Psicologia Generale - PDF

Summary

Questo documento tratta di psicologia generale, focalizzandosi sul concetto di intelligenza. Vengono presentate diverse teorie sull'intelligenza, inclusi approcci differenziali e cognitivi, come la teoria triarchica e la teoria delle intelligenze multiple. Il documento spiega anche come si misurano le capacità intellettive, includendo metodi come il calcolo del QI e i test di intelligenza. Infine, esplora le differenze individuali nelle capacità intellettive e i possibili fattori influenzanti.

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Psicologia generale Parte 3 L’intelligenza Capacità di agire in maniera finalizzata, di pensare razionalmente e di interagire in maniera efficace con l’ambiente. Implica capacità mentali generiche e specifiche....

Psicologia generale Parte 3 L’intelligenza Capacità di agire in maniera finalizzata, di pensare razionalmente e di interagire in maniera efficace con l’ambiente. Implica capacità mentali generiche e specifiche. 1. Teorie 1.1 Teorie esplicite e implicite Sternberg distingue fra teorie esplicite e teorie implicite dell’intelligenza: le prime, formulate da esperti, si fonderebbero sulle risposte di gruppi di soggetti a compiti considerati idonei a fornire misure del comportamento intelligente; le seconde, che possono essere sia di esperti che non, riguarderebbero le idee che le persone hanno dell’intelligenza. Sternberg ha poi suddiviso le teorie esplicite in teorie differenziali e teorie cognitive. Le teorie differenziali hanno per oggetto le differenze di capacità fra le persone. Le teorie cognitive condividono, in una certa misura, l'ipotesi secondo cui il funzionamento intellettivo si basa su componenti di elaborazione dell'informazione e si qualificano per un approccio all'intelligenza umana vista come espressione di processi mentali sottostanti. 1.2. Fattore G Spearman pensava che l'intelligenza is articolasse in due abilità differenti: Fattore G, capacità di ragionare e risolvere i problemi (intelligenza generale) Fattore S, abilità di eccellere in alcune aree (intelligenza specifica). 1.3 Intelligenze multiple Gardner ha proposto l'esistenza di 9 tipi d’intelligenza: 1) Intelligenza linguistica 2) Intelligenza musicale 3) Intelligenza logico-matematica 4) Intelligenza spaziale 5) Intelligenza corporea cinestesica 6) Intelligenza interpersonale (la sensibilità nei riguardi degli altri) 7) Intelligenza intrapersonale (conoscenza e consapevolezza di sé) Capitolo 9 2 8) Intelligenza naturalistica (capacità di comprendere l'ambiente naturale) 9) Intelligenza esistenziale (visione d’insieme del mondo) 1.4 Teoria triarchica (1985) Al'interno di essa, si hanno 3 subteorie: la subteoria componenziale, la subteoria contestuale e la subteoria esperienziale. La subteoria componenziale is occupa degli aspetti "interni" del' intelligenza, vale a dire dei meccanismi mentali (“componenti”) che sottendono li comportamento intelligente. Questi componenti sono distintini in: metacomponenti, componenti di prestazione e componenti di acquisizione di conoscenze. Le metacomponenti sono le componenti che le persone intelligenti utilizzano per progettare i loro compiti, prendere delle decisioni sulle strategie da adottare, controllarne le modalità d'esecuzione. Le componenti di prestazione sarebbero processi mentali di tipo esecutivo, che le persone intelligenti utilizzano per mettere in atto le istruzioni delle metacomponenti. Le componenti di prestazione comprendono, la codifica degli elementi di un problema, il confronto delle opzioni di risposta disponibili con al soluzione, dare fisicamente al risposta… Le componenti di acquisizione di conoscenze permetterebbero alle persone intelligenti di apprendere le conoscenze necessarie ala soluzione dei problemi. Ci sono 3 tipi di componenti di acquisizione di conoscerze: la codifica selettiva, la combinazione selettiva e li confronto selettivo. La subteoria contestuale riguarderebbe gli aspetti esterni dell'intelligenza, cioè l’ applicazione pratica delle metacomponenti e delle componenti. Secondo questa subteoria, il comportamento intelligente è sostanzialmente definito dal contesto socioculturale in cui si esprime; i suoi momenti fondamentali sarebbero l'adattamento all'ambiente in cui si vive, la selezione di un ambiente alternativo e la modellazione di un ambiente alternativo. La subteoria esperenziale si occupa dell'intelligenza che l'individuo dimostra nel fare uso della propria esperienza, in particolare nel risolvere problemi relativamente nuovi e nel'automatizzare velocemente le procedure. Capitolo 9 3 Sternberg ritiene di conseguenza che ci siano 3 tipi di intelligenza: Analitica (capacità di suddividere i problemi in sottocomponenti in modo funzionale al processo di problem solving) Creativa (abilità di affrontare efficacemente concetti nuovi e differenti e di trovare modi nuovi di affrontare i problemi) Pratica (abilità di utilizzare l’inforamazione per cavarsela e avere successo) 1.5 Teoria CHC Cattell sostenne che l'intelligenza fosse composta dall’intelligenza cristallizzata, che rappresenta le conoscenze e le abilità acquisite (migliora fino ai 50 anni e si verifica con test di tipo verbale), e dall’intelligenza fluida, ovvero la capacità di problem solving e di adattarsi alle situazioni nuove (è ereditabile ma comincia e declinare dopo i 20 anni). Queste due intelligenze sono correlate, ma solo la cristallina può influenzare la fluida, non viceversa. Horn estese il lavoro di Cattell aggiungendo abilità basate dell’elaborazione visiva e uditiva, sulla memoria sulla velocità di elaborazione, sul tempo di reazione, sulle abilità quantitative e di lettura-scrittura. Basandosi su questi studi Carroll sviluppò un modello gerarchico di abilità cognitive a tre strati, formando cosi la teoria Cattell-Horn-Carroll (CHC). Il modello CHC prevede abilità ampie e abilità ristrette. Le abilità ampie sono: l’Intelligenza cristallizzata, l’Elaborazione visiva, le Conoscenze quantitative, l’Abilità di lettura e di scrittura, la Memoria a breve termine, l’Intelligenza fluida, la Velocità di elaborazione, l’Immagazzinamento a lungo termine e rievocazione, l’Elaborazione uditiva e la Velocità nel prendere decisioni/Tempo di reazione. 2. Misurazioni Il metodo del calcolo del QI mette in rapporto l’età mentale di un soggetto con la sua età cronologica. È frutto della revisione di Terman del 1916 sugli studi di Binet e Simon di 10 anni prima. Capitolo 9 4 2.1 Test di abilità mentale di Binet A Binet fu chiesto di progettare un tipo di test che aiutasse a identificare i bambini che non erano in grado di imparare cosi velocemente o bene come gli altri, con lo scopo di offrire possibilità adeguate durante il loro percorso scolastico. Al termine degli studi, Binet e Simon scoprirono l’esistenza di una età mentale, ovvero il normale incremento delle capacità mentali associato all’aumentare dell’età. 2.2 Il QI Terman utilizzò la formula di Stern per comparare età mentale e cronologica, ottenendo il quoziente di intelligenza (QI): QI=EM/EC x 100 Essendo il QI un rapporto su scala ordinale, non è possibile paragonare i risultati di prove differenti, ma soltanto quelli di una singola prova. Permette di comparare i livelli di intelligenza di diversi gruppi di età, ma all’aumentare dell’età, oltre i 16 anni, perde di validità. Attualmente vengono utilizzati che comparano l’intelligenza per gruppi di età, come la scala di intelligenza Stanford-Binet-quinta edizione (SB5) e i test di Wechsler. 2.3 La scala Stanford-Binet La SB5 fornisce una stima complessiva dell’intelligenza e punteggi del dominio verbale e non verbale, composti da 5 aree primarie di abilità cognitive, quali ragionamento fluido, conoscenza, elaborazione quantitativa, elaborazione visuo- spaziale e memoria di lavoro. 2.4 I test di Wechsler Furono la prima serie di test progettati per specifici gruppi di età. Wechsler sviluppò un test di QI specifico per gli adulti (WAIS-IV), per i bambini nell’età scolastica (WISC-V) e per i bambini in età prescolastica (WPPSI-IV). Questi test avevano sia una scala verbale che una non verbale, in modo tale da ottenere un punteggio totale di intelligenza. Capitolo 9 5 2.5. I test collettivi L’esigenza di avere strumenti applicabili rapidamente e ad ampi gruppi contemporaneamente portò alla realizzazione di test collettivi (Army Alpha e Army Beta, realizzati da psicologi dell’esercito per la recitazione di reclute durante la prima guerra mondiale). Tra le prove collettive più note, ricordiamo le matrici progressive di Raven. Si tratta di un test di ragionamento astratto, che consiste in una serie di item che contengono schemi astratti in cui quelli che effettuano li test devono identificare una porzione mancante che completa al meglio la matrice. È disponibili in tre versioni, matrici standard e matrici avanzate, per adolescenti e adulti, e matrici colorate per bambini e anziani. Le matrici progressive sono uno strumento detto culture free, nel senso che sono costituite da stimoli non verbali, e quindi non richiedono acquisizioni scolastiche. 