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This document provides in-depth information on the process and responses in pathology through detailed analysis of inflammatory mechanisms, including immune responses, and tissue-level responses. It discusses different types of pathology and presents the logic of inflammation, emphasizing the roles of sensors and mediators.
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DIFETTI DELLA NECROPTOSI Topi KO per geni dell’apoptosi: problemi già durante lo sviluppo embrionale, in genere non sopravvivono Topi KO per geni della necroptosi: nessun problema durante lo sviluppo o la nascita, ma alta suscettibilità alle infezioni virali Mutazion...
DIFETTI DELLA NECROPTOSI Topi KO per geni dell’apoptosi: problemi già durante lo sviluppo embrionale, in genere non sopravvivono Topi KO per geni della necroptosi: nessun problema durante lo sviluppo o la nascita, ma alta suscettibilità alle infezioni virali Mutazioni che rendono il necrosoma molto attivo causano predisposizione a patologie infiammatorie Mutazioni che inattivano il necrosoma nei tumori che sono resistenti alla morte (per apoptosi o necroptosi) RISPOSTA AL DANNO A LIVELLO TISSUTALE: RISPOSTE PROTETTIVE INTEGRATE I meccanismi difensivi dell'organismo, messi in atto quando l'omeostasi viene alterata da qualche perturbazione (fisica, chimica, o infettiva) comprendono: Il processo infiammatorio, che rappresenta la risposta immediata (locale o generale) dell’organismo ad uno stimolo lesivo il cui obiettivo principale è l’eliminazione/contenimento del danno cellulare e delle sue conseguenze (cellule e tessuti necrotici), e la riparazione del tessuto. La risposta immunitaria, evoluta per proteggerci dai microorganismi patogeni. Si innescano dopo il superamento delle barriere meccaniche e chimiche (cute, epitelio respiratorio, gastro- intestinale, genito-urinario). Il processo infiammatorio e la risposta immunitaria non sono fenomeni separati: ad es. in seguito ad un attacco di tipo biologico che interessa un tessuto l’organismo risponderà inizialmente con una risposta infiammatoria che coinvolge cellule della risposta immunitaria innata (neutrofili, cellule dendritiche, cellule NK, macrofagi), e contemporaneamente vengono attivati processi che permetteranno l’attivazione di una risposta immunitaria specifica (linfociti T e B). La risposta infiammatoria è costituita da meccanismi di difesa pre-esistenti ai patogeni e non specifici per esso. Es: fagocitosi, complemento. Immediatamente disponibile Stereotipata Può essere sopraffatta da una carica batterica elevata Non è dotata di memoria È la risposta dei tessuti connettivi vascolarizzati ad un danno provocato da agenti fisici, chimici o biologici (patogeni). Le manifestazioni ed i meccanismi molecolari e cellulari alla base di questo processo sono comuni a diversi tipi di danno. Comprende: Alterazioni vascolari Migrazione di cellule della difesa nella regione danneggiata Manifestazioni sistemiche (talvolta): febbre, risposta di fase acuta → Messa in atto di meccanismi che porteranno alla guarigione Lo scopo dell’infiammazione è diluire, confinare e distruggere l’agente lesivo, ma anche mettere in atto una serie di eventi che portano a guarigione e sostituzione del tessuto danneggiato. LA LOGICA DELL’INFIAMMAZIONE 1. Danno 2. Sensori: cellule specifiche recepiscono il danno (attraverso TLR, etc.) 3. Mediatori: molecole messaggere sono rilasciate localmente o in modo sistemico 60 4. Infiammazione nel distretto target Il fine dell’infiammazione è concentrare nel punto dove c’è il problema le risorse dell’organismo → risposta integrata. I SEGNI CARDINALI DELL’INFIAMMAZIONE (CELSO I DC) Rubor Calor Tumor Dolor → Functio lesa I segni cardinali sono la conseguenza di fenomeni vascolari e chimici che avvengono nel tessuto. FENOMENI VASCOLARI Iperemia: aumentato afflusso di sangue al fine di reclutare cellule e molecole di difesa, aumentare la temperatura per favorire l’efficienza dei sistemi enzimatici. Aumentata permeabilità dell’endotelio: diffusione di molecole di difesa (complemento, anticorpi), drenaggio linfatico e veicolazione antigeni ai linfonodi (risposta immunitaria specifica), diffusione di fibrinogeno, precursore della fibrina, che polimerizza per formare una maglia che confina l’infezione. Aumento adesività: che permette la migrazione transendoteliale dei leucociti tramite legami prima lassi poi sempre più stretti con proteine di adesione dell’endotelio che sono esposte nei distretti infiammati. IPEREMIA La sede del processo infiammatorio è il microcircolo. Opera assieme alla rete linfatica e regola un flusso modulabile. È l'area del sistema vascolare, tra le arteriole precapillari e venule postcapillari, dove i vasi (capillari) sono più sottili e in cui avvengono i maggiori scambi tra circolo sanguigno e tessuti. Normalmente si ha un certo passaggio di liquido nel tessuto e altrettanto è riassorbito dalle venule e dal sistema linfatico. Essendo circondati da muscolatura liscia, il calibro delle arteriole precapillari, venule postcapillari e capillari preferenziali, può essere regolato. Durante l’infiammazione la muscolatura liscia dei capillari preferenziali è rilassata, sono rilassati anche gli sfinteri precapillari, per cui il microcircolo è arricchito di sangue. La dilatazione delle arteriolari pareti e il rilassamento degli sfinteri precapillari per aumentare il flusso ematico è detto iperemia attiva. Nel tempo l’iperemia diventa passiva, perché: L’apertura del microcircolo causa l’aumento della sezione complessiva del letto vascolare. Poiché la velocità di flusso è inversamente proporzionale alla sezione del vaso, questo si traduce in rallentamento fino alla stasi, per permettere a cellule e molecole infiammatorie di extravasare. 