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lOMoARcPSD|36179657 L' Era degli scarti - Riassunto Wasteocene Sar- storia, antropologia e religioni (Sapienza - Università di Roma) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supporta...

lOMoARcPSD|36179657 L' Era degli scarti - Riassunto Wasteocene Sar- storia, antropologia e religioni (Sapienza - Università di Roma) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 L' Era degli scarti Cronache dal wastocene, la discarica globale Marco Armiero Introduzione Molti bambini a Napoli - quando l' autore era bambino - trascorrevano la notte a raccogliere i cartoni, dai mucchi di spazzatura urbana, girando per le strade sul retro di un tipico Ape a tre ruote, venivano chiamati “cartonai” ed erano operai in un tipo particolare di fabbrica → la metropoli dove la produzione e consumo sono meno separati di quanto si potrebbe pensare. Il libro si occupa di specificare quale sia il significato del termine “scarto”, la sua dimensione urbana e la discussione sulla sua proprietà: chi possiede i rifiuti? Quello dei rifiuti è divenuto un tema di moda di studi su varie discipline, ma scopo di questo libro è presentare il Wasteocene, di produrre una narrativa che colleghi scarti, disuguaglianze e il mondo che stiamo creando → esso può essere inserito tra le alternative all'Antopocene. Il “Capitolocene” che in particolare ha guadagnato terreno per il riferimento diretto al sistema economico e sociale che molti giudicano essere il primo responsabile all'attuale crisi socio-ecologica. La definizione di Wasteocene presuppone che gli scarti possano essere considerati la caratteristica planetaria della nuova epoca in cui viviamo. Se gli scarti non sono una cosa da collocare da qualche parte, ma un insieme di wasting relationships che producono esseri umani e non-umani di scarto, e dunque luoghi e storie scartate, la prossimità, o sovrapposizione, di chilometri e di codici postali. La produzione di scarti è legata alla produzione dell'altro, o di chi sta all'estero e del “noi”. La produzione coloniale dell'altro, l'invenzione retorica del “noi”, sono due facce della stessa medaglia. Armiero sosterrà che le pratiche di commoning=pratiche collettive che generano al tempo stesso beni comuni e comunità, sono strategie antiscarto tra le più feconde e producono benessere per mezzo della cura e dell' inclusione. Capitolo primo - Dall'Antropocene al Wasteocene 1. Ritorno a Cuernavaca Fu a Cuernavaca che nel 2000, durante una conferenza, il premio Nobel Paul Crutzen avvertí l'urgenza di annunciare che l'Olocene era finito e che una nuova epoca era cominciata: l'Antropocene → un’intuizione: gli umani dovevano essere considerati come una forza geologica capace di influire sull'intero pianeta. È in realtà soltanto una delle molte storie sulle origini dell’antropocene, infatti lo stesso Crutzen ammise che la porola era già stata usata negli anni ‘80 dallo scienziato Eugene F. Stormer. Il lavoro di Bruno Vecchio - e di altri studi italiani - sottolinea i legami sistemici tra deforestazione, inondazioni, smottamenti e alterazioni climatiche → la medesima idea era alla base degli scritti del geologo Antonio Stoppani - 1860/60 - che aveva parlato dell'emersione dell'Antropozoico, una nuova era geologica segnata dalla forza tellurica delle attività umane. A parere di Clive Hamilton, studioso australiano, la radicale novità dell'Antropocene sta nella premessa che esiste una cosa chiamata Terra, l'insieme interconnesso dei processi fisici, chimici e biologici di cui la vita è parte integrante → l'antropocene è infatti l' “età degli umani”, vale a dire un'etá nella quale “noi” influenziamo i cicli bio-geochimici della Terra. L'uso controverso della parola “noi”, o almeno i limiti dell'universalismo dell'Antropocene, è esemplificata nell'immagine di Notre-Dame in fiamme/la nostra casa che va in fiamme e che noi dobbiamo salvare insieme, ognuno di noi è chiamato a 1 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 estinguere le fiamme, ma, quando le fiamme non ci sono, coloro che possiedono la casa, o credono di possederla, sono molto meno inclini ad accogliervi chiunque. L'uso collettivo del “noi” dell'Antropocene - dato che, in effetti, gli umani sono tutti insieme sulla stessa barca, la Terra - e le conseguenze estremamente disuguali provocate da quel naufragio sui diversi gruppi di persone, la classe colta. Ian Angus ha già dimostrato che molti sono seriamente consapevoli delle disuguaglianze sociali incorporate nell'Antropocene e W. Steffen ha fatto spesso riferimento alla necessità di sovvertire le disuguaglianze strutturali di potere se vogliamo creare un futuro sostenibile. Se siamo d'accordo sul fatto he le responsabilità dell'Antropocene non è della specie umana nel suo insieme, possiamo anche riconsiderare le origini e soprattutto le possibili strategie per uscirne. La rivoluzione neolitica (circa 10.000 anni fa) con la sua invenzione/scoperta dell'agricoltura e la domesticazione degli animali, è spesso considerata la logica candidata a rappreasentare il punto di inizio dell'Antropocene da coloro che vedono nella specie umana il cuore di quella narrazione. Rivoluzione industriale del XVIII secolo e la cosiddetta Grande accellerazione degli anni del secondo dopoguerra sono generalmente giudicate momenti di svolta piuttosto significativi per l'inizio della nuova epoca, compreso il numero di fast-food di McDonald's nel mondo e la grande accellerazione, inoltre, ha lasciato un segno indelebile nella geosfera: la pioggia di radionuclidi delle esplosioni atomiche successive al 1945. Gli stessi Grutzen e Stoermer individuano nella Rivoluzione industriale, con l'esplosione di emissioni di anidride carbonica che portò con sé, il candidato ovvio a rappresentare l'origine dell'Antropocene. Come accade con qualunque cosa abbia a che fare con l'Antropocene, e con la crisi ambientale, anche il tema delle origini è altamente controverso e intrinsecamente politico. Questo libro ha l'ambizione di contribuire al dibattito tra gli studiosi di scienze umane dell'ambiente. Lewis e Maslin propongono un modello, Orbis Spike, nel quale è l'invasione europea delle Americhe come punto di inizio dell'Antropocene, che lasciò anche un segno evidente nella geosfera sotto forma di una significativa diminuizione di CO2 nell'atmosfera, come è stato registrato in due carote di ghiaccio dell'Antartide, riconducibili alla distruzione in massa dei popoli amerindi seguita alla riduzione delle pratiche agricole e dalla (ri)espansione delle foreste. Dimostra che sono stati il colonialismo, il commercio globale e il carbone a portare lstoria pocene. Come ha affermato Laura Pulido nascondere il razzismo che percorre la storia dell'Antropocene e le sue narrazioni è un modo potente di separare il colonialismo dal capitalismo, come se fossero indipendenti l'uno dall'altro → invece, il razzismo è elemento fondativo del capitalismo → anche Robin Kelley scriveva non rappresentarono una spaccatura rispetto al vecchio ordine, ma ne furono piuttosto un'evoluzione, finalizzata a produrre un moderno sistema mondiale di “capitalismo razziale” dipendente da schiavitù, violenza, imperialismo e genocidio. Di fatto il capitalismo (razziale) è un concetto cruciale per qualunque valutazione critica dell'Antropocene. Jason Moore ha definito il Capitolocene l'era del capitalismo come “ecologia-mondo di potere, capitale e natura”, modo di organizzare la natura come ecologia-mondo capitalista, situata e multi specie. 