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Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP)
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Buongiorno a tutti, sono Alessia Violini, anestesista e reanimatore, terapista del dolore e lavoro presso l’ospedale Santa Chieda Chiera di Trento. Sono anche la coordinatrice della rete di terapia del e Dolore in provincia autonoma di Trento e la responsabile nazionale dell’area culturale dolore e...
Buongiorno a tutti, sono Alessia Violini, anestesista e reanimatore, terapista del dolore e lavoro presso l’ospedale Santa Chieda Chiera di Trento. Sono anche la coordinatrice della rete di terapia del e Dolore in provincia autonoma di Trento e la responsabile nazionale dell’area culturale dolore e cure palliative della SIARTi, la nostra società scientifica accreditata di riferimento che è la Società Italiana di Anestesia, Analgesia la terapia intensiva e del dolore. Oggi parliamo dei tools di valutazione del dolore e della costipazione indotta da OPIACEI e come questa costipazione indotta da OPIACEI impatta in realtà sulla gestione del paziente. Sappiamo che la misurazione del dolore si basa sulla qualità, sulla localizzazione, sull’intensità, sulla frequenza, ma ha anche un impatto emotivo sul paziente. Quindi è anche influenzata l’intensità del dolore che il paziente riferisce proprio dal suo stato psicologico. Di fatto, noi il parametro che consideriamo maggiormente è proprio l’intensità, che di solito misuriamo con delle scale ad hoc utilizzando degli strumenti monodimensionali del dolore, che sono per esempio la numeric rating scale, lo strumento più utilizzato che individua da 0 a 10 un’intensità crescente del dolore, dove 0 è nessun dolore, 10 il dolore massimo, possibilmente immaginabile dal paziente. È la scala maggiormente utilizzata da pazienti sia giovani che anziani e che riusciamo a somministrare con più facilità sia in setting ambulatoriali che anche in setting di ricovero ospedaliero. Altre scale sono la la Verbal Rating Scale, che è la scala di definizione dell’intensità del dolore verbale, la Verbal Descriptor Scale, che è un’altra forma di descrizione del dolore, e una delle più conosciute in associazione alla Numeric Rating Scale, è la Visual Analog Scale, che rappresenta una gradazione crescente di solito descrita in termini di colorazione che va ad intensificarsi sempre di più, da un valore minimo ad un valore massimo. Quindi quando il paziente non è in grado di attribuire una intensità in termini numerici del dolore, ci si può avvalere solitamente della visual analogic scale. La numeric rating scale, come si diceva, è la più utilizzata, può essere anche fatta visualizzare dal paziente utilizzando uno strumento che è un righello posizionato in modo orizzontale che aiuta il paziente ad attribuire un valore al suo dolore. Mentre, come si diceva, la scala analogica visiva, che è la Visual Analogic Scale, ha una comparazione rispetto alla scala scala numerica, in modo che si può far capire al paziente un aumento dell’intensità del dolore anche grazie ad un aumento dei pigmenti che sono posizionati su un righello specifico. Queste due scale sono quelle che noi utilizziamo maggiormente, considerando che la scala numeric rating scale è una scala a 11 punti, perché anche lo 0 ovviamente va considerato, è una scala che ha una maggior praticità e solitamente è la scala che noi somministriamo più frequentemente perché viene compresa più facilmente dal paziente e può essere vantaggiosamente essere utilizzata anche per interviste telefoniche o, se pensiamo anche a all’applicazione dei percorsi di telemedicina o all’utilizzo di app che i pazienti possono usare per comunicare con il centro di Terapia del Dolore, può essere anche digitata, quindi il valore può essere digitato su una tastiera. A differenza invece della Visual Analogic Scale che invece deve essere utilizzata segnando una una tacca sul righello che viene somministrato al paziente. Altre scale che si possono utilizzare in altri tipi di pazienti sono la scala con le facce di Bieri, la Ebbay pain scale, la no pain scale e la pain and E scale, che sono utilizzate, per esempio, come sapete, per pazienti pediatrici o per pazienti con deficit cognitivi o nel caso in cui si abbiano pazienti affetti da demenza, per cui ogni condizione del paziente che ne determini un tipo di cronicità o di fragilità, più che altro, particolare, indica l’utilizzo di una particolare scala di