GV2.pdf - Evoluzione dei Genomi nelle Piante PDF

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Summary

Il documento analizza i processi di aploidia e poliploidia nelle piante. Si approfondiscono i meccanismi di poliploidizzazione, le differenze tra autopoliploidia e allopoliploidia e le conseguenze evolutive in termini di adattamento e speciazione. Viene inoltre evidenziata l'importanza dei retrotrasposoni e delle duplicazioni genomiche nell'evoluzione vegetale.

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Esistono, invece, casi in cui ci sono più copie di un cromosoma rispetto agli altri. Si dicono trisomici se un cromosoma possiede una copia in più di altri, doppi trisomici se ci sono due copie in più di due cromosomi diversi e i tetrasomici se le due copie guadagnate appartengono allo stesso cromos...

Esistono, invece, casi in cui ci sono più copie di un cromosoma rispetto agli altri. Si dicono trisomici se un cromosoma possiede una copia in più di altri, doppi trisomici se ci sono due copie in più di due cromosomi diversi e i tetrasomici se le due copie guadagnate appartengono allo stesso cromosoma. Aploidia Caso particolare di mutazione genomiche se presente in cellule somatiche umane. Nelle piante è una condizione normale, è infatti possibile la comparsa di individui aploidi come i gameti, le spore e i gametofiti. Questi hanno delle dimensioni ridotte ed esprimono gli alleli recessivi (condizione di emizigosi), perché non esiste la condizione di eterozigosi. Negli individui aploidi 2n=x, i gameti non vengono prodotti. Come si ottengono gli individui aploidi? Si possono utilizzare sostanze chimiche, radiazioni ionizzanti o trattamenti in vitro con colture di antere e microspore. Si mettono su un substrato i granuli pollinici (si effettuano quindi colture di antere), da cui si può avere uno sviluppo embrionale diretto, o si può passare tramite callo per l’ottenimento di una piantina aploide. Le piante aploidi sono sterili perché non producono gameti vitali in quanto manca un cromosoma. Per ottenere dei gameti da una pianta aploide posso usare la tecnica del raddoppiamento cromosomico attraverso un alcaloide come la colchicina che impedisce la formazione del fuso mitotico. à quando gli apici meristematici vanno in divisione non c’è fuso mitotico, quindi diventano diploidi. Ottengo così cellule diploidi che portano alla formazione di un organismo aplodiploide omozigote a tutti i loci. Il vantaggio è che abbiamo ottenuto delle linee pure. Da una pianta poco vigorosa ed impossibile da propagare se non per via vegetativa si ottiene una pianta fertile diploide. Poliploidia Se un organismo presenta più di due assetti cromosomici nelle sue cellule somatiche si parla di poliploidia. È il principale meccanismo di adattamento e speciazione per le piante. Si pensa che il 70 % delle angiosperme sia poliploide e che più del 90% sia andata incontro a fenomeni di poliploidizzazione. I poliploidi possono essere di ordine dispari (copie dispari) e di ordine pari (copie pari). I poliploidi si originano in seguito all’unione di gameti non ridotti (n=2x) di prima generazione (autopoliploidia = più copie dello stesso genoma si incrociano) o all’unione fra specie differenti di seconda generazione (allopoliploidia = genomi di specie diverse si incrociano). 46 47 LEZ. 8 25/10/2023 Prof. Barchi Poliploidia I poliploidi possono formarsi in prima generazione in seguito all’unione di gameti non ridotti o in seconda generazione, dopo che l’incrocio tra specie differenti è già avvenuto, a seguito dell’insorgenza di problemi in meiosi nell’ibrido interspecifico. Due individui sono di specie differente se non danno origine a specie fertili. Autopoliploidia: poliploidia che si instaura all’interno della stessa specie. Si originano anraverso il raddoppiamento di uno stesso genoma o la fusione di gamej non ridou. Tuu gli asseu cromosomici derivano dallo stesso asseno originario Allopoliploidia: poliploidia che si instaura in ibridi tra specie diverse. Si originano in seguito a processi di ibridazione interspecifica e susseguente raddoppiamento dei cromosomi. I poliploidi possono derivare da autotetraploidi che derivano da un raddoppiamento del proprio genoma, quindi sono genomi della stessa specie. Gli allopoliploidi sono poliploidi che si originano a seguito di ibridazioni tra specie diverse, in pratica il concetto di specie è che tendenzialmente degli individui fanno parte della stessa specie non solo se si possono incrociare ma se tendenzialmente vi danno una progenie fertile. Quando si ha un ibrido tra diverse specie spesso le progenie sono sterili ma può capitare che un ibrido abbia un raddoppiamento cromosomico, diventi fertile e quindi è un allopoliploide. Quindi un allopoliploide è un individuo che si è originato dall’ibridazione di due specie e che quell’individuo ha avuto un raddoppiamento cromosomico che gli ha permesso di restare fertile ed è proprio la poliploidia che gli permette di vivere. La patata è un esempio di autotetraploide : 4x. I frumenti sono tetraploidi o esaploidi e hanno 7 cromosomi di base. La fragola in genere ottoploidi : 8x La scala temporale è da considerare in milioni di anni fa. Le caselle in rosso rappresentano casi di diploidizzazione e le blu di triploidizzazione (triplicazione del genoma, in termini di copie). Ad esempio, i progenitori di Arabidopsis hanno avuto due eventi di duplicazione successivi. Le piante hanno avuto molti più eventi di duplicazione triplicazione rispetto agli animali. Le duplicazioni o triplicazioni genomiche avvengono perché le piante reagiscono a condizioni ambientali stressanti (estinzioni dinosauri, cambiamenti climatici importanti) grazie alla produzione di gameti non ridotti che generano poliploidi. 48 La scala in alto (25, 50, 75, 100, 125, 150) ci fa capire che l’evento di poliploidia delle varie specie è avvenuto in milioni di anni. La poliploidizzazione non riguarda una sola pianta in un determinato momento (mantenendosi tale) ma riguarda molti individui in momenti diversi. Perché le piante poliploidizzano? Poliploidizzare significa duplicare o triplicare il proprio corredo cromosomico: è un modo con cui le piante rispondono a delle condizioni negative (stress o fluttuazioni ambientali). Come i retrotrasposoni si muovono in condizioni di stress per cercare di creare nuova variabilità, le poliploidizzazioni vengono favorite da condizioni negative, ambienti stressanti oppure avvengono per errore. Perciò la poliploidizzazione può portare a dei vantaggi ed è fondamentalmente un evento casuale che a volte ha come conseguenza il permettere alle piante di adattarsi a condizioni di stress o a condizioni ambientali diverse. Quando si ha la formazione di poliploidi, normalmente in una specie di diploide si ha un gene con due alleli; nel momento in cui c’è una tetraploidia si hanno due geni e quattro alleli perché si hanno quattro cromosomi omologhi, i gameti produrranno gameti diploide in cui si hanno due copie dello stesso gene. Se si ha una esaploidia si avranno tre copie degli stessi cromosomi e si avranno sei possibili alleli diversi (in una cellula somatica corrispondono a sei copie). Cosa succede quando una pianta va in poliploidia? La pianta va in poliploidia, la quale dà copie aggiuntive di un gene. Questo che cosa permette? Quando si ha la poliploidizzazione si ha un raddoppiamento ossia più copie dello stesso gene, due alleli in più. Gli organismi tendono a ritornare in uno stato diploide e ciò viene fatto in molto tempo. Che cosa succede? Nel momento in cui la pianta tende a riandare in diploidizzazione comincia a perdere cromosomi aggiuntivi cioè una parte dei cromosomi che ha per tornare ad uno stato diploide; tale perdita viene definita gene loss quindi butta fuori geni, elimina parti di cromosoma col tempo per tornare ad uno stato diploide. In parallelo, il fatto di avere una copia in più di un gene con i suoi due alleli fa sì che nel corso del tempo uno cambi tutto il bilanciamento, il dosaggio genico, soprattutto quando comincia ad esserci una perdita di materiale genetico per tornare in diploidizzazione. Questo permette nel tempo, nei migliaia, migliaia e anche milioni di anni di far sì che il gene A, con i suoi due alleli, si è duplicato ottenendo una copia del gene A e un'altra copia del gene A che teoricamente inizialmente fanno la stessa cosa (è lo stesso gene ma ci sono due copie). In realtà si può avere il fenomeno di neofunzionalizzazione che permette di adattarsi: uno dei due geni assume una funzione diversa, fa qualcosa di diverso; con mutazioni acquista una nuova funzione. Immaginiamo di avere due geni: uno che continua a fare la sua funzione originaria e l'altra coppia che, col passare del tempo, si modifica e fa qualcos'altro. Questo fare qualcos'altro può dare un vantaggio selettivo oppure anche su funzionalizzazione cui tendenzialmente muta ma svolge più o meno la stessa funzione. Tutto ciò serve ad aumentare la diversità e ad aumentare la complessità cioè a adattarsi ad un ambiente o meglio adattarsi alle condizioni che cambiano. Ciò richiede molto tempo: Arabidopsis, ad esempio, ha fatto due eventi di diploidizzazione e il pomodoro e tutte le solanace sono andate incontro triesaploidizzazione circa 55 milioni di anni fa. Sub-funzionalizzazione à cioè si eredita una sola funzione delle tante del gene ancestrale. 49 Vengono qui raffigurati 12 cromosomi, circles. Ogni track sta a indicare qualche cosa: ad esempio, il track C dice la densità dei repeats per ogni cromosoma (della melanzana); in blu il track rappresenta la densità genica cioè dove ci sono i geni. I geni, nelle specie vegetali, tendono a essere agli estremi; in mezzo ce ne sono pochi, come gli LTR, in quanto è la zona in cui è presente il vecchio DNA spazzatura, i retrotrasposoni e sono presenti zone eterotromatiche, il centromero,... Poiché i retrotrasposoni sono mutageni, se un retrotrasposone si inserisce in un gene, lo rompe e lo muta facendogli perdere funzione, quell’individuo va in selezione naturale. Se il retrotrasposone si è inserito all’interno di un esone, l’individuo è sottoposto a selezione naturale. Se viene rotto un gene importante quell’individuo muore e quindi tale retrotrasposone si è perso perché era negativo. Ci sono dei software chiamati genome browser che fanno vedere i geni, gli esoni lungo tutti i cromosomi, la posizione degli elementi mobili (si trovano negli introni, fuori dai geni e nelle zone non codificanti). Attualmente le solanacee pomodoro, peperone e melanzana sono diploidi. I progenitori erano esaploidi. Evidentemente c’è stato un processo di evoluzione del genoma che li ha riportati ad essere diploidi. Esistono ancora dei segni di queste triplicazioni. Qui vediamo il genoma della melanzana, le linee interne collegano tra loro i geni onologhi (Geni ortologhi = gli stessi in specie diverse; Geni paraloghi = gli stessi nella stessa specie, più copie del gene; Geni onologhi = copie di geni che derivano da duplicazioni del genoma). Siccome la melanzana ha subito una triplicazione del genoma nel corso della sua storia, ci si aspetterebbe di vedere tre copie dello stesso gene, in realtà per il fenomeno di frazionizzazione