2. Perché il Wasteocene Sembra proprio che l'età degli umani sia segnata da tecno-stratigrafia di material di scarto che si accumulano nella superficie terrestre, incarnando la capacità umana di influire sull'ambiente al punto da trasformarlo in una gigantesca discarica. È per questa ragione che Massimo De Angelis e Armieri hanno proposto di chiamare la nuova epoca Wasteocene = Scartocene o era 2 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 degli scarti, inquadrando i rifiuti nell'azione che li produce, come un insieme di relazioni socio- ecologiche che creano persone e luoghi di scarto, il che significa -scartare- decidere che cosa ha un valore e che cosa non lo ha. La discarica, con i rischi che implica e i suoi cattivi odori, è strumentale al mantenimento della sicurezza e della bellezza dei quartieri e delle comunità che le sono lontani. Con il termine Wasteocene, tuttavia, Armieri intende sottolineare la natura contaminante del capitalismo e la sua persistenza nella trama della vita. Il Wasteocene ci impone -continua- di esplorare quella che potremo chiamare l'orgonosfera, per l'appunto la sfera del vivente e delle relazioni che consentono la vita sulla Terra. Alcuni hanno parlato addirittura di un sostenendo che l'età degli umani possa essere un'opportunità per assumere finalmente il controllo totale del pianeta. Il Wasteocene non ha a che fare con la materialità dei rifiuti ma con le relazioni socio-ecologiche che rendono qualcuno o qualcosa un rifiuto. La scienza non ha soltanto indicato i problemi che l'umanità deve affrontare, ma ha anche contribuito a trovare soluzioni → se il problema è la cosa - es. le emissioni di CO2- allora la geo-ingegneria, l'energia atomica o gli inceneritori possono essere la soluzione; ma se vogliamo contrastare le relazioni socio-ecologiche che producono profitti e potere a pochi individui a scapito di molti, allora sono queste relazioni che dovremmo cambiare, il cui elemento forte è produrre ricchezza e sicurezza attraverso l'alterizzazione di coloro che devono esserne esclusi. È attraverso scavi biologici nei tessuti vivi del pianeta che possiamo scorgere le tracce di una nuova epoca → il capitalismo pompa continuamente tossine nei suoi sistemi vitali seguendo la logica dei propri confini, che sono quelli che separano il privilegiato da chi può essere scarto, la purezza dalla contaminazione, la morte dalla vita → più entriamo nel Wasteocene , più questi mezzi di protezione ed esclusione si rafforzano. La relazione fondata sullo scarto è una relazione sociale che riproduce disuguaglianze, il ché sta a significare che è intrinsecamente politica e non tecnico-scientifico. Al contrario il riciclo può contenere le colonne portanti del commoning=mettere in comune, reciclare può avere un effetto positivo più ampio perché ci induce a “ripensare la nostra relazione con la materia intorno a noi” → mentre la wasting relationships=relazioni sprecate, si fondano sulla decisione di che cosa e chi sia da rifiutare, le pratiche di commoning si basano sulla produzione delle risorse e delle comunità. 3. Devastazioni prossime venture Il Wasteocene è diventato davvero un “tropo” importante nelle narrazioni che descrivono gli scenari futuri, ma ad esserne interpreti sono - più che gli scienziati - scrittori e registi, di cui lo scarto è caratteristica chiave → Tsing mette in luce la correlazioni tra fantasie di modernizzazione e distruzione, di cui le macerie sono l'espressione finale >. È rilevante l'idea di costruzione del futuro come frattura che interrrompe la modernità, e che spesso ne è il prodotto collaterale → il mondo del futuro è sempre un mondo di macerie, il futuro è profondamente perseguitato dal passato, costruito a partire dalle sue rovine, dal suo scarto visto che il mondo si è trasformato in un immensa discarica, e gli umani vengono spesso ritratti mentre frugano nei rifiuti nel perenne tentativo di salvare qualcosa dai rottami del passato, alla costante ricerca di cibo → ad es. nella saga Mad Max si mescolano le macerie materiali di un mondo a pezzi con le macerie spirituali dei sopravvissuti, che hanno perso la loro umanità; i rottami della modernità vengono riutilizzati e riempiti di nuovi significati, in un pricolage che appare come un'assenza del Wasteocene immaginato. Armieri crede che le 3 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 narrazioni fantastiche diventino ancora più potenti quando quando veicolano il messaggio principale del Wasteocene, ossia l'alterizzazione che produce contemporaneamente la discarica globale per la maggioranza degli umani e il paradiso per una minoranza, nella demarcazione fra i due mondi a contare sono le relazioni socio-ecologiche che creano entrambi. Nella serie televisiva brasiliana 3%, ambientata in un futuro non troppo lontano, la società brasiliana appare divisa fra un “entroterra” povero e devastato e un utopica e paradisiaca isola chiamata “off- shore” → il sapere più importante nell'entroterra è riuscire a riusare/reinventare ciò che è stato scartato, vivendo in una discarica sociale e materiale. La cosa più interessante è il principio con il quale si scelgono le persone che possono trasferirsi nell'isola: ogni anno tutti i cittadini che abbiano compiuto 20 anni possono sottoporsi ad una serie manipolatoria di test, a seguito dei quali coloro che se lo sono meritato possono spostarsi nell' off-shore → questo processo illustra l'interiorizzazione delle wasting relationships, che riproducono le persone e i luoghi di scarto, esiste - nella serie - una sorta di culto religioso del “processo” che rende tutti gli individui obbedienti alla logica dell'ingiustizia, che separa coloro che meritano di più da coloro che vengono scartati. Le persone non accettano facilmente di essere trattate alla stregua di rifiuti e obbligate a vivere in discariche socio-ecologiche, ciò nonostante anche la repressione epistemica e culturale è uno strumento importante per mantenere in funzione il sistema. Come sosteneva Bauman questo discorso dei “meriti” presuppone che coloro che vivono nella discarica socio-ecologica globale non siano vittime di ingiustizia ma della loro stessa incapacità di costruirsi una vita migliore. Altro film Elysium, offre una trasposizione fantascientifica del Wasteocene che ruota intorno a due “tropi” principali: il corpo malato e il migrante → l'interconnessione tra corpi malati, disuguaglianze ed esclusione è il punto centrale del Wasteocene: la produzione di persone e luoghi di scarto procede parallelamente alla costruzione di comunità esclusive