3. Costruzione di un buon test 3.1 Requisiti In quanto strumenti di misura, i test mentali devono possedere requisiti di attendibilità, validità e standardizzazione. Attendibilità: la tendenza di un test a produrre gli stessi risultati ripetutamente ogni volta che viene somministrato alle stesse persone. Validità: il grado in cui il test misura realmente ciò che deve misurare (accuratezza con cui un punteggio riflette la capacità prevista o i risultati reali) Standardizzazione: il test va somministrato a un ampio gruppo rappresentativo della popolazione per la quale è stato progettato il test. Le norme sono i punteggi ottenuti dal gruppo di standardizzazione, che vengono poi usati come riferimento per i successivi soggetti che eseguiranno il test. La maggior parte dei test di intelligenza seguono una curva normale, che permette ai punteggi di QI di essere sistemati precisamente. I progettisti dei test utilizzano i punteggi di QI di deviazione, basati sulla distribuzione dei punteggi sulla curva normale. Questa tipologia di misura assume che il QI sia normalmente intorno a una media (X) di 100 con una deviazione standard (DS) di circa 15. Tutti i punteggi delle diverse scale che compongono il Capitolo 9 6 test vengono trasformati in misure con la stessa X e la stessa DS, in modo tale da poter metter a confronto diverse età e diversi punteggi ottenuti. 3.2 Il bias culturale Persone cresciute in una cultura differente o in una diversa situazione economica da quella in cui è cresciuto il costruttore di un test, è probabile che non eseguano bene quel test. Oltre la difficoltà dell’eseguire un test scritto in una lingua non conosciuta. È difficile creare un test privo di bis culturali, per questo sono disponibili valutazioni dell’intelligenza non verbale. Molti item in un test “culturalmente semplificato" richiedono l'utilizzo di abilità non verbali, come la rotazione degli oggetti. Un esempio sono le Matrici Progressive di Raven. Anche questo test però sembra non essere immune dall'influenza della cultura, siccome età ed educazione sembrano avere un impatto sulla prestazione. 3.3 Utilità dei test di QI I test di QI vengono generalmente utilizzati per prevedere sul successo scolastico/ lavorativo. Vengono utilizzate inoltre in neuropsicologia, dove psicologi specificamente formati usano i test di intelligenza e altri tipo di prove cognitive e comportamentali per valutare disturbi neurocomportamentali, in cui il pensiero e il comportamento sono compromessi a seguito di un danno cerebrale o di un malfunzionamento. Capitolo 9 7 4. Differenze individuali 4.1 La disabilità intellettiva Formalmente ritardo mentale o ritardo nello sviluppo, è un disturbo del neurosviluppo. Le persone mostrano un deficit nelle capacità mentali, solitamente associato a un punteggio di 2 DS sotto la media della curva normale. Il comportamento adattivo in chi ne è affetto è gravemente sotto il livello appropriato all’età della persona stessa. Tali limitazioni devono iniziare durante il periodo di sviluppo e la disabilità può essere lieve o profonda. Questa disabilità interessa circa l’1% della popolazione. Diagnosi: è basata su deficit nel funzionamento intellettivo, determinato da test standardizzati di intelligenza e da valutazioni cliniche nel dominio concettuale, sociale e pratico. Cause: condizioni di vita malsane (avvelenamento da piombo, esposizione a prodotti chimici industriali, mercurio…), scarso sviluppo cerebrale, povertà (malnutrizione, mancanza di stimolazione mentale, scarsa assistenza sanitaria), cause biologiche (sindrome di down, sindrome feto- alcolica, sindrome dell’X fragile), utilizzo di droghe da parte della madre, incidenti o malattie durante l’infanzia, mancanza di ossigeno alla nascita. 4.2 Plusdotazione Ci sono poi coloro che sono compresi nella fascia alta della curva normale (circa il 2% della popolazione). Vengono identificati come persone plusdotate, e se il loro QI si situa tra 140 e 145 ci si riferisce a loro generalmente come geni. Sono persone socialmente ben adattate e di successo, generalmente abili leader. I bambini plusdotati che vengono spinti ad avere successo precocemente però diventano spesso adulti delusi e tristi. 4.3 L’intelligenza emotiva Il successo nella vita e nel mondo reale si basa anche sull’intelligenza emotiva però, non solo su quella accademica. È la consapevolezza delle proprie emozioni, la capacità di saperle gestire, di saperle sfruttare, e di capire quelle altrui. Gli individui con maggiore intelligenza emotiva tendono ad avere migliore relazioni sociali, familiari e intime, ad essere percepiti più positivamente dagli altri, oltre che ad ottenere migliori risultati accademici e lavorativi. Capitolo 9 8 5. Ereditabilità dell’intelligenza Considerando i QI di persone con alti gradi di parentela è stato osservato che la correlazione tra i QI è tanto più elevata quanto maggiore è il grado di parentela. Tuttavia si è notata anche una significativa incidenza dell'ambiente socioculturale. 5.1 Studi sui gemelli Sono stati condotti quindi studi che hanno confrontato il QI di gemelli monozigoti (geneticamente identici) e di gemelli dizigoti (praticamente fratelli), sai allevati insieme che separatamente. Cresciuti insieme: i gemelli monozigoti, presentano un’elevata correlazione dei loro QI sia nell’infanzia che da adulti, mentre i dizigoti presentano una correlazione più bassa che decresce con l’aumentare dell’età. Separati alla nascita: nei gemelli monozigoti si è rilevata un’elevata correlazione, ma nell’esperimento spesso venivano affidati a famiglie con situazioni economiche e ambienti simili, perdendo cosi di validità. 5.2 La curva a campana Nel 1994, Herrnstein e Murray pubblicarono il libro La curva a campana in cui venivano citati molti studi statistici che li portavano ad affermare che il QI fosse in larga parte geneticamente determinato. Arrivano a suggerire che le persone delle fasce economicamente più svantaggiate fossero povere in quanto non intelligenti. Nel libro però commisero svariati errori statistici e ignorarono l’influenza di ambiente e cultura. Il solo essere consapevoli degli stereotipi negativi può portare a ottenere un punteggio più basso nei test di inteligenza (“minaccia dello stereotipo”). Quindi ciò che hanno riscontrato gli autori, è in realtà una correlazione tra etnia e QI, non tra etnia e intelligenza. Inoltre Herrnstein e Murray non compresero che l'ereditabilità può essere studiata solo su differenze riscontrate all'interno di un gruppo, e non tra gruppi o individui. Le stime dell'ereditabilità possono avere un significato solo su un gruppo che è stato esposto a un ambiente simile. Capitolo 9 9 Il linguaggio Il linguaggio umano è il risultato di un lento e graduale processo di cambiamento che, nel corso dell'evoluzione ha dotato la nostra specie di uno strumento comunicativo unico nel regno animale, in grado di trasmettere pensieri. Punti principali alla base dello sviluppo del linguaggio: la discesa della laringe e dell'osso ioide, l'ampliamento dello spazio tra la laringe e il velo palatino, hanno reso possibile un maggior controllo della respirazione, aumentando il numero di suoni che siamo in grado di produrre; il miglioramento del controllo motorio esercitato dal nostro cervello sugli articolatori vocali (lingua e laringe) ci ha permesso di sviluppare un’incredibile abilità di imitare e apprendere; l'acquisizione di una capacità combinatoria (assemblare parole per costruire frasi) superiore a quella di tutti gli animali, ci permette di costruire e comprendere strutture gerarchiche (non lineari); sviluppo di una abilità comunicativa articolata, basata su una grande capacità di interazione e un forte istinto a comunicare (evidente nella presa di turno). 1. Le proprietà distintive del linguaggio È possibile identificare almeno 3 proprietà per cui il linguaggio umano si differenzia sensibilmente dai sistemi di comunicazione non umani: Produttività: possibilità di produrre (e comprendere), a partire da un numero finito di elementi base, un numero infinito di contenuti linguistici (parole, frasi, significati) che non abbiamo mai prodotto o sentito in precedenza. Arbitrarietà: la maggior parte delle volte non esiste alcun legame tra il significato di una parola e i suoni che la compongono (eccezione es. onomatopee ed effetto Maluma-Takete). Seppur questa proprietà presenti un costo in termini di memorizzazione, permette d’altro canto un’estrema flessibilità. Ricorsività: possibilità di applicare (un numero illimitato di volte) una regola al risultato di una precedente applicazione della stessa regola. Tale proprietà è visibile nella costruzione di frasi, che avviene sulla base di regole sintattiche. Ci permette di generare enunciati organizzati gerarchicamente. Capitolo 10 10 2. L'ontogenesi del linguaggio Sin dalla nascita, i neonati mostrano una sorprendente capacità di elaborare il segnale linguistico. Essa permette al bambino, se immerso in un contesto di interazione linguistica, di arrivare in pochi mesi a comprendere le prime parole. Appena nato, il bambino è già in grado di discriminare suoni di qualsiasi lingua. Durante i primi mesi di vita, questa abilità diventa selettiva per i suoni della lingua a cui siamo esposti (distinguere suoni diversi). Il bambino deve imparare poi i suoni che sono distintivi nella propria lingua (distinguere tra parole diverse). Per far ciò, il bambino tiene traccia delle distribuzioni statistiche dei suoni che incontra nel suo ambiente linguistico (quanto frequentemente i diversi suoni linguistici compaiono negli enunciati a cui è esposto) e del contesto in cui li incontra. Successivamente il bambino deve imparare a segmentare le parole nel flusso continuo di suoni. Per riuscire in questo utilizza la proprietà transizionale, basata su un meccanismo dominio-generale di apprendimento statistico. Tale proprietà permette al bambino di stimare, in modo probabilistico, i confini di parola. Se la probabilità transizionale tra due sillabe consecutive e alta, sarà molto probabile che le due sillabe appartengano alla stessa parola, altrimenti, è probabile siano due parole separate. Il bambino può sfruttare anche i confini prosodici (ritmo e intonazione) che probabilmente segnano la fine della parola. 