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Infiammazione_230220_183638.pdf

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INFIAMMAZIONE/FLOGOSI ACUTA Flogosi e infiammazione sono sinonimi utilizzati per indicare un processo patologico che è stato storicamente tra i primi ad essere stato osservato e descritto accuratamente dall’uomo, almeno per quanto riguarda le manifestazioni cliniche. Tutte le forme di infiammazione,...

INFIAMMAZIONE/FLOGOSI ACUTA Flogosi e infiammazione sono sinonimi utilizzati per indicare un processo patologico che è stato storicamente tra i primi ad essere stato osservato e descritto accuratamente dall’uomo, almeno per quanto riguarda le manifestazioni cliniche. Tutte le forme di infiammazione, infatti, sono caratterizzate dalla comparsa di quelli che sono chiamati “i cinque segni cardine dell’infiammazione” i quali sono abbastanza facili da osservare: - Calor (calore della parte infiammata) Rubor (arrossamento) Tumor (gonfiore/tumefazione) Dolor (dolore) Functio lesa (alterazione funzionale) DEFINIZIONE: l’infiammazione è l’insieme di modificazioni, di natura umorale e cellulare, che si verificano in un tessuto vascolarizzato quando questo viene danneggiato, e questi sono in gran parte indipendenti dall’eziologia (causa) del danno. Si tratta dunque di una reazione prevalentemente locale, la quale ha la funzione di promuovere l’eliminazione della noxa (sorgente del danno) e dei suoi effetti. Natura Cellulare: sta a significare che la risposta infiammatoria è mediata da certe tipologie cellulari (le quali fanno parte del sistema immunitario, visto che comunque si tratta di un meccanismo di difesa rivolto verso una noxa). Natura Umorale: qua invece ci si riferisce a come parte del processo di infiammazione preveda il coinvolgimento di proteine o di sostanze extracellulari naturalmente presenti nel circolo sistemico (quali ad esempio le proteine del Sistema del Complemento, la Proteina C reattiva ecc.) e che non sono state prodotte da cellule direttamente coinvolte nella risposta immunitaria (le proteine del Complemento, infatti, sono prodotte dagli epatociti). Tessuto Vascolarizzato: questo ci comunica che entrambe le componenti umorale e cellulare sono capaci di raggiungere il sito dell’infiammazione mediante il circolo ematico. Maggiore è l’irrorazione di un tessuto, maggiore sarà l’efficacia con la quale si manifesterà la risposta infiammatoria (ovvero, si avrà un esito migliore dell’intero processo: l’eliminazione della noxa e la guarigione del tessuto interessato). Indipendenti dall’eziologia del danno: questo è un aspetto importantissimo che riguarda solamente la forma acuta dell’infiammazione (non quella cronica). La risposta del tessuto ad un danno provocato da noxa di natura differente sarà sempre la stessa! Qui si vede proprio il legame stretto con la riposta immunitaria innata; per poter rispondere rapidamente al danno subito e impedire la propagazione del patogeno/noxa l’organismo reagisce in maniera non specifica, mettendo in atto dei processi che vanno bene per un ampio range di noxa. Le differenze si vedono solo nel processo di riparazione del tessuto, ma non nella risposta che viene messa in atto per l’eliminazione della sorgente del danno. Dalla definizione appena data emerge come il processo infiammatorio dipenda strettamente dall’Immunità Innata (la quale viene spesso considerata un sinonimo della risposta infiammatoria). Ovviamente, se l’infiammazione è la risposta immediata dell’organismo al danno seguirà la risposta specifica mediata dai linfociti (i quali hanno azione così specifica che ogni linfocita è specifico per uno specifico antigene). La risposta dell’organismo non può consistere soltanto nell’immunità specifica, poiché questa ha bisogno di molto più tempo per organizzarsi e per agire (minimo 48h, 3 settimane per la produzione delle cellule della memoria). Anche la componente adattativa della risposta immunitaria si distinguono una componente umorale (anticorpi) e cellulare (i linfociti T che possono essere citotossici CD8+ o Helper CD4+). CLASSI DI AGENTI LESIVI Gli agenti lesivi/noxa in grado di stimolare la risposta infiammatoria possono appartenere a diverse classi: - Agenti di tipo Fisico (traumi, calore, basse temperature, corrente elettrica, radiazioni ionizzanti e ultraviolette, ultrasuoni) Agenti di tipo Chimico (soprattutto acidi e basi forti) Agenti di tipo Biologico (virus, batteri, funghi, protozoi, elminti, tossine, complessi immunitari, enzimi liberati dalle cellule nell’ambiente extracellulare). STIMOLI IN GRADO DI ATTIVARE LA FLOGOSI Gli agenti lesivi sono in grado di attivare dei processi nell’organismo i quali a loro volta sono in grado di attivare la risposta infiammatoria. INFEZIONI: la sola penetrazione nell’organismo di un agente infettivo o di tossine da esso prodotte può determinare la comparsa di infiammazione NECROSI TISSUTALE: il rilascio di acido urico, di ATP, acidi nucleici e di altri componenti intracellulari è in gradi attivare la risposta infiammatoria. Se c’è un elemento dannoso che ha portato alla necrosi del tessuto significa che le normali difese non sono sufficienti, e dunque è necessaria l’attivazione della flogosi. IPOSSIA CELLULARE: durante un evento di ipossia cellulare viene prodotto l’HIF1α il quale stimola la trascrizione di geni che codificano per sostanze con effetto pro-infiammatorio. Questo avviene se da solo l’adattamento (atrofia) non è in grado di fare fronte all’ipossia cellulare. REAZIONI IMMUNITARIE: esse possono essere rivolte sia contro molecole self (autoimmunità) che contro molecole non self (reazioni di ipersensibilità). TERMINOLOGIA Il processo infiammatorio acuto a carico di un tessuto o di un organo viene indicato col nome di quest’ultimo con l’aggiunta del suffisso -ite (tonsillite, encefalite, dermatite ecc.). Esistono però delle eccezioni (cistite per l’infezione della vescica, mammella = mastite, fegato = epatite, lingua = glossite ecc.). Ci sono poi delle manifestazioni infiammatorie croniche che nonostante questo mantengono questa terminologia (come, ad esempio, l’artrite reumatoide) perché le manifestazioni cliniche si mantengono uguali a quelle delle infiammazioni acute. L’occhio è un organo particolare costituito da più tipologie di tessuti; dunque, l’infiammazione verrà indicata con un termine differente a seconda del tipo di tessuto interessato. Lo stesso vale per l’orecchio, in cui si distingue tra orecchio esterno, interno e medio (infiammazione del timpano = miringite). INFIAMMAZIONE: reazione del tessuto vascolare ad un danno localizzato. Può essere definita, oltre secondo i processi umorali e cellulari, anche attraverso le manifestazioni cliniche e i segni cardinali dell’infiammazione (dolore, arrossamento, calore, tumefazione, alterazione funzionale). Che differenza c’è tra un segno clinico e u sintomo? Il sintomo è una manifestazione che viene riferita dal soggetto affetto come conseguenza di un determinato segno clinico. Dunque, il sintomo è soggettivo (quale il dolore) poiché non può essere misurato dal medico. Invece, i segni clinici (come arrossamento, calore, tumefazione e riduzione della funzione) sono oggettivi! INFIAMMAZIONE ACUTA: è caratterizzata da: - - - Durata relativamente breve (non si può quantificare in maniera generale; la durata dipende dal tessuto interessato dall’infiammazione [infiammazione cutanea acuta = pochi