globali. Il tentativo di forzare le porte ad Elysium e di accedere ai suoi privilegi è una perfetta metafora dell' odierna crisi migratoria → chiudendo le frontiere i Paesi ricchi affermano forte e chiaro che esiste un confine tra chi ha un valore e chi può essere scartato. Capitolo secondo - Storie dal Wasteocene 1. Memorie addomesticate, narrazioni tossiche, racconti scartati Armieri crede in realtà che il ruolo principale degli storici - compreso lui - non sia semplicemente ricordare il passato, ma piuttosto organizzare la memoria collettiva, una cosa che implica tanto l'atto di dimenticare quanto quello di ricordare. Plasmando la conoscenza ufficiale del passato, gli storici professionisti disegnano la mappa di che cosa dovrebbe appartenere alla nostra memoria, dunque, alle nostre identità. E come per qualsiasi mappa disegnata come si deve ciò ché rimane fuori è importante come quanto ciò che vi è incluso. L'importanza di controllare la trasmissione della memoria collettiva è sempre chiara a coloro che detengono il potere → nel 2001 Berlusconi propone di condurre un'inchiesta parlamentare sui libri di testo della storia italiana, accusati di fondarsi su forti pregiudizi di sinistra, in particolare riguardo la Resistenza contro il nazifascismo. Come ha scritto Howard Zinn nei tempi moderni, quando il controllo sociale, poggia sul “consenso dei governanti”, il ricorso alla forza è tenuto in sospeso per le emergenze e il controllo quotidiano viene esercitato dall' inganno (modo non brutale per indicare l'istruzione) quale metodo principale per mantenere le società così com' è. Il modo in cui raccontiamo le vicende del nostro passato è fondamentale per la costruzione delle identità 4 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 collettive ( per lo più nazionali) e dá senso e direzione al presente e al futuro. Gli storici hanno spesso contribuito a come alcuni racconti, ricordi o addirittura fatti devono essere scartati: non sono considerati meritevoli di essere rievocati. L'altra faccia di questa sistematica selezione delle storie è la “narrazione del padrone → secondo Stefania Barca una narrazione nasconde l'intersezione sistematica di razzismo-colonialismo, disuguaglianza di classe e supremazia degli umani nella produzione della crisi del pianeta. Questa narrazione egemonica nasconde soggetti che non sono i padroni, riducendoli a componenti irrilevanti del racconto. Per essere giusti, va detto che, a partire dagli anni ‘60/’70, gli storici sociali hanno lavorato per cambiare la narrazione storica dominante, recuperando frammenti storie dalla discarica della memoria. La convergenza tra la Nuova sinistra e il movimento degli studenti di quegli anni ha contribuito alla nascita della Storia Ambientale → l'apertura non è stata facile e la battaglia non è ancora conclusa. Armieri resta convinto che la costruzione di una storia ufficiale e la sua trasmissione tramite l' istruzione e il discorso pubblico rimanga immune da queste nuove linee di ricerca → rendere invisibile la violenza, normalizzare l'ingiustizia, cancellare qualunque narrazione alternativa in sintesi cancellare ciò che non si adatta alla narrazione dominante è il primo e più comune dispositivo per produrre storie del Wasteocene. Es. Il 9 ottobre 1963, circa 300 milioni di metri cubi di roccia si staccarono dalla montagna per precipitare nella diga del Vajont, ciò provocò un onda che distrusse i paesi a,valle tra cui Longarone. Questo che fu uno dei più grandi disastri del secondo dopoguerra fu cancellato dalla memoria collettiva nazionale, ed è stato il lavoro di un autore/attore di teatro Marco Paolini, a fine anni ‘90, a farlo rientrare nella memoria collettiva del Paese. Evidentemente la storia di una potente azienda idroelettrica e della complicità dello Stato non erano adatte alla narrazione generale di un'Italia che finalmente diventava una società ricca e moderna. Anche il cimitero di Longarone è stato ristrutturato, e il ricordo delle vittime è stato riorganizzato in geometrici blocchi di marmo con la sola incisione dei nomi dei defunti, da cui sono state elise le parole di sdegno per l'accaduto che nella prima sepoltura accompagnavano i morti. Il lutto deve essere addomesticato, la logica del Wasteocene non può essere messa in questione: se un episodio tragico rende lo scarto di vite umane troppo evidente per poter essere nascosto, va visto come un incidente. Wu Ming, collettivo di scrittori militanti, ha scritto che per diventare “narrazione tossica”, una storia deve essere raccontata sempre dallo stesso punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole, omettendo sempre gli stessi dettagli, rimuovendo gli stessi elementi di contesto e complessità. Le narrazioni tossiche sono parenti strette dei “racconti maggioritari” = racconti che naturalizzano il privilegio etico ignorando o cancellando l'esperienza dei popoli che non si conformano al paradigma dei bianchi. Il caso del Vajont esemplifica sia l'addomesticamento della memoria sia la fabbricazione di narrazioni tossiche → nella narrazione tossica il primo ingrediente è nascondere; il secondo ingrediente è naturalizzare/normalizzare l'ingiustizia - tristezza non rabbia è il sentimento giusto - ; il terzo è rimuovere qualunque tipo di sapere ed esperienza che possa dimostrare che esistono più punti di vista. L'esito conclusivo è quello di colpevolizzare le vittime. 2. Guerriglia narrativa nella giungla del Wasteocene Nonostante queste storie sono là fuori e resistono al silenziamento e all'invisibilizzazione. Prima di essere raso al suolo, il vecchio cimitero del Vajont è stato l'archivio estremo di quelle contronarrazioni che provengono dall'altra parte del Wasteocene, e questo vale per molti cimiteri → durante la sua ricerca sui minatori italiani in Belgio, anche Danile Valisena finisce per 5 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 ritrovarsi in un cimitero, che racconta del ciclo dell' estrazione, delle migrazioni e di un lavoro che mieteva vite, narratore silenzioso del Master. Riflettendo sull’assurda vicenda dell' acciaierie di Taranto, Adriano Sofri ha scritto che fra i mille modi di indagare su quanto e come si muoia a Taranto c'è anche quello della lettura paziente delle date d’inizio e di fine sulle lapidi, lapidi completamente ricoperte dalla polvere rossa dell’acciaieria. I cimiteri dovrebbero essere considerati anche come archivi materiali di racconti controegemonici. I cimiteri sono naturalmente privilegi che non tutte le persone scartate sono autorizzate ad avere, ricordiamo le migliaia di morti migranti nel Mediterraneo. Naomi Klein sottolinea l'importanza di preservare i racconti delle comunità per resistere all'imposizione della logica del disastro. Armiero oserebbe dire che dovremmo assumere il controllo dei mezzi di produzione - e riproduzione - delle narrazioni, perché i modi in cui raccontiamo il mondo influiscono sui modi in cui ne immaginiamo e costruiamo uno nuovo; o cadremo nella trappola di ricostruire il medesimo mondo per sempre. L'imposizione