6 mesi comprendere alcune parole 7 mesi iniziano le prime produzioni linguistiche (lallazione= produzione di serie di sillabe con struttura semplice che vengono ripetute o alternate) 1 anno produzione di singole parole 2 anni prime manifestazioni di linguaggio telegrafico (frasi costituite da due parole, con scarsa morfologia, senza parole funzione) 3 anni genera frasi semplici complete. I bambini presentano una grande variabilità nelle loro abilità linguistiche. Le cause alla base di tale variabilità sono molteplici e possono riguardare sia fattori interni, sia esterni. Tra i fattori interni è importante l'abilità che i bambini Capitolo 10 11 mostrano sin dai primi mesi di elaborare e discriminare i segnali uditivi rapidi e di segmentare la catena del parlato. Quelli esterni invece, possono essere di livello quantitativo (quanto frequentemente il bambino è esposto al parlato) o di livello qualitativo (quanto del parlato che riceve è diversificato a livello lessicale e sintattico ed è in forma di parlato rivolto ai bambini (frasi semplici e modificazioni delle caratteristiche prosodiche). 3. I livelli di analisi linguistica 3.1 Fonetica e Fonologia É il livello che riguarda i suoni del linguaggio. La fonetica studia i “foni” (suoni linguistici) prodotti nella loro realizzazione fisica. A questo livello possono essere descritti sia per le loro caratteristiche fisiche sia per il modo in cui vengono realizzati. La fonologia invece studia i “fonemi” (entità astratte realizzate fisicamente come foni, suoni con caratteristiche fisiche che possono variare ogni volta). Il “problema dell’invarianza" è la necessità dell'ascoltatore di identificare sempre le stesse unità linguistiche a fronte di una estrema variabilità del segnale. Ci riusciamo perché la percezione dei suoni linguistici è di natura categoriale: le ricerche Lieberman (1957) dimostrano che gli ascoltatori sono in grado di categorizzare un fonema senza alcuna difficoltà, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche accidentali con cui è realizzato. Un errore è una deviazione involontaria dall'intenzione comunicativa che il parlante compie nel corso della realizzazione dell’enunciato. L’errore a livello fonologico di solito è causato da un’errata selezione di un fonema, o da uno scambio tra fonemi simili, di solito su parole diverse. L'esistenza di errori di questo tipo suggerisce che esiste un livello in cui il parlante recupera le singole unità fonologiche componenti l'enunciato da produrre, per poi assemblarle in parole. Questa ipotesi viene avvalorata dagli effetti di facilitazione fonologica riportati utilizzando il paradigma di interferenza figura-parola: la condivisione di fonemi tra target e distrattore facilita la denominazione della figura, attivando i fonemi che compongono il target. Capitolo 10 12 3.2 Morfologia È l’insieme di regole utili a modificare forma e significato delle parole. I “morfemi” sono unità lessicali o sub-lessicali, stabilmente associate a un determinato significato. Ci sono 3 processi morfologici: Flessione: serve a modificare il genere e il numero di un nome o di un aggettivo, oppure a modificare il modo, il tempo, la voce, la persona, il numero e il genere di un verbo; Derivazione: attua dei cambiamenti di tipo grammaticale e/o semantico della parola, attraverso l'apposizione di prefissi e suffissi derivazionali. La parola derivata definisce un nuovo concetto; Composizione: forma una parola composta unendo due parole esistenti (“costituenti”). Le parole morfologicamente complesse vengono scomposte nei morfemi costituenti durante la loro elaborazione. Una delle evidenze principali deriva dai paradigmi di priming morfologico. In questo tipo di esperimenti, una parola target è presentata sullo schermo di un computer, preceduta temporalmente da uno stimolo prime morfologicamente relato, o da uno stimolo non relato. In un paradigma di questo tipo, i partecipanti identificano più velocemente la parola target, quando essa è preceduta da uno stimolo relato. 3.3 Semantica Il livello di analisi semantica ha a che fare con il significato delle parole. La significazione (proprietà di ogni parola di avere un senso per una determinata lingua), è composta da tre elementi in relazione tra loro: il simbolo (significante), il referente e la referenza (significato). La referenza costituisce la rappresentazione mentale del referente e svolge la funzione di mediatore tra simbolo linguistico e referente stesso. Il significato di una parola si trova quindi sul piano concettuale. Secondo la teoria dei tratti semantici , il significato di una parola può essere derivato composizionalmente dall'unione di una serie di tratti semantici. La semantica cognitiva ha definito il significato come prototipo. Le parole possono essere legate tramite relazioni di iperonimia e iponimia, di polisemia, di antinomia e di sinonimia. Il sistema semantico è un sistema interconnesso, dove diversi significati intrattengono relazioni tra loro e possono situarsi a una distanza maggiore o Capitolo 10 13 minore l’uno dall’altro. Tali relazioni tra significati sono dimostrate dai paradigmi di priming semantico. In questo tipo di paradigma, la risposta alla parola target è facilitata quando la parola prime è semanticamente relata, suggerendo che i significati delle parole sono inseriti in un sistema complesso di relazioni (una rete semantica in cui ogni significato rappresenta un nodo e l'attivazione di un significato si esprime in termini di diffusione dell’attivazione tra un nodo e l’altro). 3.4 Sintassi È il sistema di regole che mette insieme le parole e le frasi per formare frasi grammaticalmente corrette. I sintagmi (costituenti) possono essere composti da una o più parole e possono comparire sia come enunciati a sé stanti, sia come parti di frasi più complesse. I sintagmi possono essere verbali o nominali in base alla parola che al loro interno ha una funzione dominante e che non può essere omessa. Gioca un ruolo chiave la ricorsività, attraverso cui è possibile combinare un sintagma a uno appena formato per generarne uno nuovo. In secondo luogo la possibilità di stabilire relazioni gerarchiche permette di creare relazioni anche tra elementi della frase linearmente distanti, permettendoci di costruire strutture altamente complesse. Le frasi jabberwocky (frasi sintatticamente ben formate, ma costituite da parole inventate e quindi prive di significato) diedero la possibilità di studiare la dimensione sintattica indipendentemente da quella semantica, dunque permettono di comprendere l'organizzazione delle parole in sintagmi, -Epstein, (1961) dimostrò, per la prima volta, che le frasi jabberwocky sono memorizzate più efficientemente e con meno sforzo rispetto a frasi che presentano una sintassi mal formata. -Fodor e Bever (1965) ai partecipanti veniva somministrata una frase con un clic che poteva comparire al confine tra due sintagmi. I partecipanti dovevano segnare il punto in cui sentivano il clic. I risultati hanno mostrato che, indipendentemente dalla reale posizione del clic, i partecipanti tendevano a collocarlo al confine tra i due costituenti: i sintagmi, quindi, funzionerebbero come unità di elaborazione che i parlanti tendono a mantenere integre. Capitolo 10 14 È stata indagata l'elaborazione sintattica utilizzando frasi “garden path” (frasi temporaneamente ambigue che, proseguendo nella lettura, obbligano il lettore a rivedere la sua interpretazione iniziale). Frazier e Rayner (1982) utilizzarono l’eye-tracker per studiare le fissazioni durante la lettura delle frasi garden path. Nelle frasi garden path, la regione ambigua della frase veniva fissata più a lungo rispetto alla corrispettiva regione nella frase non ambigua. Inoltre, analizzando le regressioni con le frasi garden path, i partecipanti, una volta giunti alla zona che spiegava (disambiguante), tendevano a tornare con gli occhi sulla regione ambigua. Il parlante dunque inizia privilegiando una certa struttura sintattica, che inizia a costruire durante la lettura (o l'ascolto) della frase. In caso l'interpretazione iniziale si rilevi errata, questa può essere rivista nel momento in cui si incontra l'elemento disambiguante. 3.5 Lessico È l'insieme delle parole di una lingua (combinazioni di suoni che possiamo associare a un significato). Il lessico mentale definisce il deposito mnestico all'interno del quale sono raccolte le parole che una persona conosce, assieme a tutte le informazioni che la persona possiede sulle parole stesse, come informazioni sulla loro forma fonologica e ortografica, morfologica, grammaticale. Il lessico mentale è uno spazio dinamico e interconnesso in cui parole diverse sono collegate le une alle altre, dove ogni entrata può essere rappresentata come un nodo su cui convergono informazioni da diversi altri livelli di descrizione (fonologico, morfologico, sintattico, semantico, ecc.). Levelt (1989) ipotizza tre livelli di rappresentazione mentale delle parole, che sono gerarchici, indipendenti e separati tra loro. Il primo è il livello dei concetti: a questo livello appartengono le informazioni di tipo semantico circa l'oggetto codificato dalla parola stessa. Il secondo è livello del lemma: il lemma codifica informazioni di tipo sintattico e grammaticale della parola. Il terzo è il livello del lessema: codifica le proprietà fonologiche della parola. La selezione di un livello avviene sempre e solo in modo gerarchico. Da numerosi studi sul riconoscimento visivo di parole, scopriamo che generalmente, parole più frequenti, sono più facili da riconoscere ed elaborare. Capitolo 10 15 Il partecipante all'esperimento deve individuare, quali righe corrispondono a parole premendo un tasto apposito sulla tastiera, e quali no, premendo un altro tasto. In questo tipo di paradigma si è osservato che parole più frequenti vengono riconosciute con meno errori e più velocemente di parole meno frequenti. 