queste copie sono andate perse anche se sono presenti ancora delle tracce tra i geni onologhi che conservano sequenze molto simili tra loro. I geni tendono possono duplicarsi naturalmente quindi il gene A, si forma una copia al gene A1 e A2. Tra di loro, dentro la stessa specie, sono paraloghi ma il gene A in pomodoro e in melanzana sono ortologhi. Una classe particolare di paraloghi sono gli onologhi dove un gene ha altri due paraloghi. Questi sono i residui della esaploidizzazione avuta dalla melanzana. Quando un esaploide o un poliploide comincia ad eliminare parti di genoma per tornare in diploidia, facendo la cosiddetta selezione purificante, capita che una parte di questi geni duplicati rimanga e quindi che una specie mantenga tre/due copie del proprio genere. Origine dei Poliploidi. L’origine dei poliploidi potrebbe essere dovuta a problemi di meiosi. Pensiamo alla situazione che si può creare in laboratorio con la colchicina bloccando la formazione del fuso mitotico e destabilizzando i microtubuli, in tal modo non avverrà la segregazione dei cromatidi fratelli in anafase. In passato si riteneva che la poliploidizzazione fosse dovuta in prevalenza a un problema a livello mitotico. Poiché ogni apice è totipotente, si può avere la poliploidizzazione e perciò a livello mitotico non si ha la divisione. Dalla divisione cellulare si otterrà una sola cellula tetraploide e tutto ciò che si originerà da questa, sarà tetraploide. Quello che si formerà da questa cellula, compresi i gemeti, se si è in zona meristematica, sarà diploide. Quindi i gameti sono diploidi se si uniscono a gameti diploidi: tetraploidia. Il problema è che si pensava che la poliploidizzazione avvenisse prevalentemente per questo motivo. In mitosi un settore diventa tetraploide; quando produce polline e cellule uovo da cellule tetraploidi si ottengono cellule diploidi. In realtà i poliploidi si originano nella maggioranza dei casi a causa di meiosi meiosi in quanto non ottengo quattro cellule n ma due 2n (in una delle due fasi). 50 In condizioni normali in meiosi i cromosomi omologhi si appaiano, avviene la prima divisione meiotica detta riduzionale in cui sono già presenti delle cellule aploidi (anche se sono presenti due cromatidi, sono ugualmente cellule aploidi: sono presenti un cromosoma, in quanto presente il centromero, di mamma con due cromatidi ma non è presente il cromosoma di papà; è solo presente un cromosoma di origine materna) e la seconda divisione meiotica con la formazione di 4 cellule aploidi. I meccanismi responsabili della formazione dei gameti non ridotti sono: 1. First division resjtujon (Resjtuzione in prima divisione, FDR) dove la cellula produce gamej e sostanzialmente la separazione dei cromosomi omologhi non avviene. Quindi la cellula raddoppia il numero di cromosomi e non avviene l’appaiamento dei cromosomi omologhi ma la cellula manjene tuu i cromosomi omologhi raddoppiaj nella stessa cellula. Nonostante ciò, avvengono i crossing-over. Tale meccanismo equivale a una mitosi per la produzione di gamej. Non avendo la separazione degli omologhi, inizia la seconda divisione meiojca che separa i cromosomi omologhi e i cromajdi e si onengono 2 gamej anziché 4 (2n). Si avrà (in ordine) il cromosoma 1 di mamma, il cromosoma 1 di papà, il cromosoma 2 di papà e il cromosoma 2 di mamma. Ciò comporta una diploidia dei gamej. I due gamej prodou sono idenjci ad esclusione dei punj in cui è avvenuto il crossing over. Questa è una meiosi che diventa una mitosi dove sono avvenuj dei crossing over. I gamej, dato che viene saltata la prima divisione meiojca, mantengono l’eterozigosi dei genitori. Se il cromosoma 1 materno al gene a porta un allele recessivo e il cromosoma 1 paterno porta un allele dominante A si onerrà in ogni gamete una situazione di eterozigosi. 2. Second division resjtujon (Resjtuzione in seconda divisione, SDR) dove avviene la prima divisione meiojca onenendo due cellule che hanno un cromosoma (cosjtuito da due cromajdi) con il centromero materno e l’altro con il centromero paterno (separaj) e viene saltata la seconda divisione meiojca. Quest’uljma, al posto di generare 4 individui ne genera 2, non avviene la separazione dei cromajdi. Si onengono 2 gamej diploidi diversi tra di loro (il primo porta due cromosomi 1 di origine paterna e il secondo due cromosomi 1 di origine materna e viceversa) e molto omozigoj. Durante la meiosi si verificano due divisioni, di cui la prima è riduzionale e la seconda è equazionale. 51 - Se avvengono errori nella FDR non si separano i cromosomi omologhi (sostanzialmente come prima divisione abbiamo fano una mitosi), non onengo due cellule aploidi ma una cellula idenjca alla madre, nella seconda meiosi avrò perciò due gamej diploidi, idenjci fra di loro ad eccezione dei sij di crossing over che mantengono l’eterozigosi parentale à i 2 gamej che oneniamo sono diploidi, uguali tra loro tranne che per il crossing over; mantengono l’eterozigosi originaria - Se l’errore è nella seconda divisione meiojca SDR ciò che oneniamo sono due gamej non ridou molto eterogenei tra loro che mantengono un grado più alto di omozigosi à 1ª meiosi funziona, ma da 2 cellule se ne onengono sempre 2 Origine ar@ficiale dei poliploidi. Può avvenire tramite colchicina, alcaloide che agisce inibendo la formazione dei microtubuli del fuso mitotico, con cui non si verifica la disgiunzione cromosomica e pertanto viene raddoppiato il numero cromosomico; serve per diploidizzare una pianta aploide: si prende una pianta diploide, si fa un trattamento con la colchicina sugli apici e da quel punto in avanti la pianta non sarà più diploide ma sarà tetraploide e quindi produrrà gameti diploidi. Oppure tramite propagazione vegetativa: instabilità cromosomica che si verifica durante la propagazione in vitro di tessuti vegetali (callo) e che può causare raddoppiamento del numero cromosomico; quando si prendono delle antere e si mettono in terreni di coltura o si rigenera una pianta direttamente oppure si passa da quello che si chiama callo (tessuto instabile dove le cellule indifferenziate si differenziano, totipotenti). I calli possono essere mantenuti per molto tempo; si possono cambiare gli ormoni e dal callo si forma la pianta. Il callo è un tessuto estremamente instabile, muta tantissimo e, data l’instabilità, si possono avere delle cellule che si raddoppiano diventando tetraploidi. Perché le piante poliploidi sono anche molto utilizzate? Più DNA si ha, più le cellule sono grandi. Quindi se si ha una cellula poliploide, per far stare tutto il materiale genetico devono essere più grandi: più la cellula è grande, più i tessuti sono grandi. TRIPLOIDIA L’esempio tipico della poliploidia di ordine dispari è la triploidia, che si origina dall’unione tra un gamete non ridotto (diploide 2n) e un gamete ridotto (aploide n). I vantaggi di avere un individuo triploide sono: Maggiori dimensioni cellulari; Maggiore vigoria della pianta, entro determinaj limij. Tuttavia, le piante triploidi sono caratterizzate anche da un’elevata sterilità. La triploidia e, in generale, tutte le poliploidie di ordine dispari, hanno la particolarità di originare gameti sbilanciati, aneuploidi, che portano a sterilità (quando si uniscono non si produce nulla). Il gamete aneuploide si forma perché, partendo ad esempio da un triploide, risulta impossibile dividere equamente i cromosomi tra i due gameti; nel primo gamete c’è una copia di cromosoma 1, due copie di cromosoma 2 e una di cromosoma 3; l’altro gamete avrà due copie del cromosoma 1, due copie del cromosoma 2 e due copie del cromosoma 3. 52 Perché i triploidi si coltivano se sono sterili? La sterilità è vantaggiosa nel momento in cui si vuole evitare la produzione del seme; le banane normalmente consumate sono triploidi, di solito: infatti, questi frutti presenterebbero dei semi anche di grandi dimensioni. Lo stesso capita, ad esempio, per le angurie senza semi. L’unica modalità per propagare delle specie triploidi è la via vegetativa: si fanno dei cloni di un’unica specie, nel caso delle banane la più diffusa è la cavendish. Questo tipo di riproduzione ha portato però ad un’elevata suscettibilità da parte delle cavendish ad un patogeno fungino che ne sta decimando le coltivazioni, per questo si stanno cercando delle varietà di banana più resistenti a questo patogeno. TETRAPLOIDIA Gli autotetraploidi sono individui che vanno incontro ad un raddoppiamento cromosomico. Gli autotetraploidi sono individui che hanno assetti cromosomici che derivano dalla stessa specie, mentre gli allotetraploidi derivano da specie diverse. Gli autotetraploidi derivano dall’unione di gameti non ridotti. Anch’essi hanno una ridotta fertilità (fanno seme ma non sono molto fertili) perché, come i triploidi, generano dei gameti sbilanciati. I quattro cromosomi omologhi si possono dividere tra i gameti nei seguenti modi: - Un cromosoma omologo in un gamete e tre nell’altro (un univalente + un trivalente) - Due omologhi da una parte e due dall’altra (due bivalenj) - Un quadrivalente Tra questi, vengono favoriti i gameti con i due bivalenti per stabilizzare questa poliploidia ma, in ogni caso, i tetraploidi tendono comunque ad essere sterili. Ci sono delle specie, ad esempio la patata, che fanno pochissimi frutti, questo a causa dell’autopoliploidia. Gli allotetraploidi, invece, sono fertili in quanto si originano dall’incrocio interspecifico di due specie diverse. Incrociando, ad esempio, le specie A e B entrambe costituite da un cromosoma 1, un cromosoma 2 e un cromosoma 3 otteniamo un individuo sterile. Questo avviene perché il cromosoma 1 della specie A non trova un omologo durante la meiosi in quanto è diverso dal cromosoma 1 della specie B, perciò questi, non essendo veri e propri cromosomi omologhi, non si potranno appaiare durante la meiosi. Lo stesso capita anche per i cromosomi 2 e 3. Può tuttavia capitare che, a seguito di un errore, si verifichi un raddoppiamento del numero cromosomico nelle cellule somatiche che daranno origine ai tessuti riproduttivi, oppure durante la produzione dei gameti. A seguito di tale raddoppiamento, la specie sterile avrà ora due cromosomi 1, 2 e 3 sia per la specie A che per la B. A questo punto, quando questa cellula diploide andrà incontro a meiosi, i cromosomi raddoppieranno e ci saranno gli omologhi che potranno appaiarsi tra loro. Si sarà generato così un individuo diploide fertile. Esempi di allopoliploidia 53 Nel mondo animale il più noto è quello dell’ibrido tra il cavallo e l’asino: - Incrociando una cavalla (giumenta) con un asino (stallone) onengo un mulo - incrociando un’asina (giumenta) con un cavallo (stallone) onengo il bardono Mulo e bardotto hanno stesso numero di cromosomi: 63, in quanto il cavallo ha 64 cromosomi mentre l’asino ne ha 62. In meiosi i cromosomi non si appaiano correttamente e genereranno dei gameti anormali, per questo queste specie sono sterili. L’allopoliploidizzazione è il meccanismo con cui si può superare la sterilità degli ibridi interspecifici; in cui cioè si hanno nuovamente tutti i cromosomi omologhi e la specie produce gameti funzionali. Nell’ambito vegetale ci sono molti esempi di poliploidizzazione naturale. Uno particolarmente