valutazione del dolore. Sono scale che sono state validate per queste patologie e che ci aiutano, nel caso in cui non sia utilizzabile la numeric rating scale o la VAS, a definire una intensità del dolore. Per esempio, in questa scala, abbiamo la rilevazione dell’intensità del dolore attraverso un’indagine multidimensionale dell’impatto fatto che il dolore ha sulla vocalizzazione, per esempio, sulle espressioni facciali, sul cambiamento di alcuni comportamenti anche fisici in relazione a degli stimoli che noi diamo al paziente, cambiamenti dello stato psicologico e quant’altro. Quindi se pensiamo per esempio al paziente ricoverato in e magari sedato, che non ha modo di descrivere o di definire un’intensità del suo dolore, possiamo avvalerci di questa scala. La No Pain Scale la vediamo qui rappresentata, anche in questo caso è una scala multidimensionale che indaga l’impatto che il dolore ha sulle varie attività quotidiane del paziente, per arrivare poi alla pain a D scale che individua una fascia di intensità del dolore, quindi che si definisce dolore lieve, moderato, severo, per esempio, nei pazienti con demenza in stato avanzato, quindi con un deterioramento cognitivo nei quali, come possiamo facilmente immaginare, non è utilizzabile una scala numerica. Questa è una scala anche molto interessante che può essere applicata anche a diverse condizioni in cui il paziente può trovarsi, anche in situazioni, ad esempio, di urgenza, di emergenza, magari con una Glasgow Coma Scale compromessa, in cui possiamo comunque sempre individuare la presenza di una certa intensità di dolore, perché possiamo sempre indagare il respiro, la vocalizzazione, l’espressione facciale, il linguaggio del corpo e la consolabilità, secondo una gradazione che vede la creatività indicazione di un punteggio finale e che ci dà una indicazione abbastanza precisa dell’intensità del dolore. Il punteggio, anche in questo caso, va da 0 a 10. Per ogni settore possiamo avere un’intensità di severità assente, lieve, moderato o severo, e ottenere un punteggio finale che è molto indicativo. Altri questionari indagano, invece, l’impatto che il dolore ha sulle varie attività quotidiane, quindi abbiamo diversi questionari validanti dati in letteratura ormai da tempo, che è ad esempio il McGill Pain Questionnaire o il Brief Pain Inventory, che è un questionario che avevamo iniziato ad utilizzare veramente tanti anni fa ma che è ancora molto attuale perché analizza l’impatto del dolore sulle varie attività quotidiane ma anche sul sonno, sulle relazioni interpersonali e sulle attività che il paziente solitamente è più portato ad eseguire. E non è una scala che identifica una particolare tipologia di dolore, ovvero può essere somministrata a pazienti che sono affetti sia da dolore nocicettivo cronico che da dolore neuropatico cronico, ma anche in pazienti che sono affetti da dolore di origine oncologica che, come sappiamo, può essere sia nocicettiva che neuropatica o mixed. L’osvestry Disability Index, invece, è un questionario che indaga l’impatto che soprattutto il low back pain, quindi è indicato per il dolore cronico lombare o comunque muscolo scheletrico da lombo-schatalgia, può avere sulle varie attività del paziente. In questo caso sappiamo che possiamo ottenere un dolore, quindi un’intensità del dolore, che il paziente ci indica come lieve, moderato, severo. In questa slide, un po’ simpatica, vediamo che abbiamo da letteratura un’indicazione sull’utilizzo di farmaci che si colloca nelle tre fasce principali di intensità di dolore che possiamo ottenere da tutte queste scale. Ovvero l’OMS aveva indicato, ancora negli negli anni ‘90, un percorso che guidasse il medico nella prescrizione di farmaci, non solo oppiacei ma anche di farmaci non oppiacei o adiuvanti, che potessero essere indicati a seconda dell’intensità del dolore riferito dal paziente, oppure individuato dalla somministrazione di queste scale di valutazione del dolore. L’indicazione è ancora abbastanza valida, ma parzialmente, perché sappiamo che nuovi studi hanno portato a spostare l’attenzione maggiormente sul ragionamento clinico e anche prescrittivo, che si basa principalmente sulla indagina ragine del meccanismo fisiopatologico del dolore e non tanto legato solo all’intensità del dolore riferito dal paziente o, in questo caso, possiamo dire, autocertificato dal paziente. Quindi se nella prima indicazione dell’OMS il medico prescriveva oppioidi deboli o non oppioidi nel