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Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP)
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Allegato 1 INDICE INTRODUZIONE FERITE DIFFICILI Definizione Tipologie Lesioni da pressione - Algoritmo del paziente nuovo entrato Lesioni vascolari Piede diabetico Ferite chirurgiche Lesioni atipiche STRUTTURE CLINICO-ASSISTENZIALI Ambulatori territoriali Ambulatori infermieristici territoriali Cure...
Allegato 1 INDICE INTRODUZIONE FERITE DIFFICILI Definizione Tipologie Lesioni da pressione - Algoritmo del paziente nuovo entrato Lesioni vascolari Piede diabetico Ferite chirurgiche Lesioni atipiche STRUTTURE CLINICO-ASSISTENZIALI Ambulatori territoriali Ambulatori infermieristici territoriali Cure Domiciliari Strutture specialistiche distrettuali/ospedaliere Ambulatori Infermieristici Specialistici Ambulatori Podologici Specialistici Strutture Specialistiche Multiprofessionali – Centri Antidiabetici con Ambulatori dedicati Centri di Riferimento Regionale Ferite Difficili GESTIONE DELLE FERITE DIFFICILI Inquadramento del problema Gruppo multidisciplinare di esperti Ruolo del Medico di Medicina Generale Metodologia degli interventi assistenziali Fase di prevenzione Fase di lesione Accesso alla rete dei servizi – flow chart LESIONI CUTANEE CRONICHE IN PAZIENTI A PROGNOSI INFAUSTA Introduzione Accesso alla rete dei servizi – flow chart TELECONSULENZA E WOUND CARE INDICATORI DI SICUREZZA ED EFFICACIA BIBLIOGRAFIA ALLEGATI Documento interaziendale “Prevenzione e cura delle Lesioni da Pressione” Strumenti per la valutazione delle lesioni vascolari Strumenti per la valutazione delle lesioni al piede diabetico Flow chart percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale del paziente con ferita difficile Dotazione specifica e prestazioni eseguibili nelle strutture clinico-assistenziali Prestazioni vulnologiche Introduzione La Regione Marche ha attivato un tavolo tecnico coinvolgendo i rappresentanti delle Aziende Sanitarie afferenti alla Rete Vulnologica Regionale, al fine di redigere un PDTA per la gestione dei pazienti portatori di “Ferite Difficili”. Il percorso realizzato è finalizzato a garantire la presa in carico delle persone, definendo la continuità assistenziale mediante l’azione congiunta di medici di medicina generale (MMG), specialisti territoriali e ospedalieri, infermieri, fisioterapisti, podologi e operatori socio-assistenziali. Sulla base delle Linee Guida vigenti e mediante l’elaborazione di percorsi assistenziali integrati, vengono definiti le caratteristiche delle strutture operativo-gestionali, la stratificazione dell’intensità assistenziale e i diversi ambiti di competenza delle professionalità coinvolte. La possibilità di accedere a percorsi interfunzionali e multidisciplinari, intra ed extraospedalieri consente non solo di gestire in maniera efficiente la problematica clinica in atto ma anche di prendere in carico il paziente nella sua globalità, mediante una maggiore compliance a linee guida e protocolli e una migliore integrazione ospedale-territorio. La riorganizzazione dell’assistenza ha come obiettivo il perseguimento della continuità delle cure, favorendo la deospedalizzazione e implementando i servizi territoriali, per una più attenta gestione delle patologie croniche e del paziente non autosufficiente. Le basi per la realizzazione di tali obiettivi sono la definizione di una documentazione (o fascicolo sanitario) che possa essere agevolmente condivisa tra i professionisti coinvolti nel processo di cura, un maggior empowerment del paziente e dei care-giver, la creazione di un percorso lineare e agevole che miri alla riduzione degli errori clinici, alla ottimizzazione dei tempi e delle risorse in base ai principi del care management. A tale fine è fondamentale anche l’utilizzo e una capillare diffusione di una rete informatica che colleghi i medici di medicina generale a tutte le strutture e gli specialisti del servizio sanitario regionale (Pronto Soccorso, servizi di diagnostica per immagini, laboratori analisi, ambulatori distrettuali e ospedalieri per patologie croniche). Grazie alle possibilità tecnologiche di tale infrastruttura è possibile garantire la continuità delle cure attraverso la reciproca disponibilità e la condivisione delle informazioni. L’ulteriore evoluzione di tale strumento è la Telemedicina, che consente di eseguire prestazioni di consulenza, controllo e confronto a distanza. Perché realizzare un PDTA per il paziente portatore di Ferite Difficili Il PDTA viene definito, secondo quanto indicato nel Piano Nazionale per il governo delle liste d’attesa 2010- 2012, come “una sequenza predefinita, articolata e coordinata di prestazioni erogate a livello ambulatoriale e/o di ricovero e/o territoriale, che prevede la partecipazione integrata di diversi specialisti e professionisti, a livello ospedaliero e/o territoriale, al fine di realizzare la diagnosi e la terapia più adeguate ad una specifica situazione patologica”. Rappresenta quindi un modello organizzativo di presa in carico del paziente, basato sulla gestione di un workflow di vari processi che coinvolgono attori diversi (cittadini, pazienti, care-giver, personale sanitario e socio-assistenziale), in luoghi diversi e in momenti diversi, con l’obiettivo di migliorare la gestione della richiesta di cura, favorire l’efficacia del percorso terapeutico e l’economicità di sistema. I PDTA hanno l’obiettivo di delineare il migliore percorso assistenziale praticabile, riferito ad una specifica situazione patologica, nell’ambito di una determinata realtà sanitaria. Il paziente portatore di lesione cutanea cronica o ferita difficile, a causa dell’eterogenicità delle manifestazioni cliniche, la complessità del quadro nosologico e in numerosi casi, le associate difficoltà socio- assistenziali, si trova spesso disorientato nella ricerca di un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale da intraprendere per la risoluzione del suo problema di salute. La ricognizione delle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali che si occupano della problematica vulnologica nelle Regione Marche, ha consentito di rilevare la presenza di una capillare distribuzione di ambulatori dedicati gestiti da personale formato e specializzato. Per ottimizzare le risorse a disposizione è però necessaria la definizione di un percorso chiaro e agevole che metta in comunicazione le strutture presenti, costruendo una rete di collegamento efficiente. A tale fine è stato elaborato il PDTA in oggetto che, coinvolgendo i professionisti sanitari nella costruzione di tale rete, accoglie e guida il paziente nella ricerca della diagnosi e nella applicazione della terapia più appropriata, definendo anche il ruolo fondamentale della prevenzione delle lesioni e delle recidive LE FERITE DIFFICILI: EPIDEMIOLOGIA, FATTORI DI RISCHIO, INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO, TRATTAMENTO, COMPLICANZE. FERITE DIFFICILI A. Definizione Per lesione cutanea o ferita si intende una soluzione di continuo che interessa i tessuti molli partendo dalla cute e raggiungendo diversi gradi di profondità. Si considerano “ferite acute” le lesioni di origine traumatica da taglio, da punta, da lacerazione o lacero-contuse; comprendiamo in questo campo anche le ferite chirurgiche, cioè lesioni traumatiche a comparsa programmata, in genere chiuse per prima intenzione. Si considerano “lesioni cutanee croniche” tutte quelle ferite che non tendono alla guarigione spontanea, per interruzione del fisiologico processo di riparazione tissutale, nell’arco di 8-10 settimane dalla loro insorgenza. Si possono considerare “ferite difficili” le lesioni cutanee acute che comportano ampia distruzione tissutale, le lesioni cutanee croniche e le lesioni cutanee che, anche se di piccola entità, interessano soggetti ad elevato rischio di complicanze, come pazienti diabetici o affetti da patologie ematologiche, oncologiche, reumatologiche, ecc. I tempi di guarigione delle lesioni cutanee dipendono da molteplici fattori, in primis un sistema circolatorio in grado di apportare ossigeno e sostanze nutritive e di garantire l’eliminazione delle sostanze di scarto. Numerose comorbidità possono influire negativamente sulla sequenza di eventi che rappresenta il processo riparativo di una lesione, quali diabete, immunodepressione, terapie farmacologiche, insufficienza renale, anemia, insufficienza artero-venosa, sindrome da immobilizzazione, alterazioni dello stato nutrizionale (obesità, malnutrizione); situazioni di difficile gestione si riscontrano in pazienti di età avanzata, soprattutto quando più patologie possono associarsi al deterioramento cognitivo o a problematiche sociali. Le ferite difficili possono avere un decorso lungo anche anni, a volte associato a complicanze gravi che possono anche condurre all’exitus. La gestione di tali lesioni necessita un notevole impiego di risorse umane ed economiche nell’ambito dei servizi sanitari, con importanti ripercussioni in termini organizzativi. Le ferite difficili hanno un impatto fortemente negativo sulla qualità della vita dei pazienti, che si ripercuote sui familiari e sui care-giver e determina conseguenze anche a livello sociale. Le principali tipologie di lesioni cutanee sono: Lesioni da pressione: sono aree di danno tissutale della cute e dei tessuti sottostanti che si verificano in corrispondenza di prominenze ossee, causate da pressione, stiramento o frizione. Nonostante vengano messe in atto misure di prevenzione volte ad evitare la formazione di tali lesioni, ciò non sempre è possibile. Il trattamento prevede la rimozione della causa (pressione) attraverso il riposizionamento del paziente e l’utilizzo di superfici e ausili antidecubito, una corretta medicazione della lesione e la gestione delle comorbidità che interferiscono con il normale processo di guarigione. Lesioni vascolari: sono ulcerazioni cutanee che si verificano prevalentemente a carico degli arti inferiori, associate ad arteriopatia obliterante, insufficienza venosa cronica o linfedema. Anche in questo caso l’azione principale da intraprendere è il trattamento della causa eziologica, quindi il ripristino del flusso sanguigno arterioso nelle aree periferiche, la risoluzione del reflusso venoso o linfatico con metodiche chirurgiche o endovascolari a cui si associano il trattamento locale e il bendaggio. Piede diabetico: entità nosologica a sé stante per peculiarità e gravità delle manifestazioni, con possibile evoluzione sfavorevole della lesione ulcerativa fino alla necessità di amputazione minore o maggiore dell’arto inferiore. Alla base dello sviluppo delle lesioni è la compromissione della circolazione arteriosa (micro e macroangiopatia) associata alla neuropatia diabetica, a cui può sovrapporsi un quadro infettivo: la presenza di un’ulcerazione su un piede diabetico rende necessario un intervento tempestivo da parte di personale sanitario dedicato, al fine di gestire in modalità multidisciplinare il paziente e ridurre il rischio di amputazione. Ferita chirurgica: è una soluzione di continuità dei tessuti prodotta in maniera programmata e in genere chiusa per prima intenzione mediante punti di sutura o agrafes metalliche. La problematica relativa alle ferite chirurgiche riguarda le situazioni di infezione e conseguente deiscenza, che possono determinare quadri clinici più o meno gravi, con ripercussioni non solo locali ma anche sistemiche. Il trattamento è locale associato a terapie di supporto volte a riequilibrare eventuali situazioni patologiche concomitanti (anemia, malnutrizione, infezioni); a volte si rende necessaria una revisione chirurgica. Lesioni atipiche: rappresentano un gruppo eterogeneo di lesioni ulcerative caratterizzate da diversa patogenesi: infiammatoria, immunologica, neoplastica, infettiva o farmaco-indotta. Per definizione sono ulcere atipiche quelle che non si inseriscono in nessuna categoria nosologica tipica (venosa, arteriosa, mista, da pressione o diabetica). L’insorgenza è spesso acuta, può coinvolgere gli arti bilateralmente ed è associata ad una intensa sintomatologia dolorosa di tipo urente. TIPOLOGIE a) LESIONI DA PRESSIONE La prevenzione e il trattamento delle Lesioni da Pressione sono stati affrontati e discussi nel Documento Interaziendale elaborato da Esperti Vulnologi Marchigiani pubblicato nel dicembre 2017 “Prevenzione e cura delle Lesioni da Pressione (LdP)” – ALLEGATO 1 Gruppo di lavoro ASUR Marche: Francesco Saverio Calici, Maurizio Carnali, Elena Di Tondo, Tonia Lattanzi, Antonino Longobardi, Elisabetta Maestrini, Maria Rita Mazzoccanti, Alessandro Minnucci, Pamela Orazi, Massimiliano Paolinelli, Donatella Rossolini, Marco Sigona, Marinella Tommasi. Gruppo di lavoro AOUOORRAN: Marina Pierangeli, Alessandro Scalise. Gruppo di lavoro AO Marche Nord: Domitilla Foghetti, Francesca Bonci. Gruppo di lavoro I.N.R.C.A. Ancona: Gina Dragano, Alfredo Giacchetti, Cristiana Marzocchi, Paolo Orlandoni. Conferenze di consenso con: Direzioni Mediche Ospedaliere, Direzioni Distretti, Dirigenti Professioni Sanitarie. INTEGRAZIONE: Paziente ricoverato in struttura ospedaliera o residenziale territoriale: accertamento LdP In caso di ricovero presso una struttura ospedaliera o territoriale è necessario definire dei criteri di valutazione del paziente che consentano di ottenere una documentazione condivisa riguardante l’assenza o presenza di lesioni da pressione. A tale fine è indicata l’applicazione del seguente algoritmo. Si applica a tutti i pazienti al momento del ricovero. Il primo passo dell’Algoritmo del paziente nuovo entrato prevede la compilazione della SCHEDA DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO LdP (vedi ALLEGATO 1) Si procede rispondendo poi alla domanda: sono presenti lesioni all’ingresso in reparto? Le risposte possibili sono: NO: si segue il punteggio della scala di Braden: BRADEN < 17: PAZIENTE NON A RISCHIO LdP BRADEN < o = 17: APPLICARE PIANO DI PREVENZIONE SECONDO PROTOCOLLO SI: APPLICARE PIANO DI PREVENZIONE SECONDO PROTOCOLLO. Compilare la SCHEDA DI INQUADRAMENTO LdP Eseguire la FOTO della lesione e conservarla nella documentazione assistenziale Passare all’ALGORITMO DI TRATTAMENTO Lesioni vascolari Le lesioni cutanee di origine vascolare si localizzano prevalentemente a carico degli arti inferiori e possono avere eziologia venosa, arteriosa o mista. Rappresentano la tipologia di ulcere croniche più frequente nel mondo occidentale, interessano prevalentemente la popolazione anziana e comportano un elevato costo sociale: si stima che in Europa interessino almeno una persona su 1000. Nell’80% dei casi sono causate da insufficienza venosa cronica mentre il restante 20% è di origine arteriosa o mista. Se non adeguatamente trattate prevedono tempi di guarigione di mesi o anni, con tendenza alla recidiva. Ulcere venose degli arti inferiori. La causa delle ulcere venose degli arti inferiori è l’insufficienza venosa cronica, condizione patologica causata da un alterato ritorno venoso dalla periferia al cuore, che si verifica prevalentemente nel sesso femminile e aumenta con l’avanzare dell’età. A causa del malfunzionamento delle valvole venose che diventano incontinenti e alle conseguenti alterazioni delle pareti dei vasi, si verifica un ristagno di sangue nei vasi sanguigni periferici, con conseguente riduzione del ritorno venoso al cuore. Questa condizione crea un aumento di pressione a livello dei capillari, che determina una fuoriuscita di liquido nel sottocute, comparsa di edema e ipossia che possono esitare nella formazione di ulcerazioni cutanee. L’insufficienza venosa può avere una causa organica, correlata cioè a patologie dei vasi venosi o delle valvole anti-reflusso o funzionale, quando si correla per esempio a prolungati periodi di immobilità che impediscono il corretto funzionamento della pompa muscolare, fondamentale per il ritorno venoso. Segni e sintomi di insufficienza venosa sono: iperpigmentazione cutanea, porpora, crampi notturni, formicolio, edema che regredisce in clinostatismo, comparsa di varicosità venose superficiali, flebiti, trombosi venosa profonda, ulcerazioni cutanee. La diagnosi prevede anamnesi ed esame obiettivo, associati all’esecuzione di un esame Ecocolordoppler. La Classificazione dell’insufficienza venosa viene effettuata mediante la scala CEAP – ALLEGATO 2, che si basa sulla valutazione delle manifestazioni cliniche (C), dei fattori eziologici (E), della sede anatomica (A) e della patogenesi (P). Ulcere arteriose degli arti inferiori Sono causate da un insufficiente afflusso di sangue arterioso a livello degli arti inferiori provocato da arteriopatie dovute a: Aterosclerosi (arteriopatia cronica obliterante AOCP): nel 95% dei casi. La placca aterosclerotica si forma generalmente a livello delle biforcazioni dei vasi e progredisce dando origine ad un accumulo di lipidi e alla formazione di tessuto fibroso che riducono il calibro del vaso fino a causarne la completa ostruzione. La frammentazione della placca può causare l’occlusione distale dei piccoli vasi ad opera di emboli periferici. L’evoluzione di tali quadri è responsabile di ulcerazioni in genere acrali, con conseguente gangrena e necessità di procedere ad amputazioni minori o maggiori dell’arto. Infiammazione: quadri più frequenti a carico di arterie di piccolo e medio calibro, associati a patologie di varia natura, interessano anche soggetti giovani. Cause iatrogene: infiammazione delle pareti delle arterie generate da farmaci. I fattori di rischio più comuni sono età, fumo, diabete mellito, obesità (BMI>30), familiarità, ipercolesterolemia (>240 mg/dl), ipertensione arteriosa (>140/90 mmHg). La sintomatologia correlata all’arteriopatia è spesso aspecifica. Il primo sintomo caratteristico è la claudicatio intermittens, che si manifesta con senso di fatica e dolore agli arti inferiori durante uno sforzo o una camminata e scompare con il riposo. La localizzazione del dolore può indicare il punto di stenosi arteriosa; negli stadi avanzati il dolore si presenta in maniera persistente anche a riposo mentre diminuisce con l’arto in posizione declive. Secondo la Classificazione Lériche-Fontaine (ALLEGATO 2) si distinguono 4 stadi di insufficienza arteriosa: Stadio I: paziente asintomatico. Stenosi arteriosa lieve e non significativa con presenza di circoli collaterali. I sintomi possono insorgere dopo sforzi intensi. Stadio II: caratterizzato da claudicatio intermittens che si manifesta con dolore crampiforme riferito dapprima ai muscoli del polpaccio (zona distale) poi della coscia (zona prossimale). A seconda della comparsa del dolore in relazione alla distanza percorsa è possibile suddividere il II stadio in: II a) il dolore compare dopo aver percorso una distanza >200m Il b) il dolore compare dopo aver percorso una distanza <200m Il dolore regredisce con il riposo, il paziente è costretto ad arrestare la marcia per un tempo tanto più lungo quanto più grave e severa è l’ostruzione. Stadio III: il dolore è presente a riposo in quanto i circoli collaterali non riescono più a compensare il flusso neanche in assenza di movimento. Il dolore è più intenso durante le ore notturne, quando il paziente è disteso, per questo spesso l’arto viene mantenuto in posizione declive fuori dal letto. Stadio IV: comparsa di lesioni ulcerative cutanee o di gangrena; la gangrena può essere secca (mummificazione dei tessuti) o umida (con sovrapposizione batterica), più grave rispetto alla precedente. La diagnosi si effettua tramite anamnesi ed esame obiettivo. Le caratteristiche del dolore permettono di distinguere l’AOP da altre malattie che provocano dolore agli arti inferiori (per esempio il dolore neuropatico non si attenua arrestando il cammino, ma spesso aumenta in posizione ortostatica). La fase diagnostica prevede l’esame obiettivo, con valutazione dei polsi periferici, che saranno deboli o assenti in caso di riduzione del flusso arterioso, completato dall’ Ecocolordoppler quando necessario. Con l’ausilio di uno strumento doppler è possibile anche definire l’indice caviglia/braccio (indice ABI o indice di Windsor) che, misurando il rapporto tra la pressione sistolica della caviglia e la pressione sistolica del braccio, può rilevare la presenza e la gravità della stenosi arteriosa (ALLEGATO 2). In casi selezionati è necessario il riscorso a metodiche invasive, come l’angiografia, che possono associare alla fase diagnostica anche interventi terapeutici, come l’angioplastica. Ulcere miste degli arti inferiori. Sono definite ulcere miste le lesioni in cui sia la patologia venosa che quella arteriosa partecipano alla genesi della lesione cutanea. Possono presentarsi come lesioni acrali, associate a pigmentazione scura perilesionale, ectasie venose, dermoipodermite o come lesioni in sede perimalleolare mediale, con fondo fibrinoso, edema, iperpigmentazione, associate a dolore intenso che si accentua con la sopraelevazione dell'arto e con indice ABI < 0.8. Talvolta l'intolleranza al bendaggio elastocompressivo, in paziente con verosimile ulcera venosa, può far sospettare una concomitante patologia arteriosa. Piede Diabetico Il piede diabetico rappresenta una delle più gravi complicanze del diabete mellito. È una sindrome nella quale neuropatia, ischemia e infezione conducono ad alterazioni anatomo-funzionali tali da arrivare alla necessità di interventi ampiamente demolitivi. Il diabete rappresenta la prima causa non traumatica di amputazione dell’arto inferiore nel mondo occidentale, nonché una fonte di significativi costi diretti e indiretti per il paziente, per l’assistenza sanitaria e la società in generale. Per ridurre l’impatto di tale problematica è necessaria una strategia che comprenda la formazione del personale sanitario, la prevenzione, mediante l’educazione sanitaria dei pazienti (troppo spesso ignari) e dei loro care-givers, il trattamento multidisciplinare delle ulcere del piede, l’attento e rigoroso follow-up dei pazienti, al fine di renderli consapevoli che spesso non si tratta di guarigione definitiva ma di remissione delle lesioni. Fondamentale per la salute del paziente è la definizione di un percorso diagnostico-terapeutico chiaro e tempestivo, attraverso il quale possano essere identificate le competenze richieste, evitando ritardi e spreco di risorse. Un team multidisciplinare per la prevenzione e cura del piede diabetico deve includere medici esperti e personale sanitario (podologi, infermieri e tecnici ortopedici) con competenze specifiche sia in campo educativo che terapeutico. Epidemiologia L’International Diabetes Federation recentemente ha stimato che l’8.3% della popolazione adulta, quindi 382 milioni di persone nel mondo, è affetto da diabete e il numero dei pazienti è destinato ad aumentare a più di 592 milioni in meno di 25 anni. Il 15% dei pazienti diabetici svilupperà un’ulcera agli arti inferiori nel corso della vita, assorbendo fino al 12-15% delle risorse sanitarie relative alla cura del diabete. I dati sulle amputazioni nei pazienti diabetici sono allarmanti: ogni 30 secondi nel mondo si verifica un’amputazione associata alle complicanze del diabete, con conseguente peggioramento della prognosi del paziente che, nel 70% dei casi, va incontro ad exitus entro 5 anni dall’intervento. Oltre all’impatto sulla prognosi, la perdita di un arto condiziona fortemente l’attività lavorativa della persona, le capacità di auto-cura, le relazioni sociali e quindi la qualità della vita, in particolare nei paesi con welfare limitato, oltre a rappresentare un importante costo economico dal punto di vista sanitario e sociale. L’origine delle lesioni ulcerative ha nel 40% dei casi una genesi ischemica pura, nel 35% neuro- ischemica, nel 15% neuropatica, mentre nel 10% dei casi è dovuta ad infezione locale. A differenza della maggior parte delle patologie ulcerative croniche, il piede diabetico rappresenta la localizzazione d’organo di un complesso di concause sistemiche e locali che determinano una patologia per lo più acuta di carattere ulcerativo, la cui cura deve considerare primariamente il trattamento delle condizioni eziologiche. Frequentemente le lesioni vanno incontro a cronicizzazione per una patologica permanenza nella fase infiammatoria del processo di guarigione della ferita (es. in caso di lesioni neuropatiche o neuro-ischemiche in assenza di ischemia critica), situazione aggravata dalla eventuale mancata consapevolezza da parte del paziente della gravità della situazione clinica o da una scarsa compliance alle indicazioni date. In questo contesto il trattamento locale delle lesioni deve essere considerato una componente di un progetto terapeutico integrato e non la sola opzione terapeutica. Piede diabetico neuropatico. La neuropatia rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per le ulcerazioni nel piede diabetico. La presenza di un danno motorio, conseguenza della ridotta innervazione, si rende più evidente nei piccoli muscoli del piede e della gamba favorendo la comparsa di deformazioni con conseguente alterata deambulazione, caratterizzata da un appoggio più largo, passi più piccoli ed instabilità (i pazienti diabetici sono infatti a maggior rischio di cadute accidentali rispetto alla popolazione sana). Le dita subiscono una deformazione “in griffe”, le teste metatarsali diventano prominenti e non più protette dai cuscinetti adiposi, l’arco plantare si accentua (o crolla), con conseguente sconvolgimento dell’appoggio del piede. La progressione delle deformità aumenta il rischio di ulcerazione poiché aumentano i picchi di pressione, soprattutto in aree non fisiologicamente protette. Nelle zone di ipercarico si sviluppa un’ipercheratosi conseguente all’ispessimento dello strato corneo come tentativo di difesa dall’aumento della pressione. Ciò può determinare la comparsa di un ematoma da schiacciamento tra due superfici rigide, su cui si produrrà inevitabilmente un’ulcera. La stessa callosità, costituendo un aumento di spessore, contribuisce ad aumentare il picco di pressione. A causa della compromissione della componente sensitiva, il paziente non è consapevole della situazione per assenza di dolore e perdita della sensibilità propriocettiva (che contribuisce all’instabilità) e di conseguenza non mette in atto alcuna azione di difesa o protezione o realizza in ritardo eventuali danni verificatisi. Il trauma che generalmente determina la comparsa dell’ulcera può essere di origine chimica, termica (caldo o freddo) o meccanica. Oltre alle componenti sensitiva e motoria, può essere variamente compromessa la funzione autonomica dell’innervazione periferica, con alterazione dell’autoregolazione vascolare (la cute secca può sviluppare più facilmente fissurazioni e ragadi) e della sudorazione con conseguente alterazione del pH cutaneo, che modifica a sua volta il microbiota, causando un maggiore rischio di infezione. Le lesioni prevalentemente neuropatiche presentano le seguenti caratteristiche cliniche: localizzazione in aree di aumentata pressione (teste metatarsali, superficie plantare delle dita, sedi di deformità ossee) cute perilesionale ipercheratosica (a volte l’ipercheratosi nasconde l’ulcera), bordi alti e sottominati con forma dell’ulcera regolare, fondo rosso vivo tendente alla granulazione con una buona tendenza al sanguinamento, lunga durata (anche anni) se non sottoposta ad adeguato scarico della pressione e, nella maggior parte dei casi, assenza di dolore. Anche il trattamento delle ulcere neuropatiche prevede l’applicazione della sequenza di azioni secondo l’acronimo TIME (T = Tissue, I = Infection, M = Moisture, E = Epithelial) ma la lesione neuropatica non guarirà se non si rimuove la causa principale che l’ha determinata, ovvero l’ipercarico. Vi sono chiare evidenze che la riduzione della pressione plantare (scarico o off loading) sia un presidio fondamentale per la prevenzione dell’ulcera, la sua guarigione e la prevenzione delle recidive. Il gold standard nel trattamento dell’ulcera neuropatica plantare, in assenza di ischemia critica e di infezione, è l’apparecchio di scarico in fibra di vetro, a contatto totale (TTC Total Contact Cast) che scarica completamente il piede, pur permettendo una relativa mobilità. In alternativa si può utilizzare un tutore “knee high” (alto fino al ginocchio), irremovibile, ad eccezione delle situazioni in cui è controindicato in base alle specifiche linee guida. Piede diabetico ischemico. Le lesioni ulcerative ischemiche sono la conseguenza dell’arteriopatia ostruttiva degli arti inferiori, prodotto di molteplici fattori eziopatogenetici, alcuni dei quali intervengono anche nel paziente non diabetico, altri invece sono legati alla malattia di base e contribuiscono a rendere tali lesioni più frequenti e di maggiore gravità. Le peculiarità cliniche dell’arteriopatia ostruttiva nel paziente diabetico sono la rapida progressione e la localizzazione anatomica prevalentemente distale, multi- distrettuale e bilaterale. La prevalente compromissione delle arterie di gamba rende il quadro più grave, poiché queste arterie possiedono minori capacità di sviluppare circoli collaterali e a tale livello sono inferiori le possibilità di trattamento chirurgico delle stenosi. Clinicamente il paziente diabetico presenta raramente le manifestazioni iniziali della malattia: sintomi come la claudicatio o il dolore a riposo e l’ipotermia sono spesso assenti o meglio inavvertiti per la presenza concomitante della neuropatia periferica, che riduce notevolmente la sintomatologia. La vasculopatia periferica è la causa principale di amputazione maggiore d’arto. Frequentemente nel paziente diabetico una lesione ulcerativa o la gangrena di parti più o meno estese del piede possono essere le manifestazioni iniziali di una vasculopatia misconosciuta fino a quel momento. Caratteristiche cliniche del piede puramente ischemico: cute fredda e pallida (più evidente quando il piede viene innalzato) marezzature cianotiche atrofia dei tessuti molli sottocutanei modificazioni atrofiche della cute (pelle secca, distrofia degli annessi cutanei, fissurazioni dei talloni e di zone marginali). In tutti i soggetti diabetici con lesioni ulcerative deve essere indagata la presenza di vasculopatia periferica. In base alla Classificazione Wifi (ALLEGATO 3) l’inquadramento diagnostico prevede la ricerca dei polsi periferici, seguita da eventuale studio Ecocolordoppler di tutti i distretti e, in caso di lesione cutanea, la valutazione con ossimetria transcutanea (TcpO2), in grado di definire livello di ischemia in base al potenziale riparativo (< 40 ischemia con ridotto potere riparativo, <30 ischemia critica con basso potere riparativo). La determinazione dell’ABI (indice caviglia-braccio) è indicata nei pazienti non neuropatici per escludere la presenza di ischemia. Il trattamento fondamentale in caso di lesioni ischemiche è il ripristino di un flusso circolatorio periferico. La terapia locale deve essere finalizzata alla prevenzione dell’infezione (in caso di necrosi o escara la ferita deve essere mantenuta asciutta, valutando i bordi per verificare l’assenza di raccolte sottostanti). Al ripristino di un flusso adeguato (TcpO2 >= 30), il trattamento è preferibilmente chirurgico. In caso di segni o sintomi di infezione/infiammazione il paziente deve essere rapidamente inviato al centro di riferimento. Solo ed esclusivamente in caso di pazienti defedati e in gravi condizioni generali o terminali e ritenuti non rivascolarizzabili, si effettuerà una terapia di supporto sotto stretta sorveglianza. Le procedure di rivascolarizzazione sono principalmente di tipo endovascolare e andrebbero eseguite in centri specializzati. Piede diabetico infetto. L’infezione può complicare le ulcere neuropatiche e ischemiche e rappresenta un fattore di rischio indipendente per le amputazioni minori e un predittore di amputazione maggiore. Il quadro clinico in questi casi può precipitare anche nel giro di 24/48 ore: i segni locali e generali possono non essere così evidenti a causa dell’anergia, determinando una evoluzione subdola fino allo stato settico. La gravità del quadro clinico dipende pertanto dal tipo di lesione, dall’entità dell’infezione e dalla risposta dell’ospite ed è strettamente correlata anche al compenso glicemico. I segni d’infezione sono rappresentati da: edema o induratio, iperemia, dolore o iperestesia, calore, presenza di secrezione. Possono associarsi la crepitazione alla pressione, suggestiva per infezioni da anaerobi, e colorazioni o odore caratteristici delle secrezioni (ALLEGATO 3). Il grado di coinvolgimento dei tessuti permette di distinguere diversi gradi di infezione: Infezione superficiale: non supera né coinvolge l’aponevrosi superficiale che separa l’ipoderma dalla fascia muscolare, non ha tendenza alla diffusione per via linfatica o per contiguità e si manifesta come dermoipodermite, talvolta acuta. È caratterizzata da iperemia, indurimento e ispessimento della cute, talvolta a buccia d’arancia, accompagnati a calore locale. È frequentemente sostenuta da batteri gram positivi, in particolare da Staphylococcus aureus e può essere espressione di intertrigine, perionichia o onicomicosi. Infezione moderata: si estende fino alla fascia muscolare e tende a diffondersi in profondità per contiguità o per via ematogena. Sono presenti ulcere profonde, secernenti materiale purulento, ascessi o flemmoni, sostenuti da batteri in genere aerobi, come cocchi gram positivi ai quali possono associarsi gram negativi (es. Pseudomonas aeruginosa). L’infezione può evolvere in dermoipodermite e quindi in fascite batterica necrotizzante, che deve essere sospettata in caso di rapido decadimento delle condizioni generali associato ad insufficienza renale ingravescente. Infezione grave: raggiunge la componente muscolare e osteoarticolare, tende a diffondersi lungo le fasce tendinee, estendendosi prossimalmente fino a coinvolgere la gamba (limb- threatening: rischio di amputazione dell’arto) o per via ematogena, configurando quadri setticemici (life-threatening: rischio di exitus). Spesso sostenuta da flora polimicrobica anche anaerobia. I quadri clinici sono rappresentati da ascessi profondi, osteomielite, fascite necrotizzante e setticemia. Comprende anche quadri di gangrena umida, in cui la necrosi dei tessuti evolve rapidamente con formazione di aree colliquate con secrezione corpuscolata. È importante considerare che la diagnosi di infezione nel piede diabetico è clinica e non microbiologica: l’ulcera cutanea è infatti colonizzata dalla flora commensale del paziente, dalla flora “ambientale” o da contaminazioni, per cui il riscontro laboratoristico di microrganismi non indica da solo la presenza di infezione. Il campionamento microbiologico non è indicato in maniera sistematica, ma deve essere eseguito solo in presenza di infezione clinicamente sospetta o accertata o in presenza di segni sistemici. Nei casi di infezione moderata-grave il trattamento chirurgico deve essere considerato un’urgenza e associato a terapia medica di supporto. Osteomielite. L’osteomielite si riscontra nel 50-60% dei pazienti ospedalizzati per infezione in piede diabetico e nel 10-20% delle infezioni che si presentano in ambito ambulatoriale. L’infezione ossea interessa più spesso l’avampiede e si sviluppa dalla diffusione batterica che origina dai tessuti molli e penetra attraverso l’osso corticale nella cavità midollare. In genere è dovuta ad una flora polimicrobica: lo Staphylococcus aureus rappresenta il patogeno più comunemente isolato (in circa il 50% dei casi) mentre stafilococchi coagulasi-negativi (25%), streptococchi aerobi (30%) ed Enterobacteriaceae (40%) sono alcuni tra i germi più frequenti. La diagnosi di infezione ossea è essenziale per garantire un trattamento adeguato e richiede l’isolamento di batteri da un campione osseo ottenuto in modo asettico o di reperti istologici compatibili (cellule infiammatorie acute o croniche, necrosi). La presentazione clinica dell’osteomielite nel piede diabetico può variare in base alla sede, all’estensione, alla presenza di ascessi o al coinvolgimento dei tessuti molli associati, ai microrganismi responsabili e alla perfusione arteriosa dell’arto. Il sondaggio attraverso l’ulcera effettuato tramite uno specillo per verificare l’esposizione ossea (manovra probe to bone) assume un significato diagnostico importante (ALLEGATO 3). L’acquisizione di immagini radiologiche tradizionali mirate può documentare reazioni periostali, osteopenia e osteolisi, che possono però mancare in fase precoce; in caso di negatività l’esame dovrebbe essere ripetuto dopo 3-4 settimane. La sensibilità e specificità della radiologia tradizionale non superano il 70%, in caso di persistenza del sospetto clinico è indicato il ricorso alla risonanza magnetica. La distruzione ossea legata alla neuro-osteoartropatia di Charcot può essere difficile da distinguere dall’osteomielite, ma è meno comune, generalmente si verifica in pazienti con neuropatia periferica ma adeguata perfusione arteriosa, di solito colpisce il mesopiede e, più frequentemente, si verifica in assenza di una soluzione di continuo della cute. Gestione