noto è quello della filogenesi dei frumenti. I frumenti coltivati appartengono al genere Triticum e hanno come numero di cromosomi di base x = 7. In realtà esistono dei Triticum diploidi (monococcum, 2x = 14), tetraploidi (dicoccum, 4x = 28) ed esaploidi (aestivum, frumento tenero, 6x = 42). Originariamente, il frumento deriva dall’incrocio tra due specie diploidi che ha dato origine ad un ibrido interspecifico sterile che è successivamente andato incontro ad una poliploidizzazione generando un frumento tetraploide. Quest’ultimo presentava quindi 28 cromosomi e con il tempo si è incrociato con una specie diploide dando origine ad un triploide sterile che si è casualmente raddoppiato generando un esaploide. Più precisamente, nella filogenesi dei frumenti: 54 1. Il Tri0cum urartu (diploide AA) si è incrociato interspecificamente con Aegilops speltoides (diploide BB) a generare, a seguito di una poliploidizzazione, un Tri0cum turgidum (tetraploide AABB); 2. La domesjcazione del Tri0cum turgidum ha poi generato il Tri0cum dicoccum (o farro, comparso nella mezzaluna ferjle circa 9.000 anni fa); 3. Dal Tri0cum dicoccum si è poi selezionato il Tri0cum durum (o frumento duro), che è tetraploide (AABB) a causa della prima poliploidizzazione avvenuta a livello dell’incrocio interspecifico; 4. Il Tri0cum dicoccum si è poi incrociato con il Tri0cum tauschii (diploide DD) a generare un triploide che si è poi poliploidizzato originando il Tri0cum spelta (esaploide AABBDD); 5. Il Tri0cum spelta è stato poi selezionato in Tri0cum aes0vum (o frumento tenero) che ha corredo esaploide. Tuu gli incroci e le modificazioni presenj nella filogenesi dei frumenj sono avvenuj in maniera spontanea. Quando è avvenuto il passaggio dal Triticum dicoccum al Triticum durum, è intervenuto l’uomo selezionando il Triticum dicoccum alla ricerca di piante che presentassero delle glume (= strutture che avvolgono le cariossidi), sottili e più facilmente staccabili, tipiche del Triticum durum. Per quanto riguarda il Triticum spelta, invece, la selezione è avvenuta alla ricerca di farine più adatte alla panificazione, e questo processo ha portato all’ottenimento del Triticum aestivum. Un altro esempio di poliploidizzazione naturale risiede nella filogenesi delle Brassicacee, che sono: rapa, cavolo cinese, senape nera e broccolo. Dai loro incroci interspecifici si ottengono: 1. La senape bruna (AABB, tetraploide) dall’incrocio tra il cavolo cinese (AA) e senape nera (BB) 2. La senape ejopica (BBCC, tetraploide), dall’incrocio tra senape nera (BB)e broccoli (CC) 3. Colza (AACC, tetraploide), dall’incrocio tra cavolo cinese (AA) e broccolo (CC) 55 I VANTAGGI DELLA POLIPLOIDIA: § Giganjsmo: i poliploidi hanno dimensioni maggiori rispeno ai diploidi in quanto presentano dei cromosomi in più; § Combinazione di diversi genomi: vale sopranuno per gli allopoliploidi; Quando si uniscono due genomi diversi e tale individuo diventa ferjle con poliploidizzazione, si ha in un unico individuo due genomi diversi che danno una maggiore adanabilità in quando combinazione di due genomi. Inoltre, unire due genomi diversi o unire lo stesso genoma, dà più copie di uno stesso gene. § Dosaggi genici ed interazioni geniche: si ha il fenomeno di neofunzionalizzazione (o subfunzionalizzazione), per cui avere più copie di geni può far si che quesj si specializzino in determinate funzioni, consentendo una maggiore interazione tra i genomi che permenerà una maggiore adanabilità. Come esempio di interazione genica, possiamo considerare il Triticum aestivum (AABBDD, esaploide) che possiede una buona attitudine alla lievitazione la quale era, però, assente nei suoi progenitori. L’interazione dei genomi A e B della T. dicoccum con il genoma D della T. taushii (non adatti alla panificazione) ha portato a dei cambiamenti biochimici nelle proteine del seme di T. aestivum, rendendola adatta alla panificazione. Un esempio di dosaggio genico, invece, è il caso del cotone. Di cotone (tetraploide, AADD) esistono due specie allotetraploidi: la Gossypium hirsutum (America centrale) e la Gossypium barbadense (America latina). L’unione dei genomi A e D nel cotone ha fatto sì che esso presentasse delle determinate caratteristiche: - Il genoma A è responsabile della formazione di fibre qualitajvamente superiori ma ne produce meno; - Il genoma D dà delle fibre di minore qualità ma ne produce di più. L’unione dei due genomi ha fatto sì che le fibre prodotte fossero di più (dal genoma D) e di maggiore qualità (dal genoma A). A parte la poliploidizzazione naturale, esistono anche degli esempi di poliploidizzazione indotta dall’uomo. È il caso del triticale, nato nel nord Europa: si è cercato di unire la produzione del frumento con l’adattabilità al freddo della segale. 1. Si è preso il frumento duro tetraploide (AABB) e lo si è incrociato con la segale diploide (RR). Da questo incrocio si è onenuto un ibrido triploide sterile (ABR). Tale ibrido è stato tranato dall’uomo con la colchicina, in modo da onenere un trijcale esaploide (AABBRR). 2. Partendo, invece, dal frumento tenero esaploide (AABBDD) e incrociandolo con la segale onengo un tetraploide sterile che, a seguito di un tranamento con la colchicina, genera un trijcale onoploide (AABBDDRR). 56 In conclusione, le mutazioni genomiche danno una serie di effetti: EFFETTI FENOTIPICI: o Autopoliploidia: incremento del vigore e delle dimensioni delle parj vegetajve; o Allopoliploidia: combinazione delle caranerisjche morfo-fisiologiche delle specie da cui derivano oltre all’incremento del vigore e delle dimensioni (possono interagire tra loro e dare vantaggi seleuvi o caranerisjche migliori); o Aneuploidia: a cui manca uno o più cromosomi; possono essere monosomici e nullosomici (vitali solo nelle specie poliploidi dove il raddoppiamento dei cromosomi rimedia alla perdita di alcuni di essi), o trisomici (se vitali, hanno profondo effeno sulla morfologia). EFFETTI CITOLOGICI: o Aploidi à sterili (impossibilità di appaiamento degli omologhi in meiosi); o Triploidi à sterili (formazione di gamej sbilanciaj); o Autotetraploidi à sterili (formazione di muljvalenj in meiosi); o Allotetraploidi à ferjli (poliploidizzazione permene di superare la sterilità degli ibridi interspecifici); o Aneuploidia à sterili (formazione gamej sbilanciaj). EFFETTI FISIOLOGICI: o Aploidia: espressione di tuu i recessivi deleteri, per cui sono di piccole dimensioni e di modesto vigore; o Autopoliploidia: non hanno effeu o sbilanciamenj fisiologici; o Allopoliploidia: può portare alla perdita di espressione di alcuni geni o il cambio di funzione di geni inizialmente uguali; o Aneuploidia: provoca disturbi fisiologici costanj in quanto il numero di geni e cromosomi è sbilanciato. 57 LEZ. 9 31/10/2023 Prof. Barchi EREDITÀ ED EREDITABILITÀ DEI CARATTERI QUANTITATIVI Generalmente i caratteri più importanti rinvenibilii in una pianta non possono essere descritti come alternativi, antagonisti o nettamente contrastanti poiché le differenze risultano essere graduali lungo una scala continua di valori. Tale variazione è di natura quantitativa e i caratteri che mostrano questo tipo di variazione vengono perciò detti quantitativi o metrici. A differenza di quelli qualitativi (che sono controllati da uno o pochi geni, per questo gli individui possono essere raggruppati in classi distinte), questi caratteri variano secondo classi discrete ma possono essere misurati e quindi descritti mediante parametri numerici. I caratteri quantitativi non sono controllati da uno o due geni ma dipendono dall’azione di molti geni, per questo motivo sono anche detti poligenici, e sono soggetti ad una notevole influenza operata dall’ambiente. Le posizioni occupate da questi geni sui cromosomi corrispondono ai loci per i caratteri quantitativi (QTL, Quantitative Trait Loci). In generale, i dati che si ottengono in esperimenti sui caratteri quantitativi consistono di un certo numero di entità numeriche ottenute attraverso misurazioni. - Caraneri anatomici: statura, peso, grado di pigmentazione - Caraneri fisiologici: livello di auvità metabolica, velocità, produzione di lane, di uova - Caraneri comportamentali: rituali di accoppiamento, richiami di corteggiamento, apprendimento - Malaue complesse: diabete, ipertensione, obesità, malaue cardiovascolari 1 VALORE MEDIO Uno dei concetti più importanti in probabilità statistica è quello del valore medio di una variabile casuale. Nel caso di una variabile casuale discreta X in cui i valori possibili sono x1, x2, x3 … xn il valore medio (µ) di X è definito, quando le probabilità sono tutte uguali, da: µ = (x1, x2, x3)/xn Esiste anche la media ponderata, ovvero una variante della media aritmetica che si usa quando ciascun numero ha una determinata importanza che influisce sul calcolo: P = frequenza V = valore MP = ( 2 100 + 3 120 + 4 130 + 6 140 + 4 150 + 3 160 + 170 )/23 = 3170/23 = 137.8 La media gode di 2 proprietà: a. la ∑ degli scarj di ciascun dato dalla media è uguale a 0 ∑ (xi - µ) = 0 100 -137,8) + (100 – 137,8) + (120 -137,8)..................(170 -137,8) = 0 b. la ∑ dello scarto di ciascun dato dalla media, elevato al quadrato, è un minimo ∑ (xi - µ)2 = minimo (100 -137,8)2 + (100 – 137,8)2 + (120-137,8)2..................(170 -137,8)2 = MINIMO. Benché la media indichi il valore centrale del gruppo di osservazioni numeriche, questo dato da solo è insufficiente poiché non descrive il livello di variazione che caratterizza il gruppo di osservazioni costituenti il 58 campione. Il modo più corretto di procedere è di raccogliere le osservazioni in gruppi o intervalli di classe di ampiezza stabilita a priori in modo che sia possibile ottenere delle frequenze per ogni gruppo. 2 VARIANZA La distribuzione di frequenze di un gruppo di valori permette quindi di descrivere graficamente un carattere quantitativo, cosa che la conoscenza della sola media non consente. Una distribuzione è detta normale quando è possibile riscontrare un andamento simmetrico: la classe del valore centrale corrispondente alla media costituisce il punto più elevato della distribuzione che scende poi regolarmente in entrambe le direzioni. Il valore medio fornisce una descrizione incompleta del campione: per comprendere la sua composizione è necessaria una misura della variabilità all’interno del campione stesso. Per descrivere la forma di una curva di distribuzione e per poterla paragonare con altre curve di distribuzione è stato trovato un modo che consente di misurare quanto i valori all’interno di una distribuzione si scostino dalla media. Questo parametro è la varianza, una misura della dispersione dei valori della variabile casuale attorno alla media µ. Se i valori sono concentrati vicino alla media, la varianza è piccola, mentre la varianza è grande se i valori sono dispersi lontano dalla media. La varianza è al sommatoria dei quadrati degli scarti rispetto alla media, diviso per il numero di gradi di libertà (di norma n - 1) Var (X) = ∑ (x - µ)2 / n – 1 La Curva di Gauss è la migliore rappresentazione della distribuzione della variabilità genetica per un carattere quantitativo in una popolazione. 