dolore lieve, nel dolore moderato con l’aggiunta di adjuvanti e solo nel dolore severo gli oppioidi forti con l’aggiunta di altri farmaci nel caso di necessità, questo comportamento, che può essere tradotto con un atteggiamento crescente nell’utilizzo di un un’arma, per esempio, che sia più potente nel dolore severo e molto meno potente nel dolore lieve o moderato, attualmente è un po’ superata, perché si è visto che anche, per esempio, bassi dosaggi di opioidi forti possono essere indicati nel dolore moderato. E infatti c’è stata poi un’evoluzione dell’interpretazione della scala a tre gradini dell’OMS e l’utilizzo quindi di farmaci che erano inizialmente previsti solo in alcune fasce di intensità del dolore adesso vedono un’applicazione anche nel dolore lieve o moderato, sempre ragionando sulla base del meccanismo fisiopatologico del dolore e non tanto solo dell’intensità. Recentemente la IASP infatti ha ridefinito una classificazione del dolore che ha portato a distinguere due grandi categorie di dolore cronico: il dolore cronico primario e il dolore cronico secondario, dove per dolore cronico primario si intende una categoria, diciamo un raggruppamento di patologie che non hanno più nella nocicezione una ragione d’essere, nel senso che si è superato ormai quel meccanismo di stimolo continuo dalla periferia, quindi dalle stazioni più periferiche, dove si origina l’impulso doloroso, ma per esempio nel caso della fibromialgia o della lombalgia a-specifica, dove per a-pecifico gli anglosassoni intendono tutto ciò che non è infiammatorio, possono trovare una collocazione. Il dolore cronico secondario, invece, è un dolore che noi possiamo attribuire ad una afferenza che continua ad arrivare dalla periferia per indirizzarsi verso le stazioni centrali del sistema nervoso centrale, quindi fino ad arrivare al midollo e alle strutture che sono deputate alla ricezione e poi alla rielaborazione dell’impulso doloroso. In questo caso quindi abbiamo delle afferenze che possono provenire da diversi tessuti, per esempio dal tessuto nervoso, allora avremmo un dolore che può definirsi neuropatico, dai visceri, quindi nell’ambito del dolore viscerale, nel caso di un trauma o di un intervento dall’acute o dalle strutture sottoposte a intervento chirurgico, nel caso di cefalea o dolore orofaciale abbiamo comunque un impulso mediato dai nocicettori o nel caso del dolore muscolo-scheletrico, solitamente troviamo sempre una spina irritativa che proviene per esempio dalle o dai legamenti o dai muscoli o dalle strutture che compongono l’apparato muscolo-scheletrico. Quindi la grande differenza che dobbiamo tenere presente tra dolore cronico primario e dolore cronico secondario è il fatto che tutto ciò che individua delle afferenze che provengono da un tessuto facilmente individuabile periferico, si colloca nell’ambito del dolore cronico secondario, tutto ciò che invece non trova più delle afferenze periferiche e che quindi viene attribuito ad una specie di corto circuito che avviene nel meccanismo di percezione e rielaborazione del dolore, lo definiamo dolore cronico primario. Quindi, attualmente, il dolore viene identificato non solo con il parametro dell’intensità, di cui abbiamo parlato prima, ma la IASP arricchisce questa definizione di dolore cronico, comprendendo anche il concetto di sofferenza globale del paziente e dell’interferenza dell’ del dolore, del sintomo dolore, con la sua vita quotidiana. Ecco che la definizione di dolore basato solo sull’intensità viene rivista con un arricchimento in termini di definizione, ma che completa effettivamente la sofferenza globale del paziente. Quindi si parla di fenomeni meno biopsicosociale. Cosa dobbiamo considerare quindi quando il paziente ha un’indicazione per la prescrizione di farmaci o piace? Dobbiamo considerare che oltre agli effetti collaterali, tipo la nausea e il vomito, la confusione mentale tra i più comuni, eventualmente anche il prurito in casi più rari, molto spesso abbiamo un effetto collaterale che abbiamo constatato non essere così tanto indagato, ovvero la costipazione indotta da opiacei. Più che altro non viene molto indagata la predisposizione del paziente a sviluppare questo effetto collaterale, ancor prima di intrapre prendere una terapia con questi farmaci. Perché molto spesso il paziente, la mente, quindi riferisce il sintomo della costipazione una volta che ha già intrapreso la terapia e di conseguenza molto spesso la interrompe anche