delle ulcere nel piede diabetico. La stadiazione delle lesioni è indispensabile per garantire un approccio scientificamente corretto e condividere un linguaggio comune a tutti gli operatori del team multidisciplinare, al fine di programmare interventi terapeutici tempestivi e appropriati e determinare una corretta prognosi. La classificazione più frequentemente adottata, sia per la semplicità sia per la correlazione con il rischio di amputazione, è la Texas Wound Classification del 1996 (ALLEGATO 3): il grado (0, I, II, III) si riferisce all’estensione e alla profondità dell’ulcera, mentre lo stadio (A, B, C, D) si riferisce alla gravità correlata alla presenza di infezione, ischemia o entrambe. Le lesioni si possono classificare anche per la loro gravità in relazione al rischio di amputazione dell’arto e al rischio per la vita del paziente suddividendole in: “non limb-threatening” (non a rischio di amputazione): ulcere superficiali, in assenza di cellulite ed ischemia; “limb-threatening” (a rischio di amputazione): ulcere superficiali in presenza di ischemia o ulcere non ischemiche, non infette ma in paziente con grave comorbidità (es. insufficienza renale grave o con scompenso cardiaco), ulcere profonde associate ad osteomielite, ulcere associate a cellulite perilesionale > 2 cm o linfangite; “life-threatening” (a rischio di vita): infezioni estese e profonde, stato settico. In senso prognostico, la classificazione da usare in ambito specialistico è la Wifi, mentre la classificazione idonea in qualsiasi ambiente sanitario a livello internazionale è la SIMBAD, semplice ed esaustiva (ALLEGATO 3). Ferite chirurgiche L’incisione chirurgica è considerata una ferita acuta a comparsa programmata che viene in genere chiusa per prima intenzione. In alcuni casi, per il verificarsi di alcune condizioni che alterano il normale processo di guarigione (formazione di sieromi o ematomi, necrosi del margine cutaneo), possono verificarsi complicanze della ferita chirurgica quali la deiscenza o l’infezione. La deiscenza o cedimento della sutura chirurgica, può essere parziale o totale e coinvolgere gli strati superficiali o raggiungere i piani più profondi. L’infezione del sito chirurgico (SSI Surgical Site Infection) viene definito come un processo flogistico che si verifica entro 30 giorni dall’intervento o entro 1 anno in caso di inserzione di materiale protesico. Anche l’infezione viene classificata in base alla profondità in: superficiale: se interessa il tessuto cutaneo e sottocutaneo, profonda: se coinvolge fasce e piani muscolari, interessante organi o cavità: se supera la fascia muscolare. Segni e sintomi clinici di infezione vengono considerati: dolore spontaneo o alla pressione, tumefazione localizzata, iperemia o calore, febbre, presenza di ascesso o secrezione purulenta dalla porzione superficiale o profonda della ferita o da un drenaggio posizionato in profondità, isolamento di microrganismi da liquido o tessuto prelevati in maniera asettica dalla sede dell’incisione. L’infezione del sito chirurgico si colloca al terzo posto per frequenza tra le infezioni correlate all’assistenza (HCAI healthcare-associated infection) ed è associata a significativi dati di morbilità e mortalità dei pazienti. Il rischio di sviluppare tale complicanza è influenzato da fattori di rischio correlati al paziente (età, sesso, obesità, malnutrizione, diabete, patologia oncologica, malattia respiratoria cronica, immunodepressione, ascite, infezioni in atto, abitudine tabagica, precedenti interventi o radioterapia sulla sede dell’incisione), legati alla procedura (durata della degenza preoperatoria, preparazione del paziente, profilassi antibiotica, misure antisettiche, tecniche di incisione e di sutura, durata dell’intervento, classe di contaminazione della ferita, intervento in urgenza o elezione) e alla patologia che viene trattata. In base alla letteratura l’incidenza delle infezioni del sito chirurgico varia dal 2 al 15% ma tali dati sono sottostimati da una mancanza di sorveglianza dovuta al fatto che circa il 50% delle complicanze risulta evidente in seguito alla dimissione. Misurare e segnalare i tassi di SSI nei sistemi di sorveglianza è una strategia importante per determinare la prevalenza e misurare l'impatto delle misure di prevenzione. Nel 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato le Linee Guida per la Prevenzione delle Infezioni del Sito Chirurgico: le indicazioni sono suddivise in misure preoperatorie, intraoperatorie e post-operatorie. Indicazioni preoperatorie: valutare la necessità di somministrazione orale o enterale di formule multinutrienti per pazienti sottopeso candidati ad interventi di chirurgia maggiore; non sospendere i farmaci immunosoppressori prima di un intervento al fine di ridurre il rischio di infezione del sito chirurgico; non utilizzare di routine la decontaminazione nasale con agenti antimicrobici topici allo scopo di eliminare lo Staphylococcus Aureus per ridurre il rischio di SSI: identificare i pazienti portatori nasali di S. Aureus e sottoporli a trattamento preoperatorio con pomata di meticillina al 2% (mupirocina al 2%), in caso di interventi cardiotoracici o ortopedici; far effettuare ai pazienti un bagno o una doccia preoperatoria con sapone normale o antibatterico; effettuare la preparazione chirurgica delle mani mediante lavaggio con acqua e sapone antimicrobico, seguito da frizione con prodotto a base alcolica; non utilizzare di routine la preparazione intestinale meccanica (MBP) per ridurre il rischio di SSI: è suggerito il ricorso alla preparazione intestinale meccanica combinata alla somministrazione orale di antibiotici in pazienti adulti candidati a chirurgia colo-rettale elettiva; somministrare l’antibiotico profilassi solo se indicata, 120 minuti prima dell’incisione, in base all’emivita dei farmaci utilizzati e non prolungarla oltre la fine dell’intervento, neanche in caso di presenza di drenaggio chirurgico; si raccomanda di non eseguire la tricotomia preoperatoria; solo se assolutamente necessaria può essere effettuata con tricotomo; è raccomandata la preparazione del campo operatorio con una soluzione antisettica a base alcolica con clorexidina gluconato; non utilizzare sigillanti antimicrobici dopo la preparazione chirurgica della cute al fine di ridurre il rischio di SSI. Indicazioni intraoperatorie: somministrare ossigeno all’80% durante l’intervento e nelle 2-6 ore successive ai pazienti adulti sottoposti ad anestesia generale con intubazione endotracheale. durante l’intervento è suggerito il mantenimento della normotermia del paziente mediante l’utilizzo di dispositivi riscaldanti; è suggerito un controllo intensivo della glicemia perioperatoria in pazienti diabetici e non; è suggerita una fluidoterapia intraoperatoria mirata; possono essere impiegati teli e camici sterili monouso o riutilizzabili; non è indicato l’utilizzo di teli adesivi in plastica con o senza proprietà antimicrobiche; si suggerisce di prendere in considerazione l’utilizzo di dispositivi per la protezione delle ferite chirurgiche addominali in caso di interventi puliti-contaminati, contaminati o sporchi; si suggerisce di considerare l’irrigazione della ferita chirurgica con soluzione acquosa di iodopovidone prima della sutura nelle ferite pulite e pulite-contaminate; non ci sono evidenze sull’efficacia dell’irrigazione con soluzione salina mentre non è indicata l’irrigazione della ferita con antibiotico; è suggerito l’utilizzo di suture rivestite con triclorosan al fine di ridurre l’incidenza di SSI, indipendentemente dal tipo di intervento chirurgico; non ci sono evidenze sufficienti per formulare raccomandazioni sulla sostituzione dei guanti chirurgici o della strumentazione prima della chiusura della ferita chirurgica. Indicazioni post-operatorie: non ci sono evidenze scientifiche sull’utilizzo di medicazione avanzate in sostituzione delle medicazioni standard al fine di ridurre il rischio di SSI, su ferite chirurgiche chiuse per prima intenzione; è suggerito l’utilizzo della terapia a pressione negativa profilattica in pazienti ad alto rischio di SSI, su ferite chirurgiche chiuse per prima intenzione, tenendo conto delle risorse a disposizione. Principi di gestione della ferita chirurgica. I principi di gestione della ferita chirurgica includono: protezione del sito chirurgico dalla contaminazione esterna; promozione della guarigione per prima intenzione; valutazione e riduzione dei rischi di complicanza (formazione di sieroma, ematoma, infezione, deiscenza); utilizzare tecniche asettiche; favorire il recupero e il benessere del paziente. La ferita chirurgica dovrebbe essere mantenuta coperta per almeno 48 ore, mediante una medicazione che agisca da barriera semipermeabile, al fine di prevenire la contaminazione batterica dall’ambiente esterno. La medicazione ha la funzione di controllare eventuali sanguinamenti post- operatori, assorbire l’essudato, alleviare il dolore e garantire protezione al tessuto cicatriziale neoformato. La rimozione della medicazione può essere eseguita allo scopo di consentire l’ispezione della ferita chirurgica, di sostituire la medicazione se necessario, di rimuovere i drenaggi o la sutura. Se tale procedura viene effettuata entro 48 ore dall’intervento, dovrà essere eseguita con tecnica asettica, in modo da assicurare che solo liquidi e materiali sterili entrino in contatto con la ferita. La tecnica asettica prevede una adeguata igiene delle mani, l’utilizzo di appropriati dispositivi di protezione individuale, preparazione e mantenimento di un campo sterile per tutta la durata della procedura. Le Linee Guida NICE (National Institute for Health and Care and Excellence) del 2018 raccomandano l’utilizzo di soluzione salina sterile per la detersione della ferita chirurgica fino a 48 ore dall’intervento; dopo 48 ore il paziente potrebbe fare una doccia. Non è indicato utilizzare agenti antimicrobici topici su ferite chiuse per prima intenzione, al fine di ridurre il rischio di SSI. I pazienti dovrebbero ricevere al momento della dimissione o comunque in seguito all’intervento chirurgico, informazioni chiare e precise, preferibilmente scritte, riguardanti la gestione della ferita chirurgica e la valutazione di eventuali sintomi o segni di complicanza da riferire con sollecitudine agli operatori sanitari di riferimento. Prevedere la presa in carico del paziente da parte del Servizio di assistenza infermieristica ambulatoriale o domiciliare, nel caso in cui il paziente ne abbia bisogno. La sorveglianza post-dimissione è fondamentale per determinare la prevalenza e l’incidenza di questa complicanza che non solo incide negativamente sulla qualità di vita del paziente ma ha importanti ripercussioni anche dal punto di vista economico. Trattamento delle infezioni del sito chirurgico (SSI). Quando possibile la valutazione, la diagnosi ed il trattamento di una infezione del sito chirurgico dovrebbero essere condotti da un team multidisciplinare. Sono fasi importanti: la valutazione del quadro clinico generale del paziente, volta a definire i fattori di rischio e le comorbidità correlate alla SSI: stato nutrizionale, terapia in atto (chemioterapia, cortisonici, anticoagulanti), diabete mellito e altre patologie metaboliche, neoplasie, arteriopatia periferica o concomitanza di infezioni; la valutazione dell’assetto vascolare, in particolare in caso di intervento chirurgico a livello degli arti inferiori; il prelievo di campioni di essudato o tessuto per la definizione dei microrganismi responsabili dell’infezione e la successiva definizione dell’eventuale terapia antibiotica mirata guidata dall’antibiogramma. Il trattamento delle SSI può essere chirurgico o non chirurgico. La scelta di una revisione chirurgica della ferita dipende dalla gravità e dalla estensione dell’infezione, dalla presenza o meno di materiale protesico e dalle condizioni generali del paziente. In caso di infezioni superficiali in genere può essere sufficiente rimuovere la sutura cutanea per consentire il drenaggio della ferita, che andrà detersa e lavata con soluzione antisettica. La scelta della medicazione più idonea e l’eventuale ricorso alla terapia a pressione negativa si baseranno sulla valutazione della lesione in base ai principi della wound bed preparation e del TIME (tissue, infection/inflammation, moisture balance, epithelial edge). Le infezioni più