Infermieristica Dell'Area Medica - BPCO PDF
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Ilaria Pruccoli
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Questo documento tratta l'infermieristica dell'area medica sulla BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO). Vengono descritti la definizione, epidemiologia, fattori di rischio, fisiopatologia, diagnosi, indagini, terapia e prevenzione della BPCO. Il testo si concentra sulle cause, sintomi e possibili trattamenti della malattia.
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INFERMIERISTICA DELL’AREA MEDICA Prof.ssa Ilaria Pruccoli BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA DEFINIZIONE È una malattia prevenibile e trattabile caratterizzata da persistenti sintomi respiratori e limitazioni al flusso aereo, è dovuta ad anomalie delle vie aeree e...
INFERMIERISTICA DELL’AREA MEDICA Prof.ssa Ilaria Pruccoli BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA DEFINIZIONE È una malattia prevenibile e trattabile caratterizzata da persistenti sintomi respiratori e limitazioni al flusso aereo, è dovuta ad anomalie delle vie aeree e/o alveolari, è solitamente causata da una esposizione a particelle nocive e gas e influenzata da fattori legati all’ospite come un anomalo sviluppo polmonare (profilo genetico). La riduzione al flusso aereo non è completamente reversibile. BPCO: COSA SIGNIFICA? BroncoPneumopatia: malattia dei Bronchi e Polmoni Cronica: Continua e persistente, che non si può guarire, ma si può curare Ostruttiva: Ostruisce parzialmente le vie aeree e riduce la capacità respiratoria. EPIDEMIOLOGIA Malattia molto diffusa, rappresenta una delle 3 principali cause di morte nel mondo. Rappresenta una delle maggiori cause di morbidità e mortalità cronica a livello mondiale. Che cosa causa la BPCO? La BPCO è il risultato di una complessa interazione di esposizione cumulativa a lungo termine a gas nocivi e particelle, combinata con una varietà di fattori dell’ospite tra cui il profilo genetico, l’iperreattività bronchiale delle vie aeree e il minor sviluppo del polmone durante l’infanzia. FATTORI DI RISCHIO Fumo di tabacco: (sigaretta, pipa, sigaro..). I fumatori presentano una prevalenza più elevata dei sintomi e di anomalie della funzione polmonare e hanno un più alto tasso di mortalità. Anche il fumo di sigaretta passivo rappresenta un fattori di rischio. Inquinamento degli ambienti interni: derivante dalla combustione del legno o di altri combustibili utilizzati per cucinare o per il riscaldamento di ambienti poco ventilati. Inquinamento dell’aria esterna Esposizione professionale: a polveri, agenti chimici, gas di scarico Fattori genetici: come il deficit di alfa-1 antitripsina (un inibitore enzimatico che normalmente contrasta la distruzione del tessuto polmonare da parte di altri enzimi) Età e sesso: l’invecchiamento e il genere femminile aumentano il rischio di BPCO La crescita e lo sviluppo del polmone: qualsiasi fattore che influenza la crescita polmonare durante la gestazione o l’infanzia (es. basso peso alla nascita, infezioni respiratorie) aumenta il rischio di sviluppare la BPCO L’asma e l’iperreattività delle vie aeree: in quanto l’asma è un fattore di rischio per lo sviluppo di limitazioni del flusso aereo e quindi della BPCO La bronchite cronica: può aumentare la frequenza delle riacutizzazioni Storia di pregresse infezioni respiratorie FISIOPATOLOGIA L’incidenza della malattia aumenta con l’avanzare dell’età (poiché alcuni valori della funzione respiratoria diminuiscono con l’età e la BPCO accentua e rende più rapidi questi cambiamenti). Alterazione delle piccole vie aeree, del parenchima polmonare che portano a danneggiamento degli alveoli e riduzione dell’elasticità del polmone. Queste alterazioni riducono la capacità delle vie aeree di mantenersi pervie durante la fase espiratoria. A causa dell’infiammazione cronica e dei tentativi dell’organismo di combatterla, le vie aeree si modificano e si restringono, l’aria rimane intrappolata negli alveoli. ✓ In trachea e nei bronchi di calibro > a 2mm, aumento di numero e dimensioni delle ghiandole calciformi mucipare con conseguente ipersecrezione di muco; ✓ Nei bronchioli di calibro < a 2mm, l’infiammazione porta a un ispessimento delle vie aeree, che porta a restringimento vie aeree, con il rischio di sviluppare ipertensione polmonare dovuto all’ispessimento della muscolatura liscia. PATOLOGIE ALLA BASE DELLA BPCO Nella BPCO si ha la coesistenza di 2 quadri: 1. BRONCHITE CRONICA OSTRUTTIVA: E’ una malattia delle vie aeree con presenza di tosse e produzione di espettorato per almeno tre mesi complessivi all’anno per due anni consecutivi. L’irritazione costante delle vie aeree porta a iperplasia delle ghiandole caliciformi mucipare, riduzione della funzionalità delle ciglia e un aumento della produzione di muco. La pareti bronchiali si ispessiscono riducendo il lume bronchiale. La persona diventa più suscettibile alle funzioni respiratorie. 2. ENFISEMA POLMONARE: È una malattia delle vie aeree che colpisce i bronchioli e gli alveoli polmonari portando a progressiva perdita di elasticità, ingrossamento e progressiva distruzione degli alveoli. Il polmone enfisematoso è gonfio di aria che è rimasta intrappolata all’interno degli alveoli. Le persone con BPCO caratterizzata da componente enfisematosa possono presentare il cosiddetto «torace a botte» che è il risultato della fissazione delle coste in posizione inspiratoria e della perdita di elasticità polmonare. MANIFESTAZIONI CLINICHE ❖ Tosse cronica (può essere produttiva o intermittente e non produttiva) ❖ Produzione di espettorato ❖ Dispnea ❖ Maggiore rischio di sviluppare infezioni respiratorie DIAGNOSI (ESAME DIAGNOSTICO PER BPCO) La diagnosi di BPCO dovrebbe essere presa in considerazione in tutti i pazienti che presentano: dispnea, tosse cronica o espettorato e/o una storia di esposizione ai fattori di rischio per la malattia. La presenza di un rapporto VEMS*/CVF* < 0.70 post somministrazione di broncodilatatore (per via inalatoria) conferma la presenza di ostruzione bronchiale persistente e quindi di BPCO. La SPIROMETRIA valuta il grado di riduzione del flusso aereo attraverso rapporto tra VEMS e CVF. I risultati della spirometria si possono esprimere in termini di volume assoluto o percentuale, utilizzando valori normali di riferimento appropriati per genere, età e altezza. In caso di ostruzione delle vie aeree la persona presenta una difficoltà a espirare o l’incapacità di espirare forzatamente l’aria dai polmoni, con una riduzione del VEMS. Viene anche utilizzata per valutare la reversibilità dell’ostruzione dopo l’utilizzo del broncodilatatore. Classificazione di gravità della limitazione al flusso aereo nella BPCO → INDICATORI CHIAVE PER LA DIGNOSI BPCO La diagnosi per BPCO con spirometria viene considerato se 1 degli indicatori è presente in un individuo di età >40 anni. La presenza di più indicatori aumenta la probabilità per BPCO. La spirometria è necessaria per confermare la diagnosi. INDAGINI AGGIUNTIVE (ESAMI STRUMENTALI PER VALUTARE ANDAMENTO) RX TORACE: non è utile per fare diagnosi di BPCO ma per escludere diagnosi alternative; TC DEL TORACE: non è consigliata di routine a meno che si sospetti diagnosi di bronchiectasie o cancro polmonare; SATURIMETRIA: la pulsossimetria può essere utilizzata per valutare la saturazione di ossigeno del paziente e per valutare l’eventuale necessità dei ossigenoterapia. Se sp02 < 92% si deve eseguire EGA; Test del cammino: sono utili per valutare il grado di invalidità e il rischio di mortalità. Infatti la ridotta tolleranza all’esercizio fisico, misurata in maniera oggettiva, è un indicatore di compromissione dello stato di salute e predittore della prognosi; EGA (emogasanalisi): prelievo di sangue arterioso che valuta la qualità dello scambio gassoso polmonare, della ventilazione alveolare e dell’equilibrio acido-base. Valuta la ventilazione misurando il pH del sangue, la pressione parziale di ossigeno arterioso e la pressione parziale di anidride carbonica e di ioni bicarbonato presenti nel sangue. EMOGAS E VALORI La PaOշ misura la pressione dell’ossigeno disciolto nel sangue. Le cause che possono provocare una diminuzione dei valori di POշ sono: - Riduzione della ventilazione polmonare - Alterazione dello scambio gassoso - Alterazione flusso ematico a livello cardiaco o polmonare Il rapporto PaOշ /FiOշ è indice della respirazione alveolare. Il fattore più potente che regola la ventilazione alveolare è la PaCOշ arteriosa. Quando la PaCOշ aumenta viene stimolata la respirazione per cercare di riportare la PaCOշ a livelli normali. Tuttavia livelli molto elevati di PaCOշ arteriosa deprimono l’intero sistema nervoso centrale, compreso il centro respiratorio e possono essere letali. L’ipercapnia è sempre accompagnata all’ipossia (se non si somministra l’ossigenoterapia). BPCO E VENTILAZIONE Alcuni pazienti con patologie polmonari croniche tra cui i pazienti affetti da BPCO hanno una scarsa risposta all’IPERCAPNIA. Questi pazienti rispondono poco alla salita della PaCOշ a la loro ventilazione diventa dipendente dalla sollecitazione ipossica. La somministrazione di Oշ nei pz BPCO può eliminare la sollecitazione dovuta all’ipossia e causare un blocco totale della ventilazione (apnea) con successivo aumento PaCOշ. Tale rischio viene ridotto dalla somministrazione di ossigeno nelle concentrazioni minime compatibili con una adeguata ossigenazione del sangue arterioso e dall’utilizzo del giusto presidio. COSA ACCADE? → ACIDOSI RESPIRATORIA Dovuta ad un accumulo di COշ nel sangue (ipercapnia). Il pH può essere normale o acido. È causata dalla diminuzione della frequenza respiratoria e/o del volume respiratorio (ipoventilazione). Le cause che possono portare a ipoventilazione sono: condizioni che agiscono sul centro respiratorio del SNC, alterazioni della trasmissione neuromuscolare, pneumopatie ostruttive (es BPCO). SINTOMATOLOGIA: Dipende dalla concentrazione di PCOշ e della riduzione del pH (La PaCOշ si diffonde rapidamente attraverso la barriera emato-encefalica). Nella forma ACUTA si manifesta con: cefalea, confusione, inquietudine, sonnolenza fino al coma. La forma CRONICA (tipica della BPCO)può essere ben tollerata, ma i pazienti possono andare incontro a perdita di memoria, sonnolenza diurna, disturbi