autonomamente, perdendo quindi quella che noi definiamo aderenza terapeutica. Che cosa è la costipazione indotta da OPIACI? Si definisce come una diminuita frequenza della defecazione o una difficoltà fisica nello svuotamento effettivo del retto. Quindi si caratterizza da feci molto solide oppure da una cosiddetta pseudo diarrea. Il dolore nella defecazione può dare anche delle complicanze locali come raga di emorroidi e solitamente si associa una sensazione di gonfiore addominale fino a dare anche un dolore vero e proprio molto importante che molto spesso costringe il paziente anche a recarsi in pronto soccorso. La costipazione indotta da oppiacei è quindi la comparsa o il peggioramento, attenzione, dei sintomi da costipazione che possono magari già essere presenti in un paziente predisposto e che è conseguente alle modifiche terapeutiche che vengono apportate, ad esempio, ad un incremento del dosaggio di OPAC nel caso in cui non siano sufficienti per dare un pain relief soddisfacente o anche una variazione della via di somministrazione. La constipazione è un sintomo molto frequente, è cronico, quindi può cronicizzarsi, ed è da considerarsi cronico quando sia presente da almeno 12 settimane, secondo la definizione che è presente in letteratura. Come vediamo, sebbene la constipazione indotta da opiacei coinvolga il 40, 80 il 90% dei pazienti in trattamento con opiacei, resta, come si diceva, ad oggi una complicanza sottodiagnosticata innanzitutto, ma poi anche, conseguentemente, sottotrattata. Vediamo che quindi la percentuale, riportata in letteratura, di costipazione indotta da opiacei è molto elevata nei pazienti, per cui è veramente uno degli effetti collaterali che siamo tenuti a monitorare più frequentemente rispetto ad altri. La stipsida OPIOEDI, quindi, è un evento avverso che si verifica frequentemente, è una condizione comunque iatrogena perché siamo noi prescrittori a crearla prescrivendo o piace che agendo sui recettori mu e anche su altri recettori, a seconda del tipo di farmaco che utilizziamo possono indurre una riduzione della motilità della secrezioni gastrointestinali e possono causare anche vari tipi di disfunzione intestinale. In questa slide vediamo la fisiopatologia della costipazione indotta da oppiacei schematizzata. La costipazione indotta da oppiacei non agisce, come vediamo solo sul tratto intestinale, ma può provocare anche alterazioni della funzionalità di altri organi viscerali, come per esempio l’esofago, la colecistile, le vie biliari, il pancreas, lo stomaco, per cui possiamo avere, come vedete, disfagia, l’aumento del bruciore o di una malattia da reflusso o gastroesofraggeo, dolore addominali, disfunzioni della funzionalità delle vie biliari o addirittura malassorbimento, a livello dell’intestino tenue, meteorismo, distensione addominale, dispepsia posprandiale. A livello gastrico, sazietà precoce, bruciore, reflusso, nauseo e vomito, questi sono i sintomi più frequenti che vediamo evidenziati in verde. A livello colico possiamo avere rallentamento del transito e costipazione vera e propria. E a livello anche, addirittura, dello sfinte anale interno, possiamo arrivare ad una situazione di evacuazione incompleta che spesso porta al rischio più elevato di sindromi da subocclusion o vere e propria occlusione intestinale nei casi più gravi. Quali sono le cause della costipazione indotta da oppiacei? Sicuramente uno scarso introito di liquidi, una alterazione nel regime dietetico che preveda, per esempio, poche verdure, poca frutta, medicinali che possono anche dare delle interazioni sempre da considerare con gli opiacei, quindi calcolando che gli opiacei sono metabolizzati dal citocromo P450 e che ognuno di loro ha le sue particolari caratteristiche, dobbiamo considerare che anche altri farmaci che possono essere assunti dal paziente possono causare una costipazione che quindi l’associazione con farmaci opiacei può quindi ulteriormente peggiorare. Inoltre, possiamo avere lo stress, l’età avanzata e lo stile di vita sedentario che possono peggiorare una costipazione magari già latente. Altre cause che dobbiamo tenere molto ben presenti sono cause situazionali, correlate ad una particolare malattia, correlate ad una situazione anche grave che rappresenta una cosiddetta red flex, le situazioni psichiatriche, le situazioni correlate al trattamento come abbiamo visto per quanto riguarda le associazioni di farmaci o altre condizioni. Un campanello di allarme che dobbiamo sempre