Imparare a Rischiare di Gerd Gigerenzer PDF
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Gerd Gigerenzer
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Questo libro di Gerd Gigerenzer esplora il modo in cui le persone gestiscono il rischio e l'incertezza. L'autore sostiene che l'alfabetizzazione al rischio è fondamentale per affrontare una società tecnologica. Gigerenzer critica l'illusione della certezza e la tendenza a temere i rischi terrificanti, proponendo metodi semplici per capire e gestire il rischio.
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IMPARARE A RISCHIARE PARTE 1 1.LA GENTE E’ STUPIDA? Gli esseri umani sono fallibili, stupidi, indolenti, avidi e deboli, annunciava un articolo dell’Economist. Qui non si leggerà questo messaggio fatalistico. Il problema non è semplicemente l’ottusità degli esseri umani, ma il fenomeno di una soc...
IMPARARE A RISCHIARE PARTE 1 1.LA GENTE E’ STUPIDA? Gli esseri umani sono fallibili, stupidi, indolenti, avidi e deboli, annunciava un articolo dell’Economist. Qui non si leggerà questo messaggio fatalistico. Il problema non è semplicemente l’ottusità degli esseri umani, ma il fenomeno di una società non alfabetizzata al rischio. Ma saper leggere e scrivere non è sufficiente. La conoscenza di base indispensabile per far fronte a una società tecnologica è l’alfabetizzazione al rischio. Chi non l’avrà metterà a rischio la salute e il denaro, oppure potrà essere manipolato fino a riempirsi di speranze e paure irreali. La comprensione del rischio non è identica all’avversione al rischio. Se non corressimo rischi, finirebbe l’innovazione, finirebbe l’allegria, e il coraggio apparterrebbe al passato. Ma capire il rischio non significa nemmeno trasformarsi in un rompicollo temerario o in un acrobata convinto che tanto lui il naso non lo sbatterà mai. Ora vediamo il mondo dell’incertezza e del rischio, partendo dalle previsioni meteorologiche. LE PROBABILITA’ DELLA PIOGGIA La nuova tecnologia delle previsioni ha permesso ai meteorologi di sostituire semplici annunci con la forma verbale della certezza (domani pioverà) o della possibilità (verosimilmente) con numeri precisi, ma la maggiore precisione non ha portato a capire meglio quello che dice veramente il messaggio. Di fatto la confusione non è limitata alla pioggia, ma si presenta tutte le volte che si attribuisce una probabilità a un singolo evento tipo: “se prendi un antidepressivo, hai la probabilità del 30% di ritrovarti con un problema sessuale. Vuol dire che il 30 % di tutti i soggetti avrà un problema di questo tipo oppure che ce l’avrete voi nel 30 % dei vostri rapporti sessuali? La soluzione del pasticcio è sorprendentemente semplice: chiedi sempre qual è la classe di riferimento. Ma se si insegnasse a quelli che fanno previsioni meteorologiche a comunicare con il pubblico, non ci sarebbe bisogno di chiederlo. Possiamo anche non sforzarci di capire che cos’è la probabilità della pioggia per la semplice ragione che il rischio è modesto: ma guardiamo o no il rischio con più intelligenza quando è in gioco qualcosa di veramente importante? LE PATURNIE PER LA PILLOLA La Gran Bretagna ha molte contraddizioni, e fra queste ci sono anche le paturnie per la pillola contraccettiva. È dal 1960 o giù di lì che periodicamente le donne vengono messe in allarme dalla notizia che può dare la trombosi. Nel caso più celebre di psicosi il Comitato britannico sulla sicurezza delle medicine, fece un comunicato in cui si avvertiva che i contraccettivi orali di terza generazione aumentavano del doppio, cioè del 100% il rischio di trombosi. Ma quanto è grande un 100%? Gli studi su cui si basava la notizia avevano mostrato che l’aumento del rischio assoluto era uguale solo a uno su settemila mentre quello del rischio relativo era effettivamente del 100%. Come si vede, i rischi relativi possono apparire paurosamente alti e spaventare moltissimo, anche quando quelli assoluti non fanno nessuna paura. Si stima che l’anno dopo questa ondata di panico abbia causato, da sola, tredicimila aborti in più in Inghilterra e in Galles; ma gli strascichi sono durati ben più di un anno. La psicosi della pillola colpì le donne, danneggiò il servizio sanitario e arrivò ad intaccare le scorte dell’industria farmaceutica nazionale. La tradizione delle paturnie per la pillola sopravvive ancora, e il trucco è sempre lo stesso. La soluzione non sta in pillole migliori o in una tecnologia dell’aborto più sofisticata, ma in giovani con l’intelligenza del rischio. Il rimedio sta, ancora una volta, in una regola semplice: chiedi sempre qual è l’aumento del rischio assoluto. Ma i giornalisti non sono i soli a giocare sulle nostre emozioni con l’aiuto dei numeri. Anche le grandi riviste mediche, le brochures mediche e Internet danno le informazioni in termini di rischio relativo, perché più i numeri sono grossi meglio vengono i titoli. Ogni direttore di giornale dovrebbe avvertire la responsabilità etica di imporre che le notizie siano date in modo trasparente; anzi, questo dovrebbe essere un punto fermo per qualsiasi comitato etico e ministero della Sanità- ma non lo è. Se i comitati etici non ci proteggono, perché non lo fanno i medici? La sorprendente risposta è che anche molti di loro non sanno dare notizie corrette sui rischi. I TERRORISTI USANO IL NOSTRO CERVELLO I terroristi colpiscono due volte. Prima attaccano sul piano della forza fisica, e poi ci aggrediscono di nuovo con l’aiuto del nostro stesso cervello. È il primo colpo ad attirare tutta l’attenzione. È difficile prevenire gli attacchi suicidi dei terroristi, ma fermare le paure irrazionali che questi attacchi creano fra noi dovrebbe essere più facile. Che cos’è di preciso che i terroristi sfruttano, nella psicologia del nostro cervello? Gli eventi a bassa probabilità in cui improvvisamente restano uccise molte persone- i cosiddetti rischi terrificanti- fanno scattare un principio psicologico inconscio: se muoiono tutte insieme le persone, reagisci con la paura ed evita quella situazione. È da notare che si tratta non di paura della morte in quanto tale, ma di morire in un determinato modo. Tutti insieme nello stesso istante, o a breve tempo. Quando sono in parecchi a morire in modo spettacolare e tutti insieme, come l’11 settembre, il nostro cervello reagisce con l’ansia, ma quando distribuito nel tempo, come negli incidenti di macchina o di moto, è meno probabile che venga paura. Non temiamo di morire nel flusso ininterrotto degli incidenti quotidiani, ma abbiamo paura di perire improvvisamente insieme a moltissimi altri. Dopo che qualcuno ha previsto forse decine di migliaia di morto, per la pandemia dell’influenza suina, ci siamo fatto prendere dal terrore, mentre pochissimo temono di finire fra le decine di migliaia che l’influenza normale ammazza ogni anno. Da dove viene questa tendenza a temere i rischi terrificanti? Noi siamo vissuti per la maggior parte della nostra evoluzione in piccole bande di cacciatori-raccoglitori che potevano contare trai venti e i cinquanta individui. In un gruppo piccolo la perdita improvvisa di molte vite può aggravare il pericolo di predazione e fame, mettendo così a rischio la sopravvivenza dell’intera comunità. Nelle società moderne la sopravvivenza individuale non dipende dal sostegno e dalla protezione di un piccolo gruppo o di una tribù, tuttavia, la risposta psicologica è ancora facile da scatenare e le catastrofi, reali o immaginarie, hanno sempre la capacità di innescare reazioni di panico. Il timore da vecchio cervello dei rischi terrificanti può sopprimere qualsiasi barlume di pensiero anche nella parte nuova dell’encefalo. L’argomentazione razionale non è sempre vittoriosa contro le paure del vecchio cervello. Esiste, però, un trucco molto semplice: se c’è un conflitto fra la ragione e una forte emozione, non cercare di ragionare. Trova un’emozione opposta ancora più forte. Una delle emozioni che possono controbilanciare i rischi terrificanti è l’amore materno o paterno. L’amore materno ha probabilità ben maggiori di battere la persistente paura dei viaggi in aereo, e un nuovo cervello, se è furbo, può giocare l’una contro l’altra due paure, nate dall’evoluzione, in modo da sopravvivere meglio nel mondo materno. Ma il secondo colpo del terrorismo ha prodotto un’erosione delle libertà civili. Prima dell’11 settembre le perquisizioni intime senza causa probabile erano considerate una violazione dei diritti umani, mentre ora sono viste come un dovere dei cittadini. La paura ci fa sopportare lunghe cose negli aeroporti, ci fa accettare di mettere i liquidi in recipienti di plastica, toglierci scarpe, cinture e giacche, lasciarci toccare il corpo da perfetti estranei, e l’aumento delle spese per la sicurezza è andato di pari passo con minori servizi e sedili più scomodi. La gente è meno spensierata e ha più paura. NON C’E’ SPERANZA CHE IMPARIAMO A GESTIRE I RISCHI? Perché la gente non impara? Secondo vari esperti la risposta è che gli esseri umani fondamentalmente sono incapaci di capire queste cose, tanto che quasi tutti i tentativi di correggerli attraverso l’istruzione sono falliti. Ma nonostante ciò: 1. Ognuno può imparare a gestire il rischio e l’incertezza. 2. Gli esperti sono un aspetto del problema, non la sua soluzione. molti esperti hanno loro per primi delle difficoltà a capire i rischi, non sono bravi a comunicarli e hanno interessi che non collimano con i vostri. Quando la guida della comunità è affidata a gente non alfabetizzata al rischio, ne può venir fuori ben poco di buono. 3. Meno è più. Di fronte a un problema complesso noi cerchiamo una soluzione complessa, e quando questa non funziona, ne cerchiamo un’altra ancora più complicata. I problemi complessi non richiedono sempre soluzioni complesse e le cose troppo complicate sono difficili da capire, facili da sfruttare, spesso pericolose, e non aumentano la fiducia della gente. Invece, delle regole semplici possono renderci intelligenti e creare un mondo più sicuro. 4. Intelligente vuol dire acuto, furbo e saggio; ma essere intelligenti davanti al rischio è più che essere informati. Ci vuole coraggio per affrontare un futuro incerto, come per tener testa all’autorità o per fare domande imbarazzanti. IMPARARE A RISCHIARE CON INTELLGENZA Oggi ogni utente di Internet ha più accesso all’informazione di quanto ne abbia mai avuto l’umanità in passato; tuttavia, l’idea di porta aperta è un concetto di libertà passivo, negativo. La libertà positiva implica, invece, qualcosa di più di un libero accesso: il problema è se siamo capaci di superarle queste porte, di renderci padroni della nostra vita senza la costante guida di qualcun altro. Gli indispensabili pilastri di una società pronta per la libertà positiva sono dei cittadini capaci di mostrarsi intelligenti davanti al rischio. 