di narrazioni tossiche e di memorie addomesticate serve a naturalizzare e normalizzare il Wasteocene; la guerriglia narrativa 1, allora, serve a svelarlo e a smantellarne la logica fondata sullo scarto. Questo termine non è un invenzione accademica, ma un college di pratiche subalterne di salvataggio delle storie e delle memorie rifiutate dal regime del Wasteocene → le storie di resistenza esistono da sempre in diverse forme; è sia una ribellione contro la narrativa dominante sia una ricerca di autonomia; inquadrare il racconto che qualcuno fa di sé soltanto in apposizione al racconto maggioritario rafforzerebbe il potere del secondo e la subordinazione del primo. Ad es. la storia della famiglia Cannavacciuolo, di Acerra, è sempre significativo e tragico delle connessioni tra specie che legano umani e non-umani del Wasteocene: è una storia di contaminazione di diossina che ha colpito sia il gregge dei Cannavacciuolo (pastori da generazioni) sia i loro corpi. Si deve riconoscere di essere stati scartati, di vivere nel Wasteocene, per combatterlo e il corpo può essere un sensore potente, una sorta di finestra sul Wasteocene, il cattivo odore -la puzza - è probabilmente il tropo più ricorrente in diverse autobiografie di tossicità. Lucia, un’attivista di Napoli, ha spiegato che all'inizio è stata coinvolta nelle lotte contro i rifiuti tossici perché non poteva più sopportare i miasmi che invadevano la sua casa. Collocare il naso al centro dell'atto politico ci ricorda che la persona subalterna sperimenta il Wasteocene attraverso il suo stesso corpo. 3. Wasteocene, globale e locale Un rapporto della Banca mondiale sottolinea che più un Paese diventa ricco più la sua produzione di rifiuti aumenta → David Pellow ricorda che i poveri possono vivere tra i rifiuti, ma non ne sono i principali produttori, qualcun altro glieli scarica addosso. Sempre la Banca mondiale ha proposto (1991) di ricollocare le industrie inquinanti nel Sud del mondo, per trarre vantaggio dai bassi costi dei lavoratori e dalle loro vite → insieme al famigerato Rapporto Carrelli (1984) - che consigliava al governo della California di ricollocare gli impianti di smaltimento nelle comunità povere di cittadini non bianchi - rappresentano l'applicazione della logica del Wasteocene: il benessere di pochi doveva essere fondato sullo scarto di “altri”. È piuttosto difficile raccogliere dati affidabili sui rifiuti tossici su scala globale, delle mutevoli definizioni di che cosa è “tossico”, che spesso variano da nazione a nazione. L'organizzazione 1 Il termine “guerriglia narrativa” è stato usato dall' autore da quando ha cominciato a raccogliere le interviste sull’ingiustizia ambientale per farne un archivio multimediale con libero accesso. 6 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 mondiale della sanità aveva compiuto un'ampia “valutazione globale dell'incidenza delle malattie dovute a rischi ambientali” in cui 12 milioni di morti erano state provovate da problemi relativi all'ambiente, confermando che la distruzione dell'ambiente procede parallelamente alla distruzione della salute delle persone. Il rapporto del Blacksmith Institute suggeriva di passare dai dati aggregati di specifiche zone calde, mappando in sostanza il Wasteocene; Barbara Allen, ha condotto uno studio fondamentale sulla Cancer Alley, tra le sue storie raccolte vi è quella di Eugene e Joyce Willis, che decisero di lasciare New Orleans per trasferirsi nella comunità rurale di St Gabriel alla ricerca di un ambiente migliore nel quale fare crescere i loro figli → non avrebbero potuto sbagliarsi di più: Joyce morì di tumore a soli quarant'anni. Il disastro della diga di Mariana iniziato il 5 novembre 2015, quando un bacino di decantazione mineraria crollò rilasciando 50 milioni di metri cubi di rifiuti minerali e fango, rifiuti tossici. Questi causarono non solo danni di natura economica, ma anche la morte di 9 persone, mentre gli impatti socio-economici ed ecologici hanno colpito migliaia di persone in 41 città del bacino del Rio Doce, il quale si può considerare la prima vittima del disastro, e che rende evidente la logica del Wasteocene che unisce umani e non-umani nella sua produzione di vite e di luoghi di scarto. Le industrie minerarie nuocevano all'ecosistema e alla popolazione ancora prima del disastro della diga impedendo laccesso all’acqua e in quantità sufficiente→ che fossero le miniere d’oro dei conquistadores o le piantagioni di gomma degli Yankees, quelle wasting relationships estraevano profitti direttamente dalla vita di esseri umani ed ecosistemi. Oltre 200.000 tonnellate di oggetti elettrici ed elettronici usati arrivano ogni anno in una discarica del Ghana, soprattutto dall'Europa occidentale, i suoi lavoratori sono esposti a vari rischi, dovuti alle condizioni non igieniche della discarica, alle modalità di smontaggio dei rifiuti e alle caratteristiche chimiche dei materiali → in altre parole subiscono la logica del Wasteocene che si disfa degli oggetti e degli individui indesiderati. Particolarmente toccanti sono i racconti dei bambini che lavorano nella discarica, le narrazioni visive potrebbero dare in ultima analisi la sensazione che il Wasteocene sia qualcosa che accade molto lontano da noi → logica del Wasteocene: la (ri)produzione di persone e luoghi di scarto serve a creare un “noi” al sicuro e che conta, mentre lo spazio del “noi” sicuro e immunizzato si restringe sempre più: il Wasteocene non è laggiù è qui. Capitolo terzo - Il Wasteocene al microscopio 1. Una città contemporanea vista sul Wasteocene: Napoli malata ll Wasteocene riesce meglio di altre narrazione a rivelare la misura in cui le questioni globali sono intrecciatae a corpi, ecologie vicende particolari. Armiero afferma che non ha teorizzato il Wasteocene ma ci è cresciuto dentro e proviene da lì → la sua città Napoli è da tempo considerata una delle tante porte che conducono al Wasteocene, e la sporcizia e l'immondizia sono componenti cruciali della sua identità. La miscela che è Napoli con la sua immondizia va ben oltre le recenti vicende dei decenni passati, negli ultimi due secoli è stata un laboratorio a cielo aperto per le analisi di scienziati ed intellettuali, un archetipo di questioni irrisolte e sede di esperimenti sociali e politici. Poi vi furono le inchieste vere e proprie stimolate da una serie di epifanie da cui sono sempre più evidenti le irruzioni del Wasteocene, le epidemie che gridavano forte e chiaro come corpi, potere e rifiuti fossero collegati da precise relazioni socio-ecologiche. Le epidemie del colera del 1884 e del 1973, momenti rivelatori che confermavano non soltanto la sporcizia della città ma anche la sua profonda alterità → solo pochi anni prima dell' epidemia 7 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 del 1884 lo scrittore/artista Renato Fucini aveva pubblicato le sue cronache di Napoli, descrivendola come un luogo radicalmente diverso dal resto d’Europa, egli associava esplicitamente la città partenopea all'Oriente, sostenendo che l'anvustia