del sonno. PREVENZIONE E TERAPIA Cessazione del fumo: intervento più efficace per ridurre il rischio di sviluppare la malattia, per rallentare il declino della funzione respiratoria e l’evoluzione della BPCO; Terapia farmacologica: riduce i sintomi della BPCO, riduce la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni e migliora lo stato di salute e la tolleranza allo stress; La vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica riduce l’incidenza di infezioni della vie respiratorie; La riabilitazione respiratoria migliora i sintomi e la qualità della vita; Nei pazienti con grave ipossiemia cronica a riposo, l’ossigenoterapia migliora la sopravvivenza. Il regime terapeutico dipende dalla gravità della malattia. ✓ BPCO lieve (grado GOLD I): broncodilatatore a breve durata d’azione; ✓ BPCO moderata o grave (grado GOLD II o III) si usa un broncodilatatore a breve durata d’azione insieme a uno o più broncodilatatori a lunga durata d’azione; ✓ BPCO grave o molto grave (grado GOLD III o IV) è previsto uno o più broncodilatatori e corticosteroidi per via inalatoria per le ripetute riacutizzazioni. BRONCODILATATORI Aumentano il VEMS. Alleviano il broncospasmo e riducono l’ostruzione delle vie aeree agendo sul tono della muscolatura liscia bronchiale, permettono l’incremento della distribuzione dell’ossigeno nei polmoni e migliorano la ventilazione alveolare. Possono essere somministrati per via inalatoria o per via orale. I broncodilatatori utilizzabili per via inalatoria includono i beta-2 agonisti a breve e lunga durata d’azione e gli anticolinergici a breve e lunga durata d’azione. L’Utilizzo dei broncodilatatori non modifica il declino della funzione respiratoria o la prognosi della BPCO ma alleviano i sintomi, migliorano la tolleranza all’attività fisica e qualità di vita. CORTICOSTEROIDI I corticosteroidi per via inalatoria e sistemica possono alleviare i sintomi della BPCO, ma non rallentano il declino della funzione respiratoria. Sono disponibili terapie che combinano cortisonici e beta2- agonisti a lunga durata di azione per via inalatoria. I cortisoni per via orale o per via intramuscolare o endovenosa sono utili in caso di riacutizzazione. ANTIBIOTICI Sono prescritti in caso di infezioni batteriche. OSSIGENOTERAPIA L’ossigeno terapia può essere somministrata come terapia continua a lungo termine, intermittente o solo durante l’attività fisica o per la dispnea acuta durante le riacutizzazioni. Scopo: aumentare la pressione parziale arteriosa di ossigeno (PaOշ) a riposo ad almeno 60 mmHg e la saturazione dell’ossigeno (SaOշ) a circa 90% evitando di aumentare il valore di PaCOշ. Vantaggi: Allungamento della sopravvivenza, miglioramento della qualità della vita, riduzione del numero di infezioni polmonari a cui il malato può andare incontro, aumento della capacità di eseguire attività fisiche che richiedono un certo sforzo, miglioramento della qualità del sonno. È necessario un attento monitoraggio dei pazienti in Oշ terapia, che non può basarsi solamente sulla pulsossimetria ma sono necessari emogasanalisi per valutare i livelli di PaCOշ, PaOշ e pH. Il presidio migliore da utilizzare è la maschera di Venturi perché evita l’accumulo di PaCOշ in quanto consente una regolazione precisa e costante della concentrazione di ossigeno somministrata. COPLICANZE BPCO L’insufficienza respiratoria acuta è la principale complicanza; Polmonite; Atelettasia; Ipertensione polmonare. RIACUTIZZAZIONE BPCO Una riacutizzazione è un peggioramento acuto dei sintomi respiratori, che richiede una terapia aggiuntiva. TERAPIA RIACUTIZZAZIONE BPCO ✓ Prima terapia per trattare la riacutizzazione: βշ agonisti a breve durata d’azione, con o senza anticolinergici a breve durata d’azione. ✓ Terapia di mantenimento con broncodilatatori a lunga durata d’azione deve essere iniziata il prima possibile prima della dimissione dall’ospedale. ✓ I corticosteroidi sistemici possono migliorare la funzionalità polmonare (VEMS), l’ossigenazione e ridurre la durata dell’ospedalizzazione. ✓ La ventilazione meccanica non invasiva a pressione positiva dovrebbe essere la prima modalità di ventilazione utilizzata nei pazienti con BPCO e insufficienza respiratoria acuta in quanto migliora gli scambi respiratori (riduce FR, il lavoro dei muscoli respiratori e la severità della dispnea), riduce la necessità di intubazione e migliora la sopravvivenza, migliora l’ossigenazione e l’acidosi respiratori acuta (Aumenta il Ph e riduce la PaCOշ). DIAGNOSI INFERMIERISTICHE NOC (NURSING OUTCOMES CLASSIFICATION) CLASSIFICAZIONE NIC DEGLI INTERVENTI INFERMIERISTICI Dopo aver scelto gli interventi è necessario individuare per ciascun intervento le attività. Altre diagnosi infermieristiche sono: Rischio di tolleranza all’attività ridotta. Tolleranza all’attività ridotta. CONCETTI CHIAVE NELL’ASSISTENZA AL PAZIENTE AFFETTO DA BPCO 1. Mantenere la pervietà delle vie aeree: Favorire l’espettorazione, migliorare la ventilazione polmonare e gli scambi gassosi. Insegnare alla persona ad evitare i fattori irritanti per le vie aeree. Insegnare tecniche per favorire l’espansione polmone: es tosse soffiata. Favorire un programma di fisioterapia respiratoria in collaborazione con il fisioterapista. 2. Migliorare il modello di respirazione: Il modello di respirazione inefficace e la dispnea sono dovuti all’alterazione della meccanica respiratoria, al movimento diaframmatico inefficiente, all’ostruzione delle vie aeree e all’intrappolamento aereo (svuotamento incompleto degli alveoli polmonari durante l’espirazione dovuto alla perdita di elasticità del tessuto polmonare, al broncospasmo o all’ostruzione delle vie aeree periferiche che intrappola progressivamente l’aria durante l’espirazione e determina l’iperinsufflazione polmonare). Di conseguenza ci sono tecniche per migliorare il modello di respirazione: o la respirazione diaframmatica (riduce la frequenza respiratoria, aumenta la ventilazioni alveolare e aiuta ad espellere aria durante l’espirazione); o la respirazione a labbra socchiuse (aiuta a rallentare l’espirazione, impedisce il collasso delle piccole vie aeree e aiuta a controllare frequenza e profondità del respiro). 3. Aumentare la tolleranza all’attività fisica: Le persone affette da BPCO manifestano una progressiva intolleranza all’attività fisica. È necessario intervenire con un intervento di natura educativa centrato sulla riabilitazione per favorire l’indipendenza nello svolgimento delle attività quotidiane che devono essere distribuite nell’arco della giornata e possono prevedere l’utilizzo di ausili. Può essere utile coinvolgere il fisioterapista per stilare un programma riabilitativo di rinforzo degli arti superiori e inferiori e per migliorare la tolleranza e la resistenza all’attività fisica. 4. Rilevare e gestire le complicanze: L’infermiere educa il paziente e/o il care giver a riconoscere eventuali segni e sintomi che possono indicare l’ipossiemia e la conseguente insufficienza respiratoria: cambiamenti della personalità e comportamentali, deficit della memoria, aumento della dispnea, tachipnea e tachicardia. L’infermiere educa inoltre a riconoscere segni e sintomi delle infezioni delle vie aeree: febbre, brividi, cambiamento delle caratteristiche dell’espettorato (colore, odore, viscosità, quantità), aumento della tosse, dispnea, affaticamento, cianosi. 5. Migliorare lo stato nutrizionale: La maggior parte delle persone ha difficoltà a raggiungere e mantenere il peso ideale. Infatti il calo ponderale e la riduzione del tessuto adiposo sono il risultato di un bilancio negativo tra dispendio energetico e introito nutrizionale, così come la riduzione del tessuto muscolare è una conseguenza di un bilancio negativo tra la sintesi e la deplezione proteica. È necessario effettuare una valutazione del fabbisogno calorico e consigli sulla pianificazione dei pasti e sulle integrazioni alimentari (può essere necessario l’intervento di un nutrizionista). Si consiglia alla persona di assumere i farmaci broncodilatatori prima del pasto per ridurre l’affaticamento che accompagna l’atto del mangiare, si educa inoltre la persona ad assumere cinque piccoli pasti in quanto un aumento eccessivo del contenuto addominale può premere sul diaframma e ostacolare la respirazione. La persona deve alimentarsi lentamente, in posizione seduta, leggermente piegata in avanti; dopo ogni pasto è opportuno prevedere il riposo. IPERTENSIONE ARTERIOSA PRESSIONE ARTERIOSA È la forza esercita del sangue contro la parete delle arterie. MAX=battiti cardiaci. MIN=cuore non si contrae. I sintomi sono: cefalea, vertigini, acufene… QUANDO PARLIAMO DI IPERTENSIONE ARTERIOSA? L’ipertensione arteriosa è definita da valori di pressione sistolica ≥ 140 mmHg e/o pressione diastolica ≥ 90 mmHg. Le linee guida NICE sull’ipertensione dell’adulto: propongono tre rilevazioni dei valori pressori durante il primo approccio; se il valore medio delle due misurazione più basse supera i 140/90 mmHg è consigliato eseguire: o monitoraggio pressorio delle 24 h; o un controllo ripetuto dei valori pressori a domicilio. IPERTENSIONE ARTERIOSA Condizione clinica caratterizzata da un aumento anomalo e non legato a normali variazioni fisiologiche, dei livelli di pressione arteriosa sistemica. (per es., se corro e faccio attività fisica è normale che alcuni parametri cambieranno, nel caso di ipertensione è così anche a riposo). Più frequentemente riguarda entrambe le pressioni (sistolica e diastolica), ma esistono forme di ipertensione caratterizzate da aumento solo della pressione sistolica (ipertensione sistolica isolata). CLASSIFICAZIONE DEI LIVELLI DI PRESSIONE ARTEERIOSA Ci sono 2 tipologie di ipertensione: 1. ESSENZIALE: quando non è possibile risalire ad una eziologia identificabile alla base del suo sviluppo (90% dei casi). È la conseguenza dell’interazione tra fattori ambientali e genetici. La prevalenza della forma essenziale aumenta con l’età. 2. SECONDARIA: quando l’aumento dei valori pressori è secondario a patologie di tipo renale, vascolare o endocrinologico (circa il 5% dei casi totali). Tende a comparire in giovane età oppure oltre i 50 anni con una rapida insorgenza di ipertensione severa. EPIDEMIOLOGIA È un problema di salute importante. L’incidenza aumenta con l’età. La prevalenza di ipertensione è maggiore nei maschi quando si considerano soggetti