61 Iperemia passiva è sinonimo di congestione (dal latino congèrere, ammucchiare. In senso stretto significherebbe «ammassamento di sangue»). Il Rubor e Calor dipendono dall’iperemia nella parte infiammata. AUMENTO PERMEABILITÀ ENDOTELIALE In condizioni di normalità, la parete endoteliale fa passare solo le proteine di PM inferiore a 69 kDa → passa solo quello che è più piccolo dell’albumina. La vasodilatazione, insieme all’aumento di permeabilità causa il fenomeno di essudazione. L’essudato è un liquido di origine plasmatica prodotto nel corso dell’infiammazione. Contiene proteine plasmatiche (immunoglobuline, fibrinogeno, complemento) e cellule (leucociti). RUOLO DELL’ESSUDATO Diluizione: questo ruolo è particolarmente significativo in caso di infezioni con microorganismi patogeni: le tossine da essi prodotte vengono diluite. Azione battericida degli anticorpi e del complemento: queste due classi di proteine escono dal microcircolo nel corso della formazione dell’essudato e possono contribuire all’uccisione dei microorganismi e alla neutralizzazione delle loro tossine. Contenimento: la trasformazione del fibrinogeno in fibrina e la polimerizzazione di questa costituisce un impedimento meccanico alla diffusione dell’agente patogeno. Il continuo drenaggio dell’essudato da parte dei vasi linfatici permette che microorganismi e tossine vengano trasportati ai linfonodi dove può innescarsi una risposta immunitaria adattativa. CELLULE DELL’INFIAMMAZIONE I mastociti sono molto frequentemente gli elementi di innesco della risposta infiammatoria acuta attraverso la loro degranulazione (i granuli sono preformati per accelerare la risposta) e rilascio di istamina. Il rilascio può essere conseguente al legame con alcune immunoglobuline → allergia. Nell’infiammazione acuta, vi sono fenomeni che coinvolgono cellule del sangue. La cellula più coinvolta è il polimorfonucleato neutrofilo, una cellula abbondante nel sangue, che attua fagocitosi e che possiede recettori per patogeni ma anche per complemento e immunoglobuline. La digestione del patogeno utilizza le ROS prodotte da NAPH ossidasi → tossicità dell’infiammazione cronica. MEDIATORI CHIMICI DELL ’INFIAMMAZIONE Mediatori plasmatici: presenti nel plasma in forma di precursori che devono essere attivati. Mediatori cellulari: prodotti da cellule presenti nella sede di infiammazione (piastrine, neutrofili, monociti-macrofagi, mastociti, cellule endoteliali, cellule muscolari, fibroblasti): o sequestrati in granuli intracellulari o sintetizzati ex novo CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA FUNZIONE Mediatori vasoattivi: contribuiscono alla formazione di essudato attraverso aumento di vasodilatazione, permeabilità e adesività. Fattori chemiotattici: guidano le cellule infiammatorie, soprattutto i fagociti, dal letto vascolare al tessuto target. 62 CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA NATURA Non proteica o Amine vasoattive: istamina, serotonina o Ossido nitrico o Fosfolipidi di membrana: acido arachidonico, fattore attivante le piastrine (PAF) Proteica: citochine AMINE VASOATTIVE Istamina: prodotta da mastociti, basofili, piastrine Serotonina: prodotta dalle piastrine Sono preformate e immagazzinate nella cellula, per cui sono tra i primi mediatori ad essere rilasciati durante l'infiammazione. Inducono vasodilatazione ed aumentano la permeabilità vascolare. ISTAMINA Il principale mediatore chimico è l’istamina, soprattutto in polmoni, tratto gastrointestinale e cute. Esplica principalmente 3 azioni: 1. Media la vasodilatazione attivando i recettori H1/H2 presenti sull’endotelio dei capillari e sulla muscolatura liscia che controlla il microcircolo capillare → rilassamento muscolatura liscia. 2. Favorisce l’aumento di permeabilità: l’istamina agisce sulle cellule endoteliali e, facendole contrarre, aumenta la permeabilità. 3. Media l’adesione dei neutrofili Ha però un effetto particolare, cioè stimola le terminazioni nervose generando prurito. L’effetto mediato dall’istamina ha una durata molto breve perché l’istamina è degradata dall’istaminidasi presente nei neutrofili e esosinofili. Per quanto riguarda l'infiammazione, il recettore più importante è I'H1, posto sulle cellule endoteliali. Si tratta di un recettore a 7 domini transmembrana accoppiato a proteine Gq ed agisce con un aumento del calcio intracellulare tramite attivazione della fosfolipasi C. A valle, una via di segnale Ca2+ dipendente provoca l’attivazione dell’enzima NO sintasi, che produce ossido nitrico o ossido di azoto (NO). OSSIDO DI AZOTO (NO) È un gas solubile, prodotto da cellule endoteliali, macrofagi e certi neuroni. Ha azione paracrina (emivita di secondi), è lipo-solubile e piccolo (facile attraversamento membrane cellulari). Ha una potente azione: Vasodilatatrice, attraverso il blocco del rilascio di Ca2+ nella muscolatura liscia. Battericida: nei macrofagi una NO sintasi inducibile dallo stato infiammatorio è utilizzata per produrre NOS. Sulla muscolatura liscia bronchiale l’effetto dell’istamina è diverso. I recettori H1, in questo caso, inducono contrazione → asma tipica degli stati allergici. Dal punto di vista della pratica terapeutica di asma, riniti, orticaria, dermatiti allergiche ed eventuali punture di zanzara, si utilizzano antagonisti dei recettori H1 detti antistaminici. MEDIATORI LIPIDICI DELL’INFIAMMAZIONE: PROSTAGLANDINE E LEUCOTRIENI Sono dei mediatori che entrano in gioco successivamente all’istamina in quanto non presintetizzati. La via biosintetica di questi è il bersaglio dei farmaci anti-infiammatori. Sono molecole di natura lipidica in quanto derivano dall’acido arachidonico, un acido grasso polinsaturo componente delle membrane biologiche. Durante il processo infiammatorio, nei leucociti, cellule endoteliali o 63 mastociti, l’istamina attiva una fosfolipasi A2 che lo libera dai fosfolipidi di membrana ed esso diventa il substrato di due vie metaboliche alternative, che danno origine alle due famiglie di eicosanoidi: Prostanoidi (prostaglandine, prostacicline e trombossani), prodotti dall’enzima ciclossigansi Leucotrieni, prodotti dalle lipossigenasi Prostaglandine e leucotrieni hanno la stessa azione dell’istamina di mediatori vasoattivi. I leucotrieni hanno, rispetto alle prostaglandine, anche attività chemiotattica (in particolare il leucotriene B4). I leucotrieni sono coinvolti in reazioni asmatiche e allergiche, e agiscono in modo tale da sostenere e amplificare localmente i processi infiammatori. Causano broncocostrizione. 