giorni; infiammazione epatica acuta = fino a 6 mesi]) Presenza di essudazione con migrazione di granulociti neutrofili in sede della lesione. L’essudato è un liquido extra-vascolare ricco di proteine e cellule infiammatorie provenienti dal sangue (presenta sia la componente umorale che la componente cellulare) La reazione infiammatoria porta in ultima battuta all’eliminazione della noxa e alla riparazione tissutale Le manifestazioni patologiche sono in gran parte indipendenti dalla eziologia ESSUDATO: liquido infiammatorio extravascolare caratterizzato da elevata concentrazione di proteine, detriti cellulari (legati alla necrosi e al danno che interessano il tessuto sede dell’infiammazione) e cellule infiammatorie. Contiene perciò sia la componente umorale che la componente cellulare dell’infiammazione. TRASUDATO: liquido extravascolara il quale però è caratterizzato da una ridotta concentrazione proteica; questo, inoltre, non necessariamente possiede origine infiammatoria. La maggior parte delle volete la formazione di trasudato è influenzata da cambiamenti nella pressione idrostatica e la pressione osmotica, entrambi parametri coinvolti nella regolazione del richiamo e della fuoriuscita di liquidi a livello capillare. Solo in una fase iniziale del processo infiammatorio il liquido extravascolare che i trova nella sede dell’infiammazione può essere considerato un trasudato; ma si tratta di una situazione assolutamente transitoria ed è meglio ricordare che il liquido extravascolare caratteristico dell’infiammazione acuta è l’essudato. EDEMA: eccesso di liquido nel tessuto extravasale o nelle cavità sierose. Il liquido che determina la formazione di edema può essere sia trasudato che essudato. È proprio l’edema a costituire il tumor/tumefazione, uno dei più visibili segni di infiammazione acuta. FASI DEL PROCESSO INFIAMMATORIO E CORRELAZIONE CON I SEGNI CARDINALI 1° FASE: VASOCOSTRIZIONE TRANSITORIA Questa prima fase è talmente fugace e transitoria da non avere un ruolo importante nello sviluppo del processo infiammatorio. A sostegno di questa affermazione è stato osservato come bloccando la vasocostrizione transitoria l’infiammazione continua indisturbata il suo processo di evoluzione. Va però riconosciuto che, nel caso in cui si sia verificato un danno alla struttura vasale, la vasocostrizione porta all’immediata attivazione dell’emostasi (ovvero l'insieme di processi, di cui fa parte anche la coagulazione, che permette di arrestare il sanguinamento, ovvero di trattenere il sangue in un vaso danneggiato, e al contempo di mantenere il sangue fluido in condizioni fisiologiche). La coagulazione è solo una fase del processo di emostasi, nella quale più precisamente si ha la trasformazione del fibrinogeno in fibrina. Il processo emostatico è dunque profondamente legato al processo infiammatorio, e viene attivato in maniera minore anche se non è presente alcun danno vasale in questa prima fase della flogosi. Durante gli interventi chirurgici (anche quelli eseguiti in laparoscopia) i pazienti vengono trattati preventivamente con Eparina (anticoagulante) per evitare che l’infiammazione provocata dall’intervento porti alla formazione di trombi per attivazione dell’emostasi. Non vengono utilizzati antinfiammatori perché di base l’infiammazione è un processo fisiologico mirato alla riparazione dei tessuti e dunque alla guarigione: arrestarlo del tutto sarebbe controproducente. Anche durante la degenza il dolore dei pazienti viene trattato con paracetamolo o con derivati oppioidi, evitando l’utilizzo degli antinfiammatori. 2° FASE: VASODILATAZIONE CON APERTURA DI NUOVI CAPILLARI La vasodilatazione e l’apertura di nuovi capillari porterà necessariamente all’aumento della perfusione ematica del tessuto con conseguente arrossamento dell’area (rubor) e aumento di temperatura (calor). Ma l’aumento di perfusione porta anche ad un aumento della pressione idrostatica agente sulle pareti vasali, il che di conseguenza provoca la formazione di trasudato. Maggiore è il calibro del vaso, maggiore sarà la pressione esercitata sulle pareti la quale favorisce l’ulteriore dilatazione del vaso (ecco perché iniziare a gonfiare un palloncino è più difficile che continuare a gonfiarne uno che ha già dell’aria al suo interno); questa pressione interna è la driving force che porta al leakage, ovvero alla trasudazione o all’essudazione nell’ambiente extravasale. 3° FASE: RALLENTAMENTO DELLA CIRCOLAZIONE Le fasi 2 e tre avvengono quasi in contemporanea. Il rallentamento della circolazione provoca: - - la comparsa di stasi (ovvero il ristagno di sangue) e facilita la fuoriuscita dal letto vasale dei mediatori dell’infiammazione [responsabili anche della trasmissione del dolore legato all’infiammazione] l’aumento della permeabilità vasale, grazie alla quale si viene a formare l’essudato tumefazione] 4° FASE: ATTACCAMENTO DEI GRANULOCITI ALLE PARETI DEI VASI Con l’emostasi risulta più facile l’adesione e l’attraversamento dei granulociti alle pareti dei vasi (ovvero all’endotelio); essi, dunque, si riversano nel tessuto e lì esplicano la loro azione verso le cellule danneggiate e al contempo richiamano altre cellule coinvolte nell’infiammazione (chemiotassi) N.B: in questo schema mancano le fasi di esaurimento dell’infiammazione e della guarigione del tessuto. PRINCIPALI ASPETTI MORFOLOGICI DEL PROCESSO INFIAMMATORIO Nonostante abbiamo detto che la risposta infiammatoria è indipendente dalla natura della noxa e che i segni tipici dell’infiammazione sono gli stessi per ogni caso, possiamo comunque individuare diverse tipologie di infiammazione in base a delle differenze con cui queste si esteriorizzano. INFIAMMAZIONE SIEROSA Questo tipo di infiammazione è caratterizzata dall’accumulo di liquido sieroso chiaro; questo è il primo liquido di trasudazione (quindi con basse concentrazioni proteiche e cellulari), e dunque viene secreto dalle cellule mesoteliali dei vasi. Un classico esempio di infiammazione sierosa sono le ustioni, in cui la cute presenta la comparsa di bolle piene di siero (trasudato). Ma una manifestazione simile la si può osservare anche in soggetti che presentano infezione virale da Herpes virus. Dunque bisogna prestare attenzione, perché nonostante le manifestazioni esteriori possano essere somiglianti tra loro l’eziologia è differente e dunque anche la cura lo deve essere. A volte la distinzione tra i due casi è possibile banalmente chiedendo al paziente come si è procurato le lesioni, ma altre volte può essere più difficoltoso stabilirlo. Nel caso di ustioni si potrebbe suggerire l’utilizzo di pomate antinfiammatorie o con basse concentrazioni di cortisone; ma se si trattasse di una manifestazione erpetica sarebbe assolutamente da evitare in quanto potrebbe favorire il diffondere dell’infezione!!! In ogni caso, la cosa fondamentale da ricordare è che NON SI ESPRIMONO PARERI MEDICI IN MANCANZA DI DATI SUFFICIENTI! Dovete prendere il vostro lavoro seriamente, e non come un quiz a premi. INFIAMMAZIONE FIBRINOSA Questo tipo di infiammazione può capitare di osservarlo durante processo di guarigione di ferite superficiali, ma tipicamente si tratta di una tipologia di infiammazione: - - caratterizzata dall’accumulo di liquido ricco di proteine, tra cui fibrina caratteristica delle cavità sierose, nelle quali la fibrina può precipitare ed organizzarsi grazie alla migrazione di fibroblasti La fibrina agisce come un