Interazioni tra Farmaci PDF

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Questo documento descrive le interazioni tra farmaci, evidenziando gli effetti sia favorevoli che sfavorevoli. Vengono presentati esempi clinici, spiegando come le interazioni possono portare a effetti tossici, e come siano importanti per la prescrizione di farmaci. Inoltre, si parla di interazioni farmacocinetiche, meccanismo di azione dei farmaci, e danno che può arrecare la somministrazione contemporanea di più farmaci.

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INTERAZIONI TRA FARMACI Che cosa si intende per interazioni tra farmaci: alterazioni quali-quantitative degli effetti di un farmaco (terapeutici e tossici) causata da altri farmaci somministrati in precedenza o contemporaneamente. L’interazione tra due o più farmaci da un punto di vista clinico può...

INTERAZIONI TRA FARMACI Che cosa si intende per interazioni tra farmaci: alterazioni quali-quantitative degli effetti di un farmaco (terapeutici e tossici) causata da altri farmaci somministrati in precedenza o contemporaneamente. L’interazione tra due o più farmaci da un punto di vista clinico può essere: sfavorevole→ interazione di tipo antagonista, un farmaco va a inibire l’attività dell’altro. Questo tipo di interazione può portare alla comparsa di effetti tossici; favorevole→ ci sono due casi: ▪ un farmaco favorisce l’efficacia dell’altro portando a un potenziamento dell’attività desiderata; ▪ alcuni farmaci, come gli antidoti, sono in grado di bloccare gli effetti tossici dell’altro farmaco portando a un beneficio nell’individuo. senza nessun effetto clinico→ nessuna interazione tra i farmaci. L’aumento della disponibilità di nuovi farmaci e l’applicazione di politerapie (assunzione di 2 o più farmaci contemporaneamente) aumenta il potenziale di interazioni tra farmaci e del manifestarsi di eventi tossici. Stime dell’incidenza di tossicità in base alla quantità di farmaci assunti: 2 farmaci = 13% 5 farmaci = 38% 7 o più farmaci = 82% Più farmaci si assumono più è alta la probabilità di interazioni che portano ad effetti sfavorevoli. Dal 3 al 5% di tutte le reazioni avverse in ambito ospedaliero sono dovute ad interazioni tra farmaci, comportano un accesso al pronto soccorso per effetto tossico. I pazienti più a rischio sono gli anziani in quanto solitamente assumono più farmaci. I pazienti anziani hanno diverse problematiche legate ad alterazioni dei processi metabolici che portano ad un’alterata metabolizzazione dei farmaci. Ci sono tantissimi report di interazioni tra farmaci. Esistono dei database, usati anche nella farmacologia clinica, che sono a disposizione dei medici che devono prescrivere più farmaci al paziente per vedere se ci possono essere forme di interazioni. In questi database sono inserite tutte le interazioni conosciute e anche se le interazioni portano ad effetti tossici o positivi. Il 45% dei pazienti istituzionalizzati (ovvero che si trovano nelle strutture protette come le case di riposo) assume almeno 5 farmaci differenti. Il medico non può conoscere tutte le interazioni tra i farmaci. Es. caso clinico Una donna di 55 anni ha diverse problematiche: storia pregressa di ulcera gastrica, è affetta da diabete, soffre di osteopenia e ha una ipertensione arteriosa. Segue una terapia per cui deve assumere 3 diversi farmaci: gliburide 2,5 mg/die: sulfanilurea di seconda generazione ad azione ipoglicemizzante. alendronato 10 mg/die: molecola appartenente alla classe dei bifosfonati utilizzata per rafforzare le ossa nella terapia e nella prevenzione dell'osteoporosi. metoprololo 100 mg/die: appartenente alla categoria dei bloccanti β-adrenergici, è usato per trattare l'ipertensione. Nelle ultime 6-8 settimane, ha iniziato a lamentare una pirosi gastrica intensa, dolore toracico e difficoltà nella deglutizione. Un giorno, all’improvviso ha un’emissione di sangue dalla bocca. Viene portata al pronto soccorso dove esegue un’endoscopia urgente che le diagnostica delle recidive lesioni ulcerative medio- esofagee. In pronto soccorso si scopre che recentemente la donna aveva assunto contemporaneamente anche un FANS perché soffriva di dolori e rigidità alle mani (problemi di carattere artrosico) che gli era stato prescritto dal suo medico curante da usare in caso di necessità. Il medico non aveva valutato l’ipotesi che in una paziente con una pregressa ulcera gastrica, e che alendronato e i FANS (entrambi gastro-lesivi) potessero interagire in sinergia a livello della mucosa gastrica e portare ad un peggioramento delle lesioni ulcerative. Questo è un esempio di accesso in pronto soccorso dovuto ad una reazione avversa da interazione tra farmaci. Non è un interazione grave: basta rimuovere il FANS o prendere un gastro- protettore prima di assumerlo. Le interazioni tra farmaci possono essere di natura: farmaceutica: dipende dalla forma farmaceutica; farmacocinetica: dipende da alterazioni di assorbimento, distribuzione, metabolismo o eliminazione; farmacodinamica: dipendente dal meccanismo di azione dei farmaci. Le interazioni farmaceutiche dipendono principalmente da situazioni in cui i due farmaci se somministrati insieme interferiscono tra di loro: Precipitazione: per esempio può succedere in ambiente ospedaliero che un farmaco faccia precipitare l’altro quando dentro una flebo l’infermiere mescola più soluzioni di farmaci insieme prima della somministrazione. La precipitazione si può verificare anche in presenza di sostanze che variano il pH, ad esempio: la fenitoina precipita quando si trova in soluzione zuccherina, l’amfotericina B precipita in soluzione salina. Alcune sostanze possono essere inattivate dalla luce Alcune sostanze formano complessi poco solubili, ad esempio la carbenicilina fa precipitare la gentamicina. Interazione su base farmacocinetica: assorbimento La farmacocinetica può avere a che fare con l’assorbimento dei farmaci. L’assorbimento può essere modificato in base al: pH gastrico Le variazioni di pH implicano un effetto sulla velocità di svuotamento gastrico: un abbassamento del pH determina un aumento della velocità di svuotamento gastrico e quindi un passaggio più rapido verso l’intestino (area principale di assorbimento dei farmaci). Ad esempio farmaci antiacidi aumentano il pH dello stomaco e quindi possono determinare un aumento dell’assorbimento di chinolonici, tetracicline e azitromicina quando vengono somministrati insieme. Effetto barriera Aumenta la velocità di svuotamento gastrico facilitando un maggiore assorbimento a livello intestinale. Un farmaco che ha questo effetto è il sucralfato. Alterazione della velocità di transito intestinale Il metoclopramide aumenta l’assorbimento di paracetamolo, mentre i lassativi (tendono a favorire l'eliminazione del farmaco attraverso le feci) riducono l’assorbimento dei farmaci. Reazioni di binding e chelazione Il chelato risulta essere in genere un composto meno solubile e quindi impiega più tempo ad essere assorbito, ad esempio il magnesio idrossido può chelare i dicumaroli e il complesso risulta essere meno solubile. (Lo stesso principio viene usato nelle terapie antidotali in cui il carbone attivo e le resine vengono usati per legare in modo specifico molti xenobiotici, attraverso il seguente utilizzo di un lassativo viene facilitata l'eliminazione del carbone attivo complessato con lo xenobiotico, in questo modo possono essere eliminate le sostanze tossiche). Competizione coi sistemi di trasporto intestinale. Alterazione del metabolismo intestinale. L'assorbimento dei farmaci può essere alterato (aumento, ridotto o lasciato inalterato) dall’assunzione di cibo: il latte e i latticini interferiscono con l'assorbimento delle tetracicline: sono alimenti ricci di 2+ ioni Ca che vanno a creare complessi con le tetracicline interferendo con il loro assorbimento; alimenti contenenti vitamina K vanno a interferire in modo antagonista con la warfarina (antagonista della vitamina K). In terapia con warfarina è bene evitare gli alimenti ricchi di vitamina K; nel succo di pompelmo ci sono dei composti (le furanocumarine) che sono dei potenti inibitori del CYP3A4 che è il principale enzima che metabolizza i calcio antagonisti. (Questo è stato scoperto durante uno studio clinico in Canada dove si stava studiando un farmaco calcio antagonista. Nello studio a metà dei partecipanti è stato dato un placebo e all’altra metà il farmaco, per nascondere il sapore del farmaco entrambe le preparazioni sono state date con del succo di pompelmo. È stato visto che i pazienti che avevano assunto il calcio antagonista con il succo di pompelmo avevano una biodisponibilità del farmaco di 200 volte superiore a quella ipotizzata che portava ad effetti collaterali, questo perché le furanocumarine del succo di pompelmo andavano a inibire l’enzima che metabolizza il calcio antagonista e quindi la concentrazione plasmatica del farmaco era elevata). La tiramina è una monoammina con effetto simpatico-mimetico che provoca un innalzamento della pressione arteriosa, è presenti in formaggi molto stagionati e nel vino rosso. La tiramina se non adeguatamente metabolizzata va a interferire con gli antidepressivi inibitori delle monoaminossidasi, questa interferenza può portare a una crisi ipertensiva. La liquirizia va a interferire con i farmaci antipertensivi aumentando la produzione di aldosterone che provoca un rialzo della pressione che contrasta l’azione del farmaco antipertensivo. Interazione su base farmacocinetica: distribuzione L’interazione a livello della distribuzione di un farmaco può determinare: lo spiazzamento del legame alle proteine plasmatiche→ ad esempio l'interazione tra FANS e tolbutamide o tra fenilbutazione e warfarina in cui le due coppie di farmaci competono per le stesse proteine plasmatiche, ciò può portare a un farmaco inefficacie o un farmaco che risulta essere estremamente tossico. È importante che venga adeguatamente controllata la dose da un medico. Modificare l’uptake epatico→ ci sono dei farmaci che sono degli inibitori dei trasportatori anionici che sono coloro che permettono l’uptake del farmaco dalla circolazione sistemica dentro l’epatocita dove, in seguito, il farmaco viene metabolizzato. Se il paziente assume degli inibitori del trasportatore anionico (ad esempio la claritromicina) allora si ha un aumento della concentrazione di statine libere nella circolazione sistemica che non vengono metabolizzata a livello delle cellule epatiche. Questo aumento della loro concentrazione nella circolazione sistemica può portare a un aumento delle miopatie perché effetto collaterale delle statine è di creare danni a livello muscolare. Interazione su base farmacocinetica: metabolismo Il metabolismo dei farmaci avviene principalmente a livello epatico e