tener presente è la comparte di una costipazione che si manifesta improvvisamente e che può essere anche legata ad una massa, quindi di origine, per esempio, tumorale, che può andare a comprimere e ad occludere il tratto intestinale. I fattori predisponenti quindi sono fattori funzionali e fattori organici. Tra i fattori funzionali si distinguono i fattori dietetici, quelli ambientali e altri fattori come l’età avanzata, l’allettamento, la depressione, ma anche, come vedete, il dolore cronico non controllato. Tra i fattori, invece, organici, possiamo avere alterazioni metaboliche, in particolare la disidratazione, ma anche l’ipercalcemia, si disfunzioni che possano creare disionemie, ipotiroidismo, diabete, disfunzioni neurologiche come malattia di Parkinson, la sclerosi multipla, i tumori del sistema la nervosa centrale o anche masse che comprimmono plessi, per esempio il plesso pudendo, anomalie strutturali come ragadi emorroidi, masse tumorali pelviche o anche fibrosi conseguenti a trattamenti di radioterapie, quindi le cosiddette fibrosi post-attiniche, che creano delle aderenze che ostacolano meccanicamente il transito delle feci a livello intestinale o l’utilizzo di agenti farmacologici che possano potenziare un effetto collaterale che già comunque dobbiamo considerare sempre a rischio per tutti i pazienti che assumono opioidi, non solo opioidi forti ma anche opioidi deboli. Per quanto riguarda l’epidemiologia, la letteratura parla di una prevalenza nel sesso femminile, un’età che può investire soprattutto la fascia avanzata, quindi oltre i 65 anni, e la stetichezza autoriferita e ricover in ospedale sembrano essere più frequenti nei soggetti di sesso femminile. È una condizione comunque abbastanza frequente anche durante la gravidanza, in cui solitamente non sarebbe consigliato l’utilizzo di oppiacei ma abbiamo attualmente anche delle pazienti che sono in terapia cronica e che magari hanno bisogno di proseguire una terapia in un regime controllato. La prevalenza della costipazione, comunque, si è vista che per quanto riguarda un elemento raziale, è maggiore nelle persone di colore. La prevalenza stimata a livello mondiale della costipazione indotta da oppiacei è del 3%, quindi un dato che comunque non è così irrisorio. Le caratteristiche della costipazione sono abbastanza variabili e sono calate sulle caratteristiche cliniche del un paziente, ma un elemento di fondamentale importanza è che la costipazione indotta da oppiacei non va incontro al fenomeno della tolleranza, ovvero Se per un farmaco o piaceo lo sviluppo di un potenziale effetto collaterale può essere superato dalla pazienza del paziente che viene giustamente educato e che condivide un percorso clinico con il medico che l’ha adeguatamente informato e quindi magari una leggera nausea, una leggera confusione mentale possono essere superate nell’arco di pochi giorni se si porta avanti una terapia per un tempo adeguato, questa cosa non si realizza realizza, se noi consideriamo come effetto collaterale, la costipazione. Ovvero la costipazione non tende a migliorare, anzi tende a peggiorare. Di conseguenza abbiamo l’obbligo di informare adeguatamente il paziente e attualmente abbiamo anche la possibilità di prevenire questo effetto collaterale che è molto impattante sulla vita quotidiana del paziente perché impatta anche non solo sulla sua qualità di vita in generale ma anche addirittura sulla capacità lavorativa. Quindi vediamo le cinque cose da fare e da non fare nella gestione del paziente con costipazione indotta da opiacei. Abbiamo schematizzato questo piccolo riassunto delle cose che si possono fare e quelle da non fare per gestire un paziente che ha un rischio o che ha già sviluppato una costipazione indotta da da oppiacei. Partiamo dalle cose da non fare. Non affidarsi solo al racconto o ai diari dei pazienti per porre una diagnosi. Non sottostimare la possibilità di costipazione indotta da oppiacei in chi riceve oppioidi per periodi limitati di tempo. Quindi anche se il paziente utilizza un oppioide che sia debole, che sia forte o come lo vogliamo classificare, adesso sappiamo che ne abbiamo di diverse categorie, non dobbiamo sottostimare la possibilità che si sviluppi, anche se si ha una terapia limitata nel tempo, questo effetto collaterale. Non lasciare che il paziente ricorra all’automedicazione o all’auto-gestione della terapia lassativa, che è un’evenienza molto frequente che clinicamente riscontriamo nei nostri