2.LA CERTEZZA E’ UN’ILLUSIONE Noi vediamo l’incertezza come qualcosa di indesiderabile. Nel migliore dei mondi possibili tutto dovrebbe essere certo. Se il nostro mondo diventasse certo, la vita sarebbe noiosa da morire. L’ILLUSIONE DELLA CERTEZZA Ciononostante, molti di noi pretendono la certezza dai banchieri, dai medici, dai politici, e questi rispondono propinandoci l’illusione della certezza, facendoci credere che una cosa sia sicura anche quando non lo è. Anno dopo anno noi finanziamo un’industria multimiliardaria che calcola previsioni del futuro quasi sempre sbagliate. Continuiamo quasi tutti ad aspettare con ansia le previsioni sul mercato nonostante si rivelino costantemente sbagliate, anno dopo anno. Gli uomini hanno fede cieca nei test, soprattutto del Dna e Hiv in seguito ad uno studio condotto. Quando entra in gioco la tecnologia, l’illusione della certezza cresce enormemente. Non capire una nuova tecnologia è una cosa, credere che dia la certezza è un’altra. E per i malati di illusione della certezza c’è un rimedio assai semplice, ricordarsi quello che diceva Benjamin Franklin: in questo mondo niente può essere detto certo, a parte la morte e le tasse. Gli esseri umani sembrano avere un bisogno di certezza, una spinta a tenersi stretto un qualcosa e non metterlo in discussione. In un mondo incerto non possiamo pianificare ogni cosa in anticipo; qui possiamo attraversare un ponte solo quando ci arriviamo, non prima, e lo stesso desiderio di prevedere e organizzare tutto può essere un problema in più, anziché la soluzione di quelli che già ci sono. Le illusioni hanno sicuramente una funzione. I bambini piccoli sentono spesso la necessità di accarezzare una coperta o qualche altro oggetto per placare le loro paure; ma per l’adulto maturo un troppo forte bisogno di sicurezza può essere pericoloso. Non ci fa imparare ad affrontare l’incertezza onnipresente nella nostra vita, e per quanto ci proviamo, non riusciamo mai a purificare la vita dai pericoli. Ma la colpa dell’illusione della certezza non va addossata solo a un bisogno psicologico; ci sono dei fabbricanti di sicurezza che svolgono un ruolo cruciale nel coltivarla, dandoci la falsa sensazione che il nostro futuro sia prevedibile, sempre che abbiamo a disposizione la tecnologia giusta. Gli esseri umani inseguono la certezza dai tempi dei tempi; a proporcela sono maghi, indovini, figure autorevoli che sanno che cos’è giusto o ingiusto. E anche molti filosofi sono andati, per secoli, fuori strada cercando sicurezze dove non ce n’è nessuna assimilando il conoscere alla certezza e il credere all’incertezza. E oggi le tecnologie attuali, dai metodi matematici di previsione dell’andamento delle azioni ai sistemi d’immagine in medicina, rivaleggiano con la religione e l’autorità per la conquista della fiducia. La ricerca della certezza è il maggior ostacolo che si frapponga fra noi e una gestione intelligente del rischio. False certezze possono fare danni tremendi. Dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza. È tempo di guardare questa cosa in faccia, e il primo passo è capire la differenza fra rischi noti e ignoti. RISCHIO E INCERTEZZA La nostra mente è affollata di cifre e probabilità. La penombra dell’incertezza ha molte sfumature e gradazioni. La rivoluzione probabilistica avviata nel Seicento diede al genere umano la capacità di pensare statisticamente, ma questa capacità era stata pensata per la più pallida delle ombre dell’incertezza, il mondo del rischio conosciuto. Uso questa espressione per indicare un mondo in cui tutte le alternative, le conseguenze e le probabilità sono note, come quelle delle lotterie e dei giochi d’azzardo. Più spesso, però, noi viviamo in un mondo in trasformazione dove abbiamo a che fare con rischi sconosciuti ovvero con l’incertezza. In un mondo incerto è impossibile determinare il corso d’azione ottimale calcolando con precisione i rischi. Quando prendiamo delle decisioni abbiamo bisogno di due insiemi di strumenti intellettuali: -rischio; -incertezza; nella maggior parte dei casi ci vuole una combinazione dei due fattori. Alcune cose sono calcolabili, altre no, e spesso quella che riusciamo a calcolare è solo una stima grossolana. QUANDO IL RISCHIO E’ NOTO Userò l’espressione rischio noto, o semplicemente rischio, per le probabilità che possono essere misurate empiricamente, al contrario delle incertezze, che non lo possono. In origine il termine rischio non si riferiva solo a pericolo o al danno. Un rischio poteva essere una minaccia o una speranza. C’è un fatto importante che spesso viene trascurato: la probabilità non è sempre la stessa cosa. È nata con tre facce, la frequenza, la struttura fisica e il grado di credenza, e continua ancora oggi ad averle tutte e tre. La frequenza. Nella prima delle sue identità la probabilità ha a che fare con l’atto del conteggio. Contare il numero dei giorni di pioggia o quello delle palle colpite da un battitore di baseball e divederlo per il totale dei giorni di pioggia o delle palle lanciate produce probabilità che sono frequenze relative. La struttura fisica. In secondo luogo la probabilità ha a che fare con la struttura di un oggetto: per esempio, se un dado è perfettamente simmetrico la probabilità di ottenere un se è un sesto, e non c’è bisogno di contare. Le probabilità legate alla struttura sono dette propensità. I gradi di credenza. In terzo luogo la probabilità ha a che fare con i gradi di credenza. I gradi di credenza si possono basare su qualsiasi cosa, dall’esperienza a una semplice impressione. A differenza dei rischi conosciuti, basati su una frequenza misurabile o una struttura fisica, i gradi di credenza possono essere totalmente soggettivi e variabili. Le frequenze e la struttura danno luogo a una probabilità solo in situazioni che comportano una grande quantità di dati o una costituzione fisica chiaramente compresa; invece, i gradi di credenza hanno applicazioni più ampie; anzi, suggeriscono addirittura la possibilità di applicare le probabilità a qualsiasi questione. La capacità di comunicare un rischio è importante. Ciascuno dei tre tipi di probabilità, può essere presentato sia in un modo che fa confondere sia in maniera trasparente. Fin qui abbiamo considerato due strategie per comunicare i rischi: -usare la frequenza e non la probabilità dell’evento singolo; -usare i rischi assoluti e non i rischi relativi. L’INCERTEZZA in un mondo incerto il pensiero statistico e la comunicazione del rischio non bastano da soli. Per prendere decisioni giuste ci vogliono anche le regole del pollice, e che siano buone. Una regola del pollice, un’euristica, ci permette di prendere una decisione rapidamente, senza bisogno di tante informazioni, ma ciononostante in modo assai accurato. Questa regola è un caso particolare dell’euristica dello sguardo, che ci aiuta a intercettare un oggetto nello spazio tridimensionale: fissa lo sguardo su un oggetto e regola la tua velocità in modo che l’angolo sotto cui lo guardi rimanga costante. I giocatori professionisti di pallacanestro impiegano proprio questa regola, anche se in maggioranza non se ne rendono conto: e sta arrivando una palla alta, il giocatore la fissa, si mette a correre e regola la propria velocità in modo che l’angolo sotto cui la guarda rimanga costante. L’euristica dello sguardo risolve il problema guidando il giocatore verso il punto in cui la toccherà, non calcolandolo matematicamente. Ognuna delle regole del pollice può essere adoperata sia consciamente che inconsciamente. Se l’uso è inconscio, si dice che il giudizio che ne risulta è intuitivo. Un’intuizione, o senso di pancia, è un giudizio: 1) Che su forma molto rapidamente nella coscienza; 2) Tale che non siamo pienamente consapevoli delle ragioni che ci stanno sotto; 3) Ma che è abbastanza deciso da farci agire sulla sua base. Un senso di pancia è una forma di intelligenza inconscia. L’intelligenza calcolante può anche farcela con i rischi conosciuti, ma di fronte all’incertezza è indispensabile l’intuizione. Ciononostante, la nostra società è spesso restia a riconoscere nell’intuizione una forma di intelligenza, mentre non esita a considerare intelligente il calcolo logico. Certo, una sola regola del pollice non potrebbe mai risolvere tutti i problemi, ed è per questo che la nostra mente ha un’intera cassetta degli attrezzi, cioè di regole. Prendere decisioni intelligenti significa sapere quali attrezzi usare per questo o quel problema. Da dove vengono queste regole del pollice? Alcune accompagnano l’uomo e l’animale da molto tempo. I pipistrelli, i cani, i pesci si affidano all’euristica dello sguardo per intercettare sia la preda sia la compagna o il compagno. L’euristica dello sguardo è un esempio di come la mente sappia scoprire soluzioni semplici di problemi complessi. Diciamo che è un’euristica perché si concentra su una sola informazione importante, o su pochissime, e ignora il resto. L’euristica dello sguardo da buoni risultati grazie al cervello che ci ha regalato l’evoluzione. Si potrebbe pensare che lo studio di euristiche intelligenti sia fondamentale in moti campi, ma non è così. Stranamente, quasi tutte le teorie della decisione razionale, dall’economia alla filosofia, continuano a postulate che tutti i rischi siano conoscibili. Noi abbiamo bisogno, dop quella probabilistica, di una seconda rivoluzione che prenda l’euristica sul serio e dia finalmente al genere umano la capacità di affrontare l’intera gamma dell’incertezza. Uno dei primi a invocare questa rivoluzione è sato un americano dalla mente enciclopedica, Herbert Simon. NON CONFONDIAMO RISCHIO E INCERTEZZA L’illusione della certezza ha due facce. Ogni volta che un rischio noto è scambiato per certezza assoluta, si ha l’illusione del rischio zero. Alcune tecnologie attuali, che molti di noi considerano pressoché infallibili, come il test dell’Hiv, ci forniscono strumenti ad alta tecnologia la cui certezza è piuttosto ingannevole. L’illusione del rischio calcolabile, o illusione del tacchino, è un ‘altra cosa: scambia l’incertezza per rischio conosciuto. C’è in entrambi i casi una discrepanza fra il mondo reale e quello percepito. ILLUSIONE DEL RISCHIO ZERO Quelli che fanno sesso non protetto con più persone rischiano l’infezione dell’HIV. Se pensano che a loro non possa accadere, cadono nell’illusione del rischio zero. Ma c’è anche un altro rischio, meno conosciuto: quello della falsa positività quando si fa un test. Per il controllo dell’Hiv prima si fa un ELISA. Se è negativo il soggetto riceve la buona notizia; se è positivo, si fa un altro ELISA, preferibilmente di un’azienda diversa. Se anche il secondo esame è positivo, si fa un test di conferma più costoso, il cosiddetto Western Blot. Se anche questo è positivo, il soggetto, normalmente, è considerato positivo all’Hiv. L’ILLUSIONE DEL TACCHINO Non è semplice sapere quanto è incerta la situazione in cui ci troviamo e se presenta rischi conosciuti o è in gran parte imprevedibile. Cominciamo con un racconto dello scrittore Nassim Taleb: mettetevi nei panni di un tacchino. Il primo giorno della sua vita è arrivato un tipo, lui aveva paura che l’ammazzasse e invece è stato gentile e gli ha dato da mangiare. Il giorno dopo il tacchino vede l’uomo tornare: gli darà di nuovo da mangiare? Usando la teoria delle probabilità il tacchino calcola quanto è probabile che vada così. A fornire la risposta è la regola della successione, derivata dal matematico Pierre-Simon de Laplace: la probabilità che una cosa accada di nuovo se è già accaduta n volte è n+1/ n+2. Qui n è il numero dei giorni che il contadino ha portato da mangiare al tacchino. Dunque dopo il primo giorno la probabilità che gli dia da mangiare anche l’indomani è 2/3, dopo il secondo è di ¾ e cosiì via, per cui giorno dopo giorno si avvicina sempre di più alla certezza; contemporaneamente diventa sempre meno probabile l’alternativa, cioè che lo ammazzi. Dunque, al centesimo giorno è quasi certo che verrà di nuovo a dargli da mangiare, o così crede il tacchino, ma c’è una cosa che non sa: quello è il giorno del ringraziamento (festa che viene a fine novembre, e si mangia il tacchino al forno). E proprio quando la probabilità di essere nutrito è al massimo, il tacchino diventa lui cibo. Proponendo un senso di certezza illusorio i modelli di rischio più conosciuto possono avvicinare il disastro anziché impedirlo. Il problema sta in certi metodi di misurazione scorretti che presuppongono, sbagliando, che in un mondo d’incertezza i rischi siano noti, e poiché così facendo producono numeri precisi per un rischio incerto, ci danno l’illusione della certezza. RICERCA DELLA CERTEZZA La certezza è uno stato mentale che esclude il dubbio di qualsiasi natura. La ricerca della certezza è un desiderio umano molto profondo. Il sogno di ridurre tutto il pensiero a calcolo è antico: il filosofo Gottfried Leibniz avrebbe voluto associare dei numeri o dei simboli a ogni idea, arrivando così a stabilire quale fosse la risposta migliore per ogni domanda. L’unico problema era che il grande filosofo non riuscì mai a trovare questo calcolo universale, e dopo di lui nessuno ce l’ha fatta. Quella che gli era sfuggita era la distinzione tra il rischio e incertezza. Dunque ricapitoliamo: 1. Il rischio è diverso da incertezza. La migliore decisione in condizioni di rischio non è la migliore in condizioni di incertezza; 2. Le regole del pollice non sono cose stupide. In un mondo incerto regole del pollice molto semplici possono produrre decisioni migliori dei calcoli più intricati; 3. Meno è più. I problemi complessi non richiedono sempre soluzioni complesse. Prima cercate le soluzioni semplici. 