3 DEVIAZIONE STANDARD Solitamente, la varianza viene comunque espressa considerando la sua radice quadrata: s = √s2 equivalente alla deviazione standard. La deviazione standard è spesso preferita alla varianza, poiché la deviazione standard è espressa nella stessa unità di misura dei valori originali, mentre la varianza è espressa nelle unità di misura elevate al quadrato. In una popolazione teorica con frequenza distribuite in modo normale, gli individui con valori compresi tra µ - σ e µ + σ sono il 68.26%, quelli con valori compresi tra µ - 2σ e µ + 2σ sono il 95.45%, mentre quelli con valori compresi tra µ - 3 σ e µ + 3 σ sono il 99.73%. A parità di valore medio del carattere misurato, la variabilità presente nella popolazione condiziona e determina la forma della curva di distribuzione: quando la maggior parte delle osservazioni sono raggruppate intorno ala media la variabilità del carattere è modesta e quindi la deviazione standard è piccola, viceversa quando le osservazioni si scostano molto dalla media la variabilità del carattere è notevole e conseguentemente al deviazione standard è grande. 4 COEFFICIENTE DI VARIABILITÀ La deviazione standard permette di valutare quanto 2 o più popolazioni, aventi medie simili, sono variabili. Per comparare la quota di variabilità tra 2 popolazioni con medie molto diverse: Es. 1) altezza 2 popolazioni frumento 1 a taglia bassa ed una a taglia alta 2) 2 caratteristiche diverse: altezza e diametro 59 Si usa il C.V. = coefficiente di variabilità = σ / μ x 100 Esempio (à): popolazione erba medica Apparentemente sembra ci sia maggior variabilità per il carattere altezza CV (h) = 10,85/53,59 x 100 = 20,25 CV (peso) = 8.50/23,28 x 100 = 36.35 La distribuzione carattere peso ha maggior dispersione. GENETICA QUANTITATIVA La variabilità di un carattere quantitativo nelle linee inbred e nei loro ibridi dipende soltanto da fattori ambientali. La caratterizzazione di un carattere quantitativo usualmente richiede la determinazione della media e della sua deviazione standard, usando un campione di dimensione adeguata, (rappresentativo dell’intera popolazione). LINEA PURA: gruppo di piante geneticamente eguali e omozigoti a tutti i loci In piante autogame gli individui sono il risultato di innumerevoli generazioni di autofecondazione. Le popolazioni di piante autogame sono costituite da un insieme di linee pure Linee omozigoti ottenute per autofecondazione ripetuta di piante allogame (eterozigoti) sono dette linee inbred. Il numero linee pure presenti in una popolazione di piante autogame o di linee inbred ottenute per ripetute autofecondazioni è potenzialmente: 2n (n = numero di loci) Considerando 3 loci: 2n = 23 = 8 ESPERIMENTO DI NILSSON – EHLE (frumento) 1908 Nilsson-Ehle analizzando il colore della cariosside in frumento tenero, è stato il primo genetista a trovare un modello naturale in grado di spiegare l’eredità dei caratteri quantitativi. Consapevole che le variazioni ambientali erano in grado di modificare il fenotipo, egli intuì che l’unico modo efficace per risalire al genotipo era quello di compiere esperimenti di incrocio controllato al fine di valutare l’espressione del carattere in esame nelle piante delle popolazioni segreganti. 60 Quando piante di una linea pura a cariossidi colorate (rossastre) venivano incrociate con piante di un’altra linea pura a cariossidi non colorate (bianche), tutte le piante della generazione F1 presentavano cariossidi mediamente colorate. Questo risultato non permetteva di escludere un controllo monogenico con dominanza incompleta. Tuttavia, la generazione F2 prodotta da queste piante non mostrava la segregazione 1:2:1 attesa nel caso di monoibrido, evidenziando invece una ampia variabilità di colorazione: insieme a piante con cariossidi colorate, ma di intensità variabile (dal rosso molto chiaro al rosso molto scuro), erano presenti anche piante con cariossidi non colorate (bianche). Secondo Nilsson-Ehle, in frumento esistevano tre diverse coppie alleliche ad altrettanti loci responsabili della determinazione del colore della cariosside, cioè A'A/B'B/C'C con geni A', B' e C' per il rosso e geni A, B e C per il bianco. I geni in grado di contribuire alla manifestazione fenotipica del carattere vennero chiamati “plus” e quelli senza effetto alcuno sulla colorazione delle cariossidi vennero chiamati “minus”. Ciascuna di queste coppie alleliche segiiva i modelli di segregazione mendeliani, così che la discendenza F2 ottenuta da eterozigoti ad un solo locus (ad esempio, A'A) era composta da piante con cariossidi rosse (A'A' e A'A) e bianche (AA) nel rapporto 3:1. Quando invece erano interessati due loci (ad esempio A'A e B'B), la discendenza F2 mostrava piante con cariossidi rosse di intensità variabile (A'–B'– , A'–BB e AAB'–) e bianche (AABB) nel rapporto 15:1. Analogamente, la discendenza F2 ottenuta da eterozigoti ai tre loci (A'AB'BC 'C) presentava piante con cariossidi rosse, ma con intensità di colore ancora più variabile, e bianche (AABBCC) nel rapporto 63:1. Tali modelli di segregazione erano ottenuti quando non venivano considerate le diverse possibili tonalità comprese tra il rosso molto chiaro e il rosso molto scuro. In realtà, a differenza delle cariossidi bianche, non tutte le cariossidi rosse avevano la stessa gradazione di risultato suggeriva che i fenotipi rossi potevano essere dati da genotipi diversi ed, in particolare, che l’intensità del colore potesse essere determinata dal numero di geni plus, rappresentando così il risultato di un effetto cumulativo. Sulla base della sperimentazione condotta, Nilsson-Ehle formulò l’ipotesi che più coppie alleliche segreganti in maniera indipendente, ereditate in assenza di dominanza ed aventi azione uguale e additiva sul fenotipo potessero spiegare i risultati relativi al grado di espressione del carattere nella generazione F2. L’azione di ognuno degli alleli per il rosso è quella di aggiungere un certo grado di colorazione alle cariossidi, così che la gamma di fenotipi osservabili nelle varie discendenze segreganti risponde ai diversi genotipi possibili in F2 a seconda del numero di loci in condizione eterozigote nelle piante F1. 61 Considerando l’incrocio che coinvolgeva linee pure omozigoti per alleli diversi a due dei tre possibili loci per il colore delle cariossidi, ad esempio AABBCC A'A'B'B'CC, la composizione fenotipica della popolazione F2 doveva essere quella illustrata in figura, tenendo anche conto dell’assenza di segregazione al terzo locus coinvolto. Poiché l’allele C l’intensità del colore rosso è data dal numero di alleli A' e B' che nel genotipo delle diverse piante agiscono in maniera additiva. La linea pura con cariossidi colorate presenta ciascuno dei fattori A' e B' per il colore (geni “plus”) in doppia dose, mentre la linea pura con cariossidi bianche ha soltanto gli alleli A e B per il non colorato (geni “minus”). Le frequenze fenotipiche attese nella popolazione F2 in relazione al numero di alleli per il rosso sono quindi le seguenti: 1/16 (4 alleli plus), 4/16 (3 alleli plus), 6/16 (2 alleli plus), 4/16 (1 allele plus) e 1/16 (0 alleli plus). Tenendo conto dell’intensità del colore rosso, la segregazione avviene quindi secondo un rapporto 1:4:6:4:1. Le frequenze fenotipiche in relazione al numero di alleli per il rosso presenti nelle piante della F2 sono pertanto le seguenti: 1/64 (6 alleli plus), 6/64 (5 alleli plus), 15/64 (4 alleli plus), 20/64 (3 alleli plus), 15/64 (2 alleli plus), 6/64 (1 alleli plus) e 1/64 (0 alleli plus). Benché la distribuzione risulti ancora discontinua, le dimensioni di ciascuna classe sono piuttosto ridotte e tendono a ridursi ulteriormente e a differenziarsi sempre meno tra loro con una distribuzione simile a quella normale. Quando un carattere quantitativo è controllato da molti geni risulta praticamente impossibile riconoscere le diverse classi fenotipiche poiché l’effetto additivo dei singoli geni è di solito troppo modesto per essere discriminato. Con n coppie alleliche il numero dei fenotipi possibili nella F2 è pari a 2n+1 mentre i rapporti fenotipici attesi in F2 ammettendo segregazione indipendente ed effetti additivi è data dall’espansione del binomio (a+b)2n. inoltre, bisogna considerare l’effetto che l’ambiente esercita sulla manifestazione di un carattere quantitativo,, fino a poterne modificare anche sostanzialmente il valore fenotipico. Un fenomeno particolare che può verificarsi analizzando l’espressione di un carattere quantitativo è quello riconducibile alla variazione trasgressiva. Prendendo in considerazione l’incrocio tra due linee pure di frumento aventi entrambe cariossidi rosse di intensità intermedia, le piante F1 saranno triibride (A'AB'BC'C) con cariossidi di tonalità intermedia rispetto ai parentali per la presenza in tutit i genotipi di tre alleli plus. Nella popolazione F2 potranno, invece, aversi anche genotipi con soli alleli plus (A'A'B'B'C'C) e genotipi con soli alleli minus (AABBCC), e conseguentemente saranno visibili fenotipi con manifestazioni di colore più estreme (cariossidi rosso molto scure e bianche) di quelle delle linee pure usate nell’incrocio iniziale. Quando è possibile rinvenire nella generazione filiale varianti trasgressive, cioè piante che presentano il carattere quantitativo con manifestazioni fenotipiche più estreme di quelle dei genotipi parentali, si parla di segregazione trasgressiva. La quota di variazione trasgressiva aumenta con la complessità del carattere quantitativo, cioè con il numero di geni coinvolti, e passando dalla F2 alle generazioni successive, mentre la frequenza delle varianti trasgressive diminuisce all’aumentare della complessità dell’ibrido. 62 I dati ottenuti da questi esperimenti hanno consentito di formulare l’ipotesi poligenica, secondo la quale l’eredità dei caratteri quantitativi è da ricondurre all’azione e alla segregazione di numerose coppie alleliche che possiedono effetti additivi identici o quasi sul fenotipo e che non manifestano dominanza completa. Le assunzioni di base sono le seguenti: 1- nessun allele domina sull’altro (no dominanza); nel determinare un carattere è coinvolta una serie di alleli con effetto additivo 2- ogni allele plus agisce allo stesso senso in maniera cumulativa ed ha uguale effetto sul fenotipo 3- gli alleli minus non contribuiscono ad incrementare il fenotipo 4- non esiste interazione allelica (epistasia) tra loci differenti di una serie poligenica 5- i loci non sono associati, cioè gli alleli segregano in maniera indipendente 6- non esiste variazione ambientale. ESPERIMENTI DI JOHANNSEN (fagiolo) 1909 Influenza dei fattori ambientali sui caratteri quantitativi Wilhelm Johannsen è il primo studioso che ha messo in evidenza l’azione congiunta dei fattori genetici e dei fattori ambientali nell’eredità dei caratteri quantitativi. Tra il 1903 e il 1909 egli realizzò una serie di esperimenti allo scopo di valutare il modello di eredità del peso del seme in una specie prevalentemente autogama come il fagiolo. Johannsen osservò che i semi della varietà “Princess” scelta per realizzare i suoi esperimenti avevano dimensioni diverse con peso che mostrava una variabilità continua. 