4. L’elaborazione del linguaggio Descriviamo alcuni processi che ci permettono di ottimizzare l'elaborazione linguistica e analizziamo i principali modelli della comprensione e produzione di parole. 4.1 La comprensione La percezione linguistica è molto complessa perché il segnale acustico è caratterizzato da estrema variabilità. Le variabili sono di diversa natura: caratteristiche fisiche, fisiologiche del parlante, sociologiche, ambientali. Tutto questo rende il parlato altamente variabile, sia a livello inter-individuale, sia a livello intra-individuale. Oltretutto il parlato si sviluppa nel tempo, in modo rapido e senza possibilità di riascolto. Per aiutarci nella segmentazione (capacità di individuare le parole nel flusso) utilizziamo elaborazioni bottom-up come i vincoli fonotattici (restrizioni che, in ogni lingua, limitano le possibili sequenze di suoni), il vincolo delle parole possibili in una data lingua, il ritmo e gli accenti. Il riconoscimento delle parole può essere aiutato dall'elaborazione top-down, utilizzando l'informazione contestuale. L'effetto di reintegrazione fonemica suggerisce che gli ascoltatori possono utilizzare informazioni contestuali, provenienti dalle proprie conoscenze sulle parole, per completare un segnale acusticamente degradato. Vedremo due modelli del riconoscimento di parole: Bottom-up=analisi della Modello della coorte (elaborazione bottom-up, e in parola. un secondo momento, elaborazione top-down); Top-down= aspettative derivanti dal contesto Modello TRACE (processo interattivo in cui le due linguistico. elaborazioni lavorano parallelamente). Capitolo 10 16 4.1.1 Modello della coorte Proposto da Marslen-Wilson e Tyler (1980) e assume che il riconoscimento di parole sia un processo continuo e che possa avvenire anche prima di aver ascoltato l'intera parola. L'informazione acustica che viene ricevuta ed elaborata dall'ascoltatore, inizia ad accumularsi fino a quando non viene riconosciuta come parola. Il modello prevede tre fasi: Accesso: inizia il processo di accumulazione dell'informazione con l'elaborazione dei tratti fonetici del primo fonema della parola. Con l'arrivo di ulteriore informazione acustica, la coorte si restringe, in quanto rimangono attive solo le parole compatibili con la nuova informazione. Selezione: elimina dalla coorte le parole che risultano incompatibili con il segnale acustico in arrivo, giungendo al riconoscimento della parola. Il punto che permette di identificare in modo univoco la parola si chiama “punto di unicità” e può influenzare il tempo di riconoscimento. Il punto di unicità spesso è prima della fine della parola. Le parole che riconosciamo più velocemente sono quelle più frequenti, e le riconosciamo prima se il numero la delle parole competitori è basso. Integrazione: le informazioni semantiche e sintattiche della parola sono recuperate e utilizzate per integrare la parola nella rappresentazione complessiva della frase. Questo modello assume che la costituzione della coorte avvenga in modo bottom- up, ovvero esclusivamente sulla base dell'informazione acustica in arrivo. L'elaborazione top-down, invece, in termini di informazioni semantiche e sintattiche o di natura contestuale attivate dalle parole, sarebbe in grado di influenzare solo la fase di selezione, ma non gli stadi di elaborazione precoce. 4.1.2 Modello TRACE Questo modello, più dettagliato del precedente, è stato proposto originariamente da McClelland ed Elman (1986). Si tratta di un modello ad attivazione interattiva: è composto da 3 livelli e le unità contenute in ciascun livello possono essere attive contemporaneamente e influenzare l’elaborazione agli altri livelli livelli. Capitolo 10 17 I 3 livelli sono: Livello dei tratti (caratteristiche fisiche); Livello dei fonemi; Livello delle parole. Il livello dei tratti è collegato al livello dei fonemi, che a sua volta è collegato al livello delle parole. I livelli sono collegati attraverso connessioni bidirezionali eccitatorie, mentre le unità che appartengono allo stesso livello sono collegate tra loro da connessioni inibitorie. L'informazione contenuta nei tre livelli viene utilizzata in parallelo e grazie alle connessioni tra livelli, l'elaborazione può procedere sia in modo bottom-up, sia top-down. All'interno di ogni livello, le unità che lo compongono sono attivate proporzionalmente al grado di corrispondenza che hanno con l'input ricevuto. La parola che viene riconosciuta è quella con il più alto livello di attivazione tra i possibili candidati. 4.2 La produzione Il processo di produzione del linguaggio può essere scomposto in 3 fasi principali: Concettualizzazione: è quella in cui pianifichiamo il contenuto della nostra comunicazione. Generare un enunciato richiede innanzitutto di specificarne le proprietà semantiche (il contenuto da esprimere) e le proprietà pragmatiche (i vincoli situazionali sulle modalità con cui il contenuto deve essere espresso); Formulazione: durante la quale il messaggio da comunicare assume una forma linguistica. Durante questa fase il parlante sceglie le strutture sintattiche e le parole da utilizzare; Esecuzione: l'enunciato viene realizzato. Le tre fasi vengono messe in atto con efficacia e senza particolari sforzi cognitivi. Il parlante può ricorrere a una serie di strategie che gli permettono di ottimizzare la sua produzione: la preformulazione: riutilizzo di combinazioni di parole o frasi prodotte di recente dal parlante o dall’interlocutore; la sottospecificazione: semplificare le strutture linguistiche da utilizzare, riducendo così i costi di formulazione. Capitolo 10 18 I 2 modelli del sistema di produzione si focalizzano sulla fase di formulazione: -concordano che la produzione coinvolga almeno due stadi di elaborazione, il mapping tra l'informazione semantica e un'unità lessicale, e il mapping tra l'unità lessicale e la rappresentazione astratta della pronuncia della parola; -si differenziano per la direzione e il modo in cui ritengono che l'informazione proceda tra i livelli - serialmente o a cascata. 4.2.1. Modello WEAVER++ È un modello computazionale proposto da Levelt (1999) che descrive il processo di produzione come composto da tre stadi principali attraverso cui l'informazione fluisce in modo unidirezionale. 1. Stadio della preparazione concettuale: si attiva il concetto che si vuole produrre e per cui si possiede una parola; 2. Stadio della selezione del lemma: si seleziona un lemma, l'unità che contiene l'informazione sintattica sulla parola da produrre. Il modello prevede la selezione di un solo lemma alla volta; nel caso più lemmi ricevano attivazione dal I livello, questi competono tra loro per la selezione di un unico elemento; Una prova a favore di un processo di selezione per competizione si ha con il paradigma di interferenza figura-parola: il partecipante è più lento a denominare il target quando è accompagnato da un distrattore semanticamente relato, rispetto a quando è accompagnato da un distrattore semanticamente non relato. 3. Stadio della codifica: si codifica la forma della parola. La preparazione della parola può essere suddivisa in tre sotto stadi: 1. la codifica morfologica: avviene il recupero, dalla MLT, dei morfemi che costituiscono la parola da produrre; 2. la codifica fonologica: avviene il recupero, dalla MLT, dei fonemi che compongono i morfemi recuperati; questi fonemi, recuperati in parallelo, vengono ordinati in serie, secondo la sequenza corretta da produrre (quando i fonemi vengono ordinati, vengono anche raggruppati in sillabe). 3. la codifica fonetica: le sillabe assemblate attivano i programmi motori che ne permettono la realizzazione articolatoria (le sillabe di alta frequenza sono recuperate e prodotte più velocemente delle sillabe di bassa frequenza) Capitolo 10 19 4.2.2 Modello a due stati di interazione interattiva È un modello connessionista (tipologia di modelli che utilizzano reti neurali artificiali per simulare i comportamenti umani) proposto da Dell (1986), basato prevalentemente sull'analisi degli errori commessi durante il parlato spontaneo. È composto da due stadi: 1. Stadio del recupero della parola (attivazione semantica): quando si è stabilito il concetto che si vuole produrre l’attivazione si diffonde dai tratti semantici attivi alla parola corrispondente. Oltre alla parola da produrre, potranno essere attive anche altre parole che condividono con essa alcuni tratti semantici (il grado di attivazione è funzione dei tratti condivisi). 