profonde richiedono invece un approccio più aggressivo, che consenta di revisionare la fascia e il piano muscolare. Se l’infezione coinvolge organi e spazi, spesso richiede la riammissione ospedaliera, una terapia antibiotica mirata (è indicato effettuare esami colturali su prelievi di liquido o tessuto coinvolti dal processo flogistico), il drenaggio delle eventuali raccolte presenti e la valutazione e correzione di eventuali alterazioni dello stato clinico generale del paziente. La somministrazione di terapia antibiotica è indicata in caso di compromissione della cicatrizzazione della ferita conseguente ad una diffusione dell’infezione alla cute adiacente e agli strati più profondi, in caso di segni sistemici di infezione o di diffusione batterica nel torrente circolatorio. Quando si rende necessaria tale terapia è importante considerare i risultati degli esami batteriologici, il sito anatomico della ferita, eventuali precedenti terapie, la condizione clinica del paziente, la possibile via di somministrazione e la situazione locale inerente alle resistenze. Se non sono disponibili risultati microbiologici è preferibile prelevare un campione prima di cominciare una terapia antibiotica empirica, che dovrà essere comunque tanto più precoce quanto più compromessa è la situazione clinica del paziente a causa dell’infezione. La somministrazione locale di antibiotico per il trattamento dell’infezione della ferita chirurgica dovrebbe essere evitata, per il rischio di sviluppo di resistenze, mentre può essere presa in considerazione in particolari situazioni, come la chirurgia oftalmica. La gestione della ferita chirurgica con complicanza infettiva o deiscenza dovrebbe essere sempre condivisa con la struttura chirurgica di riferimento per una corretta stadiazione e valutazione della lesione e per una programmazione condivisa della strategia terapeutica (necessità di reintervento, utilizzo di device quali terapia a pressione negativa convenzionale o monouso, medicazioni avanzate). È consigliabile definire controlli chirurgici periodici quando la gestione venga affidata agli ambulatori territoriali o domiciliari. Lesioni atipiche Rappresentano un gruppo eterogeneo di lesioni ulcerative caratterizzate da diversa patogenesi: infiammatoria, immunologica, neoplastica, infettiva o farmaco-indotta. Per definizione sono ulcere atipiche quelle che non si inseriscono in nessuna categoria nosologica tipica (venosa, arteriosa, mista, da pressione o diabetica). Si pone il sospetto di ulcera atipica quando le caratteristiche cliniche e/o la localizzazione appaiono inusuali, o quando una lesione non guarisce entro 8-10 settimane anche se trattata con terapia adeguata: la loro diagnosi è infatti spesso tardiva. L’inquadramento diagnostico può essere complesso e richedere l’esecuzione di una biopsia cutanea per esame istologico e/o microbiologico e la programmazione di esami ematochimici o strumentali specifici. Alcune tipologie di lesioni atipiche sono: Pioderma gangrenoso. È la causa più frequente di ulcera infiammatoria. È una dermatosi neutrofilica ad eziologia sconosciuta e può colpire qualsiasi distretto cutaneo. Tra il 50 e il 70 % dei pazienti con Pioderma possono presentare una patologia associata (es. malattia infiammatoria cronica intestinale, artrite reumatoide o patologie ematologiche). Da un punto di vista clinico, la prima manifestazione può essere una follicolite o pustola che può evolvere in pochi giorni in una lesione ulcerativa caratterizzata da bordi sottominati e alone eritemato-violaceo, associata a intensa sintomatologia dolorosa. Esistono 4 varianti principali: la forma pustolosa, la forma vescico-bollosa, la forma superficiale granulomatosa e la piostomatite vegetante. Il Pioderma può svilupparsi anche in seguito a un piccolo trauma. La diagnosi viene fatta spesso per esclusione. I criteri diagnostici per la forma classica sono: Criteri maggiori: rapida progressione in ulcera cutanea con bordi sottominati, irregolari e violacei; esclusione di altre cause di ulcerazione cutanea. Criteri minori: storia clinica suggestiva per patergia o formazione di cicatrici cribriformi; anamnesi positiva per patologie frequentemente associate al Pioderma; quadro istologico compatibile; risposta rapida a terapia steroidea sistemica; patergia, cioè la comparsa di nuove lesioni, nei siti di trauma, per la reattività eccessiva della pelle a stimoli comuni e normalmente innocui. Il trattamento dipende dal numero, dalle dimensioni e dalla profondità delle lesioni, dalle patologie associate e dal quadro clinico del paziente e si basa sulla somministrazione di terapia steroidea topica e/o sistemica in adeguato dosaggio. Vasculiti. Le vasculiti sono lesioni con diversa eziologia causate da un processo infiammatorio/immunologico che interessa vasi sanguigni di diverso calibro, determinando alterazioni del flusso ematico e danno dell'integrità della parete vasale. L’insorgenza delle lesioni cutanee è spesso acuta, può coinvolgere gli arti bilateralmente ed è associata ad una intensa sintomatologia dolorosa di tipo urente. La guarigione delle ulcere vasculitiche è un processo lento e necessita dell’associazione di un trattamento topico ad uno sistemico a lungo termine per il controllo del processo infiammatorio. Oltre all’esecuzione di una biopsia finalizzata alla definizione di una diagnosi istologica, è necessario procedere all’esecuzione di esami ematochimici (funzionalità epatica e renale, tiroidea, profilo lipidico, valutazione autoanticorpale sierica, indici di flogosi, elettroforesi proteica, ricerca crioglobuline, sierologia dell’artrite reumatoide, marcatori tumorali). Ulcere neoplastiche. Le lesioni ulcerative neoplastiche possono essere neoplasie primitive cutanee o, più raramente, localizzazioni secondarie metastatiche di altre neoplasie. Nel circa 2% può anche trattarsi dell’evoluzione di una ulcera cronica, di una cicatrice, di un’ustione o di una radiodermite. Il carcinoma basocellulare rappresenta la neoplasia primitiva cutanea più frequente, seguito dal carcinoma squamocellulare. Più raramente, un’ulcera neoplastica può essere l’espressione di un melanoma, di un tumore degli annessi cutanei, di un carcinoma di Merkel o di un linfoma cutaneo. Seppure il quadro clinico di un’ulcera neoplastica differisca a seconda del tipo di neoplasia, segni sospetti possono essere la presenza di una pigmentazione atipica circostante, tessuto di granulazione esuberante o localizzazione inusuale. È fondamentali in questi casi procedere ad un prelievo bioptico che dovrebbe essere eseguito sul bordo dell’ulcera, comprendendo una piccola porzione di cute perilesionale ed estendendosi in profondità fino al tessuto sottocutaneo. Biopsie multiple potrebbero essere necessarie per diagnosi complesse. Ulcera infettiva. Batteri gram positivi o gram negativi, micobatteri, lieviti, miceti, protozoi, parassiti e artropodi possono causare lesioni cutanee di tipo ulcerativo. Un’anamnesi positiva per viaggi recenti in aree endemiche o la tipologia di lavoro svolto dal paziente possono aiutare nell’ipotesi diagnostica. Utile in molti di questi casi la biopsia cutanea per esame microbiologico, associato ad esame istologico. Ulcere farmaco-indotte. Le ulcere farmaco indotte sono rare. Quelle più rappresentative sono associate a terapia con idrossiurea per patologie ematologiche o da utilizzo di sostanze stupefacenti. Anche in questi casi, l’esame istologico appare utile per la conferma diagnostica riuscendo ad escludere altre categorie cliniche. In questa categoria si possono includere anche le lesioni da stravaso di chemioterapici. STRUTTURE CLINICO-ASSISTENZIALI La rete delle strutture clinico-assistenziali dedicate al trattamento delle lesioni cutanee croniche ha come obiettivo la presa in carico globale del paziente in un’ottica di equità di accesso e di efficienza organizzativa. Le diverse tipologie delle strutture infermieristiche e/o integrate sono le seguenti (la dotazione specifica necessaria e le prestazioni erogabili sono descritte negli ALLEGATI 5 e 6): Ambulatori territoriali Sono ambulatori a gestione infermieristica, con personale di comprovata esperienza maturata nel settore vulnologico1, che si prendono carico del paziente portatore di lesioni cutanee croniche su specifiche indicazioni dei Centri Specialistici. L’accesso avviene attraverso la richiesta del Medico di Medicina Generale. Ambulatori infermieristici territoriali Sono ambulatori di riferimento per pazienti autosufficienti a cui si accede previa richiesta del MMG attraverso compilazione della prescrizione per prestazioni ambulatoriali. Il loro numero deve essere proporzionale alle esigenze della popolazione residente (almeno uno per ogni Distretto). Possono coincidere con: Ambulatori infermieristici territoriali (distrettuali/case della salute) o ospedalieri; Ambulatori inseriti in sistemi residenziali (RSA, Residenze protette, Ospedali di comunità). Cure Domiciliari Le Cure Domiciliari sono rivolte a pazienti con limitazione temporanea o permanente della propria autonomia funzionale, affette da patologie croniche a medio-lungo decorso o da patologie acute gestibili a domicilio. Consentono di garantire al domicilio del paziente servizi di cura e riabilitazione, quando le condizioni sanitarie e socio-assistenziali lo permettono. Necessitano dell’assistenza di un care-giver o di una rete familiare. La richiesta viene effettuata su apposito modello da presentare alla Segreteria del Servizio Cure Domiciliari (Modulo Regionale di Attivazione delle Cure Domiciliari) dal Medico di Medicina Generale, dal Pediatra di Libera Scelta o da un Dirigente Medico dell'Unità Operativa di Degenza. L’accesso è libero e gratuito. 1 riconosciute dalle stesse Professionista che ha acquisito competenze avanzate tramite percorsi formativi aggiuntivi regionali e attraverso l'esercizio di attività professionali regioni. Strutture specialistiche distrettuali/ospedaliere Sono centri specialistici con almeno due aperture settimanali, in ambito ospedaliero o distrettuale, dedicati alla cura di pazienti portatori di lesioni cutanee croniche. Ambulatori Infermieristici Specialistici Perseguono i seguenti obiettivi: garantiscono la presa in carico globale del paziente, mettendo in atto le indicazioni evidenziate dai percorsi diagnostico-terapeutici definiti sulla base delle principali linee guida nazionali ed internazionali; accompagnano il paziente nell’ambito del percorso diagnostico-terapeutico, educativo e di prevenzione delle recidive, sia direttamente che mediante la collaborazione del team multidisciplinare; coordinano il percorso assistenziale del paziente che presenta già un inquadramento diagnostico, gestendo non solo la lesione ma la persona nella sua globalità. Sono gestiti da personale infermieristico specializzato in wound care2. Afferiscono a tale ambulatorio pazienti portatori di lesioni cutanee croniche di varia origine inviati direttamente dai Medici di Medicina Generale o dalle Unità Operative - Servizi ospedalieri o territoriali. L’accesso avviene attraverso la richiesta del MMG e la compilazione della prescrizione per prestazioni ambulatoriali specialistiche su agende CUP dedicate. Nel caso in cui il paziente necessiti di ulteriori accertamenti o l’evoluzione della lesione non risulti favorevole dopo 4-6 settimane di trattamento, è indicato l’invio diretto alla Struttura Specialistica Multiprofessionale ospedaliera o distrettuale di riferimento o al Centro di Riferimento Regionale Ferite Difficili per il completamento del quadro diagnostico e la rimodulazione dell’iter terapeutico. Il personale dell’Ambulatorio Infermieristico Specialistico è deputato anche: a definire percorsi di Consulenza Infermieristica; provvedere alla revisione delle procedure e dei protocolli in vigore; elaborare studi sistematici di incidenza e prevalenza; intraprendere programmi di educazione sanitaria del paziente vulnopatico e dei care-giver; definire corsi di formazione per il personale sanitario. 