delle strade, la povertà della popolazione e il sudiciume presenti ovunque potevano facilmente fuorviare i viaggiatori, convincendoli di essere ad Alessandria d’Egitto invece che in una citta europea. Nella sua esposizione della miseria il Wasteocene appare materializzarsi distintamente attraverso i legami transcorporei che legano persone e luoghi di scarto, vengono messe in atto relazioni socio- ecologiche che ri-producono le ingiustizie sociali, e non soltanto aberrazioni urbane di una città post-moderna. Durante l'epidemia nei colera del 1884, Matilde Serao descrisse quello che chiamò “il ventre di Napoli” come un luogo che affondava nei rifiuti, dove tutte le moderne barriere che separano gli umani e i loro spazi quotidiani da ciò che è impuro erano cancellate. Condizioni ambientali erano tuttavia amplificate dalla povertà o - per usare il nostro linguaggio - da relazioni socio-ecologiche che rendevano alcune parti della città e i loro abitanti qualcosa nei cui era possibile sbarazzarsi → povertà, rifiuti e contaminazione erano i pilastri portanti di questa ecologia politica delle epidemie a Napoli, in altre parole la materializzazione storica del Wasteocene. Come sempre con il Wasteocene dare la colpa alle vittime è fondamentale per controllare l’emergenza mantenendo intatta la norma sottostante. I poveri di Napoli facevano parte delle ecologie contaminati che generavano le epidemie → obiettivo non era recedere dalle wasting relationships, ma controllare, per essere sicuri che l'ordine alterizzante che dovevano imporre non esplodesse, cancellando i confini tra le discariche sociali designate e il resto della Città, e ripristinare i confini transporco e pulito, tra puro ed impuro. La politica di sanificazione seguita all'epidemia del 1884 prese di mira soprattutto la popolazione subalterna che viveva nelle aree più degradate della città: queste persone e le loro case cadenti dovevano andarsene, per fare spazio ai moderni edifici della classe media. La costruzione di un boulevard aristocratico e di abitazioni borghesi compresse ulteriormente lo spazio in cui i poveri potevano vivere, con oltre 35.000 indigeni espulsi dai quartieri sanificati, la politica che seguì all'epidemia di colera del 1884 fu una deportazione in scala massiccia. La wasting relationships avevano prodotto luoghi e persone di scarto, dividendo lo spazio urbano tra i quartieri puliti e salubri delle classi medio-alte e gli, ambienti inquinati e malati dei poveri. Tuttavia, l'esplosione del morbo mise in discussione l'ordine fondativo del Wasteocene, vale a dire il progetto di alterizzazione che dice beve costruire un “noi” al sicuro separato da un “loro” contaminato e minaccioso. Lo conferma il fatto che dopo il colera del 1884, la città subì altre epidemie → Armieri aveva 7 anni quando venne vaccinato contro il colera, era il 1973 e Napoli viveva una nuova epidemia di colera, dimostrando ancora una volta l'incerta appartenenza della città al mondo moderno e immunizzato. Il quotidiano di estrema sinistra “Lotta Continua” offriva un'interpretazione profonda dell'epidemia descrivendola come la punta dell' iceberg di relazioni socio-ecologiche ingiuste che producevano persone e luoghi di scarto. Commentando una spiegazione scientifica dell' epidemia il giornale scriveva che l'esposizione scientifica ripeteva la verità che i napoletani dicevano da quando era cominciata l'epidemia, e cioè che la città è un focolaio di infezioni, al di là dell'allevamenti di cozze di S. Lucia, come lo sono tutte le città costruite dai padroni. Un articolo scientifico pubblicato l' anno successivo informava parzialmente della condizione sociale dei pazienti malati di colera: dei 96 intervistati, la maggior parte era disoccupata o impiegata in lavori manuali. Negli anni ‘70, Napoli era certamente una città drammaticamente povera, del resto 6 anni dopo l'epidemia di colore era sottoposta ad un' altra epidemia molto 8 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 controversa - chiamata dai media il “male oscuro” - una malattia respiratoria che cominciò a colpire un gran numero di bambini nella città. Quell'anno una coalizione di organizzazioni di base, sindacati ed esperti, militanti pubblicò un rapporto sull’origine della malattia, dando voce al tema della giustizia socio-ambientale rispetto a quell' epidemia infantile, collegando l'esplosione di questo disturbo respiratorio alla povertà, sottolineando la normale conseguenza dell' evento mentre la narrazione egemonica parlava di oscuro morbo come si trattasse di un mistero. Poche linee avanti il rapporto puntava il dito contro le pericolose condizioni in cui i bambini - soprattutto le bambine - erano costretti a fabbricare scarpe e borse in nero, esposti alla tossicità dei collanti chimici. Nel momento in cui la tossicità rendeva le piccole operaie inabili a produrre, venivano buttate via come oggetti usati, ormai inservibili. Il Wasteocene non si manifesta soltanto tramite le fratture drammatiche dell'epidemia, ma anche tramite l'inferno quotidiano in cui i poveri sono costretti a vivere. L'emergenza dei rifiuti a Napoli serve proprio a svelare questo Wasteocene di ogni giorno. 2. Il Far West dei rifiuti Nel gennaio 2008 un intera cittadina, Quarto (40.000 abitanti) e vari quartieri del capoluogo vennero praticamente sigillati: niente e nessuno poteva entrare o uscire. Le persone erano state improvvisamente scagliate in uno scenario di guerra, la guerra della spazzatura → la grande rivolta di Pianura contro la riapertura della più grande e più vecchia discarica della regione è punto di partenza del viaggio del nostro autore, in quello che ha chiamato il Wasteocene di ogni giorno. La cosiddetta emergenza rifiuti degli anni ‘90 e 2000 è pietra militare nella storia della wasting relationships, altra frattura all'interno delle narrazioni tossiche che normalizzano/rendono invisibile il Wasteocene e rivela l' ingiustizia delle relazioni socio- ecologiche che definiscono chi e che cosa ha un valore. L'emergenza rifiuti ebbe inizio ufficialmente nel 1994, quando le indagini della maggioranza rivelarono l'inadeguatezza delle discariche che operavano nella regione, sequestrandone la maggior parte. Con poche discariche funzionanti, la spazzatura iniziò a invadere le vie della città, Il governo dichiara lo stato di emergenza che portò la creazione di un'agenzia speciale per la gestione dei rifiuti, la quale esautorò le autorità e le amministrazioni locali elette. Molti studiosi, lui incluso, hanno individuato nella crisi dei rifiuti a Napoli una crisi della democrazia → Naomi Klein ha spiegato in che modo il capitalismo continua a riprodursi attraverso la creazione di stati di eccezionalità che accellarano i processi di alterizzazione quali strumenti di accumulazione capitalista. Il regime di emergenza legato ai rifiuti aveva lo scopo di risolvere il “ problema” - trovare luoghi in cui i rifiuti potevano essere stoccati - piuttosto che affrontare le cause e le ramificazioni sociali → il regime di emergenza serve a ripristinare