1. Consapevole che ciascuno dei semi era da ritenersi omozigote a tutti i loci e che la varietà doveva quindi considerarsi costituita da una pluralità di linee pure, Johannsen prese 19 semi con peso molto differente, variabile da 64,2 cg (linea pura n.1 con semi pesanti) a 35,1 cg (linea pura n. 19 con semi leggeri) ed ottenne da questi altrettante piante. 2. Ciascuna di queste piante venne lasciata autofecondarsi pure: tali linee pure risultarono differenziate le une dalle altre per il peso medio del seme. In particolare, i semi prodotti da piante che provenivano da semi pesanti avevano un peso medio più elevato dei semi prodotti da piante che provenivano da semi leggeri. Tuttavia, i semi prodotti nell’ambito di ciascuna linea presentavano dimensioni diverse e potevano osservarsi differenze in peso. Trattandosi di piante aventi con ogni probabilità un genotipo omozigote a tutti i loci, Johannsen ipotizzò che i diversi pesi medi del seme potessero essere spiegati ammettendo l’esistenza di differenze di natura genetica tra le linee pure della varietà e che la variabilità entro ciascuna linea pura per i singoli pesi del seme dipendesse soltanto da fattori ambientali. Per dimostrare le sue interpretazioni fece due esperimenti: I. i semi di ogni linea pura furono divisi in classi di 10 cg di ampiezza (da 20 cg a 70 cg), onenendo dai semi di ciascuna classe piante che a loro volta produssero semi. Tali semi, mantenuj separaj per ogni classe entro linea pura, avevano in realtà un peso medio prajcamente uguale a quello caranerisjco della linea pura di partenza. Così i semi di grandezza diversa della linea pura n.1 (con semi pesanj) davano piante che producevano semi con peso medio compreso tra 63.1 cg e 64.9 63 cg, mentre quelli di grandezza diversa della linea pura n.19 (con semi leggeri) davano piante che producevano semi con peso medio compreso tra 34.8 cg. e 35.8 cg. Questo esperimento provò quindi che semi di grandezza diversa provenienj da una stessa linea pura danno origine a piante che producono semi avenj un peso medio caranerisjco della linea pura di partenza. II. ogni linea pura venne moltiplicata per 6 anni (6 generazioni successive), ricorrendo ai semi più grandi e piccoli di ogni anno. Ottenute le progenie dei singoli semi entro ciascuna progenie si è confrontato il peso medio dei semi delle diverse progenie. Questo esperimento dimostrò che il peso medio dei semi in ogni linea rimane costante sia usando i semi più pesanti che ricorrendo a quelli più leggeri prodotti in ciascuna generazione e quindi che la selezione entro linea pura è inefficace, confermando inoltre che la variabilità di questo carattere entro una linea pura dipende soltanto da fattori ambientali. I dati ottenuti da questi esperimenti consentirono di ricavare una serie di informazioni aventi validità generale riguardo all’eredità dei caratteri quantitativi: 1- la variabilità fenotipica di un carattere quantitativo può avere due componenti: una genetica ed una ambientale 2- la selezione è efficace solo in presenza di variabilità genetica (tra linee pure omozigoti per alleli diversi) 3- la variabilità che si osserva entro linee pure è dovuta essenzialmente all’ambiente 4- la selezione entro linea pura è del tutto inefficace ESPERIMENTI DI EMERSON E EAST (mais) 1913 Effetti della componente genetica sulla variabilità dei caratteri quantitativi La descrizione di un carattere quantitativo in questa specie, come ad esempio la lunghezza della spiga, è praticamente impossibile ricorrendo al metodo mendeliano (in F2 avremmo un rapporto 1:2:1), come invece è possibile per i caratteri qualitativi o monogenici, poiché le spighe presentano una variazione continua. Tale carattere può, tuttavia, essere misurato e quindi le spighe sono raggruppabili in parecchie classi discrete in funzione della loro lunghezza. Emerson e East misero in evidenza, nel 1913, l’influenza dei fattori genetici nella variabilità dei caratteri quantitativi in una specie allogama, prendendo in considerazione proprio la variabilità della lunghezza della spiga in mais. Tale carattere venne valutato in ibridi F1 ottenuti dall’incrocio tra due linee inbred antagoniste per la lunghezza della spiga e nella popolazione F2 prodotta mediante interincrocio tra ibridi, sapendo che in questa generazione si esplicano gli effetti della segregazione e della ricombinazione. Le linee inbred parentali utilizzate, “Black Mexican” e “Tom Thumb”, erano caratterizzate da una spiga piuttosto corta, la prima, e da una spiga abbastanza lunga, la seconda, aventi una dimensione media pari rispettivamente a 6,63 cm e 16,80 cm. La lunghezza media della spiga nelle piante della progenie ibrida F1, pari a 12,116 cm, è compresa tra quelle delle linee inbred parentali (P). Le piante della generazione F2 mostrano invece una lunghezza media della spiga simile a quella delle piante F1, ma una avriabilità fenotipica attorno alla media più alta che non la generazione F1. 64 Data l’uniformità genotipica delle linee parentali, dovuta all’omozigosi a tutti i loci, la variabilità fenotipica per il carattere in esame osservata entro ciascuna linea inbred non può che essere attribuibile ai fattori ambientali. Dall’incrocio di tali linee inbred sono state pertanto ottenute piante F1 eterozigoti a tutti i loci ed aventi la stessa costituzione genotipica. Anche in questo caso la variabilità per la lunghezza della spiga osservata tra piante F1 non è quindi attribuibile a fattori genetici, ma unicamente all’influenza ambientale. Ammettendo che l’ambiente sia in grado di esercitare la stessa influenza indipendentemente dalla costituzione genotipica della popolazione considerata, i dati ottenuti da questo esperimento consentono di ricavare una serie di osservazioni aventi validità generale riguardo all’eredità dei caratteri quantitativi: 1) incrociando due linee inbred antagoniste per la manifestazione di un caranere si ouene un ibrido F1 che manifesta valori fenojpici compresi tra quelli dei parentali 2) nella progenie F2 onenuta interincrociando ibridi F1 si osserva una variabilità conjnua per il caranere e non è possibile raggruppare i valori in poche classi discrete e ben definibili 3) il valore fenojpico medio della F2 e simile a quello rilevato nella F1 4) la popolazione F2 presenta una variabilità, anorno alla media del caranere, maggiore rispeno ai parentali e all’ibrido F1 5) i valori fenojpici estremi del caranere rilevaj in F2 si estendono verso le estremità della distribuzione dei valori di entrambe le linee parentali più di quanto avvenga nella popolazione F1 6) la variabilità del caranere nelle linee inbred e negli ibridi F1 dipende soltanto da fanori ambientali, mentre l’aumento della variabilità fenojpica nella F2 è dovuto alla presenza in questa generazione anche di variabilità genejca. 65 Determinazione del numero di poligeni La dimostrazione definitiva che l’eredità dei caratteri quantitativi è dovuta ad una pluralità di geni segreganti fu fornita da East nel 1916, studiando il controllo genetico della lunghezza della corolla dei fiori di tabacco Nicotiana longiflora), carattere pochissimo influenzato dalle condizioni ambientali East utilizzò due varietà di questa specie autogama che differivano per la lunghezza del fiore: in una linea pura la corolla aveva lunghezza media di 43.5 mm, mentre nell’altra linea pura la lunghezza media della corolla era di 93.2 mm. Le piante di ciascuna varietà erano state ottenute attraverso autofecondazione per oltre generazioni e quindi potevano ritenersi omozigoti a tutti i loci. Le piccole variazioni fenotipiche osservate all’interno di ogni linea pura potevano essere attribuite a cause ambientali, mentre la differenza marcata tra i valori fenotipici medi delle due linee pure era indubbiamente di natura genetica. In sostanza, le due linee pure scelte dovevano essere omozigoti per alleli diversi ad un grande numero di loci. East incrociò piante appartenenti a queste due varietà e trovò che i fiori della F1 avevano una corolla di lunghezza intermedia rispetto a quelle delle linee pure parentali. Tale risultato era compatibile con quanto atteso per un carattere quantitativo controllato dai geni con effetto additivo. Inoltre, osservò che la variabilità fenotipica degli ibridi F1 era simile a quella riscontrata nelle linee pure parentali. Benché eterozigoti, le piante F1 dovevano ritenersi geneticamente uniformi e perciò le piccole differenze fenotipiche tra queste potevano essere ascritte a cause ambientali. Quando vene prodotta la F2, tale discendenza mostrò un valore medio d lunghezza della corolla di 67.5 mm, sempre compreso tra quelli delle linee pure e molto simile a quello del loro ibrido F1, ma la sua distribuzione fenotipica era molto più ampia. Tale risultato suggeriva che le differenze osservate per il carattere quantitativo non potevano essere attribuite solo a fattori ambientali, ma derivavano anche da cause genetiche. Poiché non esisteva motivo che facesse supporre una maggiore incidenza dell’ambiente in questa generazione rispetto alle altre, East concluse che la maggiore variabilità della F2 era da attribuirsi ai fenomeni di segregazione e ricombinazione genica che intervengono in questa generazione. La variabilità in F2 è proporzionale al numero di alleli coinvolti e la variabilità di piante F2 con genotipo dei parenti è = ¼n Es: 4 geni ¼4 = 1/256 Dal momento che East, analizzò nel complesso 444 piante della F2 non riuscendo a trovare un solo fenotipo riconducibile ad uno dei genotipi parentali, è logico presumere che fossero implicati nella determinazione della lunghezza del fiore almeno 5 coppie alleliche. Le piante F2 hanno una certa variabilità. Le piante F3 hanno una variabilità uguale o minore della F2 (le piante F2 possono essere agli estremi omozigoti a tutti i loci ma anche eterozigoti a tutti i loci (variabilità uguale alla F1). Nelle F4 la variabilità massima uguale a quella della pianta F3 da cui deriva la F4, perché ad ogni ciclo autofecondazione aumenta l’omozigosi. 