2 infermiere specializzato: conseguimento di un Master Universitario in Wound Care o partecipazione a Corsi di formazione o perfezionamento a livello avanzato in Wound Care o esperienza professionale nel settore, con aggiornamento delle competenze per almeno 30 crediti ECM o 50 ore certificate in tema di Wound Care acquisiti nel triennio precedente. Ambulatori Podologici Specialistici (per la cura del Piede Diabetico). Sono gestiti da podologi3 specializzati. Il personale di questi ambulatori è deputato a: elaborare programmi di educazione per la prevenzione primaria e secondaria delle lesioni cutanee in particolare nei pazienti con piede diabetico; rilevare precocemente la presenza di lesioni del piede in soggetti diabetici; definire un inquadramento clinico del piede e biomeccanico del paziente (trattamento delle ipercheratosi e delle lesioni, definizione della necessità di tutori o calzature per lo scarico pressorio del piede); interfacciarsi con il Centro Antidiabetico Specialistico di riferimento ospedaliero o territoriale. Strutture Specialistiche Multiprofessionali – Centri Antidiabetici con ambulatorio dedicato alla cura del Piede Diabetico. Sono strutture gestite da personale medico e infermieristico con formazione specifica e comprovata esperienza professionale nel settore del wound care. Rappresentano strutture di riferimento per il MMG, gli Ambulatori Infermieristici Specialistici e le Unità Operative-Servizi ospedalieri e territoriali: Possono predisporre approfondimenti diagnostici in caso di situazioni cliniche non definite. Ridefiniscono l’iter terapeutico in caso di mancata progressione favorevole della lesione dopo 4-6 settimane di trattamento secondo i protocolli condivisi. Possono inviare il paziente al Centro di Riferimento Regionale Ferite Difficili attraverso percorsi preferenziali, con posti dedicati individuati da agenda CUP, per la presa in carico o la definizione di un percorso diagnostico-terapeutico tempestivo in situazioni di particolare gravità o urgenza. In questo caso deve essere predisposta dall’inviante una relazione clinica. Il MMG può inviare direttamente il paziente ad una Struttura Specialistica multiprofessionale se la problematica vulnologica non presenta un inquadramento diagnostico definito. L’accesso avviene 3 Professionista che ha conseguito la laurea triennale in Podologia, corso di studi riconosciuto dallo Stato italiano nell’ambito delle professioni sanitarie di riabilitazione che conferisce la possibilità di operare in totale autonomia professionale. Diventa specializzato a seguito di partecipazione a Master o Corsi di formazione o perfezionamento a livello avanzato in Wound Care o Cura del Piede Diabetico o esperienza professionale nel settore, con aggiornamento delle competenze per almeno 30 crediti ECM o 50 ore certificate in tema di wound care o Cura del Piede Diabetico, acquisiti nel triennio precedente. attraverso la compilazione della prescrizione per prestazioni ambulatoriali specialistiche su agende CUP dedicate. Le strutture specialistiche possono essere di diversa tipologia e afferenti a Unità Operative Ospedaliere con possibilità di ricovero (dermatologia, chirurgia generale, chirurgia plastica, chirurgica vascolare, diabetologia, ortopedia, reumatologia); rappresentano le strutture di riferimento per la risoluzione di problematiche cliniche specifiche che complicano l’evoluzione del percorso di guarigione della ferita. In particolare, i Centri Antidiabetici dedicati sono tenuti a: prescrizione, confezionamento e collaudo di ortesi o tutori con plantari di scarico delle lesioni; valutazione della circolazione arteriosa del piede tramite misurazione della tensione transcutanea di ossigeno ed effettuazione dei test per lo screening della neuropatia (mediante monofilamento e biotesiometria); effettuazione degli interventi chirurgici per incisione e drenaggio di lesioni infette in urgenza; avere a disposizione percorsi preferenziali per: esami colturali su campioni prelevati dalla lesione (laboratorio microbiologico); diagnostica vascolare non invasiva e radiologia interventistica; chirurgia vascolare. Il personale delle Strutture Specialistiche Multiprofessionali è deputato alla definizione di percorsi di Consulenza Medica Specialistica, organizzazione di corsi di formazione, revisione di procedure e protocolli, elaborazione di studi sistematici di incidenza e prevalenza delle lesioni. Centro di Riferimento Regionale Ferite Difficili Il Centro di Riferimento Regionale Ferite Difficili è una unità specialistica che offre la possibilità di gestire in modalità multidisciplinare il paziente con lesione cutanea complessa o complicata, mediante l’accesso diretto a servizi diagnostici di secondo livello e alla disponibilità di ricovero ospedaliero finalizzato ad un trattamento tempestivo chirurgico demolitivo e ricostruttivo/rigenerativo. Il Centro può assumersi la presa in carico del paziente fino alla stabilizzazione del quadro e quindi inviarlo ai centri territoriali per il prosieguo dell’iter terapeutico. 3) GESTIONE DELLE FERITE DIFFICILI INQUADRAMENTO DEL PROBLEMA La Regione Marche presenta un’età media della popolazione tra le più alte in Europa. Per questo motivo la problematica del paziente portatore di lesione cutanea cronica è stata già considerata e affrontata in modo strutturato da circa 20 anni, mediante la creazione di una Rete hub e spoke e mediante la costituzione della Rete Vulnologica Marchigiana. La complessità clinica e gestionale del paziente portatore di ferita difficile rappresenta la principale motivazione alla stesura di questo PDTA che consentirà di garantire un equo accesso alle cure e la definizione di un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale in grado di offrire al paziente la più rapida, efficiente ed efficace strategia di cura. La definizione di tale percorso ha alla base la definizione e l’identificazione delle specifiche competenze e delle alte specializzazioni presenti nella realtà ospedaliera e territoriale marchigiana. I principali obiettivi del PDTA sono: uniformare il processo di cura all’interno delle quattro Aziende Sanitarie della Regione Marche attraverso percorsi condivisi Evidence Based che considerino anche criteri di costo- efficacia come fondamento per la sostenibilità del trattamento di lesioni ad evoluzione frequentemente cronica; la necessità di garantire un approccio multidisciplinare ed interprofessionale attualmente differenziato all’interno delle quattro Aziende Sanitarie, a tutta la popolazione marchigiana; la necessità di consentire un equo accesso alle metodiche diagnostico-terapeutiche tecnologicamente avanzate, messe a disposizione dal progresso continuo della ricerca in campo vulnologico; la codifica unica delle prestazioni vulnologiche e l’accesso ad AGENDE CUP dedicate; la uniformità delle strutture clinico-assistenziali definite necessarie dal PDTA su tutto il territorio marchigiano. GRUPPO MULTIDISCIPLINARE DI ESPERTI Gli specialisti vulnologici delle Marche che si occupano, a vario titolo nella gestione del paziente con ferite difficili, sono collegati tra loro da una “rete” informale, costruita negli anni su incontri, scambi di informazioni e di consulenze, contatti per cercare di definire il miglior percorso per il paziente con ferite. XIX RETE VULNOLOGICA ASUR: formalizzata nel 2015, nasce con i seguenti obiettivi: Promuovere l’attività specialistica per la cura delle ferite; Costituire una rete specialistica vulnologica ASUR; Definire i percorsi condivisi per la presa in carico dei pazienti con ferite difficili; Definire i documenti condivisi di supporto agli operatori coinvolti nella rete. AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI di Ancona - Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva: CENTRO REGIONALE FERITE DIFFICILI. INRCA – IRCCS Ancona: CENTRO REGIONALE PIEDE DIABETICO. Azienda ospedaliera OSPEDALI RIUNTI MARCHE NORD. RUOLO DEL MEDICO DI MEDICINA GENERALE (MMG) Negli ultimi decenni il MMG ha assistito da un lato ad una progressiva modifica della richiesta di cure dovuta all’aumento del numero di pazienti non autosufficienti, legato all’incremento dell’età media e della prevalenza delle patologie ad evoluzione cronica, dall’altro alla progressiva riduzione dei fondi disponibili per l’assistenza sanitaria, che ha reso necessaria una ben definita razionalizzazione delle risorse. Le necessità di cura espresse da pazienti con pluripatologie impongono modalità di erogazione dell’assistenza caratterizzate da continuità e durata, dall’integrazione fra prestazioni sanitarie e sociali in ambiti di cura diversificati fra loro, in un’ottica di assistenza continuativa integrata. Sempre più spesso le richieste di intervento non prevedono risposte lineari a bisogni semplici, ma una vera e propria necessità di presa in carico del paziente nella sua globalità. Il soddisfacimento, al di fuori delle “istituzionalizzazioni” di problematiche assistenziali complesse, consente la riduzione dei ricoveri impropri e il ricorso a residenze per anziani. Il legame di fiducia che da sempre lega l’assistito al proprio MMG, rappresenta la basilare premessa al percorso che conduce al soddisfacimento del bisogno di assistenza, in un contesto di relazioni sociali e affettive gradite al paziente, contesto che rischia invece di essere meno considerato in caso di istituzionalizzazione. Il MMG rappresenta nel Sistema Sanitario Nazionale la prima e più importante figura a cui il paziente con lesione cutanea difficile può e deve rivolgersi per ricevere assistenza. In tale ottica ogni MMG deve essere in grado di offrire le prestazioni di sua competenza ed indirizzare il paziente verso i percorsi assistenziali definiti. Ai livelli bassi d’intensità il MMG ha la funzione di valutare, redigere, eseguire e coordinare il piano assistenziale mentre, al crescere dell’intensità, la valutazione, la definizione del percorso diagnostico-terapeutico e la sua attuazione possono essere demandate, in misura diversa secondo criteri di necessità e competenze, a figure specialistiche. Il MMG sarà comunque il punto di riferimento del paziente e dovrà essere costantemente informato mediante relazioni cliniche periodiche da parte degli specialisti sulla clinica del paziente. METODOLOGIA DEGLI INTERVENTI ASSISTENZIALI FASE DI PREVEZIONE I pazienti con elevato rischio di sviluppare lesioni cutanee (diabetici, arteriopatici, portatori di insufficienza venosa degli arti inferiori, portatori di patologie croniche correlate al rischio di lesioni cutanee o con sindrome da immobilizzazione) e i loro care-giver, possono fare riferimento al Medico di Medicina Generale, agli infermieri degli Ambulatori Territoriali o agli Ambulatori Specialistici Infermieristici e Podologici per ricevere una corretta educazione sanitaria volta alla prevenzione della formazione delle lesioni (effettuazione di esami diagnostici per la definizione del rischio, messa in atto di misure correttive, igiene e cura della cute, modalità di controllo della cute finalizzata alla individuazione precoce delle lesioni, prescrizione di presidi di prevenzione). L’identificazione dei soggetti a rischio consentirà di suddividere tre categorie: Pazienti a basso rischio: educazione alla prevenzione. Pazienti a medio rischio: programmazione di follow-up ravvicinati e inserimento in programmi di educazione strutturati. Pazienti ad elevato rischio: effettuazione di test clinici e programmazione di eventuali indagini diagnostiche strumentali finalizzate ad una strategia specifica di correzione dei fattori di rischio e alla prescrizione di interventi correttivi (calze terapeutiche, scarpe, plantari, …). Una particolare categoria di pazienti è rappresentata dai soggetti diabetici, in cui il rischio di sviluppare lesioni a carico del piede è significativamente elevato e correlato a gravi conseguenze. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato che lo screening per le lesioni in pazienti con piede diabetico è in grado di ridurre significativamente il rischio di amputazioni maggiori (ALLEGATO 3). Il paziente diabetico viene considerato a rischio in caso di presenza di neuropatia periferica, micro o macroangiopatia periferica, deformità del piede, pregresse ulcere o amputazioni. Sono ulteriori fattori di rischio a livello sistemico la riduzione del visus, la presenza di nefropatia diabetica (in particolare in trattamento dialitico), un alterato controllo metabolico e l’abitudine tabagica. Il sesso maschile, una maggior durata della malattia, la concomitanza di disturbi psichici o cognitivi e un basso livello socioeconomico, si associano più frequentemente alla comparsa di lesioni. L’educazione del paziente e la formazione del personale sanitario sono parte integrante della strategia di prevenzione del piede diabetico. I pazienti diabetici ad alto rischio di ulcerazione, soprattutto se con condizioni psicofisiche compromesse, dovrebbero ricevere un’educazione finalizzata alla corretta gestione dei fattori di rischio, alla cura complessiva quotidiana del piede e alla sorveglianza della comparsa di alterazioni del trofismo e dell’integrità del piede. Un incompleto esame del piede è riportato in oltre il 50% dei pazienti che subiscono un’amputazione. Obiettivo dell’intervento dovrebbe essere l’autogestione delle persone con diabete, la correzione dei comportamenti scorretti e l’aumento dell’aderenza alle prescrizioni. È fondamentale la presenza di un podologo nel team multidisciplinare al fine di trattare ogni condizione pre-ulcerativa del piede di un paziente diabetico (rimozione delle ipercheratosi, riconoscimento e trattamento delle deformità e delle patologie ungueali). La fase di prevenzione nel paziente diabetico dovrebbe quindi essere deputata a centri specialistici dedicati, che devono effettuare uno screening adeguato basato su: identificazione dei pazienti ad elevato rischio e programmazione di visite periodiche; educazione dei pazienti e dei care-giver all’ispezione routinaria del piede e ad una corretta igiene; prescrizione di calzature di prevenzione primaria o secondaria; trattamento delle lesioni pre-ulcerative. Particolare attenzione va posta anche ai soggetti a rischio di Lesioni da Pressione (LdP) (ALLEGATO 1): la definizione del rischio di insorgenza di LdP rappresenta il primo intervento assistenziale da attuare al momento della presa in carico del paziente. Tale valutazione deve essere effettuata utilizzando strumenti validati che integrano ma non sostituiscono il giudizio clinico dei professionisti. La frequenza della valutazione è correlata alla tipologia di setting assistenziale. Al fine di garantire l’uniformità, la continuità e l’efficacia degli interventi, i soggetti a rischio, gli operatori sanitari e i care givers, devono essere formati attraverso interventi di educazione sanitaria e terapeutica. I soggetti a rischio devono essere sottoposti ad un’ispezione cutanea sistematica almeno una volta al giorno, prestando particolare attenzione alle zone a rischio. È indispensabile individuare tempestivamente i soggetti malnutriti o a rischio nutrizionale. I soggetti allettati, ritenuti a rischio di lesione, devono essere mobilizzati almeno ogni 2/3 ore nelle ore diurne, ponendo maggiori precauzioni per la notte. Gli interventi assistenziali rivolti ai soggetti a rischio devono prevedere la disponibilità tempestiva di ausili antidecubito. Particolare attenzione deve essere posta in caso di soggetti sottoposti a intervento chirurgico, considerati a rischio di lesione per fattori legati alla situazione clinica, alle comorbidità presenti o alla tipologia di intervento. In questi casi è necessario prevedere l’utilizzo sul tavolo operatorio di superfici antidecubito. FASE DI LESIONE Il riscontro di una lesione cutanea può avvenire da parte del MMG, di un medico specialista, dell’infermiere ambulatoriale o di assistenza domiciliare o da parte del podologo. In caso di riscontro di segni clinici locali o sistemici che definiscono una situazione di emergenza o urgenza non differibile (ischemia critica, gangrena umida, sanguinamento in atto, flemmone o ascesso non drenati in particolare in paziente con piede diabetico, stato settico), il paziente deve essere inviato in Pronto Soccorso quando non sia possibile il riferimento immediato ad una struttura specialistica (ambulatoriale o ospedaliera) in grado di attivare tempestivamente l’iter diagnostico- terapeutico appropriato. Il paziente inviato in Pronto Soccorso verrà sottoposto ad accertamenti di primo livello volti a definire la gravità del quadro clinico e a consentire l’instaurazione del corretto iter terapeutico eziologico e di supporto alla fase critica. Dovrà essere quindi definita la presa in carico da parte della struttura specialistica più idonea in base alle caratteristiche del paziente e della lesione. Il paziente viene preso in carico da un Ambulatorio Specialistico Infermieristico se è già presente un inquadramento eziologico ed è possibile procedere ad un trattamento codificato. Viene preso in carico da una Struttura Specialistica Multiprofessionale nel caso in cui sia necessario definire un iter diagnostico per l’inquadramento della patologia e definire le possibili opzioni terapeutiche. In seguito ad una prima valutazione effettuata in un Ambulatorio Specialistico e alla stabilizzazione del quadro clinico, il paziente potrà essere inviato all’ambulatorio territoriale di competenza o affidato alle cure domiciliari, in base al suo grado di autonomia, per il proseguimento delle cure. Un eventuale follow up verrà programmato presso l’Ambulatorio Specialistico in caso di mancato miglioramento dopo 4-6 settimane di trattamento, insorgenza di complicanze, problematiche relative alla compliance del paziente o del care-giver. ACCESSO ALLA RETE DEI SERVIZI – FLOW CHART (allegato 4) PAZIENTE CON FERITA DIFFICILE OPERATORE SANITARIO CHE EFFETTUA LA 1° VALUTAZIONE il paziente può entrare nel percorso inviato da: Medico di Medicina Generale Medico specialista Medico di Pronto Soccorso U.O. ospedaliera o residenziale Infermiere ambulatoriale o di assistenza domiciliare Podologo. VALUTAZIONE SEGNI CLINICI: l’operatore sanitario che effettua la prima rilevazione, avvalendosi anche di scale di valutazione, può identificare la presenza di: SEGNI CLINICI DI URGENZA NON DIFFERIBILE Flemmone/ascesso non drenati; Cellulite/linfangite; Ischemia critica/gangrena umida; Segni sistemici di sepsi (febbre, tachicardia, ipotensione). Il paziente viene inviato al Pronto Soccorso più vicino che sia in grado di consentire indagini diagnostiche di primo livello (es. EcoColor Doppler in caso di segni di ischemia) e trattamento chirurgico urgente (in caso di ascessi o flemmoni o gangrena umida): Se la criticità viene risolta in sede di accertamento nelle strutture di riferimento del Pronto Soccorso, il paziente viene inviato al MMG per una nuova valutazione ed eventuale invio ai centri di riferimento più opportuni per la gestione della ferita, Se la criticità è tale da ritenere un ricovero ospedaliero, il paziente viene direttamente ricoverato, Se la criticità può essere gestita da una Struttura Specialistica Multiprofessionale, il paziente viene inviato in consulenza per definire l’iter più appropriato. SEGNI CLINICI DI URGENZA DIFFERIBILE O LESIONE CRONICA: Necrosi o gangrena secca; Segni clinici di infezione localizzata o lieve; Segni di ischemia non critica (ABI > 0,7 o TcPO₂ > 40 mm/Hg). Il paziente viene inviato al Medico di Medicina Generale. MEDICO DI MEDICINA GENERALE: in presenza di una lesione cutanea definisce l’iter diagnostico di primo livello, quindi elabora e attua il successivo iter terapeutico in base alle proprie conoscenze in tema di wound care, monitorando l’evoluzione della lesione fino alla guarigione e programmando la successiva fase di educazione alla prevenzione delle recidive mediante la correzione dei fattori di rischio (prevenzione secondaria). Il MMG può inviare il paziente per una ulteriore valutazione agli ambulatori specialistici in base alla presenza o meno di inquadramento diagnostico. Il rapporto tra il MMG e le strutture specialistiche distrettuali o ospedaliere di riferimento è di primaria importanza per la presa in carico del paziente e una efficace definizione dell’iter diagnostico-terapeutico. FERITA CON INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO Lesione cutanea di prima insorgenza o recidiva, in paziente con patologie sistemiche correlate al rischio di comparsa di lesioni cutanee, già diagnosticate. Il MMG invia il paziente con lesione cutanea non complicata (lesione che non presenta segni di urgenza) all’Ambulatorio Infermieristico distrettuale, se autosufficiente o attiva le Cure Domiciliari se non autosufficiente, allegando una relazione clinica che definisce le indicazioni di trattamento. Il MMG invia il paziente con lesione cutanea complessa all’Ambulatorio Specialistico Infermieristico, che prende in carico il paziente. FERITA SENZA INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO In caso di lesione cutanea di nuova insorgenza, in assenza di una diagnosi eziologica nota nonostante l’esecuzione di indagini di primo livello, il MMG può inviare il paziente ad una Struttura Specialistica Multiprofessionale di zona, che definisce l’iter diagnostico-terapeutico appropriato e prende in carico il paziente. AMBULATORIO INFERMIERISTICO e/o PODOLOGICO SPECIALISTICO Riceve i pazienti portatori di lesioni cutanee che hanno già una diagnosi clinica eziologica inviati dal MMG o da Unità Operative - Servizi ospedalieri o territoriali. Prende in carico il paziente, definisce e attua l’iter terapeutico più appropriato. In base all’evoluzione della lesione può inviare il paziente a: Ambulatorio Infermieristico Territoriale: per la prosecuzione dell’iter terapeutico in base a indicazioni definite; Struttura Specialistica Multiprofessionale: in caso di mancata risoluzione o miglioramento della lesione, per la ridefinizione dell’iter (ulteriore approfondimento diagnostico, modifica iter terapeutico); Centro di Riferimento Regionale per le Ferite Difficili: in caso di necessaria valutazione o presa in carico per situazioni di particolare complessità. AMBULATORIO INFERMIERISTICO DISTRETTUALE Riceve i pazienti autosufficienti portatori di lesione cutanea con iter terapeutico definito, inviati dal MMG o dagli Ambulatori Specialistici ed applica i protocolli di trattamento condivisi. CURE DOMICILIARI Prendono in carico pazienti non autosufficienti su indicazione del MMG o degli Ambulatori Specialistici ed applicano i protocolli di trattamento condivisi. Proseguono il trattamento della lesione fino a completa guarigione o inviano il paziente alle Strutture Specialistiche Multiprofessionali se la superficie della lesione non si riduce di almeno il 40% in 4 settimane. STRUTTURA SPECIALISTICA MULTIPROFESSIONALE Riceve il paziente portatore di lesione cutanea che non presenta una diagnosi clinica eziologica, inviato dal MMG, Unità Operative - Servizi ospedalieri o territoriali o Ambulatori Infermieristici Specialistici. Prende in carico il paziente e definisce l’iter diagnostico di secondo livello al fine di determinare e attuare il più appropriato percorso terapeutico. Se il percorso di guarigione è ben avviato e non presenta problematiche, può reinviare il paziente all’Ambulatorio Infermieristico Specialistico. Se invece è necessario un ulteriore approfondimento diagnostico o un trattamento chirurgico demolitivo e/o ricostruttivo/rigenerativo avanzato, può inviare il paziente al Centro di Riferimento Regionale per le Ferite Difficili. CENTRO DI RIFERIMENTO REGIONALE Riceve il paziente che, pur avendo effettuato un percorso diagnostico-terapeutico definito da un Ambulatorio Specialistico Territoriale o da una Struttura specialistica multiprofessionale, non ha risposto in maniera soddisfacente alla terapia e necessita di un ulteriore approfondimento diagnostico o di un trattamento chirurgico demolitivo e/o ricostruttivo/rigenerativo avanzato. Il Centro Regionale può prendere in carico il paziente (avvalendosi o meno della possibilità di ricovero ospedaliero) e completare l’iter di diagnosi e cura. In caso di stabilizzazione del paziente (quadro clinico compensato), il Centro Regionale può inviarlo alle Strutture Specialistiche Multiprofessionali di riferimento per il proseguimento delle cure o agli Ambulatori Infermieristici Specialistici di riferimento (in caso di quadro clinico stabilizzato/cronico). Il Centro Regionale può anche definire un iter diagnostico-terapeutico che può essere completato in sedi periferiche specialistiche se sono presenti le dotazioni necessarie. In tal caso dovrà elaborare una relazione clinica di accompagnamento. LESIONI CUTANEE CRONICHE IN PAZIENTI A PROGNOSI INFAUSTA. Introduzione La gestione di lesioni cutanee croniche di diversa origine, con scarsa o nulla tendenza alla risoluzione che interessano pazienti a prognosi infausta (fase terminale), deve mirare ad un approccio olistico al paziente, finalizzato alla prevenzione delle possibili complicanze e alla gestione della sintomatologia correlata (dolore, cattivo odore, abbondante