pazienti. Non limitare l’intervento terapeutico alle azioni conservative, quindi a cambiare solo le abitudini comportamentali, e non modificare la terapia con oppiacei esistenti come strategia preventiva o terapeutica per la constipazione indotta da oppiacei. Cioè questo vuol dire che non è detto che cambiando il tipo di oppiaceo io riesca a non posso nullare questo effetto collaterale, ma devo sempre tener presente che tutta questa categoria di farmaci può avere il rischio di indurre la costipazione. Quindi che cosa fare? Valutare sempre la funzione intestinale basale all’inizio di una terapia, soprattutto se pensiamo di portarla avanti a lungo termine con farmaci oppiacei, utilizzare strumenti diagnostici validati e universalmente riconosciuti per la diagnosi di costipazione indotta da oppiacei, e quindi tra poco li vedremo, ma possiamo già anticipare che possono essere i criteri di Roma o la Bristol Stool Scale. Effettuare sempre una diagnosi differenziale tra costipazione indotta da oppiacei e costipazione invece esacerbata dagli oppiacei che però può essere imputabile ad altre cause organiche o funzionali, per esempio, come si diceva, terapie concomitanti, quindi con farmaci che peggiorano la funzionalità intestinale, indipendentemente dal dosaggio che il paziente sta assumendo di oppiaceo, lo stile di vita o eventuali comorbidità che nel corso della storia del paziente possono comparire. Prescrivere un lasciativo standard di prevenzione, quindi per prevenire la costipazione indotta da oppiacei. Questo è il punto cardine del nostro percorso, perché l’utilizzo di un lassativo eventualmente associato ad un farmaco Pamora come trattamento di seconda linea, è ormai il gold standard della nostra terapia quando pensiamo di prescrivere farmaci o PIACE sia a breve termine che a lungo termine. Inoltre, garantire al paziente una giusta e un’adeguata informazione che riguardi i rischi legati alla terapia cronica con questi farmaci, in particolare sulla costipazione indotta da oppiacei alla quale si deve chiedere al paziente di fare particolarmente attenzione e di riferire sempre al medico prescrittore o che esegue il follow up, eventuali modifiche o cambiamenti di situazioni. La diagnosi quindi di costipazione prevede alcune fasi: un’anamnesi patologica remota e prossima, un’anamnesi farmacologica, un esame fisico, esami strumentali e test di funzionalità anorettale e talvolta anche una defecografia nei casi in cui sia indicata. Perché devo trattare precocemente la costipazione indotta da oppiacei? Sicuramente per evitare di aumentare la sofferenza del paziente, perché il La nostra mission è proprio quella di migliorare la qualità di vita del paziente. Quindi se io prescrivo una terapia con l’intenzione di migliorare il sintomo dolore, devo anche sapere come gestire eventuali effetti collaterali, quindi non far correre al mio paziente il rischio di sviluppare un effetto collaterale che, attenzione, può essere uno dei motivi principali per cui il paziente sospende la terapia. E poi per evitare anche la comparsa di altri effetti collaterali, nausea, vomito, diarrea, paradosso, incontinenza, occlusione, delirio e anche più dolore, per esempio se associamo il dolore viscerale o addominale al dolore cronico del paziente, possiamo di fatto avere un aumento del quadro doloroso del paziente. Quindi che cosa dobbiamo fare? Chiedere al paziente le sue abitudini intestinali e monitorare i dati almeno una o due volte alla settimana, prevenirla, con la prevenzione di fondamentale importanza, come abbiamo detto, consigliare un’alimentazione e un’idratazione adeguate e proporzionali al paziente alle sue condizioni e privilegiare ovviamente diete a base anche di fibre, qualora non siano controindicate, chiaramente. Quali sono i criteri diagnostici dei disturbi gastrointestinali che prendiamo a riferimento? Il primo tentativo di definire dei criteri clinici per la definizione dei disturbi funzionali gastrointestinali nel paziente adulto è nato nel 1989 con la prima pubblicazione dei criteri di Roma. Nel ’97 si è tenuta una prima consensus conference sui disturbi funzionali, anche pediatrici, e i criteri di Roma si sono poi aggiornati via via negli anni fino ad arrivare ai criteri di Roma IV, che nel 2016 hanno portato ad avere un’evoluzione dei criteri di Roma III, che per esempio prevede ricevano la presenza di dolore addominale continuo-episodico, criteri insufficienti per altri disordini funzionali gastrointestinali, per