con età inferiore ai 50 anni, mentre è uguale tra i due sessi per età superiore. COME SI MISURA LA PRESSIONE ARTERIOSA? Il paziente deve trovarsi seduto in maniera confortevole in una stanza tranquilla da almeno 5 minuti prima di iniziare la misurazione. Eseguire almeno 2 misurazioni a distanza di 1-2 minuti una dall’altra e una terza se vi è disparità superiore ai 10 mmHg. Utilizzare un bracciale per la pressione adeguato al peso del paziente. Porre il bracciale all’altezza del cuore, con il braccio appoggiato per evitare la contrazione muscolare. Ad un prima visita la pressione deve essere rilevata ad entrambi i lati per riconoscere eventuali asimmetrie. Ripetere la misurazione dopo circa 3 minuti anche in posizione ortostatica. DIAGNOSI Non si fa diagnosi con una sola misurazione, sono necessarie 3 misurazioni (questo perché esistono forme mascherate). Spesso esistono forme mascherate o situazionali di ipertensione come la white coat syndrom per cui è necessario un monitoraggio più approfondito: Monitoraggio domiciliare della pressione, che può essere eseguito dal paziente; Holter pressorio che misura la pressione ad intervalli regolari di 15-30 minuti. EFFETTUATA LA DIAGNOSI DI IPERTENSIONE COME SI PROCEDE? Per prima cosa si educa il paziente a un corretto STILE DI VITA: ✓ Dieta iposodica →ridotto sale; ✓ Ridurre l’introito di alcool; ✓ Aumentare il consumo di verdura, frutta, pesce, nocciole, prodotti caseari con basso contenuto di grassi; ✓ Ridurre il consumo di carne rossa; ✓ Evitare l ‘obesità; ✓ Smettere di fumare; ✓ Fare esercizi fisico. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO Può essere: Monoterapia nell’ipertensione non complicata. Si basa sulla scelta di farmaci tra le principali classi: diuretici tiazidici, calcio antagonisti, ACEINIBITORI o bloccanti dei recettori dell’angiotensina II e beta bloccanti. Quindi somministrazione di 1 solo farmaco, quelli sono farmaci di eccellenza per l’ipertensione. Terapia combinata con farmaci di differenti classi in pazienti nei quali la monoterapia non garantisce un controllo dell’ipertensione. La terapia farmacologica è importante poiché vi è rischio cardiovascolare e quindi c’è la possibilità di ridurre rischio di ictus. I dati significativi sono: età, sintomi, caffeina, valore PA e FC (tachicardia al limite). La diagnosi infermieristica sarà RISCHIO DI PRESSIONE ARTERIOSA INSTABILE. Obiettivi NOC: AUTOGESTIONE:IPERTENSIONE, l’indicatore di risultato PA inferiore a 140/90mmHg. Gli indicatori devono essere misurabili per capire se l’intervento fatto ha avuto effetto o no. La parte di educazione è tutto compito nostro. INSUFFICIENZA CARDIACA / SCOMPENSO CARDIACO DEFINIZIONI ! 1. Sindrome in cui il cuore non è in grado di mantenere una portata cardiaca adeguata alle richieste dei tessuti, oppure, nel caso vi riesca, questo è ottenuto attraverso un aumento delle pressioni di riempimento ventricolari. 2. La Società Europea di Cardiologia ha definito lo scompenso cardiaco come una sindrome caratterizzata dai seguenti aspetti: sintomi e/o segni tipici (dispnea e/o astenia, a riposo e/o da sforzo, e/o edemi declivi) ed evidenza obiettiva (generalmente mediante ecocardiografia) di una disfunzione cardiaca sistolica e/o diastolica. EPIDEMIOLOGIA L’insufficienza cardiaca è la principale causa di morbilità e mortalità nel modo occidentale. Considerando che tre dei maggiori fattori di rischio per scompenso cardiaco: obesità, diabete, ed età sono in aumento, la prevalenza dello scompenso cardiaco è in aumento poiché è legata all’allungamento della vita media e la sua prevalenza aumenta di anno in anno a causa dell’invecchiamento generale della popolazione e di persone con patologie croniche. In Italia rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale in età >65 anni. Rappresenta un problema di salute pubblica di grande rilievo. Il DRG 127, che caratterizza i ricoveri per insufficienza cardiaca, è quello più frequente tra i DRG medici. (codice utilizzato dai medici durante la dimissione). SCOMPENSO CARDIACO È una malattia con andamento cronico. Lo scompenso cardiaco può essere: A frazione d’eiezione ridotta (HFrEF) → FE < 40% e presenza di sintomi. La frazione d’eiezione si misura con ecocardiogramma. A frazione di eiezione moderatamente ridotta (HRmrEF)→ FE 40-49% e presenza di sintomi. Il concomitante riscontro di: o Disordine strutturale e/o funzionale cardiaco o Disfunzione diastolica o incremento delle pressioni di riempimento ventricolari o Innalzamento dei valori del BNP ( permette di capire se il cuore è affaticato o meno). rende la diagnosi ancora più probabile A frazione d’eiezione preservata (HFpEF) → FE≥ 50% e almeno uno fra: disordine strutturale e/o funzione cardiaca; disfunzione diastolica o incremento delle pressioni di riempimento ventricolari; innalzamento dei valori di BNP. CHE COS’è LA FRAZIONE D’EIZIONE (FE)? ANATOMIA DEL CUORE Il cuore è suddiviso in 4 camere 2 atri e 2 ventricoli. Gli atri sono separati tra loro per mezzo del setto interatriale, mentre i ventricoli dal setto interventricolare. ❖ Atrio dx: riceve sangue dalla circolazione sistemica attraverso due grandi vene, la vena cava superiore e la vena cava inferiore; ❖ Ventricolo dx: il sangue povero di ossigeno passa dall’atrio dx al ventricolo dx tramite la valvola atrioventricolare dx (tricuspide). Il sangue che lascia il ventricolo dx entra nel tronco polmonare (dal quale ha inizio la circolazione polmonare) passando attraverso la valvola semilunare polmonare. Una volta all’interno del tronco polmonare, il sangue prosegue verso le arterie polmonari dx e sx. ❖ Atrio sx: riceve il sangue ossigenato dalle vene polmonari dx e sx. il sangue che lascia l’atrio sx defluisce nel ventricolo sx attraverso la valvola atrioventricolare sx (bicuspide o mitrale). ❖ Ventricolo sx: è la più grande e spessa camera delle 4 in quanto deve avere forza contrattile sufficiente a pompare il sangue in tutto il corpo. Il sangue che lascia il ventricolo sx passa attraverso la valvola semilunare aortica e raggiunge la circolazione sistemica attraverso l’aorta ascendente, l’arco aortico e l’aorta discendente. La circolazione polmonare conduce sangue ricco di anidride carbonica dal cuore alle superfici deputate agli scambi gassosi dei polmoni e riporta sangue ricco di ossigeno al cuore. La circolazione sistemica trasporta sangue ricco di ossigeno dal cuore alle cellule dei tessuti periferici e riporta al cuore sangue ricco di anidride carbonica. L’atrio dx riceve il sangue dalla circolazione sistemica e il ventricolo dx lo spinge nella circolazione polmonare. L’atrio sx raccoglie il sangue dalla circolazione polmonare e il ventricolo sx lo invia nella circolazione sistemica. Le arterie trasportano il sangue lontano dal cuore, mentre le vene lo riportano al cuore. EZIOLOGIA Lo scompenso può instaurarsi a causa: Danno miocardico: cardiopatia ischemica, danno tossico, risposta infiammatoria o autoimmune, malattie infiltrative, disordini metabolici e anomalie genetiche; Condizione di carico anomalo: ipertensione, valvulopatie e disordini strutturali del miocardio, pericarditi e miocarditi, stati di alto carico (gravidanza, sepsi, tireotossicosi), sovraccarichi di volume (iatrogeni per es., somministrati troppi liquidi o da insufficienza renale); Aritmie: bradi o tachiaritmie. IL CICLO CARDIACO Il periodo compreso tra l’inizio di un battito cardiaco e l’inizio del successivo corrisponde a un ciclo cardiaco. Per ogni camera del cuore il ciclo cardiaco viene diviso in due fasi: sistole (contrazione) seguita da una fase di rilasciamento ovvero la diastole. 1. Sistole atriale: la contrazione atriale spinge il sangue nel ventricolo; 2. Finisce la sistole atriale, comincia la diastole atriale: la diastole atriale continua fino all’inizio del successivo ciclo cardiaco; 3. Sistole ventricolare: è presente la contrazione ventricolare e un aumento della pressione ventricolare che spinge via il sangue; 4. Diastole ventricolare precoce: il ventricolo si rilascia e la pressione ventricolare cala; 5. Diastole ventricolare tardiva: le camere sono rilasciate e avviene un riempimento ventricolare passivo mediante l’apertura delle valvole atriventricolari. CLASSIFICAZIONE SCOMPENSO CARDIACO INSUFFICIENZA CARDIACA SINISTRA: sicuramente parliamo di congestione polmonare. L’insufficienza cardiaca sinistra è disfunzione del ventricolo sx poiché la contrazione del ventricolo sx non basta per espellere il sangue in aorta e nella circolazione sistemica. Quindi ci sarà una certa quantità di sangue che ristagna, e questo sangue stagnante fa aumentare la pressione di fine diastole. Il volume di sangue e la pressione dell’atrio sx aumentano, con conseguente riduzione del flusso ematico dai vasi polmonari all’atrio sx. Il volume di sangue venoso e la pressione nella circolazione polmonare aumentano e così un certo volume di liquido trasuda dai capillari polmonari ai tessuti polmonari e agli alveoli. → Di conseguenza si avrà un inadeguato scambio gassoso e alterazione degli scambi gassosi, con conseguente edema polmonare. SINTOMATOLOGIA o Dispnea o Ortopnea: si respira meglio in posizione seduta o Dispnea Parossistica Notturna: durante la notte i liquidi accumulati agli arti inferiori risalgono o Tosse secca non produttiva o Riduzione del flusso ematico renale causato da una ridotta perfusione: il rene rilascia renina che trasforma in angiotensina di tipo 1 che è un potente vasocostrittore. L’angiotensina 2 è pericolosa perché rappresenta il più potente vasocostrittore del nostro organismo. Inoltre il rene secerne aldosterone che trattiene i liquidi. Il nostro organismo vasocostringe in caso di ridotto apporto ematico. INSUFFICIENZA CARDIACA DESTRA: Il cuore dx non è in grado di pompare efficacemente il sangue e quindi di contenere tutto il sangue che normalmente riceve dalla circolazione venosa. L’aumento della pressione venosa provoca distensione delle vene giugulari e congestione dei visceri. SINTOMATOLOGIA o Edema degli arti inferiori: questo è il primo segno o Epatomegalia: ristagno in fegato o Ascite o Anoressia e vomito o Astenia o Aumento del peso corporeo dovuto a ritenzioni di liquidi SCOMPENSO CARDIACO ACUTO Comparsa improvvisa di segni e sintomi secondari a disfunzione cardiaca sistolica o diastolica, può essere associato ad una malattia cardiaca pre-esistente, ad