3.LE DECISIONI PRUDENZIALI L’avversione al rischio è strettamente legata alla paura di commettere errori. Ma niente rischi ed errori, niente innovazione. Ma l’avversione al rischio viene coltivata fin dai tempi della scuola; i ragazzini sono spinti a non cercare soluzioni personali dei problemi matematici, esponendosi così alla possibilità di sbagliare, ma si dice loro la risposta e si controlla se sanno apprendere e applicare le formule. La sola cosa che conta è imparare a superare i test commettendo meno errori possibile, ma così non si coltivano grandi menti. Chiamo cultura dell’errore una cultura in cui sia possibile ammettere apertamente di avere sbagliato, così da imparare dai propri errori ed evitare di riderci in futuro. UN SISTEMA CHE NON COMMETTE ERRORI NON È INTELLIGENTE Gli psicologi e gestalisti e i loro seguaci usano le illusioni ottiche per mostrarci come funziona la nostra percezione, comprese le regole del pollice intelligenti alle quali essa si affida. Quando ci guardiamo intorno, pensiamo di percepire il mondo esterno, ma non è così. Il nostro cervello non è uno specchio, né riceve informazioni sufficienti a rispecchiare il mondo. Per esempio, la realtà fuori di noi è tridimensionale, ma la sua immagine sulla retina è bidimensionale; di conseguenza, non vediamo le distanze direttamente, ma dobbiamo affidarci a stratagemmi intelligenti, basandoci su indizi come le luci, le ombre e la prospettiva; chiamate inferenze inconsce simili stratagemmi. Senza questa forma di intelligenza ce la passeremmo male; intelligenza vuol dire andare oltre le informazioni che ci vengono date e correre dei rischi. Il cervello usa l’informazione del contesto per inferirne che cos’è che sta vedendo. L’intelligenza è la capacità di indovinare a partire dalle informazioni che abbiamo. Le illusioni ottiche ci aiutano a capire come funziona il nostro cervello: - il cervello riceve informazioni insufficienti sul mondo; - intelligenza significa andare oltre le informazioni fornite e cercare di indovinare sulla loro base cosa c’è là fuori; -tirando a indovinare ogni sistema intelligente commette errori buoni. Se un sistema non commette errori, non è intelligente, e in realtà le illusioni ottiche ci mostrano il successo della conoscenza, non il suo fallimento. Gli errori buoni sono quelli che abbiamo bisogno di fare. I bambini ne commettono. Consideriamo un piccolo di tre anni che dice io ando invece che io vado. Non può sapere già quali verbi sono irregolari e quali regolari, ma poiché quelli irregolari sono rari, per lui la cosa più conveniente è supporre che un verbo sia regolare fino a prova contraria. Questi sono errori buoni, cioè funzionali: se un bambino decidesse di andare sul sicuro e usare solo verbi che ha già sentito apprenderebbe molto più lentamente. O impari attraverso le mancanze o mancherai di imparare. Spesso è figlia dell’errore la scoperta di una cosa che non stavamo cercando. Gli errori buoni ci aiutano ad imparare e scoprire, mentre un sistema che non commette errori impara poco e scopre ancora meno. Spesso gli insegnanti pensano di costruire giovani menti che non commettano errori, e questa idea è un esempio di errore cattivo. L’intelligenza, l’innovazione e la creatività vengono meno, se si proibisce alla gente di commettere errori. Questo non significa che ogni errore sia buono. Gli errori cattivi sono errori disfunzionali, e sarebbe nell’interesse di tutti evitarli. Tra questi sono ad esempio: l’illusione del rischio zero e l’illusione del tacchino. CULTURE DELL’ERRORE POSITIVE E NEGATIVE Ogni professione, azienda o gruppo ha la sua cultura dell’errore. A un estremo dello spettro ci sono le culture dell’errore negative: chi vive in una di queste culture ha il terrore di qualsiasi genere di sbaglio, cattivo o buono, e se l’errore capita per davvero, fa di tutto per nasconderlo; una cultura del genere ha poche possibilità di imparare dai propri errori e di scoprire nuove opportunità. All’altro estremo ci sono le culture dell’errore positive che rendono lo sbaglio trasparente, incoraggiano gli errori buoni e imparano da quelli cattivi a creare un ambiente più sicuro. Le misure di sicurezza sono uno degli aspetti di una cultura dell’errore; un altro è la notifica degli errori effettivi. Gli errori gravi vengono notificati da quelli che li hanno commessi e documentati da un gruppo ad hoc. Una cultura dell’errore negativa produce più errori e meno sicurezza, nonché scarso interesse per misure di sicurezza efficaci. Per citare il responsabile della gestione rischi di una compagnia aerea internazionale: se avessimo la cultura della sicurezza di un ospedale, ci cadrebbero due aerei al giorno. Perché in ospedale gli errori gravo vengono poco riconosciuti a causa del fatto che per i medici ogni paziente può essere un potenziale querelante. Perché i piloti usano le liste di controllo, ma i medici in genere no? Le liste di controllo sono uno strumento semplice e non costoso per la sicurezza, salvano vite senza nuove tecnologie e con poca spesa. In molti ospedali la cura dei pazienti non sembra proprio un interesse prioritario. C’è però una cosa che i pazienti possono fare per cambiare questa situazione: chiedi se l’ospedale usa liste di controllo, e se la risposta è no oppure non arriva, va’ da un’altra parte. Perché si usano le liste di controllo in tutte le cabine d’aereo ma non in tutti i reparti di rianimazione? Sia gli aerei sia gli ospedali negli USA sono in buona parte imprese commerciali, ma allora come mai i primi sono più sicuri dei secondi? La risposta sta nelle loro diverse culture dell’errore. Anzitutto la struttura gerarchica degli ospedali non è un terreno fertile per le liste di controllo, che potrebbero per esempio autorizzare un’infermiera femmina a ricordare a un chirurgo maschio di lavarsi le mani. In secondo luogo, nell’aviazione le conseguenze colpiscono le due parti in modo uguale: se i passeggeri muoiono in un incidente aereo, muoiono anche i piloti, mentre se muore un paziente, la vita del chirurgo non è in pericolo. In terzo luogo, quando un aereo cade, ha ben poco senso cercare di nasconderlo, invece quando un paziente muore per un errore evitabile è raro che finisca in prima pagina e scuota l’opinione pubblica. Quello che molti ospedali non prendono in considerazione è che una cultura dell’errore positiva può aumentare la fiducia dei pazienti. La tolleranza zero verso la rivelazione degli errori produce altri errori, e meno sicurezza per i pazienti. LE DECISIONI PRUDENZIALI Si ha una cultura dell’errore negativa in cui nessuno ha il coraggio di prendere una decisione per la quale potrebbe essere punito. Ora, il non prendere una decisione o procrastinarla per evitare ogni responsabilità è la forma più sfacciata di decisione prudenziale, se una cosa va male, la decisione è stata di un altro. Decisione prudenziale: una persona o un gruppo valuta che l’opzione migliore, data la situazione, sia A, ma sceglie B, meno buona, per proteggersi nell’eventualità che qualcosa non funzioni. Scegliere un’opzione inferiore non è stupidità o malafede. Le decisioni prudenziali sono imposte dalla psicologia del sistema, e in caso del genere questa psicologia si basa su una regola del pollice: euristica del riconoscimento: se riconosci il nome di uno studio, ma non quello dell’altro, concludi che quello riconosciuto vale di più. Le decisioni prudenziali si affidano al riconoscimento del nome della ditta, ma anche a qualsiasi altro fattore che protegga chi decide, e la conseguenza è un gioco sociale paradossale: l’organizzazione protegge se stessa dai donatori sprecando una parte delle donazioni in servizi inferiori, per paura che i donatori stessi la mettano nei guai. MEDICINA PRUDENZIALE Parliamo poi di medicina prudenziale: un medico ordina esami o cure che non hanno un’indicazione clinica, e potrebbero addirittura danneggiare il paziente, per paura di un’azione giudiziaria. Molti medici temono gli avvocati, e diversi ce l’hanno con loro. Il 93% dei dottori fa una medicina prudenziale. Che cosa fanno i medici, esattamente, per proteggersi dai pazienti? Ecco i quattro sistemi preferiti, con il numero dei dottori che vi fanno ricorso: 1) ordinare più esami del necessario (59%); 2) prescrivere più medicinali di quelli indispensabili da un punto di vista medico (33%); 3) mandare i pazienti da altri specialisti senza necessità (52%); 4) suggerire procedure invasive per confermare una diagnosi (32%). CHE FARE? Viviamo in un sistema sanitario nel quale i medici non hanno le stesse finalità dei pazienti. Non è solo colpa dei primi; dopo tutto sono i pazienti a fare causa, contribuendo così alla cultura dell’errore implacabilmente negativa della medicina. Invece di lamentarci e basta dovremmo prendere su di noi la responsabilità della salute nostra e dei nostri figli. Chiedete al dottore che cosa farebbe lui, non che cosa vi consiglia. I pazienti possono dare il loro contributo a una sanità migliore chiedendo di essere documentati, ma anche rifiutando azioni legali poco serie. Ecco una regola del pollice che è spesso utile: non chiedete ai medici che cosa vi consigliano, ma che cosa farebbero, se si trattasse della madre, di un fratello, di un figlio loro. Altra cosa che un paziente dovrebbe chiedere è: 1) qual è il beneficio della cura? 2) 50 % di che cosa? (di un trattamento, di cinque?); 3) quanto è stato grande il successo fra le persone non trattate? 4) cosa si intende esattamente per successo? 5) quali sono i danni del trattamento? 6) chi ha finanziato lo studio? VAL PIU’ LA PROCEDURA CHE L’EFFICIENZA C’è la paura di essere attaccati, criticati e querelati dietro la decisione di non assumere il candidato migliore, non prendere la decisione aziendale migliore e praticare una medicina prudenziale. Per evitare le critiche ci si nasconde dietro procedure sicure: affidati ai grossi nomi, fa quello che fanno tutti, non ascoltare la tua intuizione. Abbi fede nei test e nelle ultime tecnologie, anche se sono inutili o nocive. Il tessuto di cui sono fatte le decisioni prudenziali è emotivo, molto diverso da quello dell’avversione al rischio, e può portarci a correre rischi eccessivi. Se l’intuizione vi dice che un certo investimento è sovrastimato, ma vi ci buttate anche voi perché lo fanno tutti, potreste correre un rischio indebito. Bisogna incoraggiare la gente a parlare dei propri errori e ad assumersene la responsabilità, proprio per migliorare in generale le proprie prestazioni. 4. PERCHE’ ABBIAMO PAURA DI COSE CHE VEROSIMILMENTE NON CI AMMAZZERANNO MAI? Studi su studi documentano che molti hanno paura di cose che probabilmente non li uccideranno mai e intanto ne praticano allegramente altre che sono pericolose. Non ce la passeremmo meglio, se basassimo il nostro comportamento sull’esperienza, mettendo da parte passioni e temperamento? La paura è uno dei circuiti emotivi di base del nostro cervello organizzato intorno all’amigdala. L’amigdala manda alla corteccia più informazioni di quante ne riceva, e forse è per questo che è più facile che sia la paura a influenzare il nostro pensiero e non che sia, al contrario, il pensiero cosciente a controllare la paura. È un sistema protettivo che ci aiuta a evitare i pericoli, non ad affrontarli a viso aperto. Se davanti a un leone un Homo Sapiens della preistoria avesse cercato per prima cosa di calcolare la traiettoria del balzo per decidere il da farsi, sarebbe stato un boccone facile. Analogamente, se l’unico meccanismo di apprendimento disponibile fosse quello per tentativi ed errori sia gli umani sia gli animali sparirebbero dal pool genetico assai prima di capire quali predatori e situazioni evitare. Tuttavia, le cose di cui avere paura non sono scritte per intero nei nostri geni. Ma se la paura non è né solo natura né solo educazione, che cos’è? IMITAZIONE SOCIALE Ma perché la gente ha paura di cose diverse? Al di sotto di queste differenze culturali c’è una psicologia comune che non è basata sull’esperienza personale diretta. Come dice il proverbio, solo un imbecille impara dai propri errori, mentre il saggio impara da quelli degli altri. Ora, al fondo di questa saggezza c’è un principio inconscio, quello dell’imitazione sociale della paura: devi temere tutto ciò che il tuo gruppo sociale teme. Questo semplice principio ci protegge quando l’esperienza personale diretta potrebbe essere letale, ma contemporaneamente può anche farci avere paura delle cose sbagliate. Spesso tuttavia, temere