collante e una volta che si organizza può provocare l’adesione tra i vari organi coinvolti. Si tratta di un tipo di risposta infiammatoria acuta eccessiva la quale può verificarsi abbastanza di frequente nel post-operatorio, oppure può costituire essa stessa la causa dell’intervento chirurgico e magari si espande comunque dopo l’operazione (interventi di appendicite, su utero e annessi quindi dell’apparato ginecologico). Nel caso delle pericarditi il processo di per sé è asintomatico, ma terminata la deposizione di fibrina tra i foglietti pericardici può creare delle adesioni. Lo stesso si può verificare nelle pleuriti. INFIAMMAZIONE SUPPURATIVA L’infiammazione suppurativa è legata soprattutto al fenomeno di accumulo del pus, ovvero un accumulo localizzato di leucociti e di detriti cellulari. Quindi, di fatto, essendo presente sia i detriti cellulari che le cellule infiammatorie si tratta di un essudato vero e proprio ed è caratteristica di infezioni causate da batteri piogeni (ovvero in grado di stimolare l’attivazione e la migrazione dei leucociti in maniera massiccia). L’infiammazione suppurativa (la cui massima espressione è la formazione di un ascesso) non è in sé negativa in quanto la formazione di pus indica una normale reazione dell’organismo contro l’agente infettante. Il problema si manifesta nel momento in cui la suppurazione risulta molto estesa, in quanto è indica della presenza di batteri particolarmente aggressivi i quali possono anche abbandonare la zona infiammata e provocare la comparsa di sepsi (sindrome clinica caratterizzata da un'abnorme Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS), messa in atto dall'organismo in seguito al passaggio nel sangue di microrganismi patogeni provenienti da un focolaio sepsigeno). Solitamente questo si verifica nel caso di infezioni da parte di ceppi particolarmente virulenti di Streptococchi e Stafilococchi. Qui abbiamo un esempio di ascesso cutaneo in cui si osserva: - cute arrossata tumefazione calore della zona interessata presenza di una zona più bianca che indica il punto nel quale si sta per aprire una lesione suppurativa La lesione suppurativa si verifica perché il contenuto degli ascessi, essendo ricco di leucociti, porterà a fenomeni di lisi dei batteri ma anche delle pseudo-pareti della sacca che raccoglie il pus. Questo col tempo consentirà di aprire una lesione nell’ascesso attraverso la quale il pus potrà essere evacuato verso l’esterno e l’ascesso potrà poi andare incontro a guarigione. Questo può capitare che non si verifichi autonomamente nelle lesioni particolarmente estese o profonde; in questi casi non bisogna “traumatizzarla” in autonomia (cercando di spremerla), ma è richiesto l’intervento di un medico che provvederà ad esplorarla tramite ecografia per verificare se la lesione possiede delle ramificazioni. È importante stabilirlo prima di intervenire, per evitare di ripulire adeguatamente la zona ed evitare la formazione di fistole o di situazioni di sepsi. Che cos’è la sepsi? La sepsi è il passaggio nel circolo ematico di una grossa quantità di batteri (che possono trovarsi o meno in fase replicativa). Essa può verificarsi: - in caso di diretta contaminazione ematica da parte di batteri in grado di resistere alla risposta immunitaria in caso di rilascio continuo di grosse quantità di batteri (spesso definiti “embolisettici” per questa loro capacità) da una sede di infezione; questi attraverso il circolo ematico finiranno nelle ramificazioni delle arteriole che irrorano specifici organi (come il rene) o le estremità (in questo caso diviene necessaria l’amputazione degli arti). LE TUMEFAZIONI La tumefazione fa parte dei 5 segni cardinali dell’infiammazione: vediamo ora come questo in realtà sia un segno comune a molti processi patologici anche molto differenti tra di loro. Di nuovo, mai esprimersi senza avere informazioni sufficienti sullo stato di salute del paziente. I piedi del paziente riportati a lato non sono delle tumefazioni infiammatorie, ma sono dei piedi edematosi tipici di un quadro di insufficienza cardiaca. In realtà l’immagine non è sufficiente a stabilirlo, dunque non dovreste dirlo…ma in questo caso l’edema è dato da un rallentato ritorno venoso al cuore; si tratta dunque di un risultato dell’equilibrio tra la pressione idrostatica e colloidosmotica che assieme regolano la fuoriuscita e il riassorbimento di liquidi dai vasi. Questa situazione si può verificare in caso di: - aumento della pressione venosa (che dunque si oppone al richiamo di liquidi per azione della pressione colloidosmotica) riduzione della pressione colloidosmotica (la quale dunque non riesce a contrastare la pressione venosa); questo avviene ad esempio per una ridotta concentrazione di proteine a livello ematico o per disfunzione renale che dunque provoca un volume ematico eccessivo che comporta una ritenzione di liquidi. Questa invece è una tumefazione di tipo infiammatoria, ed è una conseguenza di una infiammazione di tipo allergico che colpisce l’occhio. Dunque, tumefazioni che hanno lo stesso aspetto possono avere diverse cause. Invece, questa sebbene appaia una tumefazione delle articolazioni interfalangee distali e metacarpo-falangea non è di un’infiammazione acuta bensì cronica. Infatti, è il classico aspetto di una mano di un soggetto affetto da artrite reumatoide! Normalmente questa condizione non viene più raggiunta dai pazienti grazie alle nuove avanguardie in campo terapeutico (questo probabilmente è un soggetto resistente alla terapia o non curato). Dunque, le tumefazioni possono essere anche da tumefazione cronica; solo che in questo caso la sua causa non è l’edema. Palpando queste tumefazioni, infatti, si potrà constatare che hanno consistenza solida, dura, dovuta alla deposizione di nuovo materiale fibrotico (fibrosi). Si tratta perciò di processi patologici totalmente diversi! L’EDEMA L’edema è il risultato di un’alterazione di diversi parametri fisiologici: - volume ematico pressione idrostatica (che spinge verso l’esterno, verso le pareti del vaso) flusso di sangue filtrazione (del liquido verso gli interstizi) assorbimento (dei fluidi interstiziali) Lascia stare questo elenco puntato, stava descrivendo punto per punto cosa accade in condizioni fisiologiche. Faresti meglio a rileggere dal libro. Se ci troviamo in condizioni di infiammazione succede che la vasodilatazione e l’aumento della permeabilità vasale fa sì che, oltre alla componente liquida del sangue, filtrino negli interstizi anche proteine. Questo impedisce l’aumento della pressione colloidosmotica la quale normalmente è responsabile della fase di riassorbimento. Di fatto, le proteine rimanendo negli interstizi richiamano i fluidi ematici (la pressione colloidosmotica agisce in verso opposto) che non riescono più ad essere riassorbiti a livello venoso, provocando così edema. CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI MEDIATORI CHIMICI DELL’INFIAMMAZIONE Tutte le alterazioni fisiologiche che avvengono durante il processo infiammatorio si verificano perché sono mediate da specifiche sostanze chiamati mediatori dell’infiammazione. Ma non solo, i mediatori possono anche essere direttamente coinvolti nel processo di eliminazione della noxa (azione battericida, batteriostatica ecc.) I mediatori vengono classificati in diversi modi, ma il primo tiene conto di quali popolazioni cellulare sono in grado di sintetizzarli: - cellule coinvolte