Cito e Isto 2022/2023 - Lezione Completa PDF

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This document is a lecture on cytology and histology, covering the fundamental concepts of cells and tissues. Focus is given to cell structure, function, and the relationship between form and function. Real-world applications in areas such as parasitology and environmental toxicology are also discussed.

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Anno 2022/2023 Professoressa Giari CITOLOGIA LEZIONE INTRODUTTIVA – 3 OTTOBRE 2022 La prima volta che ho pensato a questa prima lezione ero al cinema a vedere un film dedicato a Ennio Morricone e sono...

Anno 2022/2023 Professoressa Giari CITOLOGIA LEZIONE INTRODUTTIVA – 3 OTTOBRE 2022 La prima volta che ho pensato a questa prima lezione ero al cinema a vedere un film dedicato a Ennio Morricone e sono rimasta affascinata dalla varietà dei brani che Morricone aveva composto con solo poche note. Infatti, se pensassimo che con solo sette note viene fuori un’immensità e una varietà di possibili musiche, di possibili brani e di generi, come per esempio La Dolce Vita di Fedez, oppure una sinfonia di Beethoven o anche metal. Alla fine, lo stesso stupore lo possiamo avere tranquillamente girandosi intorno: meduse, un metanogeno, uno scorpione, un fungo, una libellula, una stella marina, dei lieviti, una sanguisuga, un protozoo, un colibrì … una varietà incredibile di forme di vita, diverse per forma, colore, dimensione. Tutta questa varietà poggia su solo due tipi di cellule, la cellula procariote e la cellula eucariote, quest’ultima presenta due varianti principali che sono la cellula vegetale e quella animale, ma tutti gli organismi che abbiamo visto son costituiti da un tipo di cellula, o una o l’altra. Non esiste un organismo che abbia sia una cellula che altra, o si è procarioti o si è eucarioti. Quindi è davvero intrigante andare a vedere questo mattoncino da dove è partito tutto e di cui tutto è costituito. Perciò le cellule sono le note della biologia. Non c’è musica senza note e non c’è biologia senza cellule. Non c’è uno studio scientifico, biologico senza conoscenza delle cellule. Proprio per questo il nostro corso è collocato al primo anno del nostro corso di biologia. Importante seguire il corso su classroom per tutte le informazioni e per il materiale. Se si vuole avere informazioni più specifiche del corso, si può guardare nel sito del corso di scienze biologiche. Il corso avrà 5 cfu di lezione teoriche e si faranno nel polo fieristico, mentre 1 cfu sarà pratico e si svolgerà al polo biologico Mammuth. Le esercitazioni, non sono obbligatorie, verranno nella seconda metà di novembre e nella prima metà di dicembre e ci saranno dei turni che non si potranno cambiare. I contenuti del corso sono divisi in tre blocchi: CITOLOGIA - Livelli di organizzazione biologica e importanza dello studio della cellula. Composizione chimica delle cellule: acqua, carboidrati, lipidi, proteine ed acidi nucleici. Descrizione della cellula animale, compartimentazione e sistema endomembranoso. Struttura e funzione di: - nucleo e ribosomi: il flusso dell'informazione dai geni alle proteine - reticolo endoplasmatico liscio e rugoso, apparato di Golgi, endosomi e lisosomi: traffico vescicolare - perossisomi - mitocondri: origine (teoria dell'endosimbiosi), forma e localizzazione, cenni sulla respirazione cellulare - citoscheletro, centrosoma, fuso mitotico - membrana plasmatica: composizione, asimmetria, trasporti Diversità morfologica tra cellule. Polarità cellulare. Specializzazioni cellulari: microvilli, glicocalice, stereociglia, ciglia, flagelli, sistemi giunzionali. Inclusioni e granuli. ISTOLOGIA - Caratteristiche generali e classificazione dei tessuti animali. Morfologia, composizione e funzioni dei seguenti tessuti: - tessuti epiteliali: epiteli di rivestimento (semplici e composti) ed epiteli ghiandolari. Ghiandole endocrine ed esocrine - tessuti connettivi (cellule residenti e non, sostanza amorfa, componente fibrillare): connettivi propriamente detti (lasso, denso, reticolare, elastico), tessuto adiposo (bianco e bruno), cartilagine (ialina, elastica, fibro-cartilagine), tessuto osseo (compatto e spugnoso) e tipi di ossa, sangue e cenni su emopoiesi, emostasi e risposta immunitaria - tessuti muscolari: striato scheletrico, striato cardiaco, liscio; miofibrille e meccanismo della contrazione; struttura generale del muscolo scheletrico - tessuto nervoso: neuroni, sinapsi, cellule gliali del sistema nervoso centrale e di quello periferico; struttura del nervo L’interazione dei tessuti a dare gli organi. Struttura degli organi cavi (vascolari e viscerali) e degli organi pieni. METODOLOGIE PER LO STUDIO DI CELLULE E TESSUTI - Principali strumenti e tecniche per l’indagine morfologica. Microscopia ottica ed elettronica con descrizione dei tipi di microscopi e relative potenzialità. Preparazione dei campioni per l’analisi istologica: dissezione ed espianto dei tessuti, fissazione, inclusione, microtomia (piani di taglio), colorazioni istologiche ed osservazione delle sezioni. Tecniche di cito-istochimica, immunoistochimica, immunofluorescenza. Citofluorimetria. Le esercitazioni verteranno sull’osservazione al microscopio di preparati e vetrini per riconoscere i tipi cellulari e i diversi tessuti e come essi si organizzino a dare gli organi e per individuare le principali colorazioni istologiche. Gli studenti prenderanno inoltre visione degli strumenti e delle fasi per l’allestimento di campioni destinati alla microscopia ottica e a quella elettronica. ❖ Cosa faremo in questo corso? Faremo una scala, anzi un pezzo di scala. Faremo tre gradini di questa scala, ovvero la scala dei livelli di organizzazione biologica. I tre gradini sono: le molecole, le cellule e i tessuti. Prima e dopo di questi gradini ci sono altri livelli come per esempio gli atomi, le cellule subatomiche oppure gli apparati di cui noi non ci occuperemo ma lo farete in altre materie. Cosa succede passando da un gradino all’altro? Aumenta la complessità, ma soprattutto vediamo le proprietà emergenti, ovvero informazioni che nel livello precedente non c’erano. Notate anche un’altra cosa in questa scala, noi andiamo in salita in questa scala. Il gradino delle cellule è IL gradino fondamentale, perché è uno spartiacque tra la materia vivente e la materia non vivente. Perciò quello che c’è sotto questo gradino, sono comuni a tutta la materia, sia non vivente che vivente. Invece, dalla cellula in su sono propri degli organismi viventi. Il fatto di avere un’organizzazione cellulare fa di un organismo, un organismo vivente. Mentre se non la si ha non si è né un organismo eucariote, né procariote; per esempio, i virus son solo un pezzetto di acido nucleico, o RNA o DNA, avvolto in un capside proteico. Su come definirli è un dibattito tra scienziati, infatti non sono cellule, ma prodotti biologici; senza il legame con le cellule non possono sopravvivere. Il fatto che la cellula sia un gradino fondamentale è provato anche dalla teoria cellulare. La cellula è l’unità morfologia e funzionale della vita. Quini la cellula in sé, si può notare negli organismi unicellulari, contiene tutte le proprietà e le capacità che permettono di vivere, di riprodursi, di replicarsi. Come, per esempio, anche tutte le reazioni chimiche hanno luogo dentro le cellule. Ogni cellula deriva da un’altra cellula. La cellula ha in sé tutte le informazioni, sotto forma di DNA, in cui sta scritto com’è fatta, come funziona e che possono essere trasmesse alle cellule figlie. La cellula è così importante che è il criterio fondamentale con cui noi distinguiamo i vari organismi viventi. Pensate ai domini, che sono Eukarya, Bacteria, Archaeabacteira. Oppure anche la suddivisione in base al numero di cellule, organismi unicellulari (procarioti ed eucarioti) e organismi pluricellulari (eucarioti), in particolare in questi ultimi osserviamo la differenziazione delle cellule e avranno specifiche funzioni. I tessuti sono solo quattro tipi e con solo questi quattro si formano tutti gli organi, tutti gli animali che noi conosciamo. Quindi cellule due e vengono fuori tutta quella varietà, tessuti quattro e vengono fuori tutta quella varietà, qui si gioca molto bene con questi poco mattoncini. Nell’immagine ฀ molecola colesterolo, cellula mucosa dell’intestino, tessuto intestinale ❖ Obbiettivo del corso Osservare ฀ l’abilità di chi studia biologia è studiare quello che si vede. Noi lavoreremo nelle immagini e poi con i microscopi. La prima immagine di fianco è stata ottenuta con microscopio a fluorescenza e sono fibrociti, la parte verde è il nucleo, le varie diramazioni sono microtubuli, mentre quelli più sottili sono i microfilamenti. Nell’immagine vicina si vedono i globuli rossi ed è ottenuta con microscopio a scansione. Infine, l’ultima foto è una sezione istologica visto al microscopio ottico, è una sezione trasversale del cordone ombelicale. Si notano due arterie ombelicali e una vena ombelicali. Descrivere ฀ cercare di notare i particolari e descrivere in modo adeguato con il lessico specifico le varie osservazioni. Importante in questo corso è avere un lessico preciso. Conoscere ฀ Cosa? vogliamo conoscere la composizione in termine chimici, la struttura, la collocazione e la funzione degli organuli, cellule e tessuti animali. Come? studiando le principali tecniche e utilizzando gli strumenti per studiare le cellule e i tessuti. Perché? è il nostro modo di conoscere e riconoscere, di associare un oggetto. Per esempio, nell’immagine possono riconoscere dei fagioli oppure i reni dei mammiferi. Capire la forma mi aiuta a capire la funzione di quella struttura. Inoltre, è importante perché mi permette di capire quanto sono vicini tra loro storicamente i vari organismi, per esempio gli arti superiori dell’uomo sono simili agli arti anteriori dei gatti oppure le ali dei pipistrelli. Poi mi permette anche cosa non va, perché se io non so come una cellula debba essere normalmente, io non riesco a capire se c’è qualcosa di patologico. Ritornando a binomio forma-funzione. Il binomio tra la fisiologia e la funzionalità tornerà molto. Se io so una funzione so anche molto probabilmente la struttura e anche il contrario se io conoscessi una struttura potrei capire che funzione ha. Esempio. Tutto dal punto di vista morfologico negli uccelli è adatto al volo, non solo la forma del corpo oppure la forma