esempio alterazioni infiammatorie metaboliche, anatomiche o neoplastiche che potessero giustificare la sintomatologia, e si sono aggiornati con i criteri che prendiamo ad esempio al giorno d’oggi. Per Ad esempio, la diagnosi può essere appunto posta quando si abbia la presenza di almeno due delle seguenti condizioni che vediamo nella tabella qui rappresentata ad esempio la difficoltà in più di una, quattro, quindi nel 25% delle defecazioni, la presenza di feci dure o conformate in modo particolare, come vedremo dopo, in una o più delle defecazioni, quindi in più del 25% delle defecazioni del paziente, la sensazione di evacuazione incompleta, la sensazione di ostruzione, la necessità anche di aiuto con manovre manuali, non sono così infrequenti i pazienti che l’eseguono anche talvolta senza riferirlo, meno di tre movimenti intestinali spontanei alla settimana. Questo è uno dei parametri che dobbiamo tenere maggiormente in considerazione. Oppure si possono avere, al al contrario feci molli presenti raramente in assenza di lassativi, criteri insufficienti a diagnosticare una sindrome di intestino irritabile. La valutazione del rischio di costipazione passa sicuramente attraverso l’intervista del paziente che indaga sulla frequenza e la consistenza delle feci, un’alterazione del contenuto fecale, della funzionalità intestinale, del dolore o del disagio al momento dell’evacuazione, dell’importanza dell’evacuazione per il paziente, sappiamo quanto sia importante soprattutto per i pazienti anziani, e dei fattori ambientali che possono condizionare la funzionalità intestinale. Quindi, per esempio, per quanto riguarda una possibile domanda che possiamo porre al paziente, possiamo chiedere se ha notato nel corso della terapia antidolorifica con farmaci o piaci una riduzione dello stimolo, un peggioramento dello sforzo, la copresenza di incontinenza che tante volte si associa anche ad una stipsi più o meno grave e che può anche indicare una costipazione indotta da oppiacei che può come si diceva, manifestarsi anche con diarrea. E poi vedremo perché. La diagnosi di constipazione funzionale quindi è basata su un concetto di gestione del dolore dal punto di vista biopsicosociale. E si deve sempre tenere presente che c’è una relazione tra gli eventi della vita che possono influenzare l’aspetto psicosociale dell’individuo, il suo funzionamento fisiologico e che c’è una correlazione sicuramente molto stretta tra un aspetto e l’altro, ossia tra cervello e asse intestinale, perché l’intestino può essere un lo specchio del benessere anche psicofisico del paziente. La Bristol Stool Form Scale, che è la scala della conformazione formazione delle feci, è una scala che è molto importante, che è molto utilizzata anche nei reparti, per esempio, dove il paziente viene ricoverato per un periodo più o meno lungo e che viene somministrata soprattutto dal personale infermieristico. Vediamo che classifica la conformazione delle feci in diverse categorie, diverse tipologie, dal tipo 1 al tipo 7, che ci dà delle indicazioni su alcuni aspetti che sono, per esempio, la facilità la defecazione negli ultimi sette giorni, con un punteggio che varia da 0 a 100, la sensazione incompleta di evacuazione, sempre con un riferimento temporale dell’ultima settimana, un giudizio anche personale rispetto alla stipsi nell’ultima settimana. Anche il giudizio personale è molto importante perché identifica un benessere anche percepito dal paziente stesso. Le considerazioni che possiamo fare su questa scala è che la scala è indicativa come della sensazione del paziente nei confronti dell’eventuale costipazione, perché indaga degli aspetti che il paziente può interpretare anche come più o meno impattanti sulla qualità della sua vita. Si sono trovate delle correlazioni significative tra la Bowell Function Index e un questionario che è il PAC-SIM e anche con il PAC-QUAL, che adesso andremo a vedere, che ci sono altri tools che forniscono una rassicurazione sul fatto che la scala e quindi il punteggio BFI catturi i sintomi rilevanti nella costipazione indotta da oppiacei. Ovvero il punteggio BFI maggiore di 30 dovrebbe indurre a prendere in considerazione la prescrizione dei farmaci che contrastano la costipazione indotta da oppiacei, ad esempio come IPAMora. Il Bowell Function Index è un indice, di fatto, che si ottiene e sommando i tre punteggi che derivano dall’analisi di questi tre domini per ricavarne un punteggio medio. Se il punteggio