66 Supponendo che la differenza genetica tra le linee pure sia dovuta a cinque coppie alleliche e che ognuno degli alleli abbia effetto uguale e cumulativo, le possibili classi fenotipiche sarebbero 11 perché associate con genotipi aventi 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 alleli plus. In questa situazione, dato che i valori fenotipici delle linee pure sono pari a 43,5 mm (AABBCCDDEE) e 93,2 mm (A'A'B'B'C'C'D'D'E'E'), un allele minus dovrebbe valere 4,35 mm e un allele plus dovrebbe valere 9,32 mm. Quindi i valori fenotipici medi di due gruppi di piante differenti per la semplice sostituzione di un allele minus con un allele plus dovrebbero differire di circa 5 mm (9,32 – 4,35). Inoltre, gli effetti ambientali possono determinare in ciascuno dei genotipi una variazione presumibile di 10,25 mm, come risulta dalla media delle differenze tra i valori minimo e massimo delle due linee pure: [(47,5 – 38,5) + (98,0 – 86,5)]/2. Attraverso ragionamenti di questo tipo, East dedusse che le classi genotipiche avrebbero potuto sovrapporsi in termini di valori fenotipici in modo da fare apparire continua la curva di distribuzione delle frequenze assolute. Questi esperimenti permisero di concludere che il modello mendeliano era capace di spiegare l’eredità dei caratteri quantitativi. Quando un carattere è controllato da una, due, tre o molte coppie alleliche, le distribuzioni fenotipiche attese nella popolazione F2 ottenuta autofecondando o incrociando ibridi F1 risultanti dall’unione tra due parentali antagonisti per la manifestazione del carattere sono quelle schematizzate (à). - Gli ibridi F1 sono intermedi rispetto ai parentali - La F2 è diversa in base al numero di geni (o coppie alleliche interessate) Quando la variazione ambientale è moderata quasi tutti gli individui rientrano in una categoria fenotipica che corrisponde al loro genotipo. Quando invece l’effetto ambientale è forte diventa difficile attribuire ciascuno dei fenotipi ad una specifica classe genotipica: in questo caso il carattere quantitativo presenta una distribuzione continua tra il valore fenotipico minimo e quello massimo. Appare pertanto evidente che la possibilità per i genetisti di stabilire la corrispondenza tra genotipo e fenotipo dipende da quanti sono i geni interessati e da quanto l’ambiente influenza la variabilità del carattere quantitativo. Ereditabilità dei caraWeri quanMtaMvi Quando un carattere quantitativo è controllato da molti geni risulta difficile riconoscere le diverse classi genotipiche a livello fenotipico poiché l’effetto additivo dei singoli geni è di solito troppo modesto per essere discriminato. Oltre al numero dei geni coinvolti bisogna poi considerare l’effetto che l’ambiente esercita sulla manifestazione di un carattere quantitativo, potendone modificare anche sostanzialmente il valore fenotipico. VP = VG + VE VP è la varianza fenotipica (o totale) (phenotype) VG è la varianza genetica 67 VE è la varianza ambientale (environment) Per accertare in quale misura i fattori genetici ed ambientali concorrono nella determinazione della variabilità fenotipica è necessario misurare la varianza fenotipica e suddividerla nelle sue componenti. In questi termini la varianza fenotipica di un campione, ottenuta misurando il fenotipo degli individui, può essere scomposta, ricorrendo a particolari popolazioni e disegni sperimentali, in una varianza dovuta a cause genetiche ed in una varianza dovuta a cause ambientali. Tale scomposizione è determinante per risalire al valore di ereditabilità (h2) di un carattere quantitativo, usualmente calcolato come rapporto tra la varianza dovuta a cause genetiche e la varianza fenotipica totale: h2 = VG / VP Questo parametro misura il contributo relativo dei fattori genetici e di quelli ambientali nella determinazione della varianza fenotipica di un carattere quantitativo. L’ereditabilità varia tra 0 e 1: Un’ereditabilità pari a 0 indica che la variabilità fenotipica esistente tra individui non è attribuibile nemmeno in parte a differenze genetiche; Un’ereditabilità di 0.5 significa che la metà della variabilità fenotipica è dovuta a differenze genetiche e l’altra metà a cause ambientali; Un’ereditabilità pari a 1 suggerisce invece che tutta la variabilità fenotipica osservata nella popolazione è riconducibile a differenze genetiche tra gli individui. Ereditabilità in senso largo L’ereditabilità in senso largo (broad, h2B) tiene conto di tutta la variabilità genetica dovuta a qualsiasi effetto genico, cioè include tutte le componenti della varianza genetica (additività, dominanza ed epistasia): VG =Va + Vd + Vi Va è la varianza genetica additiva a Vd è la varianza genetica dovuta a dominanza Vi è la varianza genetica dovuta ad effetti epistatici ed equivale pertanto al rapporto tra la varianza genetica complessiva e la varianza fenotipica: h2B = VG / VP Il calcolo di questo tipo di ereditabilità prevede il confronto tra popolazioni geneticamente uniformi e popolazioni geneticamente variabili. Gli esperimenti più semplici che consentono di stimare l’ereditabilità in senso largo implicano l’uso di popolazioni composte di individui genotipicamente uguali, come ad esempio le linee pure, gli ibridi F1 o i cloni, e di popolazioni che includono individui genotipicamente diversi, come ad esempio una discendenza F2 oppure da interincrocio. La valutazione fenotipica delle popolazioni geneticamente uniformi consente di stimare la varianza ambientale, cioè l’effetto dei fattori ambientali sul carattere quantitativo in esame, mentre la valutazione delle popolazioni geneticamente variabili consente di stimare in maniera cumulativa la varianza fenotipica totale. Esercizio: Per il carattere altezza, una popolazione di frumento ha una varianza ambientale eguale a 120 e tripla rispetto a quella genetica. Qual è l’ereditabilità in senso largo del carattere altezza? VE = 120 VG = 40 VP = 120 + 40 = 160 h2 = 40/160 = ¼ = 0,25 68 Esercizio: m = media genitori -d = valore fenotipico di aa h = valore fenotipico di Aa +d = valore fenotipico di AA Se il parentale aa vale 1 e il parentale AA vale 9, la media m vale 5 [(1+9)/2] d in valore assoluto = (9-1)/2= 4 - In assenza di dominanza il valore dell’eterozigote sarebbe uguale alla media dei due genitori e quindi h = 0. In realtà non è sempre cosi: - Dominanza incompleta: la sostituzione di a in aa non da valore medio ma d+h - Dominanza completa: sostituzione di a in Aa non causa alcun effetto fenotipico Ereditabilità in senso stre^o L’ereditabilità in senso stretto (narrow, h2N) tiene conto delle sole differenze genetiche attribuibili alle azioni geniche additive. Solo queste possono infatti essere fissate con la selezione poiché, essendo legate all’effetto medio dei geni, rimangono inalterate nelle generazioni successive. Quando, invece, le differenze tra i materiali selezionati sono dovute a specifiche interaizoni geniche (dominanza ed epistasia) queste non possono essere fissate con la selezione, cioè non rimangono inalterate nella nuova generazione perché, per effetto della segregazione e della ricombinazione, possono ottenersi combinazioni di geni diverse da quelle della generazione precedente. L’ereditabilità in senso stretto equivale pertanto al rapporto tra la componente additiva della varianza genetica e la varianza fenotipica: h2N = Va / VP Che cosa rappresenta Va? Locus A con 2 alleli alternativi: - A (plus) incremento di 4mm - A (minus) nessun incremento Eterozigote non ha un valore intermedio rispetto ai 2 omozigoti Il valore riproduttivo è dato dal tipo di gameti prodotti: aa: 2a Aa: 1A 1a AA: 2A 69 La superiorità dell’eterozigote è dovuta a meccanismi di interazione tra alleli – la formazione dell’eterozigote è casuale Va à misura la varianza legata al valore riproduttivo, cioè al tipo di allele presente (azioni geniche additive), le uniche fissabili con la selezione Vd e Vi à misurano la varianza legata a particolari combinazioni alleliche, non direttamente trasferibili a causa ricombinazione e segregazione È possibile quantificare le diverse componenti della VG mediante applicazioni di opportuni piani sperimentali. Benché l’ereditabilità abbia senza dubbio una notevole utilità pratica, la sua stima evidenzia considerevoli limitazioni teoriche: i) non equivale a quanto l’espressione di un carattere dipenda da fattori genetici ma esprime solo la proporzione della varianza fenotipica tra gli individui di una popolazione attribuibile a differenze genetiche; ii) non si riferisce ad un individuo ma è una caratteristica di una popolazione; iii) non è fissa poiché dipende dalla composizione di uno specifico gruppo di individui in uno specifico ambiente; iv) non può venire usata per trarre conclusioni riguardo la natura di differenze genetiche tra popolazioni. Esercizio: Calcola l’ereditabilità in senso lato: h2B = VG / VP VP = VG + VE VE = 9 + 10 + 11 /3 = 10: sono le popolazioni uniformi geneticamente, per cui tutta la variabilità è ambientale, faccio la media VG = VP – VE = 30 -10 = 20 h2 = 20/30 = 66,7% Esercizio: Per un carattere quantitativo l’ereditabilità in senso stretto è pari al 30% (0,3), la varianza fenotipica pari a 200 e la varianza genetica pari a 100. Calcolare: a) la varianza dovuta alla dominanza e interazione b) la varianza dovuta a cause ambientali VG = Va+ Vd + Vi h2N = Va / VP VP = 200 VG = 100 70 hN2 = 0,3 hN2 = Va /VP 0,3 = Va/200 Va = 60 Vd + Vi = 100 – 60 = 40 VE = 200 – 100 = 100 La conoscenza dell’ereditabilità in senso stretto dei caratteri quantitativi consente infatti di formulare previsioni molto accurate riguardo al grado di somiglianza tra gli individui parentali e quelli della discendenza. In pratica, tale ereditabilità permette di calcolare il progresso conseguibile con la se- lezione per il carattere in esame. Se S è il differenziale di selezione, calcolato su base fenotipica, la risposta alla selezione (o guadagno conseguito con la selezione) è R = x1 – x0 e dipende dalla quota ereditabile della variazione, cioè quella imputabile alle sole cause genetiche di natura additiva. L’ereditabilità può essere quindi calcolata anche come rapporto tra la risposta alla selezione (R) ed è il differenziale di selezione (S) e viene definita ereditabilità realizzata: h2 R = R/S h2 = R/S pertanto R = h2 S tanto maggiore è h2 tanto maggiore è il guadagno ottenibile con la selezione. Si parla di h2 in senso stretto, in quanto io seleziono individui il cui fenotipo è influenzato sia ambiente che dalle interazioni (dominanza ed epistasia) che possono venire a mancare nelle progenie degli individui selezionati. Esempio: Qual è R se h2 = 0,7 attuando un s di 4 71 R = 0,7 · 4 = 2,8 La media della popolazione dei figli sarà: μ figli = μ parentali + risp. alla selezione = 15 + 2,8 = 17.8 R = h2 S Come si può aumentare la risposta alla selezione (R)? 1) Aumentando s (differenziale di sel.) - rischio di ridurre troppo la base genetica (depressione inbreeding) 2) Aumentandoh2 – operando nell’ambiente più uniforme possibile Ovviamente è determinante partire da un campione ampio e rappresentativo della popolazione di partenza. Se conosco valore h2 posso valutare la risposta ad un programma di selezione applicando: R = h2 s Se non conosco l’h2 a priori non posso valutare la risposta alla selezione e solo dopo l’analisi dei risultati, a posteriori, posso stimare h2 h2 = R / s Questa è una stima dell’ereditabilità in senso stretto. Esercizio: Una popolazione di orzo ha un’altezza media di 90 cm, con una VP eguale a 72 e tripla rispetto a quella ambientale. Dalla popolazione si selezionano individui con un’altezza superiore a 100, la cui media è 105. 1. Qual è il differenziale di selezione adottato? 2. Qual è l’ereditabilità in senso largo del carattere altezza? 3. Qual è l’altezza media della popolazione ottenuta a seguito di selezione? 1) Qual è̀ il differenziale di selezione adottato? 105 – 90 = 15 2) Qual è l’ereditabilità in senso largo del carattere altezza? VP – VE = VG 72–24=48 h2 =VG/VP = 48/72=0,66 3) Qual è̀ l’altezza media della popolazione ottenuta a seguito di selezione? R = s x h2 = 15 x 0,66 = 9,9 i figli avranno media = 90 + 9,9 = 99,9 Esercizio: Il peso medio a 140 giorni di un gruppo di suini è 90Kg. Si selezionano individui con un peso medio di 97,5 kg. La progenie degli individui selezionati hanno un peso medio di 92,25 kg. 1. Qual è l’ereditabilità del carattere? 2. Si tratta di ereditabilità in senso largo o stretto? 