le cose sbagliate è meno pericoloso dell’errore opposto, non vedere un rischio mortale. Le strane paure presenti in altre culture sono il sangue e la vita degli aneddoti raccontati dai viaggiatori di tutto il mondo, ma le culture non sono più le monadi isolate che erano un tempo, prima dell’età della mobilità. Oggi le differenze non sono mai assolute, sono solo medie, tendenza, a parte che possono essercene di enormi all’interno di una stessa cultura. Le culture non sono diverse fra loro solo per le paure, ma anche per le cose che trovano rassicuranti, e anche molto di ciò che ci rassicura viene appreso socialmente. In medicina anche le cure dipendono dalla cultura. L’AVVERSIONE AL RISCHIO E’ QUESTIONE DI CULTURA O DI PERSONALITA’? A volte, quando si fa ricerca sul rischio, si dividono gli esseri umani in due tipi di personalità, i propensi e gli avversi al rischio, ma è fuorviante dire che una persona è in generale una cosa o l’altra. La ragione per la quale non siamo avversi o propensi al rischio in generale è l’apprendimento sociale: tendiamo ad avere paura di tutto quello che temono le persone come noi, e il risultato è un tessuto di rischi evitati o accettati variegatissimo. Tuttavia, l’apprendimento sociale non è il nostro solo modo di imparare di cosa avere paura e di cosa no. C’è un secondo principio, quello della predisposizione biologica. PREDISPOSIZIONE BIOLOGICA L’evoluzione ci ha dotati di un secondo principio di apprendimento che è un’ingegnosa combinazione di natura e cultura: l’oggetto della paura è preparato geneticamente, ma per attivare il timore è indispensabile uno stimolo sociale. La predisposizione biologica ha a che fare con oggetti e situazioni che rappresentavano un pericolo per la sopravvivenza dei nostri antenati. Mettiamo per esempio, che una bambina senta il papà urlare per la paura mentre un ragno gli cammina sul braccio: quell’unica esperienza può bastare perché anche lei impari a temere i ragni. Ma quando la stessa bambina vede che la nonna ha paura dei fucili, delle moto e di altre invenzioni moderne, non impara altrettanto rapidamente ad averne anche lei. L’apprendimento sociale delle paure predisposte implica la seguente successione: oggetto predisposto- altre persone mostrano di temerlo- acquisizione della paura. Molte delle fobie che siamo pronti ad assimilare sono associazioni predisposte biologicamente. La predisposizione ci permette di imparare di cosa avere paura anche in un’esperienza effettiva delle conseguenze negative di un incontro. La predisposizione biologica riguarda l’apprendere a temere pericoli vecchi quanto il genere umano. Invece, l’imitazione sociale ci fa imparare delle cose sui pericoli nuovi. Le paure infantili dei ragni, dei serpenti e del buio sono basate su una predisposizione biologica cioè su una forma particolarmente veloce di apprendimento sociale. Perciò, per impedire che i figli acquisiscano paure sbagliate quei genitori che già ne soffrono personalmente dovrebbero fare del proprio meglio per non darlo a vedere davanti a loro. L’AUTOCONTROLLO PUO’ ESSERE UTILE CONTRO L’ANSIA La MMPI è un questionario usato per valutare una serie di disturbi mentali, misura la depressione, l’ipocondria, l’isteria e altre forme di psicopatologia. Fra il 1938 e il 2007 il punteggio clinico degli studenti universitari è costantemente aumentato, soprattutto per quanto riguarda il malumore, l’irrequietezza, l’insoddisfazione e l’instabilità. Che cosa c’è dietro questo profilo emotivo in trasformazione? Forse sono i colleges moderni a rendere i giovani tesi e di malumore? Sono lontani da casa per la prima volta e si sentono sotto pressione. Ma sono stati registrati gli stessi cambiamenti nelle stesse caratteristiche anche ai liceali. Un’altra spiegazione potrebbe essere che oggi essere depressi o irrequieti è socialmente desiderabile. Oppure la ragione potrebbe essere economica. Ma l’aumento effettivo dei punteggi ha poco a che fare con i cambiamenti dell’economia o con la disoccupazione. In realtà, i tassi di ansia e depressione fra i bambini erano più bassi di oggi durante la Seconda guerra mondiale, la Guerra Fredda e gli anni Sessanta e Settanta, così turbolenti. Troviamo la spiegazione migliore nelle idee dei giovani su quello che è importante nella vita, ovvero con la distinzione fra fini interni ed esterni. I fini interni comprendono il diventare una persona matura rafforzando le proprie capacità e competenze; i fini esterni hanno a che fare con le gratificazioni materiali e l’opinione degli altri. Dopo la seconda guerra mondiale i nostri fini si sono sempre più spostati verso l’estrinseco; anno dopo anno, i sondaggi condotti sulle matricole hanno mostrato che le giovani generazioni considerano lo star bene finanziariamente più importante del darsi una filosofia della vita significativa, mentre negli anni sessanta e settanta valeva l’opposto. Dopo questo spostamento i giovani controllano di meno il conseguimento dei propri fini, e di conseguenza le loro emozioni e il loro comportamento sono sempre più controllati dall’esterno. Tendenzialmente quelli che hanno una maggiore esperienza di controllo interno se la cavano meglio nella vita, hanno un ruolo più attivo nella loro comunità, curano meglio la propria salute e trovano lavori migliori. Magari non possiamo farci niente se la gente non è attratta da come ci vestiamo, dal nostro aspetto o dalle nostre capacità; ma i fini interni, come apprendere una lingua, imparare a suonare uno strumento o accudire i bambini piccoli o i nonni, quelli li controlliamo. Lo spostamento verso finalità esterne non è un fatto biologico, è possibile per tutti spostare l’attenzione verso i fini interni e scrollarsi di dosso l’eccesso delle ansie per le incertezze e i rischi quotidiani. PARTE SECONDA: IMPARARE A RISCHIARE CON INTELLIGENZA 5.ATTENTI AI SOLDI L’Età digitale ha cambiato il nostro rapporto con il denaro grazie ai computer ultra-veloci con i quali si fanno previsioni sull’andamento delle valute e della borsa, e si usano tecnologie finanziarie avanzatissime che i comuni mortali non capiscono. Ma tutto questo ha veramente prodotto previsioni migliori? Ricordiamo che il mondo degli investimenti è in buona parte un mondo incerto e affidarsi a teorie finanziarie create per un mondo di rischi conosciuti può portarci a una certezza illusoria. È quella che abbiamo chiamato l’illusione del tacchino. Gli analisti delle banche sottovalutano la volatilità della borsa e del mercato valutario. La colpa è dei modelli matematici che usano, i quali trattano una cosa altamente imprevedibile, il mercato finanziario, come se i suoi rischi fossero prevedibili. La conseguenza è che le previsioni non vedono mai le grandi impennate e cadute del denaro e funzionano bene solo se continua l’andamento dell’anno prima. Gli analisti delle banche e i gestori delle risorse controllano i flussi di denaro a livello mondiale. Sanno prevedere l’andamento delle azioni e dei cambi? No. Ma i clienti vogliono credere che siano in grado di farlo, e le banche fanno la loro pare per tenere in vista questa illusione. Fra le migliaia di consulenti finanziari ci sarà sempre qualcuno che l’azzecca; anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno. Sul piano emotivo l’idea che dei professionisti pieni di sé siano bravi a fare previsioni pressappoco quanto il proverbiale scimpanzè che tira le freccette può essere dura da mandare giù anche dopo aver visto le terrificanti previsioni sulla borsa, ma ci sono due studi in base ai quali lo scimpanzè potrebbe benissimo essere più bravo. Nel primo è stato chiesto a gestori di portafogli azionari, agenti di cambio e consulenti finanziari svedesi di prevedere il rendimento di venti blue chips che venivano presentate loro a due per volta: bisognava scegliere quella che sarebbe andata meglio di lì a trenta giorni. Lo stesso compito fu assegnato anche a un gruppo di non esperti, e questi diedero risposte al livello della pura casualità, cioè indovinarono metà delle volte; ma i professionisti andarono peggio, con appena il 40 % di risposte giuste. Poi lo studio fu ripetuto con altri professionisti, altri profani… e lo stessissimo risultato. Com’è che i professionisti riuscirono a far peggio dei profani? A quanto pare basavano le proprie previsioni su determinate informazioni senza tener conto della loro inaffidabilità. Ciononostante, erano convinti di essere i più bravi e di fare la metà degli errori dei profani, i quali erano d’accordo. COME BATTERE IL PORTAFOGLIO DI UN PREMIO NOBEL Io credo nel potere delle regole semplici dentro il caos del mondo reale. Possono anche non funzionare sempre, ma la prima domanda dovrebbe comunque essere: possiamo trovare una soluzione semplice di un problema complesso? È raro però, che venga fatta: un riflesso condizionato ci fa partire subito alla ricerca di soluzioni complesse, per poi tentarne di più complesse ancora, se le prime non funzionano. E questo vale anche per gli investimenti. Ma in mezzo ai postumi di un caos finanziario che nemmeno gli specialisti hanno saputo prevedere sono alcune regole del pollice molto semplici a fornirci un’alternativa. Prendiamo un problema complesso che riguarda molti di noi: avete un po' di soldi e li volete investire. Non volete mettere tutte le uova nello stesso paniere d state considerando una serie di azioni, volete diversificare. Ma come? Harry Markowitz ha vinto un premio Nobel per l’economia per aver risolto questo problema. La sua soluzione è nota come portafoglio a varianza media: massimizza il guadagno medio per un rischio dato e minimizza il rischio per un guadagno dato. Molte banche si basano su questo metodo. Però quando Markowitz ha fatto i suoi investimenti, non ha applicato il metodo che gli ha fatto vincere il premio Nobel, ma ha usato un trucchetto molto semplice, il cosiddetto 1/N: Alloca il tuo denaro in parti uguali su N fondi. Ma perché andarci così d’istinto, anziché mettersi a macinare numeri? In un’intervista Markowitz ha spiegato che non voleva avere rimpianti: ho pensato: se la borsa va su e io non ci sono dentro, mi sentirò un cretino; e se va giù e ci sono dentro, lo stesso. E così ho fatto metà e metà. Cioè ha fatto come moltissimi investitori: la cosa più semplice. Questo significa che il metodo che ha vinto il premio Nobel è un imbroglio? No. È ottimale in un modo di rischi conosciuti, a non necessariamente nell’incerto mondo della borsa, dove c’è moltissimo di ignoto. La varianza media e altri modelli dello stesso genere funzionano bene quando i rischi sono perfettamente noti, come nei casi in cui c’è da prevedere il passato: ma per la previsione del futuro non sono necessariamente i migliori, e possono essere preferibili le regole semplici. In un mondo di rischi corrispondenti alle assunzioni matematiche del portafoglio a varianza media, fare certi calcoli complicati conviene, ma nel mondo reale degli investimenti possono essere più astute delle semplici regole intuitive. MENO È PIU’ Com’è possibile che una regola del pollice semplice batta un metodo che ha vinto il premio Nobel? Quel metodo era un imbroglio? No. Esiste una teoria matematica che ci dice perché e quando le cose semplici sono migliori, il cosiddetto dilemma devianza-varianza. C’è un’idea attribuita a Albert Einstein che cattura l’essenza di questa teoria: Rendi ogni cosa il più possibile semplice, ma non troppo. Fin dove arriviamo nel semplificare? Dipende da tre fattori. Primo: più incertezza c’è, più dovremmo semplificare. La borsa è altamente incerta, nel senso di estremamente imprevedibile, e questo è un punto a favore dei metodi semplici, tipo 1/N. secondo: più alternative ci sono, più dovremmo semplificare, meno ce ne sono e più complessità ci possiamo permettere. La ragione è che i metodi complessi hanno bisogno di stimare i fattori di rischio e più alternative vuol dire più fattori da stimar. 1/N invece non risente di un aumento delle alternative, perché non ha bisogno di stimare a partire dai dati passati. Infine, più dati passati ci sono e meglio è per i metodi complessi. Quando usiamo un determinato metodo per fare le previsioni, la differenza fra la previsione stessa e l’esito effettivo è detta devianza. In un mondo incerto è una cosa inevitabile, a parte le coincidenze fortunate; ma c’è un secondo tipo di errore, la cosiddetta varianza o instabilità. I metodi complessi usano le osservazioni passate per prevedere il futuro; ma queste previsioni dipendono dallo specifico campione di osservazioni usato, per cui possono essere instabili, e questa instabilità è detta varianza. Perciò più un metodo è complesso, più numerosi sono i fattori da esaminare e più alto è l’errore dovuto alla varianza. 