l'ordine alterizzante del Wasteocene, non a smantellarlo. Come ha ricordato Martin Meloni (2005) da sempre i quartieri della classe lavoratrice tendono a essere più sporchi del quartiere finanziario o di una zona residenziale borghese → ma ciò che fa il Wasteocene di questo stato di cose è normalizzarlo, attraverso una narrazione tossica che considera colpevoli le vittime mentre naturalizza le relazioni socio-ecologiche che producono luoghi e persone di scarto. Rimuovere i sacchii di spazzatura dalle strade può essere perfettamente funzionale al Wasteocene: se i rifiuti sono materia fuori posto, ripristinare l'ordiine confinandoli nello spazio cui appartengono equivale a riprodurre il sistema → i rifiuti si sono aggiunti ai rifiuti. Gran parte del lavoro dell'agenzia speciale per l'emergenza rifiuti prevedeva il reperimento di luoghi da destinare al deposito della spazzatura urbana → spesso l'impressione era che fosse più facile prendere di mira le comunità rurali con pochi abitanti e più deboli in 9 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 termini di risorse politiche e sociali, le quali però facevano opposizione alla cosa → Il principio di ordinamento del Wasteocene è riprodurre il privilegio attraverso lo scarto delle comunità subalterne, in quest'ottica è ragionevole rafforzare le disuguaglianze socio-ecologiche esistenti. Zone già gravate da discariche illegali, come la zona del Vesuvio, o da discariche para legali, diventarono così luoghi ideali per nuovi impianti. Fu il caso di Pianura, quartiere operaio, nel 2008 il l'agenzia (Cerc) decise di ripristinare la discarica, che era stata cniusa nel ‘96 con la promessa di una bonifica, il quartiere all'epoca proprio in relazione alla grandezza della discarica era diventato il quartiere dei rifiuti, con una comunità fortemente segnata dalla loro presenza → all' epoca della sua apertura la zona era un'area rurale abbastanza vicina alla città di Napoli; negli anni ‘70 quando l'autore - ancora bambino - andava a trovare alcuni amici della famiglia che vivevano lì, il paesaggio che gli si presentata sembrava finito a metà, tutto doveva essere finito velocemente, alle volte in una notte, e doveva apparire abitato per non essere demolito dalle autorità: era la frontiera di Napoli, il loro Far West. Arrivati nella zona una puzza pervadeva ogni cosa nel quartiere, all' epoca non comprendeva le ecologie urbane dello scarto e non riusciva a vedere alcun collegamento tra le condizioni di povertà della zona e il fatto che era stata selezionata come la discarica dell'intera regione. Quando vi si recò da adulto, proprio come quando andava da bambino, quella puzza segnalava che si entrava in un altra zona, una zona profondamente altra rispetto al luogo immunizzato da cui proveniva. Qualcosa di molto simile era accaduto a Doriana - un'attivista che ha intervistato la quale ha combattuto contro la riapertura della discarica di Pianura - che provenendo da una delle zone eleganti di Napoli, aveva immaginato il suo trasferimento a Pianura come un ritorno alla campagna. Quasi subito invece si accorge del potere della discarica sulla sua vita, di fatto su quella dell'intera comunità della quale ormai faceva parte. Leggere la storia di Doriana è come leggere il manuale di istruzioni del Wasteocene: regola n.1 non lasciare mai la parte delta mondo alla quale appartieni; regola n.2 non chiederti dove vanno a finire i resti indesiderati del tuo benessere; regola n.3 nel caso dovresti incontrare la realtà del Wasteocene, scappa via a gambe levate, non cercare di cambiarla. Il terremoto del 1980 peggiorò la situazione abitativa di Napoli, lasciando molta gente senza una vera casa così le costruzioni abusive di Pianura attrassero migliaia di persone, e la discarica dal 1950 fu progressivamente ampliata, raggiungendo più o meno i 70 ettari. Fino al 1984 su questa non si previde nessun di intervento tecnologico che ne minimizzasse le conseguenze per l'ambiente così come per la salute → secondo un documento dell'amministrazione provinciale di Napoli, tra gli anni ‘80/’90 la discarica raccolse ogni genere di rifiuto tossico, da quelli biomedici alle polveri di asbesto. Nel 1996 la discarica venne chiusa, sulla scia di quel momento storico napoletano definito il “suo nuovo Rinascimento” durante la prima amministrazione Bassolino, con la promessa della sua bonifica, che però non avvenne ma si lasciò così alamente contaminata. Ancora una volta, è chiaro che mentre il discorso ufficiale sulla crisi dei rifiuti intendeva limitarsi a parlare della spazzatura domestica, la realtà del Wasteocene era molto più tossica e pervasiva, diverse fonti riferiscono di una diffusione fuori dall'ordinario di tumori e altre malattie nella zona. Chiaramente questo tipo di violenza lenta è difficile da tracciare, le conoscenze scientifiche sono incerte e le disuguaglianze di potere rendono tutto ancora più complicato, dal momento che le comunità coinvolte non hanno il genere di risorse necessarie a dimostrare le connessioni causali tra le specifiche fonti di tossicità e i problemi di salute. Pianura illustra la logica del Wasteocene: la creazione di una discarica socio-ecologica e l'imposizione di un regime di violenza sulla vita e il corpo dei 10 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 residenti si sono accompagnate a un più visibile esercizio della violenza da parte dell'apparato repressivo dello Stato. Nel 2004 quando il Cerc decide di riaprire la discarica gli abitanti protestarono pacificamente e si scontrano con la violenza della polizia → di fatto senza apparato repressivo sarebbe impossibile imporre alle comunità marginali una distribuzione disuguale dei rischi → logica del Wasteocene: normalizzare relazioni socio-ecologiche ingiuste, giustificare la violenza della repressione e nascondere la violenza lenta del sistema. Come le epidemie anche la crisi dei rifiuti mette in luce una brusca interruzione nella consueta coreografia del Wasteocene, distruggendo i confini che proteggono il “noi” pulito dagli “altri” sporchi. Capitoli quarto - Sabotare il Wasteocene 1. Condividere il pane e le rose Mentre Armiero scriveva il capitolo sulla fantascienza e l'apocalisse dei rifiuti, si ammalò seriamente: il COVID-19 aveva già iniziato a martoriare il mondo, ma sembrava una realtà lontanissima dalla sua vita nei sobborghi di Stoccolma. Il COVID-19 è in realtà una potente manifestazione del Wasteocene - molti hanno ipotizzato che probabilmente possa essere una conseguenza della sottrazione di spazio disponibile agli animali selvatici - molti osservatori sostengono che le minoranze etniche, le classi lavoratrici e i poveri delle città hanno pagato e pagheranno un prezzo superiore alla pandemia, tanto nel corpo quanto con il portafoglio. A chi abita nei quartieri degradati, gli accorati appelli a rimanere a casa e a lavarsi le mani sembrano insulti o prese in giro. Egli sa che il COVID-19 è terribile, l'ha vissuto, ma si rende ugualmente conto che può essere più terribile per altri di quanto lo