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. dell'agricoltura e delle industrie. Nel settore del credito, il presidente Roosevelt emanò il ***Banking Act*** al fine di distinguere le banche commerciali, autorizzate a concedere solo crediti a breve termine, dalle banche di investimento, autorizzate ad elargire anche i crediti a lungo termin...
. dell'agricoltura e delle industrie. Nel settore del credito, il presidente Roosevelt emanò il ***Banking Act*** al fine di distinguere le banche commerciali, autorizzate a concedere solo crediti a breve termine, dalle banche di investimento, autorizzate ad elargire anche i crediti a lungo termine. Furono, poi, stabilite le condizioni per la concessione dei prestiti e le riserve che le banche dovevano avere obbligatoriamente. Inoltre, lo Stato fu autorizzato ad acquistare le azioni delle banche e creare istituti di credito per finanziare i settori economici che bisognava sviluppare. Sorsero così le *Banche Federali per l'agricoltura*, per la concessione di prestiti ipotecari, per i finanziamenti destinati alla costruzione di alloggi e per finanziare il commercio estero. Sempre nel 1933, Il Congresso votò il ***Securities Act**,* che mise le operazioni di borsa sotto il controllo della *Securities and Exchange Commission* (**S.E.C.)**, che nel 1934 ebbe il controllo delle borse e, successivamente, il potere di sciogliere le holdings che riteneva contrarie agli interessi generali del paese. I risultati di questa politica di intervento dello Stato nell'economia cominciarono ad aversi nella seconda metà del 1935, difatti crebbe l'indice della produzione industriale e il numero dei disoccupati scese. **I provvedimenti anticrisi adottati negli altri paesi** In Gran Bretagna la crisi fu meno gravi che in altri paesi. Le manifestazioni di maggior rilievo furono la diminuzione sensibile dei prezzi all'ingrosso e la disastrosa situazione della bilancia dei pagamenti, tanto che la banca d'Inghilterra fu costretta più volte a chiedere il sostegno finanziario alla banca di Francia e della riserva federale degli Stati Uniti. Le banche inglesi, non essendo molto impegnate nei prestiti di lungo termine, non risentirono eccessivamente della crisi; le più colpite dai mutamenti del mercato monetario internazionali furono le *merchant Banks*. I risultati della politica adottata in Gran Bretagna dopo il 1932, portarono ad un aumento delle esportazioni, in particolare delle industrie siderurgiche e meccaniche. Ma, alla vigilia della seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna non ancora aveva liquidato completamente la crisi, le industrie che esportavano prodotti all'estero non si erano tutte riprese, persisteva la disoccupazione e la bilancia commerciale era in disavanzo. In Francia, la crisi mondiale comincia ad avvertirsi nel 1931, allorché i prezzi all'ingrosso scesero. Nonostante tale caduta, furono sempre più elevati di quelli praticati in altri paesi, il che significò la diminuzione delle esportazioni all'estero. Fatto molto grave, poiché le esportazioni rappresentavano 1 / 3 del prodotto razionale lordo francese. Ad aggravare la situazione contribuì la politica di dura deflazione attuata dal governo Laval. Il disagio causato da tale politica che aveva aggravato anche la disoccupazione, favorì la vittoria della sinistra alle elezioni con a capo Leon Blum, che dovette dare precedenza alla soluzione dei problemi sociali. Furono stabiliti gli *accordi di Matignon,* che stabilivano aumenti salariali in base alle categorie di lavoratori, le ferie pagate, contratti collettivi di lavoro e riduzione del lavoro settimanale. Blum, cercò di modificare le strutture economiche e di formare il sistema monetario. Nel settore agricolo l'innovazione più significativa fu la costituzione ***dell'Office Nationale Interprofessionnel du Blé (O.N.I.B.),*** Con diversi compiti: - Riorganizzare il mercato agricolo - Stabilire il prezzo di vendita del grano - Accettare i cereali che gli agricoltori versavano all'ammasso - Costituire la riserva di sicurezza, pari a 600.000 tonnellate di grano - Vendere all'estero la parte di grano eccedente ad un prezzo piuttosto basso, praticando una specie di *dumping* I provvedimenti adottati dal governo Blum non diedero i risultati sperati e, nel 193, il governo venne affidato al radicale Chautemps, che attuò una politica di inflazione, chiese i prestiti alla *Banca di Francia* per sostenere le spese dello Stato e svalutò il nuovo Franco. Nel 1938, il governo fu affidato al radicale Daladier. Il provvedimento più importante che fu adottato riguardò la terza svalutazione della moneta. Con la nuova svalutazione, la moneta francese perse la sua autonomia e oscillò assieme alla moneta inglese. Tuttavia, neanche i provvedimenti del governo Daladier riuscirono a produrre gli effetti sperati. La ripresa dell'economia si ebbe solo nel 1939 con lo sviluppo dell'industria bellica. **Lezione 4** **La politica autarchica e la seconda guerra mondiale** **La politica autarchica in Germania** Con la fine della prima guerra mondiale e la caduta di Guglielmo II, nel 1919, fu convocato a Weimar la costituente che istituì in Germania una Repubblica democratica parlamentare e federale. La nuova Repubblica, tuttavia, ebbe una vita breve, duro fine al 1933, perché dilaniata dei contrasti esistenti tra i partiti. Nonostante l'instabilità politica, nel 1924, fu superata la crisi provocata dal crollo del Marco, con l'aiuto dei prestiti americani si riuscì a pagare una parte delle riparazioni di guerra, reclamate specie dalla Francia, e il paese si avviò rapidamente verso lo sviluppo dell'economia. Tale sviluppo fu improvvisamente interrotto dalla crisi mondiale del 1929. Prima furono colpite le industrie e poi le banche. Il crollo dei prezzi mondiali fu più disastroso in Germania che in altre nazioni, perché esse aveva investimenti all'estero, sovrabbondanza di impianti industriali e stretti legami fra sistema bancario e industria. La crisi colpì particolarmente le banche, perché avevano concesso ingenti finanziamenti alle industrie. Le prime difficoltà cominciarono nel biennio 1929-30, allorché furono costrette a chiudere circa 300 tra piccole banche e casse di risparmio. la violenza della crisi, tuttavia, si fece sentire quando in Austria fallì la *Kredit-Anstalt* (Credito Austriaco). Il fallimento fu dovuto al fatto che il governo obbligò la banca a rilevare *la Baden Kredit-Anstalt*, che versava in grandi difficoltà. I depositanti, in un'atmosfera di panico, si precipitarono a ritirare i loro risparmi dalla banca. La notizia della crisi della banca si diffuse rapidamente in Europa, per cui furono ritirati i capitali non solo dalle banche austriache, ma anche da quelle tedesche. Nella seconda metà di giugno del 1931 la crisi si aggravò per le difficoltà finanziarie dell'industria tessile Nordwolle, che aveva compiuto forti speculazioni sulla lana, con finanziamenti ricevuti da altre banche tedesche. Altre imprese in difficoltà che misero in crisi le banche erano le catene di grandi magazzini Karstad e l'assicurazione Nordstern. Intanto, alla crisi economica si sovrappose la crisi politica. Le elezioni non riuscivano a dare una solida maggioranza parlamentare e nessun partito, così il presidente della Repubblica Paul Hinderburg, fu costretto a nominare i governi privi di autorità, perché senza l'appoggio parlamentare. Furono questi i governi di Brüning, Papen e Schleicher, che ressero le sorti del paese, tra il 1930 e il 1932, e aprirono la strada alla dittatura di Hitler, il quale dopo la morte di Hinderburg, nell'agosto del 1934, divenne anche presidente della Repubblica e assunse il titolo di *führe*r (Duce) della Germania. Da questo momento furono annullati tutti i diritti fondamentali della costituzione di Weimar, poiché il führer accentrò nelle sue mani i poteri amministrativi, legislativi e giudiziari. Per l'agricoltura furono emanate leggi dirette a rafforzare la piccola proprietà, legando il contadino alla terra per mezzo di l'*Erbhof*, proprietà familiare indivisibile e insequestrabile, che poteva essere ereditata da un solo figlio ed essere alienata solo se il proprietario era un vero contadino, ossia appartenente alla razza Ariana. Per assicurare il rifornimento annuale al paese fu costituito un *Reichsnarstand*, che riunì tutti gli imprenditori del settore alimentare. Tali organismi stabilivano la quantità, la qualità e il prezzo dei prodotti da coltivare e i miglioramenti da apportare con nuove tecniche colturali. Il governo, per indirizzare l'attività dell'industria delle aziende commerciali alle proprie direttive si servì delle *camere economiche*, che dipendevano dal ministero dell'economia nazionale. I diversi settori dell'industria e del commercio furono divisi in sei gruppi, ognuno dei quali aveva un capo che prendeva le direttive dal ministero dell'economia. Tali direttive furono ispirate al fatto che l'impresa privata doveva agire nell'interesse delle comunità e, quindi, lo stato erogò i seguenti diritti: ridurre i dividendi che venivano distribuiti agli azionisti; fissare gli stipendi degli amministratori e i salari degli operai; revocare le decisioni delle assemblee dei soci, stabilire la politica produttiva, rinnovare i dirigenti delle aziende e sostituirli con persone di propria fiducia. Si trattava, in realtà, dell'organizzazione di una vera e propria *economia di guerra*. Nel settore bancario, il governo nazista, nel 1934, stabilì con una legge un rigido controllo dell'attività delle banche, che fu attuato da un comitato di sorveglianza