intestinale. La tabella mostra degli enzimi con i corrispettivi substrati e i farmaci inibitori o induttori dell’attività enzimatica. Dalla tabella si può dedurre che la terapia con la carbamazepina va a potenziare l’attività di CYP1A2, quindi una persona che assume carbamazepina avrà un aumento del CYP1A2 e di conseguenza metabolizzerà la caffeina in modo più efficiente. Il risultato della metabolismo sui farmaci può portare a: inattivazione del farmaco comparsa di metaboliti attivi comparsa di metaboliti tossici A seconda della concentrazione dei farmaci (che sono i substrati dell'azione degli enzimi) si possono avere effetti diversi. Sempre su base farmacocinetica ci sono delle interazioni, che riguardano il metabolismo, che sono clinicamente rilevanti perché sono delle interferenze come: il calcio antagonisti con le statine: c’è una inibizione dei CYP3A4 che porta ad un aumento delle statine nel circolo sanguineo con aumento delle miopatie; i macrolidi con gli antistaminici (come terfenedina e astemizolo): i macrolidi bloccano la metabolizzazione di questi antistaminici bloccando il CYP3A4, gli antistaminici non metabolizzati possono avere un'azione tossica a livello dei cardiomiociti determinando un blocco del canale potassio a cui consegue una ripolarizzazione ritardata che può dare origine ad aritmie deboli fino a fibrillazioni. Non tutte le interazioni sono sempre interferenze, ma possono anche avere effetti positivi, ovvero un farmaco può potenziare l'effetto quell'altro. Per esempio: la levodopa con la carbidopa: la carbidopa inibisce la DOPA decarbossilasi (enzima che metabolizza la levodopa) quindi c’è una concentrazione maggiore di levodopa a livello periferico che può raggiungere il sistema nervoso centrale. la levodopa con inibitori delle COMT: la catecol-O-metiltrasferasi (COMT) è uno degli enzimi che degrada la levodopa, è in grado di metilarla sul gruppo ossidrilico in modo che non possa passare al barriera emato-encefalica. Gli inibitori della COMT facilitano un aumento della levodopa a livello centrale. Interazione su base farmacocinetica: eliminazione renale Ci possono essere: alterazioni del riassorbimento (pH-dipendente)→ è possibile alcalinizzare o acidificare le urine in base a cosa si vuole eliminare. Nel caso di intossicazione da salicilati si interviene alcalinizzando le urine perché alcalinizzare le urine facilita l'eliminazione di sostanze debolmente acide. Mentre acidificando le urine con il cloruro d'ammonio si facilita l'eliminazione di sostanze debolmente basiche come le amfetamine. alterazioni della clearance→ ad esempio i pazienti psicotici che assumono litio devono stare attenti all’uso di FANS o diuretici in quanto queste sostanze bloccano la clearance (ovvero l'eliminazione) del litio. Rallentando la sua eliminazione aumentano la concentrazione di litio e la sua tossicità. competizione con carries→ la somministrazione di penicilline in contemporanea con probenecid è stata scoperta e usata negli anni della guerra: i medici avevano scoperto che dando una dose minore di penicillina associata al probenecid si inibiva la secrezione renale della penicillina, quindi si aumentava l'emivita della penicillina e di conseguenza anche la sua attività terapeutica. Questo permise di curare più soldati. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 13/10/2022 Prof.ssa Silvia Zucchini S: Castaldini R: Zen Interazioni tra farmaci – continuo 1. Interazioni farmacodinamiche Si presentano alcuni esempi di interazioni tra farmaci che possono avere un effetto finale sinergico- additivo, andando a potenziare l’uno l’effetto dell’altro. Questo può portare ad un potenziamento dell’attività terapeutica, oppure ad effetto finale antagonista, che talvolta può essere un effetto finale desiderato. Effetto finale additivo o sinergico: potenziamento dell’attività terapeutica - TCA (antidepressivi triciclici) e atropino-simili (es. antistaminici): tra i loro effetti non primari hanno un effetto anticolinergico. Ad esempio, l’amitriptilina (antidepressivo appartenente alla famiglia dei TCA), oltre ad inibire i trasportatori della noradrenalina (NET) e della serotonina (SERT), blocca anche i recettori dell’acetilcolina, portando ad un effetto di antagonismo a livello colinergico che può dare, assieme all’uso degli antistaminici, un potenziamento della sindrome anticolinergica centrale, con disturbi cognitivi, gastrointestinali, ritenzione urinaria, etc. Questo è dovuto ad effetti extra, non prettamente primari legati a questi farmaci. - Levodopa e dopamino-agonisti: in questo caso si ha il potenziamento dell’effetto terapeutico del farmaco. Entrambi lavorano per aumentare il livello di dopamina, quindi ci può essere un risparmio nei dosaggi di levodopa. - Co-somministrazione di due farmaci che agiscono con meccanismo d’azione diverso, che però porta ad un aumento della concentrazione di serotonina a livello centrale, come SSRIs/TCAs e iMAO, può dar luogo alla sindrome serotoninergica; sindrome importante, talvolta anche con risvolti gravi. - Alcol e benzodiazepine, agendo su siti diversi ma sullo stesso recettore GABAa, possono potenziare la sedazione. Effetto finale antagonista (gli esempi riportati riguardano tre composti che agiscono come antidoti): - Morfina – naloxone: il naloxone è un antagonista mu-oppioide e viene utilizzato nei casi di intossicazione da morfina. - Benzodiazepine – flumazenil: il flumazenil si lega sullo stesso sito del recettore GABAa sul quale si legano le benzodiazepine, quindi è un antagonista competitivo delle BZD e può essere utilizzato in caso di intossicazione da BZD. - TCA – fisostigmina: la fisostigmina è un inibitore delle acetilcolin-esterasi, mentre i TCA possono agire dando un effetto colinergico che può portare ad una sindrome anticolinergica centrale; perciò, la fisostigmina bloccando le acetilcolin-esterasi permette il mantenimento dell’azione colinergica. Siti dove si studiano interazioni e reazioni avverse: www.farmacovigilanzasif.org www.pharmamedix.com Interazione tra erbe e farmaci 1. Introduzione e tipo di interazione Sono possibili anche interazioni tra il mondo vegetale e i farmaci. Nell mondo, la percentuale di persone che si cura mediante l’utilizzo di droghe vegetali è molto più alta rispetto a chi lo fa utilizzando farmaci, con la falsa idea che sia più sicuro o più naturale. Gli eventi gravi di tossicità dovute ad interazioni tra erbe e farmaci sono abbastanza rari, e non si riesce a stimare l’entità del problema perché la gente non ritiene di dover dichiarare l’uso di droghe vegetali. Le informazioni di cui si dispone provengono maggiormente da case reports, non da studi clinici, anche se si stanno effettuando studi su volontari sani per verificare l’effettiva presenza di interazioni. Questo costituisce un problema perché anche chi sta dal lato vendita (farmacista o erborista) non si accerta se il paziente che ha di fronte, oltre alla sostanza omeopatica o a base vegetale, assuma o abbia assunto altri farmaci che possano potenzialmente interagire. Un altro problema legato alla tossicità di queste interazioni è legato anche alla non identificazione di sostanze che possano eventualmente interagire, perché si ha difficoltà a capire se il farmaco che si assume sia puro (esempio di quando assumeva un antipertensivo che è stato poi ritirato perché conteneva contaminanti cancerogeni). Di fatto, le confezioni di erbe difficilmente subiscono controlli di tipo analitico, o riportano i solventi con cui vengono trattate (prodotti potenzialmente tossici, pesticidi, metalli pesanti). Le interazioni, come per i farmaci, possono essere su base farmaceutica, farmacocinetica e farmacodinamica. Su base farmaceutica, ci possono essere, ad esempio, droghe vegetali contenenti fibre che, a livello intestinale, possono dare luogo a strutture o mucillagini che legano e inattivano altri farmaci e ne impediscono l’assorbimento. A livello farmacocinetico, si possono avere interazioni che bloccano prima o dopo l’assorbimento. A livello farmacodinamico si possono avere interazioni sul piano del meccanismo d’azione. 1.1 Succo di pompelmo https://www.ilpost.it/2020/10/18/pompelmo/ Il pompelmo è insidioso dal punto di vista delle interazioni perché contiene dei flavonoidi (naringina, narigenina, quercetina, etc.) che interagiscono con dei citocromi, inibendoli. L’inibizione dei citocromi può avere un effetto positivo per quel che riguarda la biodisponibilità. Tuttavia, si è visto che il pompelmo può avere anche degli effetti opposti: a seconda dei farmaci con cui interagisce, si può avere effetto di blocco dell’enzima, con aumentata concentrazione di farmaco nell’organismo (inibizione di citocromi che mediano il metabolismo di alcune sostanze, tra cui le statine). Ad altri livelli, con gli antistaminici (come la pepsofenadina) può avere un effetto differente, bloccando i trasportatori anionici a livello intestinale e determina una riduzione della biodisponibilità del farmaco (è presente meno farmaco disponibile per l’effetto terapeutico). In questo caso, si ha un mancato effetto. In generale, è una condizione che accomuna tutti gli agrumi (vedi bergamottina). 1.2 Erba di San Giovanni (Hypericum perforatum) L’erba di san Giovanni è un’erba molto diffusa, e forse una pianta che interferisce maggiormente con gli altri farmaci. Questa pianta ha funzione antidepressiva, con un meccanismo d’azione simile agli SSRIs, inibitori del reuptake della serotonina. È molto meno efficace di quest’ultimi, possedendo solo un 20% della loro efficacia. Tuttavia, può dare interazione di tipo farmacocinetico (in particolare, farmaco-metabolica) perché è induttore di CYP3A4, CYP2A1 e CYP2C9/19, oltre alla glicoproteina T, che è responsabile dell’esclusione dalle cellule di alcuni farmaci. Presenta interazioni con la warfarina, con contraccettivi orali (possibilità di gravidanze indesiderate dovute ad un iper-metabolizzazione del farmaco), con ciclosporina (case report riportano una riduzione della biodisponibilità in un caso di trapianto, con l’eventualità di episodi di rigetto di trapianto), ma anche con anti-retrovirali ed anti-tumorali. Su base farmacodinamica, essendo un inibitore del reuptake della serotonina, se si assume in concomitanza con altri farmaci che agiscono allo stesso modo aumentando la concentrazione di serotonina a livello sinaptico, si ha una sindrome serotoninergica (che comprende disturbi cognitivi, autonomici e somatici). Viene antagonizzato dalla ciproeptadina, un antistaminico che possiede anche un’azione anti-serotoninergica. 