sia stato per un professore italiano bianco residente in Svezia. Dal momento che è un'altra manifestazione del Wasteocene, il COVID-19 può essere anche un esempio significativo di ciò, le fioriture di iniziative dal basso che sfidano il regime del Wasteocene per prefigurare un altro mondo, un mondo che vada oltre le wasting relationships e i progetti alterizzanti → le comunità esistono, e nei momenti più difficili si mobilitano: pratiche di commoning cercano di riprodurre risorse e comunità e, nel farlo, smantellano il progetto alterizzante, creano comunità e possono potenzialmente minare il regime del Wasteocene. Durante la pandemia di COVID-19 le persone hanno cominciato ad auto-organizzarsi, costruendo un'infrastruttura di solidarietà e di sostegno focalizzata specificatamente sull’aiuto ai più vulnerabili. Le Brigate della solidarietà popolare sorte in vari Paesi sono state create esattamente a questo scopo → come ha scritto Lauren T. Hudson, la filantropia potrebbe riprodurre le divisioni di classe, mentre il mutuo aiuto aspira a “modificare le relazioni tra le persone [...] in quanto atto di solidarietà e di impegno per l'interdipendenza”. Più di recente, diversi studiosi e intellettuali hanno iniziato a parlare di disaster communism = comunismo delle catastrofi, come dall'altro volto di ciò che queste calamita possono innescare nelle società. Nel suo libro Extreme Cities, Ashley Dawson sostiene che le risposte autoorganizzate dalla società civile a.le calamità più gravi dovrebbero essere viste come esperimenti di disaster communism → il capitalismo non sembra più l' unico futuro possibile, possiamo anche iniziare a mettere in scena una società diversa, basata sull’empatia e l'aiuto reciproco. Le Brigate hanno provveduto alle necessità base della popolazione, soprattutto tramite i banchi alimentari e la consegna capillare di cibo. A volte, insieme ai pacchi di pasta e le conserve di pomodori, le persone trovavano libri, volantini sulle misure governative di sostegno al reddito o questionari riguardo alle loro esigenze → mentre distribuivano cibo o 11 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 medicine, hanno anche contribuito a costruire narrazioni alternative, recuperando storie di resistenza dalle discariche, gli attivisti hanno sottolineato la continuità tra la crisi del COVID-19 e la “normalità” di prima della pandemia → una giovane attivista sostiene che il virus ha soltanto rivelato ed esacerbato le ingiustizie già presenti nella società italiana. Sottolineando la continuità delle disuguaglianze strutturali, le Brigate della solidarietà stabiliscono anche un altro punto cruciale: se l'ingiustizia è strutturale e non contingente, lo stesso vale per la lotta contro di essa. All'interno delle fratture createsi nel regime del Wasteocene, gli individui subalterni sono riusciti ad organizzarsi lottando per sostituire alla wasting relationships il commoning → questo vale in maniera assoluta per le Brigate di solidarietà italiane, nate dall'esperit dei “Centri Sociali”, sono profondamente immerse nella cultura e nella pratica del commoning. Da sempre i centri sociali tendono a essere impiantati in aree marginali, negli edifici abbandonati di proprietà privata o pubblica, che gli attivisti hanno recuperato ad attività politiche, sociali e culturali e incarnano così il conflitto tra mettere in comune e scartare → commons che sono un insieme di relazioni generate dai commons che a loro volta generatrici di commons; le pratiche del commoning sono molto più forti e durevoli di qualunque edificio occupato. Uno dei pilastri portanti del regime del Wasteocene è l'idea che ciascun individuo sia responsabile di sé stesso, le narrazioni tossiche quindi caricano sui singoli la colpa di essere poveri, subalterni o malati. Durante l'attuale pandemia il messaggio fondamentale delle autorità di restare a casa, si basava sul presupposto che tutti possedessero una casa confortevole e sicura e risorse sufficienti a sopravvivere. Le pratiche di commoning sabotano la logica del Wasteocene perché riproducono i valori sociali attraverso l'inclusione e la costruzione di comunità, mentre la logica del Wasteocene riproduce le disuguaglianze attraverso l'alterizzazione e lo scarto. 2. I fiori della discarica Un camorrista napoletano è diventato abbastanza noto per aver detto al telefono - mentre era intercettato dalla polizia - che i “rifiuti sono oro” → disfarsi di quelli tossici senza alcuna precauzione può assicurare profitti elevati alle organizzazioni criminali e risparmi significativi agli imprenditori senza scrupoli, il che conferma che il capitalismo fa profitti con i rifiuti. Il film Waste Land documenta il progetto dell' artista Vik Muniz che per due anni ha lavorato nella gigantesca discarica di Jardim Gramacho, a Rio de Janeiro, con l'associazione dei raccoglitori di rifiuti → nonostante i limiti del progetto il film evoca una più ampia tradizione di organizzazioni civiche di raccoglitori di rifiuti che hanno combattuto per ottenere riconoscimento e dignità, oltre a condizioni di lavoro migliori. Presentando il progetto l'artista descrive la discarica come il luogo in cui finisce ciò che non va bene, comprese le persone. Il progetto di Muniz è un magnifico atto di resistenza al Wasteocene in cui ha coinvolto un gruppo di catadores=raccoglitori di immondizia della discarica, e secondo Armiero è riuscito con successo a sfidare il pilastro portante del Wasteocene, cioè il regime alterizzante che produce persone di nessun conto che non soltanto lavorano con i rifiuti, ma sono giudicate rifiuti esse stesse. Il suo lavoro si è intrecciato all'organizzazione sociale esistente tra i raccoglitori di rifiuti, il fatto che fossero organizzati è stato un elemento importante della loro strategia di lotta alla logica dello scarto del Wasteocene → molti erano orgogliosi di appartenere a un'organizzazione che evidentemente dà loro un'identità e uno scopo che le wasting relationships si sforzano di cancellare. 