che stabiliva l'ammontare delle riserve delle banche e doveva essere informato di tutti i finanziamenti superiori a un milione di marchi che le banche concedevano. Il commercio estero fu notevolmente ridotto, ma non annullato come prevedeva la politica autarchica. Infatti, furono triplicati gli scambi con i paesi della penisola balcanica, dove la Germania acquistava i prodotti agricoli, veicoli, minerali e legname. Con il nazismo le condizioni economiche degli operai non migliorarono, i sindacati furono distrutti e i loro rappresentanti inquadrati nel *Fronte Del Lavoro*, al quale dovevo appartenere obbligatoriamente sia i lavoratori che i datori di lavoro. Il Fronte aveva il compito di *regolare i rapporti tra capitale e lavoro in conformità con l'interesse collettivo*. Fu oppresso e diritto di sciopero e perseguita ogni azione di difesa dei diritti dei lavoratori. Il maggiore responsabile della politica economica del nazismo fu il dottor H. Schacht. Egli affrontò la crisi economica attuando una moderata inflazione creditizia, ideata in modo che l'aumento della circolazione venisse assorbita dai risparmi e dai tributi. Tale politica, però, si riuscì ad attuare grazie alla stabilità dei prezzi e dei salari; stabilità che fu mantenuta con un rigido controllo tipico dell'economia bellica. In più, fu sostenuta dagli investimenti pubblici che triplicarono e dai finanziamenti concessi al commercio. **La politica autarchica del fascismo in Italia (1928 - 1939)** Una volta avviata l'organizzazione dello Stato corporativo, Mussolini se ne servì per instaurare la politica autarchica, che era stata attuata dal fascismo fin dal 1925 con la battaglia del grano. Essa fu attuata per far fronte alla crisi mondiale del 1929 che aveva coinvolto anche l'Italia. La prima manifestazione della crisi del 1929 fu la caduta dei prezzi, con riduzioni particolari per il settore agricolo, già gravemente colpito dalle avverse condizioni atmosferiche. Il commercio estero si assottigliò a quasi 1 / 3 e crebbe il deficit della bilancia dei pagamenti. Il crollo delle quotazioni di borsa colpì, particolarmente, gli istituti di credito che possedevano larghe fette dei capitali industriali. Anzi, molte banche per evitare la caduta delle quotazioni, acquistavano nuove azioni, con il risultato di recarsi maggiormente alle sorti dell'industria. Le banche da sole non avrebbero potuto superare la crisi; fu necessario prima l'intervento della Banca d'Italia e poi la completa ristrutturazione del sistema creditizio. La Banca d'Italia intervenne per sanare il sistema per mezzo *dell'Istituto di Liquidazione* che si accollò tutte le attività e le passività delle banche e poi cercò di eliminare le loro immobilizzazioni cedendo le partecipazioni che avevano nelle industrie private. Per le grosse immobilizzazioni della *Banca Commerciale del Credito Italiano*, fu necessario creare due società: la ***Sofindit (Società Finanziaria Industriale Italiana)***, e la ***SFI (Società Finanziaria Italiana).*** Queste si fecero carico di tutte le partecipazioni industriali delle due banche. Con queste operazioni, però, le banche trovarono grandi difficoltà a concedere i finanziamenti alle industrie. Così, con un decreto del 1931 fu istituito **l'IMI (*Istituto Mobiliare Italiano*)**, con il compito di integrare l'opera delle banche nella concessione di crediti all'industria. Nonostante la creazione di nuovo istituto, le quotazioni dei titoli azionari continuarono a scendere. Occorreva un vero e proprio istituto di smobilizzo. Nel gennaio del 1933 fu creato **l'IRI (*Istituto per la Ricostruzione Industriale*)**, con un capitale versato dallo stato e da altri enti pubblici. Esso fu diviso in due sezioni: una per i finanziamenti, con la possibilità di assumere partecipazioni industriali e l'altra destinati agli smobilizzi che, come prima operazione, assorbì *l'Istituto di Liquidazioni* della Banca d'Italia. Fu ridata liquidità al sistema bancario e l'istituto centrale si liberò delle cambiali immobilizzate. L'IRI arrivò a controllare altri settori produttivi del paese e per tale controllo si servì di apposite società finanziarie. Per esempio i cantieri navali e le società di navigazione venivano controllate dalla società *Finmare* e il settore siderurgico dalla *Finisider.* Nel 1936, gran parte dei settori industriali era risanato e nel 1937 l'IRI da istituto provvisorio divenne ente permanente, per cui fu ridotta l'attività di smobilizzo e fu allargata quella di amministratore di un vasto impero industriale, che comprendeva i settori: siderurgico, meccanico, cantieristico e armatoriale. L'opera di risanamento del settore creditizio fu completata con la legge bancaria nel 1936, che separò le banche di credito ordinario, non autorizzate ad effettuare investimenti a lungo termine, dalle banche che potevano effettuare tali operazioni. Più precisamente, le banche che operavano in più di 30 province furono dichiarate *banche di interesse nazionale* (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma) e potevano concedere solo finanziamenti a breve termine. Furono confermati istituti di credito di debito pubblico: Il banco di Napoli, il banco di Sicilia, la Banca Nazionale del Lavoro, l'Istituto San Paolo di Torino e il Monte dei Paschi di Siena. La nuova legge bancaria creò anche *l'ispettorato del credito*, con il compito di controllare le attività delle banche. Le relazioni internazionali dell'Italia vennero, a sua volta, seriamente compromesse dalla decisione di Mussolini, nel 1935, di conquistare l'Etiopia. Operazione ritenuta opportuna per dare prestigio all'Italia e benessere la sua economia. Contrari alla conquista erano, invece, i suoi consiglieri militari per gli imprenditori che non ritenevano il paese preparato militarmente ed economicamente a sostenere la guerra. La conquista dell'Etiopia fu condannata dalla società delle Nazioni e ben 50 paesi decisero severe sanzioni economiche nei confronti dell'Italia, rifiutando di tenere con essa relazioni commerciali. In pratica, però, le sanzioni non furono rigorosamente applicate e addirittura alcuni grandi stati, come la Germania, il Giappone e gli Stati Uniti, non aderirono alla decisione della società. Durante il periodo delle sanzioni furono intensificati gli scambi commerciali con la Germania che non aveva aderito alla decisione della società delle Nazioni, con la conseguenza di rafforzare anche i rapporti politici tra i due paesi fino alla stipula, nel 1939, del *Patto d'Acciaio* che coinvolse l'Italia nella seconda guerra mondiale. Dopo le sanzioni crebbero le ambizioni di Mussolini in campo economico, per cui fu rafforzato ulteriormente la politica autarchica che subordinò sempre più l'economia allo Stato. In campo agricolo, si cercò di diffondere nuove colture, come il cotone, i semi oleosi, ecc. che avrebbero dovuto far ridurre le importazioni dall'estero. Nel settore industriale, si intensificarono le ricerche per trovare in Italia petrolio, carbone ed altri minerali. Qualche risultato si ottenne, ma non tale da rendere il paese indipendente dall'importazione di combustibili e materie prime dall'estero. Comunque la guerra di Etiopia, la partecipazione dell'Italia alla guerra civile spagnola e alla seconda guerra mondiale stimolarono la produzione bellica. Tra il 1937 e il 1939 aumentò la produzione della ghisa, quella dell'acciaio e la costruzione delle navi. La bilancia commerciale per la prima volta dall'inizio del secolo registrò un'eccedenza delle esportazioni sulle importazioni, il reddito nazionale pro capite aumentò. **Il Giappone tra le due guerre: la politica di espansione territoriale e i mutamenti dell'economia** Con lo scoppio della prima guerra mondiale, in Europa, il Giappone colse l'occasione per avanzare rivendicazioni sui territori cinesi. Nel 1915, nonostante le recriminazioni della Cina, ottenne l'annessione della maggior parte di quelle terre e l'avallo al suo operato dai paesi alleati. Un freno alla politica di espansione territoriale si ebbe nel 1922, quando il Giappone fu costretto a restituire il territorio dello *Shantung* ai cinesi e si impegnò a rispettare l'indipendenza territoriale della Cina. Nel 1930 il potere politico fu dominato dai militari che volevano la ripresa delle espansioni territoriali. L'espansione cominciò nel 1931, con l'occupazione della Manciuria; nel 1937-39 furono occupate le coste del territorio centrale della Cina assieme all'Indocina settentrionale. Nel 1941 fu occupato il Pacifico centrale e l'Asia sud -- orientale. Nel 1942, sulla base del motto *Asia gli asiatici,* il Giappone si accingeva a dare un nuovo ordine ai territori occupati, attuando quella che fu chiamata *la Sfera di co-prosperità della più grande Asia orientale.