1.3 Ginkgo (Ginkgo biloba) È una pianta conosciuta sin dall’antichità. Se ne utilizzano soprattutto decotti derivanti dalle foglie, e viene utilizzata come favorente le capacità cognitive e la memoria. Può essere anche utilizzato per disturbi cardiocircolatori, poiché è un vasodilatatore. Ha effetti antiossidanti ed anti-apoptotici. In generale, soprattutto utilizzato nelle forme di demenze senili di natura vascolare, o con l’Alzheimer, non solo per gli effetti anti-apoptotici ma anche per gli effetti sugli aggregati di !- amiloide. Nel ginkgo sono presenti alchil-fenoli, flavonoidi, terpenoidi; alcune sostanze tra cui quercitina, bilobalide, ginkgolide B. Anche in questo caso, dati di letteratura riportano degli effetti contrastanti per quel che riguarda le interazioni su base farmacocinetica e farmacodinamica. Alcuni dati riferiscono che è un induttore di enzimi microsomiali epatici come il CYP3A4, altri suggeriscono che ne è un inibitore; per tale ragione, gli effetti non sono del tutto chiari. Nonostante ciò, studi clinici escludono interazioni importanti con alcune delle maggiori classi di farmaci. Si è visto che possiede anche un’azione anti-piastrinica, come inibitore del PAF, ma sono presenti alcuni case report nei quali, in combinazione con warfarin o altri anti-aggraganti come i FANS, può dare forme emorragiche anche a livello cerebrale. Inoltre, possiede anche un’azione a livello del recettore GABAa, dove sembra avere degli effetti paradosso; a volte sembra potenziare gli effetti sedativi di alcuni farmaci, ma in altri casi può dare luogo a convulsioni. 1.4 Aglio (Allium sativum) L’aglio possiede una miriade di effetti ed è una pianta conosciuta da oltre 5000. Nell’aglio sono presenti alcuni principi attivi, tra cui agliina e aglicina, quelle in contenuto maggiore identificate. Tra gli effetti si annoverano una inibizione selettiva del CYP2E1 e un’induzione delle glicoproteine D. Sono state viste interazioni con la warfarina, o alterazioni farmacocinetiche di altri farmaci come gli antiretrovirali, il paracetamolo e tutti quelli che vengono metabolizzati da CYP2E1. 1.5 Camomilla (Matricaria recutita) La camomilla viene utilizzato come antinfiammatorio ad uso esterno ed interno, per disturbi gastrointestinali. Può essere usata come anti-spasmodico, per problemi legati alla motilità gastro- intestinale. I principi attivi sono le cumarine, che inibiscono il CYP3A4; la camomilla, quindi, può interferire con tutti quei farmaci che vengono metabolizzati da questo enzima. Sono stati segnalati anche effetti anti-coagulanti, che in sinergia con la warfarina hanno dato casi di emorragia. 1.6 Ginseng (Panax ginseng) Il ginseng è una pianta coltivata soprattutto nei paesi orientali. Possiede dei rizomi che vengono utilizzati per ottenerne i principi attivi, che sono i ginsenosidi. Questi possiedono effetti stimolanti, simili a quelli del cortisone, poiché agiscono a livello ipotalamico aumentando la corticotropina, e a cascata, agisce sull’adenoipofisi, con produzione dell’adrenocorticotropina, che va ad agire a livello delle ghiandole surrenali, aumentando i livelli di cortisolo circolanti, rialzando il tono dell’individuo. Hanno effetto stimolante ed energizzante. Nonostante ciò, sembrano interagire con alcuni farmaci, non si sa bene attraverso quali meccanismi d’azione, inducendo epatotossicità ed aumentando gli effetti collaterali (inibendo le fosfodiesterasi). Anche in questo caso gli effetti anti-coagulanti della warfarina vengono potenziati. 1.7 Liquirizia (Glycyrrhiza glabra) La liquirizia possiede tante buone proprietà, tra le quali protezione della mucosa gastrica e del tratto gastro-intestinale, prevenzione dell’ulcera peptica, ed effetti a livello delle vie respiratorie. Tra i principi attivi si hanno la glicirrizina e l’acido glicirretico. Si può avere induzione del CYP3A4, ed induzione della metabolizzazione di tutti i farmaci che vengono metabolizzati per mezzo di questo citocromo. Attraverso un meccanismo aldosterone- simile, aumenta la ritenzione idrica, la pressione sanguigna e l’ipokaliemia; quindi, può interagire in modo avverso con tutti i farmaci antipertensivi. Inducendo l’ipokaliemia, in tutti quei farmaci in cui l’equilibrio del potassio è importante, si può andare incontro ad effetti tossici dei digitalici e dei glicosidi digitalici. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 14/10/2022 Prof. Silvia Zucchini S: Cassetta Davide R: Capodaglio Enrico IL FEGATO Struttura e anatomia È l’organo più importante quando si parla di effetti tossici, è un organo centrale, sia per la sua posizione a livello anatomico e sia perché attraverso il fegato passa tutto quello che noi mangiamo e assumiamo per bocca, quindi anche tutte le potenziali sostanze tossiche (organismi xenobiotici e sostanze di scarto dei batteri). Nel fegato avvengono tutte le principali funzioni di omeostasi metabolica per tutto l’organismo, qui vengono prodotti gli enzimi epatici ed è anche sede di tantissime reazioni metaboliche che regolano l’omeostasi dei carboidrati e dei lipidi (sintesi e degradazione di trigliceridi, colesterolo). C’è un ritorno venoso dallo stomaco e da tutto l’intestino verso la vena porta, che va al fegato suddividendosi in rami venosi di calibro sempre inferiore fino a raggiungere l’epatocita (che è l’unita funzionale del fegato), da qui riemergono le vene epatiche che andranno a convogliarsi verso la vena cava che porterà nella circolazione sistemica tutte le sostanze. Sempre a livello epatico troviamo i dotti biliari e la bile, che è un altro prodotto molto importante e viene secreto, al bisogno, nel nostro intestino, al momento della digestione. Una sostanza può essere bioattivata nel fegato, nel caso di sostanze importanti per l’organismo o che vanno a costituire vie fisiologiche fondamentali, ma c’è anche la possibilità che la sostanza venga resa più tossica o detossificata. Il fegato è il secondo organo più grande nel nostro corpo (come estensione) ed è costituito da parenchima di tessuto epiteliale (epatociti). È suddiviso in due lobi, lobo sinistro e lobo destro, ed in lobuli epatici che sono strutture di forma esagonale costituite da parenchima epatico, il quale è formato da epatociti, assieme a dotti venosi, dotti arteriosi e dotti biliari. In particolar modo ai bordi di questi lobuli c’è la cosiddetta triade portale, costituita dall’arteria epatica, da una ramificazione della vena porta e dai dotti biliari. Dalla vena porta ci sono poi delle ramificazioni ancora più piccole che vanno a costituire i capillari sinusoidi, piccoli vasi distribuiti nel lobulo epatico. Al centro di questa struttura esagonale abbiamo la vena epatica (o vena centrolobulare), che si collega alla vena interlobulare che poi va a finire nella vena cava. Oltre al lobulo, come struttura è stato definito, dal punto di vista anatomico, l’acino, che è costituito nella parte intermedia da vena porta e dotto biliare, e ai due estremi di questa struttura abbiamo le due vene epatiche terminali (che sarebbero le vene centrolobulari di due rispettivi lobuli epatici). Questa struttura è stata identificata perché sono stati caratterizzati gli epatociti presenti in queste aree perché, diversamente dalla zona di maggior irrorazione, che è quella centrale, qui sono presenti la vena porta (meno ricca di ossigeno) e l’arteria epatica (più ricca di ossigeno). Il luogo dove avviene lo scambio tra questi due vasi potremmo dividerlo in tre zone: la zona 1 è dove gli epatociti sono più attivi da un punto di vista metabolico, sono più ricchi di ossigeno, di mitocondri e quindi hanno un’attività metabolica più intensa; l’attività metabolica andrà a calare verso la zona 3, infatti c’è una sorta di gradiente dalla zona 1 alla zona 3 dove l’attività metabolica tende a diminuire. Sempre a livello di queste strutture non ci sono solo epatociti, cellule endoteliali e vasi, ma ci sono anche altri tipi di cellule, come le cellule di Kupfer, che sono i macrofagi residenti nel fegato deputati difesa e alla produzione di citochine pro-infiammatorie, o come le cellule di Ito, deputate alla produzione del collagene. I capillari sinusoidi sono cellule senza membrana basale che presentano una serie di fenestrature che permettono il passaggio di moltissime sostanze (fino a 200-250 KDa come dimensioni), per diffusione passiva o anche tramite traportatori (trasporto attivo). Nel complesso possiamo dire che attraverso il fegato passano la maggior parte delle sostanze tossiche, ecco perché può essere il primo organo bersaglio dell’azione tossica. Poi, a seconda della sua distribuzione, diffusione, e a seconda delle caratteristiche specifiche della sostanza, si può distribuire ed andare a svolgere le sue attività tossiche in altri distretti, però sicuramente passerà per il fegato. Il fegato è anche deputato alla formazione della bile, dove sono presenti acidi biliari, glutatione e colesterolo, ma dove possono essere anche accumulate una serie di sostanze xenobiotiche, in particolar modo ci possono essere molti metalli, perché gli xenobiotici, quando arrivano nell’epatocita dove per trasporto attivo possono essere direzionati in un senso o nell’altro (o dai dotti biliari all’epatocita o dall’epatocita verso i dotti biliari), se sono affini per il passaggio diretto ai dotti biliari andranno ad accumularsi per poi riversarsi nella bile; quindi la colecisti potrà diventare una sede di accumulo di sostanze tossiche. Queste sostanze tossiche possono ritornare in circolo tramite il dotto coledoco che le rilascia nel duodeno ed essere poi espulse con le feci oppure riassorbite nell’intestino, e quindi tornare nella circolazione sistemica che porterà solo ad aumentare l’emivita degli xenobiotici all’interno del nostro organismo. In alcuni casi è un circolo entero-epatico che viene sfruttato per avere risvolti terapeutici quando si utilizzano farmaci che devono andare a disgregare eventuali calcoli nella colecisti. La bile però può essere un punto di accumulo di metalli pesanti, e questo è ancora peggio quando avviene in pazienti soffrono di malattie genetiche date da deficit di escrezione (per esempio del rame), come il morbo di Wilson. In questa malattia c’è un alterazione di un gene che interferisce sia con l’escrezione del rame ma anche con la capacità del rame di essere immagazzinato nella sua specifica proteina, che lo immagazzina e lo trasporta, se questo quindi non avviene si accumula nel fegato e viene poi distribuito a tutti gli organi dando degli effetti veramente deleteri (a livello del sistema nervoso centrale provoca deficit cognitivi); ed una cosa tipica di questi pazienti (che è anche un chiaro segnale per identificare la malattia) è che a livello degli occhi il rame si accumula formando una sorta di cerchio attorno all’iride. Quindi attraverso la bile possiamo eliminare tanti metalli che possono essersi accumulati, il circolo entero-epatico può ritardare questa eliminazione. Tipologie di danno epato-biliare Il fegato è