18 aprile 2024 I derivati dell’acido arachidonico hanno anche funzioni fisiologiche, oltre che immunologiche: Proteggono la mucosa intestinale (PGE2) Regolano l’equilibrio idroelettrico nel rene Regolano l’emostasi: o Stimolano l’aggregazione piastrinica (trombossani) o Inibiscono l’aggregazione piastrinica sull’endotelio (prostacicline) 64 DIFFERENZE TRA COX-1 E COX-2 COX-1 COX-2 Enzima housekeeper, Inducibile nell'infiammazione costitutivamente espresso in alcuni Costitutivamente espressa negli tessuti Espressione endoteli a basse conc. e nel rene Presente nella maggior parte degli Assente nelle piastrine (e endoteli ovviamente, non inducibile) Presente nelle piastrine Protezione della mucosa gastrica Aggregazione piastrinica Vasodilatazione Funzioni (trombossani) Aumento della permeabilità Azione anti-aggregante piastrinica Febbre (prostacicline) FANS non selettivi Inibitori FANS non selettivi2 FANS selettivi (per COX-2, una minoranza dei FANS) Un uso continuativo di FANS non selettivi può essere problematico per il blocco della COX-1 e quindi della perdita delle sue funzioni fisiologiche. Ad esempio, minore protezione della mucosa gastrica → ulcere. AZIONE ANTI-INFIAMMATORIA DEL CORTISONE Il cortisone, piuttosto che bloccare le ciclossigenasi, inibisce la fosfolipasi A2 (quindi impedisce la liberazione dell’acido arachidonico) ed inibisce l’espressione del gene per la COX-2. Impedendo la sintesi anche dei leucotrieni, e quindi bloccando la broncocostrizione, ha un effetto terapeutico contro l’asma. MEDIATORI DI ORIGINE PROTEICA: LE CITOCHINE Esistono citochine pro e antinfiammatorie. La produzione di citochine nella sede di una lesione regola le risposte infiammatorie a partire dalle modificazioni iniziali della permeabilità vascolare fino al recupero della integrità tessutale Agiscono come molecole infiammatorie con azione autocrina, paracrina o endocrina. La maggior parte delle cellule producono citochine ed il pattern di produzione differisce da cellula a cellula. Il macrofago produce una notevole quantità e varietà di citochine regolatorie della risposta infiammatoria, rappresentando così la cellula principale in questo processo. Anche nel caso di una lesione locale, una piccola quantità di citochine pro-infiammatorie prodotte raggiunge attraverso la circolazione sistemica, il fegato, dove stimolano la produzione di altre proteine utili alla risposta difensiva. EFFETTI LOCALI E SISTEMICI DELLE CITOCHINE A livello locale, le citochine TNFα e IL-1, hanno effetto su: Endotelio vascolare o Induzione di PGI2 e NO o Induzione di chemochine e molecole di adesione (per il reclutamento delle cellule circolanti) o Aumento della permeabilità 2 Farmaco Antinfiammatorio di origine Non Steroidea 65 o Rilascio di ulteriore IL-1 Fagociti o Aumento delle capacità adesive o Aumento dell’attività fagocitica o Aumento delle capacità citotossiche: aumento espressione iNOS (ossido nitrico sintasi inducibile, produce NO) e NADPH ossidasi (produzione di ROS) o Produzione e rilascio di IL-1, IL-6 Le stesse citochine, insieme all’IL-6, quando raggiungono quantità elevate hanno anche effetti sistemici protettivi in: Cervello: febbre Fegato: proteine della fase acuta Midollo osseo: produzione di leucociti MEDIATORI DI ORIGINE PLASMATICA: IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO Insieme di molecole plasmatiche circolanti in forma inattiva che raggiungono la sede del danno grazie all’aumento di permeabilità e sono attivate localmente. Ha un ruolo nella difesa dai microbi in quanto: Forma prodotti che inducono la lisi di agenti patogeni e delle cellule da essi alterate (complesso MAC) Alcuni componenti del complemento funzionano da opsonine (facilitano la fagocitosi) Alcuni frammenti innescano e amplificano la reazione infiammatoria (anafilotossine, inducono la degranulazione dei mastociti) Alcuni componenti sono fattori chemiotattici EFFETTI SISTEMICI DELL’INFIAMMAZIONE La reazione infiammatoria ha effetti prevalentemente localizzati al sito di danno. In alcuni casi può verificarsi anche una reazione sistemica dell'organismo mediata dalla secrezione di elevate quantità di citochine, quali IL-1, TNF-α, IL-6, IFN-γ, soprattutto da parte dei macrofagi. Queste citochine attraverso il sangue raggiungono vari organi (effetto endocrino), stimolando le cellule che ne esprimono i recettori specifici a livello di fegato (produzione di proteine di fase acuta), midollo osseo (rilascio di cellule immunitarie), apparato muscolo-scheletrico, SNC (responsabile della febbre) e cuore. Le alterazioni sistemiche conseguenti alla infiammazione determinano la reazione di fase acuta, o sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS). Le proteine della fase acuta sono importanti perché attivano il sistema del complemento e sono opsonine, quindi stimolano la fagocitosi dei patogeni. Nel midollo osseo le citochine pro-infiammatorie stimolano la proliferazione dei precursori emopoietici e quindi la messa in circolo di polimorfi nucleati e monociti per sostenere la risposta immunitaria. Le citochine pro-infiammatorie (pirogeni endogeni) non agiscono direttamente sull’ipotalamo, centro della termoregolazione, ma, nelle cellule endoteliali della barriera emato-encefalica, stimolano la produzione di mediatori lipidici (prostaglandina E2, da parte della COX-2). La prostaglandina E2, essendo di natura lipidica, è in grado di raggiungere l’ipotalamo e in esso ha effetto pirogeno. L’aumento di temperatura compromette la capacità di batteri e virus di moltiplicarsi e attiva il sistema immunitario. La principale classe di pirogeni esogeni, in grado di causare la produzione di pirogeni endogeni sono le endotossine (tra cui l’LPS): componenti della parete cellulare dei batteri che vengono liberati quando questi sono distrutti. 66 La termoregolazione è sotto il controllo di centri termoregolatori situati nella regione preottica dell'ipotalamo i quali ricevono segnali termici locali (temperatura del sangue circolante) e periferici (termorecettori superficiali e profondi). I neuroni presenti nei centri termoregolatori sono sensibili a variazioni positive o negative della temperatura corporea rispetto alla temperatura di riferimento (37° C). Quando la temperatura si sposta da quella di riferimento vengono innescati processi termogenetici o termodispersivi atti a mantenere l'omeostasi. Per realizzare lo stato febbrile sono coinvolti il tessuto adiposo e muscolare, in cui aumentano tutti i processi ossidativi, con aumento del metabolismo basale che si innalza di circa il 4% quando la temperatura raggiunge i 39°C. Vengono innanzitutto utilizzati i carboidrati, se la febbre si protrae, vengono metabolizzati: acidi grassi, con possibile chetonemia e chetonuria che producono acidosi. proteine endogene, con distruzione delle proteine muscolari → perdita di peso ed eccessiva eliminazione dell’azoto con le urine. La maggiore evaporazione di acqua con il sudore con la respirazione provoca oliguria (riduzione della quantità giornaliera di urina). MECCANISMI DI TERMOREGOLAZIONE Meccanismi termodispersivi: o Vasodilatazione o Trasferimento di calore (conduzione, convezione, evaporazione) Meccanismi termoconservativi/termogenetici: o Diminuzione della termodispersione (vasocostrizione) o Aumento della termogenesi INTERFERENZE DELLA FEBBRE SU ORGANI ED APPARATI Apparato cardiocircolatorio: compare tachicardia (aumento di 8 pulsazioni/minuto per ogni °C di temperatura