* A contrastare tale politica furono la Russia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Nel 1943 i giapponesi furono respinti nel loro arcipelago e due anni dopo il governo nipponico fu costretto alla resa, dopo lo sgancio di due bombe atomiche su Hiroshima e su Nagasaki. Così, alla fine della guerra, il Giappone occupato dall'esercito Americano era prostrato economicamente e moralmente. Dal 1947 al 1951 gli Stati Uniti diedero un notevole contributo alla rigida economica del paese, imponendo diverse riforme, al fine di estirpare le radici del feudalesimo e del militarismo. Nel 1947 in Giappone entrò in vigore una nuova costituzione che diede vita ad una politica democratica, basata sulla sovranità popolare e sulla rinuncia alla guerra. Nel 1951, dopo la firma del trattato di pace tra il Giappone e gli Stati Uniti, terminò il regime di occupazione. Da quel momento, tra le due nazioni, si instaurò una stretta collaborazione economica, politica e militare. Durante gli anni della prima guerra mondiale, in Giappone, si ebbe un rapido sviluppo della produzione industriale. Il settore che maggiormente crebbe fu quello tessile. Buoni progressi furono realizzati dalle industrie siderurgiche, meccaniche e chimiche. Nello stesso tempo continuò il dualismo esistente nel primo decennio del secolo. Coesistevano una miriade di piccole imprese e poche grandi aziende, che concentrando grossi capitali dominavano uno o più settori della grande industria (*zaibatsu*). La grande depressione statunitense nel 1929 32 coinvolse anche le industrie nipponiche. Nel 1931 fu nominato ministro delle finanze Takahashi, seguace della politica keynesiana, disposta ad assicurare il pieno impiego con una politica inflazionistica. Favorevole a tale politica furono i militari che fecero salire le spese dell'armamento. Con tali provvedimenti il ministro riuscì a risolvere la crisi, ma poiché non volle seguire i militari nella politica imperialistica dopo quattro anni di governo fu assassinato. Nel 1936-1941 si passò da una politica keynesiana ad una politica molto vicina al nazionalsocialismo tedesco, che significa aumento delle spese belliche dello Stato e crescita delle industrie chimiche, metallurgiche e meccaniche. Lo sviluppo di queste industrie favorì le conquiste dei territori cinesi e la partecipazione del Giappone alla seconda guerra mondiale. **Gli aspetti economici della seconda guerra mondiale** L'elenco delle cause che portarono allo scoppio della seconda guerra mondiale fu piuttosto lungo, ma la principale fu l'imperialismo di Hitler. Nel suo famoso libro *Mein Kampf (La Mia Lotta),* sostenne che essendo i tedeschi una razza superiore, con una larga preparazione scientifica e tecnica, aveva il diritto di conquistare nuove terre e governare i popoli che li abitavano, perché appartenevano a razze inferiori. Secondo Hitler e i suoi seguaci vi è una piramide ideale della razza, dove la cima era occupata dai tedeschi di razza Ariana, poi venivano i latini, ad un gradino più in basso stavano i francesi, gli olandesi gli ungheresi, i danesi e i fiamminghi, ancora in basso venivano i popoli orientali, compresi i russi e polacchi, l'ultimo gradino era occupato dagli ebrei, una razza da sterminare3. Sulla base della piramide, Hitler iniziò la seconda guerra mondiale con l'intento di creare un grosso impero, che comprendesse tutti gli Stati dell'Europa orientale e gran parte dell'Asia. Nell'ambito di questa immensa area si sarebbero dovute creare delle *zone vitali*, costituite dai grandi spazi politicamente ed economicamente autonomi, ma legati a una comunità economica diretta dai tedeschi. La Germania avrebbe dovuto accentrare sul suo territorio la produzione industriale, mentre gli Stati dell'Europa occidentale e quelli orientali avrebbero dovuto indirizzare la loro economia esclusivamente all'agricoltura. Le conquiste tedesche cominciarono nel 1938 con l'annessione della Repubblica austriaca. Seguirono, nel 1939, l'invasione della Boemia e della Moravia e la pretesa di passare con le truppe sul territorio polacco attraverso il cosiddetto *corridoio di Danzica*. Quest'ultima pretesa causò la dichiarazione di guerra della Francia e della Gran Bretagna alla Germania. Nel giro di un anno e mezzo, con l'appoggio dell'Italia legata alla Germania dal *Patto d'Acciaio* (1939), l'esercito tedesco riuscì a conquistare quasi tutta l'Europa continentale. La guerra ebbe una svolta decisiva quando la Germania, nel 1941, commise l'errore di attaccare la Russia. Tale guerra ridusse notevolmente la disponibilità di materiale bellico e di uomini della Germania, mentre gli Stati Uniti fornirono ai paesi alleati una tale quantità di uomini e mezzi tali da consentire la vittoria finale sulle potenze dell'*Asse (Germania, Italia, Giappone)*. Questa guerra può ritenersi veramente mondiale, poiché coinvolse il 90 % dei popoli della terra. Mentre la prima guerra mondiale interessò maggiormente i paesi europei e marginalmente il Giappone e gli Stati Uniti, la seconda fu una guerra dichiarata *totale* per la mobilitazione, non solo di tutti gli uomini capaci di combattere, ma anche di tutte le risorse dei partecipanti. In quasi tutti gli Stati che parteciparono al conflitto crebbe la produzione industriale bellica. In Giappone e in Germania non si ebbe la crescita perché furono fatti preparativi prima dello scoppio della guerra. La Germania, però, oltre ad usufruire della produzione propria sfruttò ampiamente quella dell'industria dei paesi occupati. Anche la manodopera dei pesi occupati fu utilizzata in base alle esigenze dell'esercito tedesco. Il trattamento variava in base alla razza di appartenenza degli operai: si obbligarono con la forza agli ebrei i quali dovevano ritenersi fortunati se venivano lasciati in vita. Lo sfruttamento finanziario dei pesi occupati fu attuato con mezzi che avevano una legalità apparente: vendita forzata di divise e di oro, immissione illimitata di carta-moneta tedesca, sottrazione delle riserve di ore alle banche di emissione, pagamento di spese per il mantenimento delle truppe di occupazione tedesca. In generale, le finanze dei paesi occupati furono messe in crisi e i governanti per far fronte alle spese furono costrette ad emettere biglietti, con il conseguente aumento dei prezzi. Tra gli alleati vi fu una notevole collaborazione, infatti, nel 1942, fu creato il *Comando Supremo Congiunto Anglo-Americano*, che stabilì le azioni militari da compiere, il materiale bellico da approntare. Gli alleati furono riforniti dagli Stati Uniti, dai paesi del *Commonwealth* e da tutti gli altri paesi liberi. Si trattò di una quantità di materiale molto superiore a quella che riuscì a procurarsi la Germania. Dopo il 1941 la schiacciante superiorità aerea degli alleati, rispetto alle potenze dell'Asse, si rivelò decisiva per la vittoria finale. I bombardamenti contro il Giappone iniziarono nella primavera del 1945, quando gli Stati Uniti dopo aver conquistato l'isola di Okinawa, ne fecero la loro base per attaccare l'intero arcipelago. Gli attacchi statunitensi si conclusero con il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, i cui effetti furono cosi disastrosi (100.000 morti e altrettanti feriti) che costrinsero il governo nipponico ad accettare la resa senza condizioni. **Le conseguenze economiche della guerra** Le conseguenze della guerra furono gravi, non solo per le perdite di vite umane e per la distruzione di materiali, ma per il profondo squilibrio politico ed economico prodotto. Agghiacciante fu la frase pronunciata da Hitler per giustificare tale massacro: *"Se posso mandare il fiore del popolo tedesco nell'inferno della guerra, senza alcuna pietà per lo spargimento del prezioso sangue germanico all'ora, senza dubbio o anche il diritto di sopprimere milioni di esseri di una razza inferiore, che prolificano come cimici"* Le perdite in agricoltura riguardarono la distruzione di macchine, la decimazione del patrimonio zootecnico e lo sfruttamento irrazionale della terra. Nel settore industriale, in Europa, l'aumento della produzione bellica corrispose un taglio notevole della produzione necessaria alla popolazione civile. Ciò non accadde, però, negli Stati Uniti e in Canada, che pur partecipando alla guerra, riuscirono ad aumentare notevolmente la produzione complessiva. Anche nelle relazioni commerciali e nei finanziamenti internazionali la guerra portò notevoli mutamenti. All'aumento degli acquisti europei negli Stati Uniti non corrispose un pagamento degli acquisti statunitensi. In Europa ciò comportò il disavanzo della bilancia commerciale e della bilancia dei pagamenti e una penuria di dollari in Europa. A complicare le relazioni finanziarie internazionali contribuì la *legge Johnson,* introdotta negli Stati Uniti nel 1934. Per evitare forti indebitamenti che si erano avuti durante la prima guerra mondiale, la legge proibì la concessione di crediti ai paesi in ritardo con il pagamento delle rate relative ai debiti precedenti. A questa legge, nel 1935 se ne aggiunge un'altra detta della *Neutralità,* che autorizzò il rifornimento di materiali bellico, ma consentì la concessione di prestiti agli Stati di guerra. All'inizio della guerra, gli alleati, per effettuare acquisti negli Stati Uniti furono costretti a sottostare al cosiddetto sistema *Cash and carry,* ossia *paga e trasporta.