costituito principalmente da epatociti, quindi saranno anche la cellula target dell’azione degli xenobiotici all’interno di quest’organo, ma ci potranno essere anche bersagli come gli epiteli presenti nei dotti biliari o le cellule endoteliali dei sinusoidi. A seconda del target avremo dei danni diversi. Tra i tipi di danno agli epatociti possiamo individuare: la morte dell’epatocita, causata dall’effetto citotossico degli xenobiotici, come il paracetamolo, etanolo, il rame e altre sostanze chimiche, e può avvenire in due modalità: per necrosi o per apoptosi (nel nostro caso ci interesseremo di più alla morte per necrosi perché avviene più frequentemente in seguito a queste tipologie di danni). Nel primo caso, in seguito alla necrosi, attorno all’area della cellula ormai morta ci sarà la costituzione di un gradiente pro-infiammatorio con la produzione di citochine; per cercare di individuare la fonte dell’effetto citotossico dovremo svolgere un’analisi del sangue andando a vedere i livelli sierici delle transaminasi, che non sono altro che quegli enzimi presenti a livello dell’epatocita, che, una volta deceduto, riversa nel plasma sanguigno. In condizioni standard solitamente il valore di riferimento di questi enzimi è molto basso, nel caso in cui ci siano valori non indifferenti di questi enzimi sarà chiaro indice di danno epatico. La morte di un epatocita può coinvolgere una piccola area, un cluster di cellule, una zona più ampia o, nel caso in cui venga definita panacinare, coinvolge quasi totalmente l’organo portando a danni irreversibili; la comparsa del cosiddetto “fegato grasso” o steatosico, è indice di un’esposizione acuta e cronica a molte tossine. A differenza di un fegato sano, un fegato steatosico presenta un accumulo di lipidi e di tessuto fibrotico a livello della cellula epatica, questo passaggio però è reversibile, cioè un paziente che presenta un fegato steatosico può, seguendo una determinata dieta ed una determinata terapia, ritornare ad avere un fegato funzionalmente sano; nel caso in cui, invece, il paziente non cercasse di curare la sua situazione e continuasse ad abusare di queste tossine (come l’alcol) vedrebbe la comparsa di cirrosi epatica, che poi porterà a problemi di natura sempre più grave (si può arrivare a sviluppare tumore al fegato). Tra i tipi di danno ai dotti biliari possiamo individuare: alterazione del tessuto dei dotti biliari, con conseguenze dirette nella produzione e secrezione della bile, infatti ci sono farmaci (antibiotici, ormoni, sostanze tossiche) che possono dare origine alla colestasi canalicolare, cioè si ha una sorta di riduzione del volume e dell’escrezione della bile, quindi una stasi a livello biliare. Questa condizione altera il processo di escrezione e di conseguenza compaiono i sintomi segnale, ovvero la colorazione giallastra della sclera dei nostri occhi e della nostra pelle, perché provocata appunto da variazioni della concentrazione della bilirubina in circolo. Vengono alterate le funzioni di trasporto a livello locale, nella membrana cellulare dell’epatocita e in quella delle cellule epiteliali dei dotti biliari; questo può portare ad un’aumentata captazione epatica degli epatociti, che comporta una ridotta escrezione ed un aumentato assorbimento di tutti quelli che sono gli xenobiotici a livello delle cellule dei dotti biliari; ostruzione meccanica del flusso della bile, si potrebbe avere una colestasi colangio distruttiva, ossia si verifica un rigonfiamento dell’epitelio biliare che provocherà un’ostruzione del lume del dotto; questo danno cellulare, che avviene prevalentemente per necrosi, porta alla formazione di un’infiammazione in questo tratto. Quindi è una distruzione dei dotti biliari che porta come conseguenza alla morte cellulare, di conseguenza ci sarà la formazione compensatoria di nuove cellule, che purtroppo non saranno uguali a quelle originali, perché comporranno tessuto fibrotico, che costituiranno dei dotti biliari sicuramente meno performanti. Questo danno biliare lo si può identificare attraverso un’analisi del sangue perché si verificherà un aumento delle fosfatasi alcalina, coinvolta in molte reazioni presenti a livello dell’epitelio biliare. Quindi, se queste cellule muoiono riversano a livello plasmatico il loro contenuto, e di conseguenza anche gli enzimi, che ci serviranno come marcatore diagnostico per questa determinata patologia. Il danno ai dotti biliari può essere provocato anche da alcuni antibiotici come l’amoxicillina. Un’altra tipologia di danno è quello a carico dei sinusoidi: in queste patologie avviene una progressiva distruzione delle cellule endoteliali, ed essendo i capillari sinusoidi molto sottili avremmo che gli eritrociti si imbriglieranno nei detriti cellulari dati dagli endoteli danneggiati, provocando un accumulo epatico delle cellule corpuscolate del sangue con conseguente anemia e nel peggiore dei casi shock ipovolemico. Una possibile causa di questa serie di danni può essere data da alte dosi di paracetamolo, oppure le fasi iniziali di questa malattia veno-occlusiva possono essere date da alcuni agenti chemioterapici o da infusi di erbe che contengono questi ultimi (alcaloidi della pirrolizidina, microcistina). Esiste anche una condizione denominata fibrosi, ovvero le cellule tendono a produrre una quantità più alta di collagene, che a livello epatico può provocare la formazione e la divisione in lobuli che porteranno ad una morfologia poco funzionale. Queste cicatrici fibrotiche, che si vengono a creare in seguito alla morte di cellule epatiche, altereranno la struttura del fegato dando un fegato cirrotico. Il paziente che soffre di questa malattia avrà una prognosi infausta perché è un processo irreversibile che porterà alla morte (l’unica condizione per la quale c’è una possibilità di sopravvivenza è un trapianto di fegato). Si possono avere diverse forme tumorali a carico di diverse cellule, epatociti, cellule dei dotti biliari o cellule di sinusoidi, e possono essere dovuti a sostanze xenobiotiche (per gli epatociti possono essere le aflatossine o abusi di ormoni come gli androgeni). Una forma di tumore che si può instaurare nei pazienti è quello a carico delle cellule del Kupfer, perché dagli anni 30-40 fino agli anni 50, soprattutto negli Stati Uniti, si era diffusa la pratica di somministrare ai pazienti che dovevano fare indagini diagnostiche (come una lastra) del diossido di torio radioattivo che ha due caratteristiche principali: ha la tendenza ad accumularsi in queste cellule e ha un’emivita davvero lunga, per tutta la durata della sua emivita (più di 100 anni) continua ad emettere particelle α; in circolazione ci sono ancora circa un milione di persone che hanno subito questa pratica ed il loro rischio di comparsa di cancro alla cistifellea è aumentato di 14 volte, mentre per il fegato è aumentato di circa 100 volte, presentano quindi una predisposizione a questi tumori a causa della presenza di questa sostanza nel loro corpo che non riescono ad eliminare. Epatossicità Per condurre studi sulla tossicità a livello epatico si utilizzano organi isolati in vitro, principalmente di origine animale, che in un certo senso sono meglio visti rispetto all’utilizzo di procedure invasive (che determinano sofferenza) sull’animale. I vantaggi di sfruttare questa metodologia è che in vitro ci sono molte meno variabili di cui tenere conto, rendendo più “semplice” l’esecuzione dello studio, mentre lavorare direttamente sull’animale comporta la valutazione dell’organismo nella sua totalità, bisogna considerare la metabolizzazione, la distribuzione e tutto ciò che ne deriva. Oltre ad isolare l’organo c’è la possibilità di condurre lo studio anche sulle cellule isolate, quindi preparazioni sub-cellulari, che permettono di studiare a livello di quale cellula del fegato avviene l’effetto tossico, e attraverso preparazioni cellulari o co-culture (sapendo che nel nostro organismo alcune cellule sono affiancate ricreo, ad esempio, la vicinanza che c’è tra gli epatociti e le cellule dei dotti biliari utilizzando due piastre contenenti una tipologia di cellule una e una tipologia di cellule l’altra, e le sovrappongo, posso così valutare la conseguenze tossiche su entrambe le cellule ed il loro comportamento). Possiamo avere a livello degli epatociti la distruzione del citoscheletro, che può essere provocata da diverse sostanze come la microcistina, che è una sostanza che possiamo ingerire tramite i pesci perché prodotta da dei cianobatteri che si trovano nelle acque, è altamente tossica per gli epatociti perché in grado di entrare tramite un carrier e in base alla concentrazione può verificarsi un’intossicazione elevata o una più leggera. Possiamo avere una diversa alterazione del metabolismo del citoscheletro, le proteine microtubulari che vanno a comporlo vengono defosforilate dalle fosfatasi o fosforilate dalle chinasi. La microcistina ad alte concentrazioni provoca un’attivazione massiccia di queste proteine provocando un’alterazione della struttura del citoscheletro che porta ad un collasso dell’impalcatura dei filamenti di actina e ad una deformazione dell’epatocita. A dosaggi minori invece porta essenzialmente all’attivazione di una sola di queste proteine microtubulari, la dineina, e l’eccessiva attivazione di questa proteina porta ad un blocco dell’escrezione di questa cellula; non danneggia come una dose massiccia però danneggia comunque l’epatocita. Possiamo avere anche, sempre a livello dell’epatocita, un accumulo di tossine, i composti lipofilici attraverseranno la membrana per diffusione passiva mentre le altre sostanze possono essere captate; possiamo avere epatotossicità da cadmio perché può verificarsi una saturazione della metallotioneina (proteina che complessa il metallo), oppure anche da ferro se c’è un eccesso che supera la capacità di immagazzinamento della ferritina. Il danno a livello mitocondriale delle cellule epatiche può essere dato da sostanze che vengono utilizzate per l’epatite B o per la cura dell’AIDS, ossia degli analoghi nucleosidici; questi analoghi, che dovrebbero bloccare la replicazione virale, possono essere anche incorporati dal DNA mitocondriale (che ha minor capacità di riparazione rispetto al DNA cellulare) provocando un danno. Allo stesso modo un abuso di alcol può causare un aumento delle specie reattive dell’ossigeno portando ad un possibile danno diretto al mitocondrio, proprio dove c’è accumulo di acetaldeide. Può capitare che alcuni farmaci diano epatotossicità a causa di combinazioni di reazioni avverse e difetti genetici, possiamo avere epatotossicità idiosincrasica immuno-mediata (di tipo allergico) o non immuno-mediata (di tipo non allergico). Quindi in questo caso è importante valutare tramite analisi genomica il DNA del paziente, questo viene sempre fatto solo per i farmaci per i quali c’è la possibilità di sviluppare un effetto tossico molto importante, per altri farmaci invece non ci sono dei test genomici per valutare le reazioni idiosincrasiche. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi TOSSICITÀ D’ORGANO: SISTEMA RESPIRATORIO Nell’ultima lezione abbiamo parlato del fegato come organo centrale per l’effetto tossico di molti xenobiotici ma anche di molti farmaci. Abbiamo visto che è un organo importante perché può bioattivare, detossificare e svolgere una serie di funzioni. Anche il sistema respiratorio risulta essere un sistema altrettanto importante. Si era detto che le vie di esposizione all’azione del tossico potevano essere la via orale, la via inalatoria ed il contatto diretto attraverso la cute. Si deduce dunque che la via inalatoria è importante, perché il tossico inalato può avere due effetti:  Locale a livello del sistema respiratorio (a livello dei polmoni e tutto ciò che costituisce l’apparato respiratorio);  Assorbito lo xenobiotico (passaggio dall’aria al sangue), questo può essere diffuso e distribuito in circolo e può svolgere azione tossica anche in un organo distante rispetto al polmone. Si parla di tossicologia inalatoria se lo xenobiotico ha effetti tossici sui tessuti polmonari e su organi distanti dopo essere stato assorbito per via inalatoria e di tossicologia del tratto respiratorio se ha effetto tossico a livello del tratto respiratorio con il quale entra in contatto. Apparato respiratorio: struttura e funzione A livello anatomo-funzionale, l’apparato respiratorio si divide in due zone:  Regione naso-faringea Quando respiriamo l’aria entra nel nostro organismo attraverso naso o bocca, e da qui passa attraverso tutte le vie aree arrivando alla faringe. In quest’area abbiamo, a livello della regione nasale, un epitelio altamente vascolarizzato e delle cellule ciliate. Sulle cellule epiteliali che tappezzano la mucosa nasale è presente un fluido. In generale, le funzioni delle vie aree nasali sono quelle di scaldare ed umidificare l’aria, trattenere le particelle più grosse ed evitarne l’assorbimento e la capacità di effettuare il dilavamento con i gas solubili. I gas maggiormente solubili, proprio per la presenza di questo fluido a livello delle cellule dell’epitelio nasale, i gas si sciolgono in esso e possono essere o assorbiti o, in caso siano gas irritanti, possono essere eliminati (soffiando il naso o starnutendo. Ci sono dunque dei rilessi difensivi che ci aiutano ad eliminare sostanze irritanti). Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi  Regione tracheo-bronchiale In questa regione abbiamo la trachea che si divide in bronchi che costituiscono l’albero bronchiale con bronchi che via via diventano di diametro inferiore, fino ad arrivare ai bronchioli terminali. Poi ci sono cellule epiteliali ciliate e non ciliate (sierose e non sierose). Successivamente vedremo com’è costituita l’unità funzionale polmonare che è un acino. Esso è costituito dal bronchiolo terminale che termina poi negli alveoli. Poi c’è tutto l’apparato vascolare che è dato dai capillari delle arterie polmonari e delle vene polmonari. Quello che succede è: attraverso la bocca ed il naso entra l’aria che, passando attraverso faringe e trachea, si distribuisce attraverso i bronchi verso i bronchioli, fino a raggiungere i bronchioli respiratori e gli alveoli dove, in questi ultimi, avvengono scambi gassosi tra O2 e CO2. L’unità funzionale è l’acino, costituito da strutture alveolari attorniate dalla vascolarizzazione. Nel polmone adulto abbiamo 300 milioni di alveoli. Gli alveoli sono costituititi da due tipi di cellule:  cellule di tipo I. Sono le più presenti (sono presenti per più del 90% a livello alveolare), sono le più vicine all’endotelio capillare e dunque ai vasi, sono le cellule che permettono lo scambio tra aria (con le sostanze contenute a livello gassoso) ed il sangue;  cellule di tipo II (5% di tutte le cellule alveolari), sono cuboidali e producono il surfactante, il quale è un tensioattivo che facilita i movimenti respiratori ed anche la fluidità del passaggio delle sostanze tra l’aria ed il sangue. Le due tipologie di cellule sono sostenute da cellule mesenchimali che costituiscono i fibroblasti, che formano, attraverso la presenza di setti ed assieme ai fasci muscolari, la struttura del polmone. Sono in grado, dunque, di sostenere queste piccole unità funzionali del polmone. I fibroblasti sono molto importanti perché se questi sono in numero adeguato e normale, allora non producono troppo collagene e quindi conferiscono al polmone una struttura reticolare fibroelastica che gli permette il movimento di espansione e contrazione, assieme ai capillari delle vene polmonari ed arterie polmonari. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi Queste caratteristiche fisiologiche le abbiamo accennate parlando dell’assorbimento. A livello dell’epitelio alveolare c’è una stretta vicinanza tra le cellule epiteliali e le cellule alveolari, la vicinanza quale costituisce una grandissima superficie d’assorbimento. Questa superficie elevata facilita molto l’assorbimento, permettendo elevate concentrazioni locali e limitando gli effetti sistemici. Tuttavia, nell’immagine vediamo l’arteria polmonare in cui è presente sangue povero d’ossigeno: si ha lo scambio gassoso in cui l’eritrocita non ossigenato rilascia CO2 e acquisisce poi O2 dal sangue ossigenato, per rientrare in circolo. Come possiamo valutare lo scambio gassoso a livello funzionale? Ci sono diversi parametri che possono essere valutati come la ventilazione, la perfusione la diffusione. 1. La ventilazione è quanto polmone riesce ad espandersi nel caso in cui l’espansione sia massima (è il V tot di aria); 2. La perfusione dipende anche dal flusso ematico: siccome il polmone è uno degli organi più perfusi, esso riceve tutto sangue proveniente dal ventricolo destro. Quindi, attraverso il polmone passa una grande quantità di sangue che può portare grandi quantità di xenobiotici. 3. La diffusione: ci dà idea degli scambi gassosi tra gli alveoli ed i capillari polmonari che avvengono a livello di queste aree disponibili allo scambio. Patogenesi del danno polmonare causato da agenti chimici Il danno polmonare può dipendere essenzialmente da due fattori principali:  Dal livello di idrosolubilità Es. L’anidride solforosa SO2 è molto solubile e non va oltre il naso: a livello del naso, se inspirata, non si scioglie a livello dei fluidi e non raggiunge gli alveoli. A livello nasale può essere buttata fuori o attraverso i sistemi di clearance aspecifica (attraverso starnuti), oppure attraverso “l’ascensore mucociliare” che permette il passaggio di questi fluidi dalla cavità nasale, attraversando la faringe e l’esofago fino al sistema gastro-intestinale. Ma ci sono tanti altri gas o agenti chimici gassosi, come il CO, che arrivano a livello alveolare e che possono entrare in circolo. Il CO si sostituisce all’O2 e dà luogo ad un sangue poco ossigenato (emoglobinemia).  Dalle dimensioni delle particelle Possono essere di dimensione diverse. Ci sono tante leggi che regolano il movimento delle particelle dalla regione naso-faringea alla regione alveolare. Per arrivare a livello alveolare le particelle devono essere molto piccole (1 micron); le particelle di dimensioni da 1 a 5 micron arrivano fino alla regione bronchiale, quelle che vanno dai 5 ai 30 micron arrivano alla regione naso-faringea. Le particelle, quindi, possono essere assorbite a diversi livelli dell’albero respiratorio a seconda della loro dimensione. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi Ci sono leggi della fisica diverse che governano il loro deposito sulla superficie epiteliale. Infatti, se le particelle sono molto grandi intervengono fenomeno di impatto inerziale, se sono un po’ più piccole abbiamo processi di sedimentazione e così via. Per arrivare a livello alveolare dobbiamo far sì che le particelle si diffondano. Dunque, la regolazione attraverso le leggi della fisica, permette l’assorbimento delle particelle a diversi livelli dell’albero tracheo-bronchiale. Anche la respirazione può influenzare la deposizione di particelle a livello dell’albero bronchiale. Per questo motivo bisognerebbe fare attività fisica in ambienti ventilati da aria sana. Durante l’attività fisica aumentano gli atti respiratori ed aumenta dunque l’assorbimento a livello polmonare. Allo stesso modo, trattenere il respiro quando si pensa di respirare un’aria inquinata, incrementa la possibilità delle particelle di depositarsi, dato che durante un atto respiratorio normale le piccole particelle vengono espirate. L’espirazione è dunque il primo metodo che ci permette di buttare fuori gli xenobiotici più piccoli, e ci tutela da un possibile effetto tossico. È molto meglio cercare di mantenere una respirazione normale per buttare fuori ciò che entra. Meccanismi di difesa del polmone Ci sono dei meccanismi di difesa del polmone che ci proteggono da eventuali agenti infettivi, polveri e gas. I meccanismi di difesa possono essere specifici ed aspecifici. I meccanismi di difesa aspecifici sono la clearance tracheo-bronchiale e clearance nasale. Attraverso questi sistemi di clearance possiamo eliminare e quindi difenderci dalla potenziale azione tossica di una sostanza; La clearance nasale ci permette di espellere determinate sostanze o attraverso l’espulsione dell’aria forzata attraverso il naso oppure attraverso l’ascensore mucociliare, in cui la vibrazione delle ciglia dell’epitelio trasporta il muco verso la glottide e viene deglutito. Però è bene ricordare che la clearance nasale o meglio, la clearance polmonare in generale, può non voler dire clearance dell’organismo. Questo perché, attraverso l’ascensore mucociliare lo xenobiotico portato a livello intestinale poi può essere assorbito. Dunque, questi meccanismi di difesi non sono del tutto risolutivi. Uguale è il discorso a livello della clearance tracheo-bronchiale. A livello tracheo-bronchiale si ha l’ascensore mucociliare che può trasportare le particelle ai macrofagi (presenti a livello alveolare che intrappolano particelle ed agenti infettivi, allergeni etc.) i quali poi vengono deglutiti e possono essere assorbiti a livello del tratto gastro-intestinale. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi Le due clearance si riassumono in generale nella clearance polmonare con:  intrappolamento delle sostanze nel muco e “ascensore mucociliare”;  fagocitosi, quindi macrofagi carichi di particelle che poi vengono, attraverso l’ascensore mucociliare, ingeriti;  assorbimento a livello alveolare e del circolo linfatico a seguito di fagocitosi. L’effetto di gran lunga più pericoloso, è la possibilità che nei polmoni, a livello delle cellule alveolari e dei macrofagi interstiziali, vengano intrappolate fibre ultrasottili (asbestosi). Queste particelle intrappolate fanno sì che queste particelle siano potenzialmente dannose poiché insolubili, rimangono a lungo nel polmone causando danni a lungo termine. NB. L’asbestosi è l’inalazione dell’amianto. Oltre ai meccanismi di clearance che sono meccanismi di difesa aspecifici, abbiamo meccanismi di difesa specifici come:  La risposta immunitaria, con produzione di immunoglobuline. I primi effetti sono quelli di broncocostrizione ed asma. Questo può essere a carico di diossido di zolfo, ozono, toluene, isotiocianato, a volte si parla di asma di tipo occupazionale;  Nel caso di danno citotossico a livello polmonare, muoiono cellule di tipo I che vengono sostituite da cellule di tipo II o da cellule del tessuto mesenchimale, creando così dei fibroblasti. I fibroblasti, trovandosi in numero superiore al normale, conducono l’iperproduzione di collagene. Quindi la proliferazione di fibroblasti porta al danno fibrotico a livello polmonare. Risposte acute del polmone al danno Quali sono le risposte al danno in acuto? In acuto, oltre alla proliferazione cellulare a seguito di un danno citotossico, le risposte più acute sono:  Broncocostrizione. A livello dei bronchi sono presenti i recettori muscarinici (M3) che, se stimolati dall’acetilcolina, si ha broncocostrizione. Ci sono agenti irritanti, inquinanti, atmosferici colinergici che inducono broncocostrizione (contrazione della muscolatura liscia bronchiale);  Carico ossidativo cellulare. Si può avere la possibilità di formazione di specie reattive dell’ossigeno, radicali liberi, attraverso l’inalazione. Per esempio, i radicali liberi generati per inalazione dell’ozono, del diossido di azoto e di fumo di tabacco etc. possono indurre un carico cellulare ossidativo eccessivo e quindi morte cellulare;  Edema polmonare tossico. L’edema polmonare è un fenomeno essudativo, si ha aumentata permeabilità cellulare che porta ad uno stravaso di liquidi, di proteine plasmatiche dal distretto vascolare alla superficie alveolare con conseguente riduzione degli scambi gassosi e della riduzione del calibro delle vie aree. Questo può essere indotto da alcune sostanze che provocano anche infiammazione, che è alla base dell’alterata permeabilità vascolare. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi Risposte croniche del polmone al danno Quali sono le risposte al danno cronico? Ci sono danni che sono dovuti ad un’esposizione cronica ad uno xenobiotico:  Enfisema: alterazione su base infiammatoria degli scambi gassosi, questo perché l’infiammazione determina la distruzione delle pareti degli spazi aerei. Il polmone non riesce ad espandersi in modo corretto, quindi non scambia più efficacemente proprio perché c’è una difficoltà di espandersi e di ricontrarsi. Viene meno l’elastina a causa dell’azione delle elastasi. È una proteina polmonare che viene distrutta (anche con l’avanzare dell’età), si ha una riduzione della capacità di espansione e contrazione del polmone;  Bronchite: eccessiva produzione di muco nell’albero bronchiale;  Fibrosi: aumentano i fibroblasti e dunque aumentano i livelli di collagene, il polmone diventa fibrotico (più rigido) ed è incapace di espandersi adeguatamente. Ne consegue la riduzione dell’elasticità polmonare e degli scambi gassosi;  Asma: si ha a livello dei bronchioli e causa vasocostrizione, diminuzione del calibro dei bronchi che può essere provocata da una serie di composti. Molti di questi danni polmonari derivano perlopiù da intossicazioni di carattere occupazionale. Se studiamo lo stile di vita di un fumatore incallito, allora egli potrebbe avere l’enfisema, la bronchite ed anche l’asma (meno i problemi di fibrosi), però tutto il resto è perlopiù dovuto all’esposizione a sostanze tossiche di tipo occupazionale. Oppure, potrebbe essere dovuto ad esposizione nel caso in cui uno viva in un ambiente particolarmente ricco di sostanze tossiche. Le risposte croniche del danno al polmone sono:  Cancro polmonare: ci sono innumerevoli studi epidemiologici che sanciscono il nesso causale tra fumo e tumore ai polmoni. La latenza può essere lunghissima, dai 20 ai 40 anni. C’è aumentata incidenza nei lavoratori esposti all’amianto, al Ni, al Cd, al Cl, al Cr, ai fumi di saldatura e a questi agenti cancerogeni;  Polmone in fase di sviluppo. C’è il problema dell’esposizione passiva di un sistema respiratorio immaturo ed in sviluppo durante la fase prenatale e postnatale; si ha broncocostrizione causata dal fumo passivo che altera gli scambi gassosi (un bambino nato da una madre fumatrice o cresciuto in un ambiente in cui respira fumo passivo, ha vie aeree più spesse e quindi riduzione del calibro dei bronchi). Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi La tossicità a livello dell’apparato respiratorio è causata da: A) Sostanze inalate: 1. Gassose 2. Non gassose (silicati, polveri metalliche, metalli) A) Sostanze assunte per via sistemica che hanno una tossicità organo specifica, quindi che va a coinvolgere direttamente il polmone. Per esempio il paraquat, la bleomicina, la ciclofosfammide, carmustina e 4-ipomeanolo. Sostanze tossiche inalate Tra le sostanze tossiche inalate abbiamo quelle allo stato gassoso in condizioni di temperatura ambiente e tra queste per esempio possiamo avere l’ammoniaca, utilizzata ultimamente per le pulizie casalinghe. Probabilmente per esposizione ai vaporo di ammoniaca si potrebbe avere irritazione del tratto respiratorio superiore ed inferiore accompagnato da edema. La principale sorgente occupazionale deriva dalla produzione di fertilizzante, industria chimica, esplosivi e per esposizione continua a lungo termine può dare bronchite cronica. Successivamente ci sono il Cloro, diossido di zolfo che possono dare bronchiti, broncocostrizioni o bronchite cronica. E poi per esempio il Fosgene che è un gas incolore che ha quell’odore di fieno ammuffito. È un gas molto pericoloso che viene prodotto nelle industrie plastiche ed è intermedio di sintesi di alcuni pesticidi. Questo assorbendosi quando lo inaliamo, a contatto con soluzioni acquose si degrada ad acido cloridrico; e quest’ultimo è un potente irritante e come tale può determinare alterazione a livello della permeabilità delle membrane cellulari e determinare edema, ma anche bronchite e fibrosi. Altre sostanze tossiche sono gli isocianati e l’ozono. Gli isocianati provocano irritazione delle vie aeree, tosse, dispnea come effetti acuti mentre asma e riduzione della funzionalità polmonare come effetti cronici. L’ozono invece edema polmonare come effetto acuto e fibrosi per effetto cronico. Poi, in generale le sostanze tossiche inalate si possono trovare sotto forma di diverse composizioni. Possono essere sottoforma di aerosol e quindi abbiamo il liquido/solido disperso in un gas. Ci sono anche delle polveri sottili come inquinanti formatesi per processi di polverizzazione (polveri minerali silice, asbesto), triturazione, esplosione. Tra le più pericolose per l’uomo troviamo le polveri sottili PM10 e PM2,5 perché sono quelle che possono raggiungere i livelli più bassi dell’albero bronchiale. Queste polveri e quelle particelle sono presenti nello smog che non è altro che una miscela complessa di polveri e gas inquinanti. Le polveri non trasportano solo loro stesse ma anche altre sostanze tossiche come gli idrocarburi policiclici aromatici. Quindi tutti quelli che sono i prodotti della combustione dei motori diseal e prodotti della combustione di sostanze organiche che possono essere trasportati con queste polveri sottili ed essere inalabili. Oppure i soli fumi che si ottengono sempre per combustione, sublimazione o condensazione di sostanze organiche. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi Sostanze tossiche inalate: metalli Si considera il Cadmio e il Nichel. Del Cadmio si considera la sua tossicità a livello renale, mentre del Nichel oltre ad indurre reazioni allergiche, può per esposizione dare edema polmonare e soprattutto a livello cronico è un potente cancerogeno perché oltre a essere mutageno, può portare le cellule squamose del polmone a carcinoma. Altri composti importanti provocano effetti acuti che sono effetti reversibili (a parte la polmonite da manganese spesso fatale), ma anche effetti irreversibili e quindi insorgenza di tumori. Sostanze tossiche inalate: non gassose Tra le sostanze inalate, non gassose troviamo l’asbesto e queste fibre di asbesto che determinano l’asbestosi derivano da miniere, costruzioni edili, cantieri navali. La IARC è un’international agency che codifica gli xenobiotici cancerogeni in base alle manifestazioni patologiche nell’uomo o/e nell’animale. Ci sono le sostanze che sono assolutamente sicure che non hanno mostrato effetti cancerogeni né per animale e né per uomo. Ci sono invece sostanze che mostrano evidenze cancerogene in animale ma non nell’uomo. Infine ci sono i livelli più alti che sono quelli in cui ci sono evidenze nell’animale e nell’uomo e c’è un assoluto nesso di causalità tra esposizione alla sostanza tossica e insorgenza di tumore come ad esempio nel fumo. Lo IARC 1 ad esempio, è un cancerogeno sia nell’uomo che negli animali. Determina mesotelioma pleurico (dipende molto dalla lunghezza delle fibre), e il tumore può manifestarsi anche a distanza di molti anni dall’esposizione. Tra queste sostanze è presente anche la silice che provocano silicosi. Le silicosi sono una delle più importanti malattie professionali sia in Italia che nel mondo. Le insabbiature nei jeans vengono fatte attraverso polveri di silice (quarzo) da individui che non sono adeguatamente protetti e che nel corso del tempo inalano polveri di silici. Le insabbiature servono per fare delle belle strisciate di colori diversi. Questo succede in Italia, ma anche in Turchia; e dopo essere morte diverse persone per questo motivo, sono state messe delle leggi per cui non si può applicare questa tecnica ma purtroppo vengono usate ancora in Cina, India, Bangladesh e Pakistan. La silice è una polvere insolubile nel nostro polmone per cui si formano questi macrofagi che inglobano questa silice e formano delle cicatrici a livello polmonare. Questi macrofagi si deteriorano quindi formano delle cicatrici e delle fibrosi. È una malattia irreversibile. Un paziente inizia ad avere difficoltà respiratoria, dispnea ed arriva a morire in quanto la silicosi è una malattia letale. Poi abbiamo l’overload di particolato che è lo smog fatto da fumi, gas e particelle. Lo smog ha effetto cronico dato dagli idrocarburi policiclici aromatici e comporta un effetto di riduzione delle difese del polmone, poiché a seguito di un fenomeno infiammatorio, si ha maggior accumulo di particelle dato dalla tipologia di sostanza tossica. Nell’ overload di particolato è presente il naftalene che è uno degli idrocarburi ciclici aromatici che è contenuto nel catrame, petrolio e fumo di sigaretta. Questo viene bioattivato ad epossido e poi a chinone causando necrosi dell’epitelio bronchiolare, con conseguente danno per citotossicità. Dopo questa morte possiamo avere proliferazione compensatoria che però fisiologicamente non è adeguata. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi Lo stesso succede a livello neuronale, a posteriori di crisi epilettiche muoiono cellule inibitorie e nascono cellule ectopiche che sono di tipo eccitatorio (per cui si ha uno sbilanciamento tra eccitazione ed inibizione con propensione all’eccitazione). Si è provato ad educare la risposta di queste cellule neuronali dando dei fattori trofici per cercare di far proliferare più interneuroni inibitori e far diminuire conseguentemente le crisi epilettiche nell’animale. Tutto questo attraverso una terapia genica basata su inoculazione con vettori virali che danno fattori trofici dopo la morte neuronale, dopo il danno. Dopo il danno bisognerebbe intervenire con qualcosa che facesse generare le stesse cellule, non quelle fibrotiche. Sostanze tossiche inalate: sostanze organiche Il percloroetilene è quello che viene dato nelle lavanderie a secco, fa anche un odore sgradevole. Per chi lavora a contatto con questa sostanza organica può dare edema per effetto acuto mentre cancro a fegato e polmone per effetto cronico. Sostanze tossiche assunte per via sistemica: PARAQUAT Il Paraquat è un erbicida (N,N-dimetil-4,4-bipiridionio dicloruro) che provoca nel momento dell’ingestione erosione della mucosa esofagea e mucosa gastrica, quindi infiammazione e danno a livello gastrointestinale con il quale viene in contatto. Ha maggiore tossicità per le cellule polmonari determinando per ossidazione lipidica a livello delle membrane morte cellulare, interviene dunque nei processi redox della cellula. Quindi abbiamo prima una necrosi delle cellule epiteliali della regione alveolare, poi segue un’estesa proliferazione di fibroblasti (morte per fibrosi). La maggior parte di morti che avvengono in seguito a danno citotossico poi sono date dalla fibrosi e dalla insufficienza respiratoria. Sostanze tossiche assunte per via sistemica: tossine alimentari Il 4-ipomeanolo è una tossina polmonare isolata dalle patate dolci infette dal fungo “fusarium solani”. Queste tossine alimentare a causa di un suo metabolita (IPO) sono tossiche a livello epatico, polmonare, renale e determinano necrosi tissutale. Queste tossine alimentari assunte per via sistemica non determinano tossicità solo a livello polmonare, ma hanno alta affinità per il polmone poiché attraverso il polmone c’è un flusso ematico elevato, quindi la circolazione sistemica consente di raggiungere a livello polmonare elevate concentrazioni di questa tossina. Ma hanno elevata tossicità anche a livello epatico poiché ingerite ed assorbite, passano attraverso il fegato, vanno in circolo e in seguito alla bioattivazione epatica c’è questo metabolita attivo che è un composto pirrolico il quale va a livello polmonare. Quest’ultimo è più tossico a livello delle cellule endoteliali e quindi più a livello vascolare rispetto che non a livello delle cellule alveolari. Causa dunque ipertensione polmonare. La Monocrotalina invece è presente in vari tipi di erbe, in cereali e miele. Anch’essa tossica dopo bioattivazione epatica e rilascio del metabolita reattivo e tossico a livello epatico (necrosi epatocellulare). Sostanze pneumotossiche assunte per via sistemica: FARMACI Sostanze assunte come antitumorali/chemioterapici utilizzati per curare il cancro e che hanno importanti effetti tossici a livello polmonare. Tossicologia e metodologie farmacologiche, 17.10.2022 Silvia Zucchini S: Iris Morsello R: Sergiu Cristian Moisi Bleomicina: Tossicità organo-specifica perché i livelli della bleomicina idrossilasi sono bassi a livello polmonare e cutaneo, quindi questo determina un accumulo della sostanza a livello polmonare che non viene metabolizzata a metabolita inattivo, quindi non venendo metabolizzata ha un’azione tossica sulle cellule endoteliali, capillari e le cellule di tipo 1. Quindi determina edema ed emorragia. Infine abbiamo solita morte cellulare, produzione di fibroblasti, fibrosi e danno fibrotico. Ciclofosfamide: E’ metabolizzato a sostanze tossiche per danno, per ossidazione lipidica della cellula e dunque porta a morte cellula (citotossicità). I metaboliti tossici sono l’acroleina e la mostarda fosforammidica. Carmustina: Deplezione degli agenti riducenti. Riduce infatti i livelli di glutatione a livello della cellula, quindi aumenta lo stress ossidativo della cellula. Aumentando lo stress ossidativo c’è la morte cellulare, proliferazione di cellule sbagliate e comparsa di fibrosi polmonare. Valutazione del danno polmonare, a livello sperimentale e clinico Cosa possiamo fare a livello sperimentale? A livello sperimentale possiamo fare sperimentazioni in vivo ed in vitro. Approcci in vitro: polmone isolato e perfuso ( https://www.jove.com/video/52309/metodo-di- isolato?language=italian ). Attraverso il polmone isolato e perfuso si capisce che se si inocula con l’aria delle sostanze tossiche possiamo vedere come variano i parametri di ventilazione, perfusione dell’organo. Ci sono anche una serie di modelli animali in cui l’animale è vivo, ma qui è più difficile avere una valutazione corretta. Ma questo è difficile, come facciamo a simulare l’assorbimento di agenti gassosi inquinanti? Si insuffla dell’aria o del gas di cui si vuole valutare il potenziale effetto tossico dentro a delle boxe dove si fa permanere l’animale, ma è difficile rispetto alla somministrazione attraverso altre vie tipo intra peritoneo o per bocca quantificare quanto agente tossico l’animale inspira perché dipende da tantissimi fattori, e quindi molto spesso viene preferito il polmone isolato e perfuso perché è più controllabile come sistema. Poi è possibile dal polmone isolato fare delle colture cellulari organotipiche che sono delle fette di tessuto che mantengono un po' la struttura del tessuto però non sono grandi come il tessuto. Si può arrivare ad avere le popolazioni cellulari isolate. Quindi a livello sperimentale è possibile fare tutta una serie di valutazioni con questi sistemi preclinici. A livello clinico naturalmente ci sono tutte le valutazioni di funzionalità polmonare che possono essere fatte nei pazienti in studi clinici se dobbiamo valutare la tossicità di una terapia farmacologica ad esempio; e se dobbiamo valutare altri tipi di effetti tossici, sono perlopiù studi di carattere introspettivo e quindi vengono verificati tutti i parametri polmonari come ad esempio la resistenza delle vie aeree e il flusso massimale o l’emogasanalisi. Tossicologia, 19/10/2022 Prof.ssa Silvia Zucchini Sbobinatore: Elena Morandini Revisore: Carolina Dosi TOSSICITÀ D’ORGANO: SISTEMA EMOPOIETICO La tossicologia a carico del sistema emopoietico studia gli effetti avversi che gli xenobiotici possono avere sia sul sangue che sul sistema che lo compongono (elementi corpuscolati). 1. Introduzione Le funzioni del sangue sono molteplici e fondamentali per la vita, quali: Trasporto e cessione di ossigeno ai tessuti Mantenimento dell’integrità vascolare Produzione di diversi componenti del sistema immunitario, necessari come strumenti di difesa Queste varie funzioni del sistema emopoietico richiedono una capacità rigenerativa e proliferativa importante. Ogni individuo, in condizioni fisiologiche, produce un turnover cellulare elevatissimo (1- 3 milioni di cellule al secondo) e questa caratteristica rende il tessuto emopoietico sensibile all’azione degli xenobiotici che agiscono in modo particolare in questi tessuti ad alta capacità rigenerativa. Ci sono molti farmaci che possono manifestare effetti tossici a carico del sistema emopoietico (per esempio farmaci utilizzati nel trattamento di tumori, infezioni, patologie su base immunologica). Dall’immagine riportata a dx, si può notare che da una cellula staminale pluripotente del midollo osseo vengono prodotte tutte le cellule del sangue. La sequenza di produzione di eventi è altamente regolata: vanno dalla proliferazione alla differenziazione dei precursori delle cellule ematiche e si dividono in tre grandi categorie: 1. Leucocitopoiesi, da essa otteniamo principalmente mieloblasti, monoblasti e linfoblasti che danno origine alle cellule del sistema immunitario (leucociti, eosinofili, basofili, neutrofili, macrofagi, cellule B e T). 2. Eritropoiesi, da essa si ottengono gli eritrociti 3. Trombopoiesi, da essa otteniamo i trombociti 2. Eritrociti I globuli rossi (emazie) hanno la caratteristica forma di disco biconcavo di determinate dimensioni e la loro funzione principale è il trasporto di ossigeno dai polmoni verso il tessuto e quello dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni, i quali provvederanno all’espulsione. Sono importanti anche nel mantenimento del pH del sangue, per la risposta immune (attraverso anche l’eliminazione degli immunocomplessi) e perché possono essere vettori o serbatoi di farmaci o tossine. La struttura biconcava gli permette di assumere conformazioni tali da riuscire a passare attraverso vasi sanguigni molto piccoli (capillari). Hanno delle dimensioni che possono essere variabili e, rispetto ad una cellula, i globuli rossi sono privi di nucleo e organelli. Il globulo rosso adulto è quasi esclusivamente costituito da emoglobina (responsabile della trasmissione e del trasporto dell’ossigeno). L’emoglobina è in grado di legare l’ossigeno quando si hanno alte pressioni di ossigeno, quindi dai polmoni ai tessuti periferici; inoltre è in grado di trasportare l’anidride carbonica dai tessuti periferici carenti di ossigeno ai polmoni. In generale, gli xenobiotici inducono, a carico dei globuli rossi, un’alterazione nella produzione, nella sopravvivenza o nella funzione dei globuli rossi stessi. Assieme agli effetti clinici dovuti ad alterazione della massa eritrocitaria in circolo si può manifestare: Anemia, quando si ha una minore produzione o un aumento della distruzione degli eritrociti. Eritrocitosi, quando si ha un aumento drastico del numero di globuli rossi, e si manifesta soprattutto in presenza di sostanze che manifestano affinità dell’ossigeno per l’emoglobina e quindi possono determinare un aumento della massa eritrocitaria circolante. Esami ematochimici che vanno ad esaminare la valutazione dei globuli rossi, la conta dei globuli rossi, concentrazione di emoglobina, il valore di ematocrito e il valore corpuscolare medio forniscono dei parametri che aiutano a valutare una corretta funzionalità dell’eritropoiesi, e l’assenza di effetti tossici a livello degli eritrociti. 