1) h2 = R/S = (92,25-90)/(97,5-90)= 2,25/7,5= 0,3 Esercizio: La lunghezza media internodi in orzo A è 3,20 mm, in orzo B è 2,10 mm. Dopo incrocio, la F1 e F2 hanno una lunghezza media pari a 2,65 mm. 72 Circa il 6% delle F2 ha una lunghezza pari a 3,2 mm e un altro 6% pari a 2,10 mm. Qual è̀ il numero più probabile di coppie alleliche (o geni) che controllano il carattere? Qual è̀ effetto di una sostituzione allelica sul fenotipo? Quali sono i genotipi delle due linee? 1) (1/4)n numero di individui con genotipo eguale a quello dei parentali: n= coppie alleliche (1/4)2 = 1/16 (1/4)3 = 1/64 (1/4)4 = 1/256 100/6= 1/16,6 individui= 2 geni o 2 coppie alleliche 2) (3,2-2,1)/4= 0,275 3) Orzo B= AABB orzo A= A’A’B’B’ Esercizio: Se ogni allele plus (indicato con la lettera maiuscola) nei 4 loci genici A, B, C e D contribuisce con un incremento del diametro di una pianta arborea di 2 cm, ed un genotipo omozigote recessivo nei 4 loci (aabbccdd) ha diametro di 20cm. Quale saranno i limiti della variazione in diametro nelle progenie del seguente incrocio? AaBBCcdd x AaBbCcDD 73 LEZ. 10 13/11/2023 Prof. Barchi BIODIVERSITÀ E MIGLIORAMENTO GENETICO MIGLIORAMENTO GENETICO Il miglioramento genetico (plant breeding) consiste nell’identificazione in natura o creazione artificiale di variabilità genetica dentro una specie e selezionare all’interno di questa variabilità le piante che presentano i caratteri più interessanti e che possono essere ereditati in maniera stabile. L’obiettivo del miglioramento genetico è individuare e selezionare le piante migliori, mantenerle e utilizzarle per la costituzione di nuova varietà (ad esempio l’origine dei frumenti, dove l’uomo ha portato avanti un processo di selezione e addomesticazione). Esso è nato proprio quando l’uomo ha cominciato a raccogliere i frutti e selezionare le piante che davano risultati migliori / caratteristiche migliori. Le varietà hanno caratteristiche diverse in relazione al sistema riproduttivo della specie: Nel miglioramento genetico delle piante autogame e allogame si ricorre molto all’utilizzo di ibridi F1, che originariamente erano utilizzati nelle piante allogame partendo da linee inbreed (piante allogame fecondate per più generazioni che, inizialmente, vanno incontro a una forte depressione da inbreeding ma poi portate in omozigosi e incrociate tra di loro per ottenere un ibrido F1 permettendo di sfruttare il fenomeno dell’eterosi). L’esempio più comune delle piante ibride F1 coltivate in eterosi sono le piante di mais. La legislazione riguardante le varietà vegetali, l’ottenimento e la costituzione, si basa sui principi di Distinguibilità, Uniformità e Stabilità. La varietà consiste nel fatto che dentro una specie abbiamo degli individui o un insieme di individui che presentano le stesse caratteristiche e devono essere distinguibili, uniformi, nel senso che le piante della stessa varietà devono essere identiche (le varietà di quella pianta devono produrre un frutto con certe caratteristiche) e stabili, nel senso che nelle generazioni successive deve essere identica. Se non ci sono nessuno di questi 3 parametri, o ne manca 1, non avremo una varietà stabile. L’ottenimento di varietà è un procedimento molto lungo (attualmente ci vogliono dai 5 ai 10 anni per immettere una nuova varietà) per questo è molto importante salvaguardare economicamente le proprie varietà. La costituzione varietale, fine ultimo del lavoro di miglioramento genetico, si basa su: Il concetto di biodiversità è stato introdotto da Vavilov, tra il 1916 e 1930 e ha visto che la variabilità genetica delle specie sulla terra non è uniforme. Ha introdotto il concetto di centri di origine della specie: le specie coltivate hanno dei centri di origine che sono i punti in cui si sono originate e diversificate. Tendenzialmente sono dei centri in cui una specie ha tantissima variabilità. Se usciamo fuori dai centri di origine, per ogni singola 74 specie, la variabilità tende a ridursi, ad esempio, i centri d'origine sono fondamentalmente visti in una fascia tropicale ad altitudine tra i 300 e 1000 metri con una distinzione tra stagione secca e stagione umida. Vavilov ha raccolto molti campioni in giro per il mondo, valutava da dove arrivava questo materiale e la distribuzione di sottospecie, per arrivare alla conclusione che i centri di origine della maggior parte delle piante sono questi in figura. Si è scoperto che una stessa specie può avere più centri di origine, successivamente si è visto che una grande variabilità di forme spesso non corrisponde al suo centro di origine. Per quanto riguarda la melanzana, la sua domesticazione e grossa diversificazione sembrerebbe essere l’India, ma non è così, perché con i dati molecolari si è visto che fondamentalmente la melanzana non è proprio indiana (è il centro di origine secondario), ma è più del Sud est asiatico, quindi Thailandia, dove la variabilità è molto elevata. I centri di origine secondari sono presenti quando una specie si è allontanata dal suo centro di origine primario ed è arrivata in un'altra parte in cui quella variabilità ha permesso di diffondersi molto bene. EROSIONE GENETICA Il problema è che, quando abbiamo tutta questa variabilità, con il miglioramento genetico, si tendono a selezionare poche varietà con le caratteristiche che cerchiamo: in questo modo perdiamo molta variabilità. Ad esempio, per il mais vengono coltivate alcune varietà locali tipiche del Piemonte, come il pignoletto e ottofile, ma sono coltivati su pochissimi terreni, perché si coltivano maggiormente gli ibridi F1 che producono tanto. Il punto di partenza è la disponibilità di variabilità genetica dentro una specie, con cui si può ripartire per fare miglioramento genetico. Quindi, quello che si considerano tanto, è cercare di accumulare tutta la variabilità genetica presente in una specie, perché può tornare sempre utile in futuro. Ad esempio, il pomodoro ha tanta variabilità fenotipica, ma è controllata da 4-5 geni. La variabilità genetica presente nelle specie vegetali è indispensabile per la sopravvivenza e adattamento alle variazioni dell’ambiente e rappresenta un serbatoio a cui attingere geni utili per migliorare quantitativamente e qualitativamente la produzione di specie di interesse agrario. Le forme e le dimensioni del frutto sono sotto il controllo di pochi geni, ad esempio il pomodoro sono 5-10 geni. La selezione della variabilità naturale parte dallo sfruttare le accessioni di una specie, che sono conservati in strutture dette banche del germoplasma (una di queste strutture è stata dedicata a Vavilov): in pratica sono strutture che conservano semi di varietà di molte specie. Vi è anche un deposito sotterraneo globale di semi (Svalbard global seed vault) costruito dentro un fianco di una montagna: i semi devono essere messi sottovuoto e tenuti a –20 °C in congelatore (più stanno al freddo e più durano, però più passa il tempo e più non germineranno). Le banche del germoplasma hanno il problema che ogni tot anni devono rinnovare le accessioni (ogni 10/15 anni): aprono i contenitori dei semi, li fanno germinare, li mettono in campo, 75 autofecondano, raccolgono il seme e li rimettono sottovuoto a -20°C. Questo funziona bene se ci sono poche accessioni, quando diventano numerose, il sistema risulta costoso: per questo le banche sono, in parte, finanziate dagli Stati. In realtà, quella delle Svalbard, è un backup delle gene bank. Se voglio lavorare su una specie, compro, o mi mandano gratis per le ricerche, i semi dal gene bank diverse a seconda di quale specie voglio studiare. Il concetto di ideotipo esprime le caratteristiche che la varietà deve avere. L’ideotipo cambia a seconda dell’ambiente e anche se in teoria ci sono ideotipi per ogni ambiente, in realtà i costitutori cercano di individuare degli ideotipi che meglio si adattano a più ambienti. Il concetto di ideotipo cambia con il passare degli anni: Il frumento all’inizio del ’900 aveva come ideotipo piante alte 1,50 metri perché producevano molta paglia, che veniva spesso utilizzata; adesso l’ideotipo del frumento ha un’altezza di 80 cm perché a noi non interessa più la produzione della paglia così ora posso avere piante più piccole che posso seminare con maggiore densità e questo mi permette di aumentare la resa di granella per ettaro. Sono state migliorate altre caratteristiche, quali lo stay green, ovvero le foglie rimangono verdi il più possibile in modo tale da fotosintetizzare di più, foglie erette per prendere più luce, etc. Per il frumento abbiamo 2 ideotipi diversi (tenero e duro): duro ha alta resa alla macinazione per fare la farina, il tenero ha il glutine per fare il pane. Ci sono 3 modalità di selezione che si fanno con la variabilità naturale (sono metodologie vecchie): si fanno su piante che non sono mai state migliorate o in paesi in via di sviluppo. 1 SELEZIONE MASSALE (per piante autogame) La selezione massale è la selezione più semplice, per le piante autogame, in cui ho piante della mia specie che voglio migliorare: faccio selezione esclusivamente fenotipica sulle piante migliori, scartando i genotipi peggiori e mantenendo i migliori. Successivamente si raccolgono i semi che vengono mescolati tra di loro e così il costitutore fa un ciclo di moltiplicazione in coltivazioni in dimensioni di campi normali e genera una nuova varietà Esiste una versione modificata della selezione massale dove prima di fare il Bulk il seme delle piante viene mantenuto separato, poi viene fatto un test nella stagione successiva e vengono scelte le piante più vicine all’ideotipo e infine anche con questa variazione il seme viene mischiato e venduto come nuova varietà. La differenza tra la massale originaria e quella migliorata è che, in quest’ultima, si fa un test separato l’anno successivo e tengo i semi separati delle piante. - Nella selezione massale spesso viene fana una selezione negajva dove io vado ad eliminare i fenojpi peggiori che non rispenano l’ideojpo, ovvero il 30 – 40% delle piante di partenza. - I risultaj della selezione massale sono legaj fondamentalmente al livello di ereditabilità di un caranere (i caraneri quanjtajvi sono caraneri controllaj da molj geni e sono influenzaj dall’ambiente). Se abbiamo dei caraneri dove l’ereditabilità, quindi la componente genejca, gioca un ruolo piunosto basso nel fenojpo così che è l’ambiente che ne determina il fenojpo, una selezione su questo caranere è una selezione che ha dei risultaj ridou perché noi selezioniamo quelle piante che hanno dei fenojpi dovuj alla componente ambientale e non alla componente genejca. - È una selezione conservatrice perché vuole mantenere le variabilità esistenj ma sopranuno rende più omogenea una popolazione già esistente di linee pure. - Questa selezione ci permene di menere in commercio una nuova varietà senza fare valutazioni agronomiche perché andando ad eliminare i fenojpi peggiori guadagniamo un po’ di valore fenojpico. - Impiegando 1-2 anni oneniamo già una nuova varietà. 