delle ali. Nello specifico le ossa delle ali, robuste e leggere a struttura a nido d’ape in modo tale da permettere di volare. Volare vuol dire anche impiegare tanta energia, mi aspetto quindi che nelle cellule muscolari ci sia un enorme quantità di organuli che permettono di creare energia; infatti, son pieni di mitocondri con la membrana interna piena di creste che permettono un maggiore produzione di ATP. Questi muscoli devono essere controllati, quindi anche dei neuroni che permettono di controllare il volo. Quindi tutto è propenso al volo. Tutte queste cose, che studieremo, poi vi serviranno come base per altre materie, come per esempio l’anatomia umana e comparata oppure per la patologia e per la fisiologia. Infine, perché tutto questo ha molte applicazioni, sia di ricerca che sia diagnostico. Alcuni esempi: - Ambito parassitologico: i parassiti possono andare a collocarsi in vari organi, tessuti dei loro ospiti. Andando a prendere i campioni degli organi parassitari, posso vedere sia quali danni ha causato, dove si colloca esattamente e anche qual è stata la risposta dell’organismo. In queste immagini posso osservare un parassita con una ventosa orale con cui si attacca e strappa pezzi di cellule intestinali. Questi invece è una che contiene tanti piccoli parassiti protozoi, l’ospite in questo caso produce delle cellule granuli e li manda dove c’è il parassita. - In ambito ambientale-ecologico studiare le gonadi maschili e femminili degli organismi può permette di sapere qual è il ciclo riproduttivo in una specie di un determinato lago/fiume. E quindi conoscere il periodo con maggiore capacità riproduttiva oppure quante volte si riproducono in un anno, traendo così delle conclusioni che poi serviranno anche per capire come gestire la fauna ittica. Le prime immagine sono gonadi femminili, mentre nel secondo gruppo di immagini sono gonadi maschili. - Ambito eco tossicologico: studiare gli effetti degli inquinanti in organismi esposti ad essi. - Ambito bio-medico: valutazione della tossicità dei farmaci in modelli animali. In particolare, in questo studio, si osservano gli effetti sull’orecchio di alcuni farmaci antitumorali per capire se ci sono danni alle cellule sensoriali. Per studiarli si hanno usato gli zebrafish. Esami: 3 appelli nella sessione invernali; 2 appelli nella sessione estiva e 1 a settembre. LEZIONE 2 – 05/10/2022 LA CHIMICA DELLA VITA Quali e quanti elementi costituiscono le cellule in natura? Solo circa 25 elementi sono rilevanti come costituenti degli organismi viventi, di cui solo 14 sono rilevanti, i restanti si trovano invece in quantità più ristrette. L’ossigeno, il carbonio, l’idrogeno e l’azoto sono tra gli elementi più importanti, in quanto formano il 96% della materia vivente. Il calcio è un costituente osseo e si trova sotto forma di idrossiapatite. Il fosforo si può trovare come: ione, componente delle molecole organiche oppure nelle ossa dei denti. Gli elementi in traccia, o oligoelementi, sono importanti anche se presenti in minor quantità (meno dello 0.01%). Questi elementi possono essere utilizzati come cofattori enzimatici, per le reazioni chimiche oppure per la composizione delle vitamine come per esempio lo iodio: è un precursore degli enzimi tiroidei dei vertebrati e la sua assenza comporta l’insorgere di numerose patologie. Infine gli elementi in traccia possono essere associati alle molecole per il trasporto dei gas respiratori, come il ferro. La crosta terrestre e il corpo umano hanno composizione simile? La percentuale di ossigeno e di idrogeno è molto simile in quanto costituiscono l’acqua. La maggiore differenza sta nell’assenza del carbonio nella crosta terrestre, ma fondamentale per gli esseri viventi. Questo significa che gli organismi hanno selezionato delle molecole specifiche e funzionali per la vita stessa. L’acqua è un composto inorganico di formula molecolare H2O, in cui i 2 atomi di idrogeno sono legati all’atomo di ossigeno con un legame covalente. E’ una molecola polare (dipolo elettronico): l’ossigeno è più elettronegativo rispetto l’idrogeno, questo significa che l’ossigeno ha maggiore capacità di attrarre verso di sé gli elettroni: in sintesi, gli elettroni saranno più vicino all’ossigeno rispetto all’idrogeno. L’ossigeno ha parziale carica negativa e l’idrogeno ha parziale carica positiva. La vita inizia nell’acqua ed è indissolubilmente legata a questa, infatti nel campo dell’evoluzione filogenetica è importante ricordare che i primi organismi nacquero nel brodo primordiale, e rimasero nell’acqua per miliardi di anni prima di colonizzare la terra ferma. Le cellule contengono dal 70% al 95% di acqua: per esempio le meduse sono costituite dal 95% di acqua invece l’uomo dal 60% circa (dipende dal sesso e dall’età). L’acqua ricopre il 71% del nostro pianeta, infatti è la prima molecola, nonché la più importante, che troviamo negli organismi viventi. L’acqua si può trovare nelle 3 stati: liquido, solido o gassoso. Le proprietà dell’acqua dipendono dai legami idrogeno che si instaurano tra le sue molecole. Il legame idrogeno è più debole rispetto al legame covalente ma essendoci tanti legami che legano tra di loro le molecole d’acqua, questi conferiscono forza e resistenza. L’acqua è un solvente, un reagente e anche un prodotto di alcune reazioni. L’acqua non è un solvente universale in quanto non riesce a interagire con i composti fortemente apolari. Nell’acqua di sciolgono molte sostanze e composti ionici e polari. In base all’affinità per l’acqua si distinguono le sostanze: Sostanze idrofile: quindi affini all’acqua come i composti ioni e polari Sostanze idrofobe: quindi “fuggono” dall’acqua Proprietà: 1. L’acqua ha una forte coesione e adesione che consente una tensione superficiale estremamente elevata; consente, per esempio, la risalita di acqua dalle radici alle foglie degli alberi. 2. Impedisce brusche variazioni di temperatura sia a livello climatico sia negli organismi viventi, infatti la temperatura dell’acqua è specifica. Per esempio, il calore dell’acqua si innalza molto più lentamente rispetto a quello del metallo. Un altro esempio è la vicinanza al mare, qui le escursioni termiche sono nettamente inferiori rispetto in città. 3. Il punto di fusione ed ebollizione è alto (0°-100°), c’è un ampio range che consente un continuo stato liquido dell’acqua e di conseguenza la vita degli organismi. Il ghiaccio è più leggero, galleggia sull’acqua, permette che al di sotto la vita continui. Il solfuro di idrogeno H2S ha un punto di fusione ed ebollizione inferiore allo zero: -60° e -86°. Un ruolo fondamentale lo gioca il carbonio: contiene 6 elettroni tra cui 4 di questi sono presenti nello strato esterno (strato di valenza), quindi il carbonio li può condividere fino a formare 4 legami per il suo riempimento. Questo significa che il carbonio è un tetravalente ed essendo anche di piccole dimensioni, può legare con molte molecole e formare macromolecole. I legami possono essere singoli, doppi e addirittura tripli. Il carbonio forma scheletri carboniosi (guarda la figura in alto) di lunghezza variabile: lineari, ramificati e chiusi ad anello. I gruppi chimici biologicamente importanti (funzionali): OSSIDRILE (OH) CARBONILE (CO): il carbonio è legato all’ossigeno tramite un doppio legame CARBOSSILE (COOH): conferisce acidità AMMINICO (NH2): conferisce basicità SULFIDRILE (SH) FOSFATO (PO4 3-): presente nel DNA e nel RNA METILE (CH3) Questi gruppi funzionali danno caratteristiche chimico-fisiche alle molecole e prendono parte alle reazioni chimiche all’interno delle cellule. Le molecole biologiche si suddividono in 4 classi: 1. PROTEINE (o protidi) 2. CARBOIDRATI (o glucidi, o saccaridi, o zuccheri) 3. LIPIDI 4. ACIDI NUCLEICI Caratteristiche: Composti organici (C, H, O) Molti (ma non tutti) sono costituiti da migliaia di atomi uniti covalentemente: peso oltre 10.000 Dalton (macromolecole) Ad eccezione dei lipidi, sono POLIMERI costituiti da subunità identiche o simili dette MONOMERI. Le subunità uguali vengono chiamati omopolimeri e quelle differenti vengono dette eteropolimeri. L’unione inizia con l’unione di 2 unità, formando un dimero, con l’aggiunta di più unità si formerà invece un polimero. Nella reazione di sintesi di un polimero: un monomero condivide un atomo di idrogeno e l’altro monomero mette un gruppo ossidrile, provocando la liberazione di una molecola d’acqua. In sintesi, quando è presente una reazione dove da alcuni monomeri si otterranno dei polimeri, si produce acqua e viene chiamata reazione di disidratazione o condensazione. Al contrario, per smantellare il polimero e ottenere dei monomeri, utilizzati per il fabbisogno di energia, c’è bisogno di acqua per scindere il polimero. In questo caso la reazione prende il nome di: idrolisi dell’acqua. LE PROTEINE Il termine proteina: “proteios”, significa al primo posto. Una proteina è formata da uno o più polipeptidi, ovvero polimeri di amminoacidi (aa); alcuni amminoacidi si legano tra loro attraverso dei legami peptidici (legami covalenti) per dare una catena polipeptidica. Le proteine sono le più rilevanti sia per la loro presenza, sia per la loro estrema varietà di funzioni che supportano all’interno delle cellule. Le proteine costituiscono il 50% del peso secco della cellula. Queste partecipano praticamente a tutte le funzioni espletate dall’organismo. Qual è la differenza tra una catena polipeptidica e una proteina? La proteina viene chiamata in questo modo solo quando ha raggiunto la sua forma tridimensionale e quindi può svolgere la sua funzione. Gli amminoacidi sono formati da: Un carbonio (C) centrale alfa, sempre legato a un idrogeno (H) Un gruppo amminico, che conferisce basicità Un gruppo carbossilico, che conferisce acidità Il gruppo laterale (R), differente per ogni amminoacido Gli amminoacidi si legano liberando una molecola d’acqua: un gruppo carbossilico, del primo amminoacido, libera un ossidrile (OH), invece il secondo amminoacido cede un idrogeno (H) del gruppo amminico. Questa reazione forma un legame peptidico tra il carbonio e l’azoto. Infine, nel legame peptidico si riconosce una zona terminale amminica libera (N-terminale), cioè priva di legami, nel lato posto di può notare un gruppo terminale carbossilico (C-terminale), anche questo privo di legami. La proteina viene “smantellata” per ottenere energia solo in caso di necessità, cioè quando sarà terminata la riserva di lipidi e glucidi. Quali sono