anomalie del ritmo. Situazione in cui si deve agire in emergenza/urgenza, poiché si ha dispnea/affaticamento. Comprende 3 differenti gruppi di pazienti: Paziente con insufficienza cardiaca « de novo» secondaria ad un fattore precipitante (es infarto miocardico acuto, picco ipertensivo in presenza di un ventricolo sx disfunzionante); Paziente con peggioramento di un’insufficienza cardiaca cronica; Pazienti con riacutizzazione che presentano un’insufficienza cardiaca avanzata o all’ultimo stadio. La sintomatologia e i segni sono dovuti a: Diminuzione della portata cardiaca a riposo con conseguente ipoperfusione tissutale e riduzione del flusso renale Aumento delle pressioni di riempimento ventricolari destre e sinistre con conseguente congestione polmonare e sistemica SINTOMATOLOGIA o Dispnea: sensazione di sforzo o fatica nel respirare, può essere associata a fame d’aria o Ortopnea: necessità di mantenere il torace in posizione eretta per evitare l’insorgenza della dispnea e ridurne l’entità. La posizione supina aumenta il ritorno venoso al cuore peggiorando la congestione polmonare o Dispnea parossistica notturna: manifestazioni dove il paziente avverte una sensazione di mancanza d’aria durante la notte e deve necessariamente assumere la posizione seduta o Può facilmente evolvere in edema polmonare acuto o La cute appare umida di sudore, fredda e pallida o Oliguria (indice di ipoperfusione renale) o Tachicardia: come meccanismo di compenso o Edema periferico o Ipertensione/ipotensione Importante è il bilancio per vedere le entrate e uscite. Quando si somministra diuretico ci deve essere la funzionalità del rene altrimenti si affatica ancora di più. Quando vasocostringe il rene è ipoperfuso e di conseguenza rilascia renina-angiotensina che vasocostringe ancora di più. QUALI SONO I FATTORI SCATENANTI? Un evento acuto che fa precipitare la normale fisiologia. o Sindrome coronarica acuta: prima si tratta la sindrome coronarica e poi lo scompenso o Tachiaritmie e bradiaritmie o Picco ipertensivo o Infezioni o Scarsa aderenza terapeutica e comportamentale o Sostanze tossiche o Farmaci (FANS, corticosteroidi, chemioterapici) o Riacutizzazioni di BPCO o Embolia polmonare o Cardiomiopatia da stress o Cause meccaniche acute trauma toracico, disfunzione delle protesi valvolari INDAGINI - Ricercare elevazione degli indici di necrosi miocardica: troponina B - Peptide natriuretico di tipo B (BNP): rilasciato dal ventricolo in risposta allo stiramento delle pareti + sovraccarico di liquidi e permette, nel paziente con dispnea acuta, di fare diagnosi differenziale tra scompenso cardiaco e insufficienza respiratoria - Emogasanalisi per avere dati sugli scambi gassosi - Rx torace: importante perché da proiezione del torace e cuore (se dilatato). La parte in bianco sarà edema. - Elettrocardiogramma: per valutare se ci sono aritmie RIASSUMENDO… Il cuore insufficiente va incontro a modifiche strutturali e di funzione a scopo adattativo, che inizialmente sono compensatorie, ma poi innescano un circolo vizioso di progressiva compromissione della funzione sisto- diastolica. La ridotta perfusione periferica innesca una serie di risposte neuroendocrine che incrementano la frequenza cardiaca e provocano vaso costrizione periferica, nel tentativo di aumentare l’apporto di sangue in periferia. Noi con i farmaci andiamo a bloccare queste risposte neuroendocrine. A lungo andare però queste risposte periferiche esauriscono ancora di più la pompa che si rimodella andando incontro a dilatazione e fibrosi. SCOMPENSO CARDIACO CRONICO È il risultato dell’accumulo di danni di varia natura a carico del cuore che avviene nell’arco di un lungo periodo temporale, in cui l’insufficienza cardiaca si aggrava lentamente e progressivamente con il passare del tempo. Può riacutizzarsi, infatti la maggior parte dei ricoveri è da riacutizzazione. RIACUTIZZAZIONE DELLO SCOMPENSO CARDIACO Incremento ponderale > 2kg in tre giorni → edemi declivi, se paziente allettato edemi a livello sacrale Evidenza elettrocardiografica e/o sospetto clinico di ischemia miocardica acuta FC elevata e disturbi mentali attribuibili a ipoperfusione cerebrale Peggioramento classe funzionale NYHA III-IV con segni di congestione polmonare Parametri indicativi di danno d’organo correlato alla scompenso: es oligoanuria Aritmia sintomatiche con elevata FC a riposo (> 130 b/m) o bassa FC (< 50 b/m) Se paziente 4° stadio ipotensione. Nello scompenso la prima cosa è la ritenzione di liquidi + riduzione emissione di liquidi (oliguria). CLASSIFICAZIONE DELL’AMERICAN COLLEFFE OF CARDIOLOGY Questa classificazione considera ipertensione arteriosa, valvulopatie, diabete, e cardiopatia ischemica in quanto è dimostrato che lo scompenso cardiaco rappresenta lo stadio terminale di queste patologie. Si basa su alterazioni ecocardiografiche. è importante sapere in che classe siamo poiché in base alla classe si applicano specifici interventi. CLASSE A: pazienti non malati, ma con fattori di rischio per lo sviluppo dello scompenso, no alterazione ecocardiografica. Il ruolo dell’infermiere è quello di effettuare educazione sanitaria, quindi prevenzione, promuovendo: - corretti stili di vita - corretta alimentazione (ridurre sodio) - aderenza alla prescrizione terapeutica farmacologica e non farmacologica CLASSE B: pazienti con cardiopatie e alterazioni ecocardiografica. In questa classe oltre all’educazione terapeutica come nell’A bisognerà fare monitoraggio dei PV. Educare il paziente alla rilevazione dei parametri vitali, Valutazione periodica dei parametri clinico-assistenziali (es PA, FC, Peso corporeo), Segnalazione al MMG dei pazienti con problematiche rilevanti. CLASSE C: pazienti con sintomi di scompenso. Prevenzione + monitoraggio dei PV + monitoraggio del paziente tramite: Contatto telefonico periodico per informazione sull’assunzione di farmaci, sulla sintomatologia soggettiva del paziente, sulla capacità di svolgere attività quotidiane, modificazioni del peso corporeo, modificazioni della qualità del riposo notturno. Controllo ambulatoriale o domiciliare periodico. CLASSE D: pazienti con scompenso in fase terminale. Prevenzione + monitoraggio PV e peso corporeo + monitoraggio telefonico/ambulatoriale + cure palliative. PERCORSO DEL PAZIENTE IN OSPEDALE CON DIAGNOSI DI SCOMPENSO 1) Ricovero da PS a Rianimazione-UTIC- Medicina d’urgenza in caso di: o Dispnea persistente nonostante trattamento iniziale e necessità di NIV o Congestione polmonare refrattaria alla terapia diuretica o Instabilità emodinamica/elettrica o Sindrome coronarica acuta o Insufficienza renale cronica riacutizzata o acuta con necessità di diuretici ad alte dosi e/o terapia sostitutiva renale Quando vengono ricoverati in rianimazione è perché c’è instabilità emodinamica. 2) Ricovero da PS a reparti a degenza ordinaria ( U.O. Cardiologia, Medicina Interna, Geriatria): o Miglioramento della dispnea dopo trattamento iniziale con persistenza di segni di congestione o PAS > 100 mmHg e FC compresa fra 50 – 120 b/m o Riacutizzazione di BPCO con associata insufficienza respiratoria senza necessità di ventilazione o Insufficienza renale cronica riacutizzata senza necessità di terapia renale sostitutiva o Paziente con comorbidità I pazienti ricoverati in reparti ordinari sono più stabili. 3) Dimissione da PS/OBI, si verifica nel paziente SC cronico: o Risoluzione della dispnea e dei segni di congestione: significativa risposta al trattamento iniziale con miglioramento dei sintomi, FC a riposo < 100 b/m, assenza di ipotensione ortostatica, adeguata diuresi, SaO2 > 90%, assenza di peggioramento funzione renale o Identificazione e correzione del fattore che porta all’episodio acuto o Assenza di severe comorbidità L’ambulatorio per lo scompenso è fondamentale poiché riduce i ricoveri per riacutizzazione. elettroliti (per ritenzione sodio), assetto sideremico (ferro – transferrina per anemia), funzionalità rene (creatinina valore per funzionalità renale). TERAPIA NON FARMCOLOGICA Educare la persona ad acquisire uno stile di vita orientato a mantenere il compenso. prevenire per quanto possibile episodi acuti tramite: controllo del peso, restrizione nell’ apporto di liquidi (si può assumere circa 1 litro di acqua), restrizione del sodio, mantenimento delle attività fisica abituale. TERAPIA FARMACOLOGICA La tipologia di terapia varia in base allo stadio e sintomatologia. Dobbiamo sapere i tipi di farmaci e la loro funzione. Nei pazienti con disfunzione ventricolare ma che rimangono asintomatici (stadio A,B) →Rallentare la progressione della malattia bloccando il sistema neurormonale che porta al rimodellamento cardiaco. Nei paziente che hanno sviluppato una sintomatologia (stadi C,D) →Migliorare la ritenzione di liquidi, ridurre la disabilità, ridurre il rischio di ulteriore progressione della malattia e di morte. La terapia medica combina: tp diuretica e interventi di tipo neurormonale per ridurre al minimo il rimodellamento cardiaco. ACE INIBITORI: Meccanismo d’azione: inibizione dell’enzima Ace responsabile della conversione dell’angiotensina I ad angiotensina II. Vi è inoltre riduzione della liberazione di aldosterone dalla corteccia surrenale con riduzione della ritenzione di sodio e acqua (evitano ritenzione sodio e acqua). Effetti collaterali: importante ipotensione con vertigine, insufficienza renale, iperpotassiemia, tosse secca non produttiva, angioedema, alterazione del gusto. SARTANI (Valsartan, losartan): Bloccanti dei recettori dell’angiotensina II. Agiscono bloccando gli effetti vasocostrittori dell’angiotensina II a livello dei suoi recettori. Indicati nei pazienti che non tollerano gli ace inibitori. Utilizzati nei pazienti con scompenso sintomatico e asintomatico con frazione di eiezione ridotta ( 25 mmHg, si realizza la trasudazione e l’accumulo di liquidi nell’interstizio (edema interstiziale). Il sistema linfatico provvede ad allontanare il trasudato ma quando la sua capacità di drenaggio viene superata dal liquido prodotto questo invade gli alveoli (edema alveolare). MANIFESTAZIONI CLINICHE Dispnea, ortopnea Agitazione (a causa della ridotta ossigenazione cerebrale) Ipossiemia Tachipnea, respiro rumoroso Bassi livelli Sp02 Cute e mucose diventano pallide, cianotiche, fredde e umide Tachicardia, distensione delle vene giugulari La persona tossisce e produce un