3.Tossicità a carico della produzione degli eritrociti La produzione degli eritrociti è un processo continuo che dura 4-5 gg, avviene a livello del midollo osseo dalla cellula staminale mieloide e in seguito alla stimolazione, data dall’eritropoietina, induce la cellula staminale a differenziarsi verso i vari stadi della differenziazione, da: eritroblasti fino a reticolociti (che contengono alcuni organelli come i ribosomi), ed infine si diversificano in eritrociti maturi. L’eritrocita maturo contiene l’emoglobina, quella adulta, è costituita da un tetramero composto da due catene alfa e due catene beta, ognuna delle quali contiene un gruppo eme con Fe2+. Ogni molecola di emoglobina contiene 4 atomi di ferro e può legare reversibilmente 4 molecole di ossigeno. Proprio per la presenza del Fe2+, l’emoglobina assume un colore rossastro. Ogni globulo rosso può trasportare miliardi di molecole di ossigeno e per questo motivo funziona da trasportatore dell’ossigeno. Esistono degli xenobiotici che possono alterare la sintesi della catena globinica, andando a modificare la composizione dell’emoglobina interna agli eritrociti. Tale alterazione porta a un deficit di ferro. Il deficit è dovuto a una carenza di ferro di tipo alimentare oppure può essere dovuto a perdite ematiche (possono essere indotte anche dai farmaci). Ø La carenza di ferro viene chiamata anemia sideropenica Ø Parliamo invece di anemia sideroblastica quando si ha un deficit a carico degli eritroblasti (cellule non ancora private completamente di tutti gli organelli) con danno a livello mitocondriale dovuto al ferro. Ciò avviene a seguito di accumulo di ferro che precipita nei mitocondri con conseguente danno cellulare. Ci sono diverse sostanze (indicate nella tabella a fianco) che possono dare origine ad anemia sideroblastica, come: Anche molti farmaci antitumorali inibiscono l’ematopoiesi (soprattutto eritropoiesi), e la conseguente tossicità midollare potrebbe richiedere un controllo sulla posologia del farmaco. Per questo motivo, durante la terapia tumorale, i pazienti vengono sottoposti a dei prelievi di sangue per controllare la corretta composizione ematica. Come detto precedentemente, il processo di ematopoiesi è un processo rapido e richiede molte divisioni mitotiche e un’attiva sintesi di DNA. Per questo motivo, ci sono sostanze che sono necessarie per la sintesi della timidina (nel DNA) come: vitamina B12 e folati. La carenza di vitamina B12 o folati è la causa di anemia megaloblastica, dovuta ad un difetto della divisione cellulare, quindi abbiamo una macrocitosi, ovvero un aumento delle dimensioni cellulari per alterate sintesi del DNA. Nella tabella a fianco ci sono farmaci o condizioni patologiche che possono andare a interferire con l’assorbimento dei folati o della vitamina B12 e ciò può indurre all’anemia megaloblastica. Si può avere, anche, l’anemia aplastica indotta da farmaci o sostanze chimiche. Può essere ad effetto prevedibile o a reazione idiosincrasica ad uno xenobiotico. Questo effetto è potenzialmente letale perché induce una pancitopenia, che deriva da una deficienza midollare con carenza di tutti gli elementi corpuscolati del sangue periferico. Nella tabella a dx sono riportati alcuni esempi di agenti che inducono anemia aplastica. Ci può essere un ulteriore tipo di anemia aplastica, l’anemia aplastica eritroide pura, dovuta esclusivamente agli eritrociti sia per difetti genetici che per infezioni, farmaci o xenobiotici. Come abbiamo detto, l’emoglobina è una proteina oligomerica con la funzione di trasportatore di ossigeno. Sostanzialmente se noi facessimo una curva di dissociazione dell’ossigeno si avrebbe che: all’aumentare della pressione parziale dell’ossigeno, aumenta la sua saturazione (curva blu). Questo grafico rappresenta la normale curva dell’emoglobina dove, l’interazione cooperativa tra le 4 catene di emoglobina, determina la curva (quindi denota una buona affinità di legame). Tuttavia, ci possono essere dei fattori che possono alterare l’andamento della curva di dissociazione e, questa, può andarsi a spostare verso sx o verso dx. I fattori possono essere: Intrinseci o omotropici: essi possono determinare un aumento della presenza di emoglobina con il ferro allo stato 3+. Il ferro è stato ossidato da ferro 2+ per perdita di un elettrone, però il ferro 3+ riduce la propria capacità di legare l’ossigeno e quindi difficilmente si lega. Questo determina ipossia (riduzione della cessione di ossigeno ai tessuti). Si ha che l’eme, allo stato ferrico 3+, porta alla formazione di metaemoglobina e la presenza di questa emoglobina determina uno spostamento della curva di dissociazione verso l’ossigeno. Questo potrebbe compromettere significativamente la cessione di ossigeno ai tessuti periferici. In genere l’eritrocita normale possiede i meccanismi metabolici che sono in grado di ridurre il ferro ferrico allo stato ferroso, ma la carenza di meccanismi di controllo porta alla produzione di metaemoglobina. La maggior parte dei pazienti è in grado di tollerare anche dei bassi livelli di metaemoglobina (al di sotto del 10%) senza manifestare sintomi clinici. Nella tabella a fianco si osservano una serie di xenobiotici che possono essere associati alla comparsa di metaemoglobinemia. Ossidanti diretti: agiscono ossidando il ferro 2+ a 3+. Alcuni esempi sono l’acqua ossigenata, l’ozono, il rame. Ossidanti indiretti: composti che, come in tutti i meccanismi indiretti, hanno bisogno di essere bioattivati per poi andare ad agire come ossidanti. Alcuni esempi sono le ammine aromatiche e i nitro/azo composti. La metaemoglobinemia può essere anche di tipo ereditario cronica congenita data da un deficit della metaemoglobina reduttasi. I segni clinici dipendono dalla concentrazione della metaemoglobina: Se inferiore al 10% risulta asintomatica Se la concentrazione è superiore al 10% si ha la comparsa di segni clinici, quali: cianosi e ipossia tessutale Se superiore al 35% si ha la comparsa di cefalea, debolezza e dispnea Se è oltre il 70% risulta incompatibile con la vita In queste persone, affette da questa patologia congenita l’unico trattamento effettuato è tramite l’utilizzo di un ossidante come l’acido ascorbico che tende a ridurre il ferro per favorire il legame del ferro dell’emoglobina con l’ossigeno. 4.Tossicità a carico della funzione degli eritrociti Oltre agli effetti intrinseci (come lo stato di ossidazione del ferro, può influenzare la curva di dissociazione) ci sono anche dei: Fattori estrinseci o eterotropici: Ø pH: dall’immagine si può notare che se si aumentasse la concentrazione degli H+ (diminuisce il pH) si avrebbe uno spostamento della curva verso dx con conseguente riduzione dell’affinità per l’ossigeno che ne determina un maggior rilascio a livello dei tessuti. Ø Concentrazione eritrocitaria del 2,3-bifosfoglicerato (prodotto intermedio della glicolisi): esso si concentra maggiormente a livello eritrocitario in quanto i globuli rossi sono privi di mitocondri e hanno bisogno del metabolismo anaerobico lattacido (fermentazione glucosio). Un aumento della concentrazione eritrocitaria, determinata da ipossia cronica, innesca una sintesi dell’intermedio nei globuli rossi, con determinazione dello spostamento della curva verso dx con una riduzione dell’affinità e cessione di ossigeno ai tessuti. Ø Temperatura: l’affinità dell’emoglobina diminuisce all’aumentare della temperatura corporea e in eventi come l’esercizio fisico o la febbre, la curva si sposta verso dx e ciò determina una riduzione dell’affinità dell’ossigeno per l’emoglobina e il rilascio di ossigeno ai tessuti. Tutti gli xenobiotici che possono alterare questi fattori possono andare ad influenzare il corretto funzionamento degli eritrociti e quindi la funzione respiratoria dell’emoglobina, proprio perché questa funzione può essere compromessa dall’alterazione dell’affinità dell’ossigeno per l’emoglobina, e anche dal blocco dei suoi siti di legame da parte di altre sostanze (come il diossido di carbonio). 5.Tossicità a carico della sopravvivenza degli eritrociti Ora tratteremo gli eventi che possono mettere a rischio la sopravvivenza degli eritrociti. Gli eritrociti sono cellule senza nucleo e quando entrano in circolo, l’RNA messaggero residuo scompare rapidamente (1-2 giorni) con l’inizio di un processo: la senescenza. I globuli rossi hanno vita breve (120 gg), vengono eliminati attraverso la milza con il recupero del ferro che viene riutilizzato per la sintesi dell’eme. Per quanto riguarda la tossicità a carico della sopravvivenza, e quindi andiamo incontro ad emolisi (lisi delle cellule eritrocitarie), si può avere una tipologia di anemia emolitica di tipo non immune oppure di tipo immune. Anemia emolitica non immune Si fa riferimento all'anemia microangiopatica data dalla frammentazione intravascolare degli eritrociti (quindi globuli rossi frammentati insieme ai filamenti di fibrina) nel microcircolo e, questo, impedisce il flusso lungo i vasi, andando a creare dei piccoli agglomerati che ostruiscono l'ampiezza del lume vascolare. L'anemia emolitica potrebbe anche essere causata da infezioni dovute a batteri che possono determinare malattie infettive di vario genere (malaria, clostridi) oppure l'anemia potrebbe derivare da un danno di tipo ossidativo. La normale funzione respiratoria degli eritrociti genera uno stress ossidativo che può essere determinato da sostanze ossidanti, quali: blu di metilene, fenolo, idrossilammina, naftalene. Nel caso di un difetto enzimatico si ha il deficit del glucosio 6P con conseguente danno ossidativo. potrebbe anche essere causata da un danno non ossidativo, sempre causata da xenobiotici come: l'esposizione ad inalazione di idruro di arsenico gassoso (derivato dell'arsenico oppure essere un sottoprodotto del piombo) e può determinare emolisi grave con ittero e emoglobinuria. Anemia emolitica immune L'anemia emolitica immune è dovuta ad una distruzione degli eritrociti su base immunitaria, mediata da immunoglobuline (IgG e IgM), verso antigeni presenti sulla superficie dell'eritrocita. Questo meccanismo di tipo immune può essere, anche, causato dall'assunzione di sostanze soprattutto farmaci come: penicillina, chinidina e l'alfa metildopa. La penicillina si può legare alla superficie della cellula e questa formazione dell'aptene scatena la risposta immune e, gli anticorpi prodotti, si legano solo all'eritrocita con legato il farmaco presente sulla superficie dell'eritrocita stesso, determinando una reazione anticorpale contro gli eritrociti con il farmaco legato. 6.Tossicità a carico della serie bianca Si possono avere effetti tossici a carico dei leucociti (monociti, linf

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