le modalità per differenziare gli amminoacidi? Amminoacidi non polari: non interagiscono con l’acqua e stanno più vicini tra di loro Amminoacidi polari Amminoacidi elettricamente carichi in condizione di Ph cellulare (>7), possono essere positivi o negativi quindi basici o acidi. Dalla catena laterale (R) Se sono amminoacidi essenziali oppure non essenziali. Gli amminoacidi essenziali non vengono prodotti dal nostro organismo perciò è necessario introdurli tramite la dieta alimentare. Gli amminoacidi segnati in rosso (vedi tabella in alto) sono presenti solo negli adulti, infatti nei neonati o negli embrioni ci sono altri amminoacidi che non riescono a sintetizzare. LA STRUTTURA DELLA PROTEINE: Una proteina è biologicamente attiva solo se ha la sua specifica forma tridimensionale (conformazione). Tutte le proteine raggiungono la struttura terziaria ma solo le proteine che sono formate da più di un polipeptide raggiungono la forma quaternaria. Struttura primaria: è la sequenza degli amminoacidi uniti dal legame peptidico. Il legame peptidico avviene tra il gruppo amminico di un amminoacido e il gruppo carbossilico di un altro. Struttura secondaria: è il ripiegamento e la formazione di legami idrogeno, legami deboli, tra gli atomi dello scheletro carbonioso delle proteine. Struttura terziaria: è la struttura finale delle proteine cioè la struttura tridimensionale. La conformazione complessiva è stabilizzata dalle interazioni e dai legami delle catene laterali, possono essere: interazioni idrofobe e idrofile, legami ionici, legami idrogeno, ponti disolfuro e legami elettricamente positivi e negativi (si attirano tra di loro). I ponti di solfuro sono legami covalenti (cioè forti e stabili) sono dati dall’interazione di due amminoacidi che contengono solfidrile, come per esempio la cisteina. Struttura quaternaria: è la relazione fra le subunità polipeptidiche. Il collagene è formato da 3 catene polipeptidiche intrecciate per una maggiore resistenza meccanica. La emoglobina invece, è formata da 4 catene polipeptidiche intrecciate a 2 a 2, composte da alfa e beta. Le proteine si suddividono in globulari e fibrose: Le proteine fibrose sono molto allungate e resistenti, infatti hanno forte resistenza meccanica. Si trovano soprattutto (ma non sempre) nei tessuti connettivi, un esempio sono le fibre del collagene. Le proteine globulari sono di forma sferica e intrecciate su sé stesse. Si trovano facilmente nell’ambiente intracellulare La struttura primaria è molto importante perché incide su tutte le altre strutture. Quindi il cambiamento della struttura primaria modifica la struttura e la funzione delle proteine. Se invece la proteina perde la sua struttura tridimensionale, quindi si denatura, non è più in grado di svolgere la sua funzione. Per esempio, la malattia dell’anemia falciforme è causata dalla sostituzione, in posizione 6, della valina a posto dell’acido glutammico. Questi due amminoacidi sono completamente diversi tra di loro, l’acido glutammico è carico elettricamente, invece la valina è non polare, questo causa una regione idrofoba nei globuli rossi, che non dovrebbe esserci. I globuli rossi a forma di falce non trasportato correttamente l’ossigeno come fa invece un globulo rosso sano. I CARBOIDRATI I carboidrati sono derivati del carbonio, composti da: carbonio, ossigeno, idrogeno. Sono composti ternari. La formula di base è: (CH2O)n I carboidrati si suddividono per complessità: monosaccaridi, disaccaridi, polisaccaridi ed oligosaccaridi. I monosaccaridi: sono le molecole più piccole, nella loro formula chimica il numero degli idrogeni è sempre maggiore (X2) rispetto al carbonio o all’ossigeno. I monosaccaridi vengono classificati in base alla quantità di carbonio presente nella formula chimica: Triosi: presentano 3 atomi di carbonio. Ne fa parte la gliceraldeide, è un intermedio della glicolisi Tetrosi: presentano 4 atomi di carbonio Pentosi: presentano 5 atomi di carbonio. Fanno parte il ribosio e il desossiribosio, rispettivamente del RNA e del DNA, hanno un ruolo strutturale Esosi: presentano 6 atomi di carbonio. Sono il punto di inizio per la demolizione di ATP nelle nostre cellule. Ne fanno parte: il glucosio, il fruttosio e il galattosio. I carboidrati in soluzione acquosa tendono a chiudersi dando strutture ad anello con due forme diverse: alfa e beta. Se la posizione dell’ossidrile (OH) del carbonio 1 è sotto al piano dell’anello allora si parlerà di alfa, se invece l’ossidrile è sopra al piano dell’anello sarà beta. I monosaccaridi si possono ulteriormente suddividere in aldosi e chetosi, in base alla posizione del gruppo carbonile nella catena lineare. Se il gruppo carbonilico si trova all’estremità si parla di aldoso se invece il gruppo si trova nel mezzo della catena lineare allora si dice chetoso. I disaccaridi: sono formati da due monosaccaridi. I più famosi sono i seguenti: Il saccarosio: fruttosio + glucosio Il lattosio: galattosio + glucosio Il maltosio: glucosio + glucosio Gli oligosaccaridi: il termine “oligo” significa “pochi”, quindi sono formati da 3 a 20 unità di monosaccaridi, sono spesso legati a proteine e lipidi (formando glicoproteine e glicolipidi), localizzati sulla superficie delle cellule. La differenza dei gruppi sanguigni viene data dagli antigeni presenti nei globuli rossi. Gli antigeni sono formati da molecole oligosaccaridiche. I polisaccaridi: sono formati da tante molecole polisaccaridiche. Si dividono in polisaccaridi di riserva e strutturali. DI RISERVA: sono omopolimeri, cioè formati da polimeri tutti uguali di alfa-glucosio. Sono polimeri di riserva l’amido (per i vegetali) e il glicogeno (per gli animali). I carboidrati nell’uomo sono circa 1% del peso secco, e l’energia prodotta può essere subito utilizzata. Il glicogeno viene scisso in glucosio, quest’ ultimo è essenziale per la respirazione cellulare. Il glicogeno si trova nelle fibre muscolari e negli epatociti del fegato (il fegato è l’organo che bilancia l’energia del nostro organismo). L’uomo e i mammiferi hanno gli enzimi necessari per scindere il legame alfa-glicosidico. STRUTTURALI: un polimero strutturale è la cellulosa ed è un omopolimero di beta-glucosio. L’uomo e i mammiferi non hanno enzimi per scindere il legame beta-glicosidico che unisce la cellulosa perciò, se viene ingerita, non verrà assorbita dall’apparato digerente e a sua volta dall’organismo. I ruminanti riescono a digerire e assorbire la cellulosa grazie a una simbiosi con gli archeobatteri, presenti nel loro apparato digerente. Altri esempi di polimeri strutturali: la chitina e la glicosamminoglicani, quest’ultima è appartenente alla famiglia degli eteropolisaccaridi, in quanto è formata da zuccheri + amminozuccheri. I GAG sono altamente idrofili, sono costituenti importanti della matrice extracellulare e responsabili della consistenza dei tessuti connettivi della sostanza amorfa (Es. acido ialuronico). La chitina è un polimero di amminozuccheri, più precisamente: N-acetilglucosammina. E’ molto diffusa in natura in quanto costituisce l’esoscheletro degli artropodi e la parete cellulare di funghi e batteri. La chitina ha resistenza meccanica e molta flessibilità, ha elevata degradabilità da parte degli enzimi endogeni, accelera la guarigione ed è anallergica. Per questo viene utilizzata in campo medico per i fili di sutura, bende e per la cute sintetica. I LIPIDI I lipidi non sono delle molecole polimeriche. Hanno forme e funzioni altamente diversificate. I lipidi sono molto eterogenei e comprendono: trigliceridi o triacilgliceroli, cere, fosfolipidi, steroidi, vitamine e alcuni pigmenti. Hanno una caratteristica comune: scarsa o nessuna affinità per l’acqua (IDROFOBIA). Esistono comunque dei lipidi non polari e polari. In alcuni casi, all’interno della molecola lipidica c’è una porzione polare, quindi è presente una minima affinità con l’acqua. - Aciclici: presentano una catena aperta, come i trigliceridi - Ciclici: presentano almeno un anello nella loro conformazione - Policiclici: presentano diversi anelli, come gli steroidi I TRIGLICERIDI: sono la principale forma di riserva presente nel nostro organismo. Le gocce lipidiche, piene di acidi grassi, costituiscono gli adipociti: cellule del tessuto adiposo. Il trigliceride è formato da una molecola di glicerolo (3 atomi di carbonio + 1 alcool) + 3 molecole di acidi grassi. Il legame di tipo estere, avviene tra il carbossile degli acidi grassi e l’ossidrile del glicerolo e viene liberata una molecola d’acqua. A parità di quantità e di volume, i lipidi sono più energetici (il doppio) dei carboidrati perché sono più compatti e quindi occupano meno volume rispetto al glicogeno. Gli acidi grassi (= acidi carbossilici con una lunga catena carboniosa) variano per la lunghezza (12-22 atomi di C) e per l’assenza (saturi) o la presenza (insaturi) di doppi legami. Se sono presenti dei legami singoli (C-C) allora il legame sarà saturo. Se invece sono presenti dei doppi legami tra il carbonio, questo sarà insaturo. I legami saturi/insaturi influenzano la consistenza solida o liquida dei trigliceridi: - Gli acidi grassi saturi danno una conformazione solida: presente come prodotti degli animali - Gli acidi grassi insaturi invece, danno una conformazione liquida o fluida: presente come prodotti dei pesci La presenza del doppio legame consente di ripiegare la catena, impedendo all’impacchettamento solido, mantenendo fluido il trigliceride (anche a basse temperature). Gli acidi grassi possono essere uguali (3 acidi grassi saturi o 3 acidi grassi insaturi) o differenti (1 acido grasso saturo e 2 insaturi o viceversa). Le cere sono molto simili ai trigliceridi. Sono formate da una molecola di alcool alifatico a catena lunga (16-30 atomi di C) + 3 acidi grassi a catena più lunga (14-36 atomi di C). Le cere si possono trovare sia nel regno vegetale sia in quello animale, viene utilizzata come idrorepellente o per permeabilizzare penne, piume e pellicce. I FOSFOLIPIDI: sono simili ai trigliceridi ma contengono solo 2 acidi grassi anziché 3 e un gruppo fosfato cui è legata una piccola molecola carica o polare. I fosfolipidi (lipidi complessi) sono i costituenti delle membrane cellulare, esterne ed interne, delle cellule. A differenza dei trigliceridi, i fosfolipidi sono anfipatici: hanno un comportamento bivalente verso l’acqua; infatti presentano una testa polare quindi affine all’acqua e delle catene idrocarburiche apolari. La fosfatidilcolina