2. Stadio del recupero dell'informazione fonologica: la parola attiva i fonemi che la compongono. Contemporaneamente, anche le eventuali altre parole attive producono attivazione al livello dei fonemi. Ne consegue che, prima che il processo sia completato, forme fonologiche di diverse parole possono risultare attive simultaneamente. Essendo che l'attivazione scorre in modo bidirezionale, i fonemi attivi possono a loro volta influenzare l'attivazione al livello delle parole, l'unità selezionata sarà semplicemente quella che riceve più attivazione tra le parole della categoria grammaticale appropriata. Il modello, infatti, assume che il sistema di selezione sappia che il sistema di produzione sta cercando una parola di una determinata categoria grammaticale. Questo fa si che il processo di selezione sia influenzato dalla struttura sintattica della frase che si sta elaborando. Il modello è in grado di simulare efficacemente le tipologie e le caratteristiche di errori commessi durante il parlato spontaneo (es. errori misti, ovvero errori in cui la parola sbagliata condivide con quella corretta aspetti semantici e fonologici). Questo modello assumere che l'attivazione sia interattiva: l'attivazione procede sia dall'alto verso il basso, a cascata - cioè, appena l'informazione contenuta in un livello comincia a essere attiva si diffonde al livello successivo (diffusione dell’attivazione), anche prima che l'elaborazione sia terminata - sia dal basso verso l’alto: l'informazione che si propaga a cascata dai livelli superiori a quelli inferiori e, da questi ultimi, può influenzare anche i livelli superiori attraverso meccanismi di feedback, essendo che i livelli sono connessi tra loro esclusivamente da connessioni eccitatorie. Capitolo 10 20 4.3 La lettura L’apprendimento della lettura può essere suddiviso in tre tappe principali: 1. lo stadio logografico (5-6 anni): il bambino cerca di riconoscere le parole nella loro interezza, come fossero degli oggetti. Per il riconoscimento, il bambino sfrutta tutte le caratteristiche visive della parola (forma, colore, orientamento delle lettere…). Il bambino impara a riconoscere poche parole ora. 2. lo stadio alfabetico (6-7 anni):il bambino impara a prestare attenzione agli elementi che compongono la parola (singole lettere o nessi più complessi), imparando ad associare questi elementi ai fonemi della lingua, e ad assemblarli in unità che gli permettono di formare le parole da leggere. 3. lo stadio ortografico (9-10 anni): il bambino è in grado di leggere utilizzando una strategia che gli consente di riconoscere la forma ortografica della parola nella sua interezza e di fare il mapping tra questa e la sua forma fonologica corrispondente, senza doverla spezzettare negli elementi costituenti. Esistono lingue che adottano sistemi di scrittura trasparenti (o superficiali) - in cui c'è un'alta corrispondenza biunivoca tra lettere e suoni, con ogni lettera che corrisponde a un solo suono e viceversa - e sistemi di scrittura opachi (o profondi), in cui la corrispondenza o quasi assente la stessa lettera può essere pronunciata in molti modi diversi. I bambini necessitano di più tempo se immersi in un sistema di scrittura opaco piuttosto che in uno trasparente. 4.3.1. Il modello di lettura a due vie L'idea di base è che, per leggere le parole, sia possibile utilizzare due vie distinte di elaborazione: -una via lessicale (per le parole conosciute), che permette di riconoscere le parole sulla base della loro forma ortografica globale, e che poi fa accedere sia al significato sia alla forma fonologica della parola. -una via non lessicale (per le parole sconosciute), che permette di analizzare e scomporre una parola nelle sue unità ortografiche costituenti (grafemi), e di convertire tali unità nei fonemi corrispondenti, da utilizzare poi per assemblare la pronuncia della stringa. Modello di Coltheart (2001) Si tratta di un modello a cascata in cui l'elaborazione inizia con l'analisi visiva della parola, con cui vengono identificate le lettere che la compongono. Da questo livello, dipartono le due vie: Capitolo 10 21 - La via non lessicale converte i grafemi in fonemi attraverso l’applicazione di regole che convertono ogni grafema con il fonema a esso più spesso associato (il processo di conversione avviene serialmente, analizzando un grafema alla volta) tenendo conto anche dei grafemi limitrofi per la pronuncia. - Per la via lessicale, a partire dalle lettere si attiva una rappresentazione ortografica della parola contenuta nella MLT. Dal lessico ortografico è possibile procedere in due direzioni: a) attivando direttamente, nel lessico fonologico, la corrispettiva rappresentazione fonologica, che contiene la rappresentazione globale della pronuncia della parola, oppure b) attivando prima la rappresentazione semantica della parola e poi da questa la sua rappresentazione fonologica. La rappresentazione fonologica attivata invia attivazione al sistema fonemico, in cui la pronuncia da produrre viene stabilita. All interno della via lessicale l'informazione procede bidirezionalmente: ogni livello è collegato al precedente e al successivo tramite connessioni sia eccitatorie, sia inibitorie. Le due vie operano in parallelo, elaborando entrambe la stringa; nel caso si tratti di una parola nota e frequente, la via lessicale procede più velocemente della via non lessicale. Infine, nel caso in cui le due vie impieghino lo stesso tempo e producano pronunce differenti la discordanza è risolta all'interno del sistema fonemico che stabilisce la pronuncia da produrre; un magazzino temporaneo che raccoglie attivazione da entrambe le vie e in cui viene stabilita la pronuncia da produrre. Capitolo 10 22 Modello Ellis e Young (1988) Con gli stessi punti del modello di Coltheart: VIA I: analisi visiva- conversione grafema/fonema- sistema fonetico. Questa via permette di pronunciare parole e non parole (secondo criteri regolari di conversione ortografia-suono). La dislessia superficiale (=difficoltà nella lettura di parole irregolari) utilizza solo questa via. VIA 2: analisi visiva- lessico dell’input visivo (permette di riconoscere le parole familiari)- sistema semantico- lessico dell’output linguistico- sistema fonetico. I dislessici fonologici usano solo questa via e riescono a leggere parole familiari (regolari e irregolari), mentre hanno difficoltà con parole non familiari o non parole. VIA 3 : analisi visiva- lessico dell’input visivo (permette di riconoscere le parole familiari)- lessico dell’output linguistico- sistema fonetico. Permette al soggetto è in grado di leggere parole familiari ma non ne comprende il significato. 4.3.2. Il modello a triangolo Il modello a triangolo è un modello computazionale di tipo connessionista, e prevede tre livelli di elaborazione, che formano i vertici del triangolo: il livello ortografico, il livello fonologico, il livello semantico. Questi livelli sono tutti connessi tra loro attraverso connessioni eccitatorie e inibitorie, e durante la lettura vengono tutti coinvolti in parallelo e lavorano in modo altamente interattivo. Il modello a triangolo non prevede una conoscenza distribuita su molteplici unità di elaborazione che compongono la rete, corrispondendo non a una unità ma a una configurazione di attivazione che coinvolge molteplici unità di elaborazione. Nel modello a triangolo tutte le stringhe di lettere vengono elaborate allo stesso modo, indipendentemente del fatto che si tratti di parole conosciute o nuove. La loro pronuncia viene elaborata prevalentemente sulla base della loro coerenza, ossia del grado di somiglianza che esse hanno con parole simili. Capitolo 10 23 La comunicazione La funzione comunicativa è una proprietà trasversale del regno animale. La comunicazione è un processo multimodale che può avvenire non solo tramite il linguaggio. La competenza comunicativa, quindi, consiste nella capacità di esporre o di comprendere (ricevere) un messaggio utilizzando tutte le modalità, verbali e non verbali, a nostra disposizione. 1. Teorie e modelli Shannon nel 1948 introduce le basi della teoria dell’informazione. Il modello di comunicazione proposto da Shannon è un modello quantitativo, probabilistico e matematico, che nasce in ambito ingegneristico per la risoluzione di problemi nelle telecomunicazioni. In questo modello la comunicazione può essere descritta come una trasmissione di informazioni, da una sorgente a un destinatario attraverso un canale. Il concetto chiave del modello di Shannon è quello di codice: per poter essere trasmesso, il messaggio deve essere trasformato in un codice da un trasmittente. Durante la trasmissione, ovvero il passaggio del messaggio codificato attraverso il canale, è possibile che si verifichino degli errori, questo perché nel canale è presente rumore. Al termine del canale deve essere quindi presente un ricevente che ha il compito di decodificare il messaggio (separare il messaggio dal rumore) per trasmettere il messaggio finale al destinatario. Successivamente, il modello è stato proposto per la comunicazione umana. È stato però criticato per la mancanza dell’elemento psicologico e cognitivo. Il modello proposto non tiene conto della proprietà costante dei messaggi umani di avere un significato, e prevede il messaggio trasmesso debba essere sempre considerato valido. In questo modello quindi la funzione della comunicazione è Capitolo 11 24 trasmettere messaggi e decodificarli assumendone la validità. La comunicazione diventa un modo per ridurre l'incertezza, ovvero per selezionare, tra tutti i messaggi, il messaggio che è stato effettivamente trasmesso. La comunicazione diventa un modo per risolvere questa incertezza: maggiore l'incertezza, maggiore la quantità di informazione necessaria per risolverla. I messaggi non hanno tutti la stessa probabilità di essere trasmessi: nelle lingue umane, per esempio, le lettere dell'alfabeto, o le parole o i caratteri sono distribuiti in funzione della loro frequenza, e queste distribuzioni hanno un impatto diretto sulla codifica e la decodifica dei messaggi. Nella teoria di Shannon, i messaggi non sono tutti equiparabili, ma, la probabilità dipende da ciò che lo precede: la sorgente genera messaggi basati su complessi sistemi probabilistici ed è quindi possibile, a un certo punto, predire un determinato evento, sfruttando proprio i pattern statistici osservabili nella lingua. È possibile misurare la quantità di informazione necessaria a ridurre l'incertezza. La misura dell'informazione corrisponde matematicamente, nel modello di Shannon, a quella dell'entropia. L'entropia descrive una misura di disordine/ incertezza e riflette dunque l'incertezza rispetto ai possibili esiti di una variabile. È stata messa in luce però una mancanza di considerazione di aspetti contestuali (relazionali, sociali, situazionali…) e di “disturbatori” nella trasmissione (oltre il rumore) che possono avere un'influenza sulla produzione e comprensione del linguaggio. 