espettorato schiumoso (il liquido passa dai capillari polmonari agli alveoli, il liquido negli alveoli si miscela con l’aria producendo un espettorato schiumoso striato di sangue). Per riconoscere precocemente l’edema l’infermiere deve: valutare il grado di dispnea, auscultare il campi polmonari, auscultare i suoni cardiaci, valutare l’edema periferico. La presenza di tosse secca, astenia, aumento ponderale, peggioramento dell’edema e diminuita tolleranza all’attività possono essere degli indicatori che preannunciano lo sviluppo di edema polmonare. Nella fase iniziale l’edema può essere trattato: Somministrando la terapia diuretica (come da prescrizione) Posizionare il paziente seduto con le gambe e i piedi in basso (per ridurre il carico ventricolare sx). Valutare la comprensione e l’adesione del paziente al regime terapeutico e i fattori precipitanti. TRATTAMENTO ✓ Ridurre il sovraccarico di liquidi; ✓ Migliorare la funzione del ventricolo sx; ✓ Migliorare l’ossigenazione. Tali obiettivi sono raggiunti combinando: o Terapia farmacologica o Somministrazione 02 o Supporto ventilatorio TERAPIA FARMACOLOGICA Morfina Diuretici dell’ansa Ossigeno Nitrati Nel caso di segni di bassa gittata i farmaci ionotropi positivi* (dopamina, dobutamina, levosimendan*) *Ionotropo positivo= Aumento delle forza contrattile del muscolo cardiaco. *levosimendan= farmaco “ultima spiaggia”, si somministra solo in rianimazione / terapia intensiva cardiologica poiché serve attento monitoraggio dei PV dato che può dare ipotensione e quindi va somministrato con noradrenalina. OSSIGENOTERAPIA Serve per ridurre l’ipossia e la dispnea. Se l’insufficienza respiratoria è grave e l’ipossia non migliora si può utilizzare la modalità di assistenza respiratoria non invasiva C-PAP. Può essere necessario il ricorso all’intubazione orotracheale e alla ventilazione meccanica. L’ossigenazione deve essere monitorata tramite pulsossimetria ed EGA. MALATTIA RENALE CRONICA FUNZIONI PRINCIPALI DEL RENE ❖ Rimuove i prodotti finali del catabolismo azotato (urea, acido urico, solfati, azoto ecc.) ❖ Regola l’equilibrio acido base e di conseguenza il pH ematico ❖ Regola l’equilibrio idroelettrolitico ❖ Detossifica l’organismo da composti tossici, per poi eliminarli (farmaci). FUNZIONE ENDOCRINA Produzione e rilascio di eritropoietina: ormone che stimola il midollo osseo a produrre globuli rossi per aumentare la quantità di emoglobina in grado di trasportare ossigeno. Il paziente con patologie renali sarà anemico perché cala produzione di eritropoietina; Trasformazione della vitamina D dalla forma inattiva alla forma attiva: 1,25 diidrossicolecalciferolo. La vitamina D è necessaria per il mantenimento del normale bilancio di calcio nell’organismo; Rilascio di renina: per la regolazione della pressione arteriosa; Produzione di prostaglandina e prostaciclina che hanno un effetto vasodilatatore e sono importanti per mantenere un regolare flusso ematico renale. EPIDEMIOLOGIA È un problema di salute pubblica che coinvolge una larga parte di popolazione. La MRC coesiste spesso con altre patologie croniche quali: diabete mellito e malattie cardiovascolari. La MRC spesso rimane asintomatica a lungo e presenta una tendenza alla progressiva perdita della funzione renale siano alla dialisi e al trapianto. Si definisce come MRC la condizione in cui sia presente almeno da tre mesi una riduzione della Velocità di Filtrazione Glomerulare (VFG o GFR - Glomerular Filtration Rate) al di sotto di 60 ml/min/1.73 m². Oppure È presente un marcatore di danno renale quale: o Proteinuria e/o alterazioni del sedimento urinario o Anomalie istologiche o Alterazioni negli esami di diagnostica per immagini del rene o Storia di trapianto renale ESAMI PER VALUTARE FUNZIONALITÀ RENALE Per valutare la funzione renale e quindi l’entità della malattia non è necessario solamente il prelievo per la creatininemia ma si ricorre al: calcolo della Velocità di Filtrazione Glomerulare che stima la funzione renale residua in maniera più accurata. Si utilizzano formule (CKD-EPI nell’adulto) per il calcolo del VFG i cui parametri di calcolo sono: Creatininemia, età, sesso, razza. La clearance della creatinina è un test valido per il calcolo della funzione renale in quanto è indice della filtrazione glomerulare. Tale test prevede il prelievo ematico per la creatininemia e la raccolta delle diuresi delle h 24 per determinare la creatinuria. Nei soggetti sani la clearance della creatinina è compresa tra 140 e 95 ml/min nell’uomo e 125 e 90 ml/min nella donna. RACCOLTA DIURESI DELLE 24H: è la raccolta della diuresi in 24 ore in un contenitore graduato. Le urine vanno acidificate per mantenere le caratteristiche delle urine. CAUSE CHE PORTANO ALLO SVILUPPO DELLA MRC ▪ Diabete ▪ Ipertensione arteriosa ▪ Obesità ▪ Eccessivo consumo di farmaci nefrotossici ▪ Glomerulopatie ▪ Malattie genetiche (rene policistico) ▪ Infezioni recidivanti del rene o delle vie urinarie ▪ Coinvolgimento renale in corso di patologie sistemiche (malattie autoimmuni, patologiche reumatiche e vasculiti) ▪ In generale tutti gli episodi di danno renale acuto possono generare in un danno renale persistente. Le prime 3 sono sempre presenti in tutte le patologie. FASI DELLA MALATTIA RENALE Prevede 5 stadi progressivi valutati attraverso la VFG. Stadio 1= danno renale con FG non compromessa. Stadio 2= danno renale + compromissione della FG. Stadio 5= il rene non è in grado di svolgere le sue funzioni perciò emodialisi/dialisi peritoneale/trapianto. Tuttavia il rischio di evolutività non dipende soltanto dal grado di compromissione del filtrato glomerulare, ma anche dalla presenza di proteinuria, in particolare dall’albuminuria. I livelli di albuminuria permettono di identificare i soggetti a maggior rischio di progressione. Quando il paziente passa al 5° stadio e ha bisogno di terapia sostitutiva si parla di insufficienza renale cronica. SINTOMATOLOGIA Man mano che la VFG scende aumenta la sintomatologia. Negli stadi iniziali MRC → decorso in maniera quasi asintomatica. I sintomi, segni e complicanze → compaiono negli stadi più avanzati. Nelle prime fasi non si avverte alcun sintomo caratteristico. Sono alterati solo i valori degli esami del sangue che esprimono specificamente la funzione renale, in particolare la creatinina. In seguito, cominciano ad alterarsi anche i livelli di acido urico, calcio, fosforo, bicarbonato, paratormone, e si riducono i globuli rossi (anemia). Spesso la persona avverte solamente una generica riduzione della forza fisica. In fase avanzata, aumentano i sintomi dovuti all'anemia (pallore, astenia), il paziente è iperteso, compare anoressia, nausea, vomito, alitosi, in alcuni pazienti è presente un colorito giallo – brunastro (urea) e il prurito è insopportabile, sono presenti disturbi del sonno, il sensorio è spesso obnubilato in alcuni casi fino al coma. (il prurito è per l’accumulo dell’acido urico). Nello stadio terminale l’accumulo di liquidi e tossine provoca dispnea, sono presenti edemi e tutti i sintomi descritti in precedenza si aggravano. I farmaci non sono più in grado di contrastare il quadro clinico. La dialisi si rende necessaria quando il filtrato glomerulare scende al di sotto di 10 ml/min. Prevenzione primaria= educazione terapeutica (stile di vita). INDAGINI DIAGNOSTICHE / DIAGNOSI Dosaggio della creatinina per stimare il VFG Rapporto Albuminuria/Creatininuria + Ulteriori indagini per inquadramento diagnostico MRC L’ecografia renale non è indicata come indagine di primo livello tranne che nei pazienti che presentano: o Ematuria visibile e persistente o Storia di ostruzione delle vie urinarie (ipertrofia prostatica, calcolosi vie urinarie…) o Storia familiare di rene policistico ed età superiore a 20 anni o Rapida riduzione di VFG. MANIFESTAZIONI CLINICHE Elevati livelli di creatininemia. I sintomi della malattia renale cronica iniziano e sono direttamente proporzionali all’aumentare della creatininemia. Ritenzione di sodio e acqua: i reni perdono la capacità di concentrare o diluire le urine.. Vi è infatti ritenzione di sodio, acqua con conseguenti edemi, insufficienza cardiaca e ipertensione arteriosa. L’acidosi metabolica tipica dello stadio terminale dell’insufficienza renale termina, è dovuta all’incapacità del rene di eliminare ammoniaca e di riassorbire ioni bicarbonato. Anemia: è la conseguenza della produzione insufficiente di eritropoietina. Alterazione del metabolismo del fosforo e del calcio. Con la diminuita filtrazione glomerulare, il livello plasmatico di fosfati aumenta e la calcemia scende in proporzione. il tessuto perde calcio e possono svilupparsi alterazioni e malattie ossee. COMPLICANZE Squilibri elettrolitici: l’alterazione più pericolosa è l’iperpotassiemia (causando aritmie mortali). Ipertensione arteriosa: dovuta a ritenzione di sodio e di acqua e disfunzione del sistema renina- angiotensina e aldosterone. Anemia: dovuta a ridotta produzione di eritropoietina. Malattie ossee dovute a ritenzione di fosforo, ipocalcemia, alterazioni del metabolismo della vitamina D. TERAPIA La terapia si divide in conservativa e sostitutiva. TERAPIA CONSERVATIVA TERAPIA SOSTITUTIVA ❖ Farmacologica ❖ Emodialisi ❖ Dietetica ❖ Dialisi peritoneale ❖ Modifica degli stili di vita ❖ Trapianto TERAPIA FARMACOLOGICA Farmaci antipertensivi (ace-inibitori o sartani) per mantenere la PA 130/80 mmHg. Diuretici Supplementi di calcio Chelanti del fosforo (i chelanti si legano al fosforo alimentare presente nell’apparato gastrointestinale) Eritropoietina Ipoglicemizzanti (se diabetico) Statine (per ridurre colesterolo LDL) CORRETTO STILE DI VITA Abolizione del fumo, restrizione apporto di liquidi, stimolare attività fisica per quanto tollerata dal paziente, dieta iposodica e ipoproteica, la terapia nutrizionale è importante! TERAPIA NUTRIZIONALE Prevenire e trattare la malnutrizione, Ritardare l’evoluzione della malattia renale cronica. Dieta ipoproteica: per limitare la produzione giornaliera di cataboliti azotati. A partire dallo stadio 3b è necessario introdurre gli alimenti aproteici. Per ogni stadio è indicato un apporto proteico specifico, ma dallo stadion3nalienti aproteici. Dieta ipofosforica: il bilancio positivo di fosforo causa iperparatiroidismo secondario che porta ad alterazioni ossee, calcificazioni arteriose e delle valvole cardiache. Dieta