è un fosfolipide molto presente, infatti esistono varie forme di fosfolipidi. Per esempio, nella membrana dei neuroni è presente un particolare fosfolipide: il sfingolipide. Questo al posto del glicerolo presenta la sfingosina, un amminoalcol. Come si organizzano i fosfolipidi in un ambiente acquoso? Questa organizzazione è molto importante in quanto l’interno della cellulosa ritroviamo un ambiente acquoso. - Monostrato: è presente quando c’è un’interfaccia aria-acqua. I fosfolipidi si posizionano in un unico strato allineato, dove le teste polari saranno a contatto con l’acqua e le code, posizionate in alto, saranno lontane dall’acqua (in quanto sono apolari). - Micella: nella micella non è presente l’aria ma solo l’acqua. I fosfolipidi si racchiudono a sfera lasciando all’esterno le teste polari a contatto con l’acqua, e all’interno le code apolari. Es. come avviene nell’intestino prima e durante la digestione e l’assorbimento. - Doppio strato: sono presenti due strati di fosfolipidi, uno sopra all’altro. Sopra e sotto sono posizionate le teste a contatto con l’acqua, invece all’interno ci sono le code che formano un core a doppio strato. Il doppio strato fosfolipidico è presente nella tessitura delle membrane cellulari e nelle membrane degli organuli. Le molecole dei fosfolipidi si possono organizzare anche a LIPOSOMA, una struttura sferica cava dotata di una regione interna idrofila. Può essere usato per veicolare farmaci polari direttamente all’interno delle cellule. GLI STEROIDI Gli steroidi sono derivati dei lipidi. Hanno uno scheletro carbonioso formato da 4 anelli fusi + 1 steroide, variano tra loro per i gruppi funzionali legati al complesso degli anelli. Il colesterolo è il costituente, insieme ai fosfolipidi, delle membrane cellulari. E’ il precursore di molti steroidi, come la vitamina D, gli ormoni sessuali e gli ormoni della corteccia del surrene. Gli ormoni sessuali sono importanti perché sono la causa del differenziamento cellulare e della corretta funzione degli apparati riproduttivi. Fanno parte degli ormoni sessuali: il progesterone, il beta-estradiolo, e il testosterone. Invece, fanno parte degli ormoni della corteccia del surrene: il cortisolo e l’aldosterone. Riassumendo, i lipidi svolgono numerose funzioni: riserva energetica, funzione strutturale, precursori, messaggeri chimici, isolanti termici e cuscinetti per i traumi meccanici. Le molecole coniugate: - Proteoglicani: è predominante; in termini di quantità, la porzione glucidica. Si differenzia dalle - Glicoproteine: dove è predominante la parte proteica - Lipoproteine: sono idrosolubili, trasportato nei liquidi biologici il materiale lipidico apolare. In base alla loro densità si dividono in 4 gruppi: chilomicroni, VLDL, HDL, LDL. HDL e LDL trasportano i trigliceridi e il colesterolo, con la differenza che LDL rilascia il colesterolo sulle pareti dell’arterie invece, HDL non permette la deposizione del colesterolo e lo indirizza a entrare nei tessuti dove verrà utilizzato senza lasciare l’eccesso nel sangue. GLI ACIDI NUCLEICI Gli acidi nucleici sono dei polimeri di nucleotidi. Un nucleotide è composto da 3 molecole: 1. Una base azotata 2. Uno zucchero pentoso 3. Un gruppo fosfato Lo zucchero pentoso varia in base se si trova nell’RNA (ribosio) o nel DNA (desossiribosio). Lo zucchero è attaccato alla base azotata, quest’ultime sono 5 ma solo 4 possono farne parte dell’acido nucleico: la timina è presente solo nel DNA invece, l’uracile c’è solo nell’RNA. Citosina, adenina e guanina sono presenti in entrambi i casi. - Le pirimidine: sono formate da un unico anello e ne fanno parte la timina, l’uracile e la citosina - Le purine: sono di più grandi dimensioni infatti sono formate da 2 anelli, ne fanno parte l’adenina e la guanina. Nucleoside: è l’unione della base azotata con uno zucchero (quindi senza fosfato). Il legame covalente avviene tra lo zucchero e il fosfato, invece le basi azotate sporgono lateralmente. Gli acidi nucleici contengono e trasmettono l’informazione ereditaria. DNA = ACIDO DESOSSIRIBONUCLEICO: - E’ il materiale genetico che gli organismi ereditano dai loro genitori e che ogni cellula eredita da cui deriva - Impartisce le direttive per la propria replicazione, dirige la sintesi dell’RNA e controlla la sintesi delle proteine - Contiene le istruzioni che programmano tutte le attività cellulari - La molecola di DNA è costituita da 2 filamenti polinucleotidici avvolti a spirale a formare una doppia elica RNA = ACIDO RIBONUCLEICO: - Permette il flusso dell’informazione genetica dal DNA alle proteine - Ne esistono di 3 tipi: 1. RNA messaggero 2. RNA ribosomiale 3. RNA transfer - Le molecole di RNA sono formate da un singolo filamento polinucleotidico LA DOPPIA ELICA DEL DNA: La doppia elica del DNA ha una larghezza costante, in quanto l’appaiamento avviene sempre tra una purina una pirimidina: - Adenina/Timina - Citosina/Guanina Cambiano però i legami idrogeno, nel caso dell’adenina e della timina ci sono 2 legami idrogeno invece, nel legame tra citosina e guanina ritroviamo 3 legami idrogeno. I filamenti sono antiparalleli l’uno rispetto l’altro. Lezione 3 - 10/10/2022 LA MICROSCOPIA Forti delle informazioni della volta scorsa, ci sono altre informazioni fondamentali che ci occorrono per affrontare con cognizione di causa lo studio della cellula e, oltre a capire le proprietà dei costituenti, ci interessa capire metodologicamente come avviene lo studio della cellula attraverso quali strumenti. Quindi oggi ci occuperemo, prima di iniziare il percorso di descrizione della cellula animale, della microscopia, argomento che trovate in entrambi i testi sempre al capitolo 2. La microscopia è assolutamente necessaria per studiare e osservare la cellula. Conoscere questi strumenti è fondamentale perché sono un requisito senza il quale noi non sapremmo nemmeno tutte le informazioni di cui attualmente disponiamo riguardo le cellule. Come mai c’è la necessità di utilizzare questi strumenti? Per un motivo molto semplice: le dimensioni delle cellule. In questa immagine che vedete su una scala logaritmica vi vengono proposti i range dimensionali delle molecole delle cellule e degli interi organismi. Si vede molto chiaramente che mentre la morfologia di un organismo, soprattutto se non è microscopico, noi la possiamo apprezzare e quindi descrivere anche con una osservazione ad occhio nudo, quando andiamo su livelli di organizzazione biologica più bassi, come quelli della cellula e sotto ancora delle strutture sub-cellulari, per non parlare di molecole ed atomi, abbiamo bisogno di un aiuto che potenzi le nostre capacità visive perché andiamo su delle unità di misura che sono di ordini di grandezza inferiori rispetto a quelle con cui abbiamo a che fare di solito. Noi di solito abbiamo a che fare con metri, centimetri e millimetri quando parliamo di organismi nel loro complesso, ma parlando delle loro cellule scendiamo a livello di millimetri, micrometri (10 alla meno 3 millimetri) e i nanometri (10 alla meno 3 micron). Tenete quindi presente questa unità di misura con cui daremo anche le dimensioni delle cellule e degli organuli che le compongono. La maggior parte delle cellule è compresa in una dimensione, cioè il loro diametro diciamo così, tra 1-100 micron, quindi siamo già con questo al di sotto delle capacità visive dell’occhio nudo. Da 1-100 micron specifichiamo meglio, in media le cellule procariotiche (più antiche, più piccole e meno complesse) hanno una dimensione variabile fra 1-10 micron. Anche qui ci sono delle eccezioni perché la più piccola cellula che si conosce è quella dei micobatteri che misura solamente 0.2 micron, mentre la maggior parte delle cellule eucariotiche (comprese anche quelle animali) di solito oscilla fra i 10-100 micron. Quindi più grandi delle procariotiche, ma ancora sfuggenti alle possibilità dell’occhio umano, per cui ci occorre il microscopio ottico. Quando poi andiamo a livello di organismi più piccoli o vogliamo andare a discriminare all’interno della cellula le strutture e gli organuli componenti, e quindi scendiamo a livello dei nanometri, occorre di nuovo un microscopio ma più potente addirittura di quello ottico. Anche qui, quando vi ho dato i range delle cellule animali 10-100 micron, in realtà bisognerebbe ammettere delle eccezioni. Ci sono delle cellule animali così grandi che le vediamo ad occhio nudo addirittura le maneggiamo e le cuciniamo pure. Per esempio le cellule uovo di tutti gli uccelli (uova) sono una unica cellula ma proprio perché sono infarcite di tanto vitello, di tanto materiale da deposito, assumono delle dimensioni particolarmente elevate. La più grande cellula animale che si conosca è quella dell’uovo di struzzo, però a parte queste particolarità ci sono anche tra le cellule vegetali delle cellule estremamente grandi come quella di CALLEU PATAXI FOGLI che è un alga tropicale, invasiva nel nostro mediterraneo che raggiunge delle dimensioni enormi rispetto alla maggior parte delle cellule vegetali. Quasi tutte le altre cellule rientrano in dimensioni più piccole per agevolare il rapporto superficie-volume che consente gli scambi efficaci con l’ambiente esterno. Non a caso, vi dicevo, i microscopi sono così importanti e non a caso la conoscenza che noi abbiamo delle cellule è andata di pari passo con la scoperta e l’affinamento di questi strumenti. Le cellule sono note fin dal 1665, l’anno in cui Robert Hooke le osservò, le descrisse e le identificò per la prima volta dando loro il nome di CELL. Lui stava osservando del sughero e appunto nel sughero queste varie unità che si ripetevano somigliavano a delle piccole celle e diede appunto questo nome. Ma a parte averlo individuato non si era capito più di tanto cosa contenevano o come fossero fatte. Nel 1670 abbiamo Leeuwenhock che era un appassionato oltre che di scienza anche di ottica, aveva messo a punto anche lui un rudimentale microscopio. Era riuscito ad osservare cellule vive fino ad ingrandimenti di 300 volte. Abbiamo quindi potuto osservare i batteri, i protozoi, spermatozoi. Vi risparmio di dirvi dove aveva trovato questi batteri che osservava, era molto intraprendente e poco schifitoso questo van Leeuwenhock. A metà del 1800 abbiamo le osservazioni compiute da Schleiden per quanto riguarda i tessuti vegetali e da Schwann per quanto riguarda i tessuti animali. I due si conoscevano e si frequentavano. Si sono confrontati sul fatto che entrambi