superiore a 37°C). Apparato respiratorio: si verifica aumento della frequenza degli atti respiratori (polipnea) per stimolazione dei centri respiratori. Apparato digerente: comparsa di fenomeni di anoressia (mancanza di appetito) che possono associarsi a nausea e vomito. Sistema nervoso: quando la temperatura raggiunge livelli molto elevati si può avere il delirio. LEUCOCITOSI IL-1, TNF-α e altre citochine, quali GM-CSF e M-CSF (CSF = colony stimulating factor) stimolano nel midollo osseo la maturazione ed il rilascio in circolo dei leucociti coinvolti nella reazione infiammatoria. Il tipo di linfociti indotto dipende dall’agente infettivo: neutrofili (neutrofilia): maggior parte delle infezioni batteriche eosinofili (eosinofilia): asma bronchiale, infiammazioni da parassiti linfociti (linfocitosi): mononucleosi infettiva, rosolia monociti (monocitosi): nelle infiammazioni croniche PCR E SUE FUNZIONI Nel fegato l’IL-6 stimola la produzione delle proteine della fase acuta (e.g. proteina C reattiva, fibrinogeno), a scapito delle proteine prodotte in una situazione normale, come l’albumina. 67 Proteina C reattiva (pentamerica, è una pentrassina) lega il Polisaccaride C del pneumococco, scoperta nel siero di pazienti affetti da polmonite batterica. Ha diverse funzioni: Riconosce le cellule morte e ne facilita la fagocitosi legandosi alla fosfatidilcolina delle membrane di cellule morenti. Aumenta la chemiotassi Aumenta l'attività fagocitica (si comporta da opsonina): si lega alle membrane dei batteri (es. polisaccaride C del pneumococco) e attiva il complemento, facilitando la distruzione. AUMENTO DELLA VES In conseguenza dell’aumento del fibrinogeno si ha aumento della VES (velocità di sedimentazione degli eritrociti): il fibrinogeno si lega agli eritrociti e maschera le cariche negative che normalmente tenderebbero ad allontanarli. A causa di ciò essi tendono ad impilarsi, formando dei rouleaux che avendo un peso maggiore dei singoli eritrociti precipitano più rapidamente. Questo test permette in modo rapido (circa 1 h) di sapere se si è verificato un danno tissutale e quanto sia grave il danno. La VES riflette la risposta di fase acuta. SHOCK SETTICO Termine utilizzato per raggruppare una serie di eventi fisiopatologici che portano al collasso del sistema circolatorio causando il quadro clinico della sindrome da insufficienza multipla di organi (MOFS) che può provocare la morte del paziente. I prodotti batterici (il più importante: LPS dei Gram-) attivano a livello sistemico i fagociti mononucleati, che producono grandi quantità di IL-1, TNF e IL-6. La patogenesi dello shock settico dipende dall' induzione massiva di citochine infiammatorie primarie da parte dei leucociti. Lo shock settico si manifesta come una profonda alterazione emodinamica (→ trombi disseminati) che porta ad una inadeguata perfusione sanguigna del microcircolo, con conseguente ipoperfusione di organi vitali. La conseguenza è collasso circolatorio come meccanismo compensativo. ESITI DEL PROCESSO INFIAMMATORIO ACUTO L’esito del processo infiammatoria acuto dipende dalla rimozione o meno della causa d’infiammazione. Se la causa d’infiammazione è rimossa, l’organismo può attuare i processi di guarigione, se invece permane, l’infiammazione diventa cronica. IL PROCESSO DI GUARIGIONE Il processo di guarigione corrisponde alla fase in cui si ha: 1. scomparsa dei sintomi 2. recupero funzionale Il modo in cui si guarisce, quando la causa è rimossa, dipende dall’entità del danno e dal potenziale rigenerativo delle cellule danneggiato. La guarigione può essere, in modo mutuamente esclusivo, per: Risoluzione Rigenerazione Riparazione RISOLUZIONE COMPLETA Si verifica quando lo stimolo e la durata del processo, e quindi i danni, sono di scarsa entità (assenza di necrosi) e reversibili. Ritorno del tessuto alla completa normalità. Essa prevede: 68 Neutralizzazione o perdita spontanea di attività dei mediatori chimici con il successivo ripristino della normale permeabilità vascolare; Cessazione dell’infiltrato leucocitario; Morte (in gran parte per apoptosi) dei neutrofili, poi fagocitati dai macrofagi; Rimozione dei liquidi e delle proteine dell’essudato, dei leucociti, degli agenti estranei e dei detriti cellulari da parte dei vasi linfatici. La via delle lipossigenasi porta alla formazione di mediatori pro- infiammatori ed antinfiammatori, tra questi ultimi le lipossine. La loro produzione avviene generalmente in una fase tardiva dell’infiammazione, successivamente ai leucotrieni, per la tarda attivazione delle 12 e 15- lipossigenasi. Le lipossine, assieme alle resolvine (mediatori lipidici prodotti a partire degli omega 3), prodotte soprattutto da monociti, macrofagi, neutrofili e cellule endoteliali, hanno la funzione di ridurre la risposta infiammatoria. A termine dello stimolo infiammatorio, quindi, il microambiente si arricchisce velocemente di mediatori antinfiammatori a discapito di quelli pro-infiammatori, grazie anche alla breve emivita che caratterizza queste citochine. I mediatori lipidici, come lipossine e resolvine, bloccano l'afflusso di neutrofili, mentre stimolano quello dei monociti. I macrofagi fagocitano neutrofili apoptotici, e questo stimola l’attivazione di un programma pro-risoluzione che vede la produzione delle citochine anti-infiammatorie IL-10 e TGF-beta (M2). RIGENERAZIONE Ricostituzione completa dell’architettura e funzione del tessuto danneggiato per proliferazione delle cellule specializzate presenti in un dipartimento staminale associato al tessuto. La rigenerazione è possibile in tessuti labili, come epiteli e mucose, e in alcuni tessuti composti da cellule stabili come il fegato: se il danno è isolato, gli epatociti possono rientrare nel ciclo cellulare e, proliferando, ricostituire il parenchima perso (processo di rigenerazione). Nel caso di un’estesa perdita di tessuto, avverrà invece il processo di riparazione con la formazione di tessuto cicatriziale e potenziale perdita di funzionalità. RIPARAZIONE A livello cardiaco (cellule perenni) invece è possibile solo il processo di guarigione attraverso riparazione e non rigenerazione, in caso di infarto, infatti, si forma una cicatrice nell’area in cui i cardiomiociti sono morti e la capacità contrattile è persa. Sostituzione del tessuto danneggiato con tessuto connettivo e formazione di cicatrice permanente. È un processo complesso che dura diverse settimane e implica la formazione di un tessuto temporaneo, detto tessuto di granulazione, ricco di capillari neoformati che hanno lo scopo di fornire ossigeno e nutrienti e rimuovere cataboliti nell’'area dove deve formarsi la cicatrice. Questo processo avviene attraverso le seguenti fasi: 1. Proliferazione delle cellule endoteliali e formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) al margine del tessuto danneggiato attraverso ramificazioni delle cellule endoteliali. 