* Con tale sistema la Gran Bretagna, che maggiormente si rifornì negli Stati Uniti, all'inizio del 1941 aveva esaurito le sue disponibilità di dollari e non riuscì più a pagare le importazioni americane. Il presidente Roosevelt, preoccupato da tali situazioni e temendo la vittoria dei paesi dell'Asse, fece approvare dal Congresso la legge *Lend Lease* (prestiti e affitti) che consentì la concessione di lunghe dilazioni dei pagamenti per forniture di materiale bellico a quei paesi che egli riteneva di aiutare, per la difesa degli interessi americani. Altre conseguenze della guerra furono la nuova definizione dei confini degli Stati e la successiva creazione delle sfere di influenza politica ed economica. Si ebbe la divisione del mondo in due grandi zone d'influenza che avevano come confine il mare Adriatico e il fiume Elba. Ad Oriente di questo confine vi era la zona di influenza dell'Unione Sovietica, che andava dalla Polonia fino al Pacifico, con una superficie superiore al doppio dell'Europa e ricca di miniere da sfruttare e terre da coltivare. Ad Occidente del confine Elba- Adriatico si creò la zona d'influenza degli Stati Uniti. Anche in questa zona gli Stati sancirono accordi militari politici ed economici. **Lezione 5** **Le economie europee nella seconda metà del 900** **La restaurazione economica nell'Europa occidentale** La ricostruzione dell'economia europea si realizzò in tempi più brevi di quelli impiegati dopo la prima guerra mondiale. Questa fu facilitata dal fatto che prima della guerra, molte industrie producevano meno della capacità degli impianti disponibili. Fu come se la guerra avesse distrutto la parte inattiva di quelle industrie. Tuttavia, l'aiuto maggiore per la ricostruzione dell'economia e per la ripresa delle relazioni economiche internazionali arrivò dagli Stati Uniti e dal Canada, dagli accordi che furono presi a Bretton Woods e dal *Piano Marshall*, predisposto dal governo Americano nel 1948. Nel 1943, quando ancora la guerra non era finita, gli Stati Uniti assieme ad altri 43 Stati per provvedere ai bisogni urgenti dei paesi più poveri e più colpiti dalla guerra costituirono ***l'U.N.R.R.A. (United Nations Relief and Rehabilitation Administration, Ente per il soccorso e la ricostruzione delle Nazioni Unite*)** che distribuì principalmente prodotti alimentari e manufatti. Questi aiuti però non servirono a rimettere in moto l'apparato produttivo e, infatti, per questo scopo furono dati larghi aiuti finanziari. Tra i prestiti concessi dagli Stati Uniti all'Europa bisogna ricordare quello di 3,7 miliardi di dollari elargito alla Gran Bretagna nel 1946. Per mettere ordine nel caos monetario e per favorire la ricostruzione, nel 1944, a Bretton Woods tennero una conferenza di rappresentanti di 44 paesi. Alla riunione fu inviato Keynes, per conto del governo inglese, con il mandato di sostenere che Londra avrebbe dovuto riacquistare la funzione di centro finanziario mondiale. Per realizzare tale obiettivo bisognava rinunciare al Gold standard e creare un sistema di compensazione *clearing* per i pagamenti internazionali. I rappresentanti del governo degli Stati Uniti, invece, volevano il ritorno alla convertibilità della moneta e all'accettazione da parte degli altri paesi del *Gold Exchange standard* con il dollaro come moneta chiave. Dopo ampie discussioni fu accettata la tesi americana, così si crearono due nuove istituzioni: **il *Fondo Monetario Internazionale (FMI)* e la *Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS).*** Il fondo fu costituito con lo scopo di incoraggiare la cooperazione monetaria internazionale, sostenere l'espansione del commercio mondiale, favorire la formazione di un sistema multilaterale dei pagamenti e realizzare l'equilibrio della bilancia dei pagamenti e la stabilità dei cambi. Siccome tale fondo fu di scarso aiuto per la ricostruzione dell'economia europea fu creata la BIRS, con lo scopo di promuovere investimenti dei capitali a scopo produttivo. La maggior parte dei prestiti concessi dalla BIRS, nel primo lustro di attività, servì per riparare i danni di guerra nei paesi europei. Ma, nonostante questi prestiti e gli altri finanziamenti degli Stati Uniti all'inizio del 1947, l'economia europea ancora non si era risollevata dalla crisi. Per risollevarsi l'Europa aveva bisogno di altri aiuti. Sulla base di tali considerazioni, nel 1948 fu varato il piano **ERP (Programma Di Ricostruzione Europea)**, meglio conosciuto come ***piano Marshall**,* dal nome del segretario di Stato generale Georges C. Marshall che lo sostenne. Gli obiettivi principali del piano erano tre: - Aiutare la ricostruzione economica nei paesi europei - Eliminare la disoccupazione - Attuare una maggiore solidarietà economica tra gli Stati del vecchio continente Il primo punto fu realizzato facilmente, così come anche il secondo obiettivo. La piena occupazione si realizzò completamente in Francia e in Belgio, ma solo in Italia, soprattutto nelle regioni meridionali, l'obiettivo non si realizzò. Per realizzare il terzo obiettivo, prima 16 e poi 18 paesi europei, nel 1948, crearono l'**OECE**, **(*Organization Of Economics Cooperation For Europe)****.* Ad una maggiore solidarietà politica ed economica europea avevano cominciato a pensare i maggiori esponenti politici dell'epoca, come Alcide De Gasperi per l'Italia. I vari politici formarono un *partito europeo,* al quale aderivano imprenditori industriali e finanziari, il cui scopo era quello di opporre al blocco sovietico, che si stava formando in Europa orientale, un'Europa occidentale, politicamente unita ed economicamente forte. Nel 1961, in base ad una convenzione stipulata a Parigi, l'anno precedente, l'OECE fu sostituita dall'**OCSE *(Organizzazione Di Cooperazione e Di Sviluppo Economico)*** con lo scopo di promuovere lo sviluppo economico fra gli Stati membri e, soprattutto, intensificare gli scambi commerciali. Alla nuova organizzazione aderirono molti Stati europei e di altri continenti. **L'integrazione europea** Alla fine della seconda guerra mondiale si era formata un vasto movimento di idee per l'integrazione politica ed economica dell'Europa e per creare una terza forza che fosse indipendente dall'unione sovietica e dagli Stati Uniti. A tale *movimento o partito europeo* si oppose la Gran Bretagna, che voleva rimanere legata al *dominions.* Quindi i sostenitori di questo movimento pensarono di cominciare a formare un clima favorevole nel movimento, attuando prima l'integrazione economica e più tardi quella politica. Ma, per evitare di trasformare un'unione spontanea delle Nazioni in un'unione imperiale, con il predominio delle Nazioni più forti sulle più deboli, si pensò ad unioni doganali limitate geograficamente (il ***Benelux**)* o limitati a determinati settori produttivi (la **CECA**). Il *Benelux*, l'unione economica tra il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, cominciò a funzionare nel 1948. Sorse come semplice Unione doganale con l'obiettivo di arrivare anche all'integrazione politica. Tale obiettivo, tuttavia, non si riuscì a realizzare perché non si creò un vero e proprio libero mercato tra gli Stati aderenti. Un fallimento si rivelarono l'*Uniscan* (1947) e *l'Unione doganale franco - italiana* (1948). La prima fu un tentativo di unificazione della Gran Bretagna con i paesi scandinavi, la seconda prevedeva l'unione doganale tra Francia, Italia e Benelux, ma non andò in porto per l'eccedenza della manodopera esistente in Italia. Maggiore successo ebbe invece il *Consiglio d'Europa* che fu costituito nel 1949 dai seguenti paesi: Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. Gli organi del consiglio, con sede a Strasburgo, erano il *Comitato Dei Ministri Degli Esteri, l'Assemblea Consultiva e il Segretario Generale.* Il Consiglio aveva compiti prevalentemente politici, sicché per i problemi economici fu creata la **CECA (*Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio*)**, alla quale aderirono sei Nazioni: i Paesi Bassi, il Lussemburgo, il Belgio che costituivano il Benelux, l'Italia, la Germania e la Francia). Con l'intento di costituire, per il carbone e l'acciaio, un mercato comune al fine di aumentare e distribuire meglio la produzione creando nuovi posti di lavoro. La CECA fu costituita con il trattato di Parigi dell'aprile del 1951. Per i paesi della CECA, I risultati furono ottimi poiché crebbe la produzione dell'acciaio. Intanto i sostenitori del movimento per l'unione europea, tenendo conto di questi buoni risultati, ritennero opportuno compiere altri passi verso l'integrazione economica. In un primo momento si pensò a delle comunità analoghe alla CECA, relative ad altri settori, dai prodotti agricoli (*l'Europa verde*) ai trasporti interni e all'energia nucleare. Ma, questa strada fu scartata così dopo una conferenza tenuta a Messina, tra i rappresentanti dei sei paesi della CECA, fu deciso di attuare un accordo più consistente e si pensò di costituire la **CEE** **(*Comunità Economica Europea*)**. L'atto costitutivo fu firmato a Roma il 17 Marzo del 1957. Con un altro trattato del 25 Marzo venne fondato l'**EURATOM** o **CEA** (***Comunità Europea Dell'energia Atomica**)* per accordi relativi alla produzione di energia nucleare. Con la CEE, i paesi aderenti vollero costituire un mercato comune europeo relativo a tutti i prodotti. All'interno di tale mercato bisognava realizzare la graduale eliminazione dei dazi doganali e più in generale, coordinare le politiche economiche, monetarie, finanziarie e sociali; stabilire la libera concorrenza negli scambi. I sei paesi dovevano adottare la stessa tariffa doganale nel commercio con gli altri paesi**, la *TEC* (*Tariffa Esterna Comune*)** che era la media aritmetica dei dazi applicati dai singoli stati. Il buon funzionamento della comunità è assicurato da diversi organismi con poteri decisionali di consulenza: il *Parlamento*, costituito dei membri eletti nei paesi della comunità, il *Consiglio dei ministri degli esteri*. La *Commissione,* con sede a Bruxelles, è composta da 14 membri nominati di comune accordo dei governi della comunità, il cui compito è quello di far rispettare il trattato, vi è poi *la Corte di giustizia* che assicura il rispetto dei diritti nell'applicazione del trattato. La *Corte dei conti* esamina i conti della comunità e il *Comitato Economico e Sociale*. Per la concessione di prestiti e per effettuare investimenti, nelle aree sottosviluppate dei paesi aderenti alla CEE, fu creata la *Banca Europea per gli Investimenti.