direttamente nei processi infiammatori (neutrofili, monociti/macrofagi, mastociti, piastrine) cellule di origine mesenchimale (cellule endoteliali, cellule muscolari lisce) cellule epiteliali (solamente in seguito a particolari stimoli) In precedenza, abbiamo parlato di componenti umorali e componenti cellulari della risposta infiammatoria, ma oggi andiamo a definire meglio questa distinzione. Abbiamo infatti: MEDIATORI DI DERIVAZIONE PLASMATICA: sono componenti derivati da cellule che non partecipano direttamente al processo infiammatorio ma che vanno a regolarlo (come, ad esempio, gli epatociti che sintetizzano tutte le proteine del Sistema del Complemento, o ancora le chinine e le proteine della fase acuta, componenti della cascata coagulativa ecc.) MEDIATORI DI DERIVAZIONE CELLULARE: ovvero mediatori secreti dalle cellule che sono coinvolte direttamente nella risposta infiammatoria. Questi a loro volta possono essere distinti in: - presintetizzati - neosintetizzati Questa distinzione è importante perché da essa dipende la rapidità con la quale questi mediatori vengono rilasciati: i mediatori presintetizzati verranno rilasciati prontamente mentre quelli neosintetizzati necessiteranno di più tempo e dunque medieranno una risposta più lenta/ritardata. Anche qui, dunque, individuiamo una risposta infiammatoria immediata (portata avanti dai mediatori presintetizzati) e una risposta ritardata portata avanti da quelli neosintetizzati. In ogni caso, comunque, la risposta più immediata è quella provocata dai mediatori di derivazione plasmatica. Quali sono le caratteristiche comuni appartenenti a tutte le tipologie di mediatori? I mediatori dell’infiammazione per molti aspetti (compreso i meccanismi di azione) sono molto diversi tra loro, ma, se c’è una caratteristica comune è che tutti concorrono alla modulazione e alla terminazione del processo infiammatorio. Infatti, sebbene l’infiammazione sia fondamentale per la protezione dell’organismo e per la riparazione dei danni subiti, un processo infiammatorio eccessivamente attivo e prolungato può danneggiare esso stesso il tessuto. Un’altra distinzione possibile all’interno dei mediatori è quella tra i mediatori che agiscono direttamente sul processo infiammatorio e quelli che invece agiscono indirettamente, comportandosi come attivatori di un secondo mediatore. Spesso i meccanismi che si servono di secondi mediatori portano ad un processo di amplificazione dell’infiammazione. Altra caratteristica comune dei mediatori è la loro breve emivita plasmatica e questa si deve alla pericolosità intrinseca dei processi infiammatori fuori controllo. La breve emivita, infatti, rende possibile l’interruzione del processo infiammatorio per semplice interruzione nella produzione dei mediatori; in questo modo, infatti, essi si degraderanno autonomamente nel giro di poco tempo estinguendo l’infiammazione senza che sia necessaria la sintesi di eventuali inibitori da parte dell’organismo. Quali sono i meccanismi d’azione dei mediatori dell’infiammazione? I mediatori dell’infiammazione spesso agiscono attraverso un’interazione o un legame con degli specifici recettori posti sulla membrana delle cellule effettrici dell’infiammazione (azione indiretta). In alternativa, esistono anche infiammatori che esercitano mediazione diretta (è il caso delle proteasi secrete dai leucociti, le quali non vanno ad attivare altri mediatori ma esercitano direttamente la loro azione verso la noxa come nel caso di batteri). Un’altra possibilità per i mediatori è quella di causare danno ossidativo, il quale a sua volta può essere diretto o mediato). N.B: i mediatori dell’infiammazione sono molti di più di quelli che verranno trattati durante il corso! È necessario conoscere solo quelli che vengono fatti a lezione: - ammine vasoattive (Istamina e Serotonina) - derivati dell’acido arachidonico (eicosanoidi) - chemochine e citochine (solamente alcune) [ricorda il ruolo di IL-1 e IL-8] - neuropeptidi [la sostanza P, qualunque sia lo stimolo che ha generato dolore a livello locale esso può provocare l’insorgenza del processo infiammatorio] - NO e diverse NOS - Granuli lisosomiali - ROS ISTAMINA L’istamina appartiene alla categoria dei mediatori dell’infiammazione preformati e infatti la troviamo accumulata in specifici granuli citoplasmatici all’interno dei mastociti (la maggior parte è contenuta al loro interno), granulociti basofili e piastrine. L’istamina è notoriamente conosciuta per essere la mediatrice principale dei processi allergici, ma costituisce anche il primo mediatore dell’infiammazione acuta, ovvero quello che determina la comparsa dei primi meccanismi vasoattivi (infatti fa parte delle ammine vasoattive). Le piastrine non sono cellule, bensì frammenti cellulari dei megacariociti e questo è fondamentale per ricordare esse non siano in grado di ripristinare le riserve di istamina una volta che portano avanti la degranulazione (infatti sono sprovviste di nucleo e di organuli citoplasmatici). I mastociti e i granulociti basofili, invece, dopo un determinato lasso di tempo potranno andare nuovamente incontro a degranulazione. I mastociti sono cellule dotate di una grande plasticità e dunque possono assumere forme differenti a seconda di quelle che sono le condizioni di attivazione. Una delle principali caratteristiche dei mastociti è la presenza sulla loro superficie di recettori ad alta sensibilità per i frammenti Fc degli anticorpi IgE (ovvero le immunoglobuline maggiormente coinvolte nelle reazioni di ipersensibilità di tipo I, ovvero le allergie). Dunque, la degranulazione dei mastociti avviene solamente in seguito al legame di IgE complessati con l’antigene con i recettori per i frammenti Fc. La degranulazione avviene immediatamente, con la comparsa dei tipici sintomi dell’allergia: - Starnuti - Edema della mucosa - Aumento della secrezione della mucosa - Orticaria I basofili sono dei granulociti che in condizioni normali non sono presenti in grosse concentrazioni nel sangue (in condizioni normali i più rappresentati sono i granulociti neutrofili). Sono caratterizzati da un citoplasma ricchissimo di granuli, i quali possono avere un contenuto molto più vario rispetto a quelli dei mastociti (nei quali troviamo solamente istamina). Anche i basofili vanno incontro a degranulazione in seguito al riconoscimento di proteine batteriche o virali, ma soprattutto in seguito all’esposizione a mediatori dell’infiammazione secreti da altri tipi cellulari. Quali sono le tipologie di stimoli che portano alla degranulazione da parte di queste cellule? Gli stimoli che provocano degranulazione sono: - Stimoli fisici (traumi, esposizione al caldo e al freddo eccessivi) - IgE - Frammenti del sistema del complemento (derivati dal clivaggio/taglio di C3 e C5) - Proteine di derivazione leucocitaria (loop di autoalimentazione del processo infiammatorio). N.B: il processo di attivazione dell’infiammazione non è necessariamente danno>infiammazione>dolore, ma può essere anche dolore>danno (da rilascio di istamina)>infiammazione Quali sono gli effetti biologici mediati dall’istamina? L’istamina agisce sulla microcircolazione: - Dilatazione delle arteriole (per azione sulla muscolatura liscia) - Aumento della permeabilità dei vasi (che porta alla formazione dell’edema dell’essudato contenente componente umorale e cellulare) dovuta all’azione sull’endotelio (NON LA MUSCOLATURA LISCA). L’istamina