2. Il punto di vista pragmatico La pragmatica è il livello di descrizione linguistica che riguarda l'uso che i parlanti fanno del linguaggio. Per la produzione linguistica, la serie di scelte che possono essere a livello di struttura del linguaggio, come a livello di strategia comunicativa, per la comprensione linguistica, la capacità di trarre le corrette inferenze. In termini pragmatici, il significato di una frase non coincide quindi con il significato composizionale della stessa, ma riguarda ciò che il parlante intende comunicare e ciò che l'ascoltare comprende mettendo in atto processi inferenziali. Il significato pragmatico è quindi costruito in un'interazione tra due interlocutori inseriti in un determinato contesto ed è negoziato in funzione delle intenzioni, credenze, stati mentali e visione del mondo di cui i parlanti sono portatori. Capitolo 11 25 2.1. La teoria degli atti linguistici Nel 1955 Austin delinea le basi della teoria degli atti linguistici sistematizzata successivamente da Searle nel 1969. Secondo questa teoria, gli enunciati linguistici sono delle vere e proprie azioni che hanno delle conseguenze sui riceventi. Le persone utilizzano il linguaggio per produrre degli effetti nei comportamenti o negli stati mentali dei propri interlocutori. In quanto atto linguistico, un enunciato si esprime su quattro livelli: Il livello locutorio: riguarda la generazione di suoni; Il ivello locutivo: riguarda l'espressione di significati, (riferimenti); Il livello illocutivo: riguarda la manifestazione di intenzioni comunicative; Il livello perlocutivo: riguarda le conseguenze provocate nell’interlocutore. Il significato di un enunciato si esprime nell’unione di riferimenti, intenzioni ed effetti che produce. Non sempre c'è corrispondenza tra effetti e intenzioni. Potrebbe verificarsi un disallineamento tra livello locutivo e livello illocutivo, generando quelli che Searle definisce atti linguistici indiretti. Si evidenzia in questo caso una differenza tra significato-tipo della frase, che può essere capito decodificando anche le intenzioni comunicative del parlante e facendo riferimento al contesto in cui l'enunciato è prodotto. 2.2. Il principio di cooperazione Grice nel 1957 tenta di individuare le condizioni che rendano interpretabili i messaggi comunicativi. Secondo Grice la comunicazione linguistica è guidata da un principio di convenzionalità (la produzione e la comprensione del linguaggio sono resi possibili dall'esistenza di norme e regole condivise tra i parlanti) e un principio di intenzionalità (la produzione linguistica è motivata da specifiche intenzioni comunicative e la comprensione è resa possibile dalla capacità di decodificare tali intenzioni). Il principio di cooperazione sottende che i partecipanti siano motivati dal rendere comprensibili le proprie intenzioni e dall'interpretare correttamente le intenzioni altrui. Secondo questo principio, la comunicazione può avere successo soltanto se gli interlocutori si impegnano a rispettare alcune semplici regole, denominate massime conversazionali: Capitolo 11 26 la massima della quantità: gli interlocutori devono dare un contributo adeguato, senza condividere più informazioni di quelle necessarie; la massima della qualità: gli interlocutori devono dare un contributo veritiero; la massima della relazione: gli interlocutori devono dare un contributo pertinente; la massima del modo: gli interlocutori devono evitare ambiguità ed esprimersi in modo chiaro, ordinato e conciso in modo da facilitare la comprensione. Quando le massime non vengono rispettate, gli interlocutori mettono in atto implicature conversazionali (processi inferenziali per ricostruire il significato del messaggio); che costituiscono uno sforzo cognitivo aggiuntivo. Secondo Grice, quindi, ogni messaggio ha almeno due livelli di contenuto: ciò che è detto: il pensiero linguisticamente esplicitato; ciò che è implicato: il pensiero pragmaticamente inteso. Le implicature conversazionali permettono quindi di ricostruire ciò che è implicato, e possono essere di due tipi: -generalizzate: tratte indipendentemente dal contesto -non standard o particolarizzate: dipendenti dal contesto il significato letterale di una frase è solo una porzione minima di ciò che è comunicato, mentre l'informazione contestuale è fondamentale per risolvere l'ambiguità (insita in alcuni termini linguistici, come per esempio le parole polisemiche) e assegnare referenze indessicali (ovvero il processo che permette di ancorare espressioni linguistiche indicali, come pronomi personali, avverbi di tempo, ecc. a oggetti della situazione e del contesto). 2.2. Il modello dei significati presuntivi Secondo Levinson esiste un sistema di regole di default per generare implicature conversazionali generalizzate al quale si affianca un sistema di principi comunicativi che permetterebbe l'inferenza di implicature conversazionali particolarizzate. Levison propone quindi il modello dei significati presuntivi, ovvero le interpretazioni preferite degli enunciati in un dato scambio comunicativo. I significati presuntivi sarebbero prevedibili per default in base all'esperienza comunicativa pregressa. Capitolo 11 27 2.3. La composizionalità semantica Secondo Sperber e Wilson le regole di composizionalità semantica permettono di stabilire il significato minimo di un enunciato, ma per comprendere "ciò che è detto", il significato minimo va arricchito ed espanso attraverso operazioni inferenziali (esplicature). Sono tre i livelli di significato: il significato linguisticamente codificato: forma logica; ciò che è detto: la forma logica arricchita attraverso esplicature; ciò che è implicato: il significato del messaggio, arricchito da riferimenti contestuali extralinguistici e derivato attraverso implicature conversazionali. La comprensione può avvenire solo se supportata da un processo inferenziale che guida l'interpretazione delle intenzioni comunicative del parlante a partire da indizi linguistici ed extralinguistici. Ciò è guidato dal principio di pertinenza o rilevanza, secondo il quale i parlanti hanno l'obiettivo di essere pertinenti. Sulla base di questo principio, i riceventi possono assumere che ogni stimolo comunicativo, nella forma in cui è presentato, sia intenzionale e rilevante rispetto agli scopi del discorso. La rilevanza di uno stimolo comunicativo è funzione dell'effetto cognitivo prodotto e dello sforzo di elaborazione. 2.4. La pragmatica La pragmatica studia i meccanismi che consentono di interpretare il linguaggio nel contesto verbale e non verbale. In “Pragmatica della comunicazione umana” (1967), Watzlawick pone una prospettiva sulla comunicazione umana strettamente legata alle relazioni. Secondo gli studiosi, la comunicazione si attua sempre in un contesto di interazione e il susseguirsi di queste interazioni nel tempo costruiscono e plasmano le relazioni. Il termine pragmatica in questa prospettiva, si configura come lo studio degli effetti della comunicazione sul comportamento umano. La comunicazione è uno scambio interattivo, circolare, situato in un contesto ambientale, relazionale e interpersonale dinamico, e il processo di scambio di significati ha effetti che vanno al di là della condivisione di informazioni. Capitolo 11 28 Watzlawick stabilisce tre assiomi fondamentali della comunicazione umana: non si può non comunicare; ogni messaggio comunicativo ha un livello di contenuto (“notizia”, info contenuta nel messaggio) e uno di relazione (“comando/metacomunicativo”, come le info vengono interpretate in base alla relazione che intercorre fra i parlanti); la natura di una relazione dipende dalle sequenze di interazioni tra i comunicanti. La comunicazione è circolare e continua, ma i comunicanti tendono a segmentarla tramite il processo di punteggiatura della sequenza di eventi assegnando una dimensione temporale e dei ruoli. Non sempre i comunicanti sono in accordo sulla segmentazione: questa possibilità è alla base dei conflitti relazionali, soprattutto se i comunicanti sono incapaci di metacomunicare circa i rispettivi modelli di interazione. La costruzione di modelli condivisi dell'interazione e la metacomunicazione circa questi modelli è cruciale per il buon funzionamento delle relazioni. 