avevano osservato le stesse cose, chi in organismi vegetali, chi in organismi animali e quindi hanno partorito quella che è la base della teoria cellulare: tutti gli organismi sono costituiti da cellule. Ancora però poco si sapeva su come era fatta la cellula internamente. Lo scatto ulteriore si è avuto solo un secolo dopo, verso la metà del 1900, quando comincia ad essere utilizzato in maniera più ordinaria un microscopio messo a punto da poco nel 1931, il microscopio elettronico. Fu solo lì che venne data una morfologia, un’identità e quindi, poi, anche un nome alla gran parte degli organuli cellulari che al microscopio ottico non venivano nemmeno identificati. Quali sono quindi i due principali tipi di microscopio? La grande divisione è fra i microscopi ottici e i microscopi elettronici. Già i nomi ci dicono da cosa dipende questa distinzione, questa grande potenza che essi hanno. Il microscopio ottico che in inglese è indicato con LM (light microscope) fa riferimento al fatto che sono microscopi che utilizzano come fonte di energia, che viene utilizzata per attraversare/osservare il campione, la luce o raggi luminosi. Nei microscopi elettronici invece non si utilizza la luce, ma il campione viene attraversato o scandagliato da un fascio di elettroni, ecco perché elettronico. A seconda che io sia interessata ad osservare la superficie, quindi ad avere un’immagine tridimensionale del mio campione, oppure per contro, osservarne una sezione (non vi è più tridimensionalità, non lavoro più sulla superficie ma posso osservare cosa c’è dentro) io parlerò in ambito di microscopi ottici dello stereomicroscopio e in ambito di microscopi elettronici, invece, del così detto SEM (microscopio elettronico a scansione). Ho quindi una visione della superficie e un’immagine tridimensionale. Quando invece lavoro su sezioni di campioni o tessuto utilizzo il microscopio ottico convenzionale, che è il microscopio ottico composto che userete prossimamente nelle esercitazioni. Se invece voglio vedere sezioni di tessuto al microscopio elettronico utilizzerò un particolare tipo di microscopio elettronico chiamato TEM (microscopio elettronico a trasmissione). Qual è la differenza oltre alla fonte di energia tra questi due tipi di microscopio? C’è sicuramente una differenza di complessità e quindi anche di prezzo; un microscopio ottico di base costa sui 400 euro quindi accessibile, invece un microscopio elettronico viene a costare sui 300-400 mila. Continuando il confronto tra microscopi ottici ed elettronici notiamo che sono diversi anche come potenzialità, quindi ciò che ci permettono di vedere e anche come facilità di impiego ed utilizzo. Il microscopio ottico è uno strumento che chiunque può maneggiare con un minimo di training anche in autonomia, infatti ne sono dotati praticamente tutti i laboratori, mentre invece un microscopio elettronico sia a scansione che trasmissione è abbastanza ingombrante e molto complesso. Entrambi presuppongono personale formato e specializzato per la preparazione dei campioni che devono essere visti al microscopio e per l’utilizzo del microscopio stesso. Un’altra differenza sta nella possibilità di visione. Per farvi capire qui vi ho messo immagini delle stesse strutture viste con i due diversi tipi di microscopio. Quindi si tratta sempre di organi sensoriali, i neuromasti, che si trovano sulla superficie del corpo per esempio anche dei pesci. Questo è quello che vedete con il massimo ingrandimento di un microscopio ottico quindi capite che ha questa serie di cellule che convergono come a fare una specie di vulcano, individuate chiaramente i nuclei che sono quelli più scuri e vedete qualche sezione delle ciglia tipiche di queste cellule sensoriali. Se noi andiamo poi a vedere queste stesse strutture al microscopio elettronico a trasmissione compaiono una serie di altri particolari: la placca dalla quale emergono le stereociglia e il chinociglio, si vedono dei mitocondri, si vede dove finisce una cellula e dove comincia quella a fianco quindi si intravede la membrana plasmatica. Quindi una serie di dettagli e informazioni in più perché c’è una possibilità di ingrandire maggiore. Tutto quello che noi vediamo esclusivamente al microscopio elettronico a trasmissione, che sono la maggior parte delle strutture sub-cellulari viene definita ULTRASTRUTTURA CELLULARE. Queste stesse strutture posso anche vederle a scansione, immagine tridimensionale in cui si vede bene che sporgono diciamo un po' la loro forma e si vedono svettare all’apice le varie stereociglia e chinociglio. Un’altra differenza importante fra i due microscopi è che però i trattamenti che noi dobbiamo fare ai campioni per poterli vedere sia al SEM che al TEM presuppongono necessariamente l’uccisione delle cellule dei tessuti, quindi io lavoro su materiale che è fissato e non su materiale vivo. Al microscopio ottico invece posso lavorare o su materiale fissato, ma anche lavorare su materiale vivo. Come mai è così difficile lavorare per vedere come sono fatte le strutture biologiche delle cellule? Un motivo l’abbiamo già detto è legato alle loro dimensioni piccole e l’altro motivo lo possiamo intuire da quello che abbiamo detto la volta scorsa. Il principale costituente delle cellule e conseguentemente dei tessuti è l’acqua che è trasparente. Queste strutture sono quindi fondamentalmente trasparenti e la trasparenza di sicuro non è un aiuto per l’osservazione. Tenuto conto di queste due problematiche, la microscopia quindi cerca di dare una soluzione. Sono infatti tre i parametri importanti in microscopia e che danno le diverse performance dei microscopi: ingrandimento, risoluzione e contrasto. L’ingrandimento è sicuramente quello che voi avete più presente e intuite più facilmente. È il rapporto fra la dimensione dell’immagine che viene prodotta attraverso la visione al microscopio e la dimensione reale di ciò che state guardando. Quindi se io ho un ingrandimento del 20, significa che l’immagine che io sto vedendo è 20 volte più grande rispetto alle dimensioni effettive. Se io vi mostro questa immagine voi vedete una sequoia gigante, ma se io vi mostro questa seconda immagine voi cosa vedete? C’è una persona che c’era anche prima, ma visto che l’ingrandimento era più piccolo non si era notata. Aumentando ancora si vede la persona ma non ho informazioni in più. Tutto questo per dire che l’ingrandimento non è tutto, non basta ingrandire per riuscire effettivamente ad osservarla e capire come è fatta. C’è un altro importante parametro che tende ad assere sottovalutato, la risoluzione. È dalla risoluzione dei microscopi che dipende la loro capacità di fornirvi nitidezza e ricchezza di dettagli dell’immagine che sto guardando. Ogni sistema ottico e quindi anche la vista umana è caratterizzata dall’avere un limite di risoluzione. Si intende la distanza minima presente fra due oggetti o fra due punti perché si possano effettivamente vedere quei due punti come punti distinti, separati l’uno dall’altro. Se due punti sono al di sotto di 100 micron l’uno dall’altro la mia vista non li percepisce come due punti ma come un unico punto. Noi infatti siamo fatti di cellule ma non vediamo le cellule che compongono la superficie del corpo delle persone che abbiamo di fianco. Vediamo una superficie continua e non distinguiamo una cellula dall’altra ad occhio nudo, questo perché il nostro potere di risoluzione è di 100 micron. Quindi i microscopi ci vengono in aiuto perché ampliano la nostra capacità di risoluzione. Ovviamente un microscopio è più performante mano a mano che il limite di risoluzione diventa più piccolo. Il microscopio ottico ha per esempio un potere di risoluzione di 0.2 micron che già è un passo avanti notevolissimo rispetto al nostro occhio. I due microscopi elettronici SEM e TEM vanno oltre su un limite di risoluzione che è dell’ordine dei nanometri. 10 nm per il SEM e addirittura 0.2 nm per il TEM, quindi 500mila volte meglio di come vediamo noi. C’è poi il problema del contrasto, quindi di distinguere parti che sono più o meno scure se tutto è trasparente. Questo può essere migliorato con alcuni tipi di microscopi, ma anche intervenendo sul campione. Ecco che la maggior parte delle colorazioni a cui noi sottoponiamo le cellule ai tessuti nei procedimenti istologici ha proprio questa finalità: aumentare il contrasto fra le strutture e permettere una più facile individuazione di una cellula rispetto ad un’altra o delle parti della cellula stessa. Da cosa dipende il limite di risoluzione? Ce lo ha detto il tedesco Abbe con la sua equazione che ci dice che il limite di risoluzione r dipende da una costante che è 0.61 e dal rapporto fra lambda che è la lunghezza d’onda di ciò che attraversa il campione, quindi nel caso della luce la lunghezza della luce e nel caso degli elettroni la lunghezza d’onda degli elettroni, fratto n sin alfa, che nel complesso viene indicato a volte anche come NA, cioè apertura numerica che dà un’idea della capacità delle lenti del microscopio di raccogliere la luce dopo che è passata attraverso il campione. In particolare vediamo questa apertura numerica da cosa è data. È data da questa n piccola che è l’indice di rifrazione del mezzo che si trova tra il campione e l’obbiettivo del microscopio. Di solito nell’osservazione normale ad un microscopio ottico fra l’obbiettivo e il vetrino c’è l’aria, e l’indice di rifrazione dell’aria è pari a 1. L’altro elemento è il sin alfa, dove alfa rappresenta l’apertura angolare della lente dell’obbiettivo. Questo alfa è il semiangolo del cono di luce che dopo aver attraversato il campione arriva a raggiungere la lente dell’obbiettivo. Se abbiamo una bassa apertura come in questo esempio, raccoglierà poca luce, se invece il microscopio ha delle lenti con una grande apertura numerica sarà in grado di raccogliere una maggiore quantità di luce, ed infatti vedete che il semiangolo è maggiore. In teoria il massimo valore di alfa sarebbe 90 gradi ma nella pratica è di 70 gradi. Per avere quindi un limite di risoluzione basso o devo avere un numeratore piccolo (lambda) o devo avere al denominatore un valore di apertura numerica più alto possibile. Qui sta la spiegazione del perché il potere di risoluzione del microscopio elettronico è così grande: la lambda per i microscopi ottici (luce visibile) va da 400 a 700 nm, un fascio di elettroni ha invece una lambda di 0.004 nm. Quindi con una lambda così piccola il potere di