agisce sull’endotelio determinando la contrazione dei filamenti intermedi e creando degli spazi tra cellula e cellula. SEROTONINA L’altro mediatore vasoattivo dell’infiammazione assieme all’Istamina è la serotonina. Essa media essenzialmente gli stessi effetti provocati dall’istamina a livello dei vasi ed è anche un importante mediatore del dolore; tuttavia, la sua importanza nella mediazione del processo infiammatorio è decisamente inferiore rispetto a quello dell’istamina. La serotonina coinvolta nei processi infiammatori è solamente quella che viene secreta dalle piastrine assieme all’istamina. Quella secreta dalle cellule enterocromaffini, invece, svolge altre funzioni. DERIVATI DELL’ACIDO ARACHIDONICO Questi mediatori sono derivati dell’acido arachidonico il quale deve essere precedentemente liberato dalle membrane cellulari per azione dell’enzima Fosfolipasi A2. Si tratta dunque di derivati che non sono preformati, ma che vengono sintetizzati al momento. Una volta che l’acido arachidonico viene reso disponibile, esso può partecipare a due differenti vie metaboliche: - - Via della Ciclossigenasi (COX) attraverso la quale vengono sintetizzate le prostaglandine (PPGD2, PGE2, PGI2, PGF2a) e i trombossani (TxA2) Via della Lipossigenasi attraverso la quale vengono sintetizzati i leucotrieni (LTB4, LTC4, LTD4, LTE4) Via biosintetica transcellulare, attraverso la quale vengono ottenute le Lipoxine (LXA4, LXB4) Tutte queste vie metaboliche sono altamente indicibili e risentono fortemente dell’utilizzo di FANS. Infatti, se attraverso l’assunzione di FANS noi andiamo a bloccare la via delle Ciclossigenasi (COX) avremo come risultato una maggiore quantità di substrato (acido arachidonico) disponibile per le altre due vie metaboliche; di conseguenza otterremo un’aumentata biosintesi di leucotrieni (anch’essi mediatori del processo infiammatorio) e di lipoxine. Questo aspetto è particolarmente importante nel trattamento dell’asma allergico; come sapete, infatti, la sintomatologia dell’asma pur essendo di origine allergica non viene trattata con la somministrazione di FANS bensì attraverso l’utilizzo di antistaminici, broncodilatatori e cortisonici per via inalatoria. La motivazione di tale approccio risiede nel fatto che utilizzando i FANS andremmo a stimolare una maggiore produzione di leucotrieni, i quali però sono i principali mediatori della broncocostrizione e dell’ipersecrezione mucosa bronchiale; si rischierebbe dunque di ridurre ulteriormente la capacità di respirazione dell’individuo asmatico. Proprio per questo motivo i soggetti particolarmente asmatici a volte vengono trattati anche con farmaci antileucotrienici (Montelukast ecc.). L’aspetto dei leucotrieni va tenuto in considerazione anche quando i soggetti fortemente asmatici vogliono semplicemente essere trattati per una distorsione o per altri processi infiammatori; attenzione soprattutto all’Aspirina che è un inibitore irreversibile delle COX. Gli antinfiammatori cortisonici, invece, bloccando a monte la liberazione dell’acido arachidonico (inibendo la trascrizione delle Fosfolipasi A2) dalle membrane impediscono anche la biosintesi dei leucotrieni e di tutti gli eicosanoidi. Il pericolo non è presente invece nelle condizioni di infiammazione cronica in cui vengono rese disponibili grossissime quantità di acido arachidonico. Come agiscono gli eicosanoidi come mediatori dell’infiammazione? Tutti gli eicosanoidi esercitano le loro azioni biologiche (anche quelle coinvolte nell’infiammazione) mediante interazione con specifici recettori presenti sulle cellule effettrici. Quali sono le altre funzioni fisiologiche degli eicosanoidi? Per capire il ruolo biologico delle prostaglandine è importante sapere che il primo prodotto delle ciclossigenasi è la prostaglandina PGG2, la quale a sua volta subisce l’azione della porzione perossidasica delle COX e viene trasformata in PGH2. Questa costituisce il precursore di numerosissime prostaglandine, ciascuna con funzioni fisiologiche differenti, e del trombossano TXA2. - TXA2 = azioni vasocostrittrice e aggregante PGI2 = antiaggregante PGE2, PGF2α e PGD2 = vasodilatatrici PGJ2 = ligando dei recettori nucleari PPAR All’esame non verrà chiesta la via biosintetica, sta a te rivederla per avere un quadro più chiaro della cosa. L’importante è conoscere gli effetti delle varie molecole. Lo stesso vale per i recettori, non ti verranno richiesti: sappi solo che esistono per capire il grado di complessità delle funzioni mediate dalle prostaglandine. Lo stesso ligando può agire su diversi recettori e mediare effetti differenti. Anche nella biosintesi dei leucotrieni abbiamo la formazione di un precursore (LTA4) dal quale poi si originano tutte le altre molecole della famiglia. Ovviamente anche qui ciascun leucotriene può esercitare effetti diversi legandosi ed interagendo con recettori differenti. LIPOXINE Il processo infiammatorio è estremamente delicato in quanto, sebbene la sua azione sia fondamentale per l’eliminazione della noxa, se non viene accuratamente regolato rischia di autoalimentarsi e di portare ad un danneggiamento anche dei tessuti. Affinché questo non avvenga è assolutamente necessario mantenere un equilibrio tra i mediatori dell’infiammazione e quelli che invece sono i suoi processi inibitori. Un primo esempio delle modalità con cui l’infiammazione viene tenuta sotto controllo lo abbiamo visto quando abbiamo parlato della breve emivita dei mediatori dell’infiammazione; questo, infatti, impedisce che l’infiammazione si protragga nel tempo quando la loro produzione non viene più stimolata. Esistono però tanti altri meccanismi inibitori, la maggior parte dei quali è di natura umorale. Le lipoxine, invece, si comportano da inibitori di tipo trans cellulare: nello specifico le lipoxine inibiscono il reclutamento dei leucociti e della componente cellulare dell’infiammazione, ovvero riducono la migrazione della componente cellulare nel sito dell’infiammazione. Come viene attuata l’azione inibitrice delle lipossine? La via inibitoria delle Lipossine è molto particolare poiché si basa su un metabolismo di tipo transcellulare, ovvero una via metabolica condivisa tra due tipi cellulari differenti: i neutrofili e le piastrine. 1) Il primo step nella biosintesi delle lipossine avviene nei granulociti neutrofili, nei quali viene sintetizzato il precursore Leucotriene A4 (LTA4) 2) I neutrofili, però, non sono in grado di completare la biosintesi delle Lipossine; dunque, LTA4 dovrà essere ceduto alle piastrine attraverso contatto diretto con i neutrofili 3) In seguito al contatto neutrofili-piastrine, queste ultime completano la trasformazione dell’LTA4 in lipossine attraverso l’enzima 12-lipossigenasi. Com’è possibile che si verifichi il contatto diretto tra piastrine e neutrofili? Tutta la biosintesi delle lipossine è resa possibile dal contatto tra neutrofili e piastrine, il quale a sua volta si verifica solamente in condizioni di infiammazione acuta. Infatti: - - - Quando il tessuto si trova in uno stato di grave infiammazione acuta questo significa che i vasi che lo irrorano sono particolarmente dilatati e che la loro permeabilità è molto aumentata, consentendo così a neutrofili e a piastrine di migrare nel sito dell’infiammazione Maggiore è l’infiammazione, maggiori saranno la chemiotassi e la permeabilità vascolare e maggiore sarà la possibilità di questi due tipi cellulari di entrare in contatto