1/N darà sempre gli stessi consigli, assolutamente stabili, perché non usa i dati del passato sugli investimenti, e perciò non avrà problemi di varianza. Ma se la quantità di dati è molti grande, l’instabilità si riduce al punto che alla fine la complessità diventa conveniente. A questo punto dovrebbe essere chiaro quando e perché i metodi complessi danno previsioni peggiori: succede quando soffrono di un eccesso di varianza. COMINCIA SUBITO A FARE IL RICCO! L’ignoranza in materia di questioni finanziarie di base sembra essere un fenomeno internazionale. In uno studio è stato chiesto a dei gestori di portafoglio americani e ad altri professionisti che lavoravano per agenzie d’investimento o studiavano da ingegneri finanziari di stabilire la volatilità di una certa azione. Se il prezzo di un’azione sale e scende rapidamente, quell’azione ha un’alta volatilità; se non cambia quasi ami ce l’ha bassa. Ogni azione ha una volatilità, espressa da un numero. LA MADRE DI TUTTE LE REGOLE DEL POLLICE: LA FIDUCIA Invece di fare domande elementari, molti si affidano a una regola del pollice di natura sociale per tirare avanti nella vita, la fiducia. E in generale i clienti di una banca con il loro consulente finanziario si regolano come con il medico: prima stabiliscono delle relazioni, di fiducia o sfiducia, e poi seguono i consigli di quelli di cui si fidano. È raro che vadano a controllare se il loro consulente conosce davvero ciò di cui parla. La fiducia è basata su fattori di superficie come l’abitudine di sorridere, ascoltare o di guardare in faccia. Se queste cose c’erano di solito il cliente faceva gli investimenti consigliati dal funzionario, quali che fossero, e i due passavano il resto del loro tempo a parlare del più e del meno. Come ogni strategia in sé la fiducia non è né un bene né un male. Dipende tutto dal contesto: in questo caso fidarsi del proprio banchiere è una buona idea solo s quest’ultimo: 1) capisce i prodotti finanziari che propone e 2) non ha conflitti d’interesse. Per quanto riguarda il primo punto possiamo dichiarare che la competenza è meno diffusa di quanto si creda, infatti spesso basta un sorriso per conquistare il cliente. Ma si può sempre fare qualche domanda. Per quanto riguarda invece i conflitti d’interesse possono essere difficili da scoprire. Quando i clienti parlano con i loro consulenti bancari partono spesso dal presupposto che i consigli che ricevono siano dati nel loro interesse, ma normalmente, in realtà, ogni settimana si danno ai consulenti disposizioni perché vedano quei prodotti sui quali la banca guadagna le commissioni più alte. I conflitti d’interesse sono la regola, non l’eccezione. Fanno parte del sistema, e questa è una cosa che i clienti devono capire. E non ci sono santi; se uno non vuol essere fregato sistematicamente, non può rimanete un analfabeta finanziario. LA MISTICA DEL DENARO Quando un oratore usa i termini opachi ed espressioni che nessuno capisce davvero, c’è sempre chi ne rimane colpito. Lo scrivere oscuro non manda necessariamente in rovina, ma i prodotti finanziari oscuri possono farlo. Spesso i prodotti complessi, anziché risolvere, problemi complessi come le crisi finanziarie; e quelli che vedono tali prodotti possono contare su acquirenti potenziali, che ne resteranno colpiti o almeno non oseranno ammettere di non capire quello che viene loro offerto. Ma esiste una cura molto semplice per questa malattia: non comprare prodotti finanziari che non capisci. È da notare che questa regola non si identifica con l’avversione al rischio. Il punto è che la trasparenza ci aiuta a creare un mondo più sicuro, mentre la complessità può fare da carburante a disastri potenziali come le crisi finanziarie. INVESTIRE IN UN MODO SICURO: RESTATE NEL SEMPLICE Come abbiamo visto, la complessità degli investimenti finanziari inventati nell’ultimo decennio è una delle ragiono per cui in tanti hanno perso tanto denaro. Secondo uno studio i clienti delle banche italiane associavano il rischio con termini prevalentemente negativi: le associazioni con la parola rischio che facevano più spesso era nell’ordine perdita il fatto che i rischi fossero anche possibilità e occasioni aveva un ruolo piuttosto ridotto nel loro pensiero. Nessun investimento è sicuro, ma alcuni sono più sicuri di altri. Ma ci sono delle strategie semplici e trasparenti per investire il proprio denaro? Ecco qualche esempio per chi vuole andare sul sicuro: -un terzo di azioni, un terzo di buoni del tesoro e un terzo in immobili. È la regola 1/N e prescrive di ripartire il proprio denaro in parti uguali tra azioni, buoni e beni immobili; - risparmia il 20% e spendi l’80%. Risparmiare in questo caso significa rimandare l’investimento al futuro; - diversifica più che puoi, molto più di quello che ti dicono gli esperti. 6.LEADERSHIP E INTUIZIONE Una sensazione di pancia, un’intuizione, è una convinzione che: 1) si forma rapidamente nella coscienza, 2) ha alla sua base ragioni di cui non siamo pienamente consapevoli e ciononostante 3) è abbastanza forte per farci agire sulla sua base. Avere una sensazione di pancia significa sapere cosa fare, ma non essere in grado di spiegare perché, è una forma di intelligenza inconscia. Prendere sul serio l’intuizione significa accettare il fatto che esista una forma di intelligenza che non possiamo esprimere a parole. I DIRIGENTI D’AZIENDA PRENDONO DECISIONI DI PANCIA? Per scoprire quanto sia diffuso in realtà l’uso delle sensazioni di pancia in affari sono stati intervistati dirigenti intermedi, superiori e di vertice di grandi aziende. Prima a dirigenti di una multinazionale di servizi tecnologici e poi a dirigenti di una multinazionale di automobili. Fu chiesto ai dirigenti quanto spesso si basavano sulle sensazioni di pancia nelle decisioni professionali. Nemmeno uno di questi dirigenti disse di non prendere decisioni di pancia, nessuno, però, dichiarò di decidere sempre così. La maggioranza rispose di affidarsi alle sensazioni di pancia in circa la metà dei casi. Ma questi dirigenti non l’avrebbero mai ammesso in pubblico. Cosa impedisce ad un dirigente di seguire le sue sensazioni di pancia? Ci sono tre ragioni: 1) la giustificazione razionale è attesa, l’intuizione no. 2) c’è un conflitto tra decisioni di gruppo e sensazioni di pancia. Molte decisioni vengono prese collettivamente e bisogna difenderle. 3) l’idea di non avere considerato tutti i fatti mette molto in ansai. Alcuni dirigenti riferiscono che il timore di aver trascurato qualcosa li costringe a cercare altri farri anziché prendere subito una decisione. Successivamente queste interviste sono state rivolte a dirigenti appartenenti a posizioni più elevate. La maggior parte di essi ha risposto di usare le sensazioni pancia quasi sempre. La ricerca dunque fa pensare che più in alto stanno nella gerarchia (dirigenti d’azienda), più si basano sulle loro sensazioni di pancia; tuttavia, quasi tutti hanno detto che quando devono giustificare le proprie decisioni davanti a terzi nascondono le loro intuizioni e vanno in ricerca delle ragioni per le cose fatte. NASCONDI LE TUE INTUIZIONI E DANNEGGERAI L’AZIENDA All’interno della nostra società l’intuizione è sospetta. È per questo che i dirigenti di norma nascondono quelle che hanno. Ci sono due modi di nascondere o evitare le decisioni di pancia: 1. Presentare delle ragioni a cose fatte. Una dirigente ha una sensazione di pancia, ma ha paura di ammetterlo e chiede a un dipendente molto fidato di cercare per due settimane delle ragioni per quello che ormai è un fatto compiuto. Quando ha in manco questo elenco, presenta la sua decisone di pancia come se ci fosse arrivata facendo tutte queste considerazioni. Ma una razionalizzazione a cose fatte costa all’azienda tempo, denaro e risorse, tutto per paura di un licenziamento. 2. Prendere decisioni prudenziali. Qui la strategia consiste nell’abbandonare l’opzione ottimale perché non la si può giustificare e preferirle una seconda scelta. Le decisioni prudenziali non sono segno né di autorità forte né di cultura dell’errore positiva. LE SENSAZIONI DI PANCIA SONO TABU’ OVUNQUE Mentre nelle imprese multinazionali le decisioni prudenziali sono prese con frequenza per paura di ripercussioni o del proprio capo, fanno eccezione a questa regola le imprese familiari. In un’azienda a conduzione familiare o individuale le azioni sono in mano a un numero ridotto di azionisti tutti appartenenti alla stessa famiglia. Qui i capi hanno meno paura delle sensazioni di pancia, e se commettono un errore è meno probabile che dei dipendenti vengano licenziati. Gli errori non vengono nascosti, ma se ne parla più spesso. In questo contesto l’obiettivo è sviluppare un’azienda in modo che sia possibile trasmetterla nella nuova generazione e le decisioni di pancia non sono un tabù. Per migliorare il flusso delle informazioni la grande azienda di servizi tecnologici spediva ai suoi dipendenti dei questionari con cento domande, ma poi non sapeva che farsene dei risultati. Il primo passo sarebbe sostituire il questionario con due sole domande: con che frequenza lei prende decisioni prudenziali? Che cosa so potrebbe fare secondo Lei per cambiare questa situazione? Il secondo passo sarebbe rendere esplicite e coscienti le regole intuitive dei dirigenti più esperti, metterle alla prova e usare i risultati per addestrare quelli meno esperti. LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI DEL CAPO Ispirandosi alle scoperte su queste regole del pollice esposte precedentemente, Modesto Maidique, ha elaborato una teoria innovativa della natura della leadership: ogni dirigente superiore raggiunge la sua posizione avendo già una propria cassetta degli attrezzi adattiva personale; questa cassetta contiene un insieme di trucchi del mestiere derivati da esperienze e valori personali, e questi trucchi saranno la base delle sue decisioni sulle persone, le strategie e gli investimenti. Ecco tre di queste regole, usate da membri di vari consigli di amministrazione per sviluppare e conservare un’organizzazione: -assumi quelli bravi e lasciali lavorare; (rispecchia una visione di organizzazione nella quale il controllo della qualità si accompagna al clima di fiducia) -decentra le operazioni e la strategia; (il fine è quello di prendere decisioni migliori utilizzando le conoscenze locali, e contemporaneamente di aumentare la responsabilità distribuendola) -promuovi dall’interno (può aiutare ad assicurarsi la competenza e l’adesione ai valori dell’azienda, tuttavia è valida solo se un settore va bene, ma se è in difficoltà, probabilmente la regola non darà la soluzione giusta e la scelta migliore potrà benissimo cadere su qualcuno che arriva da fuori). Non tutte le regole funzionano bene. È per questo che un direttore in capo ha bisogno di un’ampia gamma di attrezzi. ESSERE UN BUON CAPO Per essere un buon capo ci vogliono sia una cassetta degli attrezzi piena di regole del pollice sia la capacità intuitiva di vedere subito qual è la più adatta. Ecco sei regole differenti in base al contesto in cui si applicano: nei rapporti personali: nella strategia: prima ascolta e parla solo dopo l’innovazione porta al successo se una persona non è onesta e degna di fiducia, il non puoi andare sul sicuro e vincere. L’analisi non riduce resto non conta l’incertezza incoraggia le persone a rischiare, e da’ loro il potere quando giudichi un progetto, da’ uguale importanza al di prendere decisioni e diventare proprietarie progetto e alle persone REGOLE DA EVITARE NEGLI AFFARI Come qualsiasi attrezzo, nessuna regola del pollice è sempre la migliore o la peggiore: dipende dal problema da risolvere. Alcune delle decisioni peggiori hanno origine da regole del pollice basate su emozioni distruttive. Una è questa: cerca la vendetta a qualsiasi costo. Quando si tratta di imparare le regole del pollice giuste, l’esperienza può essere una maestra severa. COME METTERE ALLA PROVA LE REGOLE DEL