* I risultati dei primi trent'anni di attività della comunità furono buoni e nel 1972 tutti gli Stati della comunità, per unificare la politica tributaria, adottarono l'Imposta sul Valore Aggiunto (**IVA**) in sostituzione di numerosi tributi che colpivano la vendita al dettaglio. Un nuovo passo verso il processo di integrazione fu compiuto nel 1979, quando fu eletto il primo Parlamento europeo con sede a Strasburgo. Significativa è stata nel 1984, l'iniziativa presa dal Parlamento di approvare il *progetto di trattato istituente* *l'Unione Europea*, primo passo verso la formazione di uno stato federale. Altrettanto importante è stata l'approvazione, nel 1987 da parte dei governi della comunità, *dell'Atto Unico* per la completa integrazione economica europea nel 1993. La Gran Bretagna, visti i successi realizzati dalla CEE, temendo di vedere indeboliti le sue relazioni commerciali e finanziarie con l'Europa occidentale, nel 1959, diede origine all'**EFTA** **(*European Free Trade Association, Associazione europea di libero scambio*).** Gli obiettivi erano quelli di sopprimere nel giro di 10 anni i dazi doganali relativi ai prodotti industriali degli Stati aderenti, di promuovere l'espansione economica, realizzare la stabilità finanziaria e migliorare il tenore di vita delle popolazioni degli Stati aderenti. I risultati dell'attività non furono soddisfacenti tanto che la Gran Bretagna, la Danimarca e il Portogallo passarono alla CEE. **La politica della Thatcher, di Mitterrand e di Kohl** In Gran Bretagna, nel 1979 con la vittoria del partito conservatore salì al governo il primo ministro Margaret Thatcher, che provò ad affrontare una situazione economica caratterizzata da un alto tasso di inflazione, da un deficit elevato della bilancia dei pagamenti e da un tasso di disoccupazione del 12 %. La politica della Thatcher, denominata *Lady di Ferro*, fu tesa alla completa demolizione dello statalismo economico, sostenuto dai laburisti per affermare l'iniziativa privata. Le imprese statali furono ristrutturate, furono privatizzati i servizi telefonici, le fabbriche automobilistiche come la Rover e la Jaguar, le aziende produttrici di gas, acqua ed elettricità. Eliminate le imprese deboli iniziò la crescita economica, a partire dal 1986. Due anni dopo, però, la situazione era nuovamente mutata, vi era un disavanzo commerciale e un tasso di inflazione elevato. La popolarità della Thatcher fu minata, nel 1990, dall'introduzione dell'impopolare *pool tax*, l'imposta locale fissata dai comuni secondo le loro esigenze. La Thatcher si dimise dalla carica di primo ministro nel 1990. In Francia, con la nomina a primo ministro, nel 1976, dell'economista Raimond Barre, si attuò una politica economica liberista volta al rilancio della competitività delle imprese, attraverso l'innovazione e la privatizzazione, ma i risultati non furono soddisfacenti. La politica di Bar fu invertita con l'elezione nel 1981 a presidente della Repubblica del socialista Francois Mitterrand, che puntò sull'intervento statale. Nel 1982 furono attuate le nazionalizzazioni dei settori industriali e bancari, si ridussero i tassi di interesse, si innalzarono i salari e di conseguenza aumentarono i consumi. Nel 1989 fu approvato il *decimo piano nazionale*, con lo scopo di assicurare alla Francia una forte competitività, in vista del mercato unico del 1993. Il piano si articolava in 5 punti: - crescita della produttività del 3 % attraverso maggiori crediti all'industria - sussidi all'istruzione - miglioramento dei servizi - miglioramento della previdenza sociale - maggiorie vivibilità della città La Francia con un tasso di inflazione, tra più bassi dell'Europa, e con un esiguo debito pubblico e minima dipendenza dal petrolio per lo sfruttamento dell'energia nucleare, disponeva di un elevato tessuto produttivo ad alta tecnologia. I settori con maggiore crescita erano quelli delle telecomunicazioni, delle ferrovie, dell'elettronica e della difesa, incentivati dalla politica statale. Dopo il rallentamento subìto agli inizi degli anni 80, l'economia tedesca riprese a crescere sotto la guida del cancelliere Helmuth Kohl, il quale non attuò una vera politica di privatizzazioni e mantenne alta la spesa pubblica. Il *sistema della cogestione,* che consisteva nella partecipazione dei lavoratori alle decisioni dell'impresa, fu applicato a tutti i settori produttivi e costituiva uno dei punti di forza dell'economia tedesca, insieme con l'elevata produttività, l'alta qualificazione professionale e lo stabile potere di acquisto della moneta. Con la caduta del muro di Berlino, nel 1989, e il rapido processo di riunificazione delle due Germanie si è realizzato un mutamento della crescita produttiva tedesca. Si è innescato, in effetti, un processo di ristrutturazione che ha rallentato la crescita economica. **L'inflazione negli Stati europei dopo la seconda guerra mondiale** Il secondo dopoguerra fu caratterizzato, in quasi tutti i paesi europei, da un elevato tasso di inflazione dovuto a diverse ragioni. Tra il 1948 il 1952, l'inflazione fu dovuta a un'elevata domanda di prodotti non corrisposta da un'adeguata crescita della produzione. In Germania, quando gli alleati decisero la divisione del paese in due parti (1948), nella Germania occidentale il vecchio *Reichsmark* fu sostituito con il *Deutsche Mark* (D.M.): dieci vecchi marchi corrispondevano ad un nuovo marco. La limitata emissione dei DM fece diminuire sensibilmente i prezzi e tornò l'ordine negli scambi. In Francia l'inflazione fu particolarmente violenta: tra il 1945 e il 1949, i prezzi si moltiplicarono per 20, i salari vennero aumentati e la moneta fu svalutata. Durante gli anni di guerra, la Gran Bretagna si era fortemente indebitata con l'estero; nel dopoguerra per poter importare prodotti alimentari necessari alla popolazione fu costretta a chiedere nuovi prestiti. Gli Stati Uniti elargirono al governo inglesi un prestito per consentirgli di realizzare la convertibilità delle sterline in dollari, la convertibilità però fu stabilita per meno di un mese, perché il prestito servì solo a pagare una parte dei debiti. Negli anni '60 l'inflazione continuò ad aumentare e le cause furono dovute in gran parte all'aumento della spesa pubblica e all'aumento dei salari. Nel periodo 1969 -- 81, con l'aumento dei prezzi petroliferi anche l'inflazione aumentò e ad essa si affiancò la crescita della disoccupazione (*stagflazione)*. Minore fu l'inflazione nella Germania occidentale, dove non superò mai il 7 %. Le cause di questa eccessiva tensione inflazionistica, durante gli anni '70 furono dovute, oltre l'aumento dei prezzi petroliferi, all'aumento della spesa pubblica e all'aumento del costo del lavoro, poiché crebbe la disponibilità di dollari in Europa a causa del persistere del disavanzo della bilancia di pagamenti negli Stati Uniti. Dal 1983 al 1990 l'inflazione fu moderatamente frenata in Europa, grazie alla bassa quotazione del dollaro e, soprattutto, per il calo dei prezzi delle materie prime e del petrolio. **L'evoluzione del sistema bancario** Nella seconda metà del '900 il sistema creditizio si adeguò allo sviluppo dell'economia e l'attività svolta dalle banche crebbe, perché aumentò la clientela e aumentò il numero dei servizi offerti. Alle imprese, oltre ai crediti a breve e lungo termine, furono concessi i servizi cosiddetti *parabancari*, che comprendono operazioni di gestione di *leasing,* di *factoring,* di *conforming e* di *forfaiting.* Il ***leasing*** è un contratto di locazione di beni mobili o immobili con possibilità di riscatto. Le banche, invece di concedere crediti per l'acquisto del bene, concedono, specie alle piccole imprese, crediti per pagare i canoni di locazione. Con il ***factoring*** l'impresa cede ad una società, o persone specializzate (*factor*), controllata da una banca, i propri crediti. Il *factor* si può assumere solo l'incarico della riscossione oppure si addossa anche il rischio di un'eventuale insolvibilità del creditore. Nelle operazioni di ***conforming l***a banca anticipa e garantisce ad un esportatore di macchine all'estero il pagamento delle fatture relative alle sue vendite, l'acquirente estero riceve il bonifico dell'anticipo dilazionato al massimo per 5 anni. Con il ***forfaiting*** è l'esportatore che, avendo delle cambiali avallate da una banca estera, li cede per la riscossione alla società o alla banca che fa operazioni di forfaiting. Per queste operazioni il beneficiario è tenuto a pagare un costo di commissione. Le operazioni delle banche con i privati crebbero perché esse concessero facilmente apertura di credito in conto corrente e molto diffuso fu l'uso degli assegni, delle carte di credito, degli accrediti degli stipendi e così via. Il maggior intervento dello Stato nel settore di credito si ebbe con la nazionalizzazione di molte banche. Dopo la crisi del 1974, che interessò diversi paesi europei, essa si manifestò con il fallimento di numerose banche e fu dovute a grossi finanziamenti concessi al settore edilizio e, principalmente, ad operazioni speculative compiute dalle banche sul mercato delle valute. In Francia, una legge del 1945 nazionalizzò le quattro maggiori banche di deposito, perché operavano su tutto il territorio dello Stato. In Gran Bretagna nel 1946 fu nazionalizzata la banca d'Inghilterra e fu confermato il monopolio dell'emissione che ebbe dalla legge bancaria del 1844. La specializzazione del sistema bancario europeo si accentuò negli anni immediatamente successivi alla guerra. Dagli anni '60 in poi in Gran Bretagna, patria della specializzazione, per agevolare la ricostruzione economica del paese, nel 1945 furono creati istituti