3. La comunicazione non verbale La comunicazione non verbale può essere definita come lo scambio e la costruzione di significati senza il coinvolgimento del linguaggio. I segnali non verbali, di per sé, non hanno alcun significato, ma sono gli individui appartenenti a un gruppo sociale che attribuiscono loro un significato basandosi su convenzioni che appartengono solo a quel gruppo specifico, e per questo motivo la decodifica dei segnali non verbali non è univoca. Alcuni segnali non verbali hanno origine innata e la loro decodifica è condivisa dagli esseri umani a prescindere dal contesto culturale, altri invece sono legati al loro contesto sociale. Non sempre i segnali non verbali vengono usati in modo consapevole o intenzionale: l'intenzionalità nella comunicazione umana (anche non verbale) è posta su un continuum e quindi si tratta di questione di grado più che di tutto o nulla. I segnali non verbali possono quindi posizionarsi su questo continuum e configurarsi come comunicativi fino a espressivi, con svariati gradi di intenzionalità (e quindi di comunicatività) intermedi. Capitolo 11 29 I segnali non verbali ricoprono molte funzioni all'interno dell'interazione comunicativa. Una delle funzioni principali della comunicazione non verbale è la regolazione della relazione tra i parlanti: consentono di sincronizzare i turni comunicativi, richiamare l'attenzione dell'interlocutore o fornire un feedback. La comunicazione non verbale ha anche funzione metacomunicativa, di suggerimento per l’interpretazione del messaggio verbale. L'essere umano utilizza la comunicazione non verbale costantemente per definire l'interazione e definirsi nell'interazione, rimarcando il proprio ruolo sociale o esprimendo i propri atteggiamenti interpersonali. 3.1. Il comportamento cinetico È una macro-categoria dei segnali non verbali, e comprende i movimenti delle mani, delle braccia e del corpo in generale. I gesti delle mani e delle braccia si realizzano all'interno di uno spazio semisferico che si estende davanti al parlante, definendo lo spazio del discorso. All'interno di questo spazio, i movimenti delle mani accompagnano il discorso o ne sostituiscono delle porzioni. Classificazione dei gesti secondo Ekman e Friesen (1969): gesti emblematici: gesti convenzionali, culturalmente definiti e codificati (es. salutare, segno dell’OK; gesti illustratori: gesti direttamente legati al discorso con la finalità di illustrare il contenuto del messaggio comunicativo e chiarire quello che si sta dicendo (es. disegnare con le mani); gesti regolatori: gesti che hanno la funzione di regolare il discorso e i turni conversazionali (es. annuire e scuotere la testa); gesti adattatori: gesti connessi all'espressione di stati emotivi o alla regolazione emotiva o relazionale dell’interazione (es. manipolazione di oggetti per scaricare la tensione). Classificazione dei gesti secondo McNeill (1992): gesti proposizionali: gesti che si collocano all'interno del discorso e ne rappresentano alcuni elementi; i gesti iconici: mimano un aspetto concreto del contenuto del messaggio; i gesti metaforici: mimano aspetti astratti del contenuto del messaggio; i gesti deittici: consentono l'ancoraggio del discorso al contesto fisico; Capitolo 11 30 gesti non proposizionali: gesti che accompagnano il flusso del discorso e che si usano per enfatizzarne alcuni aspetti o per creare un senso di continuità e coesione del parlato. 3.2. II comportamento vocale non verbale È una macro-categoria dei segnali non verbali, e comprende il paralinguaggio. Ci sono tre caratteristiche paralinguistiche fondamentali della comunicazione: 1. I tratti prosodici sono proprietà transitorie che regolano l’articolazione di un enunciato. Il tono/frequenza fondamentale: variazione data dalla tensione delle corde vocali e dalla loro frequenza di vibrazione; L’intensità/volume: forza del suono (pressione sul timpano esercitata dall'onda sonora); Il ritmo/velocità di articolazione: velocità con cui vengono articolate le sillabe in successione; 2. Le caratteristiche extra-linguistiche descrivono tratti permanenti della voce legati alla conformazione anatomica dell'apparato fonatorio del parlante. 3. Gli aspetti di realizzazione fonemica, che hanno a che fare con il modo in cui i suoni della lingua vengono pronunciati, legati soprattutto all’accento. 3.3. Il comportamento spaziale È una macro-categoria dei segnali non verbali, e comprende il modo in cui ci muoviamo e occupiamo lo spazio, la postura che adottiamo e il modo in cui tocchiamo le altre persone… Si ritiene che il comportamento spaziale abbia la funzione principale di definire i ruoli e le relazioni all'interno delle interazioni comunicative, stabilendo rapporti di intimità, dominanza e subordinazione. 3.3.1. La prossemica La regolazione della distanza interpersonale dà suggerimenti sul grado di intimità che intercorre tra i parlanti, e sui rapporti di dominanza. La prossemica è lo studio della distanza interpersonale. Hall sostiene che il confine di una persona non coincida con il corpo, ma che includa un'area circostante, definita spazio personale. L'avvicinamento e l'ingresso di altre persone in questa area personale è tollerato a seconda del tipo di rapporto intercorrente tra gli individui. Capitolo 11 31 Hall propone quattro distanze interpersonali: la distanza intima (per individui con cui hanno relazioni strette); la distanza personale (riservata a persone che si conoscono con cui si hanno rapporti amicali ma non stretti); la distanza sociale (per le persone che non conosciamo ma con cui stiamo interagendo); la distanza pubblica (propria delle occasioni pubbliche). 3.3.2. Il comportamento aptico L’aptica è il contatto corporeo tra interlocutori. In base a come viene utilizzato, il contatto può esprimere supporto, vicinanza, ma anche dominanza, se secondo interazioni asimmetriche. Inoltre può essere utilizzato per la regolazione dell’interazione o per richiamare l’attenzione dell’interlocutore. 3.3.3. La postura La postura può esprimere diversi aspetti dell'interazione: definire i ruoli (dominante o subordinato), indicare vicinanza o intesa (posture reciprocamente speculari) oppure lo stato emotivo. Secondo Mehrabian (1972), la postura può esprimere i suoi diversi significati modificandosi lungo l'asse tensione-rilassamento. La postura può essere analizzata lungo l'asse tensione-rilassamento, ma, per un’interpretazione corretta, deve essere integrata nel contesto comunicativo complessivo. Capitolo 11 32 Motivazione ed emozione La motivazione è il processo per cui una persona intraprende, svolge e porta a compimento delle attività così da soddisfare i suoi bisogni e i suoi desideri. 1. Teorie sulla motivazione Ci sono due tipi di motivazione: motivazione estrinseca: una persona esegue un'azione perché questa porta a dei risultati vantaggiosi ma esterni (es. ricompensa). motivazione intrinseca: una persona esegue un'azione perché l'azione stessa è in qualche modo divertente, gratificante, stimolante o soddisfacente. GLI ISTINTI Gli istinti sono comportamenti innati e biologicamente determinati che esistono sia negli animali sia negli esseri umani. Negli anni passati gli psicologi hanno tentato di creare una lista che è arrivata a contenere oltre 100 bisogni. Tuttavia, non ci fu nessun tentativo di spiegare perché questi istinti sono osservabili negli esseri umani, ammesso che essi esistano davvero. TEORIA DELLA RIDUZIONE DELLE PULSIONI Un bisogno è la necessità di qualche bene essenziale per la sopravvivenza dell'organismo. Quando un organismo ha un bisogno, quest'ultimo porta a una tensione psicologica (pulsione), accompagnata da un'attivazione fisiologica, che motiva l'organismo ad agire al fine di soddisfare il bisogno e ridurre la tensione. Questo avviene perché l’organismo tende a mantenere uno stato di equilibrio (omeostasi). Quando si attiva una pulsione primaria, il corpo è in uno stato di disequilibrio. Questa condizione stimola il comportamento che, a sua volta, riporta il corpo a uno stato di equilibrio. Le pulsioni possono essere: primarie: riguardano i bisogni di sopravvivenza del corpo; secondarie: bisogni acquisiti attraverso l'esperienza o il condizionamento. Capitolo 12 33 LA TEORIA DI MCCLELLAND McClelland propose una teoria della motivazione che evidenzia l'importanza di tre bisogni psicologici: bisogno di affiliazione: bisogno di intrattenere relazioni e interazioni sociali con gli altri. Chi manifesta significativamente questo bisogno cerca di piacere agli altri ed è bravo nei giochi/progetti di squadra; bisogno di potere: bisogno di esercitare controllo e influenza sugli altri. Chi manifesta significativamente questo bisogno ostenta ricchezza e desiderano di imporre le proprie idee a gli altri. bisogno di riuscita: bisogno di riuscire a raggiungere gli obbiettivi. Chi manifesta significativamente questo bisogno sceglie compiti stimolanti, che lo mettono alla prova, chi invece ha un basso bisogno di riuscita, sceglie compiti molto semplici o impossibili. LA TEORIA DELLA MOTIVAZIONE FOCALIZZATA SUL SÉ DI CAROL DECK Dweck sosteneva che le "teorie" che le persone hanno sul loro Sé possono influenzare il loro livello di motivazione alla riuscita e al successo. Secondo le ricerche da lei effettuate, le persone possono avvalersi di una di due "teorie" sulla propria intelligenza: I. L’intelligenza come tratto stabile e immutabile: chi si avvale di questa teoria rinuncia o evita situazioni in cui si potrebbe fallire. Questi individui sono inclini a sviluppare impotenza appresa e hanno come obbiettivo quello di apparire intelligenti e migliori di fronte a gli altri. II. L’intelligenza come tratto mutabile in funzione delle esperienze fatte e dell’impegno applicato: chi si avvale di questa teoria crede che le proprie azioni e i propri sforzi aumenteranno il suo livello generale di intelligenza e lo aiuteranno a fronteggiare le sfide della vita. Le persone che pensano che le loro vite siano controllate da altre persone, dalla fortuna, dal destino o dal caso, sono considerate degli individui con un locus of control esterno(I); le persone che pensano di avere controllo su quello che succede nelle loro vite sono considerate degli individui con un locus of control interno (II). Capitolo 12 34 TEORIA DELL'AROUSAL Ci sono persone che invece sono motivate dalla ricerca di stimoli. Questa motivazione può essere definita come