POLLICE Come fanno a sapere se e quando una regola del pollice è buona? Per esempio, mettendola alla prova, il che è tanto più facile quanto più la regola è specifica. Le regole del pollice possono avere vari livelli di generalità: entra solo un affare in cui credi di poter essere il capo. Se un cliente non compra da nove mesi o più, classificalo come inattivo. UNA SOLA BUONA RAGIONE PU0’ ESSERE MEGLIO DI MOLTE Ma in un database con centinaia di migliaia di clienti come si fa a distinguere quelli attivi da quelli inattivi? Spesso vengono utilizzate regole del pollice molto semplici basate sull’esperienza personale. I dirigenti di una grande compagnia aerea mondiale usavano la regola della vicinanza temporale dell’ultimo acquisto, il cosiddetto iato: se un cliente non compra biglietto da nove mesi o più classificalo inattivo, altrimenti attivo. Ma è mai possibile che un’unica buona ragione vada vicina a quello che si può fare usando tutte le ragioni, più calcoli imponenti? Due professori di economia aziendale hanno condotto uo studio che avrebbe dovuto dimostrare la superiorità del metodo complesso sulla regola semplice, ma al termine essi ottennero un risultato diverso da quello che si aspettavano: pensavano che fosse meglio avere più informazioni, ma trovarono l’effetto meno è più. Per prevedere il passato gli studiosi hanno trovato che la strategia migliore era quella complessa, con più informazioni; ma quando si trattava del futuro, che è una cosa incerta, entrambe le regole semplici facevano previsioni migliori rispetto al metodo complesso. Altri studi hanno documentato che quando si chiede ad un esperto di finanze di prevedere il rendimento futuro delle azioni, in genere sarà come se le sue risposte fossero sparate a caso. Si verifica un effetto meno è più quando le previsioni fatte usando la regola semplice sono migliori di quelle fatte utilizzando la strategia complessa. ESSERE UN CAPO Per cosa si distingue un capo? Da Platone a oggi ha sempre dominato l’idea che i capi abbiano dei tratti di personalità specifici. Per Francis Galton questi caratteri erano addirittura ereditari; in tempi più recenti è stato sostenuto che una personalità da capo non è una somma di tratti di carattere ma una loro particolare costellazione. Tuttavia, l’idea di considerare solo gli aspetti del carattere non ha funzionato gran che bene. Un’altra maniera di identificare i buoni capi lascia perdere i tratti del carattere e cerca di individuare le persone in grado di usare regole del pollice intelligenti. Sono persone che usano regole molto intuitive, nel senso che per loro non è facile spiegarle. Essere un capo significa sapere intuitivamente quale regola funzionerà caso per caso. 7.IL DIVERTIMENTO E I GIOCHI La NBC mandò in onda per la prima volta il gioco Let’s Make a Deal. Uno dei pezzi forti era il grosso affare del giorno, in cui il presentatore Monty Hall mostrava al concorrente tre porte. Dietro una c’era un primo premio che scatenava gridolini di gioia, una macchina lussuosa, dietro le altre porte c’erano oggetti senza valore o anche altro come capre, con un valore comunque inferiore. Fu Marilyn vos Savant a rendere famoso il problema di Monty Hall. Marylin pone una domanda: se il conduttore dopo aver aperto la prima porta che avete scelto vi chiedesse di cambiare porta? Per voi sarebbe vantaggioso? Marylin consigliò di cambiare e scatenò una tempesta: qualcosa come diecimila lettere in un anno e la maggioranza non era d’accordo con lei. Ma il polverone si dissolse con il tempo e quasi tutti concessero a Marylin che la teoria delle probabilità ci dice che la scelta migliore è cambiare. Per disperdere il polverone c’è un modo molto semplice, lo stesso che è stato spiegato a proposito del test dell’Hiv: usare le frequenze naturali. Infatti nel gioco il passo cruciale consiste nel pensare diversi concorrenti non uno solo. Prendiamone tre, e ognuno scelga una porta diversa; supponiamo che la macchina sia dietro la porta n.2. il primo concorrente sceglie la porta 1: Monty può solo aprire la 3, offre al concorrente la possibilità di cambiare e quello se cambia, passando alla 2, vince. Il secondo concorrente sceglie la 3; stavolta Monty deve aprire la n.1 e il concorrente, se cambia, vince. Solo il terzo concorrente, che sceglie la 2 se cambia perde. A questo punto è più facile vedere che si vince più spesso se si cambia. A questo punto è importante osservare che il problema non sta solo nella mente dell’uomo, ma anche nel come viene data l’informazione. Ma tornando al gioco la questione cruciale è: Monty offriva sempre a tutti la possibilità di cambiare? La risposta è no e lui personalmente ricordava di averla offerta raramente. Dunque l’emozione del gioco nasceva dal fatto che i concorrenti non avevano certezze sulle azioni e motivazioni di Monty, e sarebbe andata perduta, se lui avesse seguito, puntata per puntata, sempre le stesse regole. Viene spontaneo chiedersi: la migliore decisone in condizioni di rischio è la migliore anche nella realtà? Poteva benissimo essere la peggiore. Dopo che un concorrente ebbe scelto la porta n.1, lui aprì la 3: dietro c’era una capra. Mentre il concorrente si chiedeva se passare alla 2, Monty tirò fuori una mazzetta di biglietti di banca e gli offrì 3000 dollari in contanti se restava alla prima opzione, ma il concorrente rifiutò, aprirono la porta e si ritrovò la capra. Nel gioco la teoria delle probabilità non basta: c’è bisogno di buone intuizioni. Un modo di ridurre l’incertezza è quello di affidarsi a qualche regola del pollice, per esempio quella del minimax, che dice: scegli l’alternativa che evita l’esito peggiore. Si chiama minimax perché mira a minimizzare la perdita, se si verifica il caso peggiore. Un secondo modo di ridurre l’incertezza è indovinare le motivazioni di Monty. Sono in molti a non capire le probabilità in gioco nel problema di Monty Hall, ma c’è un rimedio assai semplice: tradurre queste probabilità in frequenze naturali. Grazie alle frequenze naturali pensare ci viene più facile. PRESTIGIATORI DA MARCIAPIEDE Nei centri turistici si incontrano dei tipi che fanno un gioco di carte. Il gioco è semplice: ci sono tre carte, una rossa, una bianca e una con un lato rosso e uno bianco. Il prestigiatore chiede a qualcuno di scegliere una carta senza guardarla e la mette sul tavolino a faccia in su: mettiamo che sia rossa. Poi propone una scommessa da dieci dollari: se anche il lato nascosto è rosso, vince lui; se è bianco vince lo spettatore. La probabilità che l’altro lato sia rosso e quella che sia bianco sembrano essere uguali, il 50% ciascuna. Ma a questo punto per vedere come mai le carte vi sono ostili cercate di pensare ad un albero delle frequenze naturali. Partiamo da un cero numero di giocate e supponiamo che siano sei: è la parte più alta dell’albero. Se si estraggono le carte a caso, è probabile che ognuna delle tre venga estratta due volte. Ciascuna delle due carte rosso-rosso mostrerà il lato rosso, mentre fra quelle rosso-bianco ci aspettiamo di vederne una sola che mostra il rosso. Quando viene fuori il rosso sarà rosso anche l’altro lato due volte su tre. È per questo che il prestigiatore scommette sul rosso- e vince. La probabilità di vittoria dello spettatore non è di un mezzo, ma solo di un terzo. La confusione anche in questo caso è creata dal modo in cui viene comunicata l’informazione. COME IMBROGLIANO I CASINO’ Ogni anno gli americani spendono circa tremila miliardi di dollari nei casinò commerciali. Ma perché si gioca? Esistono dei modi di far credere alla gente cose non vere sulle proprie probabilità di vincere, e i casinò sono pieni di questi stratagemmi. Per esempio i casinò di Las Vegas hanno uno o più piani dove centinaia di slot machine sono disposte in file doppie. Appena si entra si è bombardati da un clangore fortissimo proveniente da tutte le direzioni. Sono i gettoni metallici che cadono da una discreta altezza su vassoi pure metallici quando un giocatore incassa una vincita. Ogni volta che viene vinto un premio di quelli grossi, a Las Vegas una luce a forma di sirena lampeggia e comincia a girare in cima a moltissime macchine. I vincitori vengono pagati a mano e mentre aspettano che venga consegnato il loro denaro le sirene continuano a lampeggiare. Ma come sono fatte? Le slot machine classiche hanno tre anelli metallici, le cosiddette girandole, coperte da simboli. Ogni girandola ha circa venti possibili posizioni in cui fermarsi, e le fermate nelle varie posizioni hanno tutte la stessa probabilità; se nella posizione vincente compare una ben determinata configurazione di simboli, viene pagato un premio. Con venti posizioni di arresto ci sono ottomila risultati possibili, e ci si può aspettare una vincita legata a un’unica combinazione di simboli ogni ottomila giri. Fino agli anni Sessanta queste macchine funzionavano, grosso modo, come suggerisce il loro aspetto esterno, ma le cose cambiarono quando furono introdotti dei nuovi modelli elettronici. Le nuove macchine somigliano a quelle vecchie solo esternamente. Non ci sono più girandole che ruotano fisicamente ma generatori digitali di numeri casuali. Il cliente vede una girandola che può avere venti posizioni d’arresto, ma la girandola vera che è virtuale, può averne da due a dieci volte tante. Ora le probabilità di vincita sono più basse di centinaia o migliaia di volte. Queste nuove macchine sono programmate per suscitare speranze ingannevoli mostrando un sacco di quasi-vincite, mentre di vincite vere ce ne sono molte di meno, o addirittura nessuna. Ma ora la domanda più importante: perché in tanto perdono denaro giocando alle slot machine? La sala di un casinò è un assemblaggio di illusioni, un teatro che fa ascoltare e vedere ai giocatori più vincite o quasi-vincite di quante ce ne siano in realtà. QUALCHE REGOLA UTILE A CHI DEVE PRENDERE DECISIONI SUL SUO TEMPO LIBERO IN CONDIZIONI DI INCERTEZZA Nel 2006 ci fu una partita: Argentina contro Germania. La partita si protrasse fino ai rigori. Il portiere tedesco Lehmann aveva in mano un pezzo di carta e lo guardava prima di ogni tiro. Magari il calciatore argentino che lo affrontava si chiedeva che cosa ci fosse su quel foglio, magari immaginava che contenesse qualche informazione su di lui, la sua tecnica, il suo angoli preferito. Finì con la vittoria della Germania. Diversi studi dimostrano che il rendimento dei giocatori diminuisce quando stanno attenti a quello che fanno o se pensano troppo. Quando i giocatori vedevano Lehman che si studiava i suoi appunti, probabilmente cominciavano a chiedersi a livello cosciente che cosa fare, e questo avvantaggiava i tedeschi. Questa scenetta ci fornisce un criterio molto utile per vincere una competizione: se sei molti bravo in uno sport, non pensare troppo prima della prossima azione. Se invece sei un principiante, prendi tempo prima di decidere cosa fare. E se ti va di fare la carogna: fa’ in modo che il tuo avversario, che è esperto, pensi anziché seguire l’istinto. la motivazione è la seguente: la bravura in un gioco è una forma di intelligenza inconscia. Quando si riesce a far intervenire il pensiero cosciente dell’avversario esperto, la sua prestazione probabilmente peggiorerà. È la prima volta che vai al ristorante e il cameriere ti porge il menu. Lo studi tutto quanto? Cerchi di capire qual è la scelta migliore e non vuoi niente di meno? Questa strategia si chiama massimizzazione, piuttosto: chiedi al cameriere: lei che cosa prenderebbe qui, stasera? Non cosa mi consiglia, i camerieri sanno che cosa c’è di buono quella sera, e poi questa è una domanda che li colpisce nell’orgoglio. Ora vediamo quattro regole del pollice alternative: -contentarsi. Nel senso scegliere la prima opzione soddisfacente, vale a dire buona quanto basta. -chiedere un consiglio. Non aprite il menu e ordinate quello che vi consiglia il cameriere. -imitare i colleghi. Non aprite il menu. Cercate di scoprire chi è stato in quel ristorante più spesso fra i compagni di tavolata e ordinate il piatto che ordina lui, o lei. -la forza dell’abitudine. Non aprite il menu. Ordinate il vostro piatto preferito, quello che ordinate sempre. Massimizzare può essere una via diretta alla sofferenza: c’è gente che vuole troppo, punto e basta. L’alternativa è contentarsi: cercare un prodotto che sia buono abbastanza, non il migliore. Dopotutto, in un mondo incerto non c’è modo di trovare l’ottimo, e anche se uno ci andasse a sbattere per puro caso non lo saprebbe e potrebbe continuare a cercare qualcosa di meglio. Non cercate altre alternative, non c’è ragione di farlo, avete già quello che vi serviva. I massimizzatori eccedono in perfezionismo, depressione e autocritica. In molte attività quotidiane valgono le stesse regole del pollice. Come decidiamo quale programma tv guardare stasera? Usare il telecomando in cerca di qualcosa di buono abbastanza e quando lo si è trovato, fermarsi lì. In un mondo incerto imparare a vivere con qualcosa di buono abbastanza, più la possibilità che nel mondo ci sia di meglio è indispensabile. 