semipubblici (*finance corporations*) per la concessione di prestiti a lungo termine. Nel 1966 - 76 con l'emanazione di nuove disposizioni, note come *riforma Debree,* si passò ad una politica di despecializzazione. Furono autorizzate le banche di deposito ad accogliere i risparmi vincolati per più di due anni, cosa che prima era consentita solo alle banche di affari. Si ebbe un orientamento diretto a fare delle banche di deposito un tipo di *banca universale*, sul modello di quelle tedesche. Nel 1984, infatti, la nuova legge bancaria francese abolì ogni distinzione tra banche di deposito e banche d'affari, consentendo alle prime di acquistare partecipazioni di controllo in aziende industriali. L'ultimo cambiamento che, nel secondo dopoguerra, si ebbe nei sistemi bancari dei paesi europei fu la concentrazione delle imprese. In Gran Bretagna La fusione delle aziende di credito fu particolarmente consistente e riguardò, maggiormente, le banche di deposito. La fusione di queste banche portò alla formazione di grossi gruppi finanziari che controllavano una vasta rete di sportelli nel Regno unito e all'estero. Durante gli anni '80 iniziò per le banche europee un'espansione su larga scala, attraverso acquisizioni compute al di fuori dei confini nazionali, con la possibilità di diversificare i loro servizi. **Il sistema finanziario internazionale** I primi passi verso l'integrazione economica europea furono compiuti liberalizzando il commercio all'interno del mercato comune, tuttavia, per favorire gli scambi occorrevano altri provvedimenti. Per facilitare i pagamenti all'interno della Comunità Economica Europea furono create le seguenti organizzazioni: l'**UEP** (*l'Unione Europea dei Pagamenti*), l'**AME** (*Accordo Monetario Europeo*) e lo **SME** (*Sistema Monetario Europeo*) assieme alla moneta europea, l'**ECU** (*European Currency Unit*). Alla fine della seconda guerra mondiale, i pagamenti fra i paesi europei si effettuavano in base a rigorosi accordi bilaterali e ciò comportava che l'equilibrio nei pagamenti si realizzasse solo tra due paesi alla volta. Pertanto, essendovi la inconvertibilità tra le monete, un'eccedenza di moneta realizzata da una nazione non poteva essere impiegata per pagare un deficit di monete che aveva con un'altra nazione. Occorreva necessariamente stabilire degli accordi multinazionali e realizzare la compensazione tra crediti e debiti. Ciò si ottenne nel 1949, con la creazione dell'UEP un accordo di *clearing* fra i paesi dell'Europa occidentale. Ogni paese membro poteva disporre di una certa *quota*, entro l'ammontare della quale effettuava i pagamenti con la propria moneta, superata la quota doveva pagare in dollari o in oro. L'UEP Si serviva della BRI di Basilea, che disponeva di un fondo in oro o divise costituito dai versamenti effettuato dai paesi aderenti all'Unione. Per meglio regolare i pagamenti tra i paesi europei, nel 1958 i membri dell'OECE decisero di sostituire l'UEP con l'**AME**, che rimase in vita fino al 1961. Esso era un accordo dei paesi europei che si servì del fondo europeo ed il sistema multilaterale dei pagamenti. Il fondo europeo concedeva crediti a breve termine nei paesi che avevano un deficit nella bilancia dei pagamenti. Il credito veniva richiesto dal paese interessato e veniva accordato dall'AME, in caso di rifiuto si poteva far ricorso all'OCSE. Con questo sistema scomparvero le compensazioni e i crediti automatici dell'UEP, così la liquidità internazionale dal 1958 fa costituito dalle due valute chiavi, dollaro e sterlina, oppure dall'oro. Si tornò in effetti al sistema creato tra le due guerre. Dal 1958 al 1969, sui mercati internazionali si ebbe abbondanza di dollari per due ragioni: 1. Il deficit delle bilance dei pagamenti, causato dagli abbondanti capitali che stavano uscendo dagli Stati Uniti per gli investimenti in Europa, per gli aiuti finanziari ed economici ai paesi del terzo mondo e per sostenere le imprese militari all'estero. 2. La formazione di un mercato degli *eurodollari*. A proposito di questo secondo punto va chiarito che si trattava di dollari che circolavano fra i paesi europei, oppure erano depositati in speciali conti aperti dalle banche che difficilmente tornavano in patria. Inoltre, essendo il dollaro convertibile, i paesi europei cercarono di rafforzare le loro riserve cambiando i dollari in oro. Nella primavera del 1971 crebbe l'inflazione degli Stati Uniti e divenne stagflazione, cioè inflazione più crisi produttiva accompagnata dalla disoccupazione. Per porre riparo a tale situazione il presidente degli Stati Uniti Nixon decise l'inconvertibilità del dollaro in oro. Le conseguenze di tali provvedimenti furono la trasformazione del *Gold Exchange standard* in *Dollar standard*, la rottura del sistema dei cambi fissi e la libera fluttuazione del cambio delle monete. Nello stesso anno, per far fronte alla crisi del sistema monetario internazionale furono fatte varie proposte di riforma, tutte dirette a portare in equilibrio le bilance dei pagamenti. Il gruppo ministeriale dei *Dieci* (Francia Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Germania federale, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Giappone) trovò un'intesa sul riallineamento delle monete fissando una nuova parità con il dollaro. Neanche l'intesa dei Dieci, però, diede risultati sperati, poiché nel Marzo del 1972 i paesi della Comunità Economica Europea decisero di legare tra loro le monete della comunità facendole fluttuare congiuntamente, come i movimenti di un serpente, entro i margini del 2,25 %, secondo quanto fu stabilito a Washington. Per questo motivo l'accordo fu spiegato con la frase: *il serpente europeo striscia nel tunnel del dollaro.* L'Italia e la Svizzera prima istituirono il doppio mercato dei cambi e successivamente abbandonarono completamente il serpente per la libera fluttuazione dei cambi. Un altro motivo nel fallimento degli accordi fu la svalutazione del dollaro e l'aumento del prezzo dell'oro. Ad aggravare la crisi monetaria internazionale, alla fine del 1973, contribuì la decisione dei paesi dell'**OPEC** **(*Organizzation Of The Petroleum Exporting Countries, Organizzazioni Dei Paesi Esportatori Di Petrolio*)** di quadruplicare il prezzo del petrolio greggio. Con l'aumento dei prezzi, mentre rallentavano i tassi di crescita delle economie dei paesi occidentali, i paesi dell'OPEC, costituiti per la maggior parte dai paesi arabi entrarono in possesso di enormi disponibilità di dollari. Una parte di tali disponibilità fu impiegata per acquistare merci specie armi, ma la parte più consistente fu depositata nelle banche europee Americane, formando così il mercato di *petrodollari,* ossia dollari ottenuti in pagamento del petrolio. Si trattava di un mercato simile a quello degli *eurodollari*, ossia dollari che potevano essere prestati dalle banche, o meglio potevano essere riciclati. I paesi aderenti alla CEE, esclusa l'Inghilterra, per far fronte alla crisi dei pagamenti internazionali che si ebbe nella seconda metà degli anni '70 diedero vita allo **SME** (*Sistema Monetario Europeo).* Si trattò di un accordo che entrò in funzione nel 1979, con lo scopo di mantenere i cambi fissi, consentendo oscillazioni in più o in meno nei limiti del 2,25 % rispetto alla parità centrale stabilita per tutte le monete della CEE. Solo per l'Italia, che versava in particolare difficoltà finanziarie, fu consentita un'oscillazione del 6% rispetto alla parità stabilita. Le parità vengono fissate in ECU (*European Currency Unit, Moneta Comune Europea*), moneta di conto composta da un certo numero di monete europee. Il valore dell'ECU dipende dal PNL di ogni paese aderente al sistema e dall'entità del commercio nell'ambito della CEE. Il sistema monetario europeo assieme alla nuova moneta, dopo aver superato le difficoltà iniziali, dal 1984 cominciò a ben funzionare e favorì gli scambi internazionali. L'obiettivo del Sistema, oltre alla stabilità dei cambi, è quello di far convergere, il più possibile, la politica economica e monetaria dei singoli paesi. Ciò non fu realizzato per le diversità delle situazioni esistenti nelle singole nazioni aderenti alla comunità, specie dopo la seconda crisi petrolifera: differenti tassi di inflazione e differenti disavanzi della bilancia dei pagamenti internazionali, con conseguenti diversi provvedimenti per eliminarli. Numerosi erano gli ostacoli che impedivano l'attuazione di una politica monetaria comune. Alla fine del 1989 si sono delinearono quattro regimi monetari diversi nell'ambito dello SME. Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo rispettavano tra di loro i cambi fissi, in una sorta di *zona marco*. Altri paesi, come la Francia, l'Italia, la Danimarca e l'Irlanda applicarono il meccanismo ufficiale di cambio dello SME con la possibilità di oscillare nei limiti del 2,25 %. Intanto, in seguito all'apertura dei paesi dell'Europa orientale, il mercato occidentale più industrializzato decise di sostenere, con aiuti finanziari, il passaggio dell'economia collettivista all'economia di mercato di quei paesi; così il 15 Aprile del 1991 a Londra fu inaugurata ufficialmente la **BERS (*Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo*)**, avente lo scopo di concedere aiuti finanziari ai paesi dell'Europa orientale. **La politica doganale e il commercio estero** Nel secondo dopoguerra, i governanti dei maggiori paesi capitalistici avevano la convinzione che per sostenere lo sviluppo economico nel mondo occorresse rimuovere gli ostacoli protezionistici al commercio mondiale. Così, subito dopo la fine della guerra, per liberalizzare gli scambi furono stabiliti non solo accordi a livello europeo, ma anche con nazioni di altri continenti. Fin dal 1947, a Ginevra, fra 23 stati che facevano parte delle Nazioni unite si stabilì un accordo sulle tariffe doganali e sullo svolgimento del commercio. Tale accordo prese il nome di **GATT** (*General Agreement on Tariffs and Trade, Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio)* e si proponeva di favorire il commercio internazionale per mezzo del libero scambio e la divisione internazionale del lavoro. Nel 1990 al GATT parteciparono 90 paesi, fra le grandi potenze solo la Russia e la Cina furono escluse; per la prima però Gorbaciov nell'ambito della politica della *perestrojka* (ristrutturazione dell'economia) chiese l'ingresso nell'organizzazione. Per liberalizzare il più possibile gli scambi internazionali furono prese varie iniziative, ma la più nota è quella che fu chiamata *Kennedy Round.