risoluzione sarà decisamente più piccolo. Nei microscopi ottici se invece di avere interposta aria fra l’obbiettivo e il vetrino metto una goccia di olio da immersione, la n passa da 1.4 a 1.5 aumentando le possibilità di risoluzione di un microscopio ottico. L’alfa però nel caso di un microscopio elettronico è molto bassa quindi qui non ci aiuta, però è talmente piccola la lambda che questo porta comunque il limite di risoluzione dei microscopi elettronici ad essere migliore rispetto a quello dei microscopi ottici. Se voi provate infatti a sostituire questi valori numerici che vi ho dato, la lambda del microscopio ottico e l’alfa dell’ottico e dell’elettronico trovate proprio quei valori che vi ho detto nella diapositiva precedente. Quando parliamo di microscopi ottici noi pensiamo al classico microscopio per guardare i vetrini, ma tenete presente che esistono invece diverse tipologie di microscopi. Tutti sono accomunati, per questo detti ottici, dal fatto che utilizzano raggi luminosi che attraversano il campione e che sono costituiti nella loro parte principale da lenti che servono per ingrandire e per correggere. Facciamo intanto una distinzione fra microscopi in campo chiaro e microscopi in campo scuro. Microscopi in campo chiaro: la luce passa direttamente attraverso il campione; se il mio campione non è colorato la luce lo attraversa rendendo difficile l’individuazione dei suoi confini e di ciò che contiene. Se però si colora il campione anche in campo chiaro si ha la possibilità di individuarlo meglio perché lo sfondo è luminoso/chiaro quindi è più difficile in campo chiaro vedere qualcosa che non sia colorato. Microscopi in campo scuro: la luce è diretta sul campione con un determinato angolo. Ciò che vedo è la luce che dal campione viene riflessa su un fondo che per il resto è scuro quindi fa spiccare meglio i campioni trasparenti. Microscopi a contrasto di fase: indicati per osservare le cellule vive che sono trasparenti. Hanno dei sistemi che permettono di trasformare delle immagini in cui ci sono delle minime differenze di spessore e densità del campione, in immagini in cui si apprezzano zone più chiare e zone più scure. Microscopi a fluorescenza: sfruttano e lavorano sul fenomeno della fluorescenza che può essere naturale o indotta dei campioni. Questo tipo di microscopio viene utilizzato in particolare per localizzare alcune molecole all’interno della cellula. Microscopi a luce polarizzata: dotati di un filtro polarizzatore capace di evidenziare alcune strutture di tipo cristallino o che sono date dal ripetersi di strutture ordinate che danno il fenomeno ottico della birifrangenza. Hanno questa caratteristica ad esempio il collagene, microtubuli, microfilamenti Con i microscopi ottici quando avremo messo a punto, e l’abbiamo già fatto, le lenti migliori possibili non riusciamo ad andare oltre con le loro capacità. Ci sono dei limiti intrinseci alle lenti, a come sono fatte, di quale materiale, quindi il salto che si può fare ancora può essere solo dato dall’unione delle caratteristiche del microscopio con quello di videocamere ad alta sensibilità che in continuo acquisiscano le immagini provenienti da questi microscopi e riescano a ricostruire dei video, consentendoci anche di seguire quali sono i movimenti degli organuli che avvengono all’interno delle cellule. Un salto di qualità c’è stato sicuramente passando dai microscopi con un solo oculare a quelli con due oculari. Così chiamato perché prevede l’azione di due lenti che ingrandiscono. L’azione dell’immagine finale avviene con due step successivi di ingrandimento; una prima immagine viene ingrandita dagli obbiettivi e proiettata sugli oculari e questi ultimi operano un ulteriore ingrandimento proiettando poi l’immagine direttamente nella retina, negli occhi di chi sta guardando. Quindi ecco perché composto, ci sono questi due step successivi di ingrandimento. Tutti i microscopi ottici sono costituiti fondamentalmente da due parti, una parte meccanica che accoglie i vari componenti e il cuore del microscopio che è la parte ottica quindi i sistemi di lenti. La parte meccanica che viene a volte indicata con il termine STATIVO è composta dalla base del microscopio che di solito è abbastanza robusta per cercare di minimizzare le vibrazioni che possono venire dal piano di appoggio su cui è appoggiato il microscopio nella quale è contenuto anche il sistema di illuminazione, quindi la sorgente della luce. Si trova poi il tubo che porta le lenti e un tavolino centrale, su cui si appoggia il vetrino, che permette di spostarlo a destra e sinistra in modo da poter scandagliare tutta la sua superficie. La parte ottica è costituita da tre sistemi di lenti: CONDENSATORE serve per indirizzare la luce, prodotta dalla sorgente luminosa, sul campione; dotato di una specie di diaframma che regola la quantità di luce che passerà attraverso il campione. Una volta attraversato il campione, quindi la sezione di tessuto, la luce verrà raccolta dal primo sistema di lenti che ingrandiscono OBBIETTIVI organizzati in un revolver con diversi ingrandimenti, di solito si va dal x4 fino al x100. L’immagina già ingrandita di un tot passa attraverso un prisma e viene inviata all’altro sistema di lenti OCULARI offrono ulteriore ingrandimento dell’immagine. Nel complesso l’ingrandimento totale che si ottiene è dato dalla moltiplicazione dell’ingrandimento dell’obbiettivo con cui sto guardando e l’ingrandimento di cui è capace il mio oculare. Se l’oculare ingrandisce x10 e io sto guardando con l’obbiettivo x10 vedo 100 volte più in grande di quanto sarebbe quella struttura. Ogni obbiettivo è caratterizzato da una lunghezza diversa e da una serie di informazioni scritte sopra. Gli obbiettivi più corti sono quelli che ingrandiscono di meno, quindi mano a mano che l’obbiettivo sarà più grande sarà più grande anche il suo ingrandimento. Gli obbiettivi sono la parte più costosa e più importante di un microscopio perché da loro dipende la risoluzione dataci nel complesso dal microscopio. Qui abbiamo i microscopi a contrasto di fase e a contrasto interferenziale di fase. Il microscopio a contrasto di fase viene utilizzato per vedere cellule vive particolarmente trasparenti, quindi è usato soprattutto in microbiologia e per lavorare sulle colture cellulari. La cosa importante è che la luce una volta che attraversa il campione, che ha spessore e densità diverse, crea dei raggi che hanno una fase diversa rispetto a quelli che non attraversano il campione. Queste piccole differenze di fase non vengono percepite dall’occhio ma vengono rese percepibili grazie alla presenza di un piano di fase, posto in alto dopo l’obbiettivo. Si percepiscono meglio quindi i contorni e ciò che viene osservato al microscopio. Il microscopio a contrasto interferenziale di fase permette una migliore risoluzione soprattutto dei bordi. Qui c’è un polarizzatore, posto subito dopo la sorgente, e un prisma a seguire. Si creano dei fasci di luce paralleli con dei percorsi diversi. Quando questi vengono poi ricongiunti dopo l’obbiettivo danno un’immagine più elaborata e vicina alla realtà. Questo mi consente di lavorare con materiale vivo. I microscopi a fluorescenza lavorano appunto sulla fluorescenza. Questo è un fenomeno particolare, una proprietà che hanno alcune molecole di assorbire la luce ad una particolare lunghezza d’onda e di riemetterla ad una lunghezza d’onda diversa maggiore nello specifico. In questi particolari microscopi abbiamo una fonte luminosa che genera una luce con in più la presenza di un primo filtro barriera che va a selezionare una specifica lunghezza d’onda monocromatica, quella che so essere assorbita dalla molecola che io voglio osservare. Attraverso questa lamina messa un po' in trasversale la luce viene indirizzata verso l’obbiettivo e verso il campione, in basso rispetto alla lamina. Epifluorescenza perché la luce arriva dall’alto al campione (epi=sopra). Dopo averla quindi assorbita viene emessa dal campione questa luce ad una diversa lunghezza d’onda, passa attraverso la lamina e viene selezionata da un secondo filtro a barriera. Io quindi imposto il mio microscopio in modo che ci sia una selezione di una certa lunghezza d’onda della luce in partenza e in arrivo per poter vedere le molecole che hanno quel specifico spettro di fluorescenza. Io posso lavorare sia con la fluorescenza naturale che alcune molecole che compongono le cellule hanno, oppure lavorare con la fluorescenza secondaria quella che io determino facendo delle specifiche colorazioni delle mie cellule con delle sostanze fluorescenti che prendono il nome di FLUOROCROMI. La fluorescenza naturale detta anche auto fluorescenza è per esempio tipica di alcune inclusioni o di alcuni mitocondri. Oppure sono i mitocondri capaci di emettere fluorescenza naturalmente, mentre il nucleo di altri non emette alcun genere di fluorescenza di per sé. Il citoplasma è debolmente fluorescente. Però si può ovviare, quelle strutture che di per sé non sono fluorescenti le posso rendere io fluorescenti andando ad utilizzare degli specifici coloranti. Per esempio l’arancio di acridina rende fluorescente entrambi gli acidi nucleici, sia il DNA che l’RNA; oppure il DAPI che colora un blu fluorescente specificamente solo il DNA. Quindi giocando con questi fluorocromi si possono evidenziare specifiche strutture o componenti all’interno della cellula. Se lavoro con con più di questi fluorocromi, ognuno specifico per una molecola ottengo delle immagini come questa in cui evidenzio nello stesso campione i diversi componenti con colori differenti. La microscopia a fluorescenza ha avuto un grande slancio, contribuito quando si sono scoperte le green fluorescent protein. Sono proteine fluorescenti che emettono un colore verde, naturali, espresse da delle meduse dell’Oceano Pacifico. Questi tre signori che per questa scoperta nel 2008 hanno vinto il Premio Nobel, hanno individuato la prima GFP, e dopo questa l’hanno seguita tante altre espresse da altri celenterati. Il vantaggio di queste GFP è che sono utilizzabili all’interno di cellule vive, è possibile creare delle chimere con le proteine normalmente espresse dalle cellule e poi andare a vedere dove si trovano all’interno di cellule vive. Quindi se vengono espresse, dove si trovano e come si distribuiscono all’interno della cellula, quindi sono state molto importanti e hanno permesso di raggiungere risultati in biologia cellulare impensati. I