8.AL CUORE DELLE QUESTIONI DI CUORE Charles Darwin cominciò a penare a una questione: era il caso o no di sposarsi? Prese una penna e scrisse: “la faccenda è questa” in cima ad un foglio, poi lo divise in due colonne come nei registri di partita doppia ed elencò le ragioni pro e contro il matrimonio. Darwin concluse che si doveva sposare. Ma come arrivò a decidere di sposarsi partendo dalle ragioni che aveva in mente, compagna costante, meglio di un cane, niente figli, obesità e ozio? Non l’ha mai spiegato. I modi in cui avrebbe potuto raggiungere la sua conclusione sono due, la massimizzazione e le regole del pollice. La massimizzazione qui è basata sull’idea che i rischi ci siano noti. L’alternativa, come abbiamo mostrato, è data dalle regole del pollice che hanno una certa probabilità di portare a una buona decisione. Una di queste è la decisione in base ad una sola ragione: trova la ragione più importante e ignora il resto. Alcune ricerche hanno dimostrato che spesso la gente basa le proprie decisioni su una sola buona ragione e queste decisioni possono essere migliori di quelle prese pretendendo di considerare tutte le ragioni. Basarsi su una sola ragione non è l’unica regola del pollice che Darwin avrebbe potuto usare. C’è anche l’alternativa delle regole del pollice sociali, per esempio l’imitazione: sposati quando tutti gli amici della tua stessa età sono già sposati. CON CHI SPOSARSI? Franklin aveva l’abitudine di parlare chiaro a proposito del matrimonio. Oggi il suo metodo contabile viene insegnato sotto il nome di massimizzazione dell’utilità prevista, o anche di scelta razionale, che consiste in: Scrivi in un foglio di carta, su colonne opposte, tutte le ragioni pro e contro, e quando le avrai considerate per due o tre giorni, esegui un’operazione simile a quella di certi problemi di algebra: osserva quali ragioni o motivazioni sono in ciascuna colonna di ugual peso, una con una, una con due, due con tre e simili, e quando avrai cancellato dai due lati tutte le uguaglianze, vedrai verso quale colonna perde la Bilancia. Ma il metodo contabile di Franklin è pensato per un mondo di rischi conosciuti, ma non per un mondo d’incertezza. Il problema sta nel fatto che la persona con cui stare la si sceglie in un modo diverso: non con il calcolo, ma con le viscere, e certe volte il senso di pancia si basa su qualche regola del pollice inconscia: cerca di prenderti la persona che quelli o quelle come te desiderano. Quando Franklin era ancora giovane propose una regola del pollice paradossale per la scelta della sua amante: in amore dovresti preferire le donne anziane alle giovani. Infatti secondo lui le donne di età matura erano più esperte e discrete, la loro conversazione era migliore, non c’era il rischio dei figli e c’era da aspettarsi che fossero grate. IL GIOCO DELL’ACCOPPIAMENTO Il metodo a partita doppia di Franklin dà per scontato che tutte le candidate siano note, il che è raro; di solito, man mano che passa il tempo conosciamo nuove persone. Perciò la domanda giusta da fare è: “devo dichiararmi?”, e la sua versione classica è il cosiddetto problema della dote. Sembrerebbe esserci solo una probabilità su cento di scegliere la donna migliore. Se ha un minimo d’intelligenza, però, può fare di meglio grazie a questa strategia: regola del 37%: lascia andare le prime trentasette donne, ricordati quale di loro ha la dote più alta e poi scegli la prima che ce l’ha più alta ancora. CONTENTARSI In ultima analisi il successo di un rapporto di coppia dipende dal comportamento di entrambi. Perciò, invece di sognare la persona ideale, dovreste semplicemente cercare qualcuno che vada abbastanza bene. Abbiamo incontrato ancora una volta una regola generale per le decisioni di questo tipo: contentarsi. 1.fissa il livello delle tue aspirazioni; 2.scegli la prima alternativa che soddisfa quel livello e smetti di cercare. Se il livello delle vostre aspirazioni non è troppo alto, vi porterà a decidere rapide, e se si rivela troppo elevato, sarà sempre possibile, passo dopo passo, abbassarlo. C’è però un inconveniente in tutti questi metodi, nessuno ci impedisce di piantare in asso una persona appena da dietro l’angolo ne spunta una migliore, solo che cambiare più volte compagna o compagno non è la cosa giusta per costruire famiglie. LANCIA UNA MONETA MA NON GUARDARE IL RISULTATO Ci sono tuttavia persone che hanno perso la capacità di ascoltare la propria voce interiore, la quale continua a parlare ma non viene più sentita. Se hai delle difficoltà ad ascoltare la tua voce interiore, c’è un metodo molto più veloce: lancia una monetina. Mentre vola, girando su se stessa, probabilmente sentirai quale faccia non dovrebbe uscire: è la tua voce interiore. La sordità psicologica può essere dovuta a un’educazione unilaterale all’argomentazione razionale. LE INTUIZIONI SULLA PERSONA GIUSTA IN AMORE Abbiamo chiesto a mille tedeschi e a mille spagnoli dai diciotto anni in su: chi sa intuire meglio qual è la persona giusta in amore, le donne, gli uomini o né uno né l’altro? Ed è venuto fuori che alcuni stupefacenti stereotipi sono ben vivi nel XXI secolo. Due terzi delle donne tedesche ritenevano di avere intuizioni migliori, solo un quarto pensava che non ci fossero differenze e meno di un decimo considerava migliori le intuizioni maschili. In genere i maschi di entrambi i Paesi riconoscevano che le intuizioni femminili erano migliori e in maggioranza non si consideravano bravi a trovare la compagna giusta. Abbiamo fatto agli stessi tedeschi e agli stessi spagnoli una domanda. Chi ha più intuito riguardo alle azioni da comprare?, e due terzi dei tedeschi hanno detto che erano più bravi gli uomini, mentre meno di un decimo pensava che fossero meglio le donne. Ma alla fin fine, gli uomini fanno davvero più denaro delle donne con le azioni? Gli studi esistenti mostrano che non c’è differenza, o se c’è sono le donne a fare un po' meglio. È vero che ne sanno meno sulla borsa, ma rischiano anche di meno e si affidano a euristiche semplici ed efficaci, come: compra quello che conosci e investi in parti uguali. IL DILEMMA DEI GENITORI Se c’è più di un figlio i genitori hanno una questione cruciale da affrontare: come distribuire il proprio amore? La risposta classica alla domanda: come dovrebbero allocare il loro tempo e le loro risorse i genitori? È anche qui massimizzando: dovrebbero prediligere quei figli che da adulti produrranno più ricchezza. Solo che genitori e figli vivono in un mondo incerto. In questa situazione molti genitori si affidano ad una regola semplicissima: distribuisci il tuo tempo in parti uguali fra i figli. È la stessa regola 1/N. Di fatto i genitori sarebbero anche disposti a seguire la regola, ma il modo in cui vanno effettivamente le cose dipende dal numero dei figli. Prendiamo una famiglia con tre figli, i genitori distribuiscono il loro tempo in parti uguali, ma in questo caso diciotto anni di trattamento uguale porteranno non intenzionalmente alla disuguaglianza: i figli di mezzo non hanno mai del tempo tutto per sé e devono sempre condividere le attenzioni dei genitori con qualche fratello, per cui a lungo andare ne ricevono meno di quelli nati prima e dopo. Il comportamento che si osserva viene quasi sempre attribuito a preferenze, tratti di carattere e altre disposizioni interiori. I genitori ce la mettono tutta per essere giusti, ma adesso capiamo perché alle volte è impossibile COMUNICARE I RISCHI DELL’AMORE ROMANTICO Non tutti quelli che cercano l’amore hanno o vogliono i figli. L’efficacia dei preservativi va riferita alla percentuale delle donne che hanno una gravidanza non voluta nel primo anno in cui ne fanno uso; il 2-15% delle donne che si fidano dei preservativi resta incinta nel primo anno che li usa. Uno psichiatra prescriveva degli antidepressivi ai pazienti con depressione leggera. Si preoccupava sempre di spiegare i possibili effetti collaterali, comprese la perdita di interesse per il sesso e l’impotenza. Diceva: se lei prende questo medicinale avrà una probabilità dal 30 al 50 % di ritrovarsi con un problema sessuale. Molti pazienti si innervosivano e rifiutavano la medicina. Molti supponevano che qualcosa sarebbe andato storto in una parte dei loro rapporti sessuali, molti avevano altri pensieri. La confusione fu spazzata via solo quando lo psichiatra smise di parlare di probabilità di un evento singolo e cominciò a parlare di frequenz, cioè di cose che specificano automaticamente una classe di riferimento. Il problema non è l’intelligenza delle persone, è che gli esperti non sanno comunicare quello che hanno in testa. 9. QUELLO CHE I DOTTORI HANNO BISOGNO DI SAPERE Sono anni e anni che in tutto il mondo hotel fantastici ospitano in continuazione corsi di Educazione Continua in medicina che i medici devono frequentare per poter rinnovare l’autorizzazione a esercitare, e sono le industrie farmaceutiche a supportare questi corsi. Per attirare i dottori si sceglie un hotel da sogno. Le cure mediche, per la verità, non dovrebbero essere un ricevere e restituire favori; ma sembra proprio che molti dottori abbocchino. Dopo anni di vacche grasse, i sistemi sanitari pubblici hanno cominciato a preoccuparsi, perché, forse, i dottori si lasciavano corrompere da queste pratiche. In Germania l’industria ha subito reagito e per bloccare le indagini sulla corruzione ha fondato una sua associazione. Fra i cui punti programmatici c’era il principio che i congressi ECM non si dovevano più svolgere in hotel di lusso ma in altri alberghi, adatti allo scopo. E a questa idea sei hotel berlinesi sono stati presi dal panico e hanno lasciato perdere le loro stelle. Ma perché la EMC non è diretta da organizzazioni di medici? La maggioranza dei dottori preferisce le spiagge e i golf club ad aule spartane, pasti frugali e nessuna compagna al seguito. Se uno si pagasse la propria educazione permanente, il problema sarebbe risolto, ma l’idea non sembra bene accetta. Esiste un metodo molto semplice per far capire meglio le cose ovvero tradurre le probabilità in frequenze naturali: ci si aspetta che 10 donne su 1000 abbiano il cancro al seno; su queste 10 con il cancro al seno 9 risultano positive al test; sulle 990 senza il cancro al seno 89 risultano ugualmente positive. Ora è facile vedere che ci si aspetta che circa 98 donne risultino positive al test, delle quali solo 9 avranno effettivamente il cancro. Spesso i medici pensano che tutti gli altri capiscano le probabilità, mentre loro sono fra i pochi a cui manca il gene della matematica. Per questo è tanto importante far lezione a un uditorio di medici, mostrando loro che non sono soli e non hanno bisogno di nascondersi. LA PAURA Circa l’80 % dei medici non capisce che cosa significhi un risultato positivo di un test. Non sono in grado né di dare pareri adeguati ai pazienti né di valutare da soli i risultati dei test. Le donne sane fra i cinquanta e i settant’anni di età che partecipano regolarmente ai controlli mammografici prima o poi possono aspettarsi un falso allarme. Grosso modo, circa una donna su tre finirà presto o tardi per avere un falso positivo, e qualcuno dovrà pur dire a queste persone che un risultato sospetto significa che c’è qualcosa che non va nel test, non nel loro corpo. I pazienti partono dall’idea che i medici capiscano i dati di cui dispongono, e alcuni di loro. Ma non sempre i medici sanno di non capire le statistiche sanitarie. TUTTI POSSONO CAPIRE I RISULTATI DEI TEST Consideriamo più in dettaglio i due modi di dare informazioni sui controlli di massa del cancro al seno. Il primo usa le