tra loro all’interno del tessuto infiammato. Più è frequente il contatto, e dunque la produzione di lipossine, maggiore sarà l’effetto inibitorio sull’infiammazione e questo porterà immancabilmente a ridurre la permeabilità vascolare e la chemiotassi, e con essa anche la biosintesi delle lipossine Da questa descrizione è dunque chiaro come l’effetto inibitorio delle lipossine si basi su un meccanismo di feedback negativo, il quale consente di tenere sempre un equilibrio finemente regolato tra i mediatori dell’infiammazione e questa classe di inibitori. Questo non è l’unico meccanismo a feedback negativo che avviene nell’infiammazione (ci sono anche esempi umorali) ma questo caso lo dovete conoscere bene. ALTRI MEDIATORI DI ORIGINE FOSFOLIPIDICA PAF (FATTORE ATTIVANTE LE PIASTRINE) Nonostante il suo nome possa essere fuorviante, il suo ruolo nella mediazione dell’infiammazione è molto più ampio della semplice attivazione piastrinica. Esso, infatti, media molte reazioni di tipo immunitario, nelle reazioni allergiche, nel processo di vasodilatazione e di chemiotassi. Esso può trovarsi sia in forma solubile che adeso alle membrane cellulari e viene prodotto da diversi tipi di cellule coinvolte nell’infiammazione: - Granulociti basofili Mastociti Monociti/macrofagi Cellule endoteliali Piastrine Gli effetti che media sono molteplici: - Aggregazione piastrinica Broncocostrizione Aumento della permeabilità delle venule Forte vasodilatazione Chemiotassi Adesione Degranulazione Produzione di eicosanoidi CITOCHINE Le citochine sono molecole proteiche prodotte da vari tipi di cellule e secrete nel mezzo circostante, di solito in risposta a uno stimolo, e inducono nuove attività come crescita, differenziazione e morte. La loro azione di solito è locale, ma talvolta può manifestarsi su tutto l'organismo. Le citochine possono quindi avere un effetto autocrino (modificando il comportamento della stessa cellula che l'ha secreta), o paracrino (modificano il comportamento di cellule adiacenti). Alcune citochine possono invece agire in modo endocrino, modificando cioè il comportamento di cellule molto distanti da loro. Hanno una vita media di pochi minuti. Esistono dunque tantissime citochine, ma a noi interessa trattare solamente quelle coinvolte nel processo infiammatorio TNF (Tumor Necrosis Factor): prodotto principalmente dai macrofagi attivati, cellule con attività fagocitaria che intervengono maggiormente in una fase tardiva delle infiammazioni quando è necessario ripulire il tessuto dai detriti cellulari e avviare il processo di riparazione LINFOTOSSINA: prodotta dai linfociti T attivati, ovvero la componente dell’immunità adattativa che partecipa maggiormente al processo infiammatorio IL-1: si tratta di una citochina veramente importante perché implicata in numerosi processi; anche in questo caso la fonte principale di queste molecole sono i macrofagi, ma ci sono alti tipi cellulari che se adeguatamente stimolati sono in grado di sintetizzarle. Le citochine vengono rilasciate in seguito a determinati tipi di stimoli: - Endotossine Presenza di immunocomplessi Stress cellulari di tipo fisico Altri stimoli pro-infiammatori Perché TNF e IL-1 sono importanti nel processo infiammatorio? TNF è un fattore in grado di attivare l’endotelio, ovvero di modificare la sua espressione genica in modo da consentire l’espressione di recettori di superficie necessari per l’interazione con altri mediatori dell’infiammazione. TNF è convolto anche nel processo di “priming” dei neutrofili, ovvero un processo che mira a sensibilizzare questa tipologia cellulare all’azione di altri mediatori dell’infiammazione Entrambi il TNF l’IL-1 sono implicati nella “Reazione della Fase Acuta”, ovvero una reazione in cui si osservano delle modificazioni che non sono più confinate al sito dell’infiammazione ma che sono estese all’intero organismo (reazione di tipo sistemico): - Febbre Anoressia Cachessia (TNF) Neutrofilia (aumento della concentrazione di neutrofili in circolo) Ipotensione Shock Il motivo per cui si scatena una reazione sistemica risiede nel fatto che spesso queste modificazioni seguono un’infezione a carico di microrganismi (virus e batteri); risulta dunque necessario mettere in atto una risposta sistemica in modo tale da limitare la diffusione e la probabilità di sopravvivenza del patogeno al di fuori del sito di infiammazione. RADICALI LIBERI DELL’OSSIGENO / ROS Tra i mediatori dell’infiammazione troviamo anche i radicali liberi dell’ossigeno / ROS: - Anione superossido Perossido di idrogeno Radicale idrossilico Sebbene questi possano anche comportarsi come mediatori dell’infiammazione, in realtà essi si comportano maggiormente da effettori del processo infiammatorio, più precisamente come mediatori diretti del danno verso la noxa e verso il tessuto infiammato (solamente nei casi in cui l’infiammazione va fuori controllo o si protrae troppo a lungo): - Distruzione di agenti microbici fagocitati Danno a carico delle cellule endoteliali e della matrice extracellulare Inattivazione delle anti-proteasi Danneggiamento delle cellule parenchimali Dato che le ROS possono risultare dannose anche per le cellule del tessuto infiammato il nostro organismo deve mettere in atto dei sistemi di controllo verso questi effettori dell’infiammazione. In particolare, si tratta di meccanismi che si basano su molecole antiossidanti o su enzimi in grado di inattivare le specie reattive dell’ossigeno: - Ceruloplasmina Transferrina Superossido dismutasi Catalasi Glutatione perossidasi Ricordiamoci che qualunque cellula produce una certa quantità di ROS anche in condizioni normali e dunque esprime questi meccanismi di controllo; quello che avviene nell’infiammazione è un’esacerbazione della produzione di ROS e dunque si ha anche il potenziamento dei sistemi di controllo cellulare. OSSIDO NITRICO (NO) L’ossido nitrico è un gas solubile prodotto sia dalle cellule endoteliali che dai macrofagi. Esso si comporta anche da mediatore dell’infiammazione ma possiede tante altre funzioni biologiche; per questo la sua produzione avviene attraverso due isoforme dell’ossido nitrico sintetasi (NOS): - eNOS e nNOS = forme costitutivamente attive (tutte le funzioni biologiche) iNOS = forme inducibili (legate dunque alla mediazione infiammatoria) Le azioni mediate dal NO sono: - potente vasodilatazione inibizione dell’aggregazione piastrinica riduzione dell’adesione dei leucociti all’endotelio Ma non sono i suoi unici effetti: - - se prodotto dall’endotelio il NO media effetti antinfiammatori, poiché riduce il reclutamento dei globuli bianchi/leucociti se prodotto dai macrofagi (mediante l’azione di una diversa isoforma enzimatica, l’iNOS) il No viene utilizzato per l’uccisione dei batteri introdotti nella cellula mediante fagocitosi IL RECLUTAMENTO LEUCOCITICO La migrazione dei leucociti dal circolo ematico al tessuto soggetto ad infiammazione è possibile grazie all’azione di: - specifici mediatori chimici (che causano la chemiotassi) segnali cellulari che permettono all’endotelio di esprimere dei recettori che permettono l’adesione alla parete dei leucociti. Questi ancoraggi molecolari che vengono espressi dalle membrane delle cellule endoteliali vengono distinti in due tipologie: - P-selectine E-selectine La vasodilatazione causa un rallentamento del flusso sanguigno (chemiotassi) il che consente alla componente cellulare del sangue di entrare in contatto