2. Migrazione e proliferazione dei fibroblasti, innescate da fattori di crescita e citochine 3. Deposizione della matrice extracellulare (ECM) sintetizzata dai fibroblasti. Regressione dei vasi 4. Rimodellamento, mediato da metalloproteasi che degradano il collagene 69 23 aprile 2024 EVENTI TERMINALI DEL PROCESSO INFIAMMATORIO 1. Ritorno alla normale permeabilità vascolare 2. Drenaggio del fluido edematoso e delle proteine nel sistema linfatico o tramite pinocitosi nei macrofagi 3. Fagocitosi dei neutrofili apoptotici e dei detriti necrotici 4. Disimpegno dei macrofagi I macrofagi producono fattori di crescita che iniziano il successivo processo di riparazione (angiogenesi, reclutamento fibroblasti, etc.). RUOLO DEI FATTORI GENERALI SUL PROCESSO DI GUARIGIONE Età: gli anziani tendono a guarire più lentamente a causa della senescenza delle cellule che compongono i tessuti labili e stabili. Una dieta carente in: o Proteine: la deplezione di amminoacidi essenziali impedisce la sintesi della ECM. o Vitamina C: componente del collagene e implicato nella coagulazione Terapie cortisoniche sopprimono il processo infiammatorio, quindi, ostacolano la formazione del tessuto di granulazione. RUOLO DEI FATTORI LOCALI SUL PROCESSO DI GUARIGIONE Il movimento mantiene stress meccanici La presenza di infezione nel tessuto prolunga lo stato di danno Uno scarso apporto di sangue rallenta il raggiungimento in loco dei fattori di cicatrizzazione IL PROCESSO DI GUARIGIONE DELLE FERITE CUTANEE Si articola in 3 fasi che si susseguono e che sono parzialmente sovrapposte temporalmente: 1. Emostasi e fase infiammatoria 2. Fase proliferativa con formazione di tessuto di granulazione e angiogenesi 3. Fase di rimodellamento e cicatrizzazione FASE INFIAMMATORIA ED EMOSTASI Caratterizzata dall’emostasi (risposte finalizzata al blocco della fuoriuscita di sangue) e dall’infiammazione e dall’inizio della migrazione degli elementi epiteliali. Il suo obiettivo è limitare il danno tissutale: Fermando il sanguinamento Impermeabilizzando la superficie della ferita Rimuovendo tessuti necrotici, corpi estranei e batteri EMOSTASI I vasi danneggiati mettono in contatto il collagene IV e V con le piastrine (elementi circolanti privi di nucleo) promuovendone l’aggregazione. Le piastrine vengono attivate e secernono una serie di molecole contenute in granuli: PDGF (fattore di crescita derivante dalle piastrine) Fibronectina TGF-β 70 Fibrinogeno IGF-1 Trombospondina VWF PDGF e altri fattori di crescita chemotattici richiamano neutrofili, macrofagi e linfociti dal circolo. Inoltre, le piastrine rilasciano serotonina che causa vasodilatazione ed aumento della permeabilità capillare. Cascata della coagulazione: il fibrinogeno è attivato dalla trombina per formare la fibrina. Le maglie di fibrina, oltre a imbrigliare piastrine e globuli rossi per formare il coagulo, forniscono anche l’impalcatura per l’adesione, l’organizzazione e proliferazione delle altre cellule coinvolte nel processo di guarigione: Cellule endoteliali Cellule infiammatorie Fibroblasti INFIAMMAZIONE La serotonina secreta dalle piastrine e l’istamina secreta dai mastociti aumentano la permeabilità vascolare. La fase cellulare dell’infiammazione è caratterizzata da accumulo di PMN e macrofagi. I macrofagi: Eliminano detriti e corpi apoptotici Producono enzimi che favoriscono il rimodellamento della matrice Secernono fattori di crescita che stimolano la proliferazione dei fibroblasti, la secrezione di collagene e l’angiogenesi Coordinano l’iniziale sviluppo del tessuto di granulazione. Si forma il tessuto di granulazione: modificazione istologica del connettivo indotta da infiammazione acuta. Da un punto di vista istologico, il tessuto di granulazione è caratterizzato da un altissimo livello di cellularità. Presenta: Fitta rete di microcapillari Fibroblasti Macrofagi Fibre di collagene, fibronectina, acido ialuronico I fibroblasti stimolati dai macrofagi secernono grandi quantità di collagene e fibronectina che costituiscono una matrice tridimensionale per lo scorrimento di nuovi vasi (angiogenesi) e del nuovo epitelio. TESSUTO DI GRANULAZIONE È ricchissimo di micro-capillari derivanti dalle cellule endoteliali originate dai vasi pre-esistenti (normalmente tessuti stabili) e dal sangue periferico (cellule endoteliali progenitrici circolanti). L’angiogenesi ha la funzione di portare ossigeno, nutrienti, fattori di crescita, anticorpi, necessari al proseguimento degli eventi di riparo. È necessaria per il proseguimento degli eventi di riparo e viene stimolata da diverse citochine: FGF (fattore di crescita dei fibroblasti) TGF-α, TGF-b (fattore di crescita trasformante) TNF-α (Fattore di necrosi tumorale) VEGF (Fattore di crescita dell’endotelio vascolare), prodotto dai macrofagi, stimola la proliferazione delle cellule endoteliali pre-esistenti. 71 L’endotelio è classificato come un tessuto stabile che normalmente non va incontro a proliferazione ma che può farlo se stimolato da questi fattori di crescita. VEGF è ampiamente studiato perché ha il ruolo anche nel contesto neoplastico in tumori di natura maligna, in cui stimolare l’angiogenesi e la diffusione del tumore primario. Una strategia terapeutica è quindi l’utilizzo di anti-VEGF mAbs. Un tipo di angiogenesi detta vasculogenesi è fisiologica e si verifica durante l’accrescimento del feto nell’utero materno, in cui si forma una rete vascolare primitiva che si sviluppa durante la gestazione. Negli adulti un’angiogenesi fisiologica si verifica ciclicamente nell'apparato riproduttivo femminile per ricostituire il rivestimento dell'utero sfaldatosi con le mestruazioni. Fibroplasia: proliferazione fibroblasti. La matrice provvisoria di fibrina viene progressivamente sostituita dal tessuto cicatriziale. I fibroblasti, con il progredire del processo di guarigione, vengono stimolati a produrre nuovo collagene, elastina e glicoproteine che rimpiazzano la matrice provvisoria di fibrina e iniziano a formare la cicatrice. Il collagene è la molecola dominante nel contesto della matrice della ferita e del tessuto cicatriziale. Costituisce una sottile maglia che conferisce resistenza alla tensione. Durante il rimodellamento del tessuto cicatriziale diversi tipi di collagene si susseguono. RIEPITELIZZAZIONE Inizia