76 2 SELEZIONE PER LINEA PURA / GENEALOGICA / INDIVIDUALE (per piante autogame) Nella Fase 1 partendo da 10 000 piante (linee pure) il costitutore ne seleziona un 10% che sono più vicine all’ideotipo e hanno caratteristiche migliori, considerando la valutazione fenotipica in un anno, autofecondo (il genotipo non cambia perché sono linee pure) e tengo il seme di ogni pianta separato, perché voglio seguire le diverse linee. Si chiama selezione per linea pura perché sono tutte linee pure. Nella Fase 2 le piante vengono valutate in piante-fila, si prende il seme raccolto e l’anno successivo pianto e semino i semi di questa linea in queste piante-fila (mettendone anche 20-30). L’obbiettivo è di selezionare un 10% di linee migliori perché il costitutore valuta le 1000 piante sulla base dei figli, questo porta a ridurre del 10% il numero di individui di piante selezionate e così si eliminano ulteriormente i genotipi negativi (quelli che il costitutore ha selezionato all’inizio ma che poi l’anno successivo manifestano caratteristiche peggiori rispetto a quello che ci si aspettava perché forse erano influenzate dall’ambiente). Nella Fase 3 si tengono così 100 linee che in 2-3 anni vanno incontro a valutazione agronomica e confronto con varietà commerciali in diversi ambienti (non sempre una pianta ha delle performance ottimali in tutti gli ambienti; anche 2 anni diversi in uno stesso luogo sono visti come ambienti diversi, perché cambieranno per forza le condizioni climatiche). Questo porta alla identificazione di una o più piante che rappresentano una nuova varietà, essendo piante autogame tutti i semi che raccoglieremo saranno uguali così questo fa si che noi abbiamo già disponibile una nuova varietà. Alla fine dalle 100 linee pure selezioniamo i figli di 1 linea pura che va a costituire la nuova varietà (considerati i migliori tra 10000). Con la selezione pura non sto creando nuovi genotipi, sto riducendo moltissimo la variabilità genetica in una popolazione naturale. Nella riduzione massale riduco moltissimo la variabilità genetica, partendo da 10000 piante selezionerei la mia linea pura, che se questa linea pura che ho selezionato è vantaggiosissima corro il rischio di perdere variabilità genetica in coltivazione e alla fine non posso fare nuovi miglioramenti genetici perché ormai la mia variabilità genetica di quella linea non c’è più. Questo può risultare dannoso per la pianta se diventa suscettibile a un patogeno e diventa difficile trovare delle resistenze, perciò bisogna fare dei miglioramenti genetici. La selezione per linea pura ha un grosso vantaggio, la nostra varietà è omogenea, infatti tutti i semi che otteniamo per autofecondazione sono sempre identici però è molto fragile. Questa tecnica è ancora valida per specie poco selezionate. 3 SELEZIONE RICORRENTE SEMPLICE (per specie allogame) In questa selezione vengono fatti ripetuti cicli di selezione massale in cui si cerca di aumentare le frequenze geniche favorevoli entro delle popolazioni da migliorare; l’obbiettivo è quello di migliorare, tramite selezione fenotipica, delle popolazioni a larga base genetica. Fase 1: Partendo da 10000 piante vengono identificati le piante con il carattere che ci interessano e queste piante vengono autofecondate 77 Fase 2 : con il seme ottenuto si ottengono delle piante-fila e queste piante vengono lasciate incrociare liberalmente tra di loro o si fa anche un incrocio manuale. Fase 3 : Nel terzo anno il seme ottenuto dagli incroci viene mescolato e viene seminato per ottenere una nuova popolazione dalla quale si scelgono di nuovo le piante migliori che vengono ancora selezionate e autofecondate. Nel quarto anno si procede allo stesso modo (i semi ottenuti vengono messe in piante file, le piante vengono lasciate incrociarsi liberalmente tra di loro e ho ottenuto dei nuovi semi), con i semi ottenuti posso riseminarli e riselezionare le piante, autofecondarli e rifarli incrociare l’anno dopo; di nuovo prendo popolazione con più piante, riseleziono le migliori, le autofecondo e l’anno successivo vado a interincrociarli tra di loro. Questa selezione è più lunga perché c’è ampia variabilità e fenotipi diversi; l’obiettivo era di arrivare ad avere individui genotipicamente abbastanza simili, ma con caratteristiche identiche per i caratteri voluti. La selezione ricorrente semplice può andare avanti per diversi cicli fino a quando non arriviamo ad ottenere una fissazione dei caratteri da migliorare, ovvero fino a quando non riusciamo ad ottenere un miglioramento dei caratteri che ci interessano. Abbiamo altri metodi tradizionali che invece si basano sullo sfruttamento della variabilità genetica creata dall’uomo: 1) Mutagenesi 2) Autoimpollinazione controllata 3) Strategie di incrocio e selezione MUTAGENESI Fondamentalmente è una metodologia che si basa sull’utilizzo di agenti mutageni (raggi x, raggi gamma o sostanze chimiche) che hanno come obbiettivo quello di generare delle mutazioni nei semi e ottenere dei nuovi fenotipi. La mutaganesi può portare all’utilizzo diretto, quindi facendo una mutagenesi sui semi ottengo delle piante mutate per un carattere che mi interessa e posso utilizzarle per costituire delle nuove varietà; oppure le piante mutate posso incrociarle con delle linee già esistenti per introdurre nella varietà commerciale il carattere mutato. La mutagenesi sfrutta la variabilità creata dall’uomo. 78 In genere abbiamo delle mutazioni puntiformi, spesso usando agenti chimici come l’etilmetansolfonato (EMS) ed è molto efficiente questa mutazione chimica perché genera tantissime mutazioni nel genoma quindi noi possiamo avere una mutazione che va a interessare un gene di interesse ottenendo una nuova varietà. In genere agenti chimici causano mutazioni puntiformi. La mutagenesi da agenti fisici è una mutagenesi che può ricorrere a raggi gamma (i più utilizzati), X, ultravioletti, particelle alfa e beta. I raggi gamma sono radiazioni abbastanza potenti e causano delle rotture dei cromosomi portando a inversioni, delezioni, traslocazioni; molti mutanti ottenuti con i raggi gamma spesso sono mutanti in cui è presente una perdita di funzione e possono danneggiare molto i geni, di conseguenza sono mutazioni molto importanti. Si può fare una mutagenesi inserzionale con agenti biologici, si sfrutta una mutagenesi con i trasposoni facendo tagging che permette l’inserimento di trasposoni nel genoma permettendo di fare mutagenesi di trasposoni; spesso l’inserimento di trasposoni comporta la perdita di funzione dei mutanti. La mutagenesi è stato un metodo di miglioramento genetico che negli anni 60’ e 70’ ha spopolato e sono stati ottenute centinaia di varietà di frumento (ad esempio a Roma è stata fatta mutagenesi col cobalto 60), oltre a questo vanno aggiunte le specie e le varietà ottenute per poliploidizzazione indotta (per esempio il triticale) Il CRISPR/Cas è considerato in Europa alla stregua dell’OGM, la mutagenesi invece non è considerata OGM ma più come una metodologia naturale di miglioramento genetico. Come già detto moltissime mutanti di frumento sono state prodotte con mutagenesi, per la mutagenesi con cobalto si utilizzano o piccoli strumenti che lanciano raggi gamma sui semi di frumento (irradiando pochi semi) oppure delle serre/campi con cobalto che irradiano una quantità molto più ampia di semi. AUTOMIPOLLINAZIONE CONTROLLATA Si tratta di un’altra metodologia che sfrutta la variabilità creata dall’uomo, dove autofecondando andiamo ad aumentare l’omozigosi e otteniamo alla fine una pluralità di linee pure. Nelle specie prevalentemente autogame non sono presenti particolari problemi, mentre nelle specie allogame bisogna tenere conto che le piante (con le loro strutture) non sono predisposte all’autofecondazione e quindi dovremmo isolare le piante o i fiori spazialmente. 79 Dovremo così costruire delle strutture che impediscano l’arrivo del polline di altre piante sulle nostre piante interessate; per autofecondare una pianta da frutto in un campo, devo creare delle strutture per evitare che arrivi il polline dall’esterno; invece per la pianta di mais, che ha i fiori maschili separati da quelli femminili, devo raccogliere il polline o tolgo l’infiorescenza maschile per isolare le piante. Il mais presenta fiori maschili (sul pennacchio) e fiori femminili (sulla “pannocchia” anche se in realtà è una spiga) e per autofecondare la pianta raccogliamo il polline dal fiore maschile e autofecondiamo manualmente il fiore femminile e lo insacchettiamo così che non ci sia polline di altre piante che fecondi la pannocchia. Ø IBRIDAZIONE INTRASPECIFICA Metodologia che permette di generare nuova variabilità incrociando due piante tra di loro per permettere di ottenere degli ibridi F1 sfruttando l’eterosi oppure per valutare delle piante madri sulle caratteristiche della progenie. L’ibridazione intraspecifica ha una difficoltà crescente: Le piante monoiche autocompatibili con fiori ermafroditi sono quelle che hanno una maggiore difficoltà nell’ibridazione intraspecifica tra piante diverse, perché di solito tendono ad autofecondarsi. La difficoltà si legge in 2 sensi: incrociare piante con sessi separati, da un lato è difficile perché devo prendere le 2 piante, ma dall’altro, non ho problemi nelle piante femminili di autofecondazione e, infatti, tendono molto ad autofecondarsi. Per queste piante, per fare l’autofecondazione come vogliamo noi dobbiamo ricorrere alla demasculazione (togliere gli stami) dei fiori che vogliamo utilizzare come fiori femminili, questa demasculazione si fa precocemente quando il fiore è ancora chiuso perché è probabile che quando il fiore si sia già aperto del polline sia arrivato e sia così avvenuta la fecondazione. Prendiamo un fiore dalla pianta i cui petali sono ancora ben chiusi, lo apriamo ed eliminiamo le antere così che rimanga solo il pistillo e preleviamo il polline dalla pianta impollinante e lo posiamo sullo stigma facendo avvenire la fecondazione, aggiungiamo poi un sacchetto di carta e per sicurezza dopo qualche giorno possiamo riaggiungere del polline e alla fine otterremo il nostro frutto derivante dalla pianta femminile e quella autoimpollinante. - IBRIDAZIONE INTERSPECIFICA Posso ibridare intraspecifico, quindi nella stessa specie, e interspecifico, ovvero tra specie diverse. Specie: insieme di individui interfertili che danno origine a progenie illimitatamente feconde. Il problema degli incroci interspecifici (quindi incrociando specie diverse) è che non sempre le nostre progenie sono fertili, quindi non sempre riusciamo ad ottenere il seme fertile. Negli ibridi interspecifici la difficoltà di ottenere ibridi fertili aumenta a mano a mano che noi prendiamo specie più lontane. Con specie con un gene pool (concetto che indica quanto siano vicine o lontane le specie) primario (specie molto vicine) è molto più facile fare incroci perché i nostri individui risultano fertili. Con specie 80 del gene pool secondario abbiamo una parziale sterilità dove le cose cominciano a complicarsi, mentre con un gene pool terziario abbiamo le specie che sono molto distanti e otteniamo degli ibridi spesso sterili. L’ibridazione interspecifica spesso è molto ricercata perché alcune specie presentano un adattamento delle condizioni climatiche e resistenze a patogeni che la nostra specie non ha, quindi si ricorre a questa ibridazione per trasferire queste determinate caratteristiche nella nostra specie coltivata. Per superare que

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