iposodica per controllare l’ipertensione e la ritenzione di liquidi. Diminuire l’apporto di potassio: limitare gli alimenti ad elevato contenuto di potassio: Dare consigli alim. e sulle tecniche di cottura Ridurre l’apporto idrico, in particolare negli stadi IV e V la quantità di liquidi introdotta deve essere strettamente necessaria a soddisfare il senso di sete. Di solito la quantità di liquidi permessi è di circa 500 ml in più rispetto alla quantità di urina prodotta nella 24 h. EMODIALISI (possibili domande: utilizzo accesso venoso e come gestirlo, come si fa la dialisi, quali sono gli accessi venosi) Possono effettuare questo trattamento i pazienti affetti da insufficienza renale acuta e cronica. L’emodialisi previene la morte ma non risolve la malattia renale. È un trattamento salvavita. Con la diffusione si eliminano le tossine, mentre, con la convenzione si eliminano i liquidi. Una volta eliminate le tossine si eliminano i liquidi. Il dialisato è il liquido presente nel dializzatore. Abbiamo sangue e dialisato che scambiano sostanze attraverso dializzatore. L’emodialisi è un trattamento intermittente, svolto dalle 2 alle 4 volte a settimana per almeno 3-5 ore. La depurazione del sangue avviene fuori dal corpo, all’interno del dializzatore. Al suo interno il sangue viene a contatto con il dialisato al quale cede le sostanze di rifiuto per diffusione e convezione; mentre l’eccesso di fluido viene rimosso per ultrafiltrazione. ACCESSO VASCOLARE Per effettuare l’emodialisi è un necessario un ACCESSO VASCOLARE che fornisca un flusso di sangue sufficiente. Infatti per ottenere una depurazione ottimale, serve un grosso acce garantisca una elevata portata ematica per permettere gli scambi (200-300 ml/min). Gli accessi venosi utilizzato sono CVC ( femorale, giugulare) o la FAV (accesso venoso per eccellenza). FISTOLA ARTERO VENOSA (FAV) Viene creata chirurgicamente formando un’anastomosi tra un’arteria e un vena. Si inseriscono nel vaso degli aghi di grosso calibro, tali da permettere un flusso sanguigno adeguato attraverso il dializzatore. Dopo il confezionamento la FAV non può essere utilizzata subito, deve «maturare» circa 2-3 mesi. ▪ La fistola viene punta tramite due aghi ▪ Si identificano i siti come arteria e vena ▪ Tuttavia ciò che viene punto sono vene arterializzate COME COMPORTARSI CON LA FISTOLA? Non utilizzare la FAV per eseguire prelievi ematici, per infondere liquidi Non utilizzare il braccio dove è presente la fistola per rilevare la pressione arteriosa (poiché aumenta pressione all’interno) La fistola non deve essere compromessa dall’utilizzo di indumenti troppo stretti, gioielli che potrebbero creare una eccessiva pressione Evitare di posizionare il paziente sull’arto della fistola Garantire l’igiene del braccio della FAV Durante la deambulazione evitare di sostenere il paziente stringendo la FAV Dopo 6/8 ore dalla seduta emodialitica rimuovere la medicazione Perché questi pazienti tendono a sanguinare? Nella macchina per evitare che si formino coaguli si mette eparina. Se la FAV non è disponibile si usano i CATETERI VENOSI CENTRALI (CVC) REGOLE DI COMPORTAMENTO CVC Non utilizzare il CVC per infondere, salvo impossibilità di reperire un altro accesso venoso. prima di procedere all’utilizzo del CVC contattare il Centro dialisi. I CVC vengono medicati ed eparinati ad ogni seduta dialitica, importante è ricordarsi di rimuoverla per l’utilizzo. Meno si manipolano meglio è! LE PRINCIPALI COMPLICANZE DELLA DIALISI ALIMENTAZIONE DEL PAZIENTE IN DIALISI ▪ Introito di liquidi: non dovrebbe superare i 500 ml (compresi caffè, bevande varie) ▪ Limitare l’assunzione di alimenti con elevato contenuto di liquidi (es brodo, minestrone, frutta acquosa come il cocomero) ▪ Aumentare il fabbisogno proteico in quanto il filtro non trattiene gli amminoacidi. Una dieta normoproteica serve per compensare le perdite e per aiutare l’organismo nella riparazione dei tessuti e nella protezione dalle infezioni ▪ Evitare cibi con elevato contenuto di potassio in quanto l’accumulo di potassio porta a gravi aritmie (evitare frutta secca, insaccati, frutta fresca) ▪ Ridurre gli alimenti che contengono il fosforo, in quanto l’eliminazione del fosforo con la dialisi è limitata, per questo si consiglia l’assunzione di farmaci chelanti del fosforo. ▪ Ridurre l’introito di sodio riducendo il consumo di sale per prevenire ipertensione Per tutte queste modifiche il paziente può andare incontro a malnutrizione Tutta l’educazione alimentare è compito infermieristico. Molti farmaci vengono eliminati durante la dialisi e pertanto è necessario che il medico ne modifichi il dosaggio e venga espresso il timing dell’assunzione. Somministrare con attenzione i farmaci antipertensivi e l’eparina bpm. Le dosi sono differenti a seconda che sia il giorno dialitico o interdialitico. Alcuni farmaci prescritti (compresi gli antibiotici) vanno somministrati dopo la seduta dialitica. Fare attenzione a non somministrare troppi liquidi durante la diluizione dei farmaci da somministrare ev. Evitare se possibile le somministrazioni i.m. in quanto c’è il rischio di creare grossi ematomi a causa della terapia con eparina utilizzata in corso di dialisi. ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE IN EMODIALISI PREDIALISI o Educazione al paziente sulla corretta alimentazione e il corretto introito di liquidi; o Informazioni al paziente sulla gestione dell’accesso vascolare (FAV o CVC); o Esami ematici: importante ricordarli sempre! Emocromo (per anemia), elettroliti (sodio, potassio, calcio, fosforo); o Valutazione del peso secco (ovvero stato di normoidratazione che il paziente post dialisi deve raggiungere): ▪ di tipo clinico osservando il paziente, verificando la presenza di edema, dispnea, andamento pressorio, EGA per valutare i valori di P02; ▪ di tipo strumentale: rx torace (circolo polmonare, edema interstiziale), valutazione ecocardiografica (diametro vena cava). INTRA-DIALISI o Misurazione dei parametri vitali e registrazione in cartella del peso corporeo sul letto bilancia; o Impostazione dei parametri personali di dialisi sul monitor; o Controllo e disinfezione dell’accesso vascolare (ispezionare la fistola per eventuali lesione, ematomi, infiammazione). Ispezionare il cvc per rilevare la presenza di arrossamenti, infiammazione, infezione; o Incanulamento dell’accesso vascolare: gli aghi una volta posizionati vanno fissati con cerotti ipoallergici alla cute dell’arto; o Monitoraggio continuo del paziente durante la seduta dialitica; o Prevenzione-gestione delle complicanze. POST-DIALISI o rimozione aghi e applicazione della medicazione compressiva/ medicazione CVC. DIALISI PERITONEALE Gli obiettivi della dialisi peritoneale sono la rimozione delle sostanze tossiche e dei prodotti di scarto del metabolismo e il ripristino del bilancio idroelettrolitico. Nella dialisi peritoneale, il peritoneo funge da membrana semipermeabile. Il dialisato sterile viene introdotto nella cavità peritoneale attraverso un catetere addominale. Quando il dialisato è all’interno della cavità peritoneale, le tossine uremiche sono rimosse dal sangue. I prodotti di scarto del metabolismo passano per diffusione e osmosi da una zona a maggior concentrazione (il sangue che irrora il peritoneo) a una a minor concentrazione (la cavità peritoneale), attraverso la membrana semipermeabile (il peritoneo). COMPLICANZE: peritonite, perdite, emorragie. TRAPIANTO Sostituire un organo malato con uno sano proveniente da: donatore vivente cadavere a cuore battente La FINALITÀ del trapianto è: Ripristinare una normale funzionalità renale e Restituire una vita socialmente produttiva. Dati significativi: creatinina, emoglobina, PA, FC, dispnea, tachipnea, edemi declivi, diuresi. DIAGNOSI PRIORITARIA: ▪ Volume di liquidi eccessivo; ▪ Rischio di volume di liquidi squilibrato; ▪ Rischio di squilibrio elettrolitico. NOC: Equilibrio elettrolitico e acido base, Equilibrio elettrolitico, Acidosi metabolica: gravità. NIC: gestione dei liquidi, gestione degli elettroliti, emodialisi. Altre diagnosi infermieristiche: Nutrizione squilibrata: inferiore al fabbisogno metabolico, Tolleranza all’attività ridotta, Conoscenza insufficiente DIABETE MELLITO Il diabete mellito rappresenta un gruppo di disordini metabolici caratterizzati da ELEVATI LIVELLI EMATICI DI GLUCOSIO dovuti a difetti che riguardano la secrezione di insulina, la sua azione o entrambe (American Diabetes Association, 2013). DA DOVE DERIVA IL TERMINE DIABETE MELLITO Il termine diabete in greco antico deriva dal verbo diabainein che significa attraversare e allude al fluire dell’acqua poiché il sintomo più appariscente è l’eccessiva produzione di urina. Il termine mellito, dal latino mel: miele, dolce è stato in seguito aggiunto poiché il sangue e le urine dei pazienti diabetici avevano un sapore dolce. EPIDEMIOLOGIA Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la prevalenza del diabete mellito è in costante aumento negli ultimi decenni. Cresce soprattutto il diabete tipo 2, che rappresenta circa il 90% dei casi, riferibile a iperalimentazione e a scarsa attività fisica. Nella Regione europea dell’OMS, la prevalenza di questa malattia è in crescita in tutta la Regione. Tale crescita, in parte dovuta all’invecchiamento generale della popolazione, è principalmente secondaria alla diffusione di condizioni a rischio, come sovrappeso e obesità, scorretta alimentazione, sedentarietà e disuguaglianze socio- economiche (diabete tipo 2). Rappresenta la quarta causa di morte nell’Unione Europea. In Italia, la prevalenza del diabete cresce con l'età, è più frequente fra gli uomini che fra le donne. CLASSIFICAZIONE DEL DIABETE MELLITO Esistono 2 forme principali di diabete. Diabete mellito di tipo 1 (DM 1); Diabete mellito di tipo 2 (DM 2). Esistono forme di intolleranza glucidica (prediabete) predisponenti allo sviluppo di diabete mellito: o Alterata glicemia a digiuno (IFT= impaired fasting glucose); o Alterata tolleranza glucidica (IGT= impaired glucose tolerance). FATTORI DI RISCHIO PER LO SVILUPPO DEL DIABETE MELLITO Familiarità di primo grado (genitori, fratelli) Obesità Età ≥ 45 anni Alterata glicemia a digiuno o alterata tolleranza glucidica Ipertensione arteriosa Livelli di colesterolo HDL ≤ 35 mg/dl e/o elevati valori di trigliceridi (≥ 250 mg/dl) Nella donna: storia di diabete gestazionale o parto di un neonato di peso > 4 kg VALORI GLICEMICI VALORI SOGLIA PER LA DIAGNOSI DI DIABETE MELLITO FISIOPATOLOGIA L’insulina secreta dalle cellule beta delle isole del Langerhans, è un ormone anabolizzante. Dopo un pasto la produzione di insulina aumenta e con essa il trasporto del glucosio circolante nel tessuto muscolare, nel fegato e nel tessuto adiposo. In queste sedi l’insulina produce i seguenti effetti: ▪ Permette il trasporto e l’utilizzo del glucosio quale fonte di energia ▪ Stimola l’immagazzinamento di glucosio, sotto forma di glicogeno, nel fegato e nel tessuto muscolare ▪ Segnala al fegato di interrompere il rilascio di glucosio ▪ Stimola il deposito di grassi di origine alimentare nel tessuto adiposo ▪ Accelera il trasporto all’interno delle cellule degli aminoacidi derivanti dalle proteine della dieta ▪ Inibisce l’utilizzo delle riserve di glucosio, proteine e grassi Durante il digiuno il pancreas rilascia continuamente una piccola quantità di insulina (insulina basale). Quando la glicemia diminuisce dal pancreas viene liberato il glucagone (secreto dalle cellule α delle isole del Langerhans ) che stimola il fegato a rilasciare il glucosio immagazzinato. L’effetto del bilancio tra l’azione dell’insulina e quella del glucagone è il mantenimento di un livello ematico costante di glucosio, attraverso la stimolazione del rilascio di glucosio da parte del fegato. Inizialmente il fegato produce glucosio dalla demolizione del glicogeno (glicogenolisi). Dopo 8-12 h di digiuno si ha una neosintesi epatica di glucosio a partire da precursori diversi dai carboidrati, inclusi gli aminoacidi (gluconeogenesi). DIABETE DI TIPO I – DIABETE INSULINO DIPENDENTE O GIOVANILE La frequenza del diabete mellito di tipo 1 è in aumento nei paesi industrializzati e negli ultimi anni si è assistito ad un’anticipazione dell’età di comparsa. Il diabete mellito di tipo 1 ha il picco di incidenza in età comprese tra i 5 e i 15 anni, poi si ha una drastica riduzione del rischio, tuttavia si può manifestare anche in età adulta (diabete autoimmune nell’adulto). EZIOLOGIA Malattia cronica autoimmune. Si manifesta a seguito della distruzione specifica e selettiva delle cellule β secernenti insulina da parte di autoanticorpi. La più importante regione genica associata alla predisposizione alla malattia è quella che codifica per i geni degli Antigeni Leucocitari Umani altamente polimorfi. Tra i fattori ambientali più frequentemente coinvolti nell’insorgenza del diabete di tipo I consideriamo le infezioni virali e le sostante tossiche. SINTOMATOLOGIA CLINICA Esordio acuto, spesso in relazione con un episodio febbrile che si manifesta con: - Aumentato senso della sete (polidipsia) Si sviluppa quando i livelli - Diuresi aumentata (poliuria) di insulina sono insufficienti - Stanchezza (astenia) a soddisfare le richieste - Perdita di peso metaboliche fondamentali - Polifagia dell'organismo. La - Nausea CHETOACIDOSI DIABETICA chetoacidosi diabetica è il - Vomito primo segno d'esordio del - Dolore addominale diabete di tipo 1 in una - Disidratazione con alito acetonemico minoranza di pazienti. - Respiro di kussmal FISIOPATOLOGIA La carenza di insulina determina l’incapacità delle cellule (in particolare adipose e muscolari) ad utilizzare il glucosio con due conseguenze immediate: Se la situazione persiste si verificano: - Disidratazione severa per poliuria - Produzione massiccia di corpi chetonici: cheto-acidosi, iperventilazione, vomito che peggiorano la disidratazione. TERAPIA Necessità di un trattamento insulinico. Vi è infatti un deficit parziale o totale di insulina endogena → si deve somministrare insulina esogena per regolare: - Glicogenolisi - Gluconeogenesi - Lipolisi - Chetogenesi COMPLICANZE DELLA TERAPIA INSULINICA Reazioni allergiche locali: dopo 1-2 ore dall’iniezione può manifestarsi una reazione allergica locale nel sito di iniezione con rossore, gonfiore, dolore e formazione di un pomfo; Reazioni allergiche sistemiche: rare, dapprima si manifesta una reazione cutanea che si trasforma poi in una orticaria diffusa; Lipodistrofia da insulina: alterazione del metabolismo lipidico localizzata al sito di iniezione dell’insulina con caratteristiche di lipoatrofia o di lipoipertrofia. Lipoatrofia: perdita di grasso sottocutaneo e si manifesta con un leggero affossamento del tessuto adiposo sottocutaneo. Lipoipertrofia: formazione di una massa localizzata di tessuto fibroadiposo, dovuta a ripetute iniezioni nello stesso punto. Per evitare ciò è necessario ruotare i punti di iniezione; Resistenza all’insulina: tra le cause più comuni vi è l’obesità, è necessaria quindi una riduzione del peso corporeo. La resistenza clinica all’insulina è definita come un fabbisogno quotidiano di 200 o più unità di insulina; Iperglicemia mattutina: stato di iperglicemia dopo il riposo notturno causato da ridotta insulinemia. DIABETE DI TIPO II – DIABETE NON INSULINO DIPENDENTE O DEL’ADULTO Rappresenta una delle malattie croniche più frequenti. La malattia si manifesta solitamente dopo i 30-40 anni. Presenza numerosi fattori di rischio. EZIOLOGIA Diabete di tipo II caratterizzato da 2 problemi legati all’azione dell’insulina: ▪ Insulino-resistenza: ridotta risposta dei tessuti all’azione dell’ormone. L’insulina diviene meno efficace nello stimolare la captazione di glucosio da parte dei tessuti. ▪ Per compensare la resistenza all’insulina ed impedire l’accumulo di glucosio nel sangue la secrezione di insulina aumenta. ▪ Se le cellule β non riescono a soddisfare l’aumentato bisogno di insulina, la glicemia aumenta e si può sviluppare il diabete di tipo II. N.B. La quantità di insulina presente è comunque sufficiente a impedire la demolizione delle riserve di grassi e la conseguente formazione di corpi chetonici SINTOMATOLOGIA CLINICA Esordio lento, la diagnosi spesso avviene casualmente. Il paziente è spesso in sovrappeso, obeso. I sintomi non sono così evidenti come nel diabete di tipo I: - Sensazione di stanchezza, malessere generale - Frequente necessita di urinare soprattutto la notte (poliuria con nicturia) - Sete inusuale (polidipsia) - Infezioni frequenti - Lenta guarigione delle ferite Per ricordare la sintomatologia – le 3 P VALORI EMATICI Iperglicemia Iperinsulinemia basale e dopo carico orale di glucosio Spesso associato a: diminuzione colesterolo HDL e aumento colesterolo LDL Il compenso glicemico viene espresso mediante l’emoglobina glicata TERAPIA Modifiche dello stile di vita: dieta, attività fisica, sospensione del fumo → Con conseguente miglioramento del compenso glicemico dovuto alla perdita di peso. Terapia farmacologica: ipoglicemizzanti orali/ terapia insulinica. 1. IPOGLICEMIZZANTI ORALI: Farmaci che migliorano l’azione dell’insulina o insulino sensibilizzanti - Biguanidi: Metformina - Glitazoni o Tiazolidindioni (pioglitazione, rosiglitazone) 2. IPOGLICEMIZZANTI ORALI/SOTTOCUTE: farmaci che migliorano la produzione dell’insulina o secretagoghi - Sulfaniluree (glibenclamide, glicazide, glimepiride) - Glinidi (repaglinide) - Incretino-mimetici → analoghi GPL-1 (glucagon- like peptide 1) 3. IPOGLICEMIZZANTI ORALI: farmaci che riducono o modificano l’assorbimento intestinale dei carboidrati Inibitori dell’alfa –glucosidasi (acarbosio e miglitol): 4. FARMACI IPOGLICEMIZZANTI ORALI: SGLT2 INIBITORI (trasportatori sodio-glucosio tipo 2) -Gli SGLT2 inibitori (o gliflozine) includono tre molecole: l’empagliflozin (Jardiance), il canagliflozin (Invokana) e il dapagliflozin (Forxiga) -Sono stati approvati in Italia per il trattamento del diabete di tipo 2 in mono-somministrazione giornaliera -Riducono l’emoglobina glicata, permettono un calo ponderale, riducono la pressione arteriosa e riducono i livelli di uricemia Per ricapitolare la terapia del diabete di tipo 2 correlata a differenti patologie cardiovascolari Si raccomanda l’uso di metformina come farmaco di prima scelta per il trattamento a lungo termine in pazienti con diabete di tipo 2 senza pregressi eventi cardiovascolari; Si raccomanda l’uso di metformina, SGLT-2i e GLP-1 come farmaci di prima scelta per il trattamento a lungo termine in pazienti con diabete di tipo 2 con pregressi eventi cardiovascolari e senza scompenso cardiaco; Si raccomanda l’uso di SGLT-2i come farmaci di prima scelta per il trattamento a lungo termine di pazienti con diabete di tipo 2 con scompenso cardiaco. TERAPIA INSULINICA COMPLICANZE ACUTE DEL DIABETE IPOGLICEMIA CHETOACIDOSI DIABETICA (diabete tipo 1) SINDROME IPERGLICEMICA IPEROSMOLARE NON CHETOSICA (STATO IPERGLICEMICO IPEROSMOLARE) (diabete tipo 2) IPOGLICEMIA La condizione di ipoglicemia si manifesta quando la concentrazione ematica di glucosio è inferiore a 60 mg/dl, se < a 40 mg/dl l’ipoglicemia diventa severa. Causata da: somministrazioni di dosi eccessive di insulina o ipoglicemizzante orali Alimentazione insufficiente Eccessiva attività fisica Può comparire in qualsiasi momento della giornata, spesso prima dei pasti specialmente se la persona ritarda i pasti o se non consuma i consueti spuntini tra i pasti. Deve essere trattata tempestivamente. Si raccomanda l’assunzione di CARBOIDRATI SEMPLICI a RAPIDO ASSORBIMENTO. Evitare di aggiungere zuccheri ulteriori ai succhi di frutta per evitare un aumento troppo brusco della glicemia. IPOGLICEMIA LIEVE: l’abbassamento dei livelli ematici di glucosio stimola il sistema nervoso simpatico. →La liberazione di adrenalina causa sintomi quali: IPOGLICEMIA MODERATA →Il tessuto nervoso cerebrale soffre per la scarsità di apporto nutritivo, si manifestano così i seguenti sintomi: IPOGLICEMIA GRAVE → Le funzioni del SNC sono fortemente compromesse, il soggetto necessita dell’assistenza di un’altra persona per il trattamento dell’ipoglicemia. I sintomi includono: CHETOACIDOSI DIABETICA In caso di deficit di insulina la quantità di glucosio che entra nelle cellule è ridotta e la produzione epatica aumenta causando IPERGLICEMIA , di conseguenza aumenta l’escrezione renale di glucosio insieme ad acqua ed elettroliti (Rischio di disidratazione e perdita di elettroliti) →POLIURIA L’assenza o la carenza di insulina causa la degradazione dei lipidi in GLICEROLO + ACIDI GRASSI, trasformati nel fegato in CORPI CHETONICI. Il loro accumulo porta ad acidosi SEGNI E SINTOMI metabolica. Le tre cause principali di chetoacidosi: Poliuria - Polidipsia - Marcata astenia - 1) Riduzione o mancata somministrazione di insulina Disidratazione con conseguente ipovolemia 2) Presenza di altre patologie o stati infettivi - Tachicardia - Ipotensione - L’acidosi e 3) Diabete non diagnosticato o non trattato. l’accumulo dei corpo chetonici porta a TRATTAMENTO sintomi gastrointestinali: nausea, vomito - Rapido reintegro del volume di liquidi: la Odore dell’alito fruttato ( dovuto ad una reidratazione permette il mantenimento elevata concentrazione nel sangue di corpi della perfusione tissutale e favorisce chetonici) - La persona può presentarsi l’escrezione del glucosio in eccesso. letargica fino ad arrivare al coma. Monitoraggio del bilancio idrico, valutazione dei parametri vitali, valutare la comparsa di segni di sovraccarico idrico. Reintegro degli elettroliti: la concentrazione di potassio subisce le maggiori alterazioni, è spesso presente una condizione di ipopotassiemia. Somministrazione di insulina che corregge l’acidosi bloccando il catabolismo dei lipidi. SINDROME IPERGLICEMICA IPEROSMOLARE NON CHETONICA Complicanza del diabete di tipo 2, determinato da un deficit insulinico scatenato da una malattia acuta/ condizioni di stress che determinano un aumento della richiesta di insulina associato ad un inadeguato apporto di liquidi. Grave iperglicemia, marcata disidratazione in assenza di acidosi. MANIFESTAZIONI CLINICHE: - Ipotensione arteriosa - Grave disidratazione - Tachicardia - Segni neurologici (alterazioni del sensorio, convulsioni). TRATTAMENTO - Correggere la disidratazione - Normalizzare la glicemia - Ripristinare l’equilibrio elettrolitico - Somministrazione di insulina nella fase acuta → una volta risolta il diabete può essere controllato con la dieta e gli ipoglicemizzanti orali. DIAGNOSI INFERMIERISTICHE COLLEGATE ALLE COMPLICANZE ACUTE COMPLICANZE CRONICHE DEL DIABETE Più frequenti e precoci nei soggetti diabetici Derivano da alterazioni a carico dei vasi di medio e grosso calibro. La parete dei vasi si ispessisce, si sclerotizza (si indurisce) e diviene sede di formazione di placche che possono occludere il lume dei vasi Le tre principali complicanze sono: Le coronaropatie Le patologie cerebrovascolari Vasculopatie periferiche Retinopatia diabetica: è una microangiopatia che colpisce i piccoli vasi sanguigni che irrorano la retina. Nefropatia diabetica: è la causa più frequente di insufficienza renale terminale, provoca una riduzione progressiva della funzione di filtro del rene, si manifesta con un riscontro di proteine nelle urine. La più comune è la polineuropatia sensitivo motoria cronica che generalmente colpisce gli arti inferiori. Il deficit è prevalentemente sensitivo, il paziente avverte parestesie e deficit di funzione. Neuropatia autonomica: l’interessamento del sistema nervoso autonomo può colpire molteplici organi e apparati determinando disfunzioni al cuore, agli occhi e allo stomaco e rappresenta una delle principali cause di impotenza maschile. IL PIEDE DIABETICO TRATTAMENTO Compito dell’infermiere è educare la persona alle pratiche necessarie per la cura dei piedi: - Curare il diabete - Ispezione quotidiana dei piedi per rilevare la presenza di tagli, vesciche, arrossamenti e gonfiori - Lavare i piedi ogni giorno con acqua tiepida e asciugare accuratamente i piedi in particolare tra le dita - Mantenere la cute dei piedi idratata applicando una lozione sulla cute del dorso e della pianta dei piedi, non in mezzo alle dita - Per eliminare duroni e calli utilizzando la pietra pomice - Tagliare le unghie, smussando i margini con una lametta - Indossare calze e scarpe comode che proteggano i piedi. - Proteggere i piedi da temperature estreme - Mantenere una buona circolazione del sangue a livello dei piedi: elevare i piedi quando si è seduti, ruotare le caviglie e i piedi, non tenere le gambe accavallate per lunghi periodi, non fumare - Rivolgersi ad un podologo. Quando insorgono lesioni e ulcere ai piedi: Su prescrizione medica possono essere prescritti antibiotici - Può essere necessario un debridment chirurgico della ferita - Spesso la guarigione può essere ostacolata dalla ridotto flusso sanguigno tanto che nei casi più gravi si ricorre all’amputazione per impedire l’estendersi dell’infezione soprattutto se è coinvolto l’osso (osteomielite). - La guarigione delle ferite è facilitata dal controllo della glicemia, che tuttavia tende ad aumentare durante gli stati infettivi. DIAGNOSI INFERMIERISTICHE COLLEGATE ALLE COMPLICANZE CRONICHE NOC: autogestione del diabete EDUCAZIONE DEL PAZIENTE DIABETICO ❖ Automonitoraggio Glicemico: misurazione della glicemia capillare effettuata dal paziente diabetico o dai suoi familiari attraverso l’utilizzo di glucometri. Il numero delle misurazioni è da definire in base alla tipologia di terapia in atto: - Nel paziente in trattamento insulinico intensivo: prima di ogni somministrazione di insulina - Nel paziente in terapia ipoglicemizzante orale: 1-3 volte (valutazione pre e post prandiale ai tre pasti principali a rotazione). Recentemente è stato creato un sistema innovativo di monitoraggio glicemico flash (freestyle libre) che misura le glicemie tramite un sensore posizionato sul braccio senza la necessità di pungere il dito. Il sensore misura in modo autonomo il livello di glucosio nei fluidi interstiziali. Il sensore è progettato per rimanere applicato sul corpo fino a 14 giorni. Mediante il lettore si può effettuare in qualsiasi momento della giornata la scansione sul sensore e ottenere così il valore glicemico. ❖ Valutazione della compliance del paziente alla terapia: Valutare le modalità di conservazione dell’insulina (fiale, penne preriempite): La corretta conservazione dell’insulina deve essere mantenuta in tutti i passaggi di gestione del farmaco (temperatura + 2- + 8° C): produzione, stoccaggio, trasporto, farmacia, domicilio. Dopo il primo utilizzo l’insulina può essere mantenuta a temperatura ambiente. ❖ Consumo di alcol: non è necessario che i diabetici eliminino completamente il consumo di bevande alcoliche. Se ne consiglia un utilizzo moderato. L’alcol può portare a ipoglicemia. ❖ Attività fisica: riduce il glucosio ematico aumentandone l’assorbimento da parte del tessuto muscolare e migliorando l’utilizzo dell’insulina, stimola la circolazione sanguigna e migliora il tono muscolare. L’attività fisica influisce sulla concentrazione plasmatica di lipidi (> HDL, < LDL, trigliceridi). ❖ Alimentazione: la pianificazione del regime alimentare deve tenere conto delle preferenze della persona, delle sue abitudini, dei fattori etnici e culturali. Si deve mantenere una dieta equilibrata, si raccomanda un consumo moderato di tutti i tipi di carboidrati per evitare un’iperglicemia post prandiale. La persona diabetica deve inoltre limitare le calorie derivanti da grassi. Sono consigliate fonti di proteine non animali, il contenuto proteico va ridotto se la persona presenta insufficienza renale. È consigliata un aumento dell’assunzione di fibre in quanto favoriscono la riduzione del colesterolo e LDL, riduce la glicemia e quindi la necessità di insulina esogena. DIAGNOSI INFERMIERISTICHE ▪ Rischio di glicemia instabile NIC gestione dell’iperglicemia Gestione dell’ipoglicemia OBESITÀ L’OMS definisce l’obesità una condizione caratterizzata da un accumulo eccessivo e generalizzato di grasso nel tessuto sottocutaneo associata ad alterazione di parametri metabolici. Si manifesta con l’accumulo di massa grassa sottocutanea e/o viscerale che causa disfunzioni negli organi. Può essere associato a osteopenia e sarcopenia. È uno squilibrio tra apporto e spesa di energia, derivante da: ▪ un’alimentazione troppo ricca di cibi calorici e poveri di nutrienti ▪ crescente sedentarietà ▪ fattori socio-ambientali L’Obesità incide sullo stato di salute poiché è spesso associato a malattie quali: diabete tipo 2, ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica e altre condizioni che peggiorano la qualità di vita e ne riducono la durata. Sovrappeso e obesità sono tra i principali fattori di rischio oncologico (cancro colon retto, rene, esofago, pancreas, cancro del seno, endometrio e ovaio). Deve essere considerata una malattia cronica progressiva e recidivante. EPIDEMIOLOGIA L’obesità è ormai considerata una vera e propria malattia. Sovrappeso e obesità sono infatti tra le principali cause di morte e disabilità. Il controllo dell’obesità e del sovrappeso richiedono un approccio multidisciplinare al fine di: - Prevenirne l’insorgenza; - Assicurare la precoce presa in carico dei soggetti a rischio o allo stadio iniziale, per rallentarne la progressione, al fine di evitare o ritardare quanto il più possibile il ricorso a terapie farmacologiche e chirurgiche. DIAGNOSI Si effettua la diagnosi sulla base dell’indice di massa corporea. Limiti: non misura la quantità di grasso corporeo, né la distribuzione corporea. INDICI ANTROPOMETRICI da utilizzare per la diagnosi - circonferenza della vita e dei fianchi che possono considerati indici di distribuzione dell’adiposità; - Plicometria: consiste nel misurare lo spessore della plica sottocutanea in diversi siti del corpo tramite un plicometro, è di facile esecuzione e a basso costo. INDAGINI -Analisi che consentono di intercettare fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, dislipidemia, diabete tipo 2). -Indagini ematochimiche (glicemia, emoglobina glicata, colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi… SINTOMATOLOGIA Non vi è una sintomatologia specifica ma vi sono molte comorbidità legate ad essa: Disturbi respiratori - Disturbi ortopedici a carico delle articolazioni - Disturbi cutanei (aumento del sudore e delle secrezioni cutanee, infezioni funginee e batteriche) - Disturbi psicologici (correlati ad un’alterata percezione corporea) e disturbi del tono dell’umore. TRATTAMENTO MEDICO Non esiste un trattamento radicale, infatti, qualsiasi approccio terapeutico, pur determinando un adeguato calo ponderale, non garantisce il mantenimento dei risultati a lungo termine. Esistono tre tipi di approcci per il trattamento dell’obesità: 1. Modificazione dello stile di vita: Terapia dietetica associata a cambiamenti dello stile di vita e in particolar modo all’attività fisica da praticare con regolarità. Educazione terapeutica + educazione alimentare. 2. Terapia farmacologica: Alle persone che non son