* I paesi che vi aderirono convennero sulla necessità di dimezzare le aliquote delle tariffe doganali e si ottennero buoni risultati. La notevole crescita del commercio della CEE, sia all'interno dell'area che nei rapporti con l'estero, costituiva per i paesi che vi aderivano una forma di difesa nei confronti degli Stati Uniti, che preoccupati dal deficit della loro bilancia commerciale, cercavano di vendere le loro eccedenze agricole in Europa. La liberalizzazione degli scambi internazionali, negli anni '80, non si limitò alle merci ma fu estesa ai servizi e ai capitali. L'esigenza di abbattere le barriere, anche per questi settori, derivava dallo sviluppo delle nuove tecnologie che consentirono di separare il luogo di produzione dei servizi da quello del consumo e favorirono la crescita notevole dei mercati finanziari. **Il miracolo economico italiano** Alla fine della seconda guerra mondiale, l'economia italiana era così prostrata che sembrava quasi impossibile una ripresa. Gran parte della ricchezza nazionale era stata distrutta dai bombardamenti e dalla ritirata dell'esercito tedesco. L'agricoltura era sull'orlo del collasso e per la distruzione di molte fabbriche del nord l'indice della produzione industriale diminuì drasticamente. Scarseggiando i prodotti alimentari ed il vestiario, fu necessario organizzare il razionamento, per cui si formò il cosiddetto *mercato nero*, ossia la vendita clandestina dei prodotti a prezzi elevati. Nel periodo della ricostruzione 1945 - 1951, il reddito nazionale netto crebbe, insieme a quello pro capite. Le ragioni della crescita furono attribuite agli aiuti americani, alle spese sostenute dallo stato per la ricostruzione delle opere pubbliche distrutte dalla guerra. Dal 1945 al 1952, l'Italia beneficiò di oltre due miliardi di dollari grazie agli aiuti UNRRA e agli aiuti del piano Marshall. L'inflazione, nel 1946, subì una battuta di arresto grazie all'emissione del *prestito* *Soleri,* dal nome del ministro del Tesoro che lo aveva voluto. Il governo rallentò le richieste di anticipazione alla Banca d'Italia e diminuì le emissioni di moneta. Questa situazione però non durò molto, poiché le spese dello Stato continuarono a lievitare e con esse le richieste dei prestiti alla banca centrale. Nella seconda metà del 1947, il ministro del bilancio Luigi Einaudi scoraggiò la facile concessione dei crediti, introducendo un nuovo e più severo sistema di riserve obbligatorie per le banche, aumentando il tasso ufficiale di sconto e proibendo al tesoro di chiedere anticipazioni alla Banca d'Italia. Tali provvedimenti produssero effetti positivi: favorirono la formazione di una riserva presso la Banca d'Italia per circa 600 milioni di dollari punti e, mantenendo il cambio del dollaro a 625 lire punti, diedero una certa stabilità ai prezzi. Nel settore del credito, la novità di maggior rilievo si ebbe nel 1946, con la costituzione della *Mediobanca* per la concessione di prestiti a medio e lungo termine alle industrie. Il quinquennio successivo alla ricostruzione, 1951 -- 1956, fu caratterizzato da un notevole sviluppo industriale e dalla capacità di tener testa alla concorrenza mondiale. La crescita degli investimenti e il miglioramento della produttività furono dovuti alle nuove tecnologie e alla riorganizzazione delle aziende. Ma, il maggiore impulso alla produzione fu quello derivante all'aumento dei consumi, che salì del 23 %. Infatti, l'esodo di una parte della popolazione dal settore agricolo al terziario fece diminuire la disoccupazione ed aumentare la domanda di beni. A tale aumento contribuì anche la stabilità dei prezzi e l'aumento dei salari. Il ***miracolo*** dell'economia italiana si ebbe tra il 1957 e il 1963, allorché si disse *che per la prima volta nella sua storia l'Italia era diventata una grande potenza economica.* I fatti che portarono a tale miracolo furono numerosi. Nel settore agricolo, i progressi furono dovuti all'azione dei governanti preoccupati di migliorare le condizioni dei piccoli lavoratori. Fu emanata la legge per l'attuazione della riforma Fondiaria, essa prevedeva l'esproprio delle terre appartenenti ai grandi proprietari e l'assegnazione a coloro che l'avrebbero coltivata direttamente. I nuovi proprietari furono poi agevolati con prestiti per la costruzione delle infrastrutture e per rinnovare le colture. i contadini furono, inoltre, aiutati dalla *Cassa per il Mezzogiorno*, costituita nel 1950, per lo sviluppo delle regioni meridionali. Nel 1960 fu approvato il *Piano Verde,* un piano quinquennale per lo sviluppo dell'agricoltura italiana, che diede un nuovo indirizzo alla produzione agricola, tenendo conto della domanda interna ed estera. Con tale iniziativa furono concessi finanziamenti proprietari terrieri. I risultati di questi tre interventi, *riforma Fondiaria*, *opere della Cassa per il Mezzogiorno e Piano Verde*, non furono eccezionali; in effetti, si ebbe una maggiore meccanizzazione dell'agricoltura, un lieve miglioramento della produzione e si riuscì a risollevare le condizioni di vita di circa mezzo milione di lavoratori, specie piccoli proprietari terrieri, ma non si ebbe un gran aumento dei nuovi posti di lavoro. Il vero miracolo economico si ebbe nel settore industriale. Tutti i settori industriali aumentarono produzione e produttività, ma l'espansione maggiore si verificò per il gas naturale e la lavorazione del petrolio in derivati energetici. Per il trasporto di prodotti energetici, liquidi e gassosi, dai luoghi di produzione a quelli di consumo fu costituita una vasta rete di oleodotti e gasdotti. Le raffinerie di petrolio furono costituite nelle vicinanze dei maggiori porti. Ma, le industrie che maggiormente contribuirono alla crescita del prodotto nazionale netto furono quelle meccaniche. Rapidissima fu l'espansione della Fiat che produceva nel 1961 quasi il 90 % delle automobili vendute nel paese. Crebbe la produzione di macchine agricole, materiale per le ferrovie, aeroplani, materiale elettrico ed energia nucleare. Alla crescita industriale contribuì l'abbondante disponibilità di manodopera, che dalle campagne si spostò nelle città e dal sud emigrò al Nord per trovare lavoro nelle fabbriche. I salari non pesarono molto sui costi di produzione, perché vi fu solo un *giusto* aumento, nel senso che non fu *troppo*, spiega Labini, ma nemmeno troppo poco, poiché i *sindacati spingevano in alto i salari pur in presenza di una vasta disoccupazione*. Un ruolo importante nella crescita industriale l'ebbero le esportazioni, che salirono sia per i bassi costi, conseguenza dei bassi salari, sia per la notevole crescita della domanda internazionale. Si diffuse poi la produzione di massa mediante l'impiego dell'automazione elettromeccanica. Il ruolo trainante della crescita industriale fu svolto dallo stato, attraverso la gestione di aziende semi pubbliche, l'IRI diede un notevole impulso alla lavorazione dei metalli ferrosi a ciclo integrale (si cominciava dall'estrazione del minerale greggio e del carbone e si arrivava alla produzione dell'acciaio) negli stabilimenti dell'ILVA e di Cornigliano (Genova) che, nel 1961, vennero fusi e diedero vita all'*Italsider.* All'IRI facevano capo numerose aziende che svolgevano attività diverse, per cui fu necessario creare delle società finanziarie che avevano il controllo e il coordinamento dei singoli settori: *la Finsider, la Finmeccanica, la Finmare, la Stet, la Fincantieri, la Finelettrica e l'Italstat,* che finanziarono la costruzione di autostrade, trasporti marittimi, telefoni e produzioni di acciaio di energia elettrica. Nel 1953 fu creato l'**ENI** (*Ente Nazionale Idrocarburi*) con il compito di ricercare, raffinare e trasportare il petrolio in altri gas naturali. L'ENI, come l'IRI era una società che finanziava le imprese controllate (AGIP, SNAM, ANIC, ecc. Fu merito di Enrico Mattei se nel 1960 l'ENI aveva tanto sviluppato la sua attività da allinearsi alle maggiori società petrolifere del mondo. Altri interventi finanziari dello Stato si ebbero nel 1958 con la nazionalizzazione *dell'Ente Autonomo di Gestione per le Aziende Termali* e nel 1962 con la nazionalizzazione delle aziende produttrici di energia elettrica e la creazione dell'**ENEL** (Ente Nazionale per l'Energia Elettrica). L'intervento dello Stato riguardò anche il settore bancario. Nel 1952 con i fondi delle casse di risparmio e delle banche private locali fu creato il *Mediocredito Centrale*, incaricato di finanziare i Mediocrediti Regionali, per mezzo delle operazioni di riscontro. Fu creato, inoltre, l'*Artigiancasse* per la concessione di crediti agli artigiani. I finanziamenti alle imprese industriali del Mezzogiorno venivano fatti dall'***Isveimer*** (*Istituto per lo sviluppo economico del* *Mezzogiorno).