un bisogno innato che causa un incremento degli stimoli a cui è esposto un individuo. Secondo questa teoria, le persone hanno nella loro vita un livello ottimale di attivazione (arousal=attivazione psicofisica). Gli individui sono motivati ad assumere comportamenti o a cercare di vivere esperienze che sono coerenti con questo livello ottimale. Alcune persone hanno bisogno di meno attivazione e altre invece di più attivazione. La persona che ha bisogno di più attivazione è chiamata “Ricercatore ricercatore di sensazioni” e ha bisogno di esperienze sensoriali più complesse e diversificate rispetto alla media delle persone. APPROCCI DELL’INCENTIVO Gli incentivi sono ricompense che spingono le persone all’azione. Negli approcci dell'incentivo, il comportamento viene considerato come una risposta agli stimoli esterni e alle loro caratteristiche gratificanti. GERARCHIA DEI BISOGNI DI MASLOW La prima teoria umanistica è basata sul Maslow del 1954. Nella Gerarchia dei bisogni, Maslow ha proposto molti livelli di bisogni che una persona deve cercare di soddisfare prima di raggiungere quello che può essere considerato il livello motivazionale più alto: l’autorealizzazione. Le persone autorealizzate, sono quelle che hanno soddisfatto i loro bisogni di base e che, al tempo stesso, hanno sviluppato pienamente il loro potenziale. Affinché una persona possa raggiungere l'autorealizzazione, i bisogni di base, o primari, devono essere soddisfatti per primi. Capitolo 12 35 Durante le proprie esistenze, le persone risalgono la piramide acquisendo saggezza e sviluppando la conoscenza necessaria per gestire un'ampia gamma di situazioni differenti, muovendosi su e giù tra i livelli. Gli istanti della vita in cui la persona si sente realizzata sono chiamati esperienze di picco. Per Maslow, i processi di crescita e di autorealizzazione rappresentano lo sforzo continuo dell'individuo di vivere il maggior numero possibile di esperienze di picco. Questo modello ricevette molte critiche fra cui la più importante, quella di non essersi basato su evidenze scientifiche. TEORIA DELL' AUTODETERMINAZIONE DI RYAN E DECI Secondo questa teoria, le persone possono realizzarsi e avere relazioni positive con gli altri soddisfacendo tre bisogni innati e universali: l’autonomia: bisogno di avere il controllo dei propri comportamenti e obiettivi (autodeterminazione); la competenza: bisogno di essere in grado di gestire i compiti impegnativi; le relazioni: bisogno di appartenenza, intimità e sicurezza nei rapporti con gli altri. Ryan e Deci ritengono che questi bisogni possano essere pienamente soddisfatti in un ambiente favorevole allo sviluppo degli obiettivi e delle relazioni con gli altri. La soddisfazione di questi bisogni promuoverà una sana crescita psicologica dell'individuo e ne incrementerà la motivazione intrinseca. 2. La fame Diversi fattori sono coinvolti nella pulsione della fame: 1. FATTORI ORMONALI: Insulina e glucagone sono ormoni secreti dal pancreas per controllare i livelli di grassi, proteine e carboidrati nell'intero corpo. L'insulina riduce il livello del glucosio nel sangue, il glucagone lo aumenta. L’insulina provoca una sensazione di maggiore fame a causa del calo dei livelli di zucchero nel sangue (quando iniziamo a mangiare). Un ormone chiamato leptina sembra invece agisca riducendo l'appetito e incrementando la sensazione di sazietà (quando abbiamo mangiato a sufficienza). Capitolo 12 36 2. L’IPOTALAMO L'ipotalamo ventromediale (centro della sazietà) è coinvolto nell'interruzione della risposta di assunzione di cibo quando i livelli di glucosio salgono. Le lesioni alle aree ventromediali portano i topi a non smettere di mangiare. L’ipotalamo laterale (centro della fame) influenza l'inizio dell'alimentazione quando i livelli di insulina incrementano. Le lesioni in quest'area portano i topi a non alimentarsi fino a morire di fame. 3. LE COMPONENTI SOCIALI Le persone mangiano anche se non hanno davvero fame. Come la convenzione di consumare la colazione, il pranzo e la cena a certi orari. Tale "convenzione", in realtà, è il risultato del condizionamento classico: il corpo diventa condizionato a rispondere con il riflesso della fame a certi momenti della giornata. Il cibo è usato anche in momenti di stress come mezzo di conforto, come una via di fuga immediata da qualcosa di spiacevole. Si mangia inoltre anche solo per “gelosia”: alcune persone (dette "esterne") rispondono con molta forza a segnali esterni come l’apparenza di una pietanza. Capitolo 12 37 3. Gli elementi dell’emozione L'emozione è un processo multicomponenziale caratterizzato da tre elementi: un'attivazione fisiologica, un comportamento che rivela l'emozione al mondo esterno e una consapevolezza interiore dell'emozione provata. 1. ATTIVAZIONE FISIOLOGICA Dal punto di vista fisiologico, quando una persona prova un'emozione il sistema nervoso autonomo genera un'attivazione fisiologica. Nei vari aspetti delle emozioni sono coinvolte varie parti del cervello, quale l’amigdala. Informazioni ottenute da LeDoux sui processi di elaborazione cerebrale delle informazioni emotive e sul ruolo dell’amigdala, suggeriscono che gli stimoli emotivi viaggiano verso l'amigdala seguendo due percorsi cerebrali: via bassa (subcorticale): percorso diretto e veloce, che permette di rispondere velocemente a stimoli pericolosi, talvolta prima ancora di riconoscerli; via alta (corticale): percorso più lento e complesso, che ci permette di assumere il controllo delle nostre risposte emotive. Le ricerche contemporanee suggeriscono che le emozioni possono agire in modo differente a seconda dell'emisfero coinvolto. È stato osservato che le emozioni positive sono associate all'attività del lobo frontale sinistro del cervello, mentre stati emotivi negativi sembrano essere regolati dal lobo frontale destro. 2. COMPORTAMENTO Il comportamento in questo caso comprende espressioni del viso, movimenti del corpo e azioni che indicano agli altri come ci si sente. Sebbene le espressioni del viso possano variare tra le culture, alcuni loro aspetti sembrano universali. Darwin teorizzò che le emozioni fossero un prodotto dell'evoluzione e che avessero una natura universale e adattiva al fine della coesione del gruppo e della sopravvivenza della specie. A partire da queste teorie, si sviluppò la teoria delle emozioni di base. Ekman e Friesen (1971) osservarono che le persone appartenenti a diverse culture possono riconoscere sette espressioni del viso: rabbia, paura, disgusto, felicità, sorpresa, tristezza e disprezzo. L’emozione e l’espressione che la esplicita è universale; la sua manifestazione, dipende dalle regole culturali, che sono apprese. Le regole di esibizione sono definite come modalità apprese di controllo Capitolo 12 38 dell'espressione dell'emotività in contesti sociali e possono variare da una cultura all’altra. 3. CONSAPEVOLEZZA INTERIORE L'interpretazione di sentimenti soggettivi tramite l'assegnazione di un’etichetta può essere definita, tra gli elementi che compongono l’emozione, come elemento cognitivo, poiché il processo di etichettamento consiste nel recuperare ricordi di esperienze simili, nel comprendere il contesto dell'emozione e nell'ideare una soluzione per categorizzare l'esperienza emotiva vissuta. L’etichetta che una persona applica a un sentimento soggettivo è in parte una risposta appresa, influenzata dalla propria lingua e dalla propria cultura. 4. Teorie dell’emozione Al principio di credeva che provare un'emozione particolare conducesse prima a una reazione psicologica e dopo a una fisiologica e comportamentale. TEORIA DELLE EMOZIONI DI JAMES-LANGE James e Lange ritenevano che fosse l'attivazione fisiologica in risposta a uno stimolo a portare l'individuo a etichettare l'emozione esperita, e quindi che le reazioni corporee venissero elaborate retroattivamente ed etichettate. Stimolo—>Risposta fisiologica—>Retroazione—>Emozione TEORIA DELLE EMOZIONI DI CANNON-BARD Secondo Cannon e Bard, emozione e attivazione fisiologica hanno luogo contemporaneamente. > Cannon riteneva che i cambiamenti fisici causati da differenti emozioni non fossero abbastanza distinti da poter essere percepiti essi come differenti emozioni. > Bard affermò che le informazioni sensoriali che giungono al cervello sono inviate simultaneamente (dal talamo) sia alla corteccia sia agli organi del sistema nervoso simpatico. Stimolo—>Talamo—>Esperienza emotiva E Attivazione fisiologica Capitolo 12 39 IPOTESI DEL FEEDBACK FACCIALE Questa teoria assume che le espressioni facciali forniscano al cervello un feedback sull' emozione espressa, e che tale feedback sia la causa dell’emozione. Stimolo—>Espressione—>Feedback—>Emozione TEORIA COGNITIVO-ATTIVAZIONALE Nella teoria cognitivo-attivazionale (teoria dei due fattori) di Schachter e Singer (1964), sono necessari due eventi perché si verifichi un' emozione: -l’attivazione fisiologica -l’etichettamento dell'attivazione fisiologica stessa sulla base degli stimoli che sono presenti nell'ambiente circostante. Questi due eventi avvengono simultaneamente e insieme producono l'etichettamento dell'emozione. Stimolo—> Attivazione fisiologica E Interpretazione dell’attivazione—>Emozione LA TEORIA COGNITIVO-RELAZIONALE-MOTIVAZIONALE DI LAZARUS In questa teoria, l'aspetto più importante di ogni esperienza emotiva è il modo in cui la persona valuta e interpreta lo stimolo che ne è la causa. È la valutazione cognitiva dello stimolo (appraisal) che conduce all'emozione della paura. Stimolo—>Valutazione cognitiva—>Emozione—>Attivazione fisiologica Capitolo 12 40

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