probabilità condizionali. Per capire le probabilità condizionali dobbiamo eseguire calcoli complicati che fanno confondere quasi tutti. La formula che si usa è detta di Bayes dal nome del pastore protestante Thomas Bayes. Invece le frequenze naturali offrono un modo più semplice di comunicare le stesse informazioni. STRUMENTI PER PENSARE Gli psicologi sostengono da molti anni che a causa delle loro limitate capacità cognitive gli esseri umani sono condannati a sbagliare davanti a problemi. Intorno al 1995 abbiamo dimostrato che il problema non sta solo dentro la testa della gente, ma anche nel modo di comunicare l’informazione. Quando gli stessi problemi vengono presentati attraverso le frequenze naturali, la gente li capisce prima. I CONTROLLI PRENATALI Immaginate di avere trentacinque anni ed essere incinte. In molti Paesi i medici consigliano a tutte le donne dai trentacinque anni in su di fare il controllo della sindrome di Down o trisomia 21. Per molte donne incinte il controllo prenatale della sindrome di Down è una cosa durissima. Gli esami sono due: uno del sangue nel primo trimestre, usato come prima scrematura, e se il risultato è positivo un altro, stavolta invasivo, come l’amniocentesi o la villocentesi. Il controllo del primo trimestre può essere effettuato fra l’undicesima e la quattordicesima settimana. Se l’esito è positivo, la donna deve decidere se sottoporsi a un test invasivo come l’amniocentesi. La sensibilità del controllo del primo trimestre è intorno al 90%, il che significa che il test scopre circa il 90 % dei bambini con la sindrome di Down e si lascia scappare il resto. Il tasso dei falsi positivi è del 5%. E adesso possiamo stabilire che cosa vuol dire un test positivo per una donna di quarant’anni: - circa l’1% dei feti ha la sindrome di Down; - se il feto ha la sindrome di Down, c’è una probabilità del 90 % che il risultato del test sia positivo; - se il feto è sano, c’è ugualmente una probabilità del 5% che il test risulti positivo. Su sei o sette donne con un risultato positivo in realtà solo una ha un figlio con la sindrome di Down. Ma nemmeno un risultato negativo è certo: circa un caso su dieci di sindrome di Down passa inosservato. Rendendo più chiari i dati numerici, le frequenze naturali ci aiutano a prendere decisioni informate. LA NUOVA TECNOLOGIA GENETICA HA BISOGNO DI GENITORI E MEDICI CAPACI DI RISCHIARE CON INTELLIGENZA È raro che i genitori sappiano che i test di screening genetico non danno certezze, e quelli che li vivono come riti di passaggio ansiogeni potrebbero rovinare la propria relazione emotiva con il figlio. Uno studio condotto a Boston ha messo a confronto genitori i cui figli avevano avuto un falso allarme per uno di venti disturbi biochimici con altri i cui figli erano risultati normali nei controlli neonatali. Le madri di bambini con falsi allarmi si dicevano più preoccupate per il futuro dei figli. D’altro canto, quando un bambino avverte che secondo i genitori in lui potrebbe esserci qualcosa che non va, la cosa può diventare una profezia che si autorealizza. L’alfabetizzazione al rischio avrebbe potuto attenuare quelle reazioni emotive alla cattiva notizia iniziale che avevano danneggiato il rapporto di questi genitori con i figli. Ma perché non controllare il bambino prima che nasca? I progressi della tecnologia genetica permettono di controllare centinaia di fattori genetici di rischio a livello embrionale. Le tempeste etiche nate dallo screening genetico hanno attratto molto l’attenzione; ma quello di cui in genere non ci si rende conto è che né i medici né i pazienti capiscono i risultati di questa tecnologia. I FALLIMENTI DELLE FACOLTA’ DI MEDICINA Non date tutta la colpa ai dottori. La causa principale è l’incredibile inefficienza delle facoltà di medicina in fatto di alfabetizzazione al rischio. Il progresso della medicina è sempre più associato a tecnologie migliori, ma non a medici migliori, in grado di capire queste tecnologie. La responsabilità morale è delle facoltà di medicina. Nessuno ha interesse a insegnare ai dottori a leggere il rischio. Cambiare un’università è un po' come ripulire un vecchio cimitero: ogni professore vuole infilare un tot della sua specialità sia nei programmi sia nelle teste degli studenti, e non resta spazio per nient’altro. Le facoltà di medicina dovrebbero sbrigarsi a fare qualcosa, prima che i pazienti si rendano conto che i loro medici non capiscono né i test né le terapie cui consigliano loro di sottoporsi. Gli affari sono affari, e i medici e i pazienti alfabetizzati al rischio non sono affari. SINDROME AAC Da uno studio condotto in Spagna risulta che in maggioranza i medici sceglievano cure diverse per i loro pazienti e per se stessi. Prevedevano queste preferenze con molta precisione, ma sceglievano terapie che li proteggevano da azioni legali. La relazione medico-paziente dipende dal rapporto personale e dalla fiducia. I medici non fanno il meglio che potrebbero fare per i loro pazienti perché: 1) praticano una medicina prudenziale (AUTODIFESA); 2) non capiscono le statistiche sanitarie (ANALFABETISMO NUMERICO); 3) perseguono il profitto anziché la virtù (CONFLITTO D’INTERESSE). Questo stato di cose sarà chiamato sindrome AAC del nostro sistema immunitario. I pazienti devono sapere che la sindrome AAC porta a un eccesso di cure. Perché tanti medici ignorano i consigli delle loro stesse associazioni? La risposta sta nel sistema, che paga in base ai servizi erogati, nel quale, dunque, i dottori prendono soldi per ogni test che fanno. NELLA SANITA’ MENO (SPESSO) E’ PIU’ Una delle ragioni per cui il mondo medico abusa delle tecnologie sono i conflitti di interesse. Vengono incoraggiate le pratiche che aumentano l’afflusso di denaro. Una seconda ragione dell’abuso di tecnologie in medicina è che molti dottori consigliano ai pazienti cure ed esami superflui, e a volte nocivi, per proteggersi dalle querele. Una macchina RM (risonanza magnetica) usa un campo magnetico e delle onde radio molto potenti per generare immagini biotridimensionali di organi interni; il paziente deve spogliarsi totalmente o quasi, e indossare un camicione, dopo di che la parte del suo corpo da esaminare viene infilata nella macchina. Inoltre, se per ottenere immagini migliori è necessario un liquido di contrasto si inserisce nel braccio un tubicino endovena. L’alternativa è una visita al capezzale. Il controllo HINTS consiste in tre esami e si può fare in un minuto; non ci sono né tempi d’attesa né disagio né aghi endovena. Controlla l’impulso alla testa, il nistagmo e la prova di deviazione. Le RM portano a più diagnosi errate e possono danneggiare i pazienti per via delle radiazioni, mentre una semplice visita al capezzale può dare più sicurezza e far risparmiare insieme tempo e denaro. Esiste anche un’alternativa ai raggi x. Un gruppo di medici dell’ospedale di Ottawa ha elaborato alcuni criteri molto semplici per vedere se esiste una fattura o meno. Vengono ricordati con il nome “le regole di Ottawa per la caviglia”. se non c’è dolore nella zona malleolare, i raggi non ci vogliono, se invece c’è, il problema è se l’osso è diventato molle al margine posteriore o sulla punta del malleolo laterale. Se sì, ci vogliono i raggi x; altrimenti si chiede la stessa cosa per il malleolo mediale e di nuovo, se c’è rammollimento dell’osso, ci vogliono i raggi x. Altrimenti l’ultima domanda: il paziente riesce a reggere il proprio peso per quattro passi? Se non ce la fa, ci vogliono i raggi x; altrimenti no. Una rassegna di trentadue studi ha mostrato che le regole della caviglia individuano correttamente le fratture in oltre il 98% dei casi. Possiamo a questo punto affermare che le macchine allontanano fisicamente i medici dai pazienti. Ora sorge spontaneo chiedersi: Cosa dovremmo fare? 1) sottoporci a controlli medici periodici; 2) andare dal dottore solo quando stiamo veramente male e poi non farci più vedere. I medici con la sindrome AAC sosterranno con grande decisione che devi fare un controllo generale periodico anche quando stai bene. Se invece non hanno la sindrome e sono ben informati, ti metteranno davanti ai fatti. Fra quelli che facevano controlli periodici il numero delle diagnosi aumentava, facendo preoccupare persone sane, e portando a nuove diagnosi e nuove cure senza un beneficio degno di nota. Non andare dal dottore quando non si sta chiaramente male porta con sé il rischio di trascurare una cosa che potrebbe essere curata, se presa in tempo. Sta solo a voi decidere qual è per voi la strategia migliore. IL LIBERO ACCESSO ALL’INFORMAZIONE I pazienti e i medici potrebbero prendere decisioni migliori se fossero informati meglio, ma quelli che vanno in cerca delle informazioni pertinenti hanno difficoltà ad accedervi o a capirle. Ecco alcuni servizi di cui abbiamo bisogno: - libero accesso alla Cochrane Library finanziato dalle organizzazioni sanitarie o dal governo; -libero accesso alle cartelle cliniche; -libero accesso alle riviste mediche. Oltre a questi servizi ancora inaccessibili a molti ne esistono altri che, invece, sono aperti a tutti, ma poco conosciuti. 10. LE CURE MEDICHE Nel 2007 nonostante l’impressionante differenza fra i tassi di sopravvivenza, negli Stati Uniti e nel Regno Unito la percentuale dei maschi morti per cancro alla proposta era pressoché uguale. Com’è possibile? La risposta è che quando c’è di mezzo lo screening, le differenze fra i tassi di sopravvivenza non ci dicono niente su quelle fra i tassi di mortalità. Le ragioni sono due. COME RUDY GIULIANI FU MANDATO FUORI STRADA La prima di queste ragioni è la cosiddetta distorsione del tempi di riferimento. Immaginiamo due gruppi di uomini con cancro alla prostata invasivo: il primo è formato da maschi britannici, nel loro paese non c’è controllo sistematico. Il secondo invece è un gruppo di americani. Negli Stati Uniti si è cominciato a fare sistematicamente il test del PSA verso la fine degli anni Ottanta. Nel gruppo britannico il cancro alla prostata viene scoperto grazie ai sintomi all’età di sessantasette anni. Tutti questi uomini muoiono a settant’anni. La sopravvivenza è migliorata in un modo spettacolare; eppure, l’età della morte non è affatto cambiata. Che la diagnosi sia fatta a sessantasette anni o sessanta, tutti i pazienti muoiono a settant’anni. I tassi di sopravvivenza vengono gonfiati anticipando l’età della diagnosi, ma non ci sono evidenze che la scoperta e la cura precoci del cancro alla prostata prolunghino o salvino la vita. La seconda ragione per cui i tassi di sopravvivenza non ci dicono nulla sul prolungamento della vita è la distorsione dell’iperdiagnosi. Si ha un’iperdiagnosi quando i medici scoprono anomalie che non danno né sintomi né morte precoce. Può accadere, per esempio, che ad un paziente venga correttamente diagnosticato un tumore, che, però, progredisce così lentamente che quel paziente non se ne sarebbe mai accorto in vita sua. L’avere frainteso il significato del termine sopravvivenza ha trasformato numerose persone in pazienti e numerose vite tranquille in vite tormentate. Molti uomini ai quali viene scoperto un tumore benigno subiscono operazioni o trattamenti radiologici non necessari e che li danneggiano. Nell’arco della vita, il rischio di morire di cancro alla prostata è, per fortuna, solo del 3%. Ne muoiono di più con il cancro alla prostata che di cancro alla prostata. C’è modo di far conoscere i fatti alla gente comune? C’è. È uno strumento molto semplice, il cosiddetto riquadro iconico. Un riquadro iconico introduce la trasparenza nella sanità. Lo si può usare per spiegare come stanno le cose riguardo allo screening, a dei medicinali o a qualsiasi terapia. Lo scopo del riquadro è rendere noti i fatti fondamentali, così che ognuno possa prendere una decisione informata. Ora cominciamo con il beneficio: possiamo affermare che non ci sono evidenze che la scoperta precoce di un tumore riduca la mortalità. Il riquadro iconico mostra anche i danni subiti dagli uomini che si sono fatti lo screening. Ci sono due tipi di danni, ai soggetti con il cancro e a quelli senza cancro. Quando un uomo che non ha il cancro presenta ripetutamente dei livelli di PSA elevati, in genere i medici fanno una biopsia e il risultato è che molti uomini devono sottoporsi all’incubo dei prelievi di tessuto multipli in