3. Danzare intorno al fuoco (tossico) ripeteva un amico/collega di Armiero, Damir Arsenijević, il quale scriveva:” Devo iniziare dal polmone proletario del 12 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 raccoglitore di metalli, i cui polmoni vengono bruciati dal cloro [...] che soccombe e muore. [...] è il tributo pagato [...] al capitalismo predatorio in Bosnia ed Erzegovina” → come gli ha spiegato a Tuzla l'eredità della guerra si sposa all'eredità tossica dell' inquinamento industriale dell'etnocapitalismo e della privatizzazione: una tossicità letteralmente sepolta nel paesaggio e nei corpi dei bosniaci. Tuzla è anche una vibrante base di resistenza e di politiche prefigurative, le barricate evocate da Damir non sono una metafora, ma erano fatte di assi di legno e scarti di metallo, di corpi e di tende, di fuochi e di striscioni, e servivano a proteggere la Dita=stabilimento chimico, dai suoi proprietari che volevano smantellarla e venderla → niente di particolarmente originale, ovunque il capitalismo globale spreme al massimo e fugge davanti a amargini di profitto di poco più bassi, ma non senza lasciare un lungo futuro di tossicità: persone che non contano, comunità che non contano, Stati che non contano, questo è il modo in cui la storia e la geografia del Wasteocene sono incarnate nei Balcani. Le barricate erano la dimostrazione che persone subalterne non accettavano di essere scartate. Nel febbraio 2014 l'intera Bosnia ed Erzegovina fu attraversata da una sollevazione di massa, di cui l'istituzione di assemblee di cittadini fu l'innovazione sociale più rilevante, e la loro creazione fu profondamente influenzata dall' università locale, che condusse alla fondazione dell' Università dei lavoratori. La portata delle pratiche di resistenza generate dalla lotta andò ben oltre le richieste specifiche, e per Armiero le assemblee dovrebbero essere viste come una sperimentazione delle “Istituzioni indipendenti” tramite le quali aprire nuove possibilità politico- democratiche. Combattendo per il lavoro e la bonifica, gli attivisti stavano di fatto rivendicando i commons, come organizzazione alternativa della vita sociale, difesa della salute delle persone e dei luoghi e storytelling controegemonico del loro passato collettivo → l'università dei lavoratori è fortemente impegnata nel,a creazione e nelle tutela di memoria plurale, raccolta di un archivio multimediale e nella riscoperta di storie di ribellione del passato. Ricordi e consapevolezza sono al centro di un'altra storia di lotta ambientata a Roma e, danza metaforicamente intorno al fuoco tossico di un complesso industriale dismesso, attivo dal 1923 al 1954, il quale produceva fibra sintetica tramite una sostanza chimica estremamente tossica. L'alterizzazione del Wasteocene si esercitava sia sui dipendenti sia sull’intera comunità umana e non-umana parimenti danneggiate dalla tossicità diffusa. Dopo l' interruzione della produzione, l'area divenne obiettivo di diversi progetti di speculazione che miravano alla costruzione o di un centro commerciale o di un complesso residenziale. Mentre un movimento dal basso iniziava a mobilitarsi per difendere la zona, anche la natura si contrappone al piano di sviluppo, la fabbrica era stata costruita su terreni umidi, quando iniziarono gli interventi per il nuovo progetto quell'acqua cominciò a venir fuori dal suolo, creando un lago in mezzo a quello scenario post-industriale → alla fine il lago si stabilizzò, richiamando uccelli, umani e altri animali in una sorta di alleanza che riuscì a bloccare i lavori. Sulle rovine di di un passato industriale tossico era nata un'esperienza di commoning, che ha portato alla creazione di un Parco Naturale e di un centro sociale autogestiti degli attivisti. Ciò che davvero sfida la logica del Wasteocene è il commoning come pratica, perché crea un diverso insieme di relazioni basate sulla riproduzione e la consapevolezza, piuttosto che sullo sfruttamento e annientamento. Come il Wasteocene si manifesta attraverso l'imposizione di narrazioni tossiche e la cancellazione di racconti di resistenza, così la lotta contro di esso passa attraverso la costruzione di archivi alternativi, quali quelli creati dall'Università dei lavoratori a Tuzla e dagli attivisti dell'ex Snia di Roma che recuperano vecchi documenti, memorie ridotte a rifiuti nella fabbrica abbandonata; insieme alle storie della 13 Scaricato da Rotten Boys ([email protected]) lOMoARcPSD|36179657 presenza non-umana nella zona, ripercorrendo gli affascinanti movimenti dell'acqua sotterranea e scoprendo gli uccelli e le piante tornati area. Per combattere la logica del Wasteocene gli attivisti devono costruire nuove relazioni tra loro stessi e l'ambiente contribuendo a reinventare una comunità multispecie basata sulle pratiche del commoning. Sergio Ruiz Cayuela ha trovato una storia molto simile in Catalogna, a Can Sant Joan, dove la presenza di uno stabilimento estremamente inquinante ha catalizzato la mobilitazione dei cittadini intorno alla lotta contro la logica del Wasteocene. Ancora una volta come a Tuzla o Roma, rivendicare la memoria delle lotte del passato è altrettanto fondamentale di mobilitarsi nel presente. La lotta ha creato dei vantaggi collaterali quali la creazione di un centro sociale e diversi prot culturali → dice A. Alcàntara che attraverso il fattore culturale si possono costruire alternative allo stato di cose esistente. La polvere è ancora nell'aria, le ciminiere dominano il profilo urbano, l'odore può essere rivoltante, ma la comunità non è più sul libro paga della fabbrica: non è una comunità di scarto. Conclusioni Armiero ha terminato il libro nel pieno della pandemia di COVID-19 ed è stato personalmente infettato dall virus, che oltre ad averlo rallentato nella conclusione della stesura lo ha stimolato ad introdurre elementi che non dovevano farne parte, come quello delle Brigate della solidarietà, l' epidemia si è dimostrata essere quello che lo storico chiama epifanie del Wasteocene = momenti rivelatori che aprono una frattura nella struttura della normalizzante del Wasteocene, portando alla luce l’altro lato della sua linea di separazione. In questa pandemia per lui ci siamo tutti ma non nelle stesse condizioni. Quando applicata, la quarantena ha prodotto effetti disuguali sui diversi segmenti della popolazione, colpendo più duramente i vulnerabili, ha anche generato esperienze all'interno delle comunità subalterne, laddove si è combattuto per abbattere la logica del Wasteocene più che per ripristinarla. Le brecce nel muro non andrebbero riparate, dovrebbero piuttosto servire da leva per abbatterlo. Come ha ripetuto più volte, invisibilistazione e normalizzazione sono i pilastri portanti della logica del Wasteocene, che non soltanto scarta persone ed ecosistemi, ma impone anche narrazioni tossiche cancellando o addomesticando qualunque racconto alternativo. La wasting relationships vanno sostituite da nuove relazioni socio-ecologiche le quali sono radicate nelle pratiche del commoning, così come le wasting si fondano sull' appropriazione e l'esclusione, le pratiche del commoning sono fatte di condivisione e di cura. Il necrocapitalismo razziale, colonialità e giustizia ambientale sono concetti dipendenti dal Wasteocene → lo storico ha imparato a vedere intrinseche connessioni tra capitalismo e razzismo; gli hanno insegnato che alcune comunità sono state create all' unico scopo di diventare discariche socio-ecologiche del benessere di qualcun altro; senza accorgersi della violenza lenta non sarebbe riuscito a scorgere il lungo svolgimento del Wasteocene; ha scritto della natura performativa delle narrazioni dominanti nell'opprimere i subalterni e limitare l'immaginazione politica; ha imparato che la collocazione del corpo nell' ambito della storia dell'ambiente, va fatta senza dimenticare che sia i corpi che gli ambienti non sono inseriti in una rete di relazioni neutrali, ma sono frammenti ordinati da rapporti di potere. 14 Scaricato da Rotten Boys ([email protected])

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