microscopi a fluorescenza possono essere o quelli a epifluorescenza visti prima, che però ha un limite: l’immagine complessiva che ottengo è sfuocata in quanto quel tipo di microscopio va ad illuminare tutto il campione prendendo in considerazione livelli e piani con fuochi diversi. L’immagine che invece ottengo con un altro microscopio a fluorescenza che è il CONFOCALE è a fuoco. Qui la luce è emessa da un laser che passa attraverso il campione, poi attraverso un foro piccolissimo prima di raggiungere l’elevatore. In questo modo il sistema va a considerare un piano di fuoco, un livello per volta e quindi lo mette a fuoco perfettamente eliminando tutti gli altri piani che non sarebbero a fuoco. Se poi si uniscono le immagini ottenute per ciascun livello, grazie a dei sistemi informatici che acquisiscono tutte le immagini del mio confocale e che le rimettono insieme ottengo un’immagine integrata in cui tutte le varie parti sono a fuoco. Faccio quindi una ricostruzione tridimensionale. Nelle due immagini, quella a sinistra tenuta con la fluorescenza normale, l’epifluorescenza, quella a destra con il confocale si vede quanto si guadagna in nitidezza. Passiamo invece a microscopi elettronici. Nel microscopio elettronico a trasmissione dobbiamo creare un fascio di elettroni perché è questo che andrà ad attraversare il mio campione. Quindi la parte più in alto dei microscopi è un cannone elettronico, alloggiato all’interno di un cilindro che in questa immagine non viene fatto vedere. In alto c’è un catodo (filamento di tungsteno) attraversato da corrente genera elettroni attratti dall’anodo al di sotto. Il fascio di elettroni corre poi fino a raggiungere il campione, attraversando diversi sistemi di lenti. Tutto ciò viene fatto in una particolare condizione che è quella del vuoto. Non ci deve essere quindi aria all’interno altrimenti il fascio di elettroni verrebbe intercettato dalle molecole di aria. Quindi oltre ad avere un cannone elettronico c’è bisogno di un sistema di pompe che crei il vuoto all’interno del microscopio. Ci sono dunque una serie di lenti, sia condensatrice, sia obbiettivo, sia lente intermedia (queste non sono lenti, non dovete immaginare delle lenti in vetro come sono nei microscopi ottici, vengono chiamate lenti per analogia ma sono in realtà elettromagnetiche. Servono quindi per orientare e far muovere correttamente gli elettroni all’interno). Gli elettroni raggiungono il campione ed alcuni riescono a passarlo facilmente, mentre altri vengono assorbiti o deflessi da alcune zone del campione. Gli elettroni arrivano poi ad un rivelatore che crea un immagine che è possibile vedere in diretta su uno schermo fluorescente verde, oppure vanno a colpire una pellicola fotografica. È quindi questo fondamentalmente il sistema del microscopio elettronico a trasmissione; si vedono delle sezioni che devono essere sottilissime per essere attraversate dagli elettroni, quindi sezioni ancora più sottili di quelle che osservo al microscopio ottico. Queste non possono essere messe su un vetrino perché gli elettroni non passerebbero, quindi vengono adagiate su delle grigliette di metallo, di solito di rame, che vengono inserite nel cannone e attraversate dagli elettroni. Quello che ottengo sono delle immagini in bianco e nero con gradazioni di grigio. Qui distinguo delle aree chiare definite ELETTRONTRASPARENTI o poco elettrondense e indicano zone in cui gli elettroni sono passati con facilità, e aree scure dfinite ELETTRONOPACHE o elettrondense dove, invece, gli elettroni hanno trovato ostacoli e quindi sono stati assorbiti o deflessi. Poi ci sono varie gradazioni di grigio che indicano una maggiore o minore elettrondensità delle varie strutture. Quindi quando anche noi andremo a descrivere le strutture o le cellule osservate al TEM utilizzeremo sempre questi termini: elettrontrasparenti o elettrondense. Questo che vedete ad esempio è un granulocita basofilo e questi così scuri sono i granuli pieni di istamina. Nel nucleo vedete delle zone più scure o più chiare a seconda dello stato di condensazione della cromatina (quella più scura è l’eterocromatina più compatta e più densa, quella più chiara è l’eucromatina. Anche il nucleolo appare molto scuro, elettrondenso). Il microscopio elettronico a scansione, invece, che è quello che scandaglia la superficie dà delle immagini di tipo tridimensionale. Usato per vedere le superfici delle cellule e piccoli organismi. Anche in questo caso utilizzo un fascio di elettroni, quindi avrò bisogno di un cannone che generi il fascio di elettroni, di una pompa del vuoto che permetta di farli viaggiare in assenza di aria e avrò bisogno di trattare il campione in modo che sia completamente metallizzato, quindi ricoperto di particelle di metallo, di solito di oro. Avviene quindi una doratura del campione, così questo fascio di elettroni che raggiunge il campione produce in superficie degli elettroni secondari che si generano per eccitazione. Questi vengono raccolti da un sistema di rilevazione che converte la captazione di questi elettroni in fotoni, quindi qualcosa di visibile, e crea un’immagine visibile ad uno schermo. L’ultimo tipo di microscopio, sia nella nostra trattazione che come elaborazione è il microscopio a forza atomica, inventato più di recente nel 1886. Viene utilizzato anche per i campioni biologici, ma non solo ed ha una capacità di risoluzione a livello di molecole e di atomi. È importante perché non occorre necessariamente fare dei trattamenti al campione che si osserva, quindi si può lavorare con materiale vivo a differenza di quanto avviene per il SEM o il TEM. Questa che vedete è un esempio di immagine prodotta da un microscopio a forza atomica che mostra i diversi componenti di una membrana cellulare. Di tutta questa carellata ciò che vi deve rimanere è per cosa vengono utilizzati i diversi microscopi, quindi quali sono le loro capacità, i loro limiti e quindi le loro possibili applicazioni in modo tale da poter ricondurre le immagini al tipo di microscopio con le quali sono state ottenute. Non mi interessa troppo la parte fisica del microscopio ma capire ad esempio le varie parti del microscopio ottico (importante), da cosa dipende la risoluzione quindi le variabili che contribuiscono a definirla. Cominciamo a descrivere la cellula. Abbiamo detto i componenti, abbiamo detto che ci servono i microscopi ora partiamo. LA CELLULA ANIMALE Essendo una cellula eucariotica per molti aspetti somiglia anche alla cellula vegetale. Qui vedete uno schema dei principali organuli che la compongono ed un immagine di un microscopio elettronico a trasmissione di come si presenta una cellula. Prima cosa: LA MEMBRANA PLASMATICA. Segna il confine tra l’interno e l’esterno della cellula. È una struttura comune a tutte le cellule e per la cellula animale questo è lo strato più esterno. La cellula animale non prevede la presenza di una parete come invece hanno le cellule vegetali, i funghi e i procarioti. La membrana plasmatica racchiude uno spazio interno, una sostanza abbastanza fluida tipo gel detta CITOSOL dove troviamo immersi tutta una serie di organuli e strutture. In primis il CITOSCHELETRO, una serie di componenti proteiche che costituiscono lo scheletro interno della cellula e che le consentono di avere la sua forma. Il NUCLEO dirige tutte le attività della cellula in quanto è il detentore della maggior parte del materiale genetico all’interno degli eucarioti e che è anche uno degli organuli più grandi che può essere individuato al microscopio ottico. Il nucleo costituisce una differenza importante tra le cellule procariotiche ed eucariotiche in quanto presente solo in organismi eucarioti. Il materiale genetico è racchiuso in questa sede delimitato da un INVOLUCRO NUCLEARE, non è libero nel citoplasma come lo è nei procarioti, organismi evolutamente venuti prima di un vero nucleo (pro carion). I RIBOSOMI sono dei piccoli organuli che troviamo sia in organismi procariotici che eucariotici. Poi abbiamo una serie di organuli comuni sia alla cellula vegetale che animale come il RETICOLO ENDOPLASMATICO, L’APPARATO DI GOLGI, I LISOSOMI (solo nella cellula animale) e i PEROSSISOMI che sono tutti organuli di tipo membranoso quindi delimitati da membrana e servono per la sintesi delle molecole utili per il metabolismo cellulare. I MITOCONDRI sono centrali elettriche fondamentali. Il CENTROSOMA è costituito da due centrioli. Questo è l’elenco degli organuli che andremo a descrivere. La struttura generale di una cellula eucariotica è costituita da questa membrana cellulare che separa l’ambiente extra cellulare da quello intra cellulare e non è solo un confine così passivo, ma è una struttura che permette di regolare tutti gli scambi tra l’interno e l’esterno. Scambi di energia, di materiale, di informazioni. Abbiamo anche una serie di altre membrane, che sono quelle che delimitano gli organuli all’interno della cellula, che vanno ad individuare una serie di ambienti dentro la cellula diversificati fra loro andando a creare una COMPARTIMENTAZIONE. Dentro la cellula ho comparti che sono appunto i vari organuli delimitati da membrane che formano dei microambienti diversi uno dall’altro con condizioni ideali per specifiche funzioni. ESEMPIO: i lisosomi sono un microambiente caratterizzato da un PH ben diverso da quello che troviamo nel citoplasma. Questa è una condizione utile per le reazioni degradative che avvengono dentro lisosoma. La compartimentazione permette quindi di avere ambienti specializzati in cui possono avvenire in contemporanea dei processi che hanno bisogno di ambienti diversi. È una caratteristica della cellula eucariotica che manca ai procarioti. Alcuni organuli sono delimitati da una singola membrana altri, lo vedremo, sono delimitati da una doppia membrana (nucleo e mitocondri). Pochi non hanno rivestimento membranoso (centrosoma e ribosoma). In alcuni testi si parla di un SISTEMA ENDOMEMBRANOSO: insieme di organuli che comprendono la membrana plasmatica, involucro nucleare, RE, apparato di golgi, lisosomi, perossisomi e varie tipologie di vescicole. Tutti questi componenti o hanno una continuità delle membrane dell’uno rispetto all’altro (involucro nucleare con RE) o sono collegati tramite il passaggio di vescicole, sacche delimitate da membrana che si staccano da un organulo e migrano per raggiungere altri organuli dove vanno a fondersi. Dobbiamo quindi parlare di membrane perché sono alla