già nelle prime ore dopo la ferita. Segue sempre un’ordinata sequenza di eventi: I. Mobilizzazione cellule dallo strato basale II. Migrazione III. Mitosi IV. Differenziamento cellulare in cheratinociti RIMODELLAMENTO Inizia circa 3 settimane dopo l’insulto iniziale e dura fino ad un anno. I. La matrice iniziale di fibrina è sostituita da collagene di tipo III. II. Segue una fase in cui non si osserva un aumento della quantità totale di collagene ma la maggior parte del collagene III è sostituito dal collagene I, più resistente alla trazione. III. Produzione anche di fibre elastiche e GAG. IV. Le fibre di collagene cominciano a orientarsi in base alle linee di trazione delle forze meccaniche locali. La resistenza alla tensione di una cicatrice, in ogni caso, non sarà mai uguale a quella del tessuto originario. CONTRAZIONE DELLA FERITA Responsabili della contrazione sono i fibroblasti del tessuto di granulazione che, dopo aver terminato la loro attività di secrezione, si trasformano in parte in miofibroblasti. I miofibroblasti sono simili alle cellule della muscolatura liscia e contengono actomiosina: i miofibroblasti si contraggono tendendo contemporaneamente le fibre di collagene. In questo modo il tessuto cicatriziale si restringe e si ha la contrazione della ferita. TIPI DI GUARIGIONE DEL TESSUTO CUTANEO PER RIPARAZIONE Può essere classificata in due tipi in base alla tipologia di ferita e sulla distanza tra i due lembi formatisi ai margini della ferita: 1. Per prima intenzione 2. Per seconda intenzione 72 PRIMA INTENZIONE I margini della ferita sono uniti (sutura chirurgica) La lesione è asettica Rigenerazione efficace. Tessuto di granulazione poco esteso Contrazione scarsa/assente Tempi rapidi. No cicatrice o cicatrice molto piccola SECONDA INTENZIONE La ferita è ampia e aperta La distruzione tissutale è abbondante ed interessa epidermide e derma L’ambiente della ferita rimane in uno stato infiammatorio finché non inizia il processo di riepitelizzazione Abbondante tessuto di granulazione Si forma una cicatrice ampia che tende a contrarsi (retrazione cicatriziale) CICATRIZZAZIONE ECCESSIVA Cicatrice ipertrofica è: Arrossata (iperemica) Cordone in rilievo Reversibile I cheloidi invece sono lesioni cicatriziali che crescono oltre il confine di una lesione cutanea per eccessiva e sregolata proliferazione di fibroblasti nel derma profondo, i quali producono abnormi quantità di collagene. La sovrapproduzione di collagene, a sua volta, conferisce una consistenza solida alla cicatrice. INFIAMMAZIONE CRONICA Esistono forme di infiammazione acute e croniche (a seconda della natura dello stimolo e del successo con cui la reazione iniziale elimina lo stimolo stesso). L’infiammazione cronica è una risposta infiammatoria di durata prolungata, per mancata cessazione dello stimolo lesivo. INFIAMMAZIONE ACUTA Esordio rapido (secondi o minuti) Durata relativamente breve (da pochi minuti a diverse ore, fino ad alcuni giorni) Formazione di un essudato composto da liquido e proteine del plasma (edema) Migrazione dei leucociti, soprattutto neutrofili Guarigione successiva all’infiammazione INFIAMMAZIONE CRONICA Maggiore durata (settimane, mesi, anni) Presenza di linfociti e macrofagi Infiammazione e tentativi di guarigione simultanei (per incapacità di rimuovere la causa prima di infiammazione) Proliferazione di vasi sanguigni Fibrosi e necrosi tissutale 73 ALTERAZIONI MORFOLOGICHE NELL’INFIAMMAZIONE CRONICA Alterazioni vascolari (sia di flusso che di permeabilità) meno evidenti Infiltrazione cellulare rilevante, con tendenza a decrescere e a mutare nel tempo, caratterizzata da: o scarsa componente neutrofila (con poche eccezioni) o rilevante componente macrofagica, con possibile evoluzione verso forme peculiari (cellule epitelioidi) o componente eosinofila (leucociti normalmente attivi in presenza di parassiti pluricellulari → fattore diagnostico) Ruolo più rilevante della componente immunitaria specifica o linfociti T, plasmacellule Concomitanti processi infiammatori e di danno e riparo tissutale PATOGENESI DELL’INFIAMMAZIONE CRONICA 1. Può fare seguito ad un episodio infiammatorio acuto protratto nel tempo a. per mancata eliminazione dell’agente eziologico b. se sussistono alterazioni immunologiche a carico della risposta cellulo-mediata (e.g. malattia granulomatosa cronica, causata da un difetto nella NADPH ossidasi, responsabile della sintesi di ROS nei macrofagi) o della risposta umorale (agammaglobulinemia) 2. Può essere determinata da episodi acuti ricorrenti a. risoluzione temporanea seguita dal ripetersi di altri episodi (ulcera peptica; cistite cronica) Istologia: Concomitanza di quadri infiammatori acuti canonici e di processi riparativi. Si ha progressiva deposizione di tessuto collagene con evoluzione verso quadro di fibrosi diffusa. 3. Può esordire sin dall’inizio con caratteristiche tipiche dei processi cronici a. reazioni autoimmuni a lenta evoluzione (artrite reumatoide 3, lupus eritematoso4, sclerodermia5, tiroidite di Hashimoto, tiroidite di Graves, epatite virale) dovute alla risposta immunitaria (anomala) verso autoantigeni b. da agenti intracellulari a bassa tossicità ma resistenti alla eliminazione per fagocitosi, in grado di indurre una risposta immunitaria specifica (con frequente evoluzione granulomatosa) (batteri: tubercolosi, lebbra; protozoi: sifilide, schistosomiasi; miceti: aspergillosi) c. protratta esposizione a sostanze tossiche non degradabili e non fagocitabili (reazioni da corpo estraneo; esposizione ad asbesto e silice). Tali materiali, come plastica, metalli, frammenti di legno, possono penetrare tramite le ferite. Altri, come la polvere di silice (causa la silicosi, infiammazione cronica del polmone) possono essere inalate. Istologia: assenza o quasi di una vera e propria fase acuta. Presenza di rilevante danno tissutale immuno-mediato. Infiltrato cellulare di tipo mononucleato (linfociti e monociti). Coesistenza di processi riparativi con evoluzione fibrosa. REAZIONE INFIAMMATORIA CRONICA GRANULOMATOSA In alcuni tipi di infiammazioni croniche macrofagi e linfociti si organizzano a formare lesioni chiamate granulomi: lesioni di tipo cronico costituite da cellule infiammatorie mononucleate, tendenzialmente a disposizione concentrica, con dimensione variabile. Riassume nella sua composizione le principali componenti cellulari coinvolte nella riposta infiammatoria. La composizione del granuloma riflette le diverse fasi del processo infiammatorio: i granulomi neoformati sono riccamente cellularizzati mentre quelli più vecchi sono meno popolati. 