* Nel 1953 sorse il CIS (*Credito Industriale Sardo)* per la concessione di prestiti agevolati all'industria della Sardegna. Nello stesso anno fu creato l'*IRFIS* (*Istituto Regionale per Finanziamenti all'industria in Sicilia*). Gli stessi enti, 1958 fornirono il capitale per la costituzione della *Sofis* (*Società Finanziaria Siciliana*) sempre per finanziare le industrie dell'isola. Nel 1957 alcune banche, industrie e società finanziarie costituirono l'*Efibanca* (*Ente Finanziario Interbancario*) con lo scopo di concedere prestiti nel lungo termine alle piccole imprese che non riuscivano a ricevere i finanziamenti dalle banche di deposito. Nel 1959, infine, fu creata l'*Interbanca*, una banca per i finanziamenti a medio e lungo termine. Durante gli anni del miracolo economico tutte le banche italiane aumentarono le proprie operazioni e non subirono grandi perdite. Anche il commercio estero italiano, dal 1950 al 1963, crebbe notevolmente grazie alla liberalizzazione degli scambi attuati attraverso gli organismi di cooperazione economica e finanziaria europei e internazionali a cui l'Italia partecipò attivamente. **La congiuntura economica italiana nel ventennio 1963 1983** Nel 1963, la crescita dell'economia italiana subì una battuta di arresto. Seguì un periodo di razionalizzazione che durò fino alla crisi petrolifera del 1973. La prima crisi si ebbe nel 1963-65. Dopo la nazionalizzazione dell'energia elettrica (1962), si diffuse nel paese una certa sfiducia tra gli imprenditori, i salari crebbero più della produttività del lavoro e i consumi privati aumentarono, perché stimolati da miglioramenti salariali. Crebbero le importazioni di beni di consumo e aumentò il disavanzo della bilancia dei pagamenti. Per porre riparo a questa crisi, la Banca d'Italia e il governo attuarono una politica di restrizione del credito. Tale politica frenò la domanda interna e fece aumentare le esportazioni all'estero. In poche parole era finito il miracolo economico. Dal 1967 al 1972 le difficoltà tornarono i sindacati, con la riduzione della disoccupazione avevano rafforzato il loro potere e chiedevano aumenti salariali superiori alla crescita della produttività assieme alle riforme sociali (Case popolari, ospedali, scuole, ecc.). Per far fronte all'aumento del costo del lavoro le grandi imprese adottarono nuove tecnologie e il decentramento produttivo aziendale e territoriale. Quindi, per evitare i licenziamenti del personale le aziende realizzarono tale decentramento produttivo con la creazione di numerose piccole imprese, che facevano parte dello stesso processo di produzione, con pochi operai a basso costo. Questa ristrutturazione fu posta in atto specie nelle regioni del nord. Nel Mezzogiorno, invece, si effettuarono grossi investimenti per sfruttare le agevolazioni dello Stato e per la minore conflittualità del lavoro. Nel decennio 1973-1983, l'economia italiana fu colpita da una grave crisi che trova le sue manifestazioni più significative nell'aumento continuo ed eccezionale dei prezzi, nella disoccupazione crescente, nel disavanzo della bilancia dei pagamenti e nelle perdite delle grandi imprese industriali. La prima causa va ricercata nel sistema economico internazionale. Nel 1971, fu stabilita l'inconvertibilità del dollaro in oro ed al 1973 l'Italia rese fluttuante la lira. Il colpo maggiore all'economia fu dato dall'aumento del prezzo del petrolio che si ebbe nel 1973 e nel 1979. Il colpo fu grave per la forte dipendenza dell'attività di molte industrie italiane dall'importazione di petrolio. Il governo affrontò tale crisi con una politica di austerità al fine di ridurre la domanda di petrolio. Politica che riuscì a contenere la crescita del disavanzo nei pagamenti internazionali, ma aggravò la disoccupazione. Quindi, per sostenere la domanda di beni di consumo, furono aumentate ulteriormente le spese pubbliche tramite la politica assistenzialistica: sussidi alle famiglie, pensionamenti anticipati agli impiegati dello Stato, ricorso alla cassa integrazione (una Cassa che utilizza i fondi dell'istituto nazionale della previdenza sociale per integrare il salario degli operai temporaneamente sospesi dal lavoro per ragioni a loro non imputabili), allargamento dell'occupazione nel pubblico impiego, ecc. Per far fronte alla crisi bancaria del 1974 che colpì anche l'Italia, specie dopo la caduta della banca privata italiana di Michele Sindona, un decreto del governo autorizzò l'intervento della Banca d'Italia per la concessione di crediti a favore delle banche in difficoltà. Comunque, per ridurre il disavanzo della bilancia dei pagamenti, nel 1976, il governo fu costretto a prendere drastici provvedimenti per un'economia di mercato: chiusura temporanea del mercato dei cambi e restrizione all'importazione. La Borsa Italiana, intorno alla metà degli anni '70, praticamente abbandonata dai grandi gruppi, con i bilanci delle aziende in disordine per l'incidenza degli oneri finanziari, soprattutto dopo la crisi petrolifera, è alla mercé di pochi speculatori. Il maggiore tentativo di opposizione a questo stato di cose fu l'istituzione nel 1974 della **Consob** (*Commissione Nazionale per le Società e le Borse*) per il controllo delle società e le borse. Infine nel 1977, la legge Pandolfi istituì il *credito d'imposta*, con il quale si pose fine all' iniquo regime della doppia tassazione sulle cedole azionarie. Con l'aggravarsi della crisi economica, nel decennio 1973- 83, anche i problemi del Mezzogiorno trovarono una più difficile soluzione. Nel decennio 1975-85 la popolazione del centro -- nord non aumentò, mentre diminuì la crescita nelle regioni meridionali. Si trattava, in ogni caso, di cifre ancora elevate specie se confrontate con quelle di altri paesi industrializzate e ciò in conseguenza della riduzione del movimento degli espatri. Dopo trent'anni di interventi straordinari nel Mezzogiorno vi erano ancora notevoli differenze di sviluppo economico delle stesse regioni meridionali. Situazione diversa caratterizzò le regioni del nord, dove dopo trent'anni tale divario fu quasi completamente annullato, grazie all'afflusso di rilevanti investimenti industriali. **La crescita dell'economia italiana negli anni 80** Tra il 1983 e il 1990 sull'onda dell'economia mondiale, anche l'Italia beneficiò dello sviluppo economico. Le ragioni dello sviluppo dell'economia italiana vanno individuate principalmente nella reazione all'aumento del prezzo del petrolio, che portò ad un maggiore consumo di energia alternativa. A questi provvedimenti si unì, dopo il 1985, la riduzione del prezzo del petrolio da parte dei paesi produttori. Riduzione che fu particolarmente benefica per l'economia italiana che aveva una forte dipendenza dell'importazione del petrolio. L'espansione, fino al 1988, fu principalmente trainata dalla domanda mondiale di prodotti italiani. Con la crescita dell'economia il tenore di vita degli italiani salì notevolmente e si avvicinò a quello dei paesi più ricchi. Tuttavia, non vi furono grandi progressi nel settore dell'occupazione. Dal 1983 la domanda di lavoro fu sostenuta con i contratti di formazione che furono prima utilizzati nel centro nord e poi nel sud. La politica economica del governo sostenne la crescita della produzione riducendo la pressione fiscale tramite il *fiscal drag*, cioè furono modificate le aliquote relative *all'IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche)* al fine di eliminare gli effetti prodotti dall'inflazione sulla crescita del reddito. Alla riduzione della pressione fiscale corrispose un ulteriore aumento del disavanzo del bilancio dello Stato, che si è tradusse in un aumento del debito pubblico. Nonostante la crescita della spesa dello Stato, l'inflazione, dal 1983 al 1990, fu piuttosto contenuta (tra il 5 e il 6 per cento l'anno) per merito principalmente della politica monetaria attuata dalla Banca d'Italia, che è riuscì ad adeguare la circolazione al fabbisogno degli scambi. Un sostegno allo sviluppo economico del periodo fu dato anche dalle banche che concessero notevoli crediti speciali, in particolare nei settori mobiliare e fondiario. Nel giugno del 1981 giunse il crollo violento e improvviso della Borsa di Milano, che fu addirittura chiusa per alcuni giorni. Tra le principali cause di ribasso dei corsi vi furono eventi emotivi, come l'arresto di Calvi e Bonomi, ed eccezionali come la scoperta degli elenchi degli appartenenti alla loggia massonica P2. Il quadriennio 1988 - 91 fu un periodo di sostanziale ripresa dei corsi per le principali borse mondiali, nonostante eventi eccezionali come l'unificazione tedesca, la crisi del Golfo Persico, il tentativo *golpe* in Russia. La favorevole congiuntura dell'economia italiana nel periodo 1983 - 1989 non ridusse il divario tra nord e sud del paese. La disoccupazione era ancora molto diffusa, elevato era il grado di analfabetismo, i servizi pubblici erano ancora carenti, ecc. La soluzione sarebbe quella di ridurre le carenze infrastrutturali, specie in vista dell'unificazione del mercato europeo e della probabile integrazione economica tra l'est e l'ovest; una volta eliminate tali carenze bisognerà abbandonare la politica degli interventi straordinari e gli imprenditori meridionali dovrebbero avere il coraggio da soli di affrontare i mercati nazionali e internazionali. ***Testo consigliato: Storia economica Secoli XVIII - XX - Balletta Francesco (seconda edizione)***