con le pareti dei vasi e più nello specifico con le selectine espresse sulle cellule endoteliali. Se l’istamina e le citochine hanno indotto l’endotelio ad esprimere le selectine allora i leucociti potranno interagirvi. Questo tipo di interazione, però, è abbastanza debole e dunque non causa l’adesione del leucocita sulla parete endoteliale bensì il suo “rotolamento”. Il rotolamento dei leucociti stimola l’endotelio ad esprimere una seconda classe di ligandi, dette Integrine. Il legame attraverso le integrine è molto più forte e riesce ad ancorare il leucocita alla parete dell’endotelio; tale ancoraggio attiva ulteriormente i leucociti che dunque mettono in atto il processo di extravasazione verso il tessuto. Qui agirà rilasciando i suoi mediatori dell’infiammazione (tra cui citochine che alimentano l’intero processo) e morirà (in quanto non sono in grado di replicarsi fuori dal circolo sistemico). Che differenze ci sono tra i granulociti azzurrofili e quelli specifici? La differenza sono i tipi di costituenti che possiamo trovare nei due tipi di granuli lisosomiali: - - Granulociti specifici: la loro degranulazione è più facile da attivare perché contengono solamente mediatori ed effettori dell’infiammazione (Lactoferrina, Lisozima, collagenasi, fosfatasi, molecole di adesione leucocitaria, fosfolipasi A2) Granulociti azzurrofili: la loro degranulazione è più difficile da ottenere, necessita di una stimolazione maggiore in quanto i granuli contengono sostanza dannose anche per l’integrità del tessuto (Lisozima, elastasi, idrolasi acida, defensina, fosfolipasi A2). PROGESSO FLOGISTICO IN FASE ACUTA L’infiammazione acuta non comporta soltanto reazioni e modificazioni a livello locale ma anche la comparsa di effetti a livello sistemico, i quali sono molto importanti. Così come i cinque segni cardinali dell’infiammazione, anche gli effetti a livello sistemico sono indici della presenza di un’importante stato infiammatorio, il quale però avviene in risposta ad un’infezione batterica o virale. Questo perché le alterazioni sistemiche non sono indici della gravità dell’infezione (la febbre si manifesta anche per casi di influenza) ma serve a limitare la diffusione del patogeno nell’organismo. Tra le manifestazioni sistemiche dell’infiammazione acuta troviamo: - - La febbre, che può essere dovuta sia a banali infezioni virali (tipo influenza) sia a infezioni batteriche più gravi in diversi distretti corporei (anche a seguito di interventi chirurgici). Leucocitosi (ovvero aumento dei leucociti nel sangue) Secrezione di proteine della fase acuta con effetto batteriostatico (Proteina C reattiva, amiloide sierico di tipo A e P) Redistribuzione del flusso sanguigno (pallore, estremità fredde) [funzionale ad innalzare la temperatura corporea con la minor dispersione energetica) possibile e riduzione del contenuto di acqua corporea (meno acqua da riscaldare, vuol dire anche meno energia da utilizzare per mantenere la temperatura più elevata) [rispolvera la definizione di caloria]. Nel momento di discesa della febbre invece l’organismo necessita di un maggiore apporto d’acqua in quanto deve sudare per abbassare la temperatura. Modificazioni del comportamento (rannicchiarsi per diminuire la superficie corporea esposta e disperdere meno calore) Senso di malessere generale (legato soprattutto alle citochine, che causano cachessia) Approfondisci dal libro!!!! LA TERMOREGOLAZIONE A livello centrale, la termoregolazione avviene a livello della Regione Preottica dell’Ipotalamo dove sono presenti diverse popolazioni di neuroni ciascuna con una propria funzione: - - Neuroni W = captano le variazioni di temperatura rispetto al valore di riferimento (che in condizioni normali è di 37°C). essenzialmente verificano che la temperatura dell’organismo coincida con quella impostata Neuroni w = elaborano la risposta termodispersiva (se la temperatura è più alta di quella settata) Neuroni c = elaborano la risposta termoconservativa (se la temperatura è più bassa di quella settata) Neuroni i = integrano i segnali termici ricevuti dall’esterno (dalle mucose, dalla cute, dagli occhi) IL MECCANISMO DELLA FEBBRE Come si arriva al diverso funzionamento dei neuroni nell’area preottica dell’ipotalamo partendo da un danno localizzato come in un’infiammazione? 1) L’attivazione del processo infiammatorio a livello locale stimola una risposta leucocitaria (mediatori cellulari dell’infiammazione, che producono anche mediatori umorali) 2) Tra i mediatori umorali prodotti dai leucociti ne abbiamo anche alcuni che prendono il nome di “mediatori endogeni primari” (TNFα, IL-1, IL-6 e INF) 3) Questi mediatori mediano gli effetti a livello ipotalamico, ma non possono oltrepassare la BEE, dunque, la trasmissione dovrà avvenire per opera di mediatori pirogeni secondari. Infatti, TNFα, IL-1, IL-6 e INF attivano l’endotelio dei vasi cerebrali inducendoli a produrre PGE2, NO e IL-1. Questi saranno poi quelli ad agire a livello del nucleo preottico. N.B: il fatto che PGE2 sia un mediatore secondario della febbre fa capire come mai i FANS agiscano da antipiretici solamente in presenza di febbre (non c’è abbassamento di temperatura al di sotto dei 37°C). INFIAMMAZIONE CRONICA Uno stato di infiammazione cronica può essere la conseguenza del fallimento di un’infiammazione acuta, nel senso che durante tale processo non si è riusciti ad eliminare del tutto la noxa, ad impedire l’autoalimentazione del processo infiammatorio o a mediare la riparazione del tessuto. Detto questo, però, ci sono anche casi in cui l’infiammazione cronica nasce già come tale e con caratteristiche ben specifiche di cronicità. L’ Infiammazione cronica processo flogistico di durata prolungata nel quale coesistono infiammazione attiva, morte cellulare e meccanismi di riparazione del danno. In questa definizione vediamo l’importanza di ciascun termine utilizzato: - - Processo flogistico di durata prolungata = non si parla di un processo flogistico di una determinata durata, ma bensì si pone l’accento sul fatto che sia prolungato. Questo è giusto, in quanto per le infiammazioni croniche non è corretto fornire delle indicazioni temporali precise: la differenza tra durata di infezione acuta e cronica dipende, ancora una volta, da qual è il tessuto interessato del processo. Questo prolungamento dello stato di infiammazione acuta può verificarsi qualora non sia stata eliminata correttamente la noxa che ha causato l’infiammazione Infiammazione attiva, morte cellulare = sta ad indicare come parte del processo ricordi l’infiammazione acuta Tentativi di riparazione del danno = il termine “tentativi” sottintende che questi non vadano a buon fine e che siano inefficaci L’infiammazione cronica è un processo flogistico di lunga durata che può seguire l’infiammazione acuta quando non si ha l’eliminazione dello stimolo che ha indotto la flogosi (ovvero la noxa). - Può seguire = non necessariamente le infiammazioni croniche evolvono da infiammazioni acute prolungate Viene ribadito il fallimento dell’infiammazione acuta nell’eliminare la noxa L’infiammazione cronica è un processo flogistico che non manifesta nessuna evoluzione spontanea verso la risoluzione e si associa ad un danno progressivo del tessuto interessato. POSSIBILI CAUSE DI INFIAMMAZIONE CRONICA INFEZIONE PERSISTENTE: la mancata eradicazione del patogeno (noxa), il quale può essere un batterio, un virus o un parassita, causa una