3 Che riguarda articolazioni, cute, vasi sanguigni, etc. 4 Infiammazione cronica che causa artriti, ulcerazioni orali o nasofaringee, sierositi, disturbi renali etc. 5 Eccessiva fibrosi in tutto il corpo. 74 STIMOLI CHE POSSONO CAUSARE UNA REAZIONE INFIAMMATORIA CRONICA GRANULOMATOSA BATTERI Mycobacterium tubercolosis (tubercolosi) Mycobacterium leprae (lebbra) Treponema pallidum (sifilide) Brucella (brucellosi) FUNGHI O PARASSITI Criptococcus Aspergillus Schistosoma CORPO ESTRANEO asettico (talco, asbesto, silice, punti di sutura) non asettico (schegge, chiodi, spine…) PNEUOCONIOSI Malattie professionali causate dall'inalazione prolungata di polveri e dal deposito nel parenchima polmonare di particelle solide non removibili (comprese tra 0,5 e 5 μm) con formazione di granulomi e una progressiva fibrosclerosi del parenchima polmonare e una conseguente insufficienza cardio-respiratoria. Silicosi: Pneumoconiosi conseguente all'inalazione di polveri silicee in forma cristallina. La forma di silice cristallina più comune in natura è il quarzo. Colpisce soprattutto i lavoratori delle miniere, delle cave, dell'industria della ceramica e del vetro. Le polveri di silicio provocano negli alveoli polmonari uno stimolo irritativo con formazione di granulomi e una progressiva fibrosclerosi del parenchima polmonare. Asbestosi: dovuta a inalazione di polvere contenente fibre di amianto. È una tipica malattia professionale dei lavoratori adibiti alla tessitura di fibre di asbesto, alla preparazione di pannelli coibentanti, di pasticche per i freni a disco e di frizioni per autoveicoli, ecc. Berilliosi: causata da esposizione a vapori o a polveri contenenti particelle solide di berillio o di suoi composti presenti nelle industrie nucleari e aerospaziali. L'esposizione cronica porta a una reazione granulomatosa con fibrosi che interessa diffusamente i polmoni e progredisce verso l'insufficienza respiratoria. GRANULOMA DA CORPO ESTRANEO (GRANULOMA NON IMMUNOLOGICO) Materiale relativamente inerte, come talco o materiale di sutura, scarsamente solubile e non capace di stimolare una risposta infiammatoria, con dimensioni tali da consentire fagocitosi. Il corpo estraneo viene circondato dalle cellule epitelioidi e cellule giganti (derivanti da fusione di numerose cellule epitelioidi) e quindi isolato. INFIAMMAZIONI GRANULOMATOSE SU BASE IMMUNITARIA Tubercolosi: Mycobacterium Tubercolosis Lebbra: Mycobacterium Leprae Sifilide: Treponema pallidum 75 Granuloma contenente sferule di Coccidioides immitis (un fungo che causa polmonite) Il fungo è inglobato da una cellula gigante. TUBERCOLOSI Le persone affette da tubercolosi nel mondo sono ca. 1.7 miliardi, con 10 milioni di nuovi casi e 1.7 milioni di decessi ogni anno. Negli ultimi anni l’incidenza è aumentata in quanto si associa all’HIV e ad altre patologie diffuse: malattie polmonari e renali croniche, malnutrizione, alcolismo (e alla povertà). L’infezione è dovuta a Mycobacterium tuberculosis. L’infezione primaria avviene attraverso i macrofagi alveolari: il micobatterio è fagocitato. Una volta nel macrofago, il batterio blocca la fusione fagosoma/lisosoma (inibendo segnali del Ca2+ e il reclutamento delle proteine di fusione) e si replica nel fagosoma. Si ha quindi batteremia primaria, generalmente asintomatica o con sintomi lievi di tipo influenzale. Dopo 3 settimane dall’infezione si attiva una risposta immunitaria da parte di linfociti T, dovuta ad antigeni micobatterici che arrivano ai linfonodi e stimolata dall’IL-12. I T attivano i macrofagi, che fagocitano i batteri. Inoltre, i macrofagi attivati producono TNF e chemochine che reclutano ulteriori monociti. Nel sito di infezione questi si trasformano in istiociti epitelioidi e si ha la formazione di granulomi e necrosi caseosa. In alcuni individui, a questo stadio l’infezione viene contenuta. In altri (es. immunosoppressi) procede e provoca danno tissutale esteso. GRANULOMA TUBERCOLARE Il granuloma è un’aggregazione di macrofagi che assumono un aspetto di cellula epiteliale (cellule epitelioidi) e formano noduli che possono avere dimensioni di millimetri. Frequentemente le cellule epitelioidi si fondono in cellule giganti multinucleate (fino a 20 nuclei) che si localizzano alla periferia o al centro del granuloma. Nella maggioranza dei casi le cellule epitelioidi sono circondate da linfociti. Le aree di infiammazione granulomatosa vanno incontro a necrosi. I granulomi più vecchi presentano fibroblasti e tessuto connettivo che circondano il granuloma. Nel caso in cui il granuloma si rompa e fossero rimasti batteri vivi si possono sviluppare tubercolosi renali, biliari etc. 76 INTERAZIONI MACROFAGO/LINFOCITARIE NELL’INFIAMMAZIONE CRONICA Le interazioni macrofago-linfocitarie sono alla base del meccanismo che provoca l’infiammazione cronica: Macrofagi e linfociti si attivano a vicenda tramite la produzione di citochine: il macrofago produce IL-1 e TNF e attiva il linfocita; il linfocita attivato produce IFN-Ƴ e attiva il macrofago L’ attivazione stimola la produzione di mediatori chimici come: NO, metaboliti reattivi dell’O2, proteasi che provocano danno tissutale Citochine e fattori chemiotattici che provocano l’afflusso di cellule Fattori di crescita che determinano la proliferazione dei fibroblasti, la produzione di collagene e l’angiogenesi CARATTERISTICA DEI GRANULOMI IMMUNOLOGICI Necrosi tissutale, che al taglio a fresco ha un aspetto biancastro: necrosi caseosa L’area di necrosi caseosa occupa il centro del granuloma Alla periferia si trova infiltrato linfocitario (linfociti T CD4+) Esempio di granuloma immunologico: il granuloma tubercolare 30 aprile 2024 INFIAMMAZIONE SILENTE Nell’infiammazione (o low grade inflammation) silente i classici segni dello stato infiammatorio acuto (calore, rossore, dolore e gonfiore) non compaiono. L’infiammazione classica è causata da un’infezione o danno, è forte, di breve durata e, nella maggior parte dei casi, si conclude. L’infiammazione cronica è invece di minore intensità ma rimane nel tempo senza esaurirsi, causa una risposta sistemica e predispone il soggetto allo sviluppo di altre patologie. L'infiammazione acuta classica può avere effetti sistemici tramite il rilascio di citochine pro-infiammatorie nel circolo sanguigno: il sistema nervoso centrale causa la febbre, il fegato produce le proteine della fase acuta, il midollo immette in circolo più cellule immunitarie (a seconda della causa dell’infiammazione cambia il tipo cellulare). Nel caso di una risposta classica, si ha un picco di citochine infiammatorie (IL-6, CRP) che tornano ai