza e fede per secoli sono state in contrapposizione: l’una escludeva l’altra in una cultura di tipo fideistico e in quella di tipo sperimentale. La scienza come dono dello Spirito invece ci dà la capacità di vedere le cose come le vede Dio. Fa sì che possiamo vedere sempre tutte le creature con gli occhi della fede. Fa percepire con sensibilità viva la presenza del Creatore nelle creature e la presenza di Gesù in tutti gli uomini. È alla base della santità perché ci pone sempre alla presenza del Signore e ci permette di raggiungerlo tramite le sue creature. È capacità di conoscere e capire le cose e di usarle per il bene, per incamminarsi verso Dio. È un sapere che non può essere appreso solo sui libri, ma diventa affinità con la materia, diventa vita. Se riusciamo a raccogliere il suo frutto principale, che è l’amore, comprendiamo fino in fondo che “chi ama capisce prima”. E Dio lo comprendi solo se ti innamori di lui. In una cultura sempre più atea, che vuol escludere Dio perché di lui non ci sono prove scientifiche, la scienza si rilancia come strumento di cammino verso Dio, dando la capacità alla conoscenza umana di fare il salto verso l’assoluto e accettare quello che non possiamo comprendere. Come insegna San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: «Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne» (2 Cor 4,18).