medio è maggiore di 30 punti, il risultato è suggestivo per diagnosi di costipazione indotta da oppiacei. Si è visto in letteratura che una variazione di 12 punti rappresenta un cambiamento clinico significativo operativo. Quindi questo è per dirvi che anche il follow up e quindi la somministrazione di questi tools, che non devono essere soltanto utilizzati prima della prescrizione o alla prima visita del paziente o alla prima visita di controllo, ma che devono essere utilizzati frequentemente in tutto il follow up del paziente, proprio per rilevare una possibile variazione sia in termini migliorativi che in termini peggiorativi del rischio che il paziente ha di sviluppare o di peggiorare una situazione di costipazione. A volte, invece, notiamo un miglioramento della costipazione indotta da OPIASI se noi abbiamo adottato un comportamento anche prescrittivo appropriato. Quindi possiamo utilizzare uno strumento che è per esempio il diario del paziente, che può essere rappresentato, come vediamo, da una pagina in cui il paziente può scrivere alcune note e in cui si ricorda la classificazione della conformazione delle feci secondo la Bristol Stool Scale. Per parlare di un altro tool molto utilizzato rappresentiamo in questo caso il Paxim Score, che è appunto uno score che è stato sviluppato attraverso la valutazione psicometrica di pazienti adulti, in questo caso, affetti da constipazione cronica. Un questionario che si avvale di 12 items diviso in tre categorie, quindi ognuna delle quali rappresenta una sottoscala di sintomi. Le categorie sono la categoria addominale che comprende quattro voci, la categoria rettale, che comprende tre voci e la categoria funzionale, che comprende cinque voci. Quindi un punteggio totale medio compreso tra 0 e 4, viene generato dividendo il punteggio totale per il numero di domande che sono state completate. È chiaro che se il paziente completa tutte le domande, lo score ci darà un risultato più affidabile. Minore è il punteggio totale che noi otteniamo dall’applicazione di questo score e minore è l’impatto dei sintomi. Il PAC-QUAL score, quindi uno score che valuta l’impatto della costipazione sulla qualità della vita dei pazienti, è stato sviluppato per rispondere di fatto ad una necessità di valutare la stipsi da parte del paziente e anche l’impatto sulla qualità della vita del paziente. Il questionario è più completo rispetto a quello che vi ho illustrato precedentemente ed è composto da 28 domande che sono raggruppate in quattro sottogruppi che indagano, per esempio, le preoccupazioni, il disagio fisico, il disagio psicosociale e la soddisfazione da parte del paziente. Ma dobbiamo tenere presente che è molto complesso da utilizzare soprattutto con pazienti che non hanno questa facilità di risposta su un numero di domande così elevato. Eccolo qui rappresentato. È una valutazione completa dell’impatto, quindi del peso che la Stipsi ha sulle attività quotidiane del paziente e sul suo benessere in generale. Come possiamo facilmente intuire, questo questionario richiede anche un tempo di somministrazione che non sempre può prevedere un’auto-somministrazione e un’auto-certificazione da parte del paziente, ma che deve essere comunque spiegato e quindi anche mediato dall’operatore sanitario. Lo sviluppo gruppo del PAC-CALL-Score prevede un’indagine su alcuni tools in particolare, quindi su alcune domande, per esempio, come la costipazione influenza la vita quotidiana, e su questo argomento abbiamo 6 domande. Quanto la costipazione influenza la vita quotidiana, anche in questo caso 6 domande. Come la costipazione influenza l’umore, 6 domande. Quanto la costipazione influenza l’umore, altre 3 domande, quindi preoccupazione per la futura evacuazione, il fastidio per l’incapacità evacuativa, la convivenza con la stipsi, che comporta quindi un’ansia per il peggioramento dei sintomi, un malfunzionamento fisico o la convivenza con questa presenza di scarse evacuazioni o il grado di soddisfazione legato alla alla costipazione. I sintomi indagati quindi sono molteplici e lo sviluppo di questo tool è particolarmente completo da un certo punto di vista, se lo confrontiamo al pack SIM, che è più facilmente utilizzabile, quindi è uno strumento più agile perché comprende soltanto 12 items a confronto del pack call che ne comprende, come abbiamo già detto, 28. Bene, abbiamo presentazione. Vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro una buona continuazione. Grazie a tutti.