persistente attivazione dei meccanismi di flogosi, i quali diventano causa stessa del danno al tessuto. Perché questo si verifichi il microrganismo deve essere resistente alle normali azioni di difesa mediate dal sistema immunitario. Alcuni esempi sono l’Epatite Cronica Virale (virus) e la Tubercolosi (batterio) ESPOSIZIONE RIPETUTA O PROLUNGATA AD UN AGENTE TOSSICO: l’agente tossico è più frequentemente esogeno (silicosi), ma in certi casi può anche essere di natura endogena (gotta, dove l’acido urico è un prodotto del metabolismo delle purine). In entrambi i casi si tratta di tossici che non possono essere eliminati tramite l’azione dei macrofagi. AUTOIMMUNITA’ ED ALTERAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNE: questa costituisce la causa più importante di infiammazione cronica nei paesi industrializzati. Alcuni esempi sono l’artrite reumatoide, il Lupus eritematoso, l’asma allergico, la maggior parte delle nefriti, le vasculiti. Queste sono causate da un’alterata regolazione della risposta immunitaria, la quale si attiva contro determinati antigeni innocui (allergia) o componenti self (autoimmune); quest’ultimo caso è il più grave e complicato perché la noxa non potrà mai essere eliminato e dunque il processo andrà a distruggere efficientemente il tessuto. Un esempio di malattia autoimmune è il diabete di tipo 1 nel quale il sistema immunitario attacca le isole di Langerhans del pancreas responsabili della secrezione di insulina. Questa risposta immuno-mediata spesso inizia in tenera età e non si ferma finché non vengono eliminate tutte le isole di Langerhans. Se l’antigene è diffuso in diversi tessuti il problema è ancora maggiore, come nel caso del Lupus eritematoso sistemico dove il sistema immunitario attacca proteine nucleari e molecole di dsDNA causando danni a tutto l’organismo se non viene trattata correttamente (con l’uso di immunosoppressori). È il tipo di infiammazione al quale il prof. tiene maggiormente! CARATTERISTICHE DEL PROCESSO INFIAMMATORIO CRONICO Le caratteristiche del processo infiammatorio cronico differiscono da quelle dell’infiammazione acuta; vediamo i due processi in modo comparativo: - - Scarsa reazione vascolare mediata da fattori neuro-umorali [questo perché, dato che il processo infiammatorio si è cronicizzato, la fase vascolare tipica dell’insorgenza della flogosi si è ormai risolta], è possibile che si verifichino fenomeni di angiogenesi (perché il fenomeno cronicizzato ha bisogno di un supporto vascolare per mantenersi attivo) Predomina l’attività dei macrofagi Infiltrazione di cellule mononucleate (macrofagi, linfociti, plasmacellule e più raramente granulociti eosinofili). [anche qui differenza con l’infiammazione acuta nella quale predominano i granulociti, i quali hanno un’emivita molto breve al di fuori del circolo sistemico; invece, i monociti, quando escono dal circolo, diventano macrofagi i quali sopravvivono molto più a lungo nel tessuto e possono addirittura proliferare. Questo consente al processo cronico di mantenersi a lungo] - - [La stessa cosa vale anche per i Linfociti, in grado di proliferare anche nei linfonodi]. Danno tissutale causato dal persistere nel tempo della risposta infiammatoria e della noxa. La continua degranulazione (da parte dei macrofagi) e fagocitosi non fa altro che amplificare il danno al tessuto Tentativi di riparazione del danno mediante deposizione di nuovo tessuto connettivo (quindi incapace di ripristinare la funzione del tessuto perso) associato alla proliferazione di nuovi vasi di piccolo calibro (angiogenesi). Quindi in realtà si tratta di tentativi inefficaci che anzi inficiano la funzione d’organo CARATTERI ISTOLOGICI Le immagini riportate mostrano la sezione di un polmone, in entrambi i casi ci si trova di fronte ad un’infezione batterica: - - Nell’infiammazione acuta gli alveoli sono pieni di macrofagi intenti a svolgere la loro funzione. Quando avranno terminato di svolgere la loro funzione essi andranno incontro ad apoptosi e i loro frammenti verranno eliminati dai macrofagi alveolari, permettendo così all’alveolo di riprendere la sua funzione (i capillari alveolari sono ancora integri) Nell’infiammazione cronica, invece, gli alveoli sono liberi ma i setti alveolari sono ESTREMAMENTE inspessiti dalla deposizione di tessuto connettivo, e dunque gli scambi gassosi non sono possibili. L’infiammazione cronica causa un danno funzionale irreversibile all’organo che persisterà anche una volta terminato il processo infiammatorio. CARATTERISTICHE DEL MACROFAGO Assieme ai linfociti, i macrofagi sono le cellule predominanti nei processi infiammatori cronici. Essi derivano dalla maturazione dei monociti circolanti, i quali si differenziano una volta completata la migrazione nei tessuti, dove sono anche in grado di replicarsi attivamente. Essi appartengono al “sistema monocitomacrofagico” noto anche come RES (Sistema Reticolo Endoteliale). Alcuni tessuti hanno la caratteristica di possedere “cellule macrofagiche tissutali residenti”, ovvero macrofagi specifici per quel determinato tessuto: - Cellule di Kuppfer (fegato) Istiociti della milza Macrofagi alveolari (alveoli) La presenza di una popolazione residente di macrofagi si osserva solamente in quegli organi che hanno contatti maggiori con l’ambiente esterno, e che dunque verranno in contatto maggiormente con particelle estranee e organismi patogeni: - Il fegato, tramite la circolazione portale, riceve il sangue refluo proveniente dall’intestino il quale sarà sicuramente ricco di potenziali patogeni La milza è deputata alla filtrazione e all’identificazione dei patogeni dal sangue Negli alveoli possono arrivare patogeni e particelle che viaggiano con l’aria che inspiriamo. FENOTIPO MACROFAGICO Il macrofago è una cellula dotata di una plasticità estremamente pronunciata, nel senso che è in grado di assumere attività e funzioni differenti a seconda degli stimoli che ha ricevuto durante il suo processo di maturazione (ricorda che deriva dalla maturazione dei monociti presenti nella circolazione sistemica). Su tali differenze si potrebbe fare un’intera lezione, ma questo ovviamente andrebbe ben al di là degli scopi di questo corso. Per quel che coi riguarda, la cosa importante è ricordare è che, tra le varie possibilità di differenziazione del macrofago, quelle più importanti sono due: tipologia M1 (via di differenziamento classica) che si verifica nel caso di infiammazione acuta, e tipologia M2 (via di differenziamento alternativo) che si verifica nel caso di infiammazione cronica. - - Sviluppo più protendente verso l’attività microbicida e promotrice dell’infiammazione grazie alla presenza di microbi, IL-1 e di IFN-γ durante la differenziazione. I macrofagi così differenziati possono esprimere azione microbicida (grazie alla produzione di ROS, NO ed enzimi lisosomiali) o di mediatori dell’infiammazione attraverso il rilascio di diversi tipi di interleuchine (IL-1, IL-12, IL-23) e citochine Sviluppo proteso alla riparazione del tessuto e alla mediazione di effetti antinfiammatori grazie alla presenza di IL-13 e di IL-4 durante il periodo di maturazione. In questo caso i macrofagi così differenziati possono mediare la riparazione del tessuto attraverso il rilascio di fattori di crescita e di TGF-β, oppure mediano effetto di soppressione dell’infiammazione in corso rilasciando IL-10 e TGF-β. Tra q

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