livelli basali tanto rapidamente quanto sono aumentati. Nell’infiammazione silente cronica le stesse citochine hanno livelli più bassi, ma persistente e che aumenta lentamente nel tempo. Nell’infiammazione cronica di basso livello vi è un aumento di 2-3 volte della concentrazione sistemica basale di TNF-α, IL-1, IL-6 e CRP. Il TNF-α è prodotto soprattutto nel tessuto adiposo. Tutte le malattie croniche conosciute, che riguardano tutti i distretti, hanno alla base uno stato infiammatorio cronico. Esso può essere responsabile di malattie neurodegenerative, tumori, diabete, ictus, IBS, dermatiti, etc. 77 INFIAMMAZIONE CAUSATA DALLA NUTRIZIONE Una dieta sbilanciata ad eccessivo apporto calorico causa obesità, questa induce uno stato infiammatorio silente a causa di: 1. Alterazioni del tessuto adiposo 2. Alterazioni al microbiota e barriera intestinale L’obesità è uno squilibrio tra le calorie introdotte (maggiori) e quelle consumate dal metabolismo basale, attività fisica e termogenesi (minori) per assunzione di un eccesso di grassi e zuccheri. È definita come un BMI uguale o maggiore di 25 kg/m2. Si manifesta come un eccessivo accumulo di tessuto adiposo sia viscerale che sottocutaneo. È il principale fattore di rischio per diabete di tipo 2 e aterosclerosi. L’obesità comune è la più frequente e si distingue dall’obesità patologica. Quest’ultima, infatti, si sviluppa con un’assunzione normocalorica a causa della presenza di altre patologie o terapie farmacologiche. L’obesità comune è aumentata negli ultimi 20 anni. Il profilo genetico può determinare la propensione all’obesità, ma l’aumento della prevalenza indica una combinazione di dieta scorretta e sedentarietà. L’obesità comune è una malattia multifattoriale, le sue cause sono: Geni e familiarità: le famiglie condividono dieta e stili di vita Fattori emotivi o psicologici come stress, depressione o bassa autostima Nutrizione: assunzione di più calorie di quante ne richieda il corpo in cibi fritti e ricchi di zuccheri Ambiente comunitario e società che scoraggiano l’attività fisica, bassa promozione dell’educazione motoria Esistono due tipi di cellule adipose: Adipociti bianchi Adipociti bruni Il tessuto adiposo predominante è composto da adipociti bianchi, ma relativa presenza dei due citotipi dipende da diversi fattori: Genetici Sesso Età Condizioni ambientali Condizioni nutrizionali Alcuni depositi sono tipicamente più ricchi di adipociti bianchi (il deposito periviscerale), altri presentano più adipociti bruni (il deposito nella regione interscapolare). Nell’uomo il tessuto adiposo bruno compone il 5% del peso corporeo del neonato e si riduce con l’età. È localizzato nelle regioni: Ascellare Sottoscapolare Interscapolare Attorno ai grandi vasi toraco-addominali Cuore Rene e surrene 78 ADIPOCITI BRUNI Sono più piccoli degli adipociti bianchi, il nucleo è in posizione centrale mentre il resto della cellula è occupata da piccoli vacuoli lipidici e molti mitocondri. Gli acidi grassi, invece che essere messi in circolo per fornire energia ad altri tessuti, sono ossidati nei mitocondri per la produzione di calore (ruolo termogenico). L’innervazione simpatica regola l’attività termogenica e l’alta vascolarizzazione permette di diffondere velocemente il calore in tutto il corpo. Il freddo causa rilascio di noradrenalina, il neurotrasmettitore si lega al recettore β3-adrenergico espresso sulla superficie degli adipociti bruni, in cui tramite una via di segnale mediata da cAMP, induce lipolisi, quindi liberazione degli acidi grassi. Gli acidi grassi attivano la proteina canale mitocondriale termogenina (o UCP1), che aumenta il passaggio passivo di protoni attraverso la membrana mitocondriale interna dissipando il gradiente protonico necessario alla sintesi di ATP. L’energia, dunque, è dissipata sotto forma di calore. ADIPOCITI BIANCHI Più prevalenti e grandi, quasi tutto il citoplasma è occupato dal vacuolo in quanto hanno funzione principale di deposito. Il tessuto adiposo bianco si localizza prevalentemente in regioni sottocutanee differenziate tra maschio e femmina e in zona viscerale. Durante il digiuno gli adipociti rilasciano gli acidi grassi contenuti nel proprio vacuolo e si “sgonfiano”. A differenza del tessuto adiposo bruno, è poco vascolarizzato. Gli adipociti bianchi e bruni sono in grado di convertirsi nell’altro tipo in base alle necessità: in caso di prolungata esposizione al freddo gli adipociti bianchi si convertono in adipociti bruni, al contrario in caso di necessità di accumulare energia sotto forma di trigliceridi gli adipociti bruni si convertono in adipociti bianchi. Nell’adattamento al freddo il tessuto adiposo diventa prevalentemente bruno, senza variare il numero di cellule adipose. Se è vero che nell’adulto l’accumulo di grassi è ottenuto per ipertrofia (no proliferazione cellulare, vs infanzia, in cui prevale l’iperplasia), nei soggetti obesi, oltre all’ipertrofia, si ha anche un aumento nel numero di adipociti (iperplasia). OBESITÀ E INFIAMMAZIONE SILENTE L'obesità è caratterizzata da un aumento dei livelli di citochine pro-infiammatorie circolanti (IL-1β, TNF-α e IL-6), dall'accumulo di leucociti (soprattutto macrofagi) nel tessuto adiposo e in altri organi, dall'attivazione dei macrofagi nel fegato e nel grasso e dall'attivazione di vie di segnalazione pro-infiammatorie in più organi. Per capire come l’obesità è coinvolta nell'infiammazione silente, è fondamentale considerare il tessuto adiposo come un organo endocrino, cioè in grado di produrre e mettere in circolo molecole che influenzano il funzionamento degli altri distretti corporei. Il tessuto adiposo è un organo dinamico, coinvolto in un'ampia gamma di processi biologici e metabolici. Gli adipociti secernono una serie di ormoni, fattori e segnali proteici, chiamati adipochine, che si associano al ruolo dell'adipocita nell' omeostasi energetica e contribuiscono al determinismo delle maggiori complicanze che accompagnano l'obesità. Tra le adipochine si hanno l’adiponectina, molecola prodotta sia dal tessuto adiposo bianco che bruno. Ha un duplice ruolo: Metabolico, in quanto aumenta la sensibilità all’insulina, contribuendo alla capacità delle cellule di assorbire il glucosio nel sangue per mantenere costante la glicemia. Dal punto di vista molecolare attiva la chinasi AMPK che attiva l’uptake del glucosio, blocca lipolisi e la gluconeogenesi nel fegato Antinfiammatorio, in quanto stimola la produzione di citochine antiinfiammatorie. Nei soggetti obesi i livelli di adiponectina sono minori, quindi sono favoriti diabete e infiammazione. 79