La Concezione di Assoluto e la Rielaborazione del Pensiero Kantiano (PDF)

Summary

Questo documento riassume la filosofia romantica e l'idealismo, concentrandosi sul concetto di assoluto e sulla critica del pensiero kantiano. Il testo argomenta il ruolo del concetto di assoluto nell'ambito del romanticismo e discute la rielaborazione del pensiero kantiano nell'idealismo. Il documento, non essendo un esame, non ha domande.

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Il concetto di assoluto Il recupero dei sentimenti, uno dei tratti principali del romanticismo, con il conseguente rifiuto di ridurre l’uomo alla sola ragione astratta, comportano anche l’individuazione di nuove dimensioni conoscitive in grado di superare il meccanicismo e lo scientismo illuministic...

Il concetto di assoluto Il recupero dei sentimenti, uno dei tratti principali del romanticismo, con il conseguente rifiuto di ridurre l’uomo alla sola ragione astratta, comportano anche l’individuazione di nuove dimensioni conoscitive in grado di superare il meccanicismo e lo scientismo illuministico per attingere alla conoscenza della realtà come un tutto unitario. In filosofia questa totalità viene teorizzata mediante il concetto di assoluto che unifica uomo e natura, ragione sentimenti, individuo e collettività. Nell’interpretazione idealistica l’assoluto è spiritualità che si realizza e si riconosce nel mondo: esso coincide con l’umanità nella storia del suo divenire cosciente di sé. Tale principio, nella misura in cui comprende in sé ogni realtà, è assoluto nel significato etimologico libero da legami, cioè non è determinato da nulla al di fuori di sé. Il principio è dunque causa in ragione di sé stesso, poiché da esso deriva in modo necessario tutto ciò che costituisce il mondo, il principio è anche ragione di tutto ciò che esiste e specularmente è la razionalità a partire dalla quale l'esistente risulta conoscibile. Nella seconda fase del romanticismo, l'assoluto perde progressivamente la dimensione immanentistica e panteistica per assumere il significato religioso, identificandosi con Dio. L’assoluto può essere considerato come l’elaborazione filosofica del concetto di infinito, che ha un’importanza fondamentale nella visione del mondo e nell’estetica romantica. In un significato generale, l'infinito è la tendenza a superare i limiti della ragione, ovvero accogliere qualcosa che è aldilà delle capacità conoscitive umane. In questa prospettiva il concetto di Sehnsucht acquisisce un rilievo particolare perché esprime la nostalgia dell'infinito il desiderio di qualcosa che si avverte come essenziale ma al tempo stesso come irraggiungibile, “il dolce naufragar” di Leopardi. Il concetto di totalità Il concetto di totalità non è specifico della filosofia romantica ma rende bene la prospettiva generale di questo movimento: la realtà nel suo insieme viene vista come una totalità che comprende l’uomo e la natura. Nella natura si coglie una spiritualità immanente, nell’uomo si rivaluta la dimensione naturale, che fa riferimento alle passioni e ai sentimenti. Anche l’uomo viene considerato come una totalità, superando il predominio della ragione affermato dall’Illuminismo. L’uomo è visto dunque come una realtà complessa e come totalità di ragione e sentimenti e viene colto nella sua unione spirituale con gli altri, definita mediante la nozione di popolo: il popolo è la totalità di tutti gli individui. La rielaborazione del pensiero kantiano: la nascita dell’idealismo La filosofia durante il Romanticismo I romantici sono riusciti a spiegare la capacità della ragione di poter cogliere l’assoluto tramite le forme alogiche dell’amore e del sentimento (in quanto è esclusa la logica e qualsiasi procedimento razionale). Tuttavia Hegel vuole spiegare, pretendendo di comprendere ogni aspetto del reale attraverso il suo sistema, in che modo la ragione, pur essendo finita, riesce a cogliere l’infinito di maniera razionale attraverso la dialettica (Schopenhauer e Marx andranno abbondantemente contro questo filosofo, sottolineando come il filosofo non deve spiegare la realtà, ma cambiarla). Vi è quindi da un lato il romanticismo, ovvero il movimento culturale che ingloba in sé la letteratura, l’arte e tutte le manifestazioni che hanno a che fare con l’espressione del XIX secolo e dall’altro l’idealismo, la filosofia che si sviluppa pari passo con il romanticismo che non utilizza più l’arte come metodo di accesso alla realtà infinita, ma la ragione. L’idealismo è quindi quanto più lontano dal sentimento e quindi il romanticismo. Il suo obiettivo, piuttosto, è coniugare il rapporto tra finito e l’infinito e arrivare alla realtà come spirito e ragione che si manifesta nel mondo e negli uomini. I dualismi kantiani e la cosa in sé L’apprezzamento per la “rivoluzione copernicana” kantiana si affiancava alla convinzione che nel pensiero di Kant continuassero a sussistere una serie di dualismi, tra sensibilità e intelletto, ragione teoretica e pratica, fenomeno e noumeno, la cui necessaria risoluzione richiedeva una revisione della sua impostazione. L’idealismo, tuttavia, nasce nel momento in cui Kant, oltre ad essere apprezzato per aver fondato la conoscenza scientifica nell’età moderna, inizia ad essere messo sotto accusa per una serie di affermazioni. La critica più gravida di conseguenze fu quella relativa al concetto di cosa in sé. Per Kant si trattava di un concetto non ulteriormente