base per creare questi diversi ambienti interni. Sono alla base della compartimentazione. Le membrane biologiche (interne ed esterne) sono costituite da tre ingredienti di base. I due principali: DOPPIO STRATO LIPIDICO (fosfolipidi e colesterolo), PROTEINE e GLUCIDI presenti in quantità inferiore rispetto ai precedenti, sotto forma di glicoproteine e glicolipidi. Abbiamo la conformazione a doppio strato con le teste polari a contatto con ambienti acquosi, mentre al centro si interfacciano le code idrofobe. Ciò che vediamo al microscopio sono due binari elettrondensi costituiti dalle teste polari e al centro una zona più elettrontrasparente costituita dalle code di acidi grassi idrofobi. Lo spessore è di circa 5.5 nm. Le membrane non sono tutte uguali. Tutte presentano questi ingredienti ma in percentuali diverse. Le cellule animali sono si organizzate tutte nello stesso modo ma non sono uguali. Ci sono alcune proprietà comuni in tutte le cellule, ma ci sono anche diverse morfologie e diverse specifiche funzioni a seconda del tipo cellulare di cui parlo. Si sono evolute negli organismi pluricellulari cellule diverse l’una dall’altra per morfologia e struttura e hanno assunto comportamenti diversi. Nel corpo umano ad esempio ci sono più di 200 tipi di cellule diversi. Ad ogni differenza morfologica corrisponde una differenza funzionale. Dal punto di vista morfologico le cellule possono differire tra loro per la forma: sferica (nei liquidi e fluidi), discoidale (eritrociti), allungata (fibroblasti e cellule muscolari), poliedrica (cellula epatica), cuboidale (cellule dei tubuli renali e dotti ghiandolari), colonnare (cellule dell’intestino), stellata (astrociti). La forma delle cellule sarà molto importante perché usata come criterio per classificare gli epiteli. Le dimensioni delle cellule possono essere abbastanza diverse (3-20 micron di diametro). Numero e forma del nucleo possono variare. La maggior parte delle cellule ha un solo nucleo, ma ci sono anche cellule che, soprattutto a maturazione, sono prive del nucleo (anucleate), altre polinucleate. Possono avere più nuclei o perché nascono dall’unione di diverse cellule (sincizio, ogni cellula porta in dote il proprio nucleo), oppure perché all’interno della cellula sono avvenuti diversi fenomeni di divisione del nucleo senza che questo fosse seguito anche da una citodieresi, divisione del citoplasma. Anche la forma del nucleo può essere diversa: nucleo tondeggiante, allungato, con particolari fisionomie (granulociti) tanto che la morfologia del nucleo aiuta ad identificare uno rispetto all’altro. La morfologia del nucleo è anche un metodo diagnostico importante per alcuni tipi dii leucemie: si può capire il tipo leucemico andando a valutare la forma dei nuclei sovranumerarie. La presenza o meno di polarità detta polarizzazione, in particolare le cellule degli epiteli sono polarizzate cioè si distinguono zone diverse della cellula (zona apicale, basale,laterale) non equivalenti l’una all’altra in cui tendono a concentrarsi alcuni organuli o in cui sono presenti alcune specializzazioni cellulari che si trovano solo in una determinata parte. Possono differire anche per la ricchezza e sviluppo dei vari organuli. Prima abbiamo citato tutti i vari organuli, ma non è che in ogni cellula tutti questi siano sviluppati alla pari. Se una cellula, esempio, è particolarmente attiva nella sintesi proteica mi aspetto una grande abbondanza di ribosomi o di reticolo rugoso; se è una cellula secernente, ad esempio una cellula ghiandolare, mi aspetto di trovare molte vescicole contenenti il prodotto della secrezione; se è una cellula che consuma molta energia per le sue attività quindi ne ha bisogno di un continuo, come le cellule muscolari o del fegato, mi aspetto che ci siano molti mitocondri. Quindi la ricchezza diversa in organuli dipende dal tipo di cellula e la va a caratterizzare. Presenza di organuli citoplasmatici e inclusioni: non ci sono in tutte le cellule. Ci sono a volte dei depositi di pigmenti tipici di alcune cellule ed assenti in altre (cellule della pelle). Infine, a seconda delle cellule si possono avere o meno alcune specializzazioni cellulari. Quelli che vi ho citato prima nell’elenco sono organuli che si trovano praticamente in tutte le cellule, mentre ci sono altre strutture che troviamo solo in alcune. Esempio: ciglia e flagelli li troviamo nelle cellule impegnate nella motilità o della cellula in sé o dei materiali che si appoggiano sulla superficie della cellula; stereociglia citate prima per le cellule sensoriali sono estroflessioni legate alla capacità di cogliere e trasmettere informazioni di tipo sensoriale all’interno della cellula; sistemi giunzionali che permettono ad una cellula di essere collegata ad altre cellule contigue, presenti in particolare nelle cellule epiteliali che devono formare delle lamine continue e in cellule muscolari; microvilli che servono per ampliare la superficie di assorbimento. La membrana plasmatica la tratteremo la prossima volta. LEZIONE 4 − 12/10/22 LA MEMBRANA PLASMATICA La membrana plasmatica è detta anche membrana citoplasmatica, detta anche plasmalemma, sono tutti sinonimi. Non ci può essere una cellula senza membrana cellulare, è una struttura importante in quanto non segna solo il confine tra ambiente extracellulare e ambiente intracellulare ma è attivo anche nella regolazione di scambi di materiali e di energia tra l’interno e l’esterno della cellula, scambi anche di informazioni dato che la membrana plasmatica riceve anche dei segnali chimici da fuori la cellula che servono per regolare le sue attività interne e per integrarsi e coordinarsi con il lavoro delle altre cellule visto che negli animali abbiamo a che fare con organismi pluricellulari e con tessuti costituiti da diverse cellule. DI COSA È COMPOSTA LA MEMBRANA PLASMATICA? I costituenti principali che determinano la struttura portante di tutte le membrane biologiche sono i fosfolipidi, delle molecole anfipatiche, per questo hanno un atteggiamento bivalente con l’acqua, in un ambiente acquoso come quello cellulare si organizzano in modo specifico dando un doppio strato di fosfolipidi, il cosiddetto DOPPIO STRATO FOSFOLIPIDICO o BILAYER (2 strati). Ogni fosfolipide ha una testa idrofila e due code idrofobe, queste sono orientate in modo che in ciascun strato le teste idrofile siano rivolte verso il comparto acquoso e quindi l’ambiente extracellulare dove c’è il liquido extracellulare ovvero il citosol, le code idrofobe di entrambi gli strati si trovano racchiuse in una parte centrale lontane dall’acqua come vogliono gli acidi grassi che sono idrofobi, a costituire un core centrale apolare. Quindi nella membrana plasmatica nel mio doppio strato fosfolipidico io vado a individuare due foglietti diversi: 1. Il foglietto che si affaccia sull’esterno della cellula, detto foglietto fosfolipidico esterno o esoplasmatico. 2. Il foglietto che si affaccia sull’interno della cellula, quindi che si affaccia sul citosol, è detto foglietto fosfolipidico interno o citoplasmatico o citosolico. DIFFERENZA TRA CITOSOLICO E CITOPLASMATICO: citosol e citoplasma vengono spesso usati in modo equivalente, come se indicassero la stessa cosa, il citosol è il fluido intracellulare in cui si trovano immersi gli organuli, il citoplasma è ciò che è racchiuso dentro la membrana plasmatica cioè il citosol più gli organuli. Questo doppio strato non è una struttura rigida e fissa, i fosfolipidi sono capaci di movimenti, sono 3 i tipi di movimento che i fosfolipidi possono effettuare con frequenze diverse: 1. ROTAZIONE CHE IL FOSFOLIPIDE PUÒ FARE SU SE STESSO ATTORNO L’ASSE LONGITUDINALE DELLA MOLECOLA (in verde), questo è un movimento che avviene con una frequenza di 10-9 s all’interno del meso-foglietto. 2. DIFFUSIONE LATERALE (in blu) uno spostamento laterale che un fosfolipide può fare, uno spostamento che avviene frequentemente, ogni 10-6 s, ogni microsecondo il fosfolipide si sposta lateralmente, può fare distanze notevoli in poco tempo nell’ambito dello stesso foglietto. 3. SPOSTAMENTO FLIP FLOP (in rosso) in cui abbiamo uno spostamento trasversale da un foglietto all’altro, dal foglietto interno al foglietto esterno o viceversa dal foglietto esterno al foglietto interno. Questo movimento è meno frequente (105s) e meno veloce, è sfavorito in quanto la sua testa idrofila dovrebbe passare nel core apolare, un movimento così avviene ogni 28h. Per avvenire ha bisogno di enzimi particolari come le scramblasi e le flippasi che consentono questo spostamento. Questa è la dinamicità della membrana plasmatica dovuta al dinamismo e spostamento dei suoi costituenti chiave che sono i fosfolipidi. Nella membrana plasmatica c’è un’altra importante componente lipidica che è data dal colesterolo che è una molecola di tipo steroideo. DOVE SI COLLOCA IL COLESTEROLO? Siccome è uno steroide non ha grande affinità per l’acqua, è abbastanza idrofobo. Guardando la molecola del colesterolo vediamo i quattro anelli fusi che abbiamo in tutti gli steroidi e una coda idrocarburica, attaccato a uno degli anelli si vede un gruppo ossidrile -OH idrofilo, quindi conferisce un minimo di idrofilicità al colesterolo e questo mi spiega come è sistemato il colesterolo nel doppio strato. Il colesterolo si interpone fra un fosfolipide e l’altro, notiamo che la parte idrofila dove c’è la piccola testa polare con -OH si rivolge verso l’esterno della cellula se parliamo del foglietto esterno, o verso il citosol se parliamo del foglietto interno mentre lascia tutto il resto della molecola idrofobica nel core formato dagli acidi grassi dei fosfolipidi. QUAL È LO SPESSORE DELLA MEMBRANA PLASMATICA? Lo spessore si aggira attorno ai 7 nm, lo spessore non è sempre uguale, dipende dalla composizione dei fosfolipidi in quanto esistono diversi tipi di fosfolipidi, fosfogliceridi e sfingolipidi e anche dalla presenza più o meno massiccia di colesterolo che dà un’altezza diversa del doppio strato fosfolipidico e quindi uno spessore diverso della membrana. Lo spessore più piccolo lo abbiamo dove la membrana è composta da fosfogliceridi con code insature, vuol dire che gli acidi grassi che compongono quei fosfogliceridi hanno almeno un doppio legame c=c e in corrispondenza di quel doppio legame si ha la ripiegatura della molecola, il fatto che ci sia una ripiegatura fa si che le code non siano dritte e quindi si

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