essudato, rischio di infezione). Per fase terminale si considera una situazione clinica irreversibile in cui una determinata patologia non è più suscettibile di approccio terapeutico finalizzato alla guarigione; è caratterizzata da una progressiva perdita di autonomia della persona e dal manifestarsi di sintomi fisici (dolore) e psichici (depressione). In questo scenario si collocano le cure palliative. La parola palliativo deriva dal latino pallium che significa mantello, protezione. Per cure palliative si intende “l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici” (Legge n.38/1 Art. 2-Definizioni). Lo scopo delle cure palliative è quello di preservare la migliore qualità di vita possibile sia del malato in fase terminale che della sua famiglia. Accesso alla rete dei servizi – flow chart delle lesioni croniche in pazienti a prognosi infausta PAZIENTE A PROGNOSI INFAUSTA CON LESIONE CUTANEA CRONICA OPERATORE SANITARIO CHE EFFETTUA LA PRIMA VALUTAZIONE = il paziente può entrare nel percorso inviato da: Medico di Medicina Generale; Medico specialista (oncologo, dermatologo, ortopedico, chirurgo, …); Medico di Pronto Soccorso; U.O. ospedaliera o residenziale; Infermiere ambulatoriale o di assistenza domiciliare; Podologo. MEDICO DI MEDICINA GENERALE = in presenza di una lesione cutanea cronica, alla fase clinico-diagnostica può far seguire la fase terapeutica (VALUTAZIONE GLOBALE DEL PAZIENTE NELLA SUA COMPLESSITA’), attuabile sulla base della conoscenza delle metodiche di “Wound Bed Preparation” monitorizzandone l’evoluzione al fine di evitare la comparsa delle complicanze. Quando la situazione clinica lo richiede, il paziente viene inviato alle strutture specialistiche di riferimento. FERITA CON INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO = la lesione cutanea può essere: di prima insorgenza, o recidiva, in un paziente con patologie sistemiche già inquadrate che possono favorire la comparsa di lesioni cutanee. Il paziente, se presenta una LESIONE STABILE viene inviato presso l’Ambulatorio Infermieristico distrettuale, se autosufficiente, o le Cure Domiciliari, se non autosufficiente. In questo caso deve prevedere anche una prescrizione riguardo la corretta presa in carico della lesione. Il paziente, se presenta una LESIONE COMPLESSA viene inviato presso l’Ambulatorio Specialistico Infermieristico, dove avviene la presa in carico del paziente. un’espressione non diagnosticata di una eventuale patologia sistemica di base. Il paziente viene inviato presso la Struttura Specialistica Multiprofessionale di zona, per ricevere supporto circa la diagnosi e la tipologia di trattamento. AMBULATORIO INFERMIERISTICO DISTRETTUALE = riceve pazienti autosufficienti inviati da MMG o da Ambulatori Infermieristici Specialistici, ed applica i protocolli di trattamento condivisi o l’eventuale prescrizione. CURE DOMICILIARI = riceve pazienti non autosufficienti inviati da MMG o da Ambulatori Infermieristici Specialistici, ed applica i protocolli di trattamento condivisi o l’eventuale prescrizione. In base all’evoluzione della lesione: Si continua il trattamento della lesione al fine di prevenire la comparsa di complicanze; Inviano il paziente agli Ambulatori Infermieristici Specialistici se si presentano complicanze riguardo il piano assistenziale previsto. AMBULATORIO SPECIALISTICO INFERMIERISTICO = Vengono eseguite tutte le valutazioni necessarie per la presa in carico del paziente con lesione non healing, tali da evidenziare le possibili cause di complicanze della lesione. In base alle caratteristiche delle lesioni, i pazienti possono essere inviati: LESIONI CON QUADRO STABILIZZATO O CRONICO = presso gli Ambulatori Territoriali, LESIONI CON QUADRO ACUTO/SUBACUTO = presso le Strutture Specialistiche Multiprofessionali, STRUTTURA SPECIALISTICA MULTIPROFESSIONALE = riceve i pazienti portatori di lesioni cutanee che non presentano una diagnosi clinica eziologica delle lesioni stesse o delle recidive, Vengono eseguite tutte le valutazioni necessarie per la presa in carico del paziente con lesioni non healing, tali da evidenziare le possibili cause di complicanze della lesione. TELEMEDICINA E WOUND CARE La telemedicina “è uno strumento che può essere utilizzato per estendere la pratica tradizionale oltre gli spazi fisici abituali”. Non è quindi una disciplina clinica separata ma “una diversa modalità di erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie che si colloca nella cornice di riferimento che norma tali processi con alcune precisazioni sulle condizioni di attuazione.” I servizi che si avvalgono della telemedicina devono essere collocati nella cornice normativa del SSN ed essere oggetto di un sistema di accreditamento adeguato al servizio erogato. Il paziente deve essere posto al centro di un PDTA di cui viene garantita la continuità anche se parti di questo processo possono essere svolte in luoghi diversi, da professionisti diversi, in tempi diversi. La creazione di un network stabile consentirebbe non solo la possibilità di consulenze a distanza ma anche la condivisione di situazioni cliniche particolarmente complesse, realizzando una effettiva gestione multidisciplinare integrata che coinvolga gli ambulatori specialistici, le strutture ospedaliere e territoriali e i MMG. Le tecnologie digitali costituiscono un fattore abilitante in molteplici ambiti: favoriscono l’accesso ai servizi per la prevenzione (es. App per monitoraggio stili di vita o per screening); facilitano la comunicazione tra gli operatori sanitari (integrazione dispositivi mobili) e il dialogo medico paziente; correttezza e sicurezza dei dati, riduzione rischio di errore (es. documenti clinici informatizzati); percorsi di assistenza più controllati ed efficienti. La disponibilità di sistemi informatici in grado di integrarsi tra loro e, mediante un'apposita infrastruttura, azzerare le distanze geografiche con la condivisione della documentazione clinica è ormai un risultato atteso e raggiunto. Un campo di applicazione è rappresentato dalla gestione delocalizzata dei PDTA e dall'informatizzazione di tavoli multidisciplinari per la discussione di casi clinici di elevata complessità o a scopo scientifico. L'ottimizzazione della gestione del proprio personale e la riduzione degli spostamenti del cittadino sono i valori aggiunti di una procedura volta ad aumentare l'efficacia del percorso di cura e l'abbattimento delle liste d'attesa. Le Linee d’indirizzo nazionali pongono l’attenzione sulla predisposizione da parte di ciascuna Regione di un “Documento per l’erogazione della singola prestazione in telemedicina e/o di un Documento per l’erogazione del percorso clinico assistenziale (PCA o PDTA) integrato con le attività di Telemedicina”. Questo modello dovrebbe permettere alle Regioni di applicare e controllare gli ‘’standard di servizio (modalità di accesso, tecnologia, professionalità, organizzazione, standard clinici)” che devono essere garantiti ai cittadini. In base al DPCM del 11/03/2020 in cui sono state varate misure per il contenimento del contagio da Coronavirus, concernenti limitazioni alla possibilità di spostamento delle persone fisiche all’interno di tutto il territorio nazionale, si è reso necessario l’annullamento di migliaia di visite ambulatoriali programmate (visite di controllo) lasciando invece aperte visite altrimenti non procrastinabili come le urgenze e/o prioritarie. Per continuare a garantire alle persone con “ferite difficili” il supporto professionale di cui hanno bisogno, riducendo i disagi determinati dall’interruzione dell’assistenza tradizionale, sia per gli utenti che potrebbero tendere a non seguire le indicazioni terapeutiche in assenza di visite specialistiche periodiche, la visita di controllo tipica (con la presenza del paziente presso l’ambulatorio medico o infermieristico) può essere effettuata tramite tele-visita o teleconsulto, individuando i mezzi da usare che abbiano le caratteristiche necessarie per esecuzione corretta della stessa. Un esempio recente riguardo alla gestione dell’emergenza Coronavirus è rappresentato dalla delibera n. 568/DGR del 5 maggio 2020 della Giunta Regionale del Veneto, avente ad oggetto “Attivazione di servizi di assistenza sanitaria erogabili a distanza: Telemedicina”. Con questo provvedimento, si riconosce la possibilità agli Enti del Servizio Sanitario Regionale di erogare servizi di assistenza sanitaria in modalità di telemedicina secondo le Linee di indirizzo nazionali di cui all’intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e Province Autonome sancita in data 20 febbraio 2014, recepita con DDR n. 50 del 24 dicembre 2014. La teleconsulenza prevede tipologie di prestazioni differenti tra loro per complessità, tempo di realizzazione, risorse impiegate e responsabilità del consulente: il teleconsulto, la tele cooperazione e la telesorveglianza. Il Teleconsulto Il teleconsulto tra professionisti può avvenire in tre modi: Fornitura a distanza da parte di un professionista o di un gruppo di professionisti particolarmente esperti in un determinato settore, di un parere puntuale su un quesito clinico o diagnostico inviato da un altro professionista. Consulenza a distanza da parte di un professionista o di un gruppo di professionisti esperti su un quesito inerente a una condizione clinica complessa di un paziente che richiede l’invio di più dati in successione temporale. Presa in carico a distanza: prestazione di teleconsulenza in cui un professionista di un presidio accreditato per malattie rare che si avvale di una rete di servizi ospedalieri o territoriali che realizzeranno il piano clinico-assistenziale, di cui comunque il professionista del presidio accreditato mantiene la responsabilità globale. La presa in carico a distanza deve essere autorizzata dall’Azienda sanitaria di residenza del paziente e accettata dalla rete dei servizi coinvolti. La tele cooperazione La tele cooperazione tra professionisti permette ad un professionista sanitario di realizzare un atto sanitario con la supervisione a distanza di altro professionista. La telesorveglianza Permette ad un professionista sanitario di un presidio accreditato di effettuare un monitoraggio clinico a distanza, interpretando dati che giungono dal paziente in modo automatico o mediato dal paziente stesso o da un sanitario. Poiché le prestazioni di teleconsulenza comportano l’interazione di più attori che sono quasi sempre lontani tra loro è necessario che avvengano solo se il paziente è informato della prestazione e siano definite le responsabilità professionali. La consulenza deve essere richiesta da un dirigente sanitario e può essere espletata solo da un professionista o da un’equipe operanti nelle Strutture Specialistiche distrettuali/ospedaliere o dai Centri di Riferimento Regionali Ferite Difficili. Le attività possono essere svolte in infrastrutture che siano capaci di dare garanzie tecnologiche sufficienti sull’accessibilità e l’operatività del servizio e la sua continuità di erogazione, sull’integrità del dato trasmesso, sulla protezione dei dati da accessi non autorizzati e sulla riservatezza delle informazioni personali. Il richiedente può essere un: Medico di Medicina Generale; Medico specialista (dermatologo, ortopedico, chirurgo, …); Medico di Pronto Soccorso; Medico di U.O. ospedaliera o residenziale; Infermiere ambulatoriale, di assistenza domiciliare o di struttura residenziale; Podologo. L’utilizzo dei dati a fini scientifici sarà consentito previo consenso informato del paziente purché i dati siano criptati e sia raccolto il consenso informato dei pazienti coinvolti. In attesa della definizione di un percorso omogeneo a livello nazionale può essere previsto un periodo di sperimentazione, in cui saranno valutate le risorse introdotte per l’esecuzione delle prestazioni di teleconsulenza: cartella informatizzata condivisa (in ASUR è in fase sperimentale da gennaio 2020 una cartella vulnologica http://[email protected]); codifiche prestazionali e tariffario corrispondente; inserimento degli appuntamenti di consulenza ad AGENDA CUP. La messa a regime preceduta dalla fase sperimentale sarà in grado di valutata la fattibilità, la sostenibilità economica, l’appropriatezza delle prestazioni e delle tariffe, la qualità percepita dagli operatori coinvolti e dagli utenti. INDICATORI DI SICUREZZA ED EFFICACIA INDICATORI AREE D’INDAGINE DIMENSIONI DELLE QUANTITA?