indagabile, ma necessario per stabilire i limiti della conoscenza. Kant aveva dichiarato infatti esistente, e al tempo stesso inconoscibile il noumeno, la cosa in sé, ma aveva sottolineato, allo stesso tempo, che la critica della ragione non può eliminare le tendenze di quest’ultima a una determinazione conoscitiva, ma impossibile, della cosa in sé, l’Assoluto. I seguaci immediati di Kant prendono di mira soprattutto quest’ultimo concetto, giudicandolo filosoficamente inammissibile. La sensibilità romantica infatti, permeata della tensione all’infinito, che si richiamava al Kant della Critica del giudizio, non poteva accontentarsi di una conoscenza ristretta ai soli fenomeni. L’essere che si rivela all’uomo infatti è per Kant solo il fenomeno, che esiste come rappresentazione della coscienza, la quale funge, a sua volta, da condizione indispensabile del conoscere. Ma se l’oggetto risulta concepibile solo in relazione al soggetto che lo rappresenta, come può venire ammessa l’esistenza di una cosa in sé, ossia di una realtà non pensata e non pensabile, non rappresentata e non rappresentabile? Il tema fondamentale del dibattito post-kantiano e idealistico è dunque il problema del rapporto tra soggetto e oggetto: se il soggetto – la coscienza, l’io penso – è il luogo del manifestarsi di tutti gli enti in tutte le loro diverse forme (morali, naturali, estetiche ecc), è dunque la coscienza la chiave del senso dell’essere dei fenomeni. L’idealismo deve in primo luogo analizzare il ruolo e il primato dell’Io penso nel processo conoscitivo. Come si è visto, in Kant l’io era qualcosa di finito, in quanto non creava la realtà, ma si limitava a ordinarla secondo le proprie forme a-priori. Per questo, sullo sfondo dell’attività dell’io si stagliava il concetto di cosa in sé, ossia di una x ignota, che il filosofo della Critica aveva comunque ammesso come esistente. L’idealismo e il soggetto trascendente Le critiche mosse alla concezione kantiana di una cosa in sé indipendente dalla conoscenza la concepiscono come il limite o il residuo del dato empirico. Il risultato di tale operazione rende la ragione, o la coscienza, l’unico principio della conoscenza: non soltanto della sua forma, funzione già attribuita da Kant alle strutture a-priori dell’intelletto, ma anche della sua materia, ovvero delle cose e degli eventi che si presentano nell’esperienza stessa. In questo passaggio si determina la posizione dell’idealismo, che elabora una radicalizzazione della gnoseologia kantiana: lo spirito è autore della realtà naturale, in quanto, eliminata la cosa in sé, l’unica realtà è quella presente allo spirito. In altre parole, l’idealismo sorge quando Fichte, spostando il discorso dal piano gnoseologico – rapporto tra soggetto/oggetto – a quello metafisico – piano dell’essere - abolisce la nozione di cosa in sé come realtà estranea all’io, che in tal modo diviene un’entità creatrice – fonte di tutto ciò che esiste e infinita – priva di limiti esterni. Da ciò la tipica tesi dell’idealismo tedesco: “tutto è Spirito”. Per comprendere tale affermazione, che rappresenta il cuore strutturale di tutto l’idealismo, bisogna tener presente che con il termine “spirito” (o con i sinonimi di “io”, “Assoluto”, “Infinito”) Fichte intende la realtà umana, considerata come attività conoscitiva e pratica e come libertà creatrice. Lo Spirito crea la realtà nel senso che è fonte creatrice di tutto ciò che esiste, ragion d’essere dell’universo. A questo punto bisogna chiedersi cosa è pero la Natura o la materia. Mentre le filosofie naturalistiche avevano sempre asserito che la Natura è causa dello Spirito perché l’uomo è un prodotto o un effetto di essa, Fichte, capovolgendo tale prospettiva, dichiara che è piuttosto lo Spirito causa della natura, poiché quest’ultima esiste solo per l’io e in funzione di esso. La Natura infatti non esiste come realtà a sé stante, ma come polo dialettico dell’io, come momento dialettico necessario della vita dello spirito. La dialettica è quella concezione secondo cui non essendoci mai, nella realtà, il positivo senza il negativo, la tesi senza l’antitesi, lo Spirito, proprio per essere tale, ha bisogno di quella sua antitesi vivente che è la Natura. Il soggetto trascendentale Adesso il problema è come lo spirito umano, che sperimenta il limite imposto ai sui atti dalla realtà esterna, possa essere considerato il “creatore” di questa realtà. Innanzitutto il soggetto, o ragione, o spirito, cui gli idealisti attribuiscono la creatività, è quello trascendentale, ossia un principio che si attua nei singoli uomini, ma non si riduce a essi, perché non ne ha la finitezza e la caducità. Tale principio infinito è la riformulazione della figura di Dio, che tuttavia si fa immanente all’umanità, precisando al tempo stesso il senso dell’infinito dei romantici. Da ciò deriva che la realtà naturale, “creata” dal soggetto trascendentale, cioè dal pensiero, è sperimentata dagli individui concreti come esterna e indipendente rispetto alla loro coscienza.ì Sia la realtà che l’uomo sono entrambe manifestazioni del soggetto trascendentale e quindi la realtà è creata dal soggetto non come individuo ma come spirito infinito (“Ciò che